Empowerment delle donne in nord Albania

Page 1

EMPOWERMENT DELLE DONNE IN NORD ALBANIA OPERATION DAYWORK 2014 / 15


EDITION NOTICE

Testi Alessandra Volani, Campaign manager OD Evelyn Zelger, coordinatrice OD Shaana Näckler, Presidente del Consiglio OD Sophie Polig, membro del Consiglio OD David Presente, volontario OD Damiano Censi, volontario OD e Centro Pace di Cesena Anastasia Macini, volontaria OD e Centro Pace di Cesena Lia Maggioli, volontaria OD e Centro Pace di Cesena Le operatrici dell’Associazione GEA di Bolzano Martina Pieri, Associazione RTM Cover Franziska Gabl Concetto grafico e layout Florian Dariz, volontario OD Foto Christian Mantinger, volontario OD Operation Daywork Stampa Südtiroldruck Tscherms Editore Operation Daywork – Dicembre 2014 www.operationdaywork.org info@operationdaywork.org Grazie! Agli abitanti di Shkodër e Pukë e ai membri di Hapa të Lehte e RTM che ci hanno seguito Uno speciale ringraziamento alle operatrici dell’associazione GEA per gli articoli di competenza tematica (violence, consequences, help) Gli articoli rispecchiano esclusivamente l’opinione degli autori e si basano sulle fonti indicate. AUTONOME PROVINZ BOZEN SÜDTIROL

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO ALTO ADIGE

Con il gentile sostegno Assessorato della Scuola di Lingua Tedesca, Italiana e Ladina Ufficio Affari di Gabinetto, Cooperazione allo Sviluppo

2  Giornalino 2014 / 2015


PREFACE

Care lettrici, cari lettori, OD – Operation Daywork è un’associazione senza scopo di lucro creata dalla determinazione e dalla decisione dei giovani. Si occupa in maniera critica ed innovativa del tema della coperazione allo sviluppo e di conseguenza intende sviluppare un forte senso di responsabilità sociale, ecologica ed economica. La nostra idea di fondo è: cercati un lavoro per un giorno, sarai giustificato da scuola! Sosterrai il nostro progetto di cooperazione allo sviluppo e in più potrai farti una piccola idea del mondo del lavoro! Il nostro segnale di partenza di quest’anno è stato RiseUp vol.2, un party che abbiamo organizzato noi giovani del Consiglio OD. Il nostro obiettivo quest’anno è di collaborare con i centri giovanili, oltre a proseguire la relazione con le scuole. Abbiamo anche quest’anno un grande desiderio, quello di portare avanti il progetto che abbiamo scelto, in Nord Albania.“WAVES – Women against violence in Shkodër region” intende promuovere l’empowerment delle donne. “Ho scelto questo progetto perchè si collega bene con l’Alto Adige.” Hanna Brugger “Ho scelto questo progetto perchè attraverso questa iniziativa le donne possono imparare a difendersi.” Sandra Mirto “Mi è particolarmente piaciuto questo progetto perchè riguarda un tema attuale ovunque nel mondo.” Matthäus Nössing A presto, la vostra Sophie

Giornalino 2014 / 2015  3


INDEX

INDEX AlbaniA   Shqipëria   Impressions   History   Neighbours   Kanun    Pukë & Shkodër   Waves    Local Partner

4  Giornalino 2014 / 2015

5 - 15   6 - 7   8 - 9   10 - 11  12  13   14 - 17  18  19


INDEX

Cortile a Shkodër

Violence    Storytelling: Albania   Violence    Storytelling: A Man’s Story    Storytelling: South Tyrol   Migration    Storytelling: Italy   Consequences   Help

20 - 29  20   21 - 22  23  24  25   26 - 27  28  29

change   Change    Mass media    Sex - Gender   Nonviolence    Operation Daywork    Operation Daywork International    The Language of Art

30 - 38   30 - 31   32 - 33  34  35  36  37  38

Giornalino 2014 / 2015  5


SHQIPËRIA

ALBANIA ] L’Albania (in albanese Shqipëria) è un Paese del sud-est Europa e fa parte della penisola balcanica. Confina a nord con il Montenegro, a nord-est con il Kosovo, a est con la Macedonia e a sud con la Grecia. Dal 1998 l’Albania è una Repubblica su modello europeo occidentale. E’ garantita la tutela delle minoranze, per cui ognuno ha il diritto di parlare la propria lingua, professare la propria religione e seguire i propri usi e costumi culturali. Popolazione Dal punto di vista etnico la popolazione che vive in Albania è piuttosto omogenea. Gli albanesi costituiscono con l’82,6% la maggioranza della popolazione. La minoranza più numerosa è rappresentata dei greci con ca. 1%. Oltre ad albanesi e greci ci sono macedoni, montenegrini, arumeni, rom e “egiziani-balcanici”. Gheghi e Toschi Gli albanesi di dividono in due grandi gruppi: i gheghi e i toschi. Questi due gruppi non si differenziano solo per la lingua ma anche per caratteristiche culturali. I toschi vivono nelle regioni più a sud del Paese. La loro cultura ha risentito molto dell’influenza dello stile di vita delle cittadine orientali dell’impero Ottomano e la loro mentalità è cosmopolita. Il tosco è considerato la lingua standard. Nell’Albania del Nord l’antica e tradizionale cultura dei gheghi ha una storia millenaria. Fa eccezione la città nordica di Shkodër, che per molto tempo è stata dominata dai veneziani. Il cattolicesimo e il legame con l’Italia hanno influenzato la mentalità dei suoi abitanti. Rom e egiziani-balcanici I rom sono stanziati in tutto il Paese, la maggior parte di loro vive in condizione di povertà nelle periferie della maggiori città. La lingua madre di questa minoranza è il romani, parlata esclusivamente dai rom. Come in molti altro luoghi anche in Albania questo popolo non è integrato nella società. Da non scambiare con i rom sono gli egiziani-balcanici. Il mito racconta che questa minoranza giunse nei Balcani ai tempi di Alessandro Magno dal Nilo. La maggior parte di loro parla l’albanese, il che non significa che questa minoranza sia ben integrata nella società. Anche loro vivono spesso in condizione di disagio sociale e in alcuni casi ai margini della città. Religione L’Albania è ufficialmente uno Stato laico dal 1998, garantito dalla separazione tra Stato e Chiesa. Poco più della metà della popolazione albanese è musulmana, il 20% cristiana, il resto appartiene ad altre fedi o si proclama atea. Gli albanesi generalmente non hanno un forte legame con la religione. I rapporti con le altre confessioni religiose sono buoni. I matrimoni tra cristiani e musulmani sono all’ordine del giorno e le festività religiose sono occasioni di festa per tutti. Società Si può ancora riconoscere che il diritto consuetudinario, il Kanun, anche oggi influenza la vita degli albanesi che vivono soprattutto nelle zone montane del nord. Per molti la parola d’onore (la “Besa”)ha ancora un grande valore. Spesso le controversie vengono affrontate solo verbalmente, ma anche attraverso accordi che riguardano la vendetta di sangue, come ad esempio il perdono.

6  Giornalino 2014 / 2015

BOSNIA ERZEGOVINA

CROAZIA

Informazioni generali Lingua ufficiale: albanese Capitale: Tirana Superficie: 28.748km2 (confronto con l’Italia: 301.338km2) Numero di abitanti: circa più di 3 milioni (2013) (confronto con l’Italia: ca. 58 milioni di abitanti) Indipendenza: 28 Novembre 1912 (dall’impero Ottomano) Moneta: Lek albanese

ITALIA


SHQIPËRIA

SERBIA

MONTENEGRO

KOSOVO

• SHKODëR • PUKë

La ripresa dell’onore personale ritorna anche attraverso il Kanun. L’onore di un uomo o di una famiglia tradizionale gravemente offesa può essere ristabilito. Andando in una città dell’Albania settentrionale si può notare che molte donne sono vestite in maniera molto appariscente ed attraente, ma questa emancipazione a prima vista può trarre in inganno. Verso sera si incontrano donne a passeggio ma non nei bar, soprattutto nei villaggi. La posizione subordinata della donna, l’influenza dei modelli televisivi e della globalizzazione che ha pervaso l’Albania dopo la caduta del regime sono fattori che, assieme al diritto consuetudinario, influiscono sulla società. Nelle regioni meridionali del Paese la situazione è molto migliorata negli ultimi anni. L’importanza della vita in famiglia è una caratteristica di ogni albanese. Gli anziani sono molto amati, vengono trattati con rispetto e rimangono fino alla morte da uno dei figli. All’opposto, le figlie rimangono nella casa dei genitori fino al matrimonio. Anche qui non vi sono grandi differenze tra Nord e Sud. Un’intera vita senza matrimonio è estremamente rara sia per l’uomo che per la donna. Nei villaggi succede ancora che vengano combinati. Nell’Albania moderna si trovano anche coppie che si sono unite liberamente, tuttavia l’approvazione dei genitori è ritenuta ancora molto importante. Da sottolineare anche l’ospitalità e la solidarietà degli albanesi. Gli ospiti vengono accolti in maniera cordiale e generosa e nei tempi di crisi ci si aiuta reciprocamente.  G

• PESHKOPI MACEDONIA

b TIRANë

• KORCë

Excursus matrimoni Le feste di matrimonio in Albania sono molto pompose. 200 ospiti non sono troppi, neanche per le famiglie più umili. Solitamente quando iniziano le vacanze estive si stabilisce una settimana per festeggiare le nozze. Ogni sera nella casa della famiglia dello sposo si balla, si canta e si festeggia a lungo. La notte prima del grande giorno la sposa lascia la sua casa natale e la sua famiglia. La tradizione vuole che lungo la strada di casa dei genitori la sposa si disperi e pianga ad alta voce per testimoniare l’abbandono della propria famiglia. In estate si possono incontrare feste di matrimoni quotidianamente!

• VLORë

• GJIROKASTëR

GRECIA

Giornalino 2014 / 2015  7


IMPRESSIONS

Ali - albanese

8  Giornalino 2014 / 2015

Piramide celebrativa di Hoxha, Tirana


IMPRESSIONS

Dintorni di Pukë

Mamma egiziana

Tre ragazzi rom

Giornalino 2014 / 2015  9


HISTORY

STORIA DELL’ALBANIA Tra il 1500 e il 1910 Gli albanesi, sotto l’occupazio-

popola il territorio dell´Albania. Le tribù illiriche stanno

ne ottomana, subiscono varie guerre e sommosse. Ver-

sotto la continua influenza dei greci.

so il 1850 si formano i primi movimenti indipendentisti.

Dal 450-350 a.C. sorgono le prime città e si sviluppa

1910 I turchi vengono messi sotto pressione dalla

la cultura e la vita cittadina. Nel 230 a.C. scoppiano le

lotta indipendentista e due anni dopo viene dichiarata

prime guerre romano-illire.

l´indipendenza dell’Albania, riconosciuta dalle grandi potenze europee.

20° secolo

Dall’età antica alla modernità

Dal 1000 A.C. ca. il popolo indoeuropeo degli Illiri

Nel 164/165 a.C. L’ultimo re illiro Gentius viene sconfitto dai romani presso il castello di Rozafa vicino

1914 Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale

a Shkoder. L’Albania diventa un insediamento romano

l’Albania viene nuovamente occupata, questa volta

chiamato “Illyricum”.

dall’Austria-Ungheria e nel 1916 dall´Italia sotto forma di Protettorato.

395 il Sacro Romano Impero viene diviso in Impero Romano d’Oriente e di Occidente. L’Albania fa parte

1920 La sovranità nazionale viene nuovamente ricono-

dell’impero orientale.

sciuta dalla Società delle Nazioni. L’Italia è obbligata a ritirare le sue truppe. Tirana è la capitale. 1928 Si auto dichiara re Zogu Primo, instaurando una Monarchia

395-1444 In questi secoli il territorio dell’attuale

Costituzionale. Sotto Zogu Primo l’Albania si avvicina

Albania subisce varie influenze: verso il 600 vi pene-

politicamente all’Italia fascista. Il Paese diviene un

trano i popoli slavi, nel 900 i bulgari, successivamente i

punto strategico nei Balcani per l´Italia, che ne controlla

normanni e nel 1200 l’Albania diventa parte del Regno

l’economia e l’esercito.

di Sicilia. In seguito il nord subisce l’influenza veneziana, mentre il sud rimane bizantino (Impero Romano d’Oriente). Nel 1400 sorgono numerosi principati.

1925 Ahmed Bei Zogu dichiara, dopo la presa del potere, la Repubblica d’Albania.

1444 il Principe Gjergij Castriota chiamato Skanderbeg, destinato a diventare eroe nazionale, riesce

1939-1944 Le truppe fasciste italiane occupano

nell’impresa di unire il popolo albanese, unendo i piccoli

l’Albania. Re Zogu Primo fugge all’estero. Durante l’oc-

principati per far fronte tutti insieme all’espansione e

cupazione le parti del Kosovo e della Grecia, nelle quali

all’influenza dell´Impero Ottomano.

vivevano anche albanesi, vengono annesse all´Impero. Nel 1943 L´Italia capitola e la Germania prende per poco tempo il potere nei territori albanesi al suo posto. Dopo

1468 Dopo la morte di Skanderbeg il Paese, eccetto

il ritiro dei tedeschi il Partito Comunista, fondato nel

qualche cittadina portuale, viene conquistato dagli

’41, sale al potere.

ottomani. In seguito molti albanesi emigrano in altri Paesi del Mediterraneo. 1944 Il leader del partito comunista Enver Hoxha

upazione ottomana. Durante questo periodo 2/3 della

trasforma l’Albania, con l’aiuto del leader jugoslavo Tito,

popolazione si converte all’Islam. Questo comportava

in una paese dittatoriale. Viene repressa l’opposizione

enormi vantaggi: meno tasse, diritto alla proprietà,

e Hoxha si auto dichiara Presidente del Consiglio dei mi-

nessuna persecuzione.

nistri, accentrando su di sè tutte le funzioni importanti dello stato. I confini nazionali ufficiali sono quelli del 1912: l’Albania perde così i territori del Kosovo e della Grecia.

10  Giornalino 2014 / 2015

L’Albania sotto il regime

La maggior parte della popolazione si adatta all´occ-


HISTORY

1991-1997 Alle prime elezioni libere vince il partito

inizio lo sfrenato culto stalinista.

democratico. Berisha sale al potere, promuovendo

…oggi

1948 Si rompono le relazioni con la Jugoslavia e ha

riforme radicali come l’introduzione di un sistema economico liberale. All’inizio questo provoca, a causa 1955 L’Albania diventa membro dell’ONU e firma il

della debole economia, un completo fallimento dell’e-

patto di Varsavia.

conomia locale. Migliaia di albanesi fuggono in Italia e in Grecia. Negli anni seguenti la situazione si stabilizza. La popolazione è impegnata nei problemi quotidiani:

1957 Viene inaugurata la prima università a Tirana.

trovare un posto di lavoro è molto difficile. Soprattutto

Il governo comunista vuole conquistare la completa

al sud sorgono banche che promuovono apparenti

indipendenza nel confronto degli altri stati confinanti,

convenienti investimenti. Gli albanesi iniziano ad

divenendo autarchica.

investirvi, depositando tutto il loro capitale, con fiducia. La Banca Mondiale mette in quardia nei confornti di

1961 I rapporti con l´URSS si interrompono, a causa

questo sistema vizioso, ma non viene presa sul serio

delle diversa interpretazione sovietica del culto-stali-

dalla popolazione.

nista rispetto a quella più estrema di Hoxha. Iniziano i rapporti con la Cina. 1997 I due maggiori istituti di credito vanno in fallimento e crolla tutto il sistema delle cosiddette piramidi 1967 Hoxha dichiara l’Albania “primo stato ateo”. Ogni

finanziarie. Il capitale investito va perso e la gente

forma di culto e fede religiosa viene proibita. Gli edifici

comune si ritrova senza i risparmi di una vita. Molti

religiosi vengono demoliti o destinati ad altro utilizzo,

banchieri fuggono all’estero. Il governo viene accusato

come la cattedrale di Shköder che venne adibita a edi-

di essere coinvolto negli affari loschi delle banche

ficio per lo sport. Il numero di albanesi arrestati o uccisi

ed è costretto a dimettersi. L’Albania si ritrova in una

dal regime di Hoxha, perchè esercitavano la propria

situazione di anarchia e caos totale e nuovamente molti

religione viene stimato intorno a 700.000. Vengono

albanesi cercano di fuggire da una situazione che ormai

perseguitati tutti coloro che vengono definiti “nemici

è degenerata in una vera e propria una guerra civile

del popolo”.

tra bande armate. Alle elezioni di luglio vince il partito socialista con a capo Fatos Nano.

1968 L’Albania esce dal patto di Varsavia per protesta verso le truppe russe entrate in Repubblica Ceca.

1998-2003 L’Albania è il Paese più povero e meno sviluppato d’Europa. Oltre ai problemi interni il Paese subisce le minacce dall’estero e chiede l’intervento

1978 Anche le relazioni con la Cina vengono interrotte.

della NATO per difendersi. Alle elezioni del 2001 viene

L’Albania è completamente isolata. Questo provo-

rieletto il partito socialista e piano piano il governo

ca importanti conseguenze: l’economia collassa, la

riprende legittimità dalle bande armate locali. Anche

popolazione controllata e terrorizzata dalla frequente

la svolta politica dal partito democratico a quello

diffamazione che si avvale di un sistema di spionaggio in

socialista comporta altre proteste e alimenta la lotta tra

grado di scovare qualsiasi potenziale dissidente.

gruppi armati.

1985 Hoxha muore e sotto il suo successore Ramiz il

2009 L´Albania diventa membro della NATO e fa richie-

Paese lentamente inizia una distensione.

sta per entrare nell´Unione Europea.

1000 studenti manifestano nella capitale contro il regi-

La svolta…

1989 e 1990 Avviene una svolta politica nel Paese.

2013 Alle ultime elezioni del 2013 vincono i socialisti e Edi Rama diventa capo del governo.

me. Di conseguenza Ramiz intraprende le prime riforme democratiche, privatizzando il settore dell´agricoltura, abolendo il divieto di professare la religione e legittimando altri partiti.

Giornalino 2014 / 2015  11


NEIGHBOURS

ITALIA N ALBANIA: PORTO A PORTO ] Ci troviamo a Shkodër, città localizzata nel nord-ovest dell’Albania e antica capitale, conosciuta come “la culla della cultura albanese” e anche come la “Firenze dei Balcani”. Quest’ultima definizione è solo un esempio formale di quella relazione che intercorre fra Italia e Albania, una rapporto che si sviluppa in maniera bidirezionale da secoli.Siamo vicini di casa, ci separa il canale d’Otranto, il punto più a Oriente della penisola italiana, con una distanza di soli 72 km. Sul traghetto che viaggia tra Ancona e Durazzo si raccontano storie a più voci, spesso in lingua italiana; parliamo di come ci siamo fatti la guerra, dell’importanza per entrambe le economie del commercio da porto a porto, delle influenze reciproche su modi di vivere, vestire, “delle nuove ragioni che ci spingono a migrare da una parte o dall’altra” - ci dice Martina, regista barese che fra pochi giorni parteciperà all’ “International Human Rights Film Festival Albania ” a Tirana con un cortometraggio girato su uno dei traghetti che fa spola tra le due sponde dell’Adriatico. Le migrazioni tra Italia e Albania spesso sono transitorie – a volte, per esempio, siamo noi giovani cittadini italiani e albanesi a voler esplorare il Paese vicino, mentre altre volte questi spostamenti diventano stabili sul territorio, come nel caso degli Arbëreshë. Questi ultimi, detti anche “albanesi d’Italia”, provenienti dall’Albania e dalle comunità albanofone della Grecia, si stabilirono in Italia tra il XV e il XVIII secolo, in seguito alla morte dell’eroe nazionale albanese Skanderbeg, la cui riproduzione in pietra impera nella piazza principale della capitale Tirana. La comunità Arbëreshë è custode della lingua albanese delle origini e delle tradizioni popolari, poichè non ha subìto le colonizzazioni di turchi e bizantini che si sono alternate nella storia della loro terra d’origine: “Se vogliamo impa-

12  Giornalino 2014 / 2015

rare l’albanese, ma quello vero” – ci dice Saimir, amico di lunga data di origine albanese – “allora dobbiamo trascorrere del tempo con la comunità Arbëreshë in Italia”. All’inizio degli anni ’90 gli albanesi emigravano per scappare da una terribile dittatura che permetteva loro solamente di immaginare il mondo al di fuori dei loro confini. Oggi, invece, chi decide di partire per l’Italia lo fa soprattutto per motivi di studio, lavoro, ricongiungimento familiare. Spesso infatti i nostri interlocutori albanesi, quando realizzano dopo pochi nostri gesti eloquenti che siamo italiane, iniziano a declinarci le loro parentele dislocate ora a Pisa, ora a Roma, ora a Milano. Molti di coloro che incontriamo in questo nostro viaggio sono stati in Italia almeno una volta e pensano di ritornarci. Tuttavia anche gli italiani al giorno d’oggi viaggiano in direzione Albania: ci sono giovani in cerca di lavoro e intenzionati a dare uno sbocco lavorativo alla propria laurea, soprattutto in campo medico, nel “Paese delle aquile”, o che decidono di tentare di entrare all’università di Tirana e iniziare qui un percorso di studi e di vita. Come Alex, venticinquenne veneto che incontriamo in aeroporto a Tirana giusto per il tempo di un caffè e di una breve e sincera testimonianza. Negli ultimi anni sta prendendo piede, inoltre, la tendenza a emigrare verso l’Albania di molti lavoratori italiani in pensione, che scelgono di vivere qui con i propri risparmi, ben adattandosi ai ritmi balcanici albanesi, somiglianti alla nostra lentezza mediterranea. Italiani e albanesi si relazionano dunque da sempre, più di quanto ci abbiano abituati a credere. Oltre a questo, però, vediamo quanto sia dinamico il nostro continuo andare e venire da un porto all’altro. Siamo così legati che ora pare assurdo, anche se al tempo stesso bello, vederci “al di là del mare”.  G


KANUN

KANUN “Nessun luogo abitato da esseri umani, mi ha dato una tale impressione di maestoso isolamento dal mondo, è un posto dove i secoli rinsecchiscono, il fiume forse è la sorgente del mondo, le sue rive, la patria di passioni elementari, rapide ed incandescenti”.

ordinamenti penali dell’epoca), prevede la possibilità di riconciliazione senza spargimento di sangue: “Il disonore non si vendica con compensi ma con spargimento di sangue o con un perdono generoso” recita l’art. 598. Si giunge così a creare la possibilità di perdonare, con l’aiuto di “mediatori di pace” (“bajraktarë” o amici di entrambe le parti), tramite un rito formale e dettagliato, al ] Edith Durham, scrittrice inglese che visitò l’Albania nei primi termine del quale le due famiglie si trovano legate con vincoli indissolubili. Un brano recita: “Il Kanun delle montagne dell’Albania anni del secolo passato, annotava queste parole sul suo taccuino non distingue le persone, l’uno dall’altro. Sono tutti uguali, anima mentre gli occhi percorrevano le vette del Dugagin. Su quelle per anima, davanti a Dio”. Stride il contrasto di tali parole con le terre, estremo nord del Paese delle Aquile, visse Lekë Dukagjini norme che regolano la posizione della donna nella comunità. Essa che intorno al 1400 raccolse le consuetudini e le leggi non scritte secondo il Testo nasce come proprietà del padre che al momento del suo popolo, in un testo chiamato “Kanun” (dal greco “canon”, ovvero ordine o restrizione). Le montagne che ora portano il nome del matrimonio, combinato dalla famiglia, la trasmette al marito, simbolicamente, tramite la consegna di una pallottola a ricordo di questo antico legislatore, sono state da sempre una barriera naturale contro gli invasori: nè i romani, nè gli ottomani riuscirono del diritto di uccidere la moglie nel caso di fuga o disobbedienza. La donna non può ereditare, non può portare armi, non ha voce mai veramente a sottometterle, ed esse rimasero quindi pressochè (non può votare o esprimere la sua opinione in assemblea), non impermeabili ai cambiamenti del mondo circostante così come al controllo di un potere centrale. Nel freddo dell’inverno e dell’isola- può uscire di casa se non autorizzata o accompagnata. La divisiomento, i villaggi dovevano trovare la forza di sopravvivere, in loro ne dei ruoli è molto rigida: la moglie, madre, figlia o sorella deve stessi, nell’identità comune che li definiva come albanesi, in regole occuparsi della casa, dei bambini, dell’orto, degli animali e lasciare e tradizioni capaci di indicare ad un uomo la strada, per giovare al marito qualsiasi contatto o incombenza con il mondo esterno. Il non solo a se stesso, ma anche alla comunità. Da queste necessità bajraktarë del villaggio di Teth nel Dugagin, parlandomi di questi sorsero le norme raccolte nel Kanun. Se dovessimo assolutamente punti li descrisse come usanze del passato, dove alla donna non incasellare un’esperienza così peculiare, la potremmo definire la poteva essere lasciata libertà di decidere con chi sposarsi o cosa prima costituzione albanese, veicolo di cultura e tradizioni e allo fare, per impedire che il sangue albanese si mischiasse con quello stesso tempo strumento per perpetuarne l’esistenza e l’integrità. di stranieri e per ottimizzare la vita comune, destinando all’uomo Le sue norme fondamentali vennero tramandate di generazione la caccia, la guerra e i lavori fuori di casa. In cambio, affermava in generazione e se sorgevano dubbi o discordie sulla sua interl’anziano, la donna riceveva sicurezza, protezione e il controllo su pretazione, venivano risolte dai “bajraktarë” (sorta di anziani tutte le attività domestiche.Passarono i secoli e l’Impero Ottomano del villaggio) e se la questione era particolarmente complessa si si sgretolò lasciando il campo, prima al Regno d’Albania e poi alla convocava la “kuvend” (assemblea dei capifamiglia). Nei suoi 1263 Repubblica Popolare Socialista d’Albania. Sotto la lunga dittatuarticoli si regolano tutti gli aspetti della vita sociale dalla nascita, al ra di Enver Hoxha venne repressa duramente qualsiasi forma di autoregolamentazione locale che potesse contrastare il dominio matrimonio, alla proprietà, alla religione. Se un uomo ruba, se un assoluto di Tirana, ma alla sua morte con il rinnovato indebolirsi uomo sposta il confine, se insomma tradisce la “Besa” (intraducibile, allo stesso tempo: parola data, giuramento, promessa e fede; dello stato centrale, fu chiaro che le antiche leggi erano rimaste la “Besa” non solo vincola l’uomo, rende vero ciò che viene detto) solamente sopite. Il Kanun, sopravvissuto agli enormi cambiamenti o l’Onore o il Fis (clan o stirpe) o l’Ospitalità, fondamenta su cui del mondo moderno, viene oggi citato per mantenere sottomesse si regge la comunità, le pene sono durissime: l’esclusione dalla vita quelle ragazze che rappresentano il futuro dell’Albania e le sue sociale, la pubblica umiliazione e l’incendio della casa ne sono un norme malamente ricordate, sono giustificazione per eccidi senza esempio. L’esecuzione del reo invece è utilizzata solo come ultima fine che non risparmiano più nè donne, nè bambini. Sembra quindi ed estrema soluzione, non essendo di alcuna utilità per la comunità, che si sia dimenticato che, come diceva Lekë Dukagjini: “sbagliare l’eliminazione di un suo membro. Emblematica è la regolamentaè umano, perdonare è divino”.  G zione dei casi di “gjakmarrja” (letteralemente gjak=presa, marrja=sangue, vendetta di sangue), se il membro di una famiglia uccide un membro di un’altra famiglia, quest’ultima ha il diritto-dovere di vendicarsi, per recuperare l’onore perduto. Non possono però essere toccati bambini, anziani e donne (che non possono compiere vendetta), non si possono uccidere gli uomini finchè sono nella loro casa e il danno causato deve essere proporzionato all’offesa ricevuta. La furia dell’assassinio e della faida familiare viene così istituzionalizzata, prendendo atto di una realtà a quel tempo esistente, cercando di imbrigliarla in modo che non distrugga tutto il clan. Ma il Kanun non si limita a questo, rivoluzionando un Vignetta realizzata da un volontario di Operazione Colomba, associazione che promuove la riconciliazione tra famiglie in vendetta in Albania. sistema improntato alla “legge del taglione” (alla base di tutti gli

Giornalino 2014 / 2015  13


PUKË

14  Giornalino 2014 / 2015


PUKË

PUKË

] Il Distretto di Pukë si trova nella Regione di Shkodër nel nord dell’Albania. E’ formato da numerosi villaggi, raggruppati in 10 comuni. La popolazione complessiva raggiunge i 24.300 abitanti, dei quali circa 6.000 abitano a Pukë, cittadina principale. Questa zona sarebbe rimasta totalmente isolata se non fosse stato un passaggio obbligato per chi transitava da o verso il Kosovo. Tuttavia negli ultimi anni è stata costruita la “Strada della Patria”, che non passa più per Pukë. Le montagne sono una barriera naturale ai contatti con le altre regioni del Paese. Non è semplice raggiungere il distretto soprattutto d’inverno a causa della neve e delle strade dissestate. Le uniche vie di comunicazione tra villaggi sono rappresentate spesso da sentieri percorribili solo a piedi o a cavallo. Questo, se da un lato ha sempre causato forti limitazioni negli spostamenti, dall’altro lato ha permesso agli abitanti di questa zona di preservare per secoli il proprio stile di vita rurale e le antiche tradizioni. Molte famiglie ancora oggi vivono di agricoltura e pastorizia. Nonostante l’enorme ricchezza in termini di risorse naturali, c’è un alto tasso di povertà e disoccupazione, che portano molti giovani ad emigrare verso i grandi centri urbani come Shkodër, riscontrando molte difficoltà nell’adattarsi alla vita cittadina. Qui vengono emarginati nei quartieri periferici e chiamati “malok”, termine che li identifica in maniera dispregiativa come montanari, incivili, diversi. Gli effetti dell’emigrazione si avvertono soprattutto a Fushë Arrez, centro di lavorazione del legno e del rame che durante il regime dava lavoro ai locali e che oggi è una città-fantasma. Spesso è l’uomo ad emigrare, ma a volte anche la donna lascia la casa: talvolta accade che venga ingannata o rapita da trafficanti a fini di prostituzione forzata all’estero. L’antico codice del Kanun ha ancora la sua influenza, sebbene non venga più rispettato in tutte le sue parti, nè tramandato come è stato per secoli. I matrimoni sono spesso combinati e coinvolgono ragazze anche di 16 anni. La donna si occupa dei lavori di casa, ma anche del bestiame e della raccolta della legna oltre che della cura dei figli, del marito e dei parenti anziani.  G

Dintorni di Pukë

Evelina ha 17 anni e frequenta il 3° anno delle scuola superiore di Pukë ) Parli molto bene l’italiano, come lo hai imparato? Evelina: Guardando la TV. Con le mie amiche parliamo spesso in italiano, quando non vogliamo che i nostri genitori capiscano… ) Hai fratelli in casa con te? Evelina: No, siamo in 3 sorelle. Nostro fratello è in Italia. ) In casa i tuoi genitori danno ascolto alla tua opinione? Evelina: Sì e no. Mi stimano ma non mi danno ragione ogni volta. A me piacerebbe uscire qualche volta con le mie amiche, come fanno i ragazzi. Su questo abbiamo lunghe discussioni: loro sono d’accordo sul fatto che non è giusto, ma dicono che non è possibile comportarsi diversamente per il mio bene e per quello che la gente penserebbe. ) Fra tuo padre e tua madre chi decide? Evelina: Penso che i miei genitori siano abbastanza moderni rispetto agli altri. Di solito prendono le decisioni in comune. ) I tuoi coetanei a scuola ti trattano alla loro pari? Evelina: Sicuramente molti ragazzi sono più aperti degli adulti, ma non del tutto. I miei compagni di classe per esempio credono che sia giusto che un ragazzo abbia più fidanzate prima del matrimonio, mentre la ragazza no. Intervista presa dal libro: Albania.Le donne di Puke.Un’ottica di genere.

Giornalino 2014 / 2015  15


SHKODËR

S Casa abbandonata

Shkodër dall’alto

16  Giornalino 2014 / 2015


SHKODËR

SHKODËR ] L’odore dei mille caffè espresso sfornati dai bar, le biciclette che sfrecciano su e giù seguendo regole stradali tutte loro, i bambini rom con i piedi scalzi che suonano i loro strumenti tipici, la ragazza con i tacchi scintillanti avvolta in una minigonna fluorescente, la vecchina con i capelli raccolti in due trecce che indossa il vestito tradizionale. Ecco Shkodër. Una fotografia della città più grande nel nord Albania, una fotografia di contraddizioni, bellezza e complessità. La città sorge sull’omonimo grandissimo lago che l’Albania condivide con il vicino Montenegro. Raccolta tra le Alpi del nord e la pianura, la zadrima, che si allunga verso la cittadina di Lezhe e la capitale, Shkodër è il capoluogo dell’omonima provincia, ha circa 100.000 abitanti ed è attraversata dai fiumi Buna e Drini. Le origini della città non sono del tutto chiare, alcuni studiosi fanno risalire la sua fondazione all’epoca dei romani, altri ancora prima all’epoca degli Illiri tra il V e il VI secolo a.C., popolo di origine indo-europea di cui oggi si conosce molto poco. Ad avvallare questa seconda ipotesi all’ingresso della città si trova il Castello di Rozafa, una fortezza che risale all’epoca degli illiri appunto, e da cui si domina l’intera città. La leggenda narra che tre fratelli erano impegnati nella costruzione delle mura della fortezza, ma durante la notte il lavoro della giornata crollava. Un vecchio saggio disse che le mura per essere solide necessitavano del sacrificio di una delle loro mogli. Pertanto i fratelli decisero che l’indomani avrebbero immolato la donna che li avrebbe raggiunti per portare loro il pranzo. Toccò a Rozafa, la moglie più giovane dei fratelli e madre di un bambino. La giovane accettò di farsi murare viva, ma pose la condizione che dovevano restare scoperti un braccio e un seno per poter cullare e nutrire il proprio bambino. La città di Shkodër è considerata la culla della cultura albanese: personaggi letterati e non solo

sono legati a questa zona, come Gjergj Fishta, vissuto a cavallo tra ’800 e ’900, appartenente all’ordine dei Frati Francescani e uno dei maggiori poeti della terra delle Aquile, o il fotografo Pietro Marubi, italiano trapiantato in Albania che aprì a Shkodër il proprio atelier fotografico nel 1856. Non a caso Shkodër è sede anche dell’università Luigj Gurakuqi e del bel teatro Migjeni. Nel nord dell’Albania la religione prevalente è quella cristiana cattolica, ciò non toglie che la città sia comunque disseminata di variopinte moschee ricostruite dopo la caduta del comunismo. Una fra le più famose è la Moschea di piombo, costruita nel 1773, che prende il nome dal materiale con cui furono rivestite le sue cupole. La peculiarità della moschea è l’architettura in stile ottomano, una rarità nel panorama albanese, in cui prevalgono moschee in stile arabo. Shkodër, inoltre, ha anche una cattedrale cristiano-cattolica e una cristiana-ortodossa. La peculiarità dell’Albania - ma dei Balcani - in generale, è una convivenza pacifica e normalizzata fra credenti di tre diverse religioni. Negli anni la città di Shkodër è cresciuta come numero di abitanti, grazie alle famiglie che sono scese dalle montagne per avere più possibilità economiche e lavorative in città. Il quartiere storico di Mark’ Lule, ad esempio, nasce e cresce proprio in risposta alla migrazione massiccia dai monti limitrofi. All’ingresso della città, oltre alla fortezza Rozafa, si possono ben distinguere altri due quartieri, il quartiere Liria, abitato da famiglie egiziane arrivate a Shkodër centinaia di anni fa e oggi definite “più Shkodërne degli Shkodërni stessi”e al di là del lago il quartiere dei rom, che sono una presenza storica e numerosa in Albania, così come in tutti i Balcani. Ricca di storia e di potenziale, Shkodër ha un commercio abbastanza sviluppato con la capitale, Tirana, il vicino Montenegro e il Kosovo.  G

Moschea a Shkodër

Giornalino 2014 / 2015  17


WOMEN ACTION AGAINST VIOLENCE W FOR EQUALITY IN SHKODËR REGION PROGETTO WAVES

WAVES

18  Giornalino 2014 / 2015

Obiettivi Il progetto mira a contrastare il fenomeno della violenza domestica, contribuendo a migliorare l’intera catena di servizi per le vittime nel territorio. Nello specifico, intende rafforzare i servizi di prevenzione e supporto per donne, ragazze e minori vittime di violenza domestica attraverso la collaborazione con le autorità locali e i diversi servizi pubblici presenti nel territorio. I beneficiari del progetto sono circa 8.000 donne, ragazze e minori del distretto di Puka, un’area rurale molto povera nel Nord Albania dove è diffuso il problema della violenza domestica. Attività Sono previste tre aree di intervento: PREVENZIONE DELLA VIOLENZA DOMESTICA attraverso alla formazione su questo tema rivolta ai pubblici ufficiali (medici, polizia, personale giudiziario, funzionari comunali, etc.) e nelle scuole; creazione di un tavolo di coordinamento a livello locale sulla violenza domestica; SUPPORTO ALLE VITTIME DI VIOLENZA con l’apertura e gestione di uno “sportello donna”; realizzazione di una campagna di sensibilizzazione per promuoverlo sul territorio; creazione di gruppi di mutuo aiuto composti da donne; REINSERIMENTO DELLE VITTIME che prevede la costituzione di un fondo per creare alloggi autonomi e sostenere l’occupazione lavorativa; start-up di microprogetti di reinserimento sociale per le vittime di violenza domestica; visita studio in Italia del partner locale e degli enti associati albanesi per uno scambio di buone prassi. …Come verrà utilizzato il contributo di OD raccolto alla Giornata d’Azione? Per supportare le attività dell’area 1, in particolare per la sensibilizzazione nelle scuole, e l’area 2 sostenendo l’operatrice dello Sportello Donna.


LOCAL PARTNER

HAPA TË LEHTE PER l’empowerment della donna a passi leggeri Fin dalla sua nascita l’associazione Hapa të Lehte, Passi leggeri in italiano, ha cercato di attivarsi in maniera efficace e sostenibile per le donne di Shkodër. Come prima attività il Centro ha svolto una ricerca per capire i reali bisogni delle donne della città e le caratteristiche dei suoi diversi quartieri, che dalla caduta del regime comunista hanno subìto profonde trasformazioni. Dalla ricerca sono emersi vari risultati, fra i quali il problema della violenza domestica, la mancanza di servizi per la donna e la famiglia, la salute riproduttiva. Anche in centro città il fenomeno della violenza domestica è presente, nonostante il maggiore benessere della “Shkodër bene” e la parvenza di una maggiore emancipazione della donna. Ma come approcciarsi al tabù della violenza domestica? Come entrare in relazione con donne e minori che vogliono uscire dalla loro condizione senza che vengano giudicate o che venga loro impedito di chiedere aiuto? La scelta di chiamare il Centro in generale “Centro Donna”, adottando una strategia di basso profilo e iniziando ad offrire dapprima servizi di vario tipo, si è rivelata vincente per permettere alle donne di avvicinarsi senza essere riconosciute dagli altri come vittime. Alketa, la direttrice, è convinta che solo in questo modo le prime donne bisognose di aiuto sono riuscite ad arrivare al Centro. Dopodichè il passaparola e le relazioni informali hanno fatto il resto. Un’altra scelta importante da parte dello staff di Passi leggeri riguarda l’avvicinamento alle donne che vivono nei quartieri più disagiati: l’apertura di tre centri polivalenti nei quartieri Mark Lulaj, Liria e Rom gestiti da donne leader che vivono in quelle zone della città.

Una delle leader che gestisce il centro polivalente a Mark Lulaj descrive così i risultati delle attività: “Il gruppo delle donne che prende parte ai diversi incontri ha creato un’amicizia. Noi non ci vediamo solo per lavoro ma anche per prendere un caffè, fare visita alle famiglie se qualcuno si fidanza, nasce un bimbo o muore qualcuno. Ci sentiamo bene come gruppo. Qui vengono donne che possono raccontare qualcosa che non va bene a casa e per sfogare i problemi della vita, perchè c’è qualcuno che le ascolta”. Quando una donna chiede aiuto si attiva tutto lo staff di Hapa të Lehte, per sostenerla dal punto di vista psicologico, sociale, medico e legale. Essere sempre efficaci non è semplice soprattutto nei casi in cui è necessario trovare un alloggio protetto per la donna e per i figli. La casa è solitamente di proprietà della famiglia del marito e se la moglie vuole separarsi è lei che deve trasferirsi. Nel Nord Albania sono poche le donne che possono permettersi economicamente di vivere da sole, oltre a dover convivere con il marchio sociale di separate o divorziate. Se non c’è collaborazione da parte della famiglia di origine spesso la donna è costretta a restare nella casa del marito accontentandosi di dormire in una stanza diversa da quella del marito. In questi casi garantire l’ordine di protezione della donna emesso dal Tribunale diventa impossibile. Anche i tempi lunghi della burocrazia e gli ostacoli nei rapporti con la Polizia e il Tribunale che spesso sono impreparati a gestire questi casi rendono il percorso di emancipazione della donna molto difficile. Negli ultimi anni tuttavia sempre di più le istituzioni contattano il Centro Donna per determinate situazioni. Arlinda, la psicologa di Hapa të Lehte, lo esprime così: “Il Centro Donna ha faticato molto per ottenere la credibilità da parte delle istituzioni. Oggi ne raccogliamo i frutti”. Associazione proponente RTM- Volontari nel Mondo è un’organizzazione non governativa con sede a Reggio Emilia. Dal 1973 promuove progetti di cooperazione e solidarietà internazionale in varie zone del mondo per rafforzare i diritti fondamentali della persona ed il suo sviluppo dal punto di vista sociale ed economico. In Kosovo ha gestito un progetto per l’empowerment femminile e l’apertura di Centri antiviolenza. Ora in Albania ha colto la sfida di WAVES.  G

Vicoletto davanti al centro donna

Le donne di Hapa të Lehte

Giornalino 2014 / 2015  19


STORYTELLING: ALBANIA

“HO SCELTO IO  QUEST’UOMO, ADESSO DEVO   VIVERE CON LUI.” Questa è la storia vera di una donna albanese. “Per sfuggire dalla violenza e dalla mia condizione ho deciso di farla finita. Il tentativo è fallito. Per mia fortuna ho poi potuto riflettere sulla mia vita e sul perchè ero arrivata a prendere una decisione del genere.   Ho preso i miei figli e sono scappata a Tirana. Alla TV avevo visto che lì c’era una casa protetta per donne. Una volta scesa dal furgon, un poliziotto mi dice che anche nella mia città c’è qualcuno che può aiutarmi: ’Hapa të Lehte’. Quindi riprendo il furgon e torno a Shkodër. Contatto Hapa të Lehte e incontro Jeta. Lei si spaventa nel vedermi messa così male: sporca, piena di cicatrici, un occhio nero. I miei bimbi stavano bene. Mi hanno dato da fare una terapia, che ho accettato con gratitudine. Una volta guarita, sono tornata da mio marito. Però avevo messo delle condizioni: lui doveva smettere di bere e io avrei potuto lavorare. Entrambi i desideri si sono esauditi. E’ stato il periodo più felice della mia vita. Ci amavamo e ci aiutavamo tanto. Purtroppo però questo paradiso non è durato a lungo. Riniziò a bere.   Le mie richieste non furono più ascoltate e riprese a picchiarmi. Con qualsiasi cosa… Infissi delle porte, bastoni, pugni. Poi un’altro scherzo del destino: mentre vado a lavoro vengo investita da un’auto. Mi fratturo le gambe e i medici mi asportano la maggior parte del fegato. Inizia la convalescenza in ospedale. I miei genitori vennero a farmi visita e io gli raccontai tutto su mio marito. Loro però non accettavano l’idea di un’altra mia fuga. Mi hanno detto che ho scelto io quest’uomo, quindi adesso devo vivere con lui. Ero disperata e ancora più insicura. Non sapevo più cosa fare.

20  Giornalino 2014 / 2015

Avevo il terrore di tornare a casa. Mio marito prima o poi mi avrebbe uccisa. Sono scappata. Senza i miei bimbi.   Hapa të Lehte mi ha aiutata di nuovo. Protezione, aiuto nelle pratiche per il divorzio. La giudice mi ha garantito l’affidamento dei figli. Sicuramente piano piano andrà meglio. Ho un appartamento, il mio lavoro e i miei bambini frequentano la scuola. Sto bene.Un pomeriggio esco con un’amica e suo cugino per un caffè. Il mio ex marito mi vede e diventa geloso, pensando che il cugino possa essere il mio nuovo compagno. In strada mi aggredisce e mi fa un taglio dietro l’orecchio con un coltello. Ho dovuto promettergli che sono sola e che non mi interessano altri uomini. Ma non sono rimasta inerme. Dopo alcuni minuti gli ho detto di lasciarmi andare.   Oggi mi prendo cura di me stessa e dei miei figli. Andrò in Italia: là ho una zia che mi aiuterà ad iniziare una nuova vita. Per poter partire il mio ex marito deve darmi il suo passaporto, ma l’ha perso. Senza la fotocopia di quel documento e il suo consenso non posso portare con me in Italia i bambini. Spero ed aspetto. Cerco di pensare positivo, perchè i pensieri positivi trasformano l’uomo.”


VIOLENCE

VIOLENZA CONTRO LE DONNE… COS’È?

“Con l’espressione violenza contro le donne s’intendono tutti quegli atti fondati sul genere che provocano o potrebbero provocare danno o sofferenza fisica, psicologica, sessuale, includendo la minaccia di questi atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà” (art.1 dalla Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, ONU, 1993).

] La violenza contro le donne è un fenomeno trasversale che colpisce tutte le donne, indifferentemente dalla loro appartenenza culturale o religiosa, classe sociale e età. In Europa e nel mondo la violenza nelle relazioni intime è la principale causa di morte e di invalidità per le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni. Secondo l’OMS dal 40% al 70% delle donne vittime di omicidio sono state uccise dai propri partner. In Italia circa il 30% delle donne subisce o ha subìto una qualche forma di violenza nella propria vita, rispecchiando così la statistica europea. Anche in Alto Adige la percentuale non cambia, solo l’anno scorso al Centro Antiviolenza di Bolzano si sono rivolte 217 donne e in tutta la provincia sono state 632. Nella provincia di Bolzano infatti oltre al Servizio Centro Antiviolenza e Casa delle Donne di Bolzano esistono anche i centri e le case protette di Merano e Bressanone e due Case per Alloggi Protetti a Bolzano e a Brunico. Queste strutture si occupano fondamentalmente della violenza domestica cioè di quella violenza che viene esercitata generalmente all’interno delle mura domestiche e viene agita da persone con cui si convive e di cui si ha fiducia. E’ la forma di violenza contro le donne più diffusa e si suddivide in varie tipologie:

Violenza sessuale consiste in qualsiasi imposizione di attività e / o rapporti sessuali senza il consenso, sia all’interno che al di fuori della coppia. Alcuni esempi: fare battute e prese in giro a sfondo sessuale, fare telefonate oscene, contatti intenzionali col corpo, avance sempre più pesanti, costringere a atti o rapporti sessuali non voluti, obbligare a prendere parte alla costruzione o a vedere materiale pornografico, imporre gravidanze, costringere a prostituirsi.

Violenza economica consiste in forme dirette ed indirette di controllo sull’indipendenza economica e limitano o impediscono di disporre di denaro, fare liberamente acquisti, avere un proprio lavoro. Alcuni esempi: sottrarre alla donna il suo stipendio, impedirle qualsiasi decisione in merito alla gestione dell’economia familiare, rinfacciare qualsiasi spesa, obbligarla a lasciare il lavoro o impedirle di trovarsene uno, costringerla a firmare documenti, a contrarre debiti, a intraprendere iniziative economiche, a volte truffe, contro la sua volontà, appropriarsi dei beni, fare acquisti importanti senza la consultazione del parere della moglie / convivente.

Stalking può manifestarsi tramite vere e proprie persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la persona ad uno stato di allerta, di emergenza e di stress psicologico. Questo comportamento non è attivato solo da sconosciuti, ma molto spesso da Violenza fisica consiste in qualsiasi forma di aggressività e familiari solitamente mossi dal risentimento o dalla paura di perdi maltrattamento contro le donne, contro il loro corpo e le cose dere la relazione. Alcuni esempi: telefonate, SMS, e-mail, continue che a loro appartengono. Spesso è esercitata con forza, per determinare nella donna un ruolo di sottomissione. visite indesiderate e, anche il pedinamento, raccolta di informazioni sulla persona ed i suoi movimenti, la persecuzione può arrivare a Violenza psicologica consiste in attacchi diretti a colpire delle vere e proprie minacce. la dignità personale, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti Quando una donna vive una situazione di violenza domestica colti a ribadire continuamente uno stato di subordinazione e una spesso queste forme, che noi distinguiamo per renderle più ricocondizione di inferiorità. Alcuni esempi sono: minacciare, insulnoscibili, vengono esercitate contemporaneamente, in particolar tare, umiliare, attaccare l'identità e l’autostima, isolare la donna, modo la violenza fisica, psicologica ed economica sono le forme più impedire o controllare le sue relazioni con gli altri, sbatterla fuori frequenti. casa o al contrario impedirle di uscire da sola di casa.

Giornalino 2014 / 2015  21


VIOLENCE / LAW

le forme e le dinamiche La violenza esercitata da un uomo all’interno di una relazione non è palese fin dal primo momento e nemmeno si scatena all’improvviso, la maggior parte delle volte trattasi di una dinamica che prende piede nella relazione giorno dopo giorno e che si può spiegare attraverso l’esercizio di potere e controllo da parte dell’uomo nei confronti della donna. Questa dinamica è strettamente connessa con i ruoli di genere all’interno della famiglia secondo canoni che si sono sviluppati nel corso della storia sociale e che oggi ancora influenzano le società in modo più o meno determinante a seconda dei processi di tutela dei diritti delle donne che vengono promossi all’interno dei diversi paesi. Il ruolo del capofamiglia insieme all’idea di una virilità maschile da dover affermare costantemente e come contraltare il ruolo della donna come responsabile della casa, dei figli e incarnazione di una femminilità che si suddivide tra ruolo di cura e mercificazione del corpo, hanno portato alla formazione di una famiglia di impostazione patriarcale che ancora oggi agisce nell’immaginario comune. E’ questa rappresentazione della relazione tra i generi che comporta l’uso della violenza, quando un uomo sente minacciato il proprio status e non riesce a gestire in modo produttivo le proprie emozioni nella direzione di un dialogo rispettoso e paritario. E’ importante ricordare che la violenza contro le donne in ambito domestico non colpisce solamente certe categorie della nostra società, è un problema di ordine sociale estremamente diffuso che come la stessa ONU sottolinea “è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro di loro, e ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne”.  G

22  Giornalino 2014 / 2015

LA LEGGE ITALIANA: A CHE PUNTO SIAMO? ] Per capire meglio la situazione italiana è bene ricordare che: solo dal 1975 una donna può chiedere il divorzio solo nel 1981 è stata abrogata la legge che imponeva il matrimonio riparatore Questo comportava che una donna violentata doveva sposare il proprio stupratore in quanto il matrimonio avrebbe “cancellato” l’atto sessuale avvenuto nel disonore, anche se l’atto veniva imposto con la violenza da un uomo su una donna; con la stessa abrogazione veniva finalmente cancellata la legge che contemplava il diritto d’onore per il coniuge che uccideva la propria moglie e / o il suo amante allo scopo di ristabilire il suo onore in seguito a un tradimento, questo diritto faceva sì che le pene fossero in questi casi attenuate visto il movente che riconosceva l’offesa al marito dovuta all’adulterio; infine solo nel 1996 è stata modificata la legge sullo stupro che finalmente non costituiva più un atto contro la morale, ma un vero proprio reato contro la persona. Nel corso della storia più recente, sono nate alcune convenzioni internazionali allo scopo di promuovere nei paesi che le hanno sottoscritte delle politiche di sostegno alle donne e di promozione dell’uguaglianza di genere. Nel 1979 è nata la Convenzione per l’Eliminazione di ogni forma di Discriminazione contro le Donne in seno alle Nazioni Unite. L’Italia l’ha firmata nel 1985. Nel 2011 però una commissaria speciale dell’ONU, Rachida Manjoo, ha sottolineato quanto l’Italia debba lavorare ancora molto nella direzione della tutela delle donne nel proprio paese, evidenziando il numero di femminicidi (Ogni forma di violenza esercitata su persone di sesso femminile allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità, fino alla morte.) troppo alto in Italia, dove le statistiche ci dicono chiaramente che ogni tre giorni una donna viene uccisa, per la maggior parte delle volte dal partner o ex partner; nel 2013 le donne uccise in Italia sono state 134. In Italia purtroppo non vi è ancora per le donne un completo accesso alla salute, un accesso paritario al lavoro e a cariche importanti e mancano le risorse per prevenire la violenza contro le donne attraverso formazione e creazione di un numero adeguato di strutture che possano sostenere le donne che chiedono aiuto. Nel 2010 è nata la legge sullo stalking che prevede di trattate questo reato in modo puntuale e specifico considerando anche gli effetti psicologici e fisici di questa violenza sulle donne. Nel 2013 è nata la legge contro il femminicidio. Queste leggi rappresentano un passo in avanti rispetto alla sicurezza delle donne ma non sono incisive sul piano della prevenzione e del cambiamento culturale. In questo senso ci si aspetta che l’Italia rispetti la Convenzione di Istanbul del 2011, cioè la Convenzione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne del Consiglio d’Europa e che è stata ratificata dal governo italiano nel maggio del 2013. Essa prevede una serie di azioni che promuovono una nuova cultura di genere nella direzione di pari diritti e uguaglianza economica e sociale tra uomini e donne.  G


STORYTELLING: A MAN’S STORY

“NON CAPIVO   PERCHÈ MI PROVOCAVA SEMPRE.” Il racconto che segue è inventato ma frutto dell’ascolto di più storie vere. “Tornai a casa e vidi i piatti sporchi nel lavandino. Il pavimento della cucina era sporco di pappa del bimbo. La mia ragazza dormiva già. Aprii il frigorifero, presi una birra e feci per prendere un bicchiere. La credenza era vuota, tutti i bicchieri erano a lavare. Nel mio stomaco la rabbia si accumulava. Sbattei la porta della credenza e bestemmiai. ‘Questa non sa nemmeno lavare i bicchieri’. Alcune cose nel nostro appartamento erano rotte. Mi devo calmare, altrimenti mia moglie stavolta le prende. La mattina dopo ci sedemmo tutti insieme al tavolo per fare colazione. Ero ancora arrabbiato per il disordine in casa. Quando lei mise la sua tazza di caffè nel lavandino le stoviglie sottostanti fecero rumore: sapevo che se non avessi lasciato la stanza sarei immediatamente esploso. Tirai un pugno sul tavolo della cucina rovesciando tutti i bicchieri. Lei mi guardò, con paura e disprezzo: ‘Tu sei malato’. Si voltò di nuovo e iniziò a lavare i piatti. Le urlai contro, la mia sedia cadde. Anche lei urlò. Nostro figlio cominciò a piangere, ma non ci interessò, eravamo troppo occupati a discutere. La afferrai per i capelli e la trascinai nella stanza degli ospiti, un forte spintone ed era distesa dall’altra parte della stanza. La guardai per un istante e poi me ne andai. Presi le chiavi della macchina e andai a lavorare.   Quando tornai a casa la sera era ancora sveglia. Notai una piccola ferita sulla fronte. Lo spigolo del letto nella stanza degli ospiti. Mi scusai. Lei mi guardò, ma non disse nulla e andò a letto. Non capivo il motivo per cui mi doveva sempre provocare. Sapeva cosa non sopportavo. Litigammo ancora. Non so perchè. Sentii la pressione dentro di me, non potei più controllarmi. Forse non lo volevo nemmeno. Le tirai addosso il te-

lecomando. Lei aveva paura, di questo ne sono sicuro. Afferrò tutto ciò che le capitava in mano e lo scagliò contro di me. ‘Tu sei malato! Malato!’, gridò. Ancora una volta mi diede del malato. Sbattei contro lo stipite della porta della camera degli ospiti. La camera degli ospiti… la nostra stanza privata. Forse perchè nostro figlio non vi era mai entrato. Mi faceva male la mano. Mi urlò di nuovo contro. Mi avvicinai a lei e le dissi di tacere. Non lo fece. Urlò ancora. Eppure le avevo detto di stare zitta. La picchiai. Giaceva col viso a terra. Lentamente si mise a sedere e mi guardò. Stava sanguinando. ‘Tu sei malato’ disse. Nostro figlio piangeva. Sentii un senso di indifferenza dentro di me e andai via. Era domenica, nessun lavoro. Quando tornai a casa la polizia era lì.   Mia moglie seduta sul divano ancora sanguinante con nostro figlio in braccio. Uno della Croce Rossa era seduto accanto a lei. In quel momento mi resi conto di quello che avevo fatto, avevo paura di me stesso. Mi arrestarono e mi ricoverarono in ospedale. Lì, mi diagnosticarono una depressione e ordinarono il ricovero nel reparto psichiatrico. Oggi viviamo separati. Posso vedere mio figlio una volta al mese, accompagnato da un assistente sociale. Alla mia ex-moglie non posso più avvicinarmi, c’è l’ordine di protezione. Mi sentivo impotente contro di lei. Ecco perchè l’ho fatto.” Contattaci Consultorio per uomini - Caritas 39100 Bolzano, Gumerplatz 6 oppure Lauben 9 Tel.: +39 0471 324 649 (Guido Osthoff) E-Mail: mb@caritas.bz.it

Giornalino 2014 / 2015  23


STORYTELLING: SOUTH TYROL

“NON PENSAVO   FOSSE VIOLENTO. SÌ, ERA MIO MARITO.” Racconto di una donna altoatesina. “Io e mia madre non siamo mai andate d’accordo. Mia madre era una donna aggressiva, mi picchiava duramente. La mia infanzia è stata tutta pianti e tribolazioni. Da mio padre non ho mai ricevuto aiuto. Sono stata sposata 20 anni con il mio primo marito. Non era una granchè, ma volevo andarmene di casa, via da mia madre. Mio marito soffriva di schizofrenia, eppure era guarito perchè l’avevano rilasciato dalla clinica psichiatrica. ‘Forse adesso andrà tutto bene’ mi ha detto.   Ma dopo tre anni è tornato di nuovo in ospedale. Poco tempo dopo è morto. Ufficialmente è stato un incidente sul lavoro, ma io non ci ho mai creduto. Ho avuto due figli da lui e non volevo restare sola. Poi ho conosciuto il mio secondo marito. Era una bella vita, ma non è durata a lungo perchè mi sono accorta che lui aveva due identità. Fuori un angelo e a casa una bestia. Non pensavo fosse violento. Sì, era mio marito. Era ossessionato dal sesso, così profondamente che non lo si può nemmeno immaginare. Voleva fare sesso continuamente e ovunque. In cucina, nella stalla, perfino all’aperto. Io non sentivo niente, io ero una nullità. Questo era inaccettabile. Era una processo meccanico, senza alcun sentimento. Sesso, botte e umiliazioni, questo era il mio matrimonio. Mi sentivo continuamente violata, anche se ero sua moglie. Ho avuto cinque figli, due dal primo marito, tre dal secondo. Dove penso di andare? Non ho il coraggio di lasciarlo!   La cosa peggiore era quando era ubriaco. Mi minacciava di uccidermi e io mi nascondevo. Se mi trovava si infuriava all’inverosimile. Una volta l’ho sorpreso con un’altra donna, lui mi ha assicurato che gli dispiaceva ma che non l’avrebbe lasciata. E’ diventato solo ancora più cattivo. Con gli altri lui era gentile e carino ma non si è mai interessato della sua famiglia. Con noi era cru-

dele e spietato. Un uomo senza consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Io so che il parroco che faceva catechismo a mio marito quando era piccolo ha abusato di lui. Quando l’aveva raccontato ai genitori, suo padre l’aveva picchiato fino a farlo diventare blu. Suo padre lavorava nell’esercito e la madre era casalinga. Lui doveva andare a letto con sua madre, ma non solo per darle affetto perchè si sentiva sola. Sono certa che è successo più volte. Dovevo andarmene via.   Alla fine ho ripreso in mano la mia vita. La mia salute ne risentiva sempre di più e non potevo più muovermi. Un giorno mi ha detto: ‘Voglio che tu sappia che se mi lasci io non ti aiuterò mai economicamente, per una come te non ho tempo’. Questa non era più vita. Dalla disperazione chiesi aiuto a chiunque: al sindaco, al medico di famiglia, alla caritas, ma nessuno mi ha aiutata. Ebbi un esaurimento nervoso e mi ricoverarono in ospedale. Nei giorni seguenti lui venne e mi desse: ‘Aha, l’ho sempre saputo che serve a te uno psichiatra e non a me’. Nessuna parola d’incoraggiamento, nessuna compassione, era freddo come il ghiaccio. Anche i nostri figli li ha picchiati su tutto il corpo provocando molti ematomi. Nel frattempo ho compiuto 65 anni e da quattro sono separata, ma il peggio è quello che ho appena saputo. Mio marito non ha violentato solo me, ma anche mia figlia. Non avevo mai avuto alcun presentimento, lei non mi ha mai chiesto aiuto. Forse per paura. Ora devo convivere con questo senso di colpa. Attualmente vivo sola in un piccolo appartamento con la mia modesta pensione. Niente nella mia vita è andato bene come adesso. Ho un buon rapporto con i miei figli, vengono a trovarmi e mi invitano. Posso sempre contare su di loro. Così posso trascorrere gli ultimi anni della mia vita con dignità.”

Da “Ich habe Ihn ja so sehr geliebt: Liebe, Gewalt und Träume. Bekenntnisse von Südtiroler Frauen”, Franz Plörer.

24  Giornalino 2014 / 2015


MIGRATION

IMMIGRATO! UN PUNTO DI VISTA ] L’8 ottobre ci siamo incontrati nel nostro ufficio di Operation Daywork a Bolzano per parlare di pregiudizi e razzismo in Alto Adige e discuterne in relazione al tema dell’immigrazione. Assieme a noi Sonja Cimadom, che ha un’esperienza di tre anni come corpo civile di pace in Kosovo e dal 2009 lavora con l’organizzazione OEW a Bressanone, presso la redazione del giornale di strada Zebra. Vorremmo iniziare chiarendo il significato di “razzismo”.” Per razzismo s’intende la differenza biologica, reale o immaginaria, tra gli esseri umani. Da qui prende forza il concetto di “razza” e la presunta idea dell’esistenza di diverse razze umane. Ovviamente si può parlare delle diverse caratteristiche tra gruppi umani, tuttavia queste differenze non si possono riunire in “razze”. Il razzismo si manifesta attraverso la discriminazione in maniera apertamente offensiva o nascosta, occulta nella vita quotidiana. Le discriminazioni sono azioni concrete e verbali contro idee politiche, nazionalità, identità, caratteristiche fisiche, credo religioso, visioni del mondo, provenienze, orientamento sessuale, disabilità, comportamenti, status sociale e molto altro. Sonja sa che circa a partire dagli anni ’90 si può parlare di immigrazione in Alto Adige: “tra il 2005 e il 2006 la popolazione immigrata è arrivata oltre al 6%”. L’Alto Adige dunque è, così come molte altre regioni e Paesi, una terra d’immigrazione. Tuttavia lei aggiunge: “ci sono anche le seconde generazioni di immigrati”. Con questa espressione s’intendono i figli dei genitori provenienti da altri Paesi, che però sono cresciuti e/o nati in Italia. Nonostante ciò un giovane della seconda generazione (spesso anche con un passato di immigrazione) viene comunque sempre visto con preoccupazione e paura da parte della popolazione locale, come uno sconosciuto. Tutti questi atteggiamenti si manifestano attraverso i pregiudizi, gli stereotipi, l’attenzione verso certe qualità e caratteristiche: discriminazione. “Ci sono rigide categorie che non vengono mai messe in discussione. È come uno scaffale con i cassetti sempre chiusi”, sottolinea Sonja. La sfida è diventare consapevoli dei proprio pregiudizi. Indagarli e mettersi in gioco riduce i comportamenti discriminatori. “discriminare è dare un giudizio prima di conoscere” dice Sonja, cosciente che gli stereotipi, i pregiudizi e la discriminazione non riguardano solo gli immigrati e le immigrate, ma anche gli omosessuali, gli Schützen ma anche molti altri “diversi”. Dalle immigrate e dagli immigrati in Alto Adige ci si aspetta sempre che si adattino. Tuttavia adeguarsi non è così semplice, visto che in Alto Adige si parlano tre lingue: italiano, tedesco e ladino. Come la storia ci insegna, la convivenza tra diversi gruppi linguistici non è stata sempre facile. Ma deve essere superata questa fobia di relazionarsi con l’altro, lavorando e vivendo assieme. In Alto Adige vivono intanto persone provenienti da 137 Paesi diversi, che tuttavia non sono tutti inseriti dagli “autoctoni” nella categoria degli immigrati. I tedeschi vengono definiti “turisti”, i marocchini degli “ambulanti rompiscatole”, gli africani neri vengono denominati con appellativi dispregiativi e gli albanesi i “violenti”. Ordiniamo e semplifichiamo l’ambiente in cui viviamo attraverso categorie e pregiudizi per orientarci meglio. Può quindi capitare di giungere a conclusioni non logiche, come paragonare una persona di carnagione scura automaticamente con la condizione di povero.

Sonja aggiunge che le persone di origine albanese, benchè siano di carnagione chiara in confronto ai neri africani, vengono inclusi nella categoria dei “neri”. Questo meccanismo dimostra, ancora una volta, quanto il razzismo sia presente nella nostra società, dove gli uomini sono posizionati in una scala valoriale nella quale le persone con la pelle scura (rispetto a chi?) sono all’ultimo posto. I media si servono dei pregiudizi e delle visioni semplificate per raggiungere la grande massa delle persone. Ne risulta un quadro impreciso e falso della realtà, come ad esempio la relazione tra violenza e l’origine albanese. Sonja ci parla anche del rapporto tra il consumo di droga e alcool e la violenza. Anche qui il continuo paragone con i pregiudizi e le opinioni negative provocano un gran senso di impotenza e non fanno altro che provocare anzichè afforntare la questione. Alla nostra domanda, sul perchè delle preoccupazioni e le paure nei confronti degli immigrati e immigrate, Sonja risponde: “Sono le esperienze, ma anche i pregiudizi e i mass media ad imprimere e influenzare la nostra consapevolezza interiore”. Spesso non siamo coscienti dei nostri stereotipi e atteggiamenti discriminatori. E per di più, continua Sonja: “la convinzione alla base di questi pregiudizi è infondata”. Per finire vogliamo sapere quali possono essere le concrete possibilità per migliorare la nostra società altoatesina: “Bella domanda!La relazione diretta con le persone, la tolleranza e la conoscenza delle lingue sono il modo migliore per diminuire la diffidenza. Condivisione, gentilezza, desiderio di integrazione dovrebbero avvicinarci reciprocamente”.  G

Giornalino 2014 / 2015  25


STORYTELLING: ITALY

“QUESTA È   DAVVERO UNA VITA DIGNITOSA?” La storia è inventata e si basa sulla lettura di interviste e storie reali di donne immigrate in Italia. In Italia molte donne vivono la fatica quotidiana di vedere rispettati i propri diritti e lottare per cambiare situazioni di discriminazione e violenza: nelle relazioni, nell’educazione, nel mondo del lavoro e così via. Tra queste, ci sono molte donne di origine straniera, che devono fare i conti anche con altri problemi.   L’obbligatorietà di un permesso di soggiorno o di altro documento ritenuto valido per poter risiedere regolarmente in territorio italiano, ha conseguenze sulla difficoltà di godere dei propri diritti, come la tutela da parte delle istituzioni italiane nell’assistenza sociale per ottenere un alloggio a basso costo o un sussidio familiare, ma anche nell’assistenza sanitaria per accedere alle cure e per la sicurezza in caso di necessità di denuncia o tutela da parte della legge. “Le straniere sono giudicate cittadine di serie B, non solo al cospetto degli uomini, ma al confronto delle donne italiane”.1   Molte donne immigrate sempre di più accettano qualsiasi condizione lavorativa. Spesso nell’assegnazione dei posti di lavoro non viene dato valore ai titoli di studio nè alle esperienze precedenti. Queste donne sono costrette a svolgere lavori dequalificanti come pulizie, colf e badanti. Lavori in nero, senza garanzie di continuità o con l’accordo di pagare loro stesse i contributi previdenziali. Ci sono inoltre casi di donne che vengono portate in Italia con l’inganno, costrette a prostituirsi e diventare schiave in un mercato illegale fatto di ingiustizia e violenza. C’è poi la dimensione individuale: ognuno con il suo passato, la sua storia personale. Il cambiamento spesso inaspettato o la fuga a causa della guerra, la scelta di emigrare per sopravvivere o per migliorare la vita propria e quella dei figli. Il viaggio per giungere in Italia, sempre più rischioso e

26  Giornalino 2014 / 2015

causa di morte di molte, troppe persone. La mancanza della famiglia, gli affetti, la propria comunità. Se oltre a tutto questo sopraggiunge la violenza, quanto diventa pesante lo zaino che queste donne tengono sulle loro spalle? Leggendo uno stralcio della storia di Sheila, immigrata in Italia, si possono capire meglio alcuni dei disagi che rendono queste donne più vulnerabili:   “Finalmente la risposta delle istituzioni: i documenti per il ricongiungimento sono pronti! Il tempo di fare le valige, salutare tutti con un velo di tristezza ma anche un pizzico di eccitazione per quello che mi aspetta…. Basta coprifuoco, basta paura, basta insicurezza verso il domani. Eccoci qua, tutti e tre, insieme dopo 2 anni e mezzo di attesa, di solitudine e di rammarico nel non poter condividere con mio marito la crescita di nostro figlio. L’impatto con la realtà italiana è duro: non immaginavo tanta diffidenza. Busso alla porta della vicina per presentarmi e mi sento dire ’qua non c’è niente da vedere, non voglio niente’. I primi tempi sono stati anche pieni di gioia, nel veder tornare mio marito a casa, cenare insieme, come una vera famiglia. Capisco subito che se voglio integrarmi devo imparare l’italiano, ma mio marito lo trova assurdo, perchè tanto c’è sempre lui con me che può tradurre e non è necessario che mi disturbi tanto. Così non mi è concesso fare la spesa da sola, tanto meno frequentare gente che non faccia parte della nostra comunità immigrata qui. Il piccolo per ora lo tengo a casa, dalle elementari lo manderò a scuola. Le giornate passano lente e mi ritrovo ad interagire solo con il mio bimbo, nessuna amicizia, nessuna scoperta del nuovo mondo: reclusa. Proprio mentre inizio a pensare che non è possibile continua-


STORYTELLING: ITALY

re così, scopro di essere incinta. Alla gioia si mescola tanta paura: non ho nessuno che possa aiutarmi con il mio primo figlio eccetto qualche volta mio marito, costretto a rimanere a casa in cassa integrazione dal lavoro. Lo spettro del permesso di soggiorno ritorna: se non c’è lavoro i documenti non saranno rinnovati. Durante la gravidanza mi rendo conto ancora di più della dipendenza da mio marito.   Solo lui può accompagnarmi alle visite dal ginecologo di turno. Per me non è facile rilassarmi e dare fiducia ad un uomo. So che mi deve visitare, ma nel mio Paese era tutto così diverso! Il medico qui usa metodi che non conosco e per di più non capisco cosa mi dice! Salto le visite di controllo successive, mio marito preferisce così, anche se per me sarebbe stato meglio un po’ di disagio ma più sicurezza per me e il bimbo in arrivo. Passano 3 anni e finalmente arriva il momento di insistere: voglio lavorare. Ce n’è molto bisogno, per me stessa e per compensare il misero stipendio di Jusuf, che finalmente accetta di lasciarmi andare solo finchè lui troverà un lavoro più redditizio. Riesco a trovare un lavoro in nero come addetta alle pulizie nello studio di un avvocato 2 volte in settimana. Mi è permesso di portare Maryam, la piccola. Mentre lavoro lei gioca cercando di aiutarmi nelle faccende. Un giorno l’avvocato, un uomo tutto sommato gentile, tranquillo, mi chiede di poter restare mentre pulisco il suo ufficio. Avverto una sensazione strana, un filo di paura, ma annuisco e faccio finta di niente, nonostante inizi a farmi delle avances e tutto quello che succede in seguito. Davanti agli occhi inermi di mia figlia.   Ho cercato di fare finta di niente per tanto, troppo tempo, finchè il mio corpo e la mia anima hanno retto:

non volevo e non potevo perdere il lavoro. Rientro a casa. Non ho il coraggio di raccontare la verità a mio marito. Lo trovo sdraiato sul divano, addormentato con una bottiglia vuota a fianco. Tanti interrogativi mi scorrono in testa… Cosa fare, a chi affidarsi? Parlare con qualcuno del consultorio? Non posso andarci da sola, nessuno mi capisce. Dove trovo la forza di andare dalla polizia? Come faccio senza documenti validi? E chi lo sente poi mio marito? Ma sopportare e andare avanti così è possibile? E’ davvero questa la vita dignitosa cui gli esseri umani ambiscono?”   Sheila può veramente essere solo una vittima impotente? Mettere anche e soprattutto le donne immigrate non solo nelle condizioni di sopravvivere, ma di poter far valere i propri diritti e uscire dalla situazione di violenza assume il forte significato di lottare per tutte le donne indifferentemente dalla loro provenienza o da un’identità segnata su un pezzo di carta. da “Io non mordo ve lo giuro.” Storie di donne immigrate in Italia, P.F. Gallo.

1

Giornalino 2014 / 2015  27


CONSEQUENCES

VIOLENZA. LE CONSEGUENZE ] Se si parla delle conseguenze della violenza contro le donne bisogna partire innanzitutto dall’assunto che essa rappresenta una negazione dei diritti fondamentali della persona, cioè quello di essere protetti da ogni forma di violenza come sancito da diverse Convenzioni internazionali. Vivere o aver vissuto in una situazione di violenza intrafamiliare, oppure aver assistito ad essa, può difatti portare a ripercussioni gravose sul benessere psico – fisico della persona e sulla sua capacità relazionale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute di enorme proporzione. A livello mondiale si stima che la violenza sia la una delle prime cause di morte o disabilità per le donne in età riproduttiva altrettanto grave quanto il cancro e una causa di cattiva salute più importante degli effetti degli incidenti stradali e della malaria combinati insieme”. World Health Organization. Violence against women.Women’s health and development programme. Geneva: WHO 1997. Le conseguenze della violenza sul benessere psico – fisico della donna possono essere dirette o indirette. Gli effetti diretti possono variare tra fratture, lividi, lesioni, gravidanze indesiderate e malattie sessualmente trasmissibili. Gli effetti indiretti della violenza invece, scatenati dallo stress derivante da una tale situazione, possono provocare il malfunzionamento del sistema immunitario e / o portare ad assumere uno o più comportamenti a rischio (disturbi alimentari, trascuratezza della salute, abuso di farmaci o stupefacenti e tentativi di suicidio). Le donne che hanno subìto violenza presentano spesso disturbi ginecologici e gastrointestinali, dolori cronici, fatica cronica e mal di testa. Per quanto concerne il benessere prettamente psicologico, la violenza può avere diverse conseguenze dirette, spesso a lungo termine, tra le quali un complesso di reazioni emotive come ansia acuta e dissociazione e, nei casi di maggior gravità, una sindrome postraumatica, ovvero, violenze gravi o perpetrate nel tempo possono provocare un sentimento di paura generalizzata, uno stato di allerta e tensione costante e, come conseguenza più frequente, disturbi depressivi.Aver subìto o subire violenza da una persona che si ama o a cui si è legati affettivamente, lede la stima di sè provocando sentimenti frustranti di impotenza e incapacità di agire.

28  Giornalino 2014 / 2015

La violenza ha inoltre un impatto negativo sulle relazioni interpersonali e mina la fiducia negli altri e nell’ambiente circostante, causando sensi di colpa e sentimenti di confusione e di vergogna. La conseguenza forse più gravosa ed estrema della violenza di genere è il femminicidio. In Italia nel 2013 sono state uccise 134 donne per mano di un partner intimo o un membro maschile della famiglia. Bambini che hanno assistito a scene di violenza domestica spesso denotano problemi di salute psicofisica e di comportamento, possono avere difficoltà a scuola e problemi nell’instaurare relazioni intime positive. Esperienze di violenza assistita durante l’infanzia sono stati indicate quindi come fattori ad alto rischio per lo sviluppo psicofisico dei bambini e possono comportare una riproduzione della dinamica di violenza nelle relazioni intime in età adulta, si può innescare quindi un processo di trasmissione della violenza da una generazione all’altra. Anche considerando i costi sociali, economici e sanitari della violenza contro le donne, i dati dimostrano che ostacola il progresso dello sviluppo umano ed economico in quanto nega alle donne la possibilità di una piena partecipazione nella società e nel mondo del lavoro. I costi indiretti non monetari come il dolore e la sofferenza che provocano un aumento dei stati patologici e disturbi depressivi, insieme ai costi diretti come l’assistenza socio-sanitaria delle vittime, sono difficili da misurare quantitativamente, ma hanno senza dubbio un notevole impatto sullo sviluppo di un paese. Infine forse è importante sottolineare che non tutte le donne che hanno subìto violenza hanno ripercussioni sul benessere fisico. Quest’ultima affermazione trova giustificazione nel fatto che le conseguenze della violenza dipendono molto anche dalla frequenza, dalla tipologia della violenza subita e dalla gravità degli abusi. Inoltre, assume valore soprattutto il tipo di sostegno e di aiuto che queste donne trovano o hanno trovato.  G


HELP

CHE FARE?

possono essere ospitate insieme ai loro figli per sei mesi. Il lavoro ] In Alto Adige esistono tre centri antiviolenza. Il primo a nascere sul territorio e quello di Merano gestito dall’Associazione delle diverse strutture offre così la possibilità di fornire sostegno “Donne contro la violenza – Frauen gegen Gewalt Onlus” che dal alle donne in qualunque momento esse richiedano aiuto.  G 1993 offre il servizio del centro d’ascolto e della Casa delle Donne di Merano per conto della Comunità Comprensoriale Burgraviato. Associazione Gea Dal 2000 anche a Bolzano nasce il servizio Centro Antiviolenza per la solidarietà femminile contro la violenza e Casa delle Donne di Bolzano gestito dall’Associazione Gea per Centro Antiviolenza – Casa delle Donne di Bolzano la solidarietà femminile contro la violenza per conto dell’Azienda Via del Ronco 21, Bolzano dei Servizi Sociali di Bolzano. Infine a Bressanone nasce il Centro Telefono: 0471 513 399 Antiviolenza della Comunità Comprensoriale della Valle Isarco Nr. verde attivo 24 ore su 24: 800 276 433 che offre anch’esso il servizio Casa delle Donne. Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza possono godere di Donne contro la violenza consulenze psicosociali gratuite da operatrici specializzate che le Centro Antiviolenza – Casa delle Donne di Merano aiutano a riconoscere ed elaborare la violenza vissuta. Corso Libertà 184 / A, Merano Questo accompagnamento avviene nel rispetto dei bisogni e della Telefono: 0473 222 335 volontà delle donne, non comporta obblighi di nessun tipo da un Nr. verde attivo 24 ore su 24: 800 014 008 punto di vista legale e viene offerto sulla base di un principio di solidarietà femminile e con un approccio di ascolto ed accoglienza. Le donne che hanno bisogno di protezione e sicurezza, se lo Centro Antiviolenza – Casa delle Donne di Bressanone vogliono, possono accedere alla struttura protetta, una struttura ad Via Stazione 27, Bressanone indirizzo segreto dove possono venire ospitate insieme ai loro figli. Telefono: 0472 820 587 La permanenza presso la Casa delle Donne non solo offre protezioNr. verde attivo 24 ore su 24: 800 601 330 ne da una situazione di violenza ad alto rischio fisico e psicologico, ma anche la possibilità di riprendersi e decidere in libertà quale Casa degli Alloggi Protetti percorso scegliere per poter ridare a sè e ai propri bambini una vita Tel. Bolzano: 0471 970 350 / Nr. verde: 800 892 828 sicura e serena. Le donne ospiti presso la struttura protetta e quelle Tel. Brunico: 0471 970 350 / Nr. verde: 800 310 303 che si rivolgono ai centri d’ascolto possono usufruire inoltre di una consulenza legale gratuita per poter avere le informazioni necessarie per eventuali separazioni, denunce e tutto ciò che concerne il diritto di famiglia e i procedimenti strettamente legati alle situazioni di violenza domestica. I tre centri antiviolenza dell’Alto Adige dispongo inoltre di un numero verde gratuito attivo 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno per rispondere alle richieste di consulenza o di emergenza da parte delle donne. Quando ci si trova a vivere una situazione di violenza domestica molto spesso si hanno molti dubbi su quale sia realmente la condizione in cui si sta vivendo. Ci si sente sole, si teme di non essere credute, oppure si ha paura di uscire allo scoperto, si temono le conseguenze del denunciare la situazione. Anche quando si conosce una donna che subisce violenza spesso si prova rabbia, incredulità e si vorrebbe fare qualcosa, ma non sempre è facile sapere cosa è meglio consigliare. Per tutti questi motivi esistono i centri antiviolenza, che grazie a personale specializzato, a esperienza specifica sul campo, a conoscenza e promozione dei diritti delle donne, possono offrire percorsi personalizzati, adeguati alla storia, alla situazione e agli obiettivi delle donne e nel rispetto delle loro sensibilità. In Italia esistono molti centri e molte case. Purtroppo non sono sufficienti a coprire le esigenze e le richieste sul territorio nazionale. Fortunatamente la situazione altoatesina è migliore grazie anche a una legge provinciale contro la violenza che sancisce una serie di requisiti essenziali per il sostegno alle donne. In Alto Adige oltre ai centri antiviolenza sopra citati esistono due Case per Alloggi Protetti, una a Bolzano e una a Brunico. Tutte le strutture esistenti offrono in totale 41 posti, posti in cui le donne

Giornalino 2014 / 2015  29


CHANGE

LA FORZA DEL CAMBIAMENTO

MONDO ARABO Le donne arabe si difendono postando sulla pagina facebook „the uprising of women in the arab world“ le loro esperienze, storie ed opinioni. Queste donne

Pakistan

lottano per avere più diritti nel loro Paese. Al momento

Malala Yousafzai è un’attivista per i diritti dei bambini

ca. 124.000 persone hanno messo „mi piace“ alla loro

del Pakistan, che ha scritto dal suo 11esimo anno di vita

pagina.

in un blog della BBC le atrocità commesse dei talebani pakistani. Insieme a suo padre si impone contro il divieto delle ragazze di andare a scuola, ascoltare musica, ballare e entrare in spazi pubblici senza velo. Nel 2014 le è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace.

Olanda Dollen Minas: „Dollen minas“ è un movimento di protesta di studentesse, che combatte per la giustizia e la posizione della donna nella società. In passato, hanno Cina

agito con manifestazioni anche estreme. Hanno rapito

Blogger cinesi attraverso i post dei blog privati richia-

per esempio uomini, per poi rilasciarli nuovamente da

mano l’attenzione sulla situazione delle donne in Cina.

qualche parte in mezzo al verde oppure hanno preso

Con ciò vogliono attirare l’attenzione di tutti al fine di

d’assalto i redattori della rivista femminile „ Margriet “.

portare la società a riflettere. Esempio di una Blogger: „Senza dubbio, la Cina è un Paese in cui viene incitata e promossa l’uguaglianza di genere, sia dalla legge che in politica. La parità tra uomini e donne è profondamente radicata nel nostro Paese. Tuttavia, è strano, che questa uguaglianza si venga spesso a trovare solo in slogan o documenti. Poichè appena la si cerca nella società, è già sparita. Di impiegate in Cina ce ne sono davvero poche. E le donne che occupano una carica davvero importante sono ancora meno. Non importa se in ambiti politici o economici, ovunque è lo stesso. (…)“ USA In occasione di Miss America le elezioni del 7 settembre del 1968 hanno attirato circa 400 femministe a Atlantic Turchia

City con lo slogan „Le donne non sono carne“. Hanno

Seyran ates, avvocatessa e autrice tedesca di origine

gettato in una cosidetta „pattumiera della liberta“ gli

turca, lotta attraverso le sue pubblicazioni e conferenze

„strumenti di tortura femminile“ come tacchi a spillo,

contro ogni forma di oppressione femminile, come

corsetti, trucchi, prodotti per la pulizia ecc… Questo

l’obbligatorietà dell’uso del velo, il matrimonio forzato e

divenne il punto di partenza per tante altre azioni di

il delitto d’onore nel mondo musulmano.

protesta negli anni successivi.

30  Giornalino 2014 / 2015


CHANGE

Francia Coco Chanel: La stilista Coco Chanel a metà del 20° secolo, ha ottenuto grazie alle sue novità nella moda femminile, un cambiamento nel modo di pensare ed agire della donna. Questo grazie al suo taglio corto di

America Latina

capelli, le gonne lunghe fino alle ginocchia, i pantalonci-

La posizione della donna in America Latina è stata subor-

ni e gli abiti da donna comodi e senza corsetto.

dinata per decenni. Pertanto, le femministe cilene nel settembre 1997 proclamarono : „Senza donne, nessuna

Simone de Beauvoir: L’autrice descrive nella sua opera

democrazia“. In tal modo si volle rafforzare l’influenza e

„Il secondo sesso“ la situazione della donna negli anni

la possibilità di partecipazione della donna in alte cari-

’20. L’opera storico-sociale e filosofica della scrittrice

che politiche. E ciò ottenendo significativi successi.

francese è considerato uno dei manifesti del movimento femminista.

Alto Adige

Italia

Alto adige Uomini contro la violenza: è una piattaforma

Nel 1960 la società femminile in Italia visse un drastico

di comunicazione che crea uno spazio pubblico per

cambiamento. Attraverso lo slogan „Tremate, tremate,

immagini di riflessione e che si impegna duramente

le streghe sono tornate!“ molte donne trovarono il co-

per una vita senza violenza. In termini di diversità, non

raggio di alzare la voce contro il ruolo culturale maschi-

violenza, consapevolezza e responsabilità.

lista della donna di madre, simbolo dell’amore e dolce e amorevole creatura. Le donne sanno essere anche ribelli e determinate nella lotta per i propri diritti.

Albania Vera Lesko: Pioniera del 1997 nella lotta al traffico di donne in Albania. È attiva soprattutto al porto di Vlorë, Giappone

dove si concentrano i trafficanti di esseri umani che ge-

Il movimento femminista in Giappone festeggia il suo

stiscono la tratta di donne e minorenni da tutti i Balcani

primo successo all’inizio degli anni ’20, con la parteci-

verso l’Italia e l’UE. È fondatrice del Centro Vatra, che

pazione alla vita politica delle donne. Nel 1947 si arriva

offre supporto psicologico alle donne vittime di tratta.

finalmente al diritto di voto.

Nel 2003 ha vinto l’Anti-Slavery International Award.

Liberia Ellen Johnson Sirleaf (Presidentessa della Liberia), Leymah Roberta Gbowee (attivista per i diritti civili e politici

Egitto

in Liberia) e Tawakkul Karman (giornalista, politica e atti-

Con la caduta della dittatura (2010) vi è stata immediata

vista per i diritti umani, proveniente dallo Yemen), grazie

un’espansione del movimento delle donne egiziane, da

alla loro lotta nonviolenta per la sicurezza e i diritti delle

allora sempre più donne e uomini egiziani si impegnano

donne ottengono il Premio Nobel per la Pace.

per avere l’uguaglianza tra i due sessi.

Giornalino 2014 / 2015  31


MASS MEDIA

DONNE   MEDIA ] I mass media, assieme ai new media come i social network fanno parte da tempo della nostra vita quotidiana e contribuiscono a costruire l’idea della realtà che ci circonda offrendo modelli, valori, stili di vita. Essi sono come un filtro che offre la possibilità di conoscere il mondo stando comodamente seduti sul nostro divano di casa. Ma siamo sicuri che tutto quello che viene rappresentato in TV corrisponde alla realtà empirica? Riusciamo ogni giorno ad essere spett-attori attivi, quindi consapevoli dell’influenza che certe immagini hanno su di noi? Soffermiamoci ad esempio sui mezzi di informazione quali sono i telegiornali, possiamo chiederci: quali sono le logiche del newsmaking, in particolare riguardo i casi di violenza contro le donne? Alcune ricerche hanno evidenziato che esiste uno “scarto” tra ciò che viene raccontato e la realtà empirica. I casi di femminicidio in Italia vengono compiuti nel 99% dei casi (dati 2013) da persone che la vittima conosce, in particolare da loro ex o attuali compagni o mariti. Nonostante ciò i TG danno molto più spazio a notizie di omicidi compiuti da sconosciuti e, tra questi, stranieri. Anche qui i dati affermano che sono più numerosi gli atti criminosi compiuti da cittadini italiani. Anche l’età e la presenza di particolari strani o curiosi attirano l’attenzione dei giornalisti: donne giovani, belle, ma anche efferati omicidi multipli, particolari come la fuga in taxi da parte dell’assassino. Spesso durante i servizi di cronaca scorrono immagini di donne vestite in maniera succinta, in luoghi bui e isolati, come per far emergere anche una loro parte di colpa. Dal punto di vista del linguaggio molte parole vengono usate in maniera impropria: omicidi da parte di mariti o ex vengono definiti delitto passionale, che ricorda tristemente il delitto d’onore (legale fino al 1981!) o tragedia / dramma di gelosia che sembra giustificare l’atto come una semplice degenerazione della “normale” manifestazione di possesso della “propria”donna da parte dell’uomo. Quando non è chiaro il movente dell’omicidio si trova la causa in un improvviso raptus di follia anche se nella maggior parte dei casi vi sono state denunce e provvedimenti verso l’autore della violenza. Anche la formula linguistica dello scontro fra culture viene utilizzata per spiegare l’uccisione di donne da parte di “barbari” stranieri. Perchè avviene questo? Una causa è da ricercare nella strumentalizzazio-

32  Giornalino 2014 / 2015

&  ne politica del fenomeno, per costruire una retorica anti immigrazione, costruendo un allarme sociale per raggiungere consenso verso una linea repressiva nei confronti degli stranieri. Porre in primo piano i casi di omicidio da parte di sconosciuti e spiegarlo appellandosi alla follia, è legato spesso ad una generale volontà di allontanare l’idea che la violenza domestica sia una caratteristica molto presente nella società, nelle famiglie, nelle relazioni intime e quindi ci si difende da questa scomoda verità cercando risposta in chi è diverso, straniero, malato, altro. La giovane età, la bellezza fisica, la nazionalità e l’attenzione a particolari curiosi o inquietanti sono variabili legate al raggiungimento di un maggior audience. Si è instaurata in Italia quella che Surette chiama Law of opposite, ossia diventano notizia gli eventi straordinari a scapito di quelli ordinari, ricorrenti. Questo dimostra da un lato il vero obiettivo dei mezzi di informazione ossia ottenere un elevato audience, dall’altro lato la tragica “normalità” del fenomeno della violenza domestica. Un altro aspetto riguarda la rappresentazione della donna nelle pubblicità e nei programmi TV. L’Indagine Women and Media in Europe del CENSIS già dal 2006 ha definito l’Italia un Paese in resistenza, poichè promuove un’immagine stereotipata della donna. Ma cosa significa questa espressione? Osservando le immagini televisive è facile notare una sovrabbondanza di immagini femminili che rimandano sempre al loro corpo o ad alcune delle sue parti, soprattutto seni e glutei. L’idea di bellezza dominante emerge attraverso donne dai corpi scolpiti bloccate innaturalmente nel tempo e bambine sessualizzate. La donna è identificata come oggetto sessuale e in quanto tale viene utilizzata nella pubblicità per trasferire il desiderio dal suo corpo al prodotto pubblicizzato, anche se spesso questo non ha nulla a che fare con la donna in sè. Persino l’istigazione alla violenza sessuale viene ostentata pur di rendere attraente un prodotto di


MASS MEDIA

Vuoi saperne di più? Watch the videos! ^^ Il corpo delle donne di L. Zanardo ^^ Se questa è una donna di L. Attanasio ^^ Il corpo femminile nei messaggi pubblicitari di E. Giomi

mercato. La regola dell’indice di ascolto mette in concorrenza diversi programmi e agenzia di media, che tuttavia attingono sempre dallo stesso modello dominante: donna vittima passiva nella cronaca nera, velina, o nel ruolo domestico o di madre di famiglia. In tutti questi casi lei non ha diritto di parola. Le donne che lavorano nelle agenzie televisive sono poche e non ricoprono incarichi di potere. Anche se in Italia sono stati fatti importanti passi avanti sul diritto di ogni donna ad essere emancipata e padrona del proprio corpo, soprattutto grazie alla lotta dei movimenti femministi negli anni ’70, oggi emerge un’immagine della donna che offre il suo corpo in funzione dell’altro. Dall’emarginazione si è arrivati alla mercificazione della donna. Così come nel caso della rappresentazione della violenza domestica, anche qui avviene una distorsione della realtà, uno scarto tra la rappresentazione della donna e la sua vita reale fatta di identità, ruoli, stili di vita e desideri diversificati. Questo ha delle conseguenze: l’esposizione continua di immagini ipersessualizzate influenza il modello che ogni persona elabora della propria sessualità, adeguandosi ad un’idea di ruoli di genere dove la donna deve essere solo il suo corpo o alcune delle sue parti. Ma anche l’uomo è sempre più rinchiuso nel modello di macho eterosessuale dominatore, con un corpo scolpito, rappresentativo di un modello in cui probabilmente non sempre si identifica. Non si tratta quindi di ingiustizia e discriminazione solo nei confronti delle donne: l’umiliazione di un genere colpisce inevitabilmente anche l’altro. In Italia la società civile ha iniziato a fare sentire la sua voce promuovendo una riflessione critica sulla rappresentazione della donna nei media, come il blog comunicazionedigenere. Allo stesso tempo vengono promosse campagne di sensibilizzazione che pongono al centro un’immagine diversa da quella tipicamente shock della donna sottomessa. Ne è un esempio la campagna internazionale del Fiocco Bianco portata anche in Italia.  G

Giornalino 2014 / 2015  33


SEX-GENDER

SESSO & GENERE Sesso s’intende il carattere biologico, innato di un individuo Genere senso di appartenenza ad un’identità sessuale, in riferimento al contesto sociale e culturale ] Quando nasce una bimba, naturalmente gioca con le bambole e con i peluches, ama il colore rosa, è diligente a scuola e quando sarà adulta probabilmente diventerà insegnante, maestra d’asilo o infermiera. Il neonato maschietto riceve ovviamente una tutina blu, per il primo compleanno una scavatrice e un martello giocattolo, certamente giocherà a calcio e farà carriera professionale in un’azienda o come matematico. L’uomo forte, la donna sensibile. Papà e mamma. Adamo ed Eva. Perchè complicare inutilmente lo stato delle cose? C’è logicamente una chiara differenza biologica, che la natura senza secondi fini ha previsto. Tuttavia può non essere così evidente neanche la natura. Non è sempre facile determinare il genere biologico di un uomo. C’è una cosiddetta intersessualità, per la quale non è semplice determinare il sesso. Inoltre c’è anche la transessualità: dall’infanzia le persone possono non sentirsi a casa nel proprio corpo, perchè sentono un’appartenenza ad altri generi. Nel 1952 un trio di scienziati americani ha analizzato molti casi di neonati intersessuali, giungendo alla conclusione che i bambini crescono nei ruoli che i chirurgi hanno affidato alla loro vita dopo la nascita. Da questo hanno quindi dedotto che i neonati intersessuali sono di natura neutrale e sarebbe quindi l’educazione ad assegnare loro un’identità di maschio o femmina. Gli esperti concludono richiamando l’attenzione alla costruzione culturale: il comportamento e l’orientamento sessuale di donna e di uomo non hanno una base innata: c’è dunque una chiara differenza tra sesso e genere. Questo significa che un uomo ha delle caratteristiche biologiche che determinano il suo sesso, mentre il suo “genere” rimane sullo sfondo. Può quindi essere grammaticalmente corretto chiedere “what gender?”, anzichè “what sex is this

Gender

è…

person?”. Anche il concetto di relazioni “normali” tra persone dello stesso sesso sarebbe, secondo queste teorie, da mettere in discussione. L’orientamento sessuale di un uomo è influenzato dalla società, di conseguenza lo stesso modello di eterosessualità è dovuto al nostro ordine sociale. Negli anni ’90 tale affermazione ha provocato molto scalpore. Gli omosessuali hanno lottato per i loro diritti, gli omofobi ne sono rimasti scioccati. Concetti come uomo, donna, ragazzo, ragazza assumeranno in futuro più complessi e multisfaccettati significati. Ma è lecito chiedere: “È un lui o una lei - uomo o donna?” a persone transessuali nei corsi di danza femminili o persino nelle toilettes per signore? Non è una palese discriminazione biologica? È nato lo spiazzante gioco riguardante il genere, Gender-bending, che mira a provocare una piacevole confusione per oltrepassare i confini tra i generi e promuovere nuove libertà. L’uomo patriarcale sta scomparendo sempre di più dalla scena e ha ceduto lo scettro della metro-sessualità. Le donne intraprendono professioni artigianali, i cambiamenti di genere sono sempre più frequenti e l’omosessualità ha fatto il suo ingresso nella società. Oggi i termini sesso e genere non rivestono più un grande ruolo. La distinzione di entrambi è conosciuta e quotidiana. Ciononostante si sa anche che la differenza tra genere biologico e sociale non è spesso così chiara. Oggi si sa anche che oltre ai geni, ai cromosomi e agli ormoni ci sono anche certe caratteristiche del cervello, che guidano le persone in comportamenti specifici di genere. La ricerca sull’intelligenza cerebrale ha dimostrato che i comportamenti sessuali di un uomo sono dovuti anche, in parte, alla nostra base neurologica.  G

Gender

NON è…

uno spettro

una gamma di espressione

maschio o Femmina

Definito da parti del corpo

un’identità Personale

come ti vedi tu

Determinato Geneticamente

Orientamento Sessuale

34  Giornalino 2014 / 2015


NONVIOLENCE

IL LUPO E LA GIRAFFA ] Capita a tutti noi di vivere una situazione quotidiana di conflitto: un litigio tra amici, una discussione accesa in famiglia. Proprio in quei momenti di difficoltà siamo chiamati a scegliere che tipo di comportamento adottare per gestire la situazione, per cambiare qualcosa che non ci piace. Ma cosa significa davvero conflitto? Come cambiare una situazione che non ci fa stare bene? Il conflitto nasce quando persone o gruppi hanno obiettivi diversi, all’apparenza incompatibili, che si basano su bisogni, valori, identità e interessi di ognuno. Con facilità si individua la punta dell’iceberg del conflitto, ossia il comportamento e le posizioni che le parti manifestano. Non è invece scontato comprendere l’insieme di sentimenti, bisogni, valori e le relazioni di potere nascoste sott’acqua, alla base dell’iceberg. La risposta spesso vista come logica per risolvere e possibilmente vincere il conflitto è la violenza. L’altra possibile alternativa sembra essere quella di subire il conflitto, con la passività. C’è tuttavia una terza strada che si può intraprendere: la nonviolenza. Alla forza della violenza si sostituisce la forza della verità, della giustizia e del valore della vita. La prospettiva è quella di agire nel conflitto andando al di là delle posizioni in gioco e prendendo invece posizione attiva contro l’ingiustizia, nel’ottica di sconfiggerla e liberare sia l’oppresso che l’oppressore. Ma è indispensabile disporre della forza di volontà di Gandhi, del coraggio civile di Rosa Parks, del carisma di Martin Luther King o la fede di Madre Teresa di Calcutta per scegliere la nonviolenza? In fondo anche queste persone hanno iniziato dalla loro relazioni quotidiane, in un contesto che richiedeva di scegliere come agire per migliorare la loro vita loro e quella della propria comunità. Partiamo da una variabile importante del conflitto, a tutti i livelli: la comunicazione. Se una comunicazione violenta non riconosce l’altro e tutto il “sommerso dell’iceberg”, la comunicazione nonviolenta (CNV) si basa sull’ascolto attivo, cioè riconoscere le ragioni proprie e quelle dell’altro, entrando nel suo punto di vista, senza necessariamente condividerlo. In questo modo può attivarsi quella che Goleman chiama intelligenza emotiva. M. Rosenberg individua le dimensioni importanti per utilizzare il linguaggio giraffa della CNV superando la dinamica violenta da lupi: capire i nostri sentimenti e bisogni insoddisfatti; esprimerli chiaramente senza giudizio nè pretesa nei propri confronti e nell’altro. Scegliere la nonviolenza, a partire dalla comunicazione, significa quindi correre un rischio: si abbassano i muri perchè si esprime anche la propria vulnerabilità. Questo però permette di attivare l’empatia, entrando in relazione con l’altro per trovare nuove possibili soluzioni al conflitto. E’ una vittoria di tutti, poichè non si cede o non si impone una parte, nè ci si accontenta di un compromesso. Si crea, insieme, un’alternativa alla quale nessuno prima, da solo, aveva pensato! Ecco allora che il conflitto diventa un’opportunità da cogliere con gli altri, al di fuori del gioco di ruoli buono-cattivo in cui vinco o perdo. La nonviolenza è spiazzante perchè elimina lo squilibrio di potere: tutti ne traiamo beneficio. Possiamo allora essere noi degli ordinary heroes, perchè nella nostra quotidianità possiamo riconoscere le ingiustizie, indignarci e trovare il coraggio civile di fare qualcosa di attivo per promuovere un cambiamento positivo per tutti. Nonviolenza nelle relazioni in famiglia, a scuola, tra amici, anche -ma non solo- tra uomo e donna, è quindi la capacità

Mettiti alla prova! Proponi questa attività ad una persona per te importante, con cui trascorri il tuo tempo. Fatevi reciprocamente le seguenti domande, scrivendo le risposte su un foglio. Leggetele poi assieme. Ricordatevi che l’obiettivo è donare dal cuore. ^^ Potresti dirmi una cosa che faccio che rende la tua vita “meno che meravigliosa”? ^^ Quando mi comporto in questo modo, come ti senti? ^^ Quali tuoi bisogni non sono soddisfatti? ^^ Che cosa posso fare per realizzare i tuoi sogni più belli? Le 7 regole dell’arte di ascoltare 1. Non avere fretta di arrivare alle conclusioni: esse sono la parte più effimera della ricerca. 2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vederlo, devi cambiare il tuo punto di vista. 3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose dalla sua prospettiva. 4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi. 5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si sentono come irritanti, fastidiosi, marginali, perchè incongruenti con le proprie certezze. 6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione. 7. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi nella gestione creativa dei conflitti. Per diventare esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sè. - Consigliamo: M. Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili

di andare oltre il pregiudizio, i ruolo predefiniti, le aspettative, i condizionamenti che non vogliamo appartengano alla nostra identità: tenere sempre al primo posto la giustizia e la dignità in quanto esseri umani: “Quando ci relazioniamo con umanità, non possiamo distinguere chi dona da chi riceve. E’ soltanto quando ci relazioniamo giudicando gli altri che donare non è più divertente ”.  G - Per saperne di più: Le parole sono finestre (oppure muri) e Il linguaggio giraffa, di M. B. Rosenberg.

Giornalino 2014 / 2015  35


OPERATION DAYWORK

TUO

IL CONTRIBUTO A OD! COSA POSSO FARE COME STUDENTESSA E STUDENTE? Sulla nostra homepage www.operationdaywork.org trovi tutte le informazioni su Operation Daywork (OD), i materiali per la campagna di sensibilizzazione e le indicazioni su come partecipare alla giornata d’azione. Fai con noi la campagna di sensibilizzazione da febbraio a marzo, racconta ai tuoi insegnanti di OD, usando i materiali didattici, che si possono scaricare anche dalla nostra homepage. Nelle scuole organizziamo workshop formativi sul progetto dell’anno e la visita delle ospiti albanesi: informa la tua classe e motivala a partecipare! Puoi inoltre prendere parte alla nostra assemblea generale che si svolgerà a maggio 2015, dove invitiamo le ONG (Organizzazioni non governative )e vengono presentati i progetti di cooperazione allo sviluppo. Potrai essere un prezioso aiuto per scegliere il nuovo progetto e dare la tua opinione.

COSA TI ASPETTA COME VOLONTARIO? In estate 2015 si svolgerà il viaggio di tre settimane nel Paese del progetto scelto. La coordinatrice, la campaign manager e due volontari visiteranno il progetto e conosceranno il contesto del Paese. L’esperienza del viaggio di conoscenza verrà valorizzata nei materiali didattici e servirà per la campagna di sensibilizzazione nelle scuole superiori altoatesine. Come volontario puoi prendere parte attivamente e coordinare la campagna. Non sei obbligato a fare richiesta per il viaggio e partecipare alla campagna, puoi anche impegnarti in diversi ambiti ad essa collegati, come servizi di comunicazione, attività nei centri giovanili, lavori di grafica, organizzazione di eventi e così via. Qualunque sia il tuo talento, proponi le tue idee e diventa volontario di OD!

CREA UN GRUPPO SCUOLA DI OD! Ognuno può costituire nella sua scuola un gruppo OD, che supporta il Consiglio e la coordinatrice nel portare OD nella tua scuola. Che compiti hai nel gruppo scuola? Puoi far diventare popolare OD tra i tuoi compagni di scuola e gli insegnanti, per promuovere la giornata d’azione del 24 aprile 2015.

Aspetti legali importanti: ^^ Dalle attività non deriva un rapporto di lavoro, poichè l’attività svolta rientra in un programma di formazione della scuola. ^^ I giovani al di sotto dei 15 anni possono partecipare alla giornata d’azione solo presso enti privati. ^^ Non trovi niente? Chiedi al tuo centro giovanile se può collaborare alla giornata d’azione e dare una mano lì. ^^ Le studentesse e gli studenti sono assicurati tramite la scuola in caso di infortuni durante il viaggio di andata e ritorno e nel corso dell’attività svolta in azienda. ^^ L’associazione provvede a stipulare un’assicurazione contro danni a terzi con Aurora Assicurazioni Spa. ^^ Ulteriori informazioni sulla giornata d’azione le trovi sulla pagina web. Puoi rivolgerti alla nostra coordinatrice Evelyn Zelger tramite e-mail: evelyn@operationdaywork.org

PARTECIPA ALLA GIORNATA D’AZIONE IL 24 APRILE 2015 Come ogni anno anche nel 2015 ci sarà la giornata d’azione, nella quale studentesse e studenti delle scuole superiori salteranno un giorno di scuola per lavorare. Attraverso la proposta al datore di lavoro di 41 euro si contribuirà a finanziare il progetto di cooperazione allo sviluppo dell’anno “WAVES – Women against violence in Shkodër region”. Cercati al meglio un lavoro! Dove? Chiedi all’azienda artigianale dietro l’angolo, nell’impresa dove lavora tua madre, nell’attività di tuo padre, al vicino di casa, oppure cerca un datore di lavoro sull’elenco telefonico e chiama. Attiva la tua fantasia! Se non trovi un lavoro ti possiamo aiutare. Sulla homepage di OD sotto “Borsa di lavoro” trovi diversi posti di lavoro, ancora a disposizione. Iscriviti, è facile! IMPORTANTE!!! Tutti coloro che partecipano alla giornata d’azione devono registrarsi alla nostra borsa lavoro! Se non lo fai, purtroppo non potrai partecipare. Sul nostro sito trovi un documento che contiene tutte le informazioni importanti riguardo la nostra iniziativa e l’accordo di lavoro, con il quale puoi fare richiesta al datore di lavoro COME POSSO IMPEGNARMI IN OPERATION DAYWORK DOPO LA MATURITà? Si cercano volontari per il ciclo di progetto 2015/16: a maggio 2015, quando all’assemblea generale viene scelto il progetto di cooperazione allo sviluppo. Se sei interessato a sostenerci, ma hai finito il tuo percorso alle scuole superiori, puoi impegnarti come volontario. Fai richiesta scrivendoci a info@operationdaywork.org!

36  Giornalino 2014 / 2015


OPERATION DAYWORK-INTERNATIONAL

] SAME significa “Solidarity Action Day Movement in Europe”. SAME sta anche per “cambiare le cose con le mie idee”. Ma SAME è anche “Sporchiamoci le mani”. SAME è “NOI”. SAME consiste in esperienze, attivismo giovanile, amicizia e potere. SAME è un network di diverse associazioni europee che ogni anno organizzano una giornata d’azione per gli studenti e le studentesse che si cercano un lavoro e supportano così vari progetti di cooperazione in tutto il mondo. Ci sono OD in Norvegia, Serbia, Belgio, Danimarca, Bosnia, Germania… e Italia! Tutte le organizzazioni che fanno parte di SAME sono costituite sostanzialmente da giovani e si occupano di temi di cooperazione allo sviluppo, diritti umani e sostenibilità. La rete mette in relazione giovani da tutta Europa stimola la gioventù a livello globale per lavorare per un mondo più equo e sostenibile. SAME vuole stimolare i giovani al reciproco scambio imparando gli uni dagli altri con l’obiettivo di rafforzare il loro senso di responsabilità verso i temi sociali, ecologici ed economci e diventare cittadini attivi. I giovani di Operation Daywork sono parte attiva di questo network. Noi lavoriamo in diversi gruppi di lavoro, tra i quali il Consiglio di coordinamento di SAME. Noi ci confrontiamo regolarmente con i membri dei vari Paesi e lavoriamo insieme per migliorarci continuamente. Durante l’anno ci incontriamo con i membri dei vari gruppi di lavoro e il Consiglio di coordinamento in una città europea per ideare progetti. In estate c’è il Summer camp, un ritrovo dove tutti i membri della rete SAME trascorrono una settimana insieme e lavorano intensamente… divertendosi!  G Pensi che l’attività di SAME sia super e vorresti partecipare? Contattaci ed entra nel nostro gruppo “Operation Daywork International”!

Giornalino 2014 / 2015  37


A

GEZIM HADJARI

DALLA RACCOLTA POETICA OMBRA DI CANE

Partiamo di notte, dimenticando che siamo ciechi, per raggiungere un territorio nudo del quale ha bisogno la nostra voce. Andiamo al mare per parlare e lanciare sassi controvento.

Mit leiser Stimme, weinend Ismail Kadare, 1970

Mit leiser Stimme, weinend, sagtest du, Ich hätt wie eine Hure dich behandelt. Was kümmerten mich damals deine Tränen, Ich liebte dich und wusste nichts davon.

Bis plötzlich eines Morgens beim Erwachen Die Welt mir ohne dich ganz leer erschien Und ich begriff, was ich verloren hatte. Doch was gewonnen, das begriff ich auch.

Smaragden funkelte mein Kummer Und wolkenschwer umgraute mich das Glück. Es fiel mir schwer, mich zu entscheiden, Weil eins doch schöner als das andre war.

Denn diese Kollektion von Schmuck war so beschaffen, Dass sie zugleich mit Licht und Dunkel warb, Die Gier nach Leben hundertfach vermehrte, Und hundertfach den Tod beschwor.

Irrenhaus mit offenen Türen Mimoza Ahmeti

Ihr geht weg, entfernt euch, verlasst uns und denkt: "Für immer!" Aus dem, was euer ist, unser, aus unserm irrenhaus. Unsere anstalt, so rührend, so edel, zerschlissen die schädel.

O meine teuren verrückten, ich hab euch so lieb, obwohl ich nie mit euch rede. obwohl ihr nie mit mir redet, und ich euch nicht ertrage, und ihr mich auch nicht ertragt. Das ist das ritual: wie schauen uns nicht in die augen, es soll ja kein hass sein, das ist dann ein grund, sich bis zum wahnsinn zu lieben, exaltiert zu lächeln, während über unsere wangen die tränen laufen, die tränen.

Meine leidensgenossen, die ihr in die fremde euch absetzt, aus unserm einheitsirrenhaus, den blick fest gerichtet auf eine einzige idee, ja, eine einzige idee, noch nie gesehen, noch nirgends entdeckt, ich weiß nicht, ob man sie je findet.

Zerstreut euch, haut ab, verschwindet in länder und staaten, ganz gleich ... Oh, was für ein geschrei gellt durch unser irrenhaus, wenn die sonne im westen vergeht, wenn die sehnsucht es packt nach den kindern im Westen ...

Welch ein kummer! Putzbröcklige mauern ... Mauern, die dauernd den horizont begrenzen, den himmel darüber endlos machen.

Ruhe ...

Mauern und tore offen, hinauszugehen, wegzugehen ... Warum leb ich und sterb nicht, da ich verrückt bin und weiß es genau?

Nach mitternacht, wenn die seufzer enden, spricht jemand sich selber an: Na ja, dem albaner, egal, wo er ist, genügt der eigene wahn ...

38  Giornalino 2014 / 2015

NEL MIO PAESE SVENTOLANO OVUNQUE BANDIERE DI UNA TRISTE MALINCONIA E NESSUNO PUÒ DIRE CHE QUI UN POPOLO VIVE CHE QUALCOSA DI NUOVO STA COSTRUENDO SULLA SOGLIA DI OGNI CASA DOVE UN SEGNO DI VITA APPARE SVENTOLA UNA BANDIERA DI TRISTE MALINCONIA vevo compiuto dieci anni in quella lontana primavera, quando ci portarono in fila allo stadio della città. Dovevamo assistere all’impiccagione di un giovane. Così ci dissero quella mattina, nella scuola di campagna. Il condannato era un poeta
che scriveva versi. «É per il bene delle vittorie!» - ci dicevano le maestre (…) Mi si è congelato il sangue quando il boia tirò la corda, spegnendo per sempre lo sguardo dolce del poeta (…) La sera tornammo nel villaggio senza voltarci indietro. I nostri volti divennero gelidi, oscuri come il fango. Non ho chiuso occhio quella notte, accecato dal crimine. Un profondo abisso si era aperto sul mio corpo sgomento. Come un’eco mi segue negli anni la voce del poeta, mentre recita i suoi versi con il cappio stretto al collo.

Luisa Gnecchi (Hg.) 2008: „da-zwischen“ Ausländerinnen in Südtirol und im Trentino; S.79

Frau. Nationalität: Albanisch Notiere. Akademikerin, Englisch fließend, Italienisch ausreichend. Eingewandert vor zwei Jahren, verheiratet seit vier Jahren. Notiere. Derzeitige Arbeit: Reinigungsdienst. Vorherige: Lehrerin in Albanien. Miete 40 m2 700 Euro monatlich. Ehegatte Reinigungsdienst natürlich. Einkommen zu zweit 1200 Aufenthaltsgenehmigung Verfällt. Verlängerung bleibt abzuwarten. Abreise verschoben. Schwanger im zweiten Monat. Schöne Erwartung?

WAR TEN

THE LANGUAGE OF ART

Migjeni, sulla città di Shkodër Piove sempre in questo Paese. Forse perché sono straniero.


Mit leiser Stimme, weinend

Mit leiser Stimme, weinend, sagtest du, Ich hätt wie eine Hure dich behandelt. Was kümmerten mich damals deine Tränen, Ich liebte dich und wusste nichts davon.

Bis plötzlich eines Morgens beim Erwachen Die Welt mir ohne dich ganz leer erschien Und ich begriff, was ich verloren hatte. Doch was gewonnen, das begriff ich auch.

Smaragden funkelte mein Kummer Und wolkenschwer umgraute mich das Glück. Es fiel mir schwer, mich zu entscheiden, Weil eins doch schöner als das andre war.

Denn diese Kollektion von Schmuck war so beschaffen, Dass sie zugleich mit Licht und Dunkel warb, Die Gier nach Leben hundertfach vermehrte, Und hundertfach den Tod beschwor.

Ismail Kadare, 1970

Themenheft Giornalino 2014 / 2015  39

A

rriva in una mattina di settembre, in un’arsa stagione dove le piogge tardano a venire. È vestita tutta di rosso. Come il sangue. (…) La suocera le mette due pagnotte sotto le braccia, poi la spinge dentro casa. Le pagnotte simbolo della prosperità. (…) Il marito non la guarda nemmeno. Avrà tempo di guardarla per tutta la vita. “Questo uccello spennacchiato è la sorte di mio figlio” dice la suocera “Eh il secondo sole non scalda mai come il primo” risponde una vecchia. E' il secondo matrimonio di Omer. Il primo sole è stato spento tanti anni fa. La sposa morta era la sorella di Saba. Morta di parto.[...] Oggi Saba arriva con il suo vestito da sposa. Piange sotto il velo. Nessuno la vede. Ha solo quindici anni, i fianchi stretti, gli zigomi alti e il viso pallido. Ha quell'aria assente che di solito hanno le donne sottili. (…) Quando Omer entra nella stanza nuziale Saba lo sta aspettando in piedi, coperta dal velo rosso che lui deve togliere, come vuole la tradizione. Ma Omer ubriaco com'è, non si rende conto della presenza. E' abituato a dormire da solo, con la sua bottiglia e i suoi incubi. (…) ROSSO COME UNA SPOSA ANILDA IBRAHIMI, 2008

guerra e delle sue finalità. politicamente e rifletterà sul valore della de parte a movimenti artistici impegnati infine a Milano. Qui nel dopoguerra prensbarca in Italia: prima a Bari, poi a Roma, pato da Durazzo con alcuni compagni, da una famiglia di religione islamica. Sald'origine albanese nato ad Ishmi nel 1918 Ibrahim Shaban Likmetaj Kodra, pittore Queste

illustrazioni

sono

opera

di

VORWORT


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.