2017
Un viaggio nel cuore nero dell’Europa. Entrare in questa zona grigia/nera di un tessuto europeo sempre più lacerato, ci è sembrato un modo per riuscire a capire cosa sta succedendo intorno a noi. In questo corposissimo numero del Magazine di Nawart, scopriamo le particolarità e le differenze dei vari movimenti populisti di estrema destra in sei stati membri dell’Unione Europea. Dall’incontro con i cacciatori di migranti che pattugliano il muro ungherese, o le confranternite austriache che diventano il terreno fertile del partito di estrema destra FPO. Una Germania che resta forte, ma in cui lo spaurac
chio populista dell’AfD si annida tra i traumi storici tra est e ovest. Una Francia, salvata in extremis, ma con un bacino elettorale sempre più a destra. Per finire nell’Europa più a est, quella in cui Roberto Fiore, capocchia di Forza Nuova ha definito come l’alba della nuova civiltà europea. Qui, in Polonia ci rendiamo conto della reale ampiezza del fenomeno, dei suoi meandri più oscuri e di come idee di nazionalismo estremista siano dilagate agli alti piani del potere. Far Right, è anche un film documentario andato in onda su Al Jazeera a maggio 2017.
IN QUESTO Intervista a Heather Grabbe, di Open Society Bruxelles.......................................................................................1
POLONIA
Tutti insieme Donald Trump ................................................................5 Le classi in uniforme...............................................................................11 I gruppi paramilitari attirano i giovani e il governo..........15 Varsavia, cuore nero d’Europa...........................................................21 Paramilitary groups..................................................................................27
GERMANIA
Why Eastern Germany has become fertile soil for the far right.................................................................................33 Universo Shnellroda.................................................................................47
FRANCIA
La galaxie dextrême droite..................................................................59 Etero, bianca e cristiana, la Francia di Le Pen......................67
AUSTRIA In Austria stop all’effetto domino post Brexit........................75 We are not Nazi said Austrian Frat-boy...................................79 Le confraternite antimigranti.............................................................85 Quando il nazismo diventa POP.......................................................90
NUMERO
UNGHERIA
Il cacciatore di migranti....................95 Rave party dell’ultra destra........101 I gruppi paramilitari ungheresi..105
SLOVACCHIA
Slovenski Branci...................................112
Intervista Stephan Lehne, Carnegie Endowment for Peace..............................118
Proprio per l’importanza cruciale che la Polonia sta giocando come ruolo di guida e coordinazione per i movimenti di estrema destra, abbiamo deciso di iniziare il Magazine da lì, per poi entrare man mano negli interstizi lasciati vuoti dalla crisi politica, economica e sociale in Germania, Francia, Austria, Ungheria e Slovacchia.
DOPO BREXIT E LA VITTORIA DI DONALD TRUMP NEGLI STATI UNITI, L’EUROPA SI SVEGLIA CON MOLTI DUBBI RIGUARDO LA SALUTE DELLE PROPRIE ISTITUZIONI E DELLA PROPRIA DEMOCRAZIA. NON È DI CERTO LA PRIMA VOLTA CHE PARTITI NAZIONALISTI DI ESTREMA DESTRA ABBIANO RAGGIUNTO UN BUON PUNTEGGIO ELETTORALE IN EUROPA MA ORA QUESTO FENOMENO SI STA DIFFONDENDO A MACCHIA D’OLIO. IN QUESTA INTERVISTA CON HEATHER GRABBE, DIRETTRICE DELL’OPEN SOCIETY POLICY INSTITUTE E EU AFFAIRS CERCHIAMO DI CAPIRE IL TREND CHE ACCOMUNA MOLTI PAESI DELL’UE.
Si
parla di trumpizzazione dei leader politici europei, nel senso che i popu-
lismi
di
stampo
nazionalistico
usato
da
Trump,
sembrano
espander-
si contemporaneamente in diversi paesi europei, come spiega questo fenomeno?
Ironicamente, si tratta di nazionalismi sempre più transnazionali, in cui i partiti si mimano a vicenda lo stile della campagna elettorale, gli slogan e a volte addirittura i poster o le vignette. Un fenomeno che fuoriesce dai confini nazionali e diventa paneuropeo, e questo anche a causa delle elezioni negli Stati Uniti. Sin dall’inizio, la campagna elettorale di Trump ha reso accettabile, anche in Europa, dire o sottintendere cose solitamente considerate inaccettabili in un discorso politico. Come la denigrazione di un gruppo particolare, nel suo caso incolpa i musulmani e i messicani per la crisi in America. Fino a non troppo tempo fa in Europa sarebbe stato considerato un discorso inaccettabile, un incitamento all’odio e alla violenza. E anche un grave impedimento al dibattito politico: consolidando l’idea per cui la politica non è più un dibattito tra diverse linee politiche, per esempio tra scelte economiche di destra o di sinistra, ma è una questione di identità. Sei con la massa o con le élite? Sei con il 99% o con il 1%? I tuoi interessi sono rappresentati dal sistema politico oppure no? Queste sono le tematiche che stanno diventando correnti e mainstream, in parte a causa di Trump. I partiti che hanno sempre esposto questi punti di vista, prima erano considerati dei reietti, degli estremisti, mentre ora stanno diventando la voce dominante.
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Come
crede
che
stiano
reagendo
le
istituzioni
europee?
Se si pensa a 16 anni fa, si capisce quanto l’Unione Europea sia cambiata a riguardo. Nel 2000, gli allora 14 stati membri dell’Unione hanno ostracizzato l’Austria dal dibattito europeo perché un partito di estrema destra era stato invitato nel governo di coalizione. Le dichiarazioni di Jorg Haider sull’olocausto, o sull’elogio delle politiche d’impiego di Hitler e il suo aperto antisemitismo hanno reso il discorso inaccettabile. Quindi, gli altri stati membri hanno considerato appropriato mettere l’Austria in una categoria diversa dal loro governo. Siamo in una situazione molto diversa ora, in cui vedute del genere sono diffuse da partiti rappresentati in Parlamento Europeo e che stanno o prendendo parte alle formazioni di governi, o nei parlamenti degli stati membri. Questa è la strategia di Marine Le Pen di dediabolizzare il Front National che ha funzionato in Francia, e che è poi stata imitata con successo dai partiti di altri paesi, come l’Austria. Infatti dopo Haider il partito FPO ha dovuto darsi una ripulita per potersi presentare nuovamente. E come la Le Pen, ringiovanendo l’immagine del partito e mettendo facce nuove, si è reso non solo presentabile ma pronto a governare.
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spostano il terreno politico dalla contestazione tra diverse idee – cosa fare contro una minaccia esterna per es. – a un Noi contro Loro. Non è più una divisione Destra contro Sinistra, ma è una divisione tra Sopra e Sotto, e dove tu ti posizioni. Ovviamente è un punto particolarmente complicato per l’Unione Europea : L ‘UE è stata fondata con l’idea che tante élite lavorassero insieme, per mettersi d’accordo su progetti comuni tra diverse nazioni, di cui potranno beneficiare le intere popolazioni. Quindi è il metodo di lavoro stesso a essere compromesso dal discorso populista. Perché l’UE è una gigante macchina del consenso, non può esistere con l’idea che è impossibile raggiungere il compromesso perché si basa essa stessa sul compromesso. E i populisti dicono proprio questo, e quindi, non potendo lavorare con gruppi diversi, devono assicurare la purezza della nazione, parlando quindi in continuazione di pulizia. I
prossimi
in
Europa,
Germania
appuntamenti tra cui
elettorali
Austria, Francia,
aprono scenari che fino a
pochi mesi fa sembravano impensabili.
Ma
allo stesso tempo, questi parti-
ti sono sempre stati all’opposizione, cosa comporta questa nuova strategia
che potrebbe vederli invece al governo?
Per i politici populisti c’è sempre un rischio nell’occupare una posizione eletta e governare. Questo perché una volta eletti sono obbligati a fare politica e quindi trovare il modo per lavorare con i partiti Per questo le elezioni di Trump sono un grandissimo cambiamento. Su molti punti non sappiamo Ora dovrà governare il paese, uno dei più potenti paesi al mondo, con un’economia e una politica estera che hanno un impatto sul globo intero. E questa è la prima volta che succede. Perché in Europa, finora, i partiti populisti nella pratica hanno raggiunto delle coalizioni minoritarie come in Austria o in Danimarca, prendendo responsabilità su uno o due argomenti – di solito migrazione o educazione – ma non hanno dovuto governare l’intero paese e provare che le loro idee possono funzionare. Trump avrà un enorme impatto sul futuro dei populismi in Europa. In entrambe le votazioni cruciali del 2016, la Brexit e la vittoria di Trump, molte persone che non avevano mai votato prima nella vita hanno deciso di uscire e dire la loro. Hanno votato a maggioranza schiacciante per il cambiamento. Nessuno dice nei dettagli come intendono cambiare il paese, ma hanno promesso Cambiamento, e lo avranno, ci sarà sicuramente.
Un grande cambiamento. La domanda è se gli elettori tra 5 o 6 anni ne saranno contenti e riusciranno ad associare questo voto al cambiamento che ci sarà? Se per esempio Trump non riuscisse a governare il paese, gli elettori lo vedranno come una conseguenza delle politiche di Trump o lo vedranno ancora nell’ottica populista? Cioé che Trump è stato ostacolato da altre persone, per esempio dalla Corte Suprema, o da altri organi istituzionali ?
manifestazione identitari Austria, Vienna
ufficio Alba Dorata dentro il Parlamento Europeo
POLO
TRA PARAMILITARI E ULTRA-CAT POTE “Il sole sorge a Est e voi polacchi che siete l’avanguardia cristiana in Europa, avete un importante compito per le mani”. Il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore, si rivolge così a una trentina di esponenti della destra radicale provenienti da tutta Europa radunati nel parlamento polacco: “la cultura tradizionalista e profondamente cattolica della Polonia crea un terreno fertile per noi, siete l’esempio da cui partire”. Lo scroscio di applausi è il suffragio per una “Polonia bastione dell’Europa”. Nel meeting della destra radicale europea al Parlamento polacco si discute d’ideologie comuni, alleanze, identità, religione ed Europa. A fianco dell’ospite d’onore italiano siede l’orgasocietà perché il cambiamento sia sul lungo termine” dice alla
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ONIA
TTOLICI, L’ESTREMA DESTRA E’ AL ERE. nizzatore del ritrovo, il trentenne Robert Winnicki, deputato e leader del partito ultra-nazionalista polacco, il Movimento Nazionale. L’occasione del meeting è il giorno prima della marcia per l’indipendenza della Polonia l’11 novembre. “Dobbiamo tutti ripensare a come ricostruire le nostre nazioni e, in questo, il concetto d’identità è fondamentale”, spiega Winnicki, secondo cui le estreme destre e destre radicali possono chiaramente vincere le elezioni in una situazione di crisi economica, politica e migratoria come quella attuale. “Questo però non deve essere il punto d’arrivo ma di partenza, dobbiamo trasformare la platea. Alla riunione dell’ultra-destra sono presenti non solo gli italiani FN con Fiore che rappresenta anche il partito radicale
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delle destre europee, Alliance for Peace and Freedom (APF), ma anche lo spagnolo Manuel Canduela di Democracia Nacional, Milan Mazurek per lo slovacco L’SNS, Frederik Hagberg de Nordisk Ungdom svedese e infine membri dell’NPD tedesco. Le teste rasate in fila, i rappresentanti della destra radicale di tutta Europa sfilano per la camera dei deputati mentre le scolaresche polacche in visita che si dimenano sui seggi parlamentari sotto gli occhi esasperati delle maestre e delle loro guide. “Non ci consideriamo fascisti o nazisti” dice il più giovane deputato europeo Milan Mazurek de L’SNS mentre scuote il cranio rasato, “siamo solo nazionalisti slovacchi”. Affacciandosi al balcone che dà sulla camera dei Deputati, Mazurek si avvicina al leader di Forza Nuova e mostrando la spilletta del L’SNS appuntata sul petto bisbiglia: “Questa croce in Slovacchia… Molte persone la considerano come un simbolo fascista” – “Sì la conosco”, risponde Fiore, “era il simbolo di Tiso?” – “Sì”. Parlano di Jozef Tiso: un sacerdote e politico slovacco, divenuto Vodca
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dux, conduttore, dal 19391945 e a capo di un governo collaborazionista e nazista. L’attuale capo di “Nostra Slovacchia” (L’SNS), Marian Kotleba sfila con la tenuta militare della guardia di Tiso, di cui è fervente ammiratore, ha definito gli zingari dei “parassiti” e che, secondo quando riportato dal Financial Times, avrebbe chiamato a raccolta per la formazione di una milizia nazionale che protegga “l’etnia slovacca”. Il suo partito ha raccolto l’8% alle parlamentari dello scorso marzo e gran parte dell’elettorato che l’ha votato è composto da giovani. Fiore, d’altra parte, ha completato la sua formazione politica in Inghilterra, dove si è rifugiato dai primi anni ’80 fino al 1999, inizialmente a causa di una sentenza, ha stretto rapporti con Nick Griffin del British National Party (BNP) con cui, se ieri contribuiva a fondare la Terza Posizione Internazionale. oggi invece divide il partito europeo Alliance For Peace and Freedom, fondato nel 2015 e formato anche dalla greca Alba Dorata, l’NPD tedesco, Nation belga e la destra radicale svedese e danese. “Lo strumento del partito eur
europeo ti dà la possibilità di guardare le cose in un senso più strategico”, spiega Fiore. Con APF prende piede la possibilità di creare partiti europei che hanno struttura e finanziamento in Europa: “questo ha consentito ad esempio ai partiti di stringere rapporti più forti con la Siria di Bashar Al Assad e la Russia in pochissimo tempo”. Lo scopo ufficiale di APF è organizzare riunioni e conferenze, discutere dei temi caldi come immigrazione, identità, religione, tradizione e geopolitica; ma serve anche a tessere legami con le destre radicali nel vecchio continente e non,
come dichiarato in un’intervista rilasciata a pagina99 a Bruxelles da Hervé Van Laethem di Nation. Oltre a girare per incontri l’APF ha anche una sede proprio a Bruxelles proprio a pochi metri dal Parlamento Europeo, il tutto finanziato da quell’UE (e dai suoi contribuenti) che i membri di APF e i loro alleati puntano a disgregare. “Le élites occidentali sono traditrici dei valori europei, non vogliamo società multiculturali, l’Europa è agli europei e il potere è agli Stati Nazione”- Winnicki- in “non vogliamo un’Unione Europea ma un’Europa delle Nazioni”.
Robert Winnicki nel Parlamento polacco.
In breve tempo i principali esponenti della destra radicale prendono lo spazio della scolaresca: chiacchierano, fanno i selfie e Winnicki fa da Cicerone in giro per il parlamento. “Come potete vedere c’è una croce in fondo all’aula, i deputati di destra negli anni ’90 hanno votato in una riunione notturna la sua presenza,” spiega il leader del Movimento Nazionale – “la sinistra ha sempre cercato di far uscire la croce da qui e invece oggi la croce c’è ancora, mentre è la sinistra è fuori dal Parlamento”, conclude nel mezzo delle risa generali. Dalle legislative di ottobre 2015 la Polonia è governata dal partito Libertà e Giustizia (PiS) e il suo presidente che de facto governa il paese, Jaroslaw Kacinski, ha favorito il proliferare dei sentimenti ultra-nazionalisti e ultra-cattolici, recentemente tradotti nella legge anti-aborto e anti-terrorismo. Il Movimento nazionale e i suoi movimenti di base, “hanno contribuito a plasmare la cultura e la storia politica della Polonia dell’ultimo decennio”, spiega il sociologo esperto di estreme destre Lucasz Jurczyszyn dell’Università di Varsavia, secondo cui
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le destre radicali svolgerebbero il lavoro intellettuale di cambiamento societario. “PiS ha ripreso e sfruttato la base culturale della destra radicale e facendola sua l’ha resa popolare”. “In Polonia l’identità polacca significa la storia, i nostri antenati, la lingua e chiaramente il nostro credo” dice Winnicki. “Oggi dobbiamo parlare di aborto, di religione, di famiglia e opporci all’edonismo sessuale”, dice rivolgendosi ai presenti, “siamo in un momento in cui gli arabi stanno invadendo il nostro continente, e loro hanno un’identità e una religione forte”. La ricetta per “non soccombere” sono le politiche demografiche, punto a cui e lo svedese Hagberg, il quale aggiunge la necessità di combattere l’infiltrazione LGBT nella società e gli studi di genere, per non parlare della “deviante educazione sessuale nelle scuole che è anti-famiglia e insegna a diventare omosessuali”. Un Trump alla presidenza americana, aggiunge Fiore, potrebbe però cambiare tutto: “allontanare dall’Europa il sistema liberal di multiculturalismo e multi-sessualità, le politiche gender e
anti-famiglia”. Ed è questa la base su cui le destre radicali presenti concludono il meeting. Radunati ai piedi della scalinata del parlamento per la foto di gruppo, tutti sfoderano il loro migliore sorriso quando Winnicki invece del consueto cheese dice:
“E ORA TUTTI INSIEME: DONALD TRUMP!”.
raduno estreme destre nel Parlamento polacco. in prima fila, Roberto Fiore, Robert Winnicki, Milan Mazurek.
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Driiiin driiiin. Al suono della campanella gli studenti gettano le loro cose nello zaino, tirano giù i cappucci e su i pantaloni dalla vita troppo bassa, e si trascinano svogliatamente in classe. Nello stesso momento, e nello stesso istituto, altri giovani liceali vestiti con l’uniforme mimetica e gli anfibi di pelle salgono ritmicamente le scale e si dispongono in riga. Gli sguardi teneri e le facce imberbi si fanno appena tese all’arrivo del loro insegnante. Damian Duda, leader di una delle più antiche organizzazioni paramilitari polacche, li richiama all’attenti: destra, sinistra, centro. Dopo l’appello e il saluto iniziale, con lo sguardo vigile segue la piccola truppa mentre in fila indiana entra in classe, e si dispone ordinatamente tra i banchi. “Gli studenti qui sono come soldati,” spiega Duda, in testa alla Lega Accademica (o Legia Akademicka), mentre accarezza l’AK-47 che gli pende dal collo.
LE CLASSI IN UNIFORME
“L’unica differenza è che i miei ragazzi in un solo mese usano le munizioni che un soldato dell’esercito polacco sparerebbe in un anno”. Il liceo di Lublin, cittadina polacca a sud-est di Varsavia poco distante dal confine con l’Ucraina, è uno dei tanti istituti che propone “classi in uniforme”, o programmi che integrano alle normali materie scolastiche approfondimenti su come garantire la sicurezza nazionale e maneggiare le armi, oltre che ripetuti e faticosi addestramenti fisici all’aperto. L’uniforme è la conditio sine qua non per le decine educativi in tutto il Paese.
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di migliaia di studenti impegnati in questi percorsi Duda ha fondato la Lega Accademica dieci anni fa, mentre studiava storia e arte all’università. “Quando ti trovi davanti ai palazzi e alle opere antiche, non puoi non pensare alla travagliata storia che ci sta dietro, e non capisco perché sembri strano che abbia deciso di intraprendere la carriera militare, che sta alla base della nostra storia nazionale”, spiega Duda. “Come se non bastasse, è una vita che ascolto i racconti dei miei nonni, che durante la guerra nascondeva
Imbevuto non solo delle storie non dette di un Paese lacerato per anni, ma anche di quell’orgoglio patriottico dirompente che caratterizza l’odierno popolo polacco, Duda aggiunge che per lui “studiare non è abbastanza”, e che “per essere un vero uomo devi saper usare le armi e combattere”. La tradizione paramilitare in Polonia risale ai primi del Novecento, quando tanti dei gruppi ancora oggi esistenti si sono distinti come il cuore pulsante dell’esercito di volontari, che dopo il 1915 ha portato alla liberazione del Paese, e più tardi ne ha costituito l’esercito nazionale. I gruppi paramilitari polacchi sono
stati banditi e sciolti in epoca sovietica, e hanno rivisto la luce dopo la caduta dell’Urss alla fine degli anni ’90. Già durante la leadership politica liberale del primo decennio del nuovo millennio i veterani erano osannati come eroi della patria. Ma la triade patriottismo, storia e tradizione non ha mai avuto un ruolo così cruciale nel Paese come con l’attuale governo di destra radicale, manovrato dal leader di partito Jaroslaw Kaczynski (succeduto al fratello Lech che è rimasto vittima, con altri 95 rappresentanti della classe dirigente polacca, nell’incidente aereo di Smolensk il 10 aprile 2010). La Lega Accademica di Damian Duda, formata
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si solo una decina d’anni fa, conta all’incirca 120 membri, e deve il suo nome e il cuore della sua missione a un battaglione di resistenza di studenti volontari nato a Lublin e dintorni nel 1917. “La mia idea iniziale era quella di dare agli studenti educazione e addestramento militare – poiché il servizio militare non è più obbligatorio in Polonia dal 2008 -,” spiega Duda, “ma ben presto ho notato che, forse per via dei tempi incerti che stiamo vivendo, sempre più giovani una volta diplomati tendevano ad arruolarsi nell’esercito o nella polizia, e quando anche intraprendevano carriere istituzionali, non volevano smettere di addestrarsi con la Lega.” L’interesse dei polacchi verso la guerra è più che triplicato negli ultimi due anni, da quando cioè il vicino orso russo ha iniziato “una guerra ibrida”, giocata sul duplice piano militare e virtuale, contro l’Ucraina, e ha contemporaneamente invaso la Crimea. L’abile propaganda dei media e del governo ha insinuato incertezza nella testa di molti e anche Duda, che ha passato lunghi periodi come paramedico – “perché la legge polacca vieta di arruolarsi con gli eserciti stranieri”, dice lui – nei teatri di guerra in Siria e in Ucraina, alimenta le paure delle sue piccole reclute. “In entrambi i paesi è in corso una guerra, dove normali cittadini hanno dovuto abbracciare le armi e combattere per il loro paese e la libertà, perché i rispettivi governi non erano in grado di proteggerli,” dice Duda, mentre proietta macabre immagini scattate da lui stesso sul fronte. “Le formazioni che si sono venute a creare sono simili alle nostre organizzazioni paramilitari con l’unica differenza che loro sono già in guerra.” Un anno fa di fronte a VICE International, Duda si pavoneggiava dicendo che, “Dobbiamo essere come il corpo umano quando è invaso dai batteri: gli anticorpi devono essere già lì senza che ci sia bisogno di formarli”. Per gli Gli Occhi della Guerra aggiunge che,
“Nonostante la Polonia faccia parte della NATO, se la Russia dovesse attaccare, si troverebbe da sola ad affrontarla.” La sua posizione trova conferma in un sondaggio del Pew Research Centre tenutosi l’ottobre scorso, quando il 74% dei polacchi si era dichiarato favorevole alla NATO, ma solo il 31% credeva che gli Stati Uniti sarebbero intervenuti a fianco della Polonia in caso di attacco militare russo. La vittoria di Trump, secondo cui la NATO sarebbe obsoleta e Putin un papabile alleato, non fa che ingigantire le paure di un Paese, che è tra i pochissimi – assieme agli Stati Uniti, l’Inghilterra, l’Estonia e la Grecia – a rispettare gli accordi transatlantici e investire il 2% del suo Pil in spese militari. Se un motivo per cui Duda si è dato all’insegnamento nei licei, è avere abbastanza soldi da non doversi preoccupare per le munizioni e l’equipaggiamento dei membri della Lega Accademica, le classi in uniforme sono diventate bacino di reclutamento per il gruppo, tant’è che oggi iscriversi al corso coincide con l’entrare a far parte della Lega. Questa macchina da guerra ben rodata non poteva non sortire l’attenzione dello stato polacco che ha deciso, con la supervisione e le sovvenzioni economiche del Ministero della Difesa, di riconoscere ufficialmente la Lega Accademica e altre quattro milizie volontarie come “gruppi di difesa civile”, e riunirli in una Federazione nazionale. “Quello che amo di questa scuola è che organizzano tanti training fisici,” spiega Martin, un ragazzino spigliato al terzo anno. “L’anno scorso abbiamo fatto esercitazioni di paracadutismo, di tattica nera e grigia nei palazzi e nelle città, di tattica rossa simulando l’evacuazione dal campo di battaglia e di tattica verde nelle foreste e nei campi aperti.” A esse, si sommano lezioni di primo soccorso e periodici appuntamenti al poligono di tiro. Dal 1927 al 2012 tutti gli studenti polacchi erano tenuti a frequentare i corsi tenuti dall’organizzazione di Preparazione alla Guerra. Fino al 2008 queste classi servivano per preparare i giovani ai due anni di leva militare obbligatoria che sarebbero seguiti, ma
competenze teoriche e pratiche necessarie per fronteggiare qualunque tipo di emergenza, dall’attacco militare alla calamità naturale. Mai come con Duda, però, i ragazzini si sentono trattare da veri soldati e sono partecipi attivamente dello straripante orgoglio nazionale polacco. “Ho preso parte a tante attività qui a scuola, come addestramenti militari e parate, e fuori di qui ho anche guidato delle marce e scortato eventi ufficiali e dimostrazioni,” dice Natalia, una diciassettenne tranquilla, che in classe si dimostra però incredibilmente abile nel montare e smontare le armi da fuoco. “Il mio forte patriottismo deriva dall’amore per la storia… E uno degli episodi che mi emoziona di più è quello di Inka, una
soldata della mia età, che alla fine della Seconda Guerra Mondiale si è rifiutata di firmare l’accordo con i comunisti e per questo è stata ammazzata.” I resti di Inka sono stati trovati di recente e, al funerale di stato organizzato in suo onore, ha partecipato anche Natalia.
IN POLONIA I GRU ATTIRANO I GIOVA
“Se ave allenat militar socia promo ufficia chi. Me le armi guerra del
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UPPI PARAMILITARI ANI E IL GOVERNO
ete più di sedici anni, siete maturi, responsabili, ti fisicamente, e v’interessa imparare le tattiche ri e maneggiare un’arma da fuoco, unitevi all’asazione dei fucilieri di Strzelec”. Questo è l’invito ozionale che campeggia sull’homepage del sito ale di uno dei più noti gruppi paramilitari polacentre in altre parti d’Europa l’idea di imbracciare i volontariamente fa sorridere, in Polonia fare la a – vera o finta che sia – non è solo un retaggio l passato, ma una realtà diffusa ancora oggi.
“Si vis pacem, para bellum: se vuoi la pace, prepara la guerra”. Con indosso una divisa militare d’altri tempi, Krzysztof Wojewódzki, architetto e comandante dell’arma di Strzelec, recita il famoso detto latino mentre cammina per l’ampio salone di casa invaso dai cimeli di guerra. Se non è difficile immginare che per lui “poco sia cambiato da allora,” seduti attorno al tavolo e con le uniformi dal taglio appena più moderno ci sono Marta e Daniel, entrambi di vent’anni, rispettivamente caporale e viceistruttore del gruppo, che annuiscono compiaciuti alle sue parole. “La Polonia non ha mai smesso di essere minacciata”, sostiene Wojewódzki. “Per più di cent’anni è scomparsa dalle mappe, divisa in tre. Poi, quando ha ottenuto l’indipendenza alla fine della prima guerra mondiale, è caduta vittima prima dell’occupazione tedesca e successivamente di quella russa”.
La
guerra ibrida
Gran parte dei gruppi paramilitari polacchi ha una tradizione risalente ai primi del novecento ed è nota per aver formato il cuore di quell’esercito di volontari, divenuto l’esercito nazionale polacco, che dopo il 1915 garantì la sua liberazione. La travagliata storia polacca spiega però solo in parte perché negli ultimi due anni il numero d’iscritti alle 120 organizzazioni paramilitari attive in Polonia sia più che triplicato. Dal 2014, quando cioè la Russia ha cominciato “una guerra ibrida” – giocata sul piano militare ma anche virtuale – contro l’Ucraina, la combinazione tra motivi pratici di difesa in caso di aggressione e sentimenti patriottici e nazionalistici incoraggiati dalle autorità polacche, pronte a sacrificare la democrazia in nome dell’ordine e della tradizione, ha fatto crescere esponenzialmente l’interesse per la guerra. La partecipazione alle organizzazioni militari è volontaria e la loro struttura rispecchia fedelmente quella dell’esercito regolare “In passato, i padri incoraggiavano i figli a seguire gli addestramenti militari e a usare le armi. Per me bisogna far rivivere quest’usanza, perché ogni uomo ha il dovere di combattere”, spiega Damien Duda, vicepresidente della Legia akademicka, e insegnante di una delle 1.500 classi in uniforme del paese.
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La partecipazione alle organizzazioni militari è volontaria e la loro struttura rispecchia fedelmente quella dell’esercito regolare, con un corpo centrale che funge da centro nevralgico e le unità territoriali che si addestrano autonomamente. Gli obiettivi di ciascun gruppo, simili a quelli perseguiti dai medesimi tra la prima e la seconda guerra mondiale, cioè prima del veto del regime comunista, consistono nell’impartire una solida conoscenza della storia e dei valori patriottici, e garantire la giusta preparazione fisica per affrontare guerre e calamità.
Pratico
ultranazionalismo
Perfino gli striscioni degli ultras della Legia Warsaw mostrano la “P” rovesciata e arricciata, simbolo della rivolta di Varsavia contro l’occupazione nazista, e per accrescere il loro consenso tra la popolazione le autorità hanno riabilitato anche icone prima maledette. “Il mio mito è Inka, che a soli diciassette anni e sotto tortura non si è piegata ai sovietici”, dice Agnes della Legia akademicka, con gli occhi che le brillano.
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Sebbene i membri delle organizzazioni paramilitari possano decidere di arruolarsi nell’esercito o nella polizia, oppure continuare ad addestrarsi per sola passione e mollare tutto per tornare alla vita normale, le autorità hanno cominciato a intuire il potenziale di una così ben rodata macchina da guerra. L’influenza dei paramilitari si estende a tutta la società. Le “classi in uniforme” abbinano agli studi classici del liceo la pratica militare e spopolano tra i giovani. “Indossare la divisa è una grande responsabilità”, bisbiglia il timido Tomas, mentre la sua compagna di banco si atteggia a prima della classe ed elenca date e nomi degli eroi nazionali. Nelle università la competizione tra i gruppi si fa più intensa. “Avevo già adocchiato l’associazione di Strzelec, ma ho aspettato di entrare all’università per farne parte”, dice Marta, che vuole perseguire la carriera militare dopo la laurea. “Almeno due volte alla settimana le organizzazioni presentano i loro programmi e metà della mia classe ha già aderito”. dall’enclave russa di Kaliningrad, Piotr Czuryllo, portavoce ufficiale dei cinquantamila survivalistipolacchi, vive isolato con la sua famiglia. Associare quest’uomo buffo e dai modi
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new age al rigore paramilitare può sembrare azzardato. Eppure, lo stesso individuo che, con aria assorta, la tuta camouflage e la bandana in testa, prevede come “in tempo di crisi si tornerà al caos originario e si dovrà per forza cooperare con la natura”, oltre a conoscere e possedere diverse armi da guerra, e sapersi procacciare cibo e acqua con facilità, a giugno ha organizzato il primo Congresso paramilitare di fronte alle autorità. In quella sede si è parlato per la prima volta della Forza territoriale di difesa che, al suo completamento nel 2019, conterà 35mila uomini in funzione esclusivamente antirussa “Questo dipartimento del ministero della difesa è molto importante, perché consente di sviluppare il potenziale dei gruppi paramilitari in ambito militare”, spiega uno degli ideatori del progetto, Waldemar Zubek, mentre alle sue spalle alcuni soldati dell’esercito regolare insegnano ai paramilitari come lanciare granate e sparare con precisione. “Quest’arma è rigorosamente apolitica”, spiega tranquillo,
“Questo dipartimento del ministero della difesa è molto importante, perché consente di sviluppare il potenziale dei gruppi paramilitari in ambito militare”, spiega uno degli ideatori del progetto, Waldemar Zubek, mentre alle sue spalle alcuni soldati dell’esercito regolare insegnano ai paramilitari come lanciare granate e sparare con precisione. “Quest’arma è rigorosamente apolitica”, spiega tranquillo, “e a chi critica il governo accusandolo di creare un suo esercito personale, dico che per affrontare l’imminente minaccia russa abbiamo bisogno di molti uomini”. A destare preoccupazione, però, è l’infiltrazione di elementi ultranazionalisti, che trovano pochi ostacoli visti i criteri ancora opachi di selezione e le tendenze estremiste del ministro della difesa. E mentre era stato proprio il ministro a dire che “sarebbe sbagliato escludere qualcuno per le sue idee politiche”, il rappresentante del Pis, Konrad Zieleniecki, conferma le paure di molti.
“La Forza territoriale di difesa è l’unica occasione per gli ultranazionalisti polacchi di esprimere il loro patriottismo in modo pratico”.
VARSAVIA, CUORE P MANIFESTAZIONE DE PER UN RITROVO EUR Decine di ragazzi vestiti di nero e dal volto coperto corrono su e giù per la strada laterale della Chiesa di Santa Barbara a Varsavia con un lungo striscione nero. Hanno i caschi e sono in tenuta paramilitare con una fascia verde al braccio con il simbolo del Nazionalismo Radicale polacco e urlano ordini per coordinarsi. E’ la mattina dell’11 novembre e i membri dell’ONR, il Campo radicale nazionale, stanno preparando la security per la marcia dell’indipendenza nazionale. Non amano le telecamere e nessun giornalista della Tv polacca si avvicina a loro. Dall’altra parte della strada c’è però un giovane prete in gonnella, che con entusiasmo racconta a pagina quando lui ammiri l’ONR. Col fiato corto indica nel retro della chiesa una piccola cappella da cui escono canti in latino. E’ la messa tridentina, spiega il padre che si rivela lefebvriano, ma è così stracolma di persone e bandiere che è impossibile entrare. Anche la chiesa di Santa Barbara,
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che è decisamente grande, è così stracolma di gente che anche stando in piedi si fa fatica a muoversi. Tutti andranno alla marcia: spuntano bandiere dell’ONR, del movimento ultra-nazionalista giovanile Gioventù Polacca (GP) e del partito Movimento Nazionale. Tra le prime file c’è anche il leader di partito Robert Winnicki. Dal pulpito il funzionario della messa tuona e scandisce i principi etici della marcia, che benedice:
“la Polonia è il bastione d’Europa contro l’invasione araba e dei musulmani”. Le bandiere e le divise sono benedette, così come le teste dei fedeli, diverse delle quali o sono rasate o hanno creste skin. L’intera chiesa s’inginocchia chiedendo la redenzione e al momento della comunione, quando sette sacerdoti devono letteralmente aprirsi corridoi tra la folla, i fedeli che si affannano a gettarsi ai loro piedi. Fuori dalla chiesa, sui gradini, ci sono diversi gruppetti
PULSANTE DELL’EUROPA NERA ELL’INDIPENDENZA OCCASIONE ROPEO con vestiti militari d’epoca e i militanti anti-aborto, con magliette gialle e la stampa rossa di un feto sul petto, che tengono in mano cartelli con immagini di uteri insanguinati. Per strada scoppiano i primi petardi a ripetizione. Diversi gruppi di ragazzi si aggirano di fronte al palazzo della Cultura, il simbolo di Varsavia, dove è posizionato anche il banchetto dell’ONR con il suo leader sorridente in cappotto doppiopetto e la fascia al braccio. Passano crani rasati ma anche ragazzi e ragazze senza simboli particolari, se non i colori polacchi, qualche signora attempata e anche famiglie con bambini. Una signora agita un cartello: “Polonia indipendente: no al pacchetto sicurezza, all’UE, a CETA alla teoria gender e alla legge. La Polonia è sottomessa solo a Dio”. All’inizio degli anni 2000 l’ONR era un movimento skinhead che si rifaceva all’omonimo movimento creato dai nazionalisti polacchi negli anni ’30; dal 2011 il movimento sociale nazionalista include anche studenti e lavoratori. “Onore e l’amore per la patria, ecco il fulcro del radicalismo nazionale”, spiega Szymon Maillan, 23 anni, coordinatore dell’ONR e capo della security della marcia. Il motto ONR è “Dio, onore e patria”, ripreso dai militari polacchi e simbolo di connessione tra nazionalismo e religione. “La cristianità è l’unica vera religione e via di salvezza”. L’identità polacca, di cui la manifestazione dell’11 novembre è diventata la più grande celebrazione negli ultimi 5 anni, per Maillan è una questione di storia, lingua, tradizione e religione. Con lui concorda Winnicki del Movimento Nazionale, che ribadisce: “non è necessario essere cattolici per essere un buon polacco, ma non puoi essere un buon polacco se attacchi la Chiesa cattolica, perché attacchi le radici dell’ identità nazionale”. Bandiere bianche e rosse della Polonia si mischiano a quelle colorate dei movimenti dell’ultra-destra, dove sputano croci celtiche e simboli hooligans: la folla è variegata e ci sono persine signore con mantelli bordeaux armate di bibbie e corone e la gigantografia di Cristo Re stampata sulla schiena. Da lontano si sente il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore,
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urlare slogan con megafono dal camioncino in testa al corteo. La manifestazione richiama l’indipendenza della Polonia del 1918 ed è stata restaurata nel 1989 con la caduta dell’URSS, ma la marcia nazionalista radicale è nata solo nel 2011 per volontà di ONR e di GP, di cui Winnicki era l’allora presidente. Dal direttivo della marcia è poi nato nel 2015 il partito Movimento Nazionale. Se altre marce dell’opposizione sono organizzate in città, quella ultra-nazionalista è di gran lunga la più numerosa e monopolizza il tratto che va dal centro città fino allo stadio, dove gli hooligan polacchi – l’ossatura della manifestazione – si cimentano in cori e spettacoli pirotecnici. Dalle 500 persone della prima marcia del 2011, nel 2016 sono più di 100.000 le persone scese in strada. Tra questi, molti rappresentanti della destra radicale ed estrema destra europea. “Il partito di governo Libertà e Giustizia (PiS) ha ripreso e sfruttato la base culturale della destra radicale e facendola sua l’ha resa popolare”, spiega il sociologo dell’Università di Varsavia Lukas Jurczyszyn, riferendosi ai “Soldati
marcia del 11 novembre a Varsavia
Nascosti”, che si diedero alla macchia durante l’occupazione nazista e sovietica, e che oggi sono quel mito fondante della nazione polacca celebrato proprio l’11 di novembre. Il nuovo governo, inoltre, approvando tacitamente la marcia, la legittima. “Alla fine di ogni marcia abbiamo una nuova ondata di reclute, noi come l’ONR”, racconta Piotr Glowacki, membro di Gioventù Polacca, un movimento che si differisce da ONR per essere un movimento giovanile (i membri devono lasciare compiuti i 30 anni) e per avere toni leggermente più pacati. Di fianco Piotr nel corteo, un amico polacco nato in Lituania e in divisa militare aggiunge: “le persone vengono qui per conservare ed esaltare la loro identità, per anni i media, a forza di compararci con l’Europa occidentale, ci hanno fatto provare vergogna del nostro essere polacchi. Oggi invece celebriamo questa nostra identità”. Anti-élite, anti-migranti e anti-Europa, migliaia di persone di fronte allo stadio e in mezzo al fumo rosso dei lacrimogeni che filtra la nebbia, continuano a urlare un solo slogan: “la
Polonia
ai polacchi”.
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“In Polonia c’è un legame molto forte tra l’estrema destra e la religione cattolica”, spiega Lucasz Jurczyszyn professore al Dipartimento di Sociologia di Varsavia ed esperto di estreme destre. La Chiesa romana polacca seppur molto potente, non è così popolare tra i giovani e secondo Jurczyszyn i movimenti di estrema destra che sono per lo più composti da giovani tra la fascia 15-35 sono un canale privilegiato per riavvicinare le nuove generazioni ai dettami della religione. “La chiesa è con noi”. A parlare è Piotr Glowacki, esponente del movimento giovanile di estrema destra Gioventù Polacca (MZ), che non nasconde le sue attitudini xenofobe: “Una parte del clero ci conosce bene e sa che la base dei nostri valori è cattolica ed è per questo che ci supporta”. Alcuni preti hanno il coraggio di parlare e sostenere apertamente questi movimenti; altri, mettono a disposizione i locali delle loro chiese per MZ o per un altro movimento ancora più radicale, l’ONR, il Movimento Radicale Nazionale. Dai racconti di Glowacki, i meeting in oratorio di MZ non si limiterebbero a partite a calcetto e qualche chiacchera. In quegli incontri MZ discute e si forma; si educa a tutto tondo su storia, ideologia, impara a rivolgersi correttamente ai media e i suoi membri organizzano marce, manifestazioni e festival.Lo scorso anno a Bientystok, la prima città polacca in cui si sono registrati
attacchi contro ristoranti e appartamenti della comunità araba, u n prete ha addirittura celebrato una messa per l’anniversario di ONR, con tanto di bandiere e simboli disposti all’interno della Chiesa; tra i presenti, anche alcuni esponenti di Forza Nuova. Jacek Miedlar, il giovane prete ultra-nazionalista che ha benedetto il movimento neo-fascista polacco per eccellenza, partecipa ogni anno come ospite d’onore alla manifestazione dell’11 novembre, la festa nazionale polacca, quando tutti i simpatizzanti di ONR e MZ si riuniscono a decine di migliaia per cantare slogan razzisti sfilando per Varsavia. Si tratta della manifestazione ultra-nazionalista più grande d’Europa, in cui confluiscono i più grandi movimenti di estrema destra europei. ONR e MZ nel lor programma promuovono l’idea che in questi tempi “incerti” della società post-moderna, la religione dovrebbe essere la base dell’identità polacca: “la Polonia ai polacchi, i polacchi per la Polonia”. Un concetto che viene ripreso e sviluppato da Stanisław Obirek, teologo e storico, nonché ex-gesuita che con il sociologo Zygmunt Baumann ha co-autorato Conversazioni su Dio e sull’Uomo [Laterza, 2004]: “C’è una convergenza nelle paure dei polacchi oggi, che la chiesa ha formulato in termini religiosi”. La Chiesa polacca è stata la più grande vincitrice dei cambiamenti politici nell’ ‘89 ed ha un peso importante nella vita politica del paese, ma dall’ ottobre 2015 ha preso una posizione completamente nuova. L’Episcopato polacco ha infatti fortemente appoggiato il governo di PiS,
messa prima della marcia
manifestanti alla marcia
il partito Diritto e Giustizia del magnate polacco Jarosław Kaczyński che un anno fa ha conquistato la maggioranza assoluta in Parlamento. “Anche la chiesa ha bisogno dei suoi nemici, e se non ci sono più i comunisti da demonizzare l’attualità fornisce nuovi nemici” dice Obirek, secondo cui la Chiesa ha contribuito in maniera sostanziale alla creazione del “polacco-cattolico” e al mito di Kaczyński che impugna l’identità cattolica e nazionalista
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‘WE MUST PROTECT POLAN FIGHTERS AS FEARS GROW O TR
THE NUMBERS OF YOUNG POLES SIGNING UP TO JOIN 12
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ND FROM PUTIN’ SAY MILITIA OF DONALD TRUMP NATO REREAT
20 MILITIAS HAS TRIPLED SINCE RUSSIA’S WAR IN UKRAINE.
Polish paramilitary are structured the
organisations are voluntary but same as the national armyEleo
“IF YOU’RE OVER 16, RESPONSIBLE, PHYSICALLY TRAINED, AND EAGER TO LEARN MILITARY TECHNIQUES AND HANDLE FIREARMS, JOIN THE STRZTELEC RIFLEMEN’S ASSOCIATION.”
These are the words that greet visitors to the homepage of Poland’s most popular militias. It is a call to arms that may sound comic to many elsewhere in Europe, but in Poland war-making is not just a legacy from the past – but a reality that is widespread today. His two colleagues Marta and Daniel, Strztelec’s chief and deputy instructor – both in their 20s – nod with enthusiasm. “Poland has never stopped being threatened,” Wojewódzki continues. “For a 100 years it was wiped off from the maps and split into three parts. Even once it regained its independence after World War I, it was first subdued to the German and then to the Soviet occupation.” Most Polish paramilitary groups rely on a tradition dating back to the early 20th century. The militias formed a major part of the volunteer forces that fought during WWI and later constituted the national Home Army. But Poland’s troubled history only partially explains why over the past two years the number of people subscribed to the 120 paramilitary organisations active in the country has tripled. Since Russia invaded Crimea and started a “hybrid war” both on a military and virtual level against Ukraine in 2014, Poles have eyed their neighbour warily. Donald Trump’s victory in the US election, which was marked by calls for America to disengage from Nato and a warmer attitude to Vladimir Putin’s Russia, only amplified already existing fears. “In the past, adults would push their children to attend military training and learn how to use weapons. We should bring this custom back, as it is every man’s duty to fight,” said Damien Duda, vice-deputy of Legia Akademicka –Poland’s oldest militia. “Moreover, I’m pretty sure that at least at the beginning of a military crisis Poland will have to confront the enemy alone.” Poland abolished mandatory military service in 2008, but military history plans a big role in Polish life. Young Poles grow up hearing stories of their fathers’ and grandfathers’ heroism during the wars of the 20th century and Poland’s ruling party – the ultra-conservative Catholic Law and Justice (PiS) – increasingly relies on appeals to patriotism and warlike rhetoric.
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Wearing the uniform is a huge responsibility
Polish paramilitary organisations are voluntary but structured like the regular army, with a central body as the core and territorial units training autonomously. The goals of each of these groups are still very similar to those they used to pursue between the world wars, before they were banned by the Communist regime. Simply, they make sure their levies build some solid historical knowledge and grow according to Polish patriotic values, while holding professional physical training to enable young men – and increasingly women – to fight. The banners of Legia Warsaw football fans show the curly overturned “P”, which became the symbol of the Warsaw Uprising against the Nazi occupation. The Polish authorities have also restored other national icons, cursed for years, to boost their popularity. “My hero is Inka, who was my age, 17, when she resisted the Soviets’ interrogation, despite being tortured severely,” said Agnes from the Legia Akademicka, referring to a hero of the 1944 uprising, Nurse Janina Stęczniewska. Although the members of the paramilitary organisations are free to decide whether they want to join the army or the police, continue training without commitment or get back to their normal lives, the authorities started to grasp the potential behind such a well-functioning war machine. The paramilitaries’ influence extends throughout society. The ‘uniform classes’ match regular high school teachings to military practice, and are popular among the youth. “Wearing the uniform is a huge responsibility,” whispered Tomas, while his classmate lists the names of national heroes. We need several trained men to face the imminent Russian threat. In the universities, competition is high. “I had already eyed up the Strztelec organisation but I waited to enter the university to join it,” said Marta, who wants to pursue a military career after her degree. “Twice a week the different groups present their programs and half of my class has already signed up.” In the cities, the government organises commemorations, state funerals and events in honour of the fallen, whilw not far away from Kaliningrad, the Russian enclave located in between Poland and Lithuania, Piotr Czuryllo , spokesperson of the fifty thousand Polish survivalists, lives isolated with his family. Connecting this new age individual to the paramilitary rigour may sound hasty. Nevertheless, this is the same man who, with a rapt look, the camouflage uniform and the kerchief tied around his head, envisions that “in critical times we’ll return to the original chaos and will have to co-operate with the nature”, besides
On that occasion, the Ministry of Defence (MoD) introduced the Territorial Defence Force, which – upon its completion in 2019 – will contain seventeen brigades and 53,000 men in a solely anti-Russian endeavour. Up to 35,000 recruits will be enlisted from paramilitary organisations while the others will be regular soldiers. “This MoD department is very important, because it gives us the opportunity to strengthen the paramilitary units’ military skills,” explained one of the masterminds behind this project, Waldemar Zubek, as Polish soldiers teach paramilitaries how to throw grenades and snipe beside him. “This army is rigorously apolitical,” he said calmly, “and those who accuse the government of creating its own personal militia, I can only respond that we need several trained men to face the imminent Russian threat.” Many fear that the Territorial Defence Force will legitimise the links between Poland’s paramilitaries and some of the country’s more extreme right-wing groups. The unclear criteria of selection and Minister of Defence Antoni Macierewicz’s radical leaning reinforce this belief. Theminister himself claimed that, “it would be wrong to exclude someone for his political ideas,” whereas Konrad Zieleniecki, a PiS representative, let slip that “this force is the only chance ultra-nationalist Poles have to express their own patriotism in… a more practical way.”
marcia dell’indipendenza a Varsavia, 11 novembre.
Cartelli anti-aborto alla marcia.
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GERM NEIN
agli immigrati,
all’euro, al
WHY EASTERN GERMANY HAS BECOME FERTILE SOIL FOR THE FAR RIGHT Since the reunification of Germany in 1990, the government has kept yearly records of the state of national unity, issuing a report every September that takes stock of economic, social and institutional progress east of the Elbe River. In its 2016 report, the focus was more on socio-political, rather than economic, developments in the region. “We have achieved a lot in eastern Germany in the last 26 years,” said government spokesperson Iris Gleicke in Berlin last
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MANIA all’Islam, alla debito greco...
Merkel,
September as she presented the findings of the annual report. But, she added, “we are very concerned about the rightwing extremism, xenophobia and intolerance in the new Lander”—the five federal states that made up the former German Democratic Republic (GDR), or East Germany. Since last year, violent incidents at the hands of right-wing extremists have been dramatically rising in the east and are particularly concerning in the landlocked state of Saxony, near Germany’s borders with Poland and the Czech Republic. In Dresden and smaller towns across the state, anti-immigrant groups have been gathering several times a week to carry out activities that include marches, armed patrolling and arson attacks on shelters and hostels for immigrants.
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This xenophobic sentiment has begun to affect the economies of the eastern states. According to the government’s report, the unemployment rate in the region stands at 9.2 percent—half of what it was years ago, but still far from the 5.7 percent rate in western Germany. Saxony is Germany’s top-performing state economically, with the highest gross domestic product per capita. However, the population is ageing and many young people are going west for better job opportunities. The region’s unwelcoming attitude toward immigrants has limited the expansion of the labor force and discouraged tourism and foreign investment. Before reunification, hundreds of thousands of foreign workers poured into then-West Germany to support its booming economy. However, in the East, the labor force came from fellow Communist countries, and immigrant workers were not allowed to integrate with locals. This created vast socio-cultural and economic differences with the multiethnic and multicultural West. In 1989, both East and West Germany believed in building a strong, unified country, but according to Werner Patzelt, a professor at the Technical University of Dresden, they tried to merge too quickly. “The western side ended up absorbing the eastern one with its infrastructure, institution and people. Many Germans from the exGDR had to adopt a new way of life and culture overnight,” says Patzelt. When then-Chancellor Helmut Kohl opened the borders to foreign laborers in the early 1990s, it was the eastern Germans—isolated for decades—who felt particularly uncomfortable. Two decades later, amid the refugee crisis in Europe, Chancellor Angela Merkel’s open-door policy welcomed 1.1 million refugees, a significant number of whom were Muslim, adding to the 5 million Muslims already living in Germany. The intake, in the context of rising anti-immigrant sentiment and a growing sense of insecurity across Europe, exacerbated longstanding fears of an external colonization and empowered far-right forces at the grass-roots and political levels. Merkel’s refugee policy has generated backlash across Germany, but the alarmist rhetoric used by right-wing groups to capitalize on it has resonated particularly well in the East. “Why is our party stronger in the East than in the West?” asks Thomas Hartung, vice president of the anti-Islam and anti-migrant Alternative for Germany Party, or AfD, during an interview. “Because our people have already experienced life under a dictatorship and are ready to fight again.”
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The AfD, which, until a recent drop in popularity, was seen as a veritable threat to Germany’s establishment parties, isn’t the only right-wing force riding popular resentment toward Merkel’s refugee policy. Whether it reaches the 5 percent threshold to send representatives to the Bundestag, Germany’s parliament, will be determined in September, when federal elections are held. But even if it fails to make gains, the party is but one feature of Germany’s increasingly visible—and often interconnected—far-right landscape. FROM THE STREETS OF DRESDEN The Patriotic Europeans Against the Islamization of the West, known as Pegida, is a popular movement that was born in Dresden in 2014. The group organized its first march with a few dozen participants in October of that year. A few days earlier, its founder, Lutz Bachmann created a Facebook page denouncing Germany’s arms sales to the Kurdish Workers’ Party, or PKK, an armed group fighting against the so-called Islamic State in Iraq. Bachmann—who was later convicted of hate speech in Germany for describing Muslim refugees as “cattle,” “filth” and “scum” in Facebook posts and has since moved to Tenerife, in the Canary Islands—objected to the fact that his country was supporting a Muslim organization. He has routinely lashed out at clashes between Kurdish immigrants and Salafi Muslims in Germany.
MERKEL’S REFUGEE POLICY HAS GENERATED BACKLASH ACROSS GERMANY, BUT THE ALARMIST RHETORIC USED BY RIGHT-WING GROUPS TO CAPITALIZE ON IT HAS RESONATED PARTICULARLY WELL IN THE EAST. “We had enough of foreigners occupying our streets,” says Siegfried Daebritz, Pegida’s vice president, illustrating both the group’s targeting of immigrants and the inflammatory rhetoric it uses to do so. “If they had the right to do it, why couldn’t we gather to show the real face of Islam and wars of religion?” Within months, the group’s small gatherings had grown into mass rallies; a protest that December drew 15,000 people.
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Pegida, in contrast to other farright, xenophobic groups—such as Hooligans against Salafists, a group of violent right-wing football fans active across Germany— tried to appear more presentable politically. At its debut rally, for example, it chanted, “We are not violent but united against Islam and religious wars on the German soil.” Later, Bachmann adopted anti-Communist slogans, such as “We are the people.” His supporters waved the Wirmer flag, used to celebrate the failed attempt to assassinate Adolf Hitler and, according to Daebritz, meant “today to show that
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we are the resistance against a new totalitarian regime.” However, despite its attempts to present a softer face, Pegida’s ties with Germany’s dark past have always been visible. The group holds weekly marches every Monday— the same day the German National Socialist party held its weekly “walks” in the 1930s. Pegida opposes the mainstream media, which it calls Lugenpresse, or “lying media”—a defamatory term used in Nazi Germany—and has fans and affiliates among radical, farright groups in Germany and across Europe. Fixtures of the European right wing, including the AfD’s Bjorn Hocke and the Netherlands’ Geert Wilders, have spoken at Pegida’s rallies.
The group’s harsh rhetoric against Muslims resonated, helping boost the number of its followers, which grew from a few dozen at 2014 rallies to an estimated 25,000 to 40,000 at rallies in early 2015. Foreigners—from immigrants and naturalized-immigrant citizens to German-born citizens of immigrant origin— make up a small portion of Saxony’s population, but there is a strong anti-immigrant stance among residents. “We travel, watch TV and read newspapers and we know all the problems mass migration is creating,” says Daebritz. “Simply, we don’t want
neighborhoods taken over by Muslim immigrants, as has happened to some Western cities.” Only 0.1 percent of Saxony’s population is Muslim, compared to roughly 5 percent nationally. Nevertheless, Pegida has united disparate groups around its anti-immigrant platform, from the various fringes of the right wing and leftists excluded from the parliament,
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to disillusioned members of the middle class and supporters of the AfD.
“WE HAD ENOUGH OF FOREIGNERS OCCUPYING OUR STREETS.” “Pegida is like a forerunner for German populism and for the AfD, but Pegida and the AfD are also two sides of the same coin,” says Patzelt, who authored a book about Pegida. Due to its history of fascism, Germany was for many years “a blank spot on the map of European populist, radical, right-wing parties, but Pegida exploited the general dissatisfaction nurtured in a conservative capital like Dresden.” The movement’s attempts to establish itself in other German cities with higher concentrations of Muslim immigrants, such as Leipzig or Berlin, did not succeed, as their populations are less conservative and tend to be more open to immigrants, Germans with foreign backgrounds and Muslims. Some German politicians have described Pegida’s members as “neo-Nazis in pinstripes,” but despite the group’s references and rhetoric, outright neo-Nazis are in fact a minority in its ranks. Rather, a larger number of its supporters come from the old-fashioned bourgeoisie who lament the divide between the German political elite and ordinary people. In 2015, however, the movement took a hit when German tabloids revealed that Bachmann had posed as Hitler in a photo on his Facebook page, prompting nearly all of the German political class to label Pegida as an enemy of the Federal Republic. Many members of the AfD, which had initially expressed support for the group, tried to distinguish their ideology from that of Pegida. But even Stephan Vogel, leader of the AfD in Dresden, acknowledged that their outlooks are in reality very similar. “Since the beginning, Pegida’s program has relied on 10 theses that focused primarily on immigration and security, and they overlap with the AfD’s federal goals,” says Vogel. Since peaking in early 2015, turnout at Pegida’s marches decreased, as the AfD’s popularity began to increase. “Many former Pegida members were tired of a movement that doesn’t take any concrete action and turned to our political party,” adds Vogel. Alternative for Germany Frauke Petry, the AfD’s chairwoman since July 2015 and leader of the party’s Saxony branch since its foundation, was at the forefront of efforts to draw a distinction between her party and Pegida.
When asked in March 2016 by journalist Tim Sebastian to comment on what her co-founder Alexander Gauland saw as the party’s “natural allies” in Pegida, Petry said that the AfDwould always stand by those who protest democratically in the streets—describing support for the democratic right to protest, rather than an alliance with the movement itself. When Sebastian asked her if she agreed with Bachmann’s description of refugees as “cattle and scum,” she responded with exasperation. “Of course we don’t agree with that and we have said this so many times,” she said, accusing the journalist of trying “to establish a link that has never existed.” The AfD was founded in April 2013 as an anti-euro—not anti-European Union—party. It primarily drew its support from popular fears that the financial burden of successive bailouts for heavily indebted EU countries, particularly Greece, would ultimately prove too high for German taxpayers. Earning 4.7 percent of votes in the 2013 federal elections, the party narrowly failed to reach the 5 percent threshold necessary to en
ter the Bundestag. However, it was able to elect seven legislators to the European Parliament in 2014, and earned around 10 percent of votes in several German regional elections that year. But the AfD split the following year, with 10 percent of its members defecting. The rupture caused its popularity to slump to 3 percent in national opinion polls. One of the party’s founders, economist Bernd Lucke, spearheaded efforts to break from the party, denouncing the “infiltration of xenophobic, racist, nationalist, anti-Semitic, Islamophobic, homophobic extremists into it.” A number of the defectors joined Lucke’s new party, the Alliance for Progress and Renewal. While the AfD’s agenda in the European Parliament was mostly concerned with economic policy, its delegations in state legislatures, such as in the eastern states of Brandenburg, Saxony and Thuringia, predominantly focused on internal security and immigration policy.
“The AfD started as anti-euro, but after the split, the far-right and Nazi side took over the party,” says journalist Marcus Bensmann. “Today, the AfD is pushing forward Volkish ideas into the mainstream political discourse,” he adds, referring to the populist cornerstone of Nazi ideology. These ideas, he notes, were inherited from Pegida, and include themes “like the imminent threat Muslim immigrants represent and the risk of a great Muslim infiltration.” In August 2015, Petry, who had replaced
Lucke as the party’s leader, proposed an “autumn offensive” focusing on both the euro and immigration. But talk of the euro evaporated quickly, and the most extreme demands—such as sealing borders, lifting the right to seek asylum or enabling the German police to shoot refugees “in case of an emergency”—were featured instead. Party leaders explain its rise by pointing to the impact of the refugee crisis that has gripped Europe and Germany since 2015. “The basic changes Germany witnessed in the last two years are due to the enormous wave of refugees that reached our country and changed the attitude of the population towards the ruling parties,” said Vogel, the AfD’s leader in Dresden, in a December interview. “Since the beginning, our people didn’t share Merkel’s migration policy, and the AfD just rode on this sentiment.” Among the AfD’s most radical voices is Bjorn Hocke, the head of the party in the east-central state of Thuringia, who was previously a member of the youth organization, or Junge Union, of Merkel’s center-right Christian Democratic Union (CDU). When, as an AfD representative, he highlighted the “DIFFERING REPRODUCTIVE STRATEGIES” of Africans and Europeans, the AfD leadership asked him to resign. He not only refused, but stubbornly persisted without lowering his tone. The reception given to his public appearances, such as a fiery February speech in Dresden proved that his focus on the most radical fringes of the AfD’s electorate was actually an effective strategy for boosting the party’s prospects. Since 2013, the AfD has gained momentum in the east, with opinion polls currently putting it above the 5 percent threshold for entry into parliament at approximately 10 percent. By 2016, it had representatives in 10 of 16 states, and an 11 to 12 percent approval rating nationwide, stemming partly from the refugee crisis and a series of violent attacks perpetrated by immigrants and asylum-seekers. Its success also results from a political strategy that recalls the so-called de-demonization of France’s far-right National Front party and its leader Marine Le Pen, who sought to integrate the party into the political mainstream by disavowing its history of anti-Semitism and racism.
In practice, the AfD put a friendly face over its radical origins, attempting to appear less threatening and appeal to a larger electorate. But its rhetoric continued to scapegoat globalization and immigrants, if indirectly. “In the east, many people who used to vote for the Left party ended up giving their vote to the AfD,” says Jurgen Elsasser, editor-in-chief of Compact magazine, the AfD’s unofficial media organ, “because they felt betrayed by people that followed the international agenda of the big money and the open borders.” Gauland, one of the AfD’s founders and a former CDU politician, is eager to appear moderate, if only outwardly. “If to 80 million Germans, many with a migratory background, you add first a million and then an ever-increasing number of foreigners year by year,” he explains, “you’ll see a change in people’s composition and identity.” His rhetoric appeals to former conservative CDU voters who felt betrayed by Merkel’s immigration policy.
THE AFD PUT A FRIENDLY FACE OVER ITS RADICAL ORIGINS, ATTEMPTING TO APPEAR LESS THREATENING AND APPEAL TO A LARGER ELECTORATE. In particular, Petry, who was labeled “Adolfina” by Der Spiegel newspaper, has embraced the approach of giving radicalism a soft look, often appearing youthful and approachable in sympathetic press organs.
marcia di Pegida
Petry was born in Dresden during the communist era but was raised in the West and educated in England, a cultural mix that helped her gain popularity in Germany. The AfD so far has been unable to appear as unified and organized as other European populist parties, such as the National Front or the Austrian Freedom Party, and hasn’t announced its candidates for the September federal elections. Nevertheless, Petry looks like the best chance the AfD has to reunite opposing sentiments both inside and outside the party. As time passes, the resentment the East has harbored toward the more-liberal West has widened the gap between the two sides of Germany. Today, these divergent sentiments reflect the.
polarization that has emerged across Europe and worldwide “The idea of an open, multicultural and multiethnic society hails from the 1968 cultural revolution experienced
THE CULTURA 43
intensively in the West, and almost entirely absent from the East,” explains Patzelt. “That generation of West German student activists went on to occupy all top positions in media, universities, public administration and political parties. But this intellectual hegemony is coming to an end, because the political, societal and economic problems have changed, and the old answers are no longer sustainable for ordinary people.” The demand for new answers to everyday problems, together with crises over identity and culture linked in part to globalization and new migratory flows, are paving the way for an unexpected revolutionary impulse across the ex-GDR. IN THE PAST, Germany’s right wing was characterized by thugs with shaved heads and jackboots. After the 1990s, this group was replaced by the “autonomous nationalists”: right-wing extremists with left-wing looks and tactics but a violent attitude similar to their predecessors. At rallies that denounce capitalism and globalization, the Autonomous Nationalists often dress in black, brandishing banners with slogans written in English in funky, streetart-inspired fonts that MORE CLOSELY RESEMBLED URBAN GRAFFITI AND THE HIP-HOP MOVEMENT THAN THOSE USED BY NEO-NAZIS AND SKINHEADS.
TODAY, THOSE GROUPS ARE STILL AROUND, BUT THEY REPRESENT A MINORITY WITHIN THE NEW RIGHT THAT MOSTLY COMPRISES MEMBERS OF THE MIDDLE CLASS, CONSERVATIVE INTELLECTUALS, DEVOUT CHRISTIANS AND A LARGE CONSTITUENCY OF PEOPLE ENRAGED WITH THE POLITICAL CLASS FOR DIFFERENT REASONS.
AL REVOLUTION Gotz Kubitschek a Shnellroda
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At the same time, the New Right— of which Pegida and the AfD are the grass-roots and political manifestations—opposes the state and its organs, and mocks them as “traitors,” “dictators” and “liars.” Such victimization and harsh anti-establishment rhetoric hail from the neo-Nazi tradition. The New Right believes that the mainstream media cannot be trusted, and has thus created its own gatekeepers of truth and information, with two key media figures seeking to unite its internal differences and drive the German public toward the AfD: JURGEN ELSASSER AND GOTZ KUBITSCHEK. Elsasser, the editor-in-chief of Compact magazine, doesn’t identify himself as right wing. He used to hold leading positions in communist organizations and write for leftist newspapers such as Junge Welt or Neues Deutschland. “In 2005 I tried to convince my comrades that we had to defend our nation-state against globalization, in order to protect the working class and the poor people,” he says in an interview, “but they mistook this for right-wing nationalist thinking, and I started alienating myself.”
AS TIME PASSES, THE RESENTMENT THE EAST HAS HARBORED TOWARD THE MORE-LIBERAL WEST HAS WIDENED THE GAP BETWEEN THE TWO SIDES OF GERMANY.
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From 2007 to 2008, Elsasser gradually left his left-wing circles to embrace more radical, anti-Islamic and pro-Russian ideas, co-founding Compact in 2010. “The division between left or right doesn’t make sense anymore,” he says. For Elsasser, it’s too late for violent street revolutions, but it’s still possible to “influence the state by voting and fighting for our cultural hegemony, rejecting multiculturalism and globalism and bringing back family values, patriotism and nationalism,” he says. “Trump came into power by a constitutional process enabled by the vote and helped by new media like Breitbart News. In Germany, Compact and others could play a similar role by supporting the victory of the constitutional revolution.” Kubitschek, for his part, is not only the publisher of Compact, but is also behind far-right institutions including the Sezession news site, the International Staats Politik think tank and the Antaios publishing house. He remains one of the most influential theorists of the so-called cultural revolution promoted by the New Right. He often appears with Elsasser and Hocke, speaks at Pegida’s events, and organizes symposiums at his farmhouse,
where he gathers representatives of Germany’s ultra-conservative and nationalist fringes. “The conditio sine qua non for our cultural revolution is the homogeneity among the people,” he says in an interview at his home in the isolated eastern village of Schnellroda. “To this, you have to add the defense of our identity, the overpopulation of Europe and a strict regulation of immigration. Europeans will be welcomed in more generously, but those who are culturally distant from us have to leave.” While most New Right leaders don’t perpetrate violence themselves, they create an atmosphere that encourages violence-prone right-wing extremists to act. “There’s no need to be politically correct anymore,” says Bensmann, the journalist. “On the one hand, it’s very common to lash out against Muslim people in the public sphere and, on the other hand, populist parties like the AfD keep saying that they are the only ones telling the truth, that they are under threat and need to defend themselves.” In September, Germans will cast their votes in the election.
At 10 percent, the AfD’s popularity nation-wide currently far exceeds the 5 percent it needs to enter the parliament as an opposition political force. And Merkel’s conservatives, confronted with an unprecedented popular center-left Socialist Democratic Party, are particularly unsettled right now. The CDU and Christian Social Union (CSU) have been at odds for months, and after 12 years of Merkel, many Germans want a new face, if not a new approach. The destinies of the AfD and the CDU may be more intertwined than each party thinks. “Apart from the dwindling number of immigrants and the burst of new terrorist attacks, another factor might affect their popularity,” says Patzelt, “and that is if Merkel will try to reconquer the political space on the right of her party.” It’s still unclear if and how Merkel will try to appeal to conservatives that feel left behind by the CDU and are tempted to move closer to the AfD. If she moves her party’s platform rightward, and other parties follow suit, it will push previously unacceptable ideas into the mainstream. In such a scenario, the New Right will already have accomplished one of its long-term goals, with implications for Europe and beyond.
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ALTERNATIVE Für DEUTSCHELAND Lontano dai vecchi dell’NPD La corte costituzionale tedesca ha deciso all’unanimità di non mettere al bando l’NPD, il partito nazional democratico tedesco, il 17 gennaio. Secondo Andreas Voßkuhle, presidente della corte, l’NPD non rappresenta una minaccia per la democrazia. Il partito ripreso dal trentenne Frank Franz, è stato considerato di poco rilievo, e con i suoi poco più di 5000 membri, un piccolo nevo nel panorama politico tedesco. L’ex leader del partito, Udo Voigt, ora deputato non-iscritto al Parlamento Europeo, ammette che “in Germania ci hanno sempre fischiato, ma qui nel parlamento europeo siamo in tanti deputati di estrema destra, e ricevo addirittura degli applausi”. La Germania, più che qualsiasi altro paese dell’Unione Europea, ha adottato le leggi più severe in materia di apologia al fascismo e al nazional-socialismo. Ma negli ultimi tre anni, il panorama politico tedesco sta cambiando rapidamente, tanto da mettere in discussione la lungimiranza e la capacità di saper fare una differenza tra opposizione e minaccia estremista. Bender, militante da oltre 20 anni dentro un gruppo antifascista di Berlino, spiega che sin dagli anni ‘90 diversi governi avevano tentato di mettere al bando l’NPD, senza mai riuscirci. Subito dopo la caduta del muro, i gruppi neo-nazisti erano divampati in tutta la Germania Est, una parte rientrando nell’NPD e una parte con i camerati liberi. In quel momento i neo-nazisti si erano nascosti dentro una sottocultura naziskin di razzismo e ribellione. Ma si trattava proprio di sottocultura razzista, il white power, di piccoli gruppi violenti, per lo più isolati e lontano dai cittadini comuni.
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In quel periodo lo stato aveva chiamato la società civile ad agire, creando i MBR (Mobile Beratung Gegen Rechtsextremismus), ONG anti-razziste, o di sostegno per i rifugiati e cercando di organizzare una risposta coordinata al razzismo naziskin. “Ci sono sempre stati i razzisti, come ovunque” racconta Bender, “ma prima non avevano alcuna rappresentanza, non era come in Francia o in Italia in cui trovavano un populismo da seguire” come la Lega Nord e il Front National,
“LE COSE SONO CAMBIATE ORA, DA QUANDO HANNO TROVATO VOCE DENTRO L’AFD”. “Ora si assiste ad una politicizzazione di massa in un clima di razzismo”, racconta Bender, sempre più persone si sono rapidamente radicalizzate al punto da sentirsi legittimate ad attaccare i migranti (che siano di prima, seconda o terza generazione) sia verbalmente sui social media, che nella realtà con aggressioni mirate – si pensi alle decine di aggressioni contro i centri di accoglienza per rifugiati che sono state registrate negli ultimi due anni. Ma nella maggioranza dei casi, “non si tratta di persone apertamente affiliate a un’ideologia di estrema destra” spiega Bender. Lo conferma Sonja Prinz, presidente dell’ONG New Generation, che ha organizzato una marcia anti-razzista dopo che il figlio 17enne e di colore è stato aggredito nel cuore di Berlino da quattro uomini che l’hanno salutato a braccio teso, ‘Heil Hitler’. « Il razzismo non è più un tabù” racconta Sonja marciando per Prenzauelberg “non è più mal visto, ora si può parlare in modo razzista apertamente senza sentirsi giudicati » .
Secondo il giornalista d’inchiesta Marcus Baumann, “è sempre più comune denigrare un gruppo specifico, i musulmani, su facebook o negli spazi pubblici”. Quello che secondo Baumann rende i gruppi di estrema destra simili tra loro è il leitmotiv che usano : “noi diciamo solo la verità, siamo minacciati, e dobbiamo difenderci”. Questa retorica, è stata possibile grazie al grande successo nelle piazze e nei media di PEGIDA, europei patriottici contro l’islamizzazione dell’Europa. Grazie a Pegida, la denominazione di migranti come “invasori” è diventata comune e adottata anche dal partito populista di destra che emerge sempre più forte: l’Alternative für Deutscheland, AfD. All’inizio, spiega Baumann, “l’AfD era un partito anti-euro, in cui economisti liberali come Bernard Lucke si erano schierati contro l’aiuto economico alla Grecia”. Nel 2015, c’è stata la frattura che ha visto come vincente l’ala destra di Alexander Gauland, che aveva fondato l’AfD nel 2013 dopo essersi distaccato dalla costola più conservatrice dell’Unione cristiana democratica, CDU di Angela Merkel a suo parere sempre più tendente a sinistra. O Björn Höcke, spesso protagonista dei titoli internazionali per le sue dichiarazioni estremiste, razziste e ultra-nazionaliste.
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AfD, Stefan Vogel, Dresda edizioni Kubitschek Alexander Gauland, AfD founder, Berlin
identitari a Dresda
Siegfried Daebritz, Pegida co-founder
rivista Compact, Kubitschek
Thomas Hartung, AfD Dresda
Manifestazione antifascista Berlino, Sonja Prinz
In molti pensavano che l’AfD non sarebbe sopravvissuto a questa frattura, ma fu invece il momento in cui, “l’estrema destra ha colto l’opportunità di infiltrarsi nel partito” spiega Baumann. Personaggi estremisti come Höcke hanno potuto prendere spazio nell’AfD, mentre la leadership passava nelle mani di una faccia nuova come Frauke Petry, donna – quasi assenti sia nel partito che nei movimenti di piazza - imprenditrice, e soprattutto estranea alla politica. Il discorso ha “rapidamente virato in acque di estrema destra nazionalista” riferisce Baumann, “riprendendo idee d’identità, di popolo germanico minacciato dagli immigrati e dall’islam”. Nell’estate 2015, dopo che la foto di Aylan Kurdi morto a soli
tre anni sulle coste greche aveva girato il mondo e spronato un’ondata di accoglienza, la Germania aveva deciso di aprire le frontiere. In pochi mesi, l’atmosfera di entusiasmo si è però trasformata. Gli attentati di Parigi e gli attacchi di Colonia, hanno accelerato un processo estremamente rischioso ma prevedibile: l’associazione migrazione e terrorismo islamico. Un grande amalgama di paura è stato utilizzato con successo dal rinnovato partito AfD, che a quel punto era pronto a cavalcare l’onda politica sulle note di “invasione di immigrati e terrorismo”. Alexander Gauland, leader di AfD per lo stato di Brandeburg, chiama dittatoriale la politica della Merkel che ha “deciso di aprire le frontiere da sola, lasciando entrare nel paese
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un milione di persone”. “E il calcolo è semplice” prosegue Gauland, “SE SIAMO 80 MILIONI DI TEDESCHI, DI CUI BUONA PARTE CON UN BACKGROUND MIGRATORIO, E OGNI ANNI AGGIUNGIAMO UN MILIONE DI MUSULMANI, È OVVIO CHE LA NOSTRA IDENTITÀ CAMBIERÀ”. Il 17 dicembre 2016, subito dopo gli attentati di Berlino al mercato di Natale, Frauke Petry dichiarava al Telegraph “Non possiamo continuare a negare il legame che c’è tra le politiche migratorie della Merkel e questi attacchi”. E l’AfD organizzava una manifestazione “Merkel Muss Weg” Merkel se ne deve andare, per commemorare le vittime dell’attentato, in cui Höcke, Petry, Gauland, Kubitschek, insomma tutti erano presenti. Secondo Marcus Baumann si tratta di discorsi mediatici sempre più comuni, “i politici dell’AfD usano idee apocalittiche, profetizzando una precoce fine se non iniziamo ad ascoltarli… ma questa è la stessa propaganda del periodo nazista”. “SIAMO NATI COME PARTITO EURO-CRITICO, USANDO PAROLE CHIAVE COME SALVATAGGIO DELLA GRECIA, EUROPA DEL NORD E EUROPA DEL SUD ECC” racconta Thomas Hartung, vice presidente AfD a Dresda, nel Lander di Sassonia, dove l’AfD ha preso il 24,2% dei voti, imponendosi come seconda voce dopo il CDU nelle scorse regionali. “Adesso invece” continua Hartung, “si parla della politica migratoria, e di politiche sulla famiglia e la sicurezza.
L’opinione di Werner Patzelt, au- Il professor Patzelt, ha analizPegida – segnali allarmanti zato insieme ad una sua classe di master in scienze sociali, la da Dresda
tore di
“Le 10 tesi di PEGIDA, sono esattamente sovrapponibili con gli obiettivi dell’AfD” dichiara Stefan Vogel, presidente del partito AfD a Dresda. Secondo il politologo Werner Patzelt, dell’Università di Dresda, PEGIDA ha avuto un ruolo fondamentale nello sdoganare la retorica anti-migranti e anti-islam e quindi aprire le danze per l’ascesa dell’AfD in tutta la Germania.
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nascita del movimento di strada Pegida, che da tre anni organizza quelle che chiamano le “passeggiate” sulle strade di Dresda ogni lunedì. La scelta del lunedì non è stata casuale, infatti riprenderebbe simbolicamente la cadenza delle marce organizzate contro la RDT. Sin dall’inizio, nell’ottobre 2014, Patzelt ha voluto mettere in guardia sull’interpretazione del movimento
Infatti, la partecipazione vasta e variegata alle manifestazioni di PEGIDA, che iniziate con qualche centinaio di persone hanno riempito le piazze con più di 38.000 persone in pochi mesi dalla loro nascita, è secondo Patzelt da analizzare con intelligenza. “Sui media tradizionali, si è voluto far vedere che i partecipanti alle marce di PEGIDA erano solo gruppi neo-fascisti o neo-nazisti, o di estrema destra, ma quello che abbiamo visto sin dall’inizio era una cosa diversa: molte delle persone che partecipavano alle manifestazioni di PEGIDA erano normali cittadini, gente di ogni tipo e di varia estrazione sociale”. Non c’erano “solo i gruppi riconosciuti di estrema destra, ma c’erano tante persone comuni, che hanno risposto al richiamo di PEGIDA sulle questioni di integrazione, islam, multiculturalismo, relazioni con la Russia e globalizzazione” spiega Patzelt. Il fatto che migliaia di persone abbiano simpatizzato con PEGIDA sia stato sminuito dai media, ha creato ancora più distanza tra i cittadini, il cui malcontento è quindi sempre meno capito, e le elite politiche.
In quel momento, era già chiara la portata del movimento. “PEGIDA ha potuto crescere grazie alle contingenze di Dresda: una città grande e marcatamente conservatrice, con un bassissimo tasso d’immigrati, men che meno musulmani, ed ex-centro strategico della exRDT” spiega il professor Patzelt. Nella logica di PEGIDA “il fatto che non ci siano immigrati in Sassonia, e nella Germania dell’Est è il punto fondamentale per dichiarare ‘e mai ne vorremo’” è questo che ha attirato molte persone, tante delle quali possono ora dire a voce alta che dopo la riunificazione si sono sentiti imposti di convivere con orde di italiani e turchi che vivevano ormai da decenni nella Germania dell’ovest. Secondo il professor Patzelt, le idee “che hanno portato la rivoluzione culturale del ’68 nella Germania dell’Ovest, non sono state vissute nella Germania dell’est”. E anzi, secondo Patzelt, il fatto che in Germania dell’Est, le idee del ’68 siano state vissute come un’imposizione da parte della Germania dell’ovest, “ha aggravato sempre di più la distanza tra le élite politiche e i cittadini ordinari”.
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Dresda, culla di Pegida
manifesto anti-Pegida nel centro di Dresda
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Questa distanza, si è tramutata in sfiducia verso il governo, “tanto che nelle piazze di PEGIDA chiamano le politiche migratorie attuali :‘cambiamento culturale’”, parole che nella Germania dell’Est hanno un significato forte. Qui il senso d imposizione e sconfitta è molto più presente. “La Germania dell’est ha già vissuto in passato un profondo cambiamento culturale : la riunificazione”, dice Patzelt, e ora “in molti cominciano a dire che è stata imposta dalla RFT, e che non vogliono rivivere un altro cambiamento culturale per lo più imposto da popolazioni non germaniche”. È in questo clima che è nato PEGIDA, e giocando sulla retorica del politicamente scorretto, è riuscito a cambiare il discorso, e a sdoganare vecchi tabù. Ma se la leadership di PEGIDA non è “interessante, con cinque leaders grezzi e politicamente incapaci” è invece interessante per aver permesso la virata a destra dell’AfD, dando un megafono al malcontento popolare. PEGIDA ha goduto di una copertura mediatica eccezionale, soprattutto a causa della portata delle sue ‘passeggiate’ del lunedì, permettendo di lanciarne il discorso su scala nazionale. “Sin dall’inizio PEGIDA aveva dichiarato che avrebbe votato per l’AfD”, spiega Patzelt. Il co-fondatore di Pegida, Sigfried Daebritz, che è un’agente di una compagnia di sicurezza privata, e buttafuori in diversi locali notturni, aveva tentato di entrare nell’AfD a due ripetute, ma la sua domanda è sempre stata rifiutata. Questo perché “ora l’AfD non ha più bisogno di PEGIDA” spiega Patzelt, “ e anzi, l’AfD cerca di prendere distanze sia da PEGIDA” che da partiti più estremisti come l’NPD, nonostante membri come Björn Höcke abbiamo ripetutamente e pubblicamente ammiccato al partito nazional-democratico. L’AfD è un movimento populista che porta insieme persone di destra e estrema destra a persone che vengono da CDU (centro destra), e per avere più voti è importante che si distacchi da PEGIDA. Pegida può diventare l’ala di destra ma lasciando che il partito si potesse dichiarare di centro, in questo senso Patzelt sottolinea come “PEGIDA E AFD SONO DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA”.
I giovani attirati da ideologie ultra-nazionaliste, identitarie e del così chiamato etno-pluralismo ricevono il loro indottrinamento attraverso le pubblicazioni di Götz Kubitschek. Si tratta di un sedicente intellettuale, e ‘attivista’ di estrema destra, protagonista ideologico da oltre 15 anni della scena di estrema destra tedesca. Ha fondato il suo micro-impero attorno al giornale Sezesion, e alla sua casa editrice Antaios, che annualmente vende oltre le 50.000 copie tramite circuiti online. Molta della propaganda è infatti fatta in rete, perché raggiungere il centro ideologico non è facile. E’ una vecchia fattoria stemmata con il serpente del logo Antaios, nel bel mezzo della campagna sassone, a circa 30 km da Halle. “Ho ripreso questa casa di famiglia 15 anni fa” racconta Götz Kubitschek, nella sala per gli incontri. Di fronte alla finestra c’è un antico inginocchiatoio su cui veglia un’effige della Vergine Maria, accanto ad una massiccia croce di legno alta almeno un metro. Götz Kubitschek siede nel lato opposto, accanto un’enorme libreria illuminata da una vecchia lampada, in cui si leggono solo alcuni titoli come “Casa Pound” o “The Big Replacement”.
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Vive qui, isolato, con la moglie, anch imenti di estrema destra e conosciut donne musulmane e contro diverse ri diritto all’aborto o al divorzio), e i su ciplina”, è questo il segreto per una bitschek, mentre suo figlio di 13 anni
una nettissima riga di lato in stile an
ORDINE E DIS
Kubitschek è lontano da prendere Serissimo nel suo completo nero, r esse in politica sia maturato nell’e “L’esercito non può
UNIVERSO SH “Ogni
stato liberale deve dife
“è un’atmosfera di logica fredda, imp tola e anche a uccidere qualcuno to non è liberale. Ma è un dovere Negli ultimi 25 anni, “la nostra German erale ma necessaria, e propaga idee con chiunque anche con chi ci minacc zione è di discutere invece di combat Intorno a Kubitschek, gravitano il grup nato in Francia nel 2002, che inneggia piede nelle grandi città grazie ad azion la sezione giovanile e più radicale de parlato in più di una manifestazione; “Shnellröda è il più importante circolo nuova destra, dove possiamo discutere racconta con foga Alina, 21 anni e d dentro il circolo degli identitari e delle in Germania, deve volere essere tede dichiara seriamente Alina, portando a
feritisi in una facoltosa cittadina della Le parole chiave che Kubitschek ti i gruppi affigliati sono
he lei figura di spicco nei movta per i suoi pensieri contro le ivendicazioni femministe (come il uoi sette figli. “Pane acqua e disa buona educazione secondo Kui, con il ciuffo biondo laccato in
nni ’30, lo consulta con referenza.
SCIPLINA.
e queste nozioni alla leggera. racconta di come il suo interesercito e nei suoi fondamenti. essere liberale, “
HNELLRÖDA
endersi in modo illiberale”.
pari come difenderti con una piso magari essere ucciso, quese, e devi impararlo per capire”. nia ha distrutto questa parte illibdel tipo che è possibile dialogare cia e ci violenta, e che l’unica reattere, questo per noi è sbagliato.” ppo degli identitari, un movimento a Casa Pound e cerca di prendere ni spettacolari; i Junge Alternative, ell’AfD; Pegida, dove Kubitschek ha così come diversi membri di AfD. o d’incontro della Neue Rechte, la e, e Kubitschek è un gran maestro” di origini rumene e da pochi mesi e confraternite di Dresda. “Chi viene esco e lasciare la propria cultura” esempio i genitori architetti tras-
Con un lifting estetico per rinfrescare i propositi, “abbiamo imparato tanto dagli anni ’20” spiega Kubitschek, “le due guerre mondiali e l’intervallo di rivoluzione conservatrice in Germania” riferendosi al periodo nazista, “di tutto questo ci si focalizza solo sulle atrocità della seconda guerra mondiale ed è ovvio che la nuova destra non può fare black out su questi fatti”. Per necessità la nuova destra si è tramutata, “dice le cose vecchie ma in modo nuovo, per non essere obsoleta in questa atmosfera post-moderna” echeggia Kubitschek. Il discorso di Kubitschek arriva fino al cuore del problema: creare una società omogenea, in cui si riduca la sovrappopolazione europea, regolando l’immigrazione e definendo quindi chi è culturalmente accettabile e chi no. Sembrano discorsi di un lontano passato, aggiunti ad una rinnovata identificazione religiosa, in cui demografia, denigrazione di una parte della società e ordine e disciplina erano stati i piloni fondanti dei fascismi europei.
Kubitschek ha ricoperto a livello ideologico il ruolo che PEGIDA ha avuto a livello di strada, unendo “Identitari, PEGIDA, AfD, confraternite, sono tutti capitoli di un movimento che a Baviera poco dopo la sua nascita. procede verso una stessa direzione” k ha fatto risuonare in tut- dice Kubitschek: “la situazione attuale “MAGGIO 68 DI DESTRA”. potrebbe diventare la nostra primavera, la nostra rivoluzione culturale”.
studio di Gotz Kubitschek a Shnellroda.
entrata con logo della casa editrice Antaios, Gotz Kubitschek.
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Dresda, mercato di Natale.
Gotz Kubitschek nello studio.
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FRAN
LA GALAXIE D’EXTRÊ DU FRONT N
Avec leur lot de solutions faciles et leurs méthodes musclées de “remigration”, les groupes populistes fascinent les urnes en jouant les cordes de l’anti-migration, du combat contre les élites et du repli identitaire.
GALAXIE D’EXTRÊME DROITE FRANÇAISE
«En France, une force écrase toute l’extrême droite: le Front National», affirme Dominique Albertini, journaliste de Libération, spécialiste de la droite française.
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NCIA
ÊME DROITE AUTOUR NATIONAL
identitari a Nizza
Depuis 1972, le FN occupe ainsi l’entier de la scène politique d’extrême droite, englobant une galaxie de mouvements et groupuscules, adeptes d‘une action directe, qui se traduit rarement en course électorale.
LES IDENTITAIRES Tous les mouvements qui gravitent autour du FN jouent un rôle bien précis. Par exemple, l’ancien Bloc Identitaire a changé son
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nom en Les Identitaires cet été pour signifier qu’il n’est plus un parti politique désormais, mais un mouvement qui soutient le FN Depuis sa création en 2003, le mouvement a beaucoup misé sur la communication autour de ses actions. De même pour sa branche juvénileGénération Identitaire. «Les Identitaires sont devenus célèbres avec l’occupation d’une mosquée», explique Albertini, «et plus récemment par le blocage d’un pont à Calais» pour empêcher les gens de la Jungle d’aller en ville, ou bien encore par la distribution de soupes au porc aux sans-abri français afin d’exclure ceux d’entre eux qui sont de confession musulmane. Les Identitaires mènent ce type d’actions afin de donner une image de groupes de jeunes, nombreux, motivés et intimidants. «Les militants ont un bon niveau politique», estime Albertini. Ce sont eux qui ont inspiré la création de branches identitaires dans plusieurs autres pays d’Europe, comme l’Autriche, l’Allemagne, la Belgique ou bien encore l’Italie. Ils se forment entre militants dans des “Universités d’été”, lors de cours organisés suivant des principes d’ordre et de hiérarchie strictes.
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«Notre “Université d’été” est une formation qui se mérite: seuls les militants approuvés par les leaders locaux peuvent y aller», explique le Suisse Jean-David Cattin, leader des Identitaires français. «Pendant la formation, ils apprennent à faire des tracts, à mettre au point une action, à organiser un collage d’affiche, à répondre aux questions des journalistes…» Les Identitaires ont établis leurs quartiers dans le local “Lou Bastioun” à Nice, afin d’élever leurs militants à des postes de «cadres politiques en puissance», selon Albertini. «Les plus doués finissent au FN, pour y trouver les débouchés électoraux qu’ils n’ont pas au sein du mouvement.» «Au début, Marine Le Pen ne voulait pas intégrer Les Identitaires au FN», précise Jean-Yves Camus, chercheur associé à l’Institut de relations internationales et stratégiques (IRIS), spécialiste des nationalismes et extrémismes en Europe. «Elle craignait que le passé activiste de certains puisse remonter à la surface. Au final, au moment des élections régionales, notamment à Nice, elle a accepté.» Cette coopération a été bénéfique pour les deux formations, «pour le FN, qui a gagné des cadres de moins de 40 ans, et déjà expérimentés, dans ses rangs; et pour le Bloc Identitaire, qui est ainsi sorti de l’impasse politique.»
Ce n’est pas un hasard si cette manœuvre politique a été possible en région ProvenceAlpes-Côte-d’Azur, où la nièce de Marine Le Pen, Marion Maréchal-Le Pen tient la tête de liste. Cette dernière est «plus sensible que Marine à la thématique de l’anti-multiculturalisme», clarifie Camus, «elle est plus dure dans son opposition à l’islam, elle est plus catholique». Surtout, «les candidats FN ont habilement exploité tout ce que le Bloc Identitaire a fait à Nice depuis 10 ans» en intégrant des dirigeantsIdentitaires au FN. Au fil des années, Les Identitaires ont nettoyé leur discours: «désormais, ils ne parlent plus de la supériorité de la race blanche, ou de la supériorité de la civilisation européenne», explique le professeur Camus, «ils le disent différemment, et ce discours-ci fonctionne très bien auprès des électeurs: “Il y a différentes cultures, différentes civilisations, mais les différences sont tellement grandes que chacun doit vivre sur son propre territoire sans se mélanger aux autres”.» D’autre part, ils font une relecture du passé français: «Historiquement, la France a une culture marquée par le catholicisme, et l’islam n’est tout simplement pas compatible avec les fondamentaux du pays.» Le rapprochement entre le FN et Les Identitaires a donc mené ces derniers à bouleverser leurs visions européistes (primauté de la double identité locale et européenne) et païennes (issues des mouvances du néo-paganisme “nous sommes des Gaulois”) pour adopter une vision nationaliste française, axée sur la tradition catholique.
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Profitant d’un racisme de plus en plus banalisé dans la société, et de la mise à l’agenda gouvernemental de certaines questions sociales qui réveillent les prises de position conservatrices, l’extrême droite gagne du terrain. «En France, l’extrême droite est réactionnaire, non révolutionnaire, et elle reprend l’idéologie anti-Lumières du XIXe siècle: royaliste, catholique intégriste, antisémite, contre la prise de pouvoir des humanistes», explique Hervé*, membre actif à La Horde, un site antifasciste lancé il y a vingt ans par un collectif qui se donne pour mission de surveiller l’extrême droite en France. Avec l’arrivée de Marine Le Pen à la tête du FN, en 2011, les catholiques traditionalistes se sont sentis mis à l’écart du parti: «Aussi longtemps que son père, Jean-Marie Le Pen, était au Front National, il y avait une place au FN pour les catholiques, pour les défenseurs de la vie et de la famille. Aujourd’hui, on a l’impression que le FN de Marine a totalement changé d’avis. Un personnage comme Florian Philippot -qui a rendu publique son homosexualité- prend de plus en plus d’importance au sein de la direction du FN.
EXTRÊME DROITE RÉACTIONNAIRE
En réalité, vous avez un très grand nombre d’élus du FN qui sont ouvertement homosexuels.» Marine Le Pen elle-même est loin de faire l’unanimité au sein de l’extrême droite, où elle est vue par certains comme «une femme divorcée, indépendante, affranchie de son père», égrène Hervé. Pour eux, «Marine représente l’anti-France… Et le mépris va dans les deux sens!» Ainsi, Civitas, une association catholique intégriste d’extrême droite, avait depuis quelques années pour projet de s’éloigner du parti mené par la fille Le Pen qu’elle juge trop progressiste. Cependant, «quand il s’agit de l’action pratique, l’extrême droite a du mal à recruter», continue Hervé. Après avoir pendant longtemps attendu “leur heure de gloire”, certains d’entre eux ont pensé que «les Manifs Pour Tous pourraient être le bon endroit pour mobiliser de nouvelles personnes», souligne ce membre actif de La Horde.
Alain Escada, presidente Civitas
Les Manifs Pour Tous font référence aux manifestations de 2012-2013 organisées contre la loi Taubira, qui a ouvert le mariage aux personnes de même sexe. «Manif pour Tous n’est pas un phénomène lié uniquement à l’extrême droite», précise le journaliste Dominique Albertini, «c’est un mouvement plus large qui regroupe aussi la droite traditionnelle et conservatrice» et qui atteint toute personne «attachée à la loi naturelle, aux valeurs de l’autorité, de hiérarchie, du conservatisme social». Les franges intégristes -comme Civitas et Action Française– y ont donc vu une formidable opportunité pour recruter de nouveaux membres. De fait, tout le travail de Civitas pour se reconstituer et renforcer ses rangs a été accéléré par les Manifs Pour Tous. Constatant que «les catholiques sont des orphelins politiques», le président de Civitas Alain Escada a décidé d’en faire un parti politique le 15 septembre dernier. Les Manifs Pour Tous font référence aux manifestations de 2012-2013 organisées contre la loi Taubira, qui a ouvert le mariage aux personnes de même sexe. «Manif pour Tous n’est pas un phénomène lié uniquement à l’extrême droite», précise le journaliste Dominique Albertini, «c’est un mouvement plus large qui regroupe aussi la droite tradition
nelle et conservatrice» et qui atteint toute personne «attachée à la loi naturelle, aux valeurs de l’autorité, de hiérarchie, du conservatisme social». Les franges intégristes -comme Civitas et Action Française– y ont donc vu une formidable opportunité pour recruter de nouveaux membres. De fait, tout le travail de Civitas pour se reconstituer et renforcer ses rangs a été accéléré par les Manifs Pour Tous. Constatant que «les catholiques sont des orphelins politiques», le président de Civitas Alain Escada a décidé d’en faire un parti politique le 15 septembre dernier. Alain Escada se définit
d’ailleurs lui-même comme «fièrement patriote, intégralement catholique, radicalement antisystème». Il renchérit: «Quand le pape parle de société nous avons l’impression d’entendre le discours du nouvel ordre mondial de George Soros», le milliardaire philanthrope qui a fondé Open Society, une fondation qui défend l’idée d’une société ouverte et multiculturelle. La création du parti coïncide quasiment avec la reprise des Manifs Pour Tous, le 16 octobre dernier, avec l’ouverture des débats parlementaires sur la loi concernant la GPA et la PMA (gestation pour autrui et procréation médicalement assistée). Manifestations auxquelles les membres
En couverture du TIME, Antonio de Olivera Salazar, dictateur portugais qui au fascisme assimila les idées integralistes catholiques. C’est la personnalité politique prise en exemple par Alain Escada, avec le corporativisme de Mussolini.
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de Civitas ont participé, aux côtés de Marion MaréchalLe Pen et en l’absence de sa tante, Marine, qui n’a pas souhaité prendre position. À la faveur des Manifs Pour Tous, l’historique
ACTION FRANÇAISE (AF) a également fait peau neuve, et est devenus le plus actif des mouvements d’extrême droite depuis 2015. Fondé dans les années 1890, ce mouvement tristement célèbre pour ses positions antisémites a connu une décennie de déclin à la fin des années 1990. Aujourd’hui, Antoine Berth, le jeune porte-parole du mouvement, incarne l’image que l’AF veut donner d’elle-même: à la fois traditionaliste et jeune, re
belle, contre le système et les élites. Berth a organisé des sit-in avec lePrintemps Français, la branche juvénile de la Manif Pour Tous: «Nous avons posé des tentes dans la rue», s’enthousiasme Berth, «comme à la Place Tahrir! Nous voulions rester jusqu’à que la loi Taubira soit retirée: la Manif Pour Tous, ça a été notre Mai 68.» L’AF s’est construite sur des idées antirépublicaines, en s’appuyant principalement sur la pensée de Charles Maurras, un philosophe antisémite, monarchiste, traditionaliste et admirateur de Mussolini. Leur anti-républicanisme les empêche de s’allier au parti frontiste, mais les militants de l’AF demeurent très
proches de Jean-Marie Le Pen, et apportent un soutien électoral au parti. Dans certaines municipalités, comme à Marseillepar exemple (en région Provence-Alpes-Côte-d’Azur, au sud-est de la France), FN et AF ont travaillé main dans la main pour les élections régionales de 2015.
LE MONDE SORAL – DIEUDONNÉ Certains mouvements d’extrême droite tirent également parti de leur bon maniement des théories du complot et conspirationnistes. En France, deux personnalités ont su se démarquer avec cette méthode, grâce à leurs liens affichés avec Marine Le Pen: Alain Soral, fondateur et président d’Égalité et Réconciliation (d’où le chef de la campagne électorale 2017 de Marine Le Pen, David Rachline, est issu) et Dieudonné, humoriste et militant politique condamné pour avoir tenu des propos antisémites notamment. Au début des années 2000, Soral s’est construit un nom en tant que «“dandy de la télé”, porteur d’un discours machiste du type “les femmes ont un cerveau plus petit”», selon Mathieu Molard, journaliste à StreetPress et auteur du livre Le Système Soral, où il dévoile le “facho-business”, le fonds de commerce d’Égalité et Réconciliationbasé sur la haine. À cette même époque, «le FN pensait qu’avec les votes des quartiers populaires et des musulmans, il pourrait gagner les élections», raconte Mathieu Molard. Soral séduit le parti, commente encore le journaliste: «il fait croire à Marine Le Pen (alors qu’elle n’est pas encore présidente de parti, n.d.l.r.) qu’il connait bien ces milieux populaires et musulmans (ce qui n’est pas vrai). Le FN espère, qu’en rejoignant ses rangs, Soral lui fera bénéficier de sa notoriété présumée auprès de ces électeurs qu’il convoite. Quant à Dieudonné, il représente pour le Front «un noir drôle et de gauche», raconte Mathieu Molard. «Marine Le Pen le voulait dans son camp pensant que si Dieudonné lui serrait la main, tout le discours de diabolisation du FN s’effondrerait.» Au final, ni Soral, ni Dieudonné n’ont donné l’accès des quartiers populaires au FN: aujourd’hui, «ces quartiers sont abandonnés», constate Hervé de La Horde. «Même les manifestations contre la violence policière n’arrivent pas à rassembler beaucoup de monde. Les quartiers, qui étaient à gauche dans les années 90, sont devenus très méfiants vis-à-vis de la politique aujourd’hui.» Suite à ce double échec, le Front a abandonné Égalité et Réconciliation et Dieudonné, qui ont rebondi à travers la marchandisation des complots.
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GUD CONNECTION Le GUD (Groupe Union Défense), créé en 1968, était un groupe étudiant violent et antisémite, «mais pas nationaliste», explique Hervé de La Horde. «À part Lyon, où ils ont leur petit magasin de vêtements et leur tatoueur, le GUD n’est plus très actif. Mais ses membres sont rentrés dans le cercle rapproché de Marine Le Pen.» Ils ont d’ailleurs été impliqués avec le FN dans un scandale dévoilé par Médiapart et qui avait comme protagoniste l’ancien chef du GUD, Frédéric Chatillon, et sa société de communication Riwal, qui avait obtenu la sous-traitance de l’ensemble de la communication de campagne de Marine Le Pen par voie préférentielle en 2012. Axel Loustau, ancien GUDard et trésorier du micro-parti de Marine Le Pen Jeanne, est quant à lui soupçonné d’avoir payé la caution du président du GUD parisien, Logan Djani, et de ses deux complices, mis en examen pour «violences aggravées» (tabassage et viol présumé) contre un ancien responsable du GUD. Cette galaxie de mouvements sans espace électoral propre a toujours fait partie de l’électorat du FN de Jean-Marie Le Pen. Avec l’arrivée de Marine Le Pen en 2011, le jeu a changé. «Avec Jean-Marie, le FN était une auberge espagnole», dit Hervé, «maintenant, pour les plus radicaux, Marine l’a transformé en club privé homosexuel -une référence au conseiller de Marine, Florian Philippot-, où ceux qui lui sont proches sont envoyés en région.» Marine souhaite également imprimer une nouvelle stratégie politique au parti avec, pour fers de lance: la sortie de l’Union européenne, la fermeture des frontières, la fin de l’immigration massive – elle prône la remigration et la déchéance de nationalité. «Cette stratégie risque de contrarier les vieux militants, mais son calcul est qu’ils voteront FN de toutes manières, parce qu’ils n’ont pas d’autres choix», indique Hervé. Quitte ou doubl(é)e En ce moment, le FN est lancé dans la campagne présidentielle. Si la stratégie “Bleu Marine” perd, la ligne dure de Marion Maréchal-Le Pen marchera sur ses échecs. Si au contraire, elle gagne, Hervé affirme: «Tout ce petit monde d’extrême droite va se libérer: ses militants vont se sentir libres de faire ce qu’ils veulent, et ils auront le temps de s’organiser, de faire pression pour que Marine Le Pen tienne ses engagements. Si elle gagne, la porte leur sera grande ouverte.»
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ETERO, BIANCA E CRISTIANA: LA PRO LE SONO CONTRO LA GLOBALIZZAZIONE, I MATRIMONI GAY, L’ABORTO. PER «LA FAMIGLIA TRADIZIONALE». HANNO RIEMPITO LE PIAZZE DI PARIGI E ORA SI PREPARANO A VOTARE FRONT NATIONAL «Nessuno può scegliere così il proprio sesso: l’uomo è l’uomo e la donna è la donna, altrimenti trovo il resto contro natura e persino un po’ disgustoso». A scagliarsi contro la cosiddetta “Teoria Gender” non è una signora reazionaria francese ma una ragazza che ha appena compiuto diciotto anni: è travestita da Marianna, l’allegoria della Repubblica, e si sta preparando insieme
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ad altre coetanee a fare da sfondo alla conferenza stampa della Manif Pour Tous, la Manifestazione per Tutti. Il 16 ottobre la rotonda di Porta Dauphine, a Parigi, è riempita di bandiere e striscioni inneggianti all’intoccabilità della famiglia sulle questioni scottanti del giorno: la Pma, procreazione assistita, la Gpa, l’utero in affitto e, come sempre, la legge Taubira del maggio 2013, conosciuta comeMarriage Pour Tous, che sancisce il diritto di matrimonio per tutti e non più esclusivo per coppie eterosessuali. .«La famiglia va ben al di là di ogni questione politica, non è di destra né di sinistra», dice Ludovine de la Rochère, a capo dell’associazione Manif Pour Tous che dalla legge Taubira ha organizzato le manifestazioni con il più alto tasso di partecipazione di tutta la storia della V Repubblica. Bus organizzati sono arrivati da tutta la Francia anche questa metà di ottobre: 24.000 i partecipanti secondo la questura, 200.000 secondo gli organizzatori. Tra tutti questi dimostranti, che si definiscono “
A FRANCIA DELL’ULTRADESTRA E PEN resistenti” contro una società corrotta e caotica, non spunta neanche una bandiera di partiti politici: un chiaro monito della Manif Pour Tous, che vuole mantenere a tutti costi l’apparenza di un «forte spirito famigliare che ci caratterizza», come lo definisce la stessa Rochère.In molti, in effetti, si sono portati dietro tutta la famiglia,compresi i nonni, gli zii e chiaramente tutti i figli che a volte si raggruppano in bande di una decina. Un gruppetto di bambini è montato sul tetto di una fermata del bus e ha formato una mini-band con tanto di parrucche tricolori, tromba, trombette e bandierine. . Incitano la folla che sotto di loro sfila diretta verso la Tour Eiffel.
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Manif Pour Tous, Parigi
«Un papà, una mamma» e «abbasso Hollande«, sono gli slogan ripetuti per tutto il serpentone del corteo. Tra le bandierine rosa e azzurre e gruppi di adolescenti che saltellano musica pop “giovane”, i più anziani provano ad annuire a ritmo con la testa e a muoversi un po’, e qualche signora cerca con le anche di scuotersi di dosso anche un po’ di noia.«Il governo deve smettere di fare dei traffici con la genealogia, la discendenza, la famiglia e soprattutto con dei bambini: hanno diritto a sapere da dove vengono e di avere un padre e una madre che siano tali!», dice con foga Fréderic, artigiano tagliatore di pietre e padre di 8 figli. Ha votato il Front National (Fn) alle scorse elezioni e voterà ancora Fn, ma è in aperto disaccordo con la corrente laica di Marine Le Pen e non c’è storia che tenga per lui: «La legge di Dio prevale sulla legge degli uomini». In manifestazione ci sono anche molti preti che stringono mani e dispensano sorrisi a vicini di corteo e lontani, e sparsi qua e là tra la folla altrettanti frati e suore che con la loro presenza sottolineano il punto centrale della manifestazione: una cristianità legata alla tradizione, portatrice e garante dell’identité francese. «Vogliamo difendere un’idea tradizionale di famiglia», spiega Alain Escada, presidente del partito ultra-cristiano e di estrema destra Civitas, «perché è l’unità principale per garantire una società ordinata in cui le classi collaborano».
Il modello di società ideale di Escada è il corporativismo dell’ex dittatore portoghese Salazar, un paradigma in toto fascista applicato in uno Stato Cristiano che ripudia la laicità a cui il presidente di Civitas non manca di aggiungere il «rifiuto dell’immigrazione, del mondialismo, del nuovo ordine mondiale e di tutto quello che mette in causa i nostri usi e costumi». A un certo punto della processione, per rompere un po’ il clima di santità, sei Femen provano a lanciarsi a seni scoperti contro i dimostranti, ma la polizia le acciuffa ancor prima che raggiungano il corteo. La sicurezza è elevatissima e anche il servizio d’ordine della Manif Pour Tous è così ben organizzato che a fianco delle centinaia di volontari con la maglietta rossa della «Security» e i loro cappellini, ci sono anche gruppi di uomini tarchiati che monitorano la situazione. Difficile approcciare questi ultimi: non vogliono farsi fotografare, guardano in cagnesco e non rilasciano interviste. Alcuni sono giovani, superata la ventina, altri quarantenni e più. Sono tutti vestiti di nero, molti con giacche di cuoio e anfibi, e qua e là spunta qualche testa rasata. «Siamo quelli che intervengono in caso di problemi» – «Siete i picchiatori?» – « Siamo la sicurezza ». I «neri» non sono in divisa, hanno ricetrasmittenti grosse quanto un avambraccio e dicono di essere pagati per fare la sicurezza, ma da nessuna parte appare il nome della società di sicurezza privata. Nelle Manif Pour Tous precedenti, fin dal 2013, è Vendôme Sécurité che ha preso l’appalto per assicurarsi che le contro-manifestazioni non raggiungessero il corteo. La società appartiene ad Axel Loustau, una vecchia guardia del Group Action Defense (Gud), un gruppo neo-fascista conosciuto per le sue azioni ultra-violente, ed è quella stessa Vendôme cui Marine Le Pen, una volta montata alla testa del partito, ha dato l’incarico di occuparsi in toto della sicurezza del Front National.E proprio l’Fn è presente alla Manif, o almeno la sua corrente cattolica-conservatrice, con la “nipote” Marion Marechal Le Pen. Con lei spuntano altre fasce tricolori, come Frederic Poisson, candidato alle primarie di destra, e Robert Ménard, in gioventù fondatore di Reporter Sans Frontières e ora sindaco di estrema destra a Bezier; insieme a loro visi noti di Action Française, un gruppo monarchico e cattolico di ultra-destra, e visi meno noti di esponenti di lobby pro-famiglia con un network esteso a livello europeo.
«La
famiglia e i bambini non sono di destra né di
sinistra», è il riassunto della de-politicizzazione
Manif Pour Tous che in realtà raggruppa destra e centro francese, gli ultra-cattolici, i reazionari e l’estrema destra sotto un’unica bandiera. E la bandiera della cristianità e della francesità è tutto tranne che de-politicizzata. del discorso di una
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Dietro alla Manif Pour Tous e alla mobilitazione di massa contro il GPA (gestazione per altri) e la PMA (procreazione medicalmente assistita), una rete di movimenti, partiti e associazioni lavorano in un sottobosco ideologico che spazia dal poco velato neo-fascismo di Civitas ai nuovi monarchici 2.0 di Action Française (AF). Approcciando AF per parlare con il suo portavoce, con stupore ci ritroviamo di fronte il ventitreenne Antoine Berth. AF non ha cambiato né nome né i locali storici dal 1899. Un movimento creato da Charles
Maurras gran sostenitore di Franco, Salazar e Mussolini e che a partire dal 2009, dopo un decennio d’inattività, è tornato ad essere uno dei movimenti più attivi dello spettro della destra radicale francese. Sono stati i giovani a rianimarlo, “con la Primavera Francese” racconta Antoine, “è un organo giovanile dell’AF, con cui avevamo organizzato le azioni per la Manifestazione contro il matrimonio gay nel 2013”. “Quel periodo è stato il nostro maggio ’68” ricorda chiamando camarades, camerata i membri
Manif Pour Tous, Parigi
in cui le varie associazioni contro il matrimonio gay, contro l’aborto, e per la famiglia tradizionale di stampo cattolico hanno potuto incontrarsi e fare network. Antoine Berth si presenta con un viso pulito da pubblicità Kinder anni ’80, pulito e “dissidente” secondo l’etichetta che lui stesso si è incollato. “Con laPrimavera Francese abbiamo fatto la nostra gavetta, facevamo azioni di disturbo, manifestazioni spontanee, abbiamo anche cercato di fare un Camping pour Tous in cui, rifacendoci a piazza Tahrir, volevamo restare accampati fino a quando la proposta Taubira/matrimonio gay non fosse ritirata, ma la polizia ci ha disperso”. Ora, resta un movimento con un’età media di 25 anni, e più di 3000 membri, che sebbene abbia una chiara preferenza per Marion Marechal Le Pen e Jean Marie Le Pen, sosterrà il Front National nelle prossime elezioni.
Front National Nizza, Benoit Leuillet
AUST
“In Austria abbiamo fermato quell’effetto domino del dopo Brexit di cui si parlava tanto, per cui tutti gli stati europei sarebbero caduti uno dopo l’altro sotto l’ondata populista”. Stefan Lehne, diplomatico austriaco ed esperto del think tank Carnegie Endowment for International Peace, è sicuro: la vittoria alle presidenziali del verde Alexander Van der Bellen contro il candidato dell’estrema destra Norbert Hofer (FPO) è un importante segnale contro tendenza. “In termini di realpolitik, però, è una vittoria europea più simbolica che reale”, continua Lehne, perché i poteri della presidenza in Austria sono soprattutto rappresentativi. La vera sfida saranno le parlamentari del prossimo autunno:
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TRIA
IDENTITARI E CONFRATERNITE NEL SOTTOBOSCO DELL’ FPÖ.
è lì che si vedrà la nuova configurazione di un paese che è senza dubbio in trasformazione. Per la prima volta i due più grandi partiti austriaci, i social-democratici dell’ SPO e i cristiano-democratici del Partito Popolare (OVP) sono rimasti esclusi dalla corsa presidenziale e questo “dimostra la frustrazione degli elettori nei confronti della grande coalizione SPO e OVP”, dice l’analista. Gli austriaci avevano già votato al secondo turno delle presidenziali lo scorso maggio, ma la Corte Costituzionale aveva annullato i risultati a causa di alcune irregolarità nel voto che avrebbero potuto incidere sui risultati: la forbice tra i due candidati era allora di soli 30.000 voti. foto: membri di confraternite
“Il voto pro e contro Europa è stato fondamentale a questa tornata elettorale e ha inciso sui risultati”,sostiene Lehne: lo scarto tra Van der Bellen (53,3%) e Hofer /46,7%) sono adesso 300.000. “Ci aspettavamo di vincere, ma non è finita” dichiara Johannes Hubner, deputato dell’FPO. Tra i voti di maggio e di dicembre, la campagna elettorale si è spostata dalla crisi dei migranti all’Unione Europea e questo “ha penalizzato l’FPO, gli austriaci temevano una Auxit”, dice Hubner che ribadisce però che l’FPO non intende uscire dall’UE. “Intendiamo riformare l’Unione, decentralizzare le decisioni, restituire le competenze in materia di sicurezza agli stati membri, e riportare la cooperazione europea a un livello puramente economico”, spiega. Riformare l’Europa dall’interno dunque, ma facendo pressioni tramite un blocco di Stati: “puntiamo a Visegrad – Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca – un gruppo che è compatto ed effettivo nel bloccare le politiche europee, in primis nella questione rifugiati”. L’estrema destra austriaca quindi non conta realmente sull’alleanza con il Front National e la Lega Nord a Bruxelles, ma scommette su un governo FPO
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che guida l’Austria, alleata al blocco dell’Europa Orientarle. Per farlo, però, è necessario aspettare le legislative previste per la fine del 2017. Il candidato dell’estrema destra c’è già: si tratta di Heinz Christian Strache, uomo forte e presidente di un FPO che al momento con il suo 30% dei consensi è il partito più forte di tutta l’Austria. “L’FPO molto probabilmente salirà al governo”, dice Lehne, “ma dovrà governare in coalizione”. Concorda Hubner: “non avremo la maggioranza da soli, e non è automatico che il 46% che ha votato Hofer voti in blocco l’FPO”, anche se chi per la prima volta ha votato FPO è probabile che lo rifaccia alle prossime legislative. La configurazione della coalizione non è ancora chiara: l’OVP ha dato indicazioni di votare Van der Bellen alle presidenziali (il 55% ha votato per il Verde e il 45% per FPO); nonostante ciò sarebbe disposto a governare con l’FPO purché non come secondo partito, ovvero con un cancelliere OVP e non con Strache alla testa del governo. D’altro canto, queste elezioni hanno rivelato come l’FPO sia il nuovo partito dei colletti blu: l’80% dei lavoratori industriali ha votato per Hofer, così come la maggior parte delle classi meno abbienti e delle aree rurali.
“Abbiamo preso i voti di tutta quella popolazione che i social-democratici hanno tradito: gli esclusi della globalizzazione, i lavoratori meno specializzati che temono l’Europa e i suoi mercati”, dice
Hubner, “proprio
coloro che sono in aperta competizione
coi migranti nel mondo del lavoro”.
immagini che circolano sui social network
Però è proprio su questa base che l’FPO crede di poter avere più convergenze con l’SPO che con l’OVP: “stiamo a vedere chi vincerà delle loro correnti interne, se quell’ala più incline al protezionismo o se quell’alache è per il matrimonio gay e pro-europeista”, conclude Hubner: “se prevalesse la seconda, una coalizione non sarà possibile”.
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B!B! MOVEMENT PIGGY-BACKS ON ANTI-MUSLIM SENTIMENT BUT MEMBERS ARE MOCKED AND JEERED AT PARADES On 8 June 2016, some 50 individuals wearing old-fashioned suits with colourful sashes and bizarre flat caps, marched through the handsome streets of Vienna. At their head, a youth with straw blond hair gripped a ribbon with the colours of the German flag as his comrades chanted popular German songs and poems. This is Austria and the crowd was made up from members of the Burschenschaften (B!B!), a coalition of German-nationalist student fraternities celebrating the Fest der Freiheit – or Feast of Freedom – when their movement played a leading role in 1848 revolution. But 168 years on, it is
‘WE’RE NOT NAZI SWORD-FIGHTING FRAT A GERMAN 79
more modern issues that are pressing – namely, immigration. “We don’t have anything against immigrants but, if they want to stay here, they have to adapt and… How can I say? They have to give up their culture and adopt our own,” said Klaus Kuchling from the Wien Akademische Turnverein student fraternity. There are Burschenschaften groups all over Austria and 18 in the capital alone. Bernhard Weidinger, from the Documentation Archive of the Austrian Resistance (DOW) – a research institute focused on right-wing extremism – explained that while not all of these groups can be associated with the far-right, , “the umbrella organisation, the Wiener Korporationsring (WKR), is dominated by extreme fraternities such as Olympia or Teutonia with long-standing relations with neo-Nazi and far-right extremists.“
IS’ SAY AUSTRIA’S T-BOYS WHO DREAM OF NIC EUROPE confraternite B!B! Vienna
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Leaders of the far-right Austrian Identitarian Movement (IBO), like Martin Sellner and Alexander Markovics, belong to their ranks – and the former was spotted byIBTimes UK during the anniversary party. “For them freedom has nothing to do with individual freedom, it is not freedomfrom, but concerns rights and interests of the national German collective, it’s freedom to, and means that everything is legitimate to serve and protect their German fatherland,” said Weidinger. After 1945 fraternity members were prominent within the far-right and the neo-Nazi scene. In the 19th century, the B!B! was strongly anti-monarchist and fought for freedom of assembly in the face of royal surveillance and censorship. The movement has recently made attempts to rebrand itself in this legacy, but many argue that this is merely a way to draw attention from alleged affiliations with Nazism. “During the Nazi period many fraternity members occupied high ranks. In the 1930s, the B!B! acted as a cover organisation for the National Socialist Party, which was outlawed in Austria until 1938. After 1945, fraternity members were prominent within the far-right and the neo-Nazi scene,” said Weidinger.Identitarians’ leader and Olympia member Martin Sellner (front left) sings in the choir at the Fest der FreiheitEleonora Vio/ IBTimesUK Since its establishment, the Burschenschaften has gathered every Wednesday at the University of Vienna to celebrate its German heritage. On 8 June, protected by police, the group assembled to once again defend its “German-ness,” much to the amusement and repugnance of other Austrian students who greeted members with jeers and insults. “We are just express our right to be here as representatives of the superior German culture, and we try to grow our membership,” said Kuchling. Being in a Burschenschaften is not considered cool anymore due to a number of factors, including its out-dated look and manners. German nationalist fraternities now struggle to attract young students, with most recruits coming from families with historic ties with the groups.
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Martin Sellner in fraternity
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Retreating before the sharp blade is considered a sign of cowardice, which could result in expulsion from the fraternity. As the celebration drew to a close, the police escorted the fraternity members to the nearby WKRBursa for drinks. In the past a Bursa was a communal house with a communal budget, where a fellowship of men lived, studied and prayed under the same roof. Burschenschaft literally means “the men belonging to a Bursa”. In the 1840s fraternities were split between nationalist Burschenschaften and religious corps. One of the defining characteristics of the Burschenschaften was
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the prominent role given to fencing orMensur. “Mensur dates back to the Middle Age, when rich students went to school and, in order to protect themselves from the thugs who tried to rob them, they used the schlagend(sword),” said Demanega from Teutonia. “We want to keep this tradition alive and maintain the same codes of honour.” Despite the fact that they refer to these armed duels as any average sport activity they practise, many fraternity members have scars on their head, cheeks or chest. Retreating before the sharp blade is considered a sign of cowardice, which could result in expulsion from the fraternity B!B! members share more than just a love of fencing, binge-drinking
and chain-smoking with those in the Bursa: “We are all German and we don’t care about European national borders,” said Demanega, who belongs to a German minority living in South Tyrol in northern Italy. “We want to preserve our German language, traditions and culture, despite everything else.
“We
are
German nationalist and not Nazi. We fight to save our heritage,”
Kuchling said.The B!B! believes in the organic unity of German-speaking peoples and is strongly devoted to pan-Germanic culture, but the need to protect this authenticity throughout the years has reached foreseeable extremes. “Some years ago some of the most extreme fraternities in Austria and Germany decided that biological descent should be a criterion for the admission of new members,” Weidinger said. Today 80% of the B!B! members are aligned with the Freedom Party of Austria (FPO) and 18 of 38 Freedomite MPs and 19 out of 35 federal party board members belong to fraternities,” said Weidinger. The FPO’s chairman, Heinz Christian Strache, is himself a member of Vandalia. Nina Horaczek, a local journalist famous for her controversial biography on Strache, said that Vandalia is, “the group that hosted members of Olympia members, when Olympia closed its doors following accusations of Nazism”. Strache’s ties with the B!B! are both personal and political. When the FPO’s leader Jorg Haider left the Party in 2005 to found Alliance for Austria’s Future (BZO), the fraternities helped rebuild the party under Strache’s leadership and, in exchange, they secured the FPO’s commitment to “the community of the German people” (or Deutsche Volksgemeinschaft), evoking the Nazi credo, which believed that the German people formed a natural community, membership of which could only be secured through birth to German parentage. If the fraternity influence has bolstered the German-nationalist and anti-Semitic traditions within the FPO, the emergence of anti-Muslim racism as the current central rallying point of the right has served to push this anti-Semitism into the shadows.
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“The most important thing for us now is that Austrians come first in every field, from culture to education,” said Marhus Kipfl, Olympia member and FPO’s representative of the Student’s Parliament. “We don’t want migrants to come here and keep their own culture. We want them to return where they came from. Asylum is not a life-long right.” “I know it goes against my own self,” said Demanega, “but I endorse border fences if that means stopping criminals from coming in.” On 2 October the Freedom Party will try once again to make its candidate, Norbert Hofer, the first far-right President in the European Union, after the Austrian constitutional court annulled the result of May’s presidential election. While much of the Austrian society may ridicule the B!B!, members have plenty of reason for the countless toasts “To Freedom” they shout, as their tomorrow appears ever closer. The historical position of Austria as a hub of exiles, of artists and intellects may soon float away on a sea of xenophobia and weissbeer.
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LE CON
NFRATERNITE ANTI-MIGRANTI Decine di cappellini colorati sfilano di fronte all’Università di Vienna e si dirigono verso il Palazzo delle Wiener Korporationsring (WKR), dove ogni mercoledì si ritrovano tutte le Confraternite studentesche nazionaliste di Vienna – le Burschenschaften o B!B! – per trangugiare file di boccali di birra. Per ogni confraternita c’è un cappello di colore diverso: viola per la B!B!Olympia, gialla per B!B! Teutonia, e così via. I ragazzi sono universitari, tutti rigorosamente maschi: “di solito per le donne è vietato entrare qui”, ci spiega Klaus, 22 anni e membro della confraternita WAT. Ultranazionaliste e schierate nello spettro dell’estrema destra, le B!B! si differenziano tra loro in alcune pratiche e sfumature politiche: “Olympia e Teutonia, ad esempio, sono rinomate per essere le più vicine e implicate nella scena neo-nazista austriaca”, spiega Bernard Weidinger, esperto di confraternite e ricercatore dell’IsLe B!B! hanno sostenuto e foraggiato il partito Nazional Socialista tedesco dei lavoratori (DAP), anche durante il periodo di clandestinità in Austria: in quel periodo il fiordaliso all’occhiello, simbolo delle confraternite, aveva
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sostituito la svastica fungendo da simbolo anche per il DAP. Oggi, il motto delle B!B! è “onore, libertà e patria”, e il lo scopo dichiarato è di mantenere viva la tradizione, la cultura e la lingua germanica. I loro membri vivono in alloggi finanziati dalle stesse Confraternite, solitamente antichi palazzi con grandi sale comuni utilizzate per riunioni e cerimonie, e in cambio hanno impegni quotidiani da adempiere per la propria confraternita di riferimento: incontri, allenamenti e lezioni teoriche sulla storia germanica. Alle riunioni settimanali di ogni confraternita, si sommano inoltre i ritrovi mensili del “Parlamento” dove le B!B! si riuniscono con membri nuovi e alcuni “ex” importanti. “Nelle confraternite si resta tutta la vita”, spiega Klaus, “dopo un anno di gavetta, mostrandosi impegnati e interessati, e dopo aver superato esami teorici e attitudinali, sei dentro per sempre”. In alcune B!B! l’impegno comprende anche il Mensur, il duello con la spada, una tradizione dell’élite studentesca e delle classi alte aus
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triache e tedesche del 1800. “Guarda qui”, dice tutto fiero Mikael, studente d’ingegneria Sudtirolese membro di Teutonia: si china e mostra due grosse cicatrici sul cranio: “sulle guance, in testa…mostrare le cicatrici del combattimento è un segno d’onore, tanto quanto lo era nell’800 e mostrano che chi le porta è pronto a battersi per la patria”. Non è d’accordo Nina Horaczek, autrice e giornalista investigativa al settimanaleFalter: “Lo fanno apposta a sfregiarsi, ma combattere con il fioretto non significa che i confratelli siano quelli che vanno a combattere in prima linea…al contrario, loro sono l’élite e non si sporcano le mani: le azioni violente e pericolose le lasciano fare ai movimenti di strada”. Weidinger spiega: “Ci sono legami tra gli studenti delle B!B!, il movimento degli identitari austriaci e i neo-nazi, soprattutto nell’organizzare manifestazioni anti-migranti”. Karl Funzping, 22 anni e membro di Olympia è anche rappresentante di RFIOT la branca giovanile del partito nazional-populista FPO: “Il mio impegno è soprattutto politico e il fine è garantire la libertà degli austriaci, soprattutto quelli di componente etnica germanica, per una società più omogenea”.
Tutti i membri delle B!B! sono contro l’immigrazione ma fanno grandi sforzi per non apparire razzisti o xenofobi, e Karl in questo non si distingue dagli altri: “il mio programma è farli tornare tutti a casa, il diritto d’asilo dovrebbe durare solo fino a fine guerra, non tutta la vita”, dice impostando il tono come un politico di professione. La retorica anti-migranti e anti-islamismo ha assicurato all’FPO numeri importanti, tanto da garantirgli la scalata alla presidenza dell’Austria. Il prossimo ottobre il Partito delle Libertà di estrema destra, correrà di nuovo alle presidenziali con il candidato Norbert Hofer: la Corte Costituzionale ha annullato i risultati elettorali dello scorso maggio, che avevano visto vincere il candidato dei verdi Alexander Van der Bellen con il solo 0,6% di scarto dall’FPO. In quest’ ascesa al successo, il legame dell’FPO con le B!B! è diventato sempre più intrinseco e profondo, sedimentandosi nei gangli del potere e tra gli alti vertici del partito. “Le B!B! sono il principale bacino di reclutamento per la dirigenza dell’FPO”, spiega l’analista del Doew Bernard Weidinger. Dal canto loro, le confraternite germaniche hanno guadagnato moltissima influenza : 19 su 34 parlamentari dell’FPO sono “vecchi ragazzi” delle B!B!, compreso il presidente del partito Heinz Christian Strache, ex membro dellaburschenchaft Vandalia, e il presidente del parlamento Martin Graf, di Olympia.
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Non è però solo questione di legami personali; al contrario, è un vero e proprio debito politico: quando nel 2005 Jörg Haider ha lasciato l’FPO per fondare l’Alleanza per il Futuro dell’Austria (BZÖ), le confraternite hanno infatti aiutato a ricostruire il partito sotto la leadership politica di Strache. Nel 2011 lo stesso Hofer, ispirandosi ai principi delle confraternite, ha riscritto il manifesto dell’FPO introducendo un “impegno verso il popolo germanico e alla sua comunità culturale” – la Volksgemeinschaft, una parola che, a detta degli esperti, rievoca la retorica del periodo nazista. Un’etichetta che Hofer, fino al 2013, non si preoccupava di cancellare a tutti i costi, poiché il candidato alla presidenza partecipava a riunioni e feste con un fiordaliso blu cucito sulla pettorina: il simbolo che rappresenta le lotte della borghesia “germanica” del 1848, uno dei miti fondatori delle B!B!, ma utilizzato in Austria anche dal DAP durante la clandestinità. I memoriali delle B!B! vanno ben al di là di un semplice momento culturale e del mantenimento della tradizione. Tutto è politica. Esemplare è il Ballo Accademico, l’evento più importante per le confraternite che si svolge ogni gennaio a Vienna, nel palazzo imperiale di Hobfurg: un momento per commemorare i caduti della Seconda Guerra Mondiale e al tempo stesso un evento mondano di ritrovo per l’élite austriaca ultra-nazionalista. Per volere del presidente FPO Strache, però, negli ultimi anni sono stati invitati al ballo anche i VIPs dell’estrema destra europea: Philip Claeys del partito Belga di estrema destra Vlaams Belang, Kent Ekeroth dei Democratici Svedesi e Marine Le Pen del Front National francese. “Strache ha volutamente trasformato il ballo in un evento politico”, spiega la giornalista Nina Horaczek, “e lo ha fatto diventare un meeting annuale per tutta l’estrema destra europea”.
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QUANDO IL NAZISMO DIVENTA POP Il comandante sul carro incita la gente in ascolto davanti a sé. La massa risponde, sventolando bandiere giallo-nere e urlando all’unisono: “Difendiamo l’Europa”. I teatri di guerra non sono più la Grecia e le Termopili, ma Vienna e il quartiere multi-etnico di Urban Loritz Platz. Il nemico non è il gigantesco esercito persiano, ma la comunità d’immigrati in espansione in Europa e l’ala antifascista che la protegge. Martin Sellner, il 26enne a capo della missione, vuole assomigliare al valoroso Leonida, mentre il suo neonato movimento degli identitari, ramo locale dell’omonima corrente pan-europea di estrema destra, conta su una somiglianza numerica con i pochi intrepidi guerrieri spartani e, usando quella simbologia, si fa promotore di un messaggio che ha dell’eroico.
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“Uno dei motivi del successo dell’Identitare Bewegung Österreichs (IBO) è essersi appropriato della cultura pop,” spiega Natascha Strobl, analista politica ed esperta di estremismi di destra in Austria. “I ragazzi vedono la lettera grecalambda e pensano subito al logo del kolossal hollywoodiano 300. Quindi, attirati dall’estetica cool di questi giovani che promettono di difendere il Paese e salvare l’identità austriaca, scendono in strada affianco a loro.” Sellner afferma che lui e i suoi sono “‘0% razzisti, 100% identitari” – citando un famoso slogan – ma il suo trascorso politico, rinnegato poi pubblicamente, nella sfera neo-nazista a fianco del pluri-incarcerato Gottfired Küssel e il suo attuale tesseramento a Olympia, una tra le più estreme confraternite studentesche nazionaliste germaniche bandita per anni per affiliazione al Partito Nazional Socialista tedesco, lascia spazio ai dubbi.
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“Ho cominciato a interessarmi agli identitari prima che fondassero il movimento, quando alcuni giovani, di cui non farò nomi per ragioni di sicurezza, hanno lasciato la scena neo-nazi e iniziato a riorganizzarsi secondo nuove strategie,” dice a questo proposito Strobl a Gli Occhi della Guerra. Con t-shirt dalle stampe che, solo da vicino, prendono le sembianze di pensatori come Nietzsche o Jung, felpe col cappuccio e capelli dalle creste vedo-non-vedo, gli identitari hanno abbandonato le teste rasate, i tatuaggi e le tenute paramilitari, per mischiarsi aglihipster in voga ovunque. Missioni punitive e violente sono state quasi del tutto sostituite da atti intimidatori che mirano a destabilizzare la società, più che a infondere terrore. In nome della “lotta contro il multiculturalismo e i burocrati corrotti che a Bruxelles agiscono contro il nostro volere, contro la migrazione di
identitari in manifestazione a Vienna.
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massa e l’islamizzazione che presto porteranno alla Grande Sostituzione dei popoli europei con quelli del Medio Oriente e Africa”, secondo le parole del portavoce Alexander Markovics, alle marce in quartieri multi-culturali, gli identitari alternano azioni plateali e stucchevoli. Dal primo assalto alla Chiesa Votiva di Vienna, temporaneamente occupata dai rifugiati in protesta, nel febbraio 2013, quando gli identitari hanno appeso striscioni lamentandosi che i veri rifugiati erano loro, gli austriaci; all’irruzione all’Università di Vienna durante una rappresentazione teatrale ad aprile di quest’anno, quando Sellner e i suoi hanno cosparso di sangue finto il pubblico e gli attori-rifugiati, per poi picchiare chiunque tentasse di fotografare la scena, gli episodi non si sono mai fermati. “Gli identitari credono nell’Europa,” dice Strobl, “ma solo come un insieme di nazioni indipendenti, formate da individui bianchi, cristiani, e preferibilmente maschi.” Sellner, pur ammettendo che l’IBO non accetta austriaci figli d’immigrati, si difende dicendo che “alla base non ci sono motivi razziali ma l’importanza di dare voce alle vere vittime, gli austriaci bianchi, di cui non si parla mai.” Questa vecchia narrativa dipinta di nuovo piace ai giovani che dopo anni d’impasse politico-istituzionale si sentono protagonisti del loro destino, ma soddisfa anche il Partito della Libertà (FPO) di estrema destra candidato alla presidenza, tanto che il Presidente Heinz Christian Strache, dopo aver inserito nel suo programma molti messaggi cari all’IBO, ha attirato alcuni membri nelle liste elettorali del partito.
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UNGHE
Gruppi paramilit di migr IL CACCIATORE DI MIGRANTI
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“Ho deciso di lasciare la politica, proprio quando da Szeged mi sono trasferito a vivere in una fattoria qui ad Assotthalom, e ho intravisto una cinquantina di ragazzi africani oltrepassare il confine,” spiega a Gli Occhi della Guerra Laszlo Toroczkai, sindaco di questo centro di appena 4000 abitanti, situato nel profondo sud ungherese al confine con la Serbia. “Per me è stato un segno.” A soli trentott’anni di cui venti passati in politica, Toroczkai ha cavalcato per anni le debolezze della sua gente, facendosi prima portavoce di gruppi e movimenti ultra-nazionalisti estremi e violenti, al limite della legalità, poi pioniere della rigida
ERIA
tari e cacciatori ranti politica migratoria del governo Fidesz di Victor Orban, e oggi anche vice-presidente del partito di estrema destra Jobbik all’opposizione. “Laszlo Toroczai è il perfetto esempio di nazista in completo,” dice Peter Kreko, direttore del Political Capital Institute di Budapest specializzato in estreme destre in Europa, insistendo sulla necessità di guardare oltre i suoi modi gentili e l’aura da cattolico praticante e premuroso padre di famiglia. Personalità di spicco della politica ungherese, il giovane Laszlo Toth ha cambiato il nome in Toroczkai, sostituendo un termine troppo simile a Tot, letteralmente “lo slovacco”, con un più felice richiamo alla località d’origine dei suoi avi, cioè Torockó/Râmetea in Romania. Per il fondatore del Movimento Giovanile di estrema destra delle 64 Contee (Hatvannégy Vármegye Ifjúsági Mozgalom/ HIVM), che lotta per i diritti e la riunificazione delle minoranze ungheresi separate dall’Ungheria dopo il Trattato di Trianon, era
motivo di orgoglio avere radici ungheresi, antecedenti i confini sanciti nel 1920. “Quand’ero giovane non mi spiegavo perché dovessi aspettare ore al confine serbo-ungherese, se vivevano ungheresi da entrambe le parti,” dice Toroczkai. “E’ stato mio nonno, che viveva in Serbia, a spiegarmi come la comunità ungherese fosse spaccata in più parti.” Prima di fondare l’HIVM nel 2001, a soli vent’anni Toroczkai si candida per il Partito Ungherese di Giustizia e Vita (MIÉP), ultra-nazionalista e di estrema destra, e partecipa ai dibattiti sullo xenofobo e anti-semita Magyar Forum, gestito dal suo fondatore. Nel frattempo, istituisce l’organizzazione paramilitare detta Unità Speciale dei Figli della Corona, che già profumava di Grande Ungheria e delle sue tante contee. “Quando è nato il Movimento delle 64 Conteela sfida più grande era riunire le minoranze ungheresi che vivevano nel bacino dei Carpazi,” spiega Toroczkai, che per la propaganda irredentista e le azioni violente, viste a tratti come atti terroristici, è stato bandito da Serbia e Romania, “ma oggi non più. Ho abbandonato il Movimento nel 2013 perché non ero più uno di quei giovani cui l’organizzazione si rifaceva, ma anche perché avevo smesso di crederci.” Dall’assedio del palazzo dell’emittente statale MTV a Budapest durante le rivolte anti-socialiste del 2006, alle minacce di morte contro il Primo Ministro Ferenc Gyurcsány, e l’istituzione delMagyar Sziget, ritrovo annuale di estremisti, antisemiti e xenofobi da tutta Europa, Toroczkai aveva accumulato tanti atti (in)popolari, prima di decidere di trasferirsi con la famiglia nella cittadina frontaliera di Assotthalom, e cambiare vita. Al suo arrivo, la perdita di consenso popolare di Ferenc Petró, sindaco dal 1998 a fianco del Partito Fidesz, per misure di austerità adottate in città come risposta al ridimensionamento del budget voluto da Viktor Orban, gli lasciava campo libero. Così, a pochi mesi dal suo arrivo in città, Toroczkai riuscì a conquistare il 71.5% dei voti e vincere il titolo. Nel 2013, l’anno della sua investitura, quarantamila migranti in viaggio lungo la rotta balcanica sono passati per Assotthalom per raggiungere l’Europa Occidentale. All’epoca la situazione non destava ancora la preoccupazione dell’Unione Europea e del governo ungherese, ma
Assothalom, sul muro ungherese, il cacciatore di migranti in azione.
costituiva il fiore all’occhiello del partito di estrema destra Jobbik e la ragion d’essere del novello sindaco Toroczkai. E’ stato allora che, per la prima volta, qualcuno ha parlato di costruire un recinto lungo i 175 chilometri di confine con la Serbia, idea che sarà adottata concretamente dal governo Fidesz solo due anni dopo, e di istituire un corpo di polizia in funzione anti-migranti, che affiancasse la polizia e l’esercito presenti. Per quest’ultima iniziativa Toroczkai non ha aspettato l’intervento delle autorità ma ha agito da solo. “Nel 2014 ho messo insieme un corpo di polizia locale, per contrastare l’immigrazione illegale, che da quel momento ha catturato almeno la metà dei migranti entrati irregolarmente,” dice il sindaco, rintracciando i motivi di tanta efficienza in una forte motivazione, ma anche nella fiducia dimostratagli della gente del posto, che vive isolata in una vasta area a bassa densità demografica. “I poliziotti e i soldati vengono da lontano e cambiano di continuo, mentre questi ragazzi sono di qui e
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i residenti li contattano al telefono appena avvistano qualcuno.” L’approccio di Toroczkai ha da subito incontrato l’appoggio degli abitanti di Assotthalom che già agli esordi, quando il sindaco cercava inutilmente fondi statali per una Toyota jeep da affiancare a un vecchio veicolo russo e ai cavalli come mezzo di locomozione, contribuirono al successo della raccolta fondi lanciata su Facebook. A farne uno status symbol nella lotta ai migranti è stato il video-propaganda del settembre 2015, simile a unaction movie. Seduto alla scrivania il sindaco avvertiva, che entrare illegalmente nel Paese recidendo il recinto, era equivalente a commettere un crimine punibile con l’arresto e l’espulsione e, dopo aver fatto esibire i suoi uomini virulenti con occhiali per la visione notturna, fucili e pistole a gas, guardava dritto in camera e concludeva, dicendo: “L’Ungheria è una cattiva scelta, ma Assotthalom di più”. I “cacciatori di migranti” – come sono spesso soprannominati gli uomini di Toroczkai – “Non sono vigilantes volontari”, spiega , “ma un corpo addestrato e con gli stessi diritti e doveri della normale polizia, di cui ogni sindaco potrebbe dotarsi, se il governo locale avesse i fondi per finanziarlo.” “Nel nostro caso,” aggiunge, “poiché i problemi legati alla migrazione di massa partono proprio da qui, è il
Ministero degli Interni a pagare.” Lo studioso Peter Kreko la pensa diversamente. “Il partito politico d’opposizioneJobbik si è dato una ripulita da qualche anno ma, se da un lato agisce in maniera semi-legale e si è liberato – tra gli altri – di elementi apertamente antisemiti, dall’altro gestisce gruppi di guardie civili e polizia, che straboccano di estremisti,” afferma. “Il governo Fidesz supporta o fa finta di non vedere questi gruppi, perché ha paura che contrastare certe politiche si rifletta in un calo di voti per il suo governo a favore dell’estrema destra.” Laszlo Toroczkai è l’emblema del sottile equilibrio tra le parti e la sua ultima candidatura a vice-presidente di Jobbik il maggio scorso, ne è la prova lampante. “Non è stata una sorpresa perché i membri del partito sono amici miei da sempre e il Movimento delle 64 Contee è nato in contemporanea con Jobbik,” dice il sindaco. Ma il legame tra Toroczkai e Jobbik va oltre i legami affettivi. “Dagli esordi il Movimento delle 64 Contee è finanziato da fondazioni che distribuiscono i soldi statali ricevuti da Jobbik,
Laszlo Toroczkai
frontiera / Assothalom
cacciatore di migranti
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dice Kreko, “e, comunque, Toroczkai era candidato del partito molto prima che venisse eletto.” La scelta di lasciarsi alle spalle un passato controverso e rinascere in un altro luogo come “crociato del 21° secolo che si batte per la civilizzazione europea” – come Toroczkai ha motivato il suo impegno contro l’immigrazione –, non è detto che sia parte del processo di de-radicalizzazione intrapreso da Jobbik. La natura trasformista del sindaco ha fatto sì, però, che lui stesso diventasse un anello fondamentale tra il governo conservatore di centro-destra, che sfrutta il programma dell’ala oltranzista per attirare consensi, e l’estrema destra che “mira a governare ricorrendo alla cosmesi,” come dice ironicamente Kreko. La politica in Ungheria si muove su binari diversi da quelli degli altri paesi europei e, mentre è difficile fare previsioni, non resta che aspettare che Laszlo Toroczkai si sfili via “il completo” che ha addosso, e sveli cosa c’è sotto.
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“Torczai è il tipico nazista ben travestito, ma non scordiamo che Jobbik è ancora pieno di negazionisti dell’Olocausto, di anti-semiti e persone che appartengono a movimenti per la supremazia della razza bianca”, precisa l’analista Péter Krekó
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FELVIDÉKI MAGYAR
il festival dei neo-n ungheresi
Le teste lucide e rasate rimbalzavano a ritmo convulso e le braccia tese vibravano nella luce fluorescente, ricordando un gesto e un’epoca maledetti, che si credevano gettati alle spalle da tempo. “Per i nostri 30 anni di carriera abbiamo pensato a un brano, Allucinazione, che parlasse del tema attuale della migrazione,” spiega Petrovity Zorán, cantante della band ungherese Egészséges Fejbőr, appena riconoscibile dai suoi fan, con la testa liscia e il corpo tatuato avvolto in una felpa nera. “Proprio come in un’allucinazione, che è una distorsione della realtà, noi immaginiamo il mondo in futuro invaso da immigrati-
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R SZIGET
nazi
criminaliche creano problemi e stuprano le nostre donne,” aggiunge, prima di sfilarsi il cappuccio e, con addosso la polo Longsdale simbolo dei naziskin d’annata, salire sul palco delFelvidéki Magyar Sziget di Dunajská Streda, nel sud della Slovacchia. “Il nostro è un modo di vivere e di pensare, e con questo festival diamo agli ungheresi sparsi tra Slovacchia, Transilvania, Serbia e Ungheria l’opportunità diconfrontarsi su tutte quelle criminaliche creano problemi e stuprano le nostre donne,” aggiunge, prima di sfilarsi il cappuccio e, con addosso la polo Longsdale simbolo dei naziskin d’annata, salire sul palco delFelvidéki
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Magyar Sziget di Dunajská Streda, nel sud della Slovacchia. “Il nostro è un modo di vivere e di pensare, e con questo festival diamo agli ungheresi sparsi tra Slovacchia, Transilvania, Serbia e Ungheria l’opportunità diconfrontarsi su tutte quelle Toroczkai, che pur essendosene distaccato nel 2013 per diventare sindaco della cittadina ungherese di confine di Assotthalom ogni anno è invitato a parlare al festival, e si batte per la riunificazione delle minoranze ungheresi che risiedono fuori dall’Ungheria e per la revisione del Trattato di Trianon, che ha ridisegnato i confini attuali del Paese. Il nome del Movimento rimanda alle 63 contee della Grande Ungheria, diventate con loro anacronisticamente 64. “Oggi la nostra sfida più grande è sopravvivere,” ammette Dobay, facendo riferimento alla difficile situazione dell’HVIM in Serbia, Romania e Ucraina, dove i suoi membri sono banditi o dietro le sbarre per accuse di terrorismo, e alle continue difficoltà affrontate in Slovacchia. Il 10 giugno il festival ha aperto le porte nel primo pomeriggio e dopo appena un’ora si sentivano già le risate sguaiate, di chi si era riunito sull’erba a fumare sigarette e berepalinka,la grappa locale, a fiumi. “È tutto un parlare delle tensioni tra ungheresi e slovacchi ma… prendi noi,” dice una donna dai capelli rosso fuoco e i denti neri striati dal troppo tabacco, indicando una coppia di amici. “Noi siamo dell’ovest dell’Ungheria, e loro di un paesino poco distante da qui, ma da anni partecipiamo a questi eventi assieme”. Il marito, con dei buffi baffi grigi e una canottiera macchiata e attillata, che a stento ne conteneva l’addome, conferma che sono lì “solo per la compagnia, la musica e gli Szkítia”, la prima band folk-rock a esibirsi quella sera. “Se devo essere sincero, però, sono molto preoccupato per tutti quei migranti che stanno arrivando da noi a Sopron,” continua, “sia perché sono criminali senza voglia di studiare e lavorare, sia perché hanno trasformato un tranquillo paesino di 30,000 persone in una città di 80,000 .” Il prato si riempie di tende e roulotte e ai primi arrivati si aggiungono ragazzi palestrati dalla testa rasata, pantaloni aderenti, anfibi, polo e bretelle. Non si mischiano al resto del gruppo, ma stanno in disparte a bere una birra dietro l’altra e a parlare tra loro. “La nostra nazione ha una storia secolare ma oggi siamo una
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minoranza”, bisbiglia scocciato Adrian, ungherese cresciuto in Slovacchia. I suoi amici guardano altrove, rifiutandosi di aggiungere altro. Poco prima del calare della sera, si sentono i primi scricchiolii degli amplificatori e gli strumenti che vengono accordati. Poco più in là, sette uomini e una donna si affrettano a finire gli avanzi di salsiccia e patate fritte rimasti sui loro piatti: è loro, degli Szkítia, lo spettacolo che sta per iniziare.
Muovendo la lunga chioma bionda, è il cantante Levente Raduly a riassumere velocemente lo spirito della band e del festival. “Io sono un venditore e tratto con tutti, ma penso che da ungherese – e vale anche per le minoranze come me, che vengo dalla Romania – tu abbia il diritto di stare in Ungheria e mantenere questa cultura,” afferma pacato, “mentre se vieni da un altro posto… devi andartene, è semplice. Tanto più che se sei scappato per colpa di guerre e persecuzioni, perché decidi di mantenere la tua di cultura, invece di assimilare la nostra?”
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I GRUPPI PA “Il problema è che se menzioni il semplice fatto di essere un bianco, spaventi le persone comuni”. Il cranio rasato e gli occhi inquisitori, Bela Ince gira lentamente il cucchiaino nel caffè, seduto in un bar di Budapest: “Non c’è alcun male in questo, perché dopotutto ogni mattina quando ti svegli e ti guardi allo specchio, sai benissimo a che razza appartieni”. Ince, che è a capo del movimento giovanile delle 64 Contee nella regione di Pest che circonda la capitale, non nasconde il suo pensiero: “Il concetto di ‘supremazia’ implica una ‘gerarchia’, e
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ARAMILITARI quindi sì, sono convinto che ci sia una chiara gerarchia tra i gruppi etnici…la razza ungherese si distingue per il suo eroismo”. Il suo movimento, ufficialmente, si batte per la ricostituzione della Grande Ungheria prima dello smembramento dei territori magiari con il trattato di Trianon del 1920 e per la protezione delle minoranze ungheresi che vivono al di fuori degli attuali confini nazionali. “Le nostre attività sono molto estese, alcuni di noi lavorano nei governi locali,con Jobbik, altri nei media nazionali”, continua Ince:
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“PER FAR PARTE DEL GRUPPO DEVI ESSERE UN VERO NAZIONALISTA,PRESTARE GIURAMENTO DI FEDELTÀ E ACCETTARE ANTICHE REGOLE ISTITUITE NEL 1945”. Non specifica quali, però, e non vuole dare i numeri dei membri che aderiscono al movimento: “È un’informazione sensibile”, spiega. Il leader delle 64 Contee di Pest indossa una maglia nera, anfibi e pantaloni mimetici grigi dalle cui tasche spunta il serramanico di un coltello e racconta che il suo gruppo è pronto all’azione: “Facciamo training ideologici, fisici e organizziamo competizioni tra i vari gruppi regionali per tenerci in allenamento”. Lo scorso anno, racconta, quando l’Ungheria era nel culmine della crisi dei rifugiati, pattugliavano le strade e organizzavano manifestazioni anti-migranti. “In special modo alla stazione ferroviaria di Keleti, a Budapest…cacciavamo i migranti da lì e chiamavamo la polizia per farli sgomberare”. Peter Krekó, analista al think tank Political Capital Institute, è convinto che JOBBIK FORAGGI E SI APPOGGI POLITICAMENTE A “ORGANIZZAZIONI SATELLITE ED ESTREMISTE COME LE 64 CONTEE, che promuovono apertamente la violenza”,
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per mantenere un forte contatto con la base del suo elettorato, composto per la maggioranza da giovani dai 20 ai 45 anni. “Del resto l’unica forza politica che oggi può rappresentare i giovani ungheresi è l’estrema destra: l’unica in grado di prendere il loro linguaggio, seguire i loro trend e crearne nuovi; l’unica a presentare un’ideologia rivoluzionaria”, commenta Krekó. Secondo una ricerca approfondita del Political Capital Institute, i sostenitori di Jobbik sono anti-convenzionali, disillusi dal sistema e con attitudini anti-establishment: “L’estrema sinistra non è attraente per gli ungheresi, perché hanno vissuto 40 anni di dittatura sovietica”. Il partito governativo Fidesz in questo è in grande svantaggio rispetto a Jobbik: non attrae giovani e non si adatta. Nonostante questo il premier Viktor Orban ha guadagnato un 10% fisso nei sondaggi nel giro di un anno, soprattutto grazie alla sua ‘abilità’
nello sfruttare politicamente la crisi dei rifugiati e a una retorica xenofoba e identitaria che ha strappato numeri dal bacino elettorale di Jobbik. Il risultato è che ora Fidesz, da partito centrista qual era, ha volutamente adottato un programma politico di estrema destra, “diventando come il Front National francese o l’FPO austriaco”, commenta Krekó del Political Capital Institute.
“JOBBIK HA RISPOSTO PRENDENDO ATTEGGIAMENTI COSMETICI PIÙ MODERATI, PERCHÉ PUNTA A VINCERE LE LEGISLATIVE DEL 2018, MA IN REALTÀ È ANCORA PIENO DI NEGAZIONISTI DELL’OLOCAUSTO, DI ANTI-SEMITI E PERSONE CHE APPARTENGONO A MOVIMENTI PER LA SUPREMAZIA DELLARAZZA BIANCA”, PRECISA PÉTER KREKÓ. AD ESEMPIO, CITA L’ANALISTA: “NON SENTIAMO PIÙ PARLARE DELLA GUARDIA UNGHERESE – MAGYAR GARDA (MG), L’ALA PARAMILITARE DI JOBBIK CHE LI HA RESI COSÌ FAMOSI E POPOLARI IN PRIMA BATTUTA”. Mentre cammina per i corridoi del Parlamento, Gyöngyösi Márton, deputato di Jobbik, non si rassegna al fatto che MG sia stata smantellata e dichiarata illegale – “con Magyar Garda eravamo sulla strada giusta!” – e ripromette di aggiustare il tiro: questa volta facendo in modo di far finanziare una simile ala paramilitare direttamente da fondi pubblici. “Stiamo studiando una nuova proposta di legge per consentire ai giovani e alle loro organizzazioni di ricevere veri training militari, in modo da sopperire al controllo delle frontiere”, spiega invece Gyöngyösi Márton: “Ispirandoci all’esempio polacco, stiamo considerando di riunirli poi in un solo corpo paramilitare che risponda direttamente al Ministero della Difesa”. È convinto che il suo partito ce la farà: “Fidesz ha copiato il nostro programma elettorale al 99,9%, abbiamo una forte capacità di pressione sul governo in questo momento”.
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Non è assolutamente d’accordo il portavoce del governo Zoltán Kovács: “La polizia e l’esercito sono corpi centralizzati e sono sufficienti all’Ungheria per mantenere l’ordine”, spiega: “Gruppi paramilitari sono assolutamente illegali e politicamente inaccettabili, perché istituirli significherebbe che l’Ungheria non è più un paese sovrano”. “Il governo però chiude spesso un occhio sui gruppi paramilitari esistenti”, sostiene Krekó. Nel piccolo villaggio di Felsőgöd della regione di Pest, alcuni ex-paramilitari nostalgici della MG si stanno riorganizzando su internet per raggruppare il più gente possibile e organizzare azioni “concrete” anti-migranti. Dal giardino di casa sua Isvan Vosch, ex militare ultrasessantenne ed ex-membro della MG, racconta di aver fondato la Nuova Guardia Ungherese: “Ogni tanto la polizia ci dà qualche noia, per questo finora ci siamo organizzati solo tramite internet, soprattutto Facebook”, spiega nella sua tenuta da MG.
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SLOVAC Slovenski
La pioggia batte incessante sugli elmetti di una trentina di ragazzi che con tanto di kalashnikov in mano e in tenuta militare aspettano l’arrivo degli ultimi commilitoni davanti alla stazione di Hlovec, una cittadina della Slovacchia centrale. Sono gli Slovesnki Branci (SB), o “Leve Slovacche”, un gruppo paramilitare ultra-nazionalista fondato nel 2012 dall’allora sedicenne Peter Svreck, oggi ancora a capo
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CCHIA i Branci
dell’organizzazione. La destinazione di SB è una grande foresta tra Hlovec e Nitra, dove Slovenski Branci ha intenzione di tenere un addestramento militare. “In fila”, urla Svreck col megafono in mano, “attenti, avanti, march!”. Inizia così una lunga marcia serrata sotto il diluvio, con alcune macchine che lampeggiano lungo la strada e suonano il clacson per salutare la truppa. “Siamo 250 in tutta la Slovacchia, con gente che ha dai 15 ai 40 anni,
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e anche se cresciamo in numero non pensiamo di registrarci perché il governo non riconoscerebbe mai gruppi paramilitari sul suo territorio”. La polizia tiene SB sott’occhi, ma è lo stesso leader a chiamare i poliziotti per segnalare i luoghi dei training. In ogni caso, come spiega il leader di SB, se il gruppo non è registrato non può essere dichiarato illegale e smantellato. SB è il gruppo paramilitare più famoso in tutta la Slovacchia: etichettato come xenofobo e di estrema destra, è arrivato alla ribalta delle cronache quando nel 2014 un suo co-fondatore, Martin Kepta, è partito nel 2014 a combattere in Ucraina dell’Est con i separatisti russi. “L’orientamento pro-russo di Slovenski Branci è sempre stato palese”, spiega Daniel Milo, analista esperto di estreme destre al think tank Globsec ed ex-coordinatore dell’Unità anti-estremismo del Ministero degli Interni. Milo afferma che in base ai rapporti dell’intelligence ci sarebbero almeno 9 persone affiliate a SB che hanno raggiunto i combattimenti in Ucraina o lavorano dietro le linee del fronte. Svreck conferma e anche se non vuole parlare dei suoi “foreign figthers”, ammette
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che quando aveva 16 anni un’organizzazione militare cosacca e zarista lo aveva contattato dalla Russia, offrendo un training a lui, a Kepta e all’attuale vice di SB, Michal Feling. Tutti e tre avevano accettato: “per due mesi i cosacchi ci hanno hanno formato e sottoposto a durissime esercitazioni”. Una volta tornati, i tre hanno fondato Slovenski Branci. “Il nostro unico scopo è quello di prepararci militarmente ed essere pronti a intervenire in caso di catastrofi naturali o di un’invasione straniera”, spiega Martin, 23 anni, comandante in capo alla sezione di Nitra e studente di ingegneria informatica. SB, spiega, è già stata operativa durante l’alluvione di Bratislava e occasionalmente ha fatto attività di pattuglia cittadina. “Abbiamo marciato in civile ma con la nostra maglietta su un bar di Nitra, dove un arabo aveva minacciato il proprietario”. Martin ammette anche che la notizia ricevuta non era corretta e che “l’arabo” in questione in realtà non aveva commesso alcun crimine. Il comandante di Nitra, come tanti, ha deciso di non entrare nell’esercito e andare avanti con i suoi
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studi. “Voglio saper difendere la mia famiglia e con Slovenski Branci lo faccio meglio che con l’esercito”, continua, “questo non è un hobby, ma uno stile di vita”. Il faro dell’attenzione mediatica ha portato SB a limare le sue azioni e dichiarazioni. “Siamo assolutamente apolitici, patriottici e nazionalisti”, per dirla con le parole di Svreck. Il gruppo ha anche smesso di portare corone di fiori alle celebrazioni che ogni anno si tengono sulla tomba di Josef Tiso, il presidente del regime fascista slovacco che ordinò la deportazione di più di 10.000 persone nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. “Quando organizzano marce vicino a campi profughi o campi rom, inviano messaggi piuttosto chiari sulla loro visione dei rifugiati e in generali sull’apprezzamento di valori autoritari che non sono dissimili da quelli dell’estrema destra”, spiega Tomas Nociar, professore all’Università Comenius di Bratislava ed esperto di estreme destre. Diversi membri di SB, compreso il loro leader, invece pongono l’accento sull’importanza di far rinascere e fortificare l’identità, la cultura, la lingua e la tradizione slovacca. Dopo un’ora di cammino, la fila si ferma in una vallata circondata dalla boscaglia. I ranghi si ricompongono e il vice Michal Feling tiene il discorso ufficiale d’inizio esercitazione. E’ lui il vero “trainer”, responsabile di tutte le manovre che i membri dovranno imparare. Feling è un soldato regolare dell’esercito slovacco, ma non sembra avere remore sulla sua doppia appartenenza: “l’esercito slovacco è allo sbando, usano tecniche antiquate, invece qui con SB sperimentiamo nuove tattiche che mi sono state insegnate da privati o che ho studiato su manuali aggiornati”. Le 30 leve sono divise in 4 gruppi: fanteria, supporto fanteria, soccorritori e nuove leve. Ognuno con il suo camouflage corre, si mette in posizione per sparare, si mimetizza nel bosco e nell’erba alta. Ad ogni nuovo ordine che echeggia nella valle, gruppi di dieci persone simulano movimenti e attacchi coordinati in una situazione di guerra asimmetrica. “Sono una madre sola e non so usare un fucile, se ci fosse una catastrofe o una guerra di certo non sarà l’esercito a proteggerci e neppure il nostro governo fallito”, spiega Michaela Bikansa, 37 anni e unica donna presente all’esercitazione.
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Bikansa fa parte delle nuove leve e spiega di aver conosciuto Slovenski Branci grazie a facebook: “facevano un incontro vicino alla mia città, sono andata a sentirli e ho deciso di entrare nel gruppo perché così siamo in grado di proteggerci”. A quanto sostenuto dai fondatori, tutti gli addestratori insegnano e le leve partecipano a titolo volontario: se ci sono donazioni vengono principalmente da cittadini privati, che in alcuni casi mettono a disposizione anche i loro terreni privati per le esercitazioni. Le leve si comprano le divise e l’attrezzatura coi loro risparmi, le armi comprese: si tratta di veri quanto piuttosto vecchi kalashnikov, che sono stati modificati per impedire di sparare con pallottole vere. “Costano poco e li puoi trovare su internet e nei negozi slovacchi di armi senza bisogno di mostrare alcun documento o porto d’armi”, racconta Martin di Nitra. A kalashnikov come quelli utilizzati da SB, molto comuni in tutta la Slovacchia, basta apportare poche modifiche al caricatore per farli ritornare in breve delle armi letale. Il loro mercato è spesso de-regolamentato ed era fuori dai radar dei controlli del commercio d’armi, finché uno di questi kalashnikov è stato ritrovato in possesso ad uno degli omicidi della strage di Charlie Hebdo a Parigi. Nonostante ciò, Slovenski Branci oggi è una minaccia per la Slovacchia in termini militari. Come spiega l’analista Daniel Milo, però, il pericolo è un altro: SB recluta soprattutto giovani che sono vulnerabili ad un’ulteriore indottrinamento a logiche anti-sistema. La loro immagine è quella di adolescenti che passano giorni o settimane nei boschi con i camerati a imparare arti marziali, usare i fucili e creare legami di fratellanza. “Questa immagine è un grande incentivo per altri ragazzi a raggiungerli”, conclude Milo, “ed è semplice per gli alti quadri indottrinare o indirizzare le leve verso sentimenti anti-Nato, anti-EU e atteggiamenti anti democratici”.
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INTERVISTA A STEPHAN LEHNE, ESPERTO DEL CARNEGIE ENDOWMENT FOR PEACE There has been this kind of story going around the European media about this domino effect, that basically after the Brexit the rising force of populism was unstoppable. The idea was that Austria would be ne next domino and then the Italian referendum and then France. Now domino was left standing and this was an important outcome. In terms of realpolitics it was more symbolic than real, because the powers of the Austrian president are not enormous, it’s a more representative position. But in terms of symbloism is quite relevant because in may 2016 Mr. Van der Bellen had 30.000 more votes than Mr. Hofer, so a narrow majority. Now he has more than 300.000 votes more and we have been asked why people voted for him and the reasons are two: he’s the best in representing Austria and he’s pro-European. The fact that pro-European positions helped him to be elected is a very positive signal for the European Union, it is an encouragement for other countries. If you look at the analysis of the voters you’ll see that the basic distribution is very similar to the Brexit or Trump vote: so people from rural areas generally preferred to vote for Hofer, the 60% of men and the overwhelming proportion of people voted for the Greens. But what is clear is that areas economically more deprived are loosing out from globalisation is the are with greater fear of migration tend to vote for FPO. I think the EU has alwasy been primarly a liberalising project, if you look ath the treaty of Rome is a ultra-liberal propaganda, whose message was to remove obstacles for trade and free movement, creating opportunites for companies and individuals. Protection wasn’t what the EU was really strong in. The balance has to shift, the EU has to do more to protect the ones losing out from globalisation, it has to deal with the challenge in rising inequality, in fighting corruption and tackle issues that can really frustrate the people.
THE KEY LINKING ELEMENT IS THE MIGRATION you’ll remember that in the big crisis in the last two years the Visegrad countries took a very restrictive stance, they blocked the idea of relocating refugees.
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This combination of factors: the economic crisis, where a large part of the EU has not recovered by the Euro crisis. Income are stagnating and many people realise that their children will have worst lives than theirs and this is a big change if you compare it to 20 years ago when everyone thought it would have get better all the time; the second thing is migration. This influx of more than 1 million people was a huge shock for the system: hundreds of people walking in the streets around central Europe. As a consequence, applications for weapons licence went up 5 times in the last year in Austria. Thirdly it’s a crisis of representative democracy: generally if you look out of participation at the elections normally is very low as well youngsters in politics. And this is because there is no more trust in politics and in the establishment. If you add the fragmentation of the media scene, as per social media, due to a self politics where anyone can mobilise people. So this factor is playing the major role because populist movements comes and goes, but the structure is not great for an established democratic system it does not work very much. The sad thing is that all together the populist parties in EU have a share of votes which in Europe is 16, 5%, which is not huge . And mainstream parties are pretty much in charge everywhere. But influence on these parties is much more than the share of votes, because they are setting the agenda. And mainstream politicians are afraid of this competition and tend to become nationalists and anti-European themselves, because it’s easier. So you have basically nobody still defending the “traditional values” and the European Union.
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FAR RIGHT A NEW FRIGHTENING NORMAL NAWART PRESS 2017