Angelo Colangelo, TAGLIENTE

Page 1

Angelo Colangelo

TAGLIENTE





Angelo Colangelo

TAGLIENTE



Angelo Colangelo Tagliente

il libro è realizzato in occasione delle mostre di Angelo Colangelo al Palazzo Lucarini Contemporary (Trevi, Perugia) e al Museolaboratorio - Ex Manifattura Tabacchi (Città Sant’Angelo, Pescara). a cura di Maurizio Coccia ed Enzo De Leonibus testi di Maurizio Coccia coordinamento al progetto di Enzo De Leonibus sviluppo grafico di Marco Marzuoli foto di Ottavio Perpetua, Studio Luce, Marco Marzuoli, Alessandro Jasci, Enzo De Leonibus e Archivio Fotografico Colangelo.

si ringraziano Denis Birra Lucilla Candeloro Carla Capodimonti Daniele Cilli Marco De Leonibus Marco Marzuoli Mara Predicatori Fabrizio Segaricci Paola Tommasina e tutti coloro che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento. per il sostegno Gabriele Florindi Alice Fabbiani Alfredo Savini

copyright 2014 Museolaboratorio finito di stampare nel mese di Ottobre 2014, in 500 esemplari, presso la Tipografia Angolana



Quel che rimane

1. Intransigenze Angelo Colangelo, di primo acchito, trasmette una vaga sensazione di spigolosità. Il fisico asciutto. Lo sguardo azzurro, diretto, che lancia bagliori metallici. Un’intatta avvenenza maschile. L’attitudine ieratica. Un eloquio fané, implacabile, di precisione clinica. È un tipo di atteggiamento che dipende dalla dedizione esclusiva a ciò che si fa. Può essere indotta dal ruolo. Come per i militari o i religiosi. Oppure nascere direttamente dall’abnegazione. Come per gli artisti. I contadini. Le madri. Gli operatori oncologici. I malati di mente. I martiri. Nel primo caso parlerei d’interiorizzazione istituzionale. Nel secondo di una forma – più o meno tollerata – di fanatismo. Qui non si tratta sempre di una scelta. Però, molto spesso, c’è un effetto di esclusione. O meglio, di riduzione dei rapporti sociali. Un po’ perché si tende a frequentare solo i propri simili. Un po’ perché il tempo non è mai abbastanza. Un po’, infine, a causa della concentrazione. Già. L’intenso raccoglimento del sé. Come Talete, assorto nella riflessione sui massimi sistemi, che cade nel pozzo. Oppure la titanica misantropia dell’Innominato manzoniano. Matisse infermo, che dipinge dal letto, con una prolunga. Proust fagocitato dalla memoria nelle sue stanze di hotel… E via di questo passo. Insomma, tutti quei casi in cui la vocazione è una vera e propria chiamata. Un imperativo irrevocabile. La luce accecante che mette in ombra tutto il resto. Anche i rapporti

interpersonali. Anche l’ipocrita urbanità borghese. Detto così ricorda l’altezzosità aristocratica. Per Colangelo, invece, non c’è né alterigia di ceto né – tanto meno – presunzione intellettuale. È qualcosa d’intrinseco al suo mondo. Un sistema solare, cioè, dotato di un inflessibile statuto di legalità, linguistica e procedurale. In altre parole, c’è un codice da rispettare. Un’etica. Che dipende, appunto, dalla composizione peculiare del sistema. Esiste un modo, e solo quello, per farne parte. Perché ci sono norme di condotta precise. Intransigenti principi morali, prima ancora che estetici e mondani.

2. Categorie Charles Saatchi non sembra un personaggio amabile. E neppure un raffinato teorico. Però, riflettendo su Colangelo, mi è tornata in mente una sua affermazione. A proposito di un’opera di Liu Wei, dice testualmente: “Non credo che lo scopo di una cacca gigantesca fosse far sentire le persone a proprio agio. Liu Wei non è un decoratore d’interni.”1 Angelo Colangelo non realizza cacche gigantesche. E non fa l’arredatore. Tuttavia, il suo lavoro è esemplare. Si presta a riflessioni di ordine generale. La sua universalità lo trasforma in un paradigma della situazione attuale del dibattito artistico. Ancora oggi, infatti, è in voga un clamoroso fraintendimento. Una mistificazione originata da una tradizione visiva distorta. Che da noi, in Italia, è gravata anche da una forma ottusa d’idealismo. Una specie di difetto antropologico. Un’anomalia perpetuata nella penombra crepuscolare delle aule di liceo. Una stravaganza nazionale. Avallata da amministratori non alfabetizzati e scrittori di gialli. Attori. Calciatori. Conduttori televisivi. Neurologi di fama. Si tratta della fede – granitica, astorica, sovrannaturale – nel legame fra creazione artistica e ricerca della bellezza. Effettivamente, l’equivalenza tra arte e buongusto sembra


un alibi alla portata di tutti. Si traduce nel ripiegamento rassicurante su categorie elementari (e remote) come il Bello e il Brutto. Un pregiudizio corrosivo, dilagante e frivolo, che colloca la creazione artistica in un ambito non toccato dalla volgarità della vita. In un altrove rarefatto ed eterno. Lontano dalla precarietà, dalla malattia, dal dolore, dalla paura. Eppure. Eppure il dilemma di un’arte non-estetica pareva risolto dalle avanguardie. Chi può dire – onestamente – che Les demoiselles d’Avignon è un bel quadro? Difficile anche definire piacevole il cromatismo nevrotico di Kirchner. Per non dire di Dada e Surrealismo. A meno che non si utilizzino parametri diversi da quelli – per così dire – di un’estetica ricreativa, da anticamera ambulatoriale. Ecco. Quegli stessi parametri che ci ostiniamo a negare per l’arte di oggi. Colangelo, per esempio. Le sue opere provocano disagio. Sorpresa. Diffidenza. Avversione. Fino all’ostilità. Ci sono state reazioni scandalizzate. E insulti per interposta persona. Minacce di querela. Giuro che è così. Non solo, è ovvio. Ma nel contatto con il pubblico delle inaugurazioni, la tensione è palpabile. Una muta perplessità. Una sospensione attonita. Qualcosa d’ineffabile e solenne. Quell’austera maestosità che emana da alcuni fenomeni naturali. Insomma, per dirla con Kant, è la distinzione necessaria tra il sentimento del Bello e del Sublime. Angelo Colangelo, l’abbiamo detto sopra, non pare incline al sentimentalismo. Non cede di fronte all’incantesimo delle piccole cose. Rifugge l’ornamento fine a se stesso. La cortesia artificiosa. Il rapimento contemplativo. Nelle opere principali, si muove su due fronti. Da una parte l’articolazione plastica di elementi eterogeni. Dall’altra la performance. Fa da collante un innato talento compositivo. La capacità di cristallizzare momenti “alti”. Grazie alla fotografia, infine, assistiamo all’emancipazione di un’azione artistica e alla sua trasformazione in un compiuto – e autonomo – risultato artistico. Una sorta di tableau vivant di secondo grado. Questo ci riporta alla categorizzazione kantiana. Secondo

il filosofo tedesco, termini come austerità, abnegazione, serietà, nobiltà rientrano nelle file del sublime. E anche il sentimento del piacere misto al terrore. Tutto ciò, insomma, che troviamo coerentemente nell’immaginario di Colangelo. Ma quello che più mi colpisce, è il richiamo di Kant alla tragedia. La maggior parte dei lavori di Colangelo è, fisicamente ed emotivamente, necessaria come una scenografia. Ne ha la precisa collocazione delle parti. La selezione prospettica dei punti di vista. Il fiato trattenuto della temporanea sospensione. L’attesa dell’azione. Scenari morfologicamente accurati. Allestimenti teatrali che accolgono l’esito, invariabilmente luttuoso, di una drammaturgia comune a tutti noi. Una trama unica ma condivisa da legioni infinite di personaggi sempre diversi.

3. Meccanica dei corpi volgari o vili. La plastica tridimensionale ha la prevalenza nell’arte di Colangelo. Però, definire quelle opere come sculture, oltre che incompleto è discutibile. Per diversi motivi. Vediamo. Abbiamo già parlato della densità teatrale delle sue installazioni. Basterebbe questo, l’introduzione dell’elemento “tempo”, per scardinare i presupposti di stanzialità e fissità della statuaria tradizionale. Ma andiamo oltre. Il rapporto pieno/vuoto dei componenti, ad esempio, non è un’articolazione spaziale definitiva, un’esperienza fisica in sé espressiva. I contorni sono sfumati. La posizione degli elementi può variare. Eccetera. Così come la dialettica luce/ombra. Formalismi irrilevanti. Ricadute sensoriali ausiliarie. In questo modo potremmo aver liquidato la questione sul piano del significante. Le difficoltà maggiori, al contrario, si trovano a livello semantico. Dal discorso sull’autore in avanti. Colangelo, infatti, ricorre indifferentemente al ready-made e alla realizzazione diretta. Non si tratta, quindi,


La Passione - Il Tempo - Lo Spazio - Ceneri 2011


di creare partendo dalla materia bruta. O d’imprimere il segno demiurgico del genio. Allo stesso modo la geografia variabile degli elementi dissuade dal pensare al tentativo di mettere ordine al caos dell’esistenza. E così via. Arriviamo, pertanto, al punto dirimente: l’interpretazione. Siamo soliti affidare all’arte una finalità trascendente. Entrano in campo, allora, la metafora, il simbolo, l’allegoria. Insomma, tutto un armamentario rappresentativo fondato sull’astrazione dei termini. Le opere, in quest’ottica, dovrebbero rimandare a qualcosa che oltrepassa il registro fisico. Mi spiego meglio. Ciò che vedo, che è – tangibilmente – l’oggetto dell’esperienza estetica, non basta. Anzi. Non è accettato come scopo artistico. È, ancora, una deriva dell’idealismo. Si tratta, cioè, della necessità di canalizzare le intenzioni e gli effetti dell’arte verso finalità più elevate che non il mero dato contingente della percezione. Mutuando il termine dalla ricerca freudiana, ampiamente adottata dalla storia dell’arte, questo processo è chiamato “sublimazione”. Rinvia alla dialettica – che si credeva sorpassata – fra cultura alta e bassa, fra élite e popolo. I dispositivi inscenati da Colangelo, invece, rientrano nelle strategie di “desublimazione” definite a suo tempo dalle avanguardie e condivise dall’arte sperimentale di oggi. Colangelo rifiuta la conformità ai canoni estetici della tradizione. Mira alla destrutturazione delle categorie tradizionali. Nega con decisione qualunque statuto di privilegio all’arte. Rappresenta l’abietto e il deforme. Enfatizza l’aggressività istintiva del genere umano. Ma, soprattutto, mette in risalto i procedimenti e i materiali che strutturano la nostra esperienza corporea. Esattamente quella dimensione (volgare, degradata, effimera) rimossa dall’idealismo. È la macchina dell’esistenza, ad attrarlo. Le leggi che presiedono al suo funzionamento. La fisica corrispondenza delle sue parti. Se esistono numerose teorie per descrivere i moti del sistema solare, c’è la fisiologia, invece, che studia le forme e le funzioni degli organismi vegetali e animali.

Le installazioni di Colangelo svelano questa tecnologia. Sono l’ostensione di una meccanica inarrestabile, che conduce all’unica evoluzione possibile: il progressivo disfacimento del vivente.

4. Umanesimo negativo Corpo/Corpi Il corpo è l’attrattore principale, la forza centripeta, nell’ispirazione di Colangelo. Non è un corpo seducente. Nessuna lusinga cosmetica. Zero erotismo. È un corpo limitato. Sofferente. Mutilato. Corrotto. Ma reale. Non involucro per l’anima. Né scrigno prezioso del sentimento. È, invece, la sola unità di misura a disposizione. La sola, ovviamente, oggettiva. La ricerca di Colangelo è serratissima, e così coerente da aver spesso anticipato i movimenti artistici internazionali2. Essendo legati alla prossemica, e non all’introspezione, i suoi lavori cercano di dare significato alla distanza fisica tra il Sé e il resto del mondo. È una questione di scala, in definitiva. Le dimensioni degli oggetti sono sempre rispettate. Tutto è in rapporto 1:1. Nessuna deformazione evocativa. Niente simbolismo. Gli oggetti (e i soggetti) sono quello che sembrano. È significante la loro topografia. Una questione materiale insomma. Una pragmatica di corpi, spazio ed energia. Poiché costantemente mutevole, è un sistema irreversibile. Come la vita. E poi ci sono gli altri. Gli altri corpi. Quell’insieme complesso di organi e tessuti in costante decomposizione. Congiunti o passanti occasionali, non importa. Gente reale. Non effige di un eventuale Divino. Segnale della Sua turpitudine, piuttosto. Del Suo crudele senso dell’umorismo. Del piacere sadico e voyeuristico della penitenza senza motivo. Espiazione arbitraria e preventiva, in assenza di peccati.


Gravità I lavori di Colangelo, quindi, sono innervati di aggressività. Coltelli. Ganci. Museruole. Vetri infranti. Dissuasori per volatili. C’è, in loro, una risonanza epica di epidemie, eserciti in marcia, genocidi, vulcani in eruzione. Ma è una lingua priva di enfasi retorica. Colangelo ragiona su dicotomie connesse alla dimensione della fisicità, alla concretezza empirica della materia. È una pratica di contrasti binari. Un procedimento paratattico. Un accostamento hegeliano di proposizioni autonome. Leggero/Pesante. Duro/Morbido. Equilibrio/Disequilibrio. Eterno/Effimero. Palle da gioco piene di cemento. Uova di piombo. Sedie sghembe. E, da ultimo, la cenere. Pervasivo, sconcertante e inappellabile memento. Già. Proprio così. Non c’è scampo. Nulla est redemptio. I valori universali. Le idee elevate. Le grandi dinastie. I personaggi illustri. Gli affetti. La famiglia. E l’arte. La poesia. La musica. La natura. Il cosmo. Niente. Niente potrà salvarci dal nostro destino biologico. Parafrasando Wittgenstein, allora: su ciò di cui non si può parlare si può solo bestemmiare. Ribattendo colpo su colpo. Violenza alla violenza. Brutalmente. Con disumano furore. Perché l’istinto di sopraffazione è più forte di ogni lusinga sociale o pulsione sessuale. L’agonismo che regola i rapporti è ancestrale. È il frutto putrido dell’ineluttabile aleatorietà della condizione ferina: oggi potrebbe essere il mio ultimo giorno. Non c’è pietà. Non c’è cordoglio. Né battito d’ali verso l’infinito. Solo spreco. Maurizio Coccia

Charles Saatchi, Mi chiamo Charles Saatchi e sono un artolico, Phaidon Press Limited, London, 2010, p. 118.

1.

Ci sono sculture degli anni cinquanta, solo per fare un esempio, che trattano il tema della deformità focomelica ben prima dei lavori “scandalosi” di Marc Quinn.

2.







Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi 2014


Terapia Riabilitativa 2009 legno, botte e coltelli (particolare)


Terapia Riabilitativa 2009 legno, botte e coltelli (particolare)


Terapia Riabilitativa 2009 legno, botte, coltelli


Apoxyomenos 1999 gesso e ferri


Venere di Milo 1991 stampa fotografica copia unica carni macellate ed interiora, documentazione dell’installazione originaria


Le due metĂ del cielo 2000 stampe fotografiche e coltelli




Il Gioco Negato 2003 palloni di gomma ripieni di cemento, legno, luci, ombrelli



Senza Titolo 2003 due gabbiette, uccelli lasciati morire per inedia dall’artista stesso


Senza Titolo 2003 stampa fotografica, 4 gabbiette, uccelli lasciati morire per inedia dall’artista stesso, documentazione dell’installazione




Placentare 1993 stracci in sospensione nell’acqua, stampe fotografiche, copie uniche, documentazione dell’installazione


Noli Me Tangere - Offendicula 2009 stampe fotografiche, copie uniche, documentazione della performance tenutasi il 13 Agosto in Corso Umberto a Pescara


Happy Birthday To Angelo! 2013 pacchi da regalo riempiti di cenere, legno, sedia, mattonelle


A Riparo dal Pensiero 2003 dittico fotografico



Le Parole non hanno Peso 2008 bilancia e fogli di carta con scritte






Il Corpo 2000


Abluzioni 2002 stampa fotografica, copia unica


Plusevalenza 1995

Ecce Homo 1995 stampa fotografica



Hollyvood Hollyvood 1980


Tutto al Discount - Tutto per Tutti 2014


Le Anime Morte 2013 stampa fotografica


Residui 2005


Sisifo, ancora Sisifo, sempre Sisifo 2008 stampa fotografica


Piombo 2003 stampa fotografica


Stonehenge 2012


Il Pranzo di Babette 2013


Il Pranzo di Babette 2013 particolari


Piccolo Mondo Antico 2012




Azione Disequilibrante - Prima della Caduta 2010


A Futura Memoria 2012


Instant City 1959


Detriti 1998 stampa fotografica, copia unica, documentazione della performance



Angelo Colangelo Dal 1952 al 1957 insegna e lavora negli USA all’Università di Washington dove ha modo di acquisire i principi fondamentali della didattica del Bauhaus tramite gli scritti di Moholy Nagy di Giorgi Keepes del “New Buhaus” a Chicago e l’esercizio dell’insegnamento artistico.In questo periodo conosce l’opera di De Kooning, Pollock, Toby, Calder, la musica di John Cage, di Varese, di Kurt Weill, la “Modern Dance” di Martha Graham.Ha esposto alla “Spokane’s Pacific Northwest Exibition” alla “San Francisco Art Association Annual” e con mostre personali alla “Henry Gallery” di Seattle e alla Univercity di Berkeley at Davis.Nel 1957 è chiamato ad insegnare alla Facoltà di Belle Arti dell’Univercity of Berkeley at Devis.Rientrato in Italia nel 1957 si stabilisce a Firenze e si associa alla “Galleria Numero” di Fiamma Vigo.Dal 1957 al 1960 espone alla Galleria Numero e a Palazzo Strozzi a Firenze, alla Mostra Internazionale d’arte d’Avanguardia a Livorno.Nel 1960 5 suoi disegni entrano a far parte del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze ed un altro suo disegno entra a far parte della Collezione dell’Istituto di Storia dell’Arte di Pisa.Dal 1960 al 1970 espone disegni e sculture al Premio Michetti a Francavilla al mare, alla Galleria Numero a Firenze, a Termoli e ad Acireale.nel 1970 partecipa ad “Arte e Critica” a Modena e a un intervento nell’ambiente urbano e nel paesaggio a Zafferana Etnea; inoltre fa personali di scultura alla Galleria 2000 di Bologna, alla Knoll International e alla Galleria Fiori di Firenze e alla G.A.P. di Roma.Nel 1972-3 espone al “Salon de Realite Nouvelles” a Parigi, alla Quadriennale di Roma, alla Biennale d’arte del metallo a Gubbio e alla Biennale d’Arte di Venezia.Nel 1979 partecipa agli “Incontri” di Altopascio, di dove veniamo, chi siamo, dove andiamo promossi da Lara Vina Masini.Mostra in collettiva al Museo archeologico di Split in Iugoslavia e alle Alternative Attuali all’Aquila nel 1987.1995-96 e nel 2003 personali di scultura a Pescara.Espone a “Godart”, Città Sant’Angelo, PE e a “Fuori Uso” nel 2006. “Al riparo dal pensiero”, Hub, Pe, 2007. Personale di scultura, galleria “Tra le Volte” Roma, 2013. Personale di scultura “ Tagliente” Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (PG) e Museo Laboratorio - ex manifattura tabacchi, Città Sant’Angelo (PE) Hanno scritto di lui: Mariano Apa, Giulio Carlo Argan, Augusta Baitello, Biasion, Arturo Bovi, Carlo F. Carli, Claudio Cerritelli, Annamaria Cirillo, Giovanna Coppa, Giorgio Cortenova, Enrico Crispolti, Anna Cutilli, Giulio De Cesare, Renzo Federici, Iolanda Ferrara, Luigi Paolo Finizio, Antonio Gasbarrini, A. Grazia, Guilbert, Luciano Marziano, Lara Vinca Masina, Carlo Melloni, Marina Moretti, Mario Novi, Sandra Orienti, Aldo Passoni, Antonio Picariello, Giuseppe Rosato, Aleardo Rubini, Antonello Rubini, Maria Cristina Ricciardi, Nerio Rosa, Giorgio Ruggeri, Benito Sablone, Mario Savini, Lucia Spadano, Leo Strozzieri, Lorenza Trucchi, Sabrina Vedovotto, Marcello Venturoli, Lea Vergine, Cesare Vivaldi, Antonio Zimarino,Sibilla Panarei, Ivan D’Alberto, Maurizio Coccia.




€ 15.00 ISBN 9788890781414


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.