Open Museum Open City

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Open Museum Open City a cura di / edited by Hou Hanru 2 5 32 38 41 57 81 145 169 209 225 273 329

Introduzione / Introduction di / by Giovanna Melandri Da Open Museum a Open City / From Open Museum to Open City di / by Hou Hanru Public Speech di / by Alessio Rosati Teatro come spazio di relazione / Theatre as a Relation Space di / by Claudia Reale A: l’origine del cosmo / A, the Origin of the Cosmos Natura, libertà o limite? / Nature, Freedom or Limit? La città, lì fuori, qui dentro / The City, Out There, Right Here Surfing the (Digital) Wave Musica: costruire lo spazio / Music: Making Space Il guerriero solitario / The Lonely Warrior Rivelazione / Revelation L’insurrezione che verrà / The Uprising to Come Come Together

Mousse Publishing


Da Open Museum a Open City / From Open Museum to Open City

Hou Hanru Direttore artistico Fondazione MAXXI / Artistic Director of Fondazione MAXXI

È opinione generalmente condivisa che un museo d’arte contemporanea debba essere un’istituzione aperta a tutte le forme contemporanee di creazione, oltre che a un pubblico più ampio possibile.

We all agree that a museum of contemporary art should be an institution wide open to every contemporary form of creation. It should also be wide open to the largest possible public.

In realtà, oggi ci troviamo curiosamente in contraddizione con questo concetto di apertura: istituzioni, committenti e media sollecitano spesso i musei a diventare sempre più luoghi di spettacolo e di intrattenimento. La cultura museale è in grande fermento in tutto il mondo. Ovunque si costruiscono nuovi musei o si ristrutturano e si ampliano quelli già esistenti. Al contempo, però, si registra anche una generale contrazione dei fondi pubblici. La privatizzazione dei servizi come l’educazione, la salute e la cultura è attualmente al centro di molte politiche governative. I musei sono sempre più spinti a generare direttamente o indirettamente entrate economiche. Certo, in quanto rappresentazioni fondamentali dell’importanza dell’arte e della cultura come risorsa sociale ed economica, o “capitale culturale”, i musei hanno sempre avuto uno stretto legame con l’economia in genere. Ma la sfida che si trovano ad affrontare oggi è particolarmente seria: in nome dell’“autosufficienza economica”, la loro programmazione e le funzioni sono influenzate e addirittura determinate dalle regole della finanza, come mai era accaduto prima. I loro obiettivi originari – generare, distribuire, trasmettere conoscenza e i valori culturali della produzione artistica, difendere e promuovere la libertà del pensiero indipendente, la riflessione critica, la tutela delle memorie intellettuali e culturali, ecc. – stanno perdendo terreno a favore dell’intrattenimento e del consumo meramente commerciale. Le produzioni artistiche e culturali sono destinate, in ultima analisi, a diventare semplici merci. In

But ironically, nowadays we find ourselves in contradiction of such openness: museums are frequently urged by the authorities, by patrons and by the media to become more spectacular and entertaining. Museum culture is booming globally. New museums are being constructed around the world while existing ones are being renovated and expanded. However, there is also a general cutback in public funding. The privatization of public services such as education, health and culture is now at the center of most governmental agendas. Museums are increasingly encouraged to become direct or indirect generators of economic revenue. Of course, museums have always been closely linked to the economy in general. They are seminal representations of the importance of art and culture as a social and economic resource, or “cultural capital”. Yet museums are now facing a particularly serious challenge: their programming and operations are influenced and even determined by the rule of finance as never before, in the name of “economic autonomy”. Their original missions – generating, distributing and transmitting knowledge and the cultural values of artistic production, defending and promoting the liberty of independent thinking, freedom of expression, critical reflection, preserving intellectual and cultural memories, etc. – are losing ground to entertainment and commercial-style consumption. Artistic and cultural products are ultimately destined to become ordinary commodities. In this context, mu-

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Justin Bennett, Untitled, 2014. Inchiostro su carta / Ink on paper, 21 x 26,5 cm

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A: l’origine del cosmo / A, the Origin of the Cosmos

© Francesco Bolis

A: l’origine del cosmo / A, the Origin of the Cosmos


A: l’origine del cosmo / A, the Origin of the Cosmos

Monia Trombetta

Il “LA” è la prima nota di una delle scale minori, la base nel sistema modale; la nota (il “LA” del diapason) che serve a dare l’intonazione e ad accordare. In medicina, il diapason serve a testare la trasmissione di vibrazioni nelle analisi della funzionalità uditiva. Piccoli diapason hanno generato la frequenza standard per il funzionamento di alcuni modelli di orologi e per la messa a punto di sistemi di sicurezza nella circolazione ferroviaria. Al di fuori dell’ambito musicale, questo è, inoltre, il suono delle applicazioni base in televisione, telefonia e in tutti i linguaggi di comunicazione analogica. Potremmo quindi affermare che il “LA” è il suono dell’universo. “LA”, in lingua inglese A (2014), è il titolo del lavoro di Ryoji Ikeda presente in “Open Museum Open City” – il lavoro che apre il progetto, che dà il nome alla sezione dedicata all’origine del cosmo e all’universale, temi affidati all’artista giapponese, che li analizza attraverso la musica, linguaggio universale per antonomasia. A [4ch version], installazione sonora che utilizza le forme pure di suono, è stata realizzata da Ikeda nel 2000 e riprogettata per lo spazio che la ospita in questa occasione. Con questo lavoro, l’artista torna alle sue radici da compositore e crea un’opera che analizza la musica come fenomeno fisico, realizzando un ambiente totalizzante in cui il visitatore si trova immerso in onde sinusoidali, che per la diversa frequenza lo avvolgono in un sistema di vibrazioni. L’esperienza che il visitatore compie all’interno dell’installazione è un’esperienza molto personale, che è inscindibile dall’esservi fisicamente immerso. Con un’installazione apparentemente semplice, l’artista riempie lo spazio con quattro diverse frequenze della nota, emesse singolarmente da ciascuno degli speaker posti nei quattro angoli della sala. La sottile variazione di frequenza, riscontrata da Ikeda nella sua ricerca, registrata e riprodotta nella sua in-

“A” is the first note of one of the natural minor scale, on which the Aeolian mode is based; it is the note (the “A” of the tuning fork) used as a tuning reference. In medicine, a tuning fork is used to measure the transmission of vibrations when testing a person’s hearing. Tiny tuning forks have provided a standard frequency for the timekeeping mechanisms of some clocks and watches, and for developing railroad safety systems. Outside of the musical sphere, this tone is also used for basic applications in television, telephony and all analogue languages of communication. One could therefore say that “A” is the sound of the universe. A (2014) is the title of a work by Ryoji Ikeda presented in “Open Museum Open City” – the work which opens the exhibition, and lends its name to the section exploring the origin of the cosmos and the universe, a theme which the Japanese artist analyzes through music, the universal language par excellence. A [4ch version], an installation that employs the purest forms of sound, was created by Ikeda in 2000 and redesigned for the space that houses it here. In this piece, the artist returns to his roots as a composer and examines music as a physical phenomenon that creates an enveloping environment, surrounding visitors with sine waves whose differing frequencies enmesh them in a system of vibrations. The visitor’s experience inside the installation is a very personal one, inseparable from his or her physical immersion in it. In this seemingly simple installation, the artist fills the space with four different frequencies of the note, each emitted by one of the speakers in the four corners of the room. The subtle variation in frequency that Ikeda arrived at through his research, recorded and reproduced in his installation by the speakers, turns the space that holds it

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stallazione da ciascun ripetitore, trasforma lo spazio che la ospita in una cassa armonica e crea un ambiente sensibile. Con questo lavoro, forse il più radicale di quelli da lui realizzati, Ikeda indaga ossessivamente il cosmo digitale e la sua origine, e cerca radici e paralleli con l’universo analogico. Si tratta di un dispositivo radicale che ci permette di viaggiare attraverso la storia e di riportare l’attenzione all’origine della musica. Attraverso l’esplorazione delle variazioni del “LA” nel tempo e nello spazio, l’artista tenta di dimostrare l’origine del tutto. Quasi paragonabile a una teoria filosofica e a un teorema scientifico o matematico, infatti, questo suo studio finisce per incarnare la ricerca purista della tensione tra la verità assoluta e la variazione inevitabile delle azioni umane, e l’esperienza da lui ricreata risveglia la consapevolezza dell’influenza del suono sul nostro spazio vitale. La musica all’interno della sala del MAXXI attiva una sensazione intima, che ci fa sentire un senso di condivisione nuovamente rinforzato, di appartenenza alla comunità. A è, quindi, l’essenza del progetto “Open Museum Open City”, l’incarnazione minimale, ma potente, della sua ambizione: lanciare il dibattito sulle interazioni tra il mondo ideale e quello dell’esistenza umana, tra la struttura assoluta del costruito e il processo dinamico dell’abitare, tra naturale e sociale. A è la fonte della generazione della vita, evolutiva e performativa; è un universo coinvolgente, in cui il pubblico naviga e partecipa, e dal quale sembra quasi non essere disposto a uscire. Quello della Sala Claudia Gian Ferrari diventa un microcosmo in cui l’universale si manifesta in tutte le sue vibrazioni e modificazioni, sinonimo di museo totale, multidisciplinare, capace di aprire la mente a nuove esperienze e stimolare la riflessione e la condivisione.

into a sound box, creating a responsive environment. With this work, perhaps his boldest to date, Ikeda obsessively investigates the digital universe and its origins, seeking roots and parallels in the analogue one. This is a radical device that allows us to travel through history and turn our focus to the origins of music. With his exploration of variations in A through space and time, the artist tries to demonstrate the origin of everything. Resembling a philosophical thesis or a scientific or mathematical theorem, this study comes to embody the quest for a pure balance between absolute truth and the inevitable variation of human actions, and the experience he recreates rekindles our awareness of how sound influences our personal space. The music in this room creates a sense of intimacy that makes us feel newly bolstered by a sense of shared experience, of belonging to a community. A therefore represents the spirit of the “Open Museum Open City” project, a simple yet powerful embodiment of its ambition: to spark a debate on the interaction between the world of ideas and the world of human existence, between the absolute structure of the built environment and the dynamic process of inhabiting it; between the natural and the social, A is the source from which life springs; between the evolutionary and the performative, it is an engaging universe that the public navigates and participates in, and which it seems almost unwilling to leave. The Claudia Gian Ferrari Room becomes a microcosm in which the universal is manifested in all its reverberations and modifications, as the essence of a truly multidisciplinary museum that opens up the mind to new experiences, fostering reflection and communion.

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Natura,

limite? / Nature,

Limit?

Š Francesco Bolis

Natura, libertĂ o limite? / Nature, Freedom or Limit?


Natura, libertà o limite? Nature, Freedom or Limit?

Anne Palopoli

Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità degli uomini o all’infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.1

Did you think by any chance that the world was made for you alone? Now let me tell you that in my works, laws, and operations, except for very few of them, my purpose was not, and is not, the happiness or unhappiness of men. When I harm you in any way and with whatever means, I don’t notice it, except very rarely; just as I ordinarily don’t know whether I please or help you; nor have I done those things, nor do I do these actions, as you believe, to please or to help you. Finally, even if I happened to wipe out your entire species, I wouldn’t notice it.1

Bisognerebbe capire in che maniera l’uomo sia parte della natura: perché, solitamente, non se ne sente parte, se non per considerarsene all’apice. E dunque considera la libertà, o il limite, soltanto in relazione a se stesso. Si illude di poter considerare la sua libertà come un limite per la natura, o la libertà della natura come un limite per sé. Ciò che per l’uomo è libertà, per la natura è autorevolezza. Ciò che per l’uomo è limite, per la natura è equilibrio. Così, nel volersi considerare in cima alla catena evolutiva, vuole considerarsi fuori dall’equilibrio e detentore in proprio di quell’autorevolezza. Non sopporta, nella sua presunzione, di dover sottostare all’autorevolezza della natura e all’equilibrio delle sue parti. E urla la sua inutile domanda, si aggrappa alla sua filosofia o alle sue scienze, per cercare di stabilire se, per sé, sia maggiore il limite o la libertà, nel relazionarsi al resto dell’universo. Ma il resto dell’universo non lo ascolta, perché ne è una parte limitatissima che si differenzia dalle altre solo perché più prepotente e presuntuosa. La sola possibilità che l’uomo riesce a cogliere per ritrovarsi ad essere parte della natura, è quando il tentativo più profondo di espressione del sé lo spinge ad affidarsi a ciò che non gli appartiene, cioè il linguaggio, in qualunque forma, verbale o visiva, gli permetta di

We need to understand in what way man is part of nature: because in general, he does not feel part of it except to think of himself as its zenith. And therefore he thinks of freedom or limitation only in relation to himself. He fools himself into thinking of his freedom as a limitation for nature, or the freedom of nature as a limitation for himself. What to man is freedom, to nature is authority. What to man is a limitation, to nature is balance. So thinking of himself as the top link in the evolutionary chain means thinking of himself as outside of that balance, and as holding his own authority. In his arrogance, he can’t stand the idea of having to bow to the authority of nature and to the balance of its parts. And so he screams his pointless questions, he clings to his philosophy or science, trying to determine which in itself is greater, the limitation or the freedom, in his interaction with the rest of the universe. But the rest of the universe does not listen, because he is a very limited part that differs from the rest only in his arrogance. The only chance man has to rediscover himself as a part of nature is when his deepest attempt at self-expression leads him to rely on what is not his own, that is, whatever

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esprimersi. L’arte, la poesia, la letteratura, la musica. Riuscire ad affidare le proprie parole e le proprie immagini a un muro, al di là del quale non sappiamo chi ci sia, né se saprà ascoltarci, o capirci.

1) Giacomo Leopardi, “Dialogo della Natura e di un islandese”, in Operette Morali, Milano 1827, p. 111

verbal or visual language allows him to express himself. Art, poetry, literature, music. Managing to entrust his words and images to a wall beyond which there is no telling who is there, nor if they can hear us, or understand us.

1) Giacomo Leopardi, “Dialogue between Nature and an Icelander”, in Operette Morali, tr. Giovanni Cecchetti, Berkeley: University of California Press, 1982, p. 195

Natura, libertà o limite? / Nature, Freedom or Limit?

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La città, lì fuori, qui dentro / The City, Out There, Right Here

© Armando Corsi

La città, lì fuori, qui dentro / The City, Out There, Right Here


La città, lì fuori, qui dentro / The City, Out There, Right Here

Francesca Fabiani

Cresce, vive, si modifica e si ammala. La città – come ogni altro organismo – si sviluppa tra brusche accelerazioni e lunghe staticità, momenti floridi e fasi di decadenza, episodi spontanei ed esercizi di pianificazione. La naturale tendenza all’adattabilità e, dunque, alla trasformazione, così come la capacità di ospitare contraddizioni e continuità, disomogeneità sociali e condivise identità, influenza e determina la forma della città. Lungo il suo profilo fisico, le tracce della storia collettiva e di quella individuale rimangono incise. Immaginata, vissuta, progettata, abusata: la sua fisionomia è in continuo divenire. Ma la città è, spesso, anche la “scena” dove la storia prende forma: un organismo che si espone e ingloba le diverse tensioni geopolitiche, culturali, psicologiche di chi quel corpo lo anima attraverso il gioco della quotidianità o quello della politica. Con la sua capacità di assorbire la voce e l’azione delle masse e di accogliere lo sfaccettato insieme di persone con background diversissimi – i locali e gli immigrati, i poveri e i ricchi, i deboli e i potenti – la città rappresenta la più intensa incarnazione della globalizzazione del pianeta. Questa entità complessa e indomabile è, da sempre, oggetto/soggetto del lavoro di artisti, fotografi, architetti, scrittori, poeti, musicisti, attori. Attraverso la loro interpretazione, il progetto “Open Museum Open City” restituisce uno sguardo sulla città che è ora più oggettivamente distante, a delinearne le trasformazioni architettoniche e urbanistiche, ora profondamente implicato, invischiato nelle dinamiche sociali. Obiettivo è, dunque, portare la vita della città – la sua memoria storica, le sue criticità, la sua realtà attuale, i desideri delle persone che la abitano e le aspettative delle grandi masse – nel cuore del museo, attraverso l’intervento artistico. In questa osmosi tra la città e il museo è racchiuso il senso di una mostra come

It grows, lives, changes, and falls ill. The city – like any other organism – alternates between rapid accelerations and long periods of stillness, moments of flourishing and phases of decline, natural episodes or exercises in planning. The natural tendency to adaptability and hence transformation, like the capacity to embrace contradictions and continuity, social disparities, and shared identities, influences and determines the shape of the city. Its physical surface is engraved with the traces of collective and individual history. Imagined, experienced, envisioned, abused: its features are in constant evolution. But the city is often also the “scene” where history takes shape: an organism that takes risks upon itself and swallows up the various geopolitical, cultural, and psychological tensions of those who animate its body with the game of everyday life or the game of politics. With its ability to absorb the voices and actions of the multitude, the multifaceted array of people from very different backgrounds – locals and newcomers, the poor and the rich, the weak and the powerful – the city is the most intense incarnation of the globalized world. This complex, indomitable entity has always been the object and subject of the work of artists, photographers, architects, writers, poets, musicians, and actors. Through their interpretations, the “Open Museum Open City” project presents a vision that is sometimes more objectively distant, to delineate architectural and urbanistic transformations, sometimes more profoundly implicit, entangled in social dynamics. The goal is to bring the life of the city – its memory, its problems, its present, the desires of people living there and the expectations of the masses – into the heart of the museum, through artistic action. This osmosis between city and museum

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“Open Museum Open City”, che interroga lo spazio istituzionale sul suo ruolo sociale e pubblico. Il progetto prevede interventi artistici – sia opere site-specific che azioni performative – pensati come momento di collegamento tra l’esterno e l’interno, il museo e la Roma di oggi. Il lavoro di Bill Fontana mira a rivelare l’apparato “circolatorio” che anima il corpo della città – il sistema degli acquedotti di Roma – trasportando nel cuore del museo il suo perpetuo fluire. L’installazione di Justin Bennet – un cubo sonoro – crea una situazione di forte intensità, in cui lo spettatore è portato a sperimentare l’esperienza dinamica della vita nei luoghi pubblici. Haroon Mirza introduce un sistema di amplificazione sonora che annulla il limite tra le gallerie del MAXXI e la strada, destrutturando così i confini dello spazio museale. Numerosi, inoltre, gli eventi in calendario: performance, proiezioni, public speech… La città è nel museo. E il museo è nella città. Le gallerie del MAXXI evocano, attraverso l’immaterialità e la sovrapposizione di suoni, eventi e immagini “effimere”, la complessità della vita cittadina, riattivando il ruolo pubblico del museo come luogo della produzione, della rappresentazione e del dibattito sull’espressione artistica e sulla creatività contemporanea come bene comune per i cittadini. In altre parole, in un luogo come Roma, la questione centrale è ricreare un nuovo Foro Romano, uno dei prototipi della democrazia che, proprio dalle vuote gallerie del museo progettate da Zaha Hadid – fluide e inafferrabili come la città – vuole tornare a palpitare.

sums up the meaning of an exhibition like “Open Museum Open City”, which examines the social and public role of the institutional space. The project includes artistic projects – both site-specific works and performances – conceived as a link between outside and inside, between the museum and the city of today. The work by Bill Fontana tries to reveal the “circulatory system” that flows through Rome – its aqueducts – by bringing its endless current into the heart of the museum. Justin Bennett’s soundcube installation creates an intense setting for a dynamic experience of life in public spaces. Haroon Mirza introduces a system of amplification that does away with the division between galleries and street, breaking down the walls of the museum space. There is also a full calendar of events: performances, projections, public speeches… The city is in the museum. And the museum is in the city. Through intangible, overlapping sounds, events, and “ephemeral” images, the galleries of MAXXI evoke the complexity of city life and reactivate the public role of the museum as a place of production, representation, and debate on artistic expression and contemporary creativity as a shared public resource. In other words, in a place like Rome, the key question is how to recreate a new Roman Forum, one of the prototypes of democracy, which wants to flow out of these empty galleries designed by Zaha Hadid – as liquid and elusive as the city itself – and pulse with life once more.

La città, lì fuori, qui dentro / The City, Out There, Right Here

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Surfing the (Digital) Wave

Š Francesco Bolis

Surfing the (Digital) Wave


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Elena Motisi

Il museo è tradizionalmente identificato come uno spazio architettonico definito, un luogo materico di “saperi” per lo più visibili. È qui che, in occasione di “Open Museum Open City”, viene presentata una forma di comunicazione impalpabile ma estremamente potente: la radio. La web radio RAM – radioartemobile occupa parte del foyer del museo: uno spazio fisico e artistico, ma al tempo stesso dinamico e senza confini. Per “Open Museum Open City”, RAM – radioartemobile ha scelto non solo di realizzare un palinsesto dedicato, ma di offrire ai suoi ascoltatori la possibilità di avere accesso al backstage della mostra, di consultare un archivio di materiali relativi alla storia recente dell’arte e, soprattutto, di interagire con la programmazione con contributi live. Pur rivolgendosi a una fascia di pubblico non generalista, il progetto si colloca quindi su una piattaforma aperta a esperimenti “upto-date” in dialogo con la comunità: è lo specchio di uno strumento socio-culturale, la radio, ancora in progress.

The museum is traditionally identified with a clearly defined architectural space, a material place of “knowledge” that is primarily visible. And in this setting, for “Open Museum Open City” an intangible, yet extremely powerful form of communication is being presented: the radio. The web radio station RAM – radioartemobile occupies part of the museum lobby: a physical and artistic space that is also dynamic and unbounded. For “Open Museum Open City”, RAM – radioartemobile has chosen not only to create a special calendar of programming, but to offer its listeners access to the backstage of the show, to consult an archive of materials related to the recent history of art, and above all, to interact with the programs through live input. Though it targets a more specific audience, the project is part of a platform open to “up to date” experiments in open dialogue with the community.

In questa sistematizzazione di conoscenze, teorie e tecniche, la radio ha invaso anche il campo dell’arte invitandola a una partecipazione sempre più “democratica”, in cui il linguaggio elitario dell’arte e quello quotidiano delle persone si incontrano in un luogo virtuale riservato alle espressioni artistiche. Con l’introduzione dei nuovi dispositivi digitali e tecnologici, il mondo delle arti è mutato ed è stato ridefinito. Il suono, identificato dallo strumento immateriale della sound art, evoca immagini e trasforma spazi museali dando voce alle possibilità tecnologiche di espressione e rielaborazione del suono. Occasione questa per interrogarsi sull’influenza dell’arte sulla vita del singolo e sulla funzione pubblica e contemporanea della radio e del museo che la accoglie in una esperienza immersiva in cui la radio digitale è metafora del “net-working”. Nonostante sia basata su una trasmissione di natura immateriale, la radio comuni-

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In this system of knowledge, theories and techniques, the radio has also invaded the artistic field, urging it to open up to an increasingly democratic kind of participation in which the elite language of art and the ordinary language of daily life come together in a virtual place dedicated to artistic expression. With the introduction of new digital and technological devices, the world of the arts has been changed and redefined. Sound, identified by the intangible tool of sound art conjures up images and transforms the spaces of the museum, expressing the technological possibilities of creating and working with sound. This is an opportunity to examine the influence of art on the lives of individuals, and the public, contemporary function of the radio and of the museum that host it in this immersive experience, where digital radio becomes a metaphor for “net-working”. Though its broadcasts are of an intangible nature, radio communicates on an

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ca intimamente con l’ascoltatore creando una linea di informazione diretta. Fin dagli anni Settanta, ancor più di altri media, la radio diventa infatti strumento politico, voce autonoma, dichiarazione, luogo. Per mezzo del broadcasting, che consente di entrare nelle vite degli ascoltatori senza un apparente impegno, le “radio libere” rappresentano un punto fermo in questo percorso di denuncia. In macchina, per strada, nel museo, decidiamo se ascoltare un’emittente di news, musica o seguire un network di approfondimento o cultura. Scegliamo o meno di essere in rete con il mondo. Superando il carattere unidirezionale del broadcasting, la comunicazione digitale propone oggi, per mezzo di nuove forme di interazione e condivisione di dati, un nuovo modo di definire uno spazio di dialogo. Scegliamo quindi non solo di ascoltare ma anche di partecipare. Nell’era di Internet, l’ibridazione tra i media è sempre più frequente e consente di perseguire una comunicazione “one-to one” arricchita di implementazioni visive che ne sottolineano la funzione partecipativa. Le tendenze contemporanee aprono una prospettiva nuova rappresentata da mezzi ibridi e mutevoli in cui possono essere ridefiniti ruoli e confini anche di quelle istituzioni artistiche che, comunicando sul digital wave navigano in una rete globale, in un luogo di creazione e di partecipazione di diversi attori sociali.

Surfing the (Digital) Wave

intimate level with listeners, creating a direct line of information. Since the Seventies, more than any other media, radio has become a political tool, an independent voice, a statement, a place. Entering the lives of its listeners in a seemingly effortless way, Italy’s independent radio stations offered a touchstone in a time of protest. In the car, on the street, in the museum, we decide whether to listen to a news or music show, or follow a special report or cultural program. We decide whether or not to tune with the rest of the world. Moving past the one-way nature of broadcasting, through new forms of interaction and information-sharing, digital communication now offers a new way to carve out a space for dialogue. We thus choose not only to listen, but also to participate. In the Internet era, crossovers between media are increasingly frequent, making it possible to pursue a one-to-one form of communication enhanced by visual elements that underscore its participatory function. These contemporary trends open up a new perspective of hybrid, shifting tools that can also help redefine the roles and boundaries of art institutions, which communicate on digital waves by surfing a global network, in a place of creativity that calls on the participation of different social subjects.

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Musica: costruire lo spazio / Music: Making Space

Š Francesco Bolis

Musica: costruire lo spazio / Music: Making Space


Musica: costruire lo spazio / Music: Making Space

Elena Motisi

L’architettura avvolgente della Galleria 4 del museo accoglie il visitatore con una moltitudine di suoni e colori apparentemente casuali. Quello di Philippe Rahm è un percorso quasi anamorfico, in cui una partitura è riconoscibile, nella prima parte della galleria, solo attraverso un preciso e irraggiungibile percorso. Ogni itinerario è differente e ogni esperienza individuale: la percezione del singolo si traduce sempre in una nuova figurazione di suoni. Proseguendo nella galleria in uno spazio di compressione, la stabilizzazione del ritmo restituisce densità al suono, che inizia a rivelarsi nella sua essenza scomponibile ed elastica. Da qui si accede al luogo della “rivelazione”, in cui la musica si riappropria di una presenza che sembra fisica e in cui la luce bianca rasserena e sconvolge al tempo stesso. Si scopre così l’inizio di una partitura di Claude Debussy.

The enveloping architecture of the museum’s fourth Gallery greets visitors with a multitude of seemingly random sounds and colors. Philippe Rahm’s route is an almost anamorphic one in which a score can be detected, in the first part of the room, only by following a specific, impossible route. Each path is different and each experience is personal: our individual perception of it always translates into a new figuration of sounds. Continuing in the gallery into a space of compression, the stabilization of the rhythm restores density to the sound, which begins to reveal its modular, elastic essence. From here, we enter the place of the “revelation”, where the music reclaims a seemingly physical presence, and where a white light soothes and unsettles us at the same time. At this point, we discover it is the beginning of a piece by Claude Debussy.

Sublimated Music (2014) esplora il legame tra composizione musicale e dimensione architettonica, dando al suono il potere di ridisegnare spazi costruiti, ricercando una sintesi tra la dissociazione e la ricomposizione di singoli elementi. Come spesso nel suo lavoro, Rahm passa dal visibile all’invisibile, confrontandosi con l’irriconoscibilità di un elemento “vaporizzato” che cerca una restituzione fisica nell’immaterialità. Il progetto è esempio di un metodo strettamente legato al pensiero e alle ricerche scientifiche del diciannovesimo secolo, con evidenti riferimenti alla pittura impressionista, alla letteratura di Mallarmé o alle sperimentazioni musicali spettrali di Gérard Grisey. Lo studio Philippe Rahm Architectes investiga una realtà che possa definire le relazioni tra le componenti strutturali nella percezione temporale del flusso musicale: studia la dissociazione dello spazio in particelle elementari, lunghezze d’onda, intensità luminosa, frequenze sonore, riferendosi all’interazione

Sublimated Music (2014) explores the link between musical composition and architecture, giving sound the power to redesign built environments, and striving for a synthesis between the dissociation and recomposition of individual elements. As is often the case in his work, Rahm moves from the visible to the invisible, dealing with the unrecognizable nature of a “vaporized” element that tries to recover its concreteness in immateriality. The project is one example of a method closely linked to nineteenth-century thought and science, with clear references to Impressionist painting, the writing of Mallarmé, and the spectral music experiments by Gérard Grisey. Philippe Rahm Architectes explores a world capable of defining relationships between structural components in the temporal perception of a flow of music: the studio investigates the dissociation of space into elementary particles, wavelengths, light intensity, and sound frequencies, looking at the in-

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tra lo spettro del suono e la sua forma nel tempo. Non è solo un’esperienza estetica, ma un modo per ripensare l’architettura per mezzo di un metodo in cui lo spazio si apre verso l’infinitamente piccolo e l’invisibile, in un percorso di decomposizione del “tutto”, ricostruito poi secondo gerarchie e priorità nuove. La galleria è solo apparentemente vuota. Il progetto diviene metafora di una visione del mondo contemporaneo, nella quale un architetto può scegliere di non lavorare con un unicum statico ma con elementi dotati di autonomia ed elaborati attraverso una oggettività quasi chimica. Il paesaggio sonoro assume una dimensione in cui le singole componenti fonetiche restituiscono materialità a qualcosa che spesso viene interpretato come elemento etereo e non divisibile. Percorrendo lo spazio musicale si può raggiungere una spazialità tridimensionale in cui le proporzioni fisiche del suono costruiscono uno spazio reale. La ricerca di una restituzione fisica dell’immaterialità ci rimanda allo studio di Iannis Xenakis, demiurgo greco che risponde in maniera non convenzionale alla crisi del linguaggio musicale e architettonico del ventesimo secolo. Il suo linguaggio architettonico, consolidato nella collaborazione con Le Corbusier, stravolge l’impostazione canonica della composizione, superando il carattere fondamentalmente statico dell’architettura. Parallelamente, affronta la struttura del suono confrontandosi con generi musicali complessi e riferendosi a codici provenienti da diverse culture. Risponde così all’esigenza di modernità con progetti che riuniscono le arti in un passaggio apparentemente naturale dalla partitura all’architettura, e in cui le funzioni matematiche computerizzate diventano elemento strutturale. Le componenti dello spazio fisico dell’architettura, quali struttura, ritmo, armonia, proporzione, diventano gli strumenti del linguaggio temporale della musica, creando uno spazio progettato da un “architetto del suono”. Un uomo che canta, una perso-

teraction between the spectrum of sound and its shape over time. This is not just an aesthetic experience, therefore, but a new way of thinking about architecture, by a method in which space opens up to embrace what is infinitely small and invisible, breaking down the “whole” in order to reconstruct it according to new hierarchies and priorities. The gallery only seems to be empty. The project is a metaphor for a vision of the contemporary world in which an architect can choose not to work with a static unicum but with elements that have their own autonomy, manipulated through an almost chemical objectivity. The soundscape takes on a dimension in which the individual phonetic components restore materiality to something that is often seen as an ethereal and non-divisible element. Traveling through musical space, one can arrive at a three-dimensional spatiality in which the physical proportions of sound construct a real space. The search for a physical portrayal of the intangible points us to the case of Iannis Xenakis, a Greek demiurge who found an unconventional response to the twentieth-century crisis of musical and architectural language. His architectural language, consolidated through his collaboration with Le Corbusier, upsets the canonical approach to composition, overcoming the fundamentally static quality of architecture. Parallel to this, he deals with the structure of sound, engaging with complex musical genres and drawing on patterns from other cultures. He thus responds to the needs for modernity with projects that combine the arts in seemingly natural landscape from score to architecture, in which computerized mathematical functions become a structural element. Components of the physical space of architecture such as structure, rhythm, harmony, and proportion become tools in the temporal language of music, cre-

Musica: costruire lo spazio / Music: Making Space

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na che esprime la sua opinione in una piazza, uno strumento suonato in un giardino: sono tutte situazioni in cui è il suono, senza supporti, confini o limiti strutturali a essere generatore di spazio. È qui che l’arte, l’architettura, la musica e le azioni si incontrano per produrre modi di vivere.

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ating a space designed by an “architect of sound”. A man singing, a person expressing his opinion in a public square, an instrument being played in a garden. These are all situations in which it is the sound, without supporting elements, boundaries, or structural limitations, that generates space. It is here that art, architecture, music and actions come together to produce ways of living.

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Il guerriero solitario / The Lonely Warrior

Š Francesco Bolis

Il guerriero solitario / The Lonely Warrior


Il guerriero solitario / The Lonely Warrior

Luigia Lonardelli

In solitudine, appartata nel corridoio vetrato del MAXXI, la presenza invisibile di Jean-Baptiste Ganne sfoglia silenziosa le pagine del Don Chisciotte, l’ultimo resistente dell’era moderna. Il cavaliere errante, folle e visionario, che ha attraversato nel corso dei secoli l’immaginazione di molti, riappare attraverso la visualizzazione a luce rossa del codice Morse. Una vita, la sua, che è la metafora di ogni esistenza: la lacerante ricerca di un fine a cui poter sacrificare tutto. La figura del combattente solitario ha affascinato da sempre gli artisti, non sono quelli visivi, proprio per la potenza metaforica che porta con sé; al limite dell’ossessione paranoica, il suo delirio è paradossalmente costruttivo, proponendosi come uno stato di allarme permanente. Il museo, in questo modo, non è il trasmettitore di un messaggio chiaro, che non può essere frainteso, ma la visualizzazione di un codice che per essere compreso deve essere decodificato, e con fatica. Le persone che lo attraversano, o che lo notano improvvisamente dall’esterno del museo, non potranno probabilmente comprendere a quale punto della storia siamo arrivati o forse anche semplicemente di cosa di tratti. Capiremo, però, che qualcuno ci sta mandando dei messaggi, ci sentiremo chiamati in causa sviluppando un sentimento di simpatia, come quando si legge di imprese folli e disperate, per le quali non si può fare a meno di avere un sentimento partigiano. Allo stesso tempo, il codice cifrato che usa il guerriero solitario è rosso come il sangue, indica che la strada è pericolosa, seppur praticabile. C’è certamente una componente onirica in tutte queste battaglie che, tuttavia, non toglie nulla al loro potenziale di cambiamento della realtà; piuttosto le rende poeticamente inespugnabili e lontane dalla mediocrità del sistema di potere. Il loro carattere profondamente intimo e solipsistico è necessario proprio a garantire l’incorruttibilità del progetto: non si possono

Alone, off to one side in the glass-walled corridor of MAXXI, the invisible presence of Jean-Baptiste Ganne silently pages through the story of Don Quixote, the last holdout against the modern era. The mad, visionary knight errant, who over the centuries has wandered through the imaginations of so many, reappears in the form of a red light flashing out Morse code. His life is a metaphor for every existence: the harrowing search for a purpose to which one can sacrifice everything. The figure of the lonely warrior has always fascinated artists (not just the visual kind) due to its inherent metaphorical power; bordering on paranoid obsession, his lunacy is paradoxically constructive, manifesting itself as a state of perpetual alarm. The message transmitted by the museum is thus not a clear one, impossible to misunderstand, but the visualization of a code which must be deciphered, with great effort, in order to be grasped. The people who walk through, or who suddenly notice it from outside the museum, probably cannot discern what point in the story we are at or even what is going on. We will understand, however, that someone is sending us messages, we will feel personally implicated, somehow sympathetic, like when we read about a crazy, desperate undertaking we can’t help rooting for. At the same time, the cypher used by the lonely warrior is red as blood, showing that the path is dangerous, though practicable. There is unquestionably a dreamlike element in all these battles, though this in no way diminishes their potential to change reality; rather, it renders them poetically invincible, immune to the mediocrity of the power structure. Their deeply personal, solipsistic character is necessary to guarantee the incorruptibility of the undertaking: a prophet pointing out the way cannot have companions, and

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avere compagni quando si agisce da profeti indicando una strada e, se qualche scudiero riesce a rimanere al loro fianco, non potrà mai capire fino in fondo se si tratti di genio o pazzia. Nascosto nelle linee del museo, l’hidalgo sembra suggerirci che esiste una possibilità di resistenza, che possiamo tentare imprese disperate a patto di riuscire ad accettare che spesso, dietro ai mulini a vento, si celano anche oggi nemici nascosti. In questo memento offerto alla città si cela la speranza che, da qualche parte, si trovi ancora, anche se nascosto e sommesso, “uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia”.

if some squire manages to stick by his side, he will never really fathom whether his leader is a genius or a madman. Hidden between the lines of the museum, the hildalgo seems to suggest that there is some possibility of resistance, that we can attempt desperate adventures so long as we accept that even today, our windmills may often hide enemies lurking in wait. This reminder offered to the city contains the hope that somewhere, though quietly concealed, we may still find “one of those gentlemen who usually keep a lance upon a rack, an old target, a lean horse, and a greyhound for coursing”.

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Rivelazione / Revelation

Š Hufton and Crow

Rivelazione / Revelation


Rivelazione / Revelation

Luigia Lonardelli

Con Oracle 2.0 – Rome, Justin Bennett sembra rispondere al nostro desiderio più recondito: conoscere il futuro. Il potere rivelatore delle parole – la forma più complessa concepita dall’uomo per comunicare – si manifesta nel fascio di luce della galleria superiore del MAXXI. Spesso il messaggio dell’oracolo è incomprensibile e volutamente ambiguo; tuttavia, non possiamo trattenerci dall’interpretarlo. Passato quasi indenne dalle istanze razionali illuministiche, il desiderio di affidarsi a voci “altre” è riaffiorato specialmente negli ultimi tempi, a ricordarci che siamo attraversati da paure, ambizioni e istinti autobiografici spesso irrazionali. È questo istinto non controllabile che spinge a cercare un significato anche in parole volutamente generiche, applicabili a ogni situazione, ma che per noi, in quel preciso momento, acquistano un significato specifico poiché vengono inserite all’interno di un’auto-narrazione biografica che è nota solo a noi stessi e spesso solo al nostro subconscio. Nella casualità di queste frasi si riflettono le stesse coincidenze che costellano le vite e i processi storici a cui possiamo dare un senso solo a posteriori, con uno sguardo inevitabilmente parziale dato dalla conoscenza dell’effetto e dalla presumibilità della causa. La lunga tradizione dell’oracolo presente in molte culture fa slittare il ragionamento su un piano differente, quello della divinazione, del vedere attraverso le cose mentre sono ancora nel loro farsi, cogliendo in segnali minimi quegli indizi da cui è possibile sviluppare una narrazione, la cui forza “consiste nella sua capacità di dare senso”, poiché “non è la cronaca dei fatti, ma la loro narrazione che produce senso e così rende vivibile il mondo”1. Senza le storie sarebbe difficile riuscire a sopportare l’illogicità dei singoli eventi. Lo storytelling, nelle sue forme primigenie, e non nella deriva che lo ha reso oggi strumento di marketing, ha svolto, in molte società, una fondamentale funzione curativa: accompagnando la morte, spiegando i fenomeni naturali più terrificanti o, sempli-

In Oracle 2.0 – Rome, Justin Bennett seems to answer our deepest hidden longing: to know the future. The revelatory power of words – the most complex form of communication invented by humans – is manifested in a beam of light from MAXXI’s upper gallery. The oracle’s message is often incomprehensible and intentionally ambiguous, yet we cannot help trying to interpret it. Holding out almost unscathed against all enlightened calls for rationalism, the desire to believe in “other” voices crops up again and again, especially in recent times, reminding us that we are in thrall to fears, ambitions, and autobiographical, often irrational instincts. It is this uncontrollable instinct that leads us to seek meaning even in intentionally vague words, applicable to every situation, but which to us, in that specific moment, take on a precise meaning, because we put them into a personal narrative known only to ourselves, and often only at a subconscious level. The random nature of these phrases reflects the coincidences that pervade human lives and historical processes, to which we can give a meaning only in retrospect, with the inevitably partial perspective that comes from knowing the effect and assuming the cause. The long tradition of oracles found in many cultures shifts the reasoning onto a different plane, that of divination, of seeing through things while they are still unfolding, reading tiny signals as clues from which to build a narrative whose power “consists in its ability to yield meaning” because “it is not the chronicle of facts, but the telling of them that generates meaning and makes the world livable”1. Without stories, the illogical nature of individual events would be hard to bear. Storytelling in its primeval forms, not in the distortions that are currently turning it into a marketing tool, has played a fundamental healing role in many societies: guiding us through death, explaining the most terrifying natural phenomena, or

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cemente, addormentando i villaggi. Le narrazioni che si svolgono al museo vogliono recuperare questa funzione salvifica della parola. Chiara Fumai, come una sacerdotessa o un’atleta della parola, entra nelle vite di altre donne che hanno profondamente mutato la relazione fra i sessi o che per tutta la vita sono state costrette a una condizione di alterità. Proprio quella alterità ha permesso loro di svelare la possibilità di strade diverse, di indicare percorsi non battuti. La condizione di differenza è quella che ha attraversato molti cantori nel corso dei secoli, come quella del pazzo – la loro figura era necessaria per bilanciare l’ordine delle cose. A volte, invece, i narratori sono riusciti semplicemente ad agire come catalizzatori delle storie di altri, a cucire insieme dolori, ricordi, rancori, legandoli insieme come un filo di perle, quel filo che ha saputo raccogliere Elisa Strinna per donarlo, di nuovo, alla comunità e intrecciarlo con le storie di altri frequentatori degli stessi luoghi da cui passano le voci di oggi. Un impegno, quello di trovare una forma alle cose, che Marinella Senatore accoglie pienamente in un lavoro fortemente collaborativo, dove la comunità si costruisce attraverso le parole delle persone, la loro forza, passione e lotta, a delineare un affresco in cui ogni cosa non è al suo posto, ma si svela proprio nell’impossibilità di incasellarla in categorie preordinate. I momenti che attraversano quest’opera richiamano la tradizione del giullare, la potenza dissacratrice di un gruppo che, se guidato da un medium che lo aiuta a trovare la propria identità, si fa piazza. Ma la storia non avrebbe senso se finisse, e infatti questa storia non trova una conclusione: con estremo coraggio, Valentina Vetturi si e ci immerge nelle memorie spezzate, sconnesse e commoventi degli anziani, dove ogni narratività si perde e in cui rimangono piccoli segnali di una memoria fluttuante che caparbiamente non rinuncia a raccontarsi e a rivelarsi. 1) Enzo Bianchi, “Narrarsi per avere un senso”, in Domenica del Sole 24 ore, 18 maggio 2014, p. 29

Rivelazione / Revelation

simply helping a village fall asleep. The narratives that unfold at the museum are intended to reclaim the curative function of words. Chiara Fumai, like a priestess or athlete of the word, enters into the lives of other women who have profoundly changed the relationship between the sexes, or who were forced to live out their existence in a state of otherness. This otherness helped them point to the possibility of alternate paths, to indicate roads not travelled. Characters marked by difference have cropped up in tales for centuries; like the figure of the madman, they were necessary to balance out the order of things. At other times, the narrating voices have simply acted as catalysts for other people’s stories, threading together their pain, their memories, their grudges like a string of pearls: a string that Elisa Strinna has gathered up and given back to the community, entwined with the stories of others who have spent time in the places through which today’s voices pass. This commitment to finding a form for things is one that Marinella Senatore also embraces, in a highly collaborative work that builds community through people’s words, their power, passion, and struggles, tracing a picture where things are out of place, but are described by the very impossibility of fitting them into predefined categories. There are moments throughout this work that evoke the tradition of the jester, the irreverent power of a group who, when guided by a medium that helps it reclaim its identity, becomes a force to be reckoned with. But history would have no meaning if it came to an end, and indeed, this story has no conclusion: with great courage, Valentina Vetturi plunges herself and us into the fragmented, disjointed, touching recollections of the elderly, where every narrative is lost and we are left with only tiny signals from a wavering memory that stubbornly insists on telling its own story. 1) Enzo Bianchi, “Narrarsi per avere un senso”, in Domenica del Sole 24 ore, May 18, 2014, p. 29

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L’insurrezione che verrà / The Uprising to Come

© Francesco Bolis

L’insurrezione che verrà / The Uprising to Come


L’insurrezione che verrà / The Uprising to Come

Giulia Ferracci

Roma, ottobre 2014

Rome, October 2014

Buongiorno Italia,

Good morning Italy,

Ti scriviamo perché abbiamo qualcosa da dirti, la nostra natura oggi è generosa, allegra, forte. È passato tanto tempo da quando non sentivamo l’energia della tua gente richiamare a gran voce il cambiamento – forse nel secondo dopoguerra, quando l’entusiasmo per il futuro ti rendeva fiera nazione e il popolo era forza sana, vitale.

We are writing because we have something to tell you, because today we’re generous, cheerful, strong. It’s been so long since we felt the energy of your people demanding change: maybe not since the period after World War II, when enthusiasm about the future made you a proud nation and made your inhabitants a healthy, vibrant force.

Questa azione è pensata per raccontare cosa offre la città di oggi, mostrandone ferite e bellezze, in un continuo lottare sul dilemma: è possibile solo scappare o si può anche restare? Noi vogliamo restare e cambiare il corso della storia per contrastare l’indifferenza al cambiamento, contrapporre un’alternativa agli effetti delle città globali, alle politiche di stampo neoliberale, caratterizzate, in realtà, da interessi di capitale privato, spesso degenerate in fenomeni contradditori, sia in termini di composizione geografica che sociale. “L’insurrezione che verrà” – una sezione all’interno di “Open Museum Open City” – è pensata per portare alla superficie le mescolanze sotterranee, per tracciare linee di fuga atte ad amplificare le innumerevoli molteplicità delle voci contemporanee; è la volontà di proporre una cultura nomade capace di immettere variabili nel sistema, di mobilitare le masse, compiere azioni rivoluzionare, creare nuovi movimenti culturali. La sezione include A Room of Rhythms – Curva (2014) di Cevdet Erek, uno spazio sensoriale nel quale il pubblico dialoga con diversi pattern sonori, tra cui i tumulti, le voci umane e i segnali acustici urbani. La Galleria 3 – il cui livello è stato modificato con alcune scale e una piattaforma – è stata trasformata in una piazza ideale dove in-

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This action has been conceived to narrate what the city offers today, showing its wounds and its beauty, in a constant struggle over the dilemma: is leaving the only option, or can one also stay here? We want to stay and change the course of history, fighting against indifference to change, presenting an alternative to the effects of globalization, to neoliberal policies that are actually shaped by the interests of private capital, and often degenerate into phenomena that are contradictory in terms of their geographic and social composition. “The Uprising to Come” – a section within “Open Museum Open City” – is meant to bring what is bubbling underground to the surface, to trace lines of perspective that will help amplify the innumerable voices of our present; it springs from the desire to highlight a nomadic culture capable of putting new variables into the system, of mobilizing the masses, performing revolutionary actions, creating new cultural movements. The section includes A Room of Rhythms – Curva (2014) by Cevdet Erek, a sensory space where the public enters into dialogue with various sound patterns, including hubbubs, human voices, and acoustic signals from the urban sphere.

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contrarsi e condividere esperienze provenienti dalla città. Lara Favaretto, con Doing (1998), un suono reiterato di martelli battenti, esamina il tempo del lavoro, della preparazione, del fare e del disfare. Distribuita nei luoghi più insoliti e periferici del museo, l’opera sorprende il visitatore con l’eco del lavoro operaio che, ripetendosi in modo imprevisto, racconta la forza di un gesto meccanico, troppo spesso ignorato e ai margini della vita urbana. Esercizi di rivoluzione è, invece, un ciclo di perfomance basate sul tema del gioco: qui le regole di passatempi e sport tra più popolari sono state reinventate. In questa occasione, Nina Beir utilizza orologi da polso per determinare, attraverso il battito cardiaco, il movimento del corpo con una palla, The Ticker (2014); il lavoro di Marco Colombaioni e Cherimus è un Gioco dell’Oca (2009-2014) concepito come un affresco umano; Falke Pisano propone The Speakers (2009-2014), il gioco di carte parlate; Anna Scalfi allestisce Partout où les circonstances l’exigeront (2014), un campo di pallacorda dai contorni non definiti; Valentina Vetturi presenta La mossa di Ettore (2014), una mossa di scacchi ispirata alla scomparsa del fisico siciliano Ettore Majorana; Raphel Zarka adotta la scultura A Free Ride (2014) come luogo di azione per gli skaters; Italo Zuffi, con Partita a bocce con frutta (2006), crea una perfomance nella quale i giocatori di bocce anziché lanciare palline usano ortaggi e frutta. Cara Nazione, vogliamo salutarti invitando anche te a fare un esercizio di rivoluzione: prova a oltrepassare il significato comune di città, concepita come un contenitore rigido e centralizzato, e favorisci gli spazi aperti; dai voce alle forze sottotraccia e indipendenti, affinché queste possano propagarsi autonomamente, procedendo per variazione, opposizione ed espansione.

Gallery 3 – whose level has been modified with steps and a platform – has been transformed into a figurative public square in which to gather and share experiences from around the city. In Doing (1998), a reiterated hammering sound, Lara Favaretto examines the temporal sphere of work, preparation, making and unmaking. Spread out through the most unexpected, peripheral parts of the museum, the work surprises visitors with an echoing noise of labor that is repeated in an unpredictable way, describing the power of mechanical actions that are too often relegated to the fringes of city life. Esercizi di Rivoluzione (“Exercises in Revolution”) is instead a series of performances based on the idea of play: here, the rules of some of our most popular sports and pastimes have been reinvented. Nina Beir uses wristwatches to determine the body’s movement with a ball, through a heartbeat, in The Ticker, (2014); Marco Colombaioni and Cherimus, in Gioco dell’Oca (2009-2014), turn the “Game of the Goose” into a tableau vivant; Falke Pisano stages The Speakers (2009-2014), a spoken card game; Anna Scalfi, in Partout où les circonstances l’exigeront (2014), sets up a handball court with vague boundaries; Valentina Vetturi presents La mossa di Ettore (2014), a chess move inspired by the death of Sicilian physicist Ettore Majorana; Raphel Zarka offers the sculpture A Free Ride (2014) as a field of action for skaters; and Italo Zuffi, in Partita a bocce con frutta (2006), creates a performance where bocce ball players throw fruit and vegetables instead of balls. Dear Nation, in closing, we invite you, too, to perform an exercise in Revolution: try to move beyond the conventional vision of the city as a rigid, centralized vessel, and foster open spaces, lending a voice to hidden, independent forces, so that they can freely multiply, moving by variation, opposition, and expansion.

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Come Together

Š Francesco Bolis

Come Together


Come Together

Monia Trombetta

Come nel testo dei Beatles del 1969, “Come together” (brano ipnotico, scritto originariamente in occasione della campagna politica di Timothy Leary, provocatore e avversario di Ronald Reagan alle elezioni per lo stato della California) un invito, un’esortazione a unirsi per uno stesso obiettivo: creare un nuovo modello di collettività. Con un esperimento radicale quale “Open Museum Open City”, il MAXXI scommette che questo sia possibile. Artisti, architetti, musicisti, danzatori, attori, intellettuali e pubblico generico sono invitati a condividere idee creative, progetti e azioni accettando di partecipare a questo progetto che ha l’obiettivo di reinventare la sfera pubblica a partire dall’analisi e dalla messa in discussione della definizione e del ruolo di istituzione dedicata alla contemporaneità. Immaginando e dibattendo su un nuovo “comune sociale” che possa essere costruito in maniera dinamica e interattiva, il punto nodale di questo programma e delle scelte generali a suo fondamento è il coinvolgimento delle persone e della collettività, la volontà di condividere con loro idee e scelte creative secondo una politica culturale attivista. Il museo intende trascinare, attivare ed essere allo stesso tempo un esempio e un modello di comunità. L’obiettivo non è raggiungere un pubblico il più ampio possibile ma coinvolgere i visitatori in maniera più dinamica e incisiva, attirarli in uno scambio di idee e creazioni artistiche utili alla cognizione, alla comprensione e all’azione civica e democratica. Tutti gli eventi all’interno di “Open Museum Open City” incarnano questo obiettivo e gli artisti e le istituzioni coinvolte hanno risposto in maniera puntuale a questo invito. Il coinvolgimento di RAM – radioartemobile, fondata a Roma nel 2001 per creare un network internazionale dedicato alla ricerca sonora, nasce dalla consapevolezza dell’importanza del web e della trasmissione on air: l’arte contemporanea, per definizione, ha bisogno della dinamicità, velocità

Like the 1969 Beatles song “Come Together” (a hypnotic track originally written for the political campaign of provocateur Timothy Leary, who was running for governor of California against Ronald Reagan), it is an invitation, an exhortation to unite around a common goal: creating a new model of community. With the radical experiment of “Open Museum Open City”, MAXXI is championing the idea that this is possible. Artists, architects, musicians, dancers, actors, intellectuals and the general public are invited to share creative ideas, projects, and actions, taking part in a project that tries to reinvent the public sphere by analyzing and challenging the definition and role of an institution devoted to contemporary culture. Imagining and debating the notion of a new “social commons” that could be constructed in a dynamic, interactive way, this program and its underlying principles are centered on engaging individuals and society at large, and on the desire to share creative choices and ideas with them in an activist cultural policy. The museum intends to act as a magnet, a catalyst, and at the same time, an example and model of community. The goal is not just to reach as broad an audience as possible, but to get visitors involved in a more dynamic, incisive way, drawing them into an exchange of ideas and artistic creations that fosters knowledge, understanding, and democratic civil action. All the events in “Open Museum Open City” express this objective, and the artists and institutions involved have directly responded to this invitation. The involvement of RAM – radioartemobile, founded in Rome in 2001 with the goal of creating an international network of sound art, grew out of an awareness of the importance of the web and of live broadcasting: contemporary art, by definition, demands rapid, dynamic, and flexible communication tools. The open call launched with RAM is intended to

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e flessibilità dei mezzi di comunicazione. La public call attivata con RAM mira ad accogliere il contributo di chiunque voglia partecipare con la propria creazione sonora, trasformandosi così in una piattaforma aperta e permanente. In sintonia con le nuove tecnologie di interazione e comunicazione che caratterizzano la contemporaneità, “Open Museum Open City” è anche una “App” per dispositivi mobili, essenziale e veloce, progettata per estendere il più possibile l’azione partecipativa e dare al pubblico uno strumento semplice e immediato per collaborare al progetto e sentirsi parte di esso. Tra gli artisti invitati, Marinella Senatore convoglia nei sui progetti persone comuni, dichiarando di compiere e far compiere “un gesto politico e sociale”. Le sue opere generano infatti un nuovo sistema sociale incentrato sull’aggregazione e rendono concreto il concetto di “gruppo”. L’idea intuitiva di Haroon Mirza – raccogliere i suoni provenienti dalle opere degli altri artisti presenti in mostra e ritrasmetterli in un unico spazio in modo da dare vita a un condensato dei progetti esposti, amplificati in maniera cacofonica dal vivo – è l’immagine perfetta dei nuovi processi creativi collettivi che caratterizzano la società contemporanea, allo stesso tempo varia e unificata. Il progetto di Mirza, intuitivo, bello ma ambizioso, non è stato realizzato in questa occasione a causa di difficoltà tecniche ma incarna e dimostra la potenza e le capacità “attiviste” di “Open Museum Open City”, una mostra che vuole essere una sfida per i canoni estetici e sociali consolidati, e che mira a provocare nuovi dibattiti sulla questione dei valori culturali per dimostrare che “insieme” si può immaginare un mondo diverso.

Come Together

collect the work of anyone who wants to contribute a sound-based creation, and by gathering these public submissions, the program becomes an open, permanent platform. To keep pace with the new interactive communication technology that characterizes the contemporary world, “Open Museum Open City” is also a simple, speedy app for mobile devices, designed to extend participation as much as possible and give the public an easy, instant way to be and feel part of the project. One of the invited artists, Marinella Senatore, brings ordinary people into her projects to perform “a political and social action”, as she puts it. Her works generate a new social system centered on togetherness, concretely expressing the concept of a “group”. Haroon Mirza’s insightful idea – to collect the sounds from the works of other artists in the show and play them back in a single space like a distillation of the projects on exhibit, amplified live in a cacophonic way – is a perfect reflection of the new collective processes that characterize contemporary society, in its diverse yet unified nature. Mirza’s inspired, beautiful and ambitious concept has not been implemented this time around due to technical difficulties, but it embodies and demonstrates the power and the catalyzing capabilities of “Open Museum Open City”: an exhibition meant to challenge entrenched aesthetic and social models and encourage new debates on the question of cultural values, to prove that “together”, we can dream up a different world.

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