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Corrado Bove - Codice Muto catalogo
Nell'opera di Corrado Bove l'analisi delle forme diventa una riflessione su i principî fondanti della scultura. Dopo aver lavorato per anni con marmo, pietra e terra ha iniziato ad utilizzare sistematicamente un materiale leggero e trasparente come la rete metallica. Il lavoro di assemblaggio, torsione e cucitura della rete è un processo lento, e già di per sé metaforico, che porta l'artista ad interrogarsi sul rapporto tra massa e forma, tra pieno e vuoto. La trasparenza del materiale permette una visione più profonda e penetrante dell'opera con le sue luci e ombre; è la struttura scheletrica, lo “schema”, che si manifesta in modo diretto quasi come un corpo sottoposto a radiografia. I grovigli metallici di Bove esprimono una tensione psichica “labirintica”, una massa di materiale apparentemente caotico che si presenta invece in forme armoniche e razionali. La proporzione, la simmetria e la freddezza del metallo creano una “gabbia formale” all'interno della quale soggiace una materia tumultuosa. Un pensiero complesso che tenta di avvicinarsi alla sintesi più pura. I titoli di alcune opere (Dune, 2005; Pesce, 2005; Ermafrodito, 2006), denotano un legame sempre vivo con la natura, una polarità aperta tra artificiale e naturale che non è espressa da elementi realistici riconoscibili ma solo per connessioni concettuali e metaforiche. Un'opera come Dedalo Danzante (2006) riesce invece a sintetizzare molti elementi caratteristici dell'arte di Bove e introduce nuovi aspetti. Il nome della scultura richiama il mitico artista costruttore del labirinto cretese che tenta la fuga in volo perdendo tragicamente il figlio Icaro. L'idea della “mente labirintica” dell'artifex, resa con rete metallica in torsione verso l'alto, esprime quasi tutto l'iter creativo e simbolico della sua ricerca. Inoltre, l'aggettivo “danzante” richiama l'elemento dinamico proprio di alcune opere che, in molti casi, sono state allestiste con installazioni in movimento e, grazie ad un'idonea illuminazione, producevano enigmatiche ombre poi catturate grazie all'uso della fotografia; alla tridimensionalità della scultura si uniscono la bidimensionalità fotografica e la quarta dimensione: il tempo. Con Codice Muto (2006-2009) vi è una riflessione ancor più profonda su gli elementi del linguaggio scultoreo; l'idea di un'arte totalmente sperimentale e di ricerca può solo evidenziare che il “codice” linguistico della scultura si rivela “muto” ovvero incapace di comunicare e offrire soluzioni univoche e definitive ma che allo stesso tempo è in grado di stimolare nuovi interrogativi e ricerche. Anche il fruitore dell'opera è stimolato a “significare” soggettivamente l'oggetto. L'opera, in rete scura e dipinta con una sottile linea labirintica in smalto bianco, è “circondata” da una serie di 7 stampe fotografiche che la ritraggono da diversi punti di vista; pur sapendo che le immagini sono relative alla stessa opera, esse si presentano in una “sequenza formale” diversificata da renderla quasi irriconoscibile. Essenza e apparenza entrano in conflitto; si percepisce inoltre una polarità dinamica, di attrazione e repulsione, tra l'oggetto tridimensionale e la catena fotografica bidimensionale. Una “ripetizione differente” che produce un effetto “perturbante”.
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