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Raqqa

Damasco

speciale

siria

Gianni Perrelli

Ma nel centro di Damasco la vita scorre normalmente

L

a gelateria Bakdash, nel cuore del bazar, è da 120 anni lo specchio di Damasco. Richiama in media 10mila golosi al giorno per il semifreddo di latte siriano corredato di pistacchi (costa circa mezzo euro). Ma è soprattutto un luogo di socializzazione trasversale. Nei saloni, dove spiccano alle pareti i dagherrotipi della Damasco che fu, sono passati reali, politici (incluso Bashar Al Assad con la consorte Asma), star internazionali della cultura e dello spettacolo, uomini d’affari concentrati sulle transazioni commerciali e famiglie impegnate a combinare matrimoni. È qui, davanti a una coppa di gelato, che spesso si firmano i contratti e i promessi sposi si scambiano le fedi di fidanzamento. Dall’inizio dell’anno Bakdash ha registrato un numero crescente di clienti. Segnale che dopo cinque anni di guerra le angosce si sono un po’ allentate e che in una città ancora traumatizzata dagli attentati nelle zone sciite si fa largo il desiderio di normalità, favorito dal clima di tregua e dall’intensa attività diplomatica per il ripristino di una pace duratura. Alla lunga la vita è sempre più forte della paura. “Il periodo peggiore è stato il 2012 – racconta il titolare Samir Bakdash (terza generazione della dinastia) – un anno dopo lo scoppio della rivolta. L’atmosfera era lugubre, anche se Damasco è stata colpita meno di altre città. Dalle colline di Qassyoun tuonavano incessantemente le cannonate contro i ribelli che si erano annidati nei sobborghi. La gente era terrorizzata dagli orrori del conflitto e usciva poco di casa. Non c’era alcuna certezza del futuro. Ma pur con il bilancio in rosso non abbiamo mai chiuso e non abbiamo licenziato nessuno dei nostri 80 dipendenti. Ora sta tornando la fiducia. Lo notiamo dall’atteggiamento molto più disteso di chi entra nel nostro locale”. Nel bazar transitano un milione di persone

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foto di Mauro Consilvio

L’anno più duro è stato il 2012, quando dalle colline di Qassyoun tuonavano incessantemente le cannonate contro i ribelli annidati nei sobborghi. Ma cinema e teatri non hanno mai chiuso. Gli uffici pubblici funzionano, solo l’aeroporto va a singhiozzo

La gelateria L’interno dell’antica gelateria Bakdash nel suk Al Hamidiyah del centro di Damasco

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al giorno (la popolazione di Damasco si è gonfiata a dismisura per il massiccio afflusso di sfollati). Sono poche le saracinesche abbassate. Gli scaffali delle botteghe traboccano di prodotti. Le sanzioni bloccano le importazioni dai mercati occidentali. Ma la Russia è vicina alla Siria anche per i rifornimenti: nei negozi di artigianato sono molto gettonati i piatti con i volti di Putin e Assad. E le campagne non hanno mai smesso di garantire un minimo di fabbisogno alimentare. Richiestissimo il sapone di Aleppo, che continua ad essere confezionato nonostante le devastazioni della zona d’origine. Nella contigua piazza degli Omayyadi si accede attraverso valichi supersorvegliati. I soldati frugano senza atteggiamenti arcigni nelle borse e nelle tasche. Un paio di anni fa, i terro-

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Il bar Alcuni clienti in un bar del centro di Damasco

risti avevano lasciato un ordigno ad orologeria dentro un sacchetto di plastica nel vialetto che costeggia la moschea. Erano morti quattro passanti. Oggi nella piazza le scolaresche giocano con i palloncini. Le maestre acquistano dai venditori ambulanti vasetti di yoghurt e di liquirizia liquida. Turiste iraniane vestite di nero, in pellegrinaggio verso i santuari sciiti della periferia, siedono tranquille ai tavolini all’aperto del ristorante con la ruota del kebab esposta in vetrina. Le coppiette bivaccano sui gradini del tempio scambiando messaggi con whatsapp. Spunta perfino un’asta per i selfie che cattura il sorriso di due sposini libanesi in viaggio di nozze. Dietro la moschea non si trova un solo posto a sedere nello storico caffè Al Nawfa. Nei po-

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meriggi prima della guerra un cantastorie seduto su un trono raccontava, nel salone intriso di fumo, truci leggende popolari, concludendo lo show con un colpo ad effetto: una spada conficcata sul pianale di legno poggiato ai suoi piedi.

La benzina è decuplicata

Dopo lo scoppio del conflitto non si è più presentato. “Abita lontano – lo giustifica il padrone – e le strade esterne sono infestate di pericoli”. Ma la reputazione del locale non è stata intaccata. Dalle viuzze laterali affluiscono i commercianti per il tè alla menta. Non ci sono ovviamente più i visitatori occidentali, anche se in uno sforzo di ottimismo il ministero del Turismo siriano non ha mai chiuso gli uffici. Negli ultimi cinque anni il costo della ben-

Lo shopping Una famiglia fa shopping nel suk Al Hamidiyah di Damasco

zina è decuplicato. Un litro costa circa un dollaro. Ma il traffico urbano è esploso. A complicare la circolazione, nelle zone nevralgiche sorge un posto di blocco ogni 200-300 metri. Nessuno si lamenta. C’è molta pazienza, favorita dal fatalismo. Inshallah. Gli automobilisti in coda scambiano perfino battute con i soldati che ispezionano i bagagliai. La sicurezza è la priorità assoluta in una città dove i ribelli riescono ancora a infiltrare kamikaze e autobombe. I ministeri e gli alberghi del centro sono fortezze difese da blocchi di cemento, filo spinato e percorsi d’accesso a zig zag per rallentare la velocità. Le strade che s’inerpicano verso il palazzo della presidenza sono “no car zone”. Disco verde solo per i veicoli ufficiali. Sullo stesso crinale, superato il check point, il vialone che conduce

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Il night club Una ragazza balla sul bancone del bar di un night club

golezzi più che agli acquisti. Lo Stato garantisce stipendi medi di circa 100 dollari al mese, ma il costo della vita è drammaticamente aumentato. I negozianti guadagnano soprattutto con i pendolari del fine settimana che arrivano dal Libano dove i prezzi delle merci sono almeno il doppio più cari.

I mortai di Yarmuk

alla cima di Qassyoun è sgombro: qui sono allineati i ristoranti da cui si può ammirare l’intera città. Ai bordi di molte strade spiccano ancora i ritratti di Bashar, da solo o con il padre Hafez. La guerra ha disintegrato città e villaggi e a Damasco ha prodotto sanguinose ferite. Ma nella capitale non ha distrutto l’iconografia del potere. Se non fosse per le barriere difensive che ri-

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portano al clima di tragedia, la quotidianità di Damasco sembrerebbe tornata quasi agli standard anteguerra. Gli uffici pubblici funzionano regolarmente. Le università e le scuole sono aperte. I cinema e i teatri non hanno mai chiuso i battenti. I tassisti hanno meno lavoro per il diminuito flusso turistico ma molti conducenti si sono convertiti al lungo raggio, assicurando costose navette con Beirut. Nei bar dal décor oc-

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cidentale, intorno agli alberghi a cinque stelle, è tutto un trionfo di espressi e cappuccini, la clientela concentrata sui tablet e sugli smartphone. All’Havana Café, da sempre il “covo” degli intellettuali, scrittori e pittori dibattono su temi culturali che sopravvivono agli orrori della guerra. Ad Hamra, la strada dello shopping, le donne del popolo intasano i negozi di abbigliamento e di elettronica, interessate come sempre ai pette-

C’è sempre, tuttavia, un momento del giorno in cui un filo di fumo verso Duma, la roccaforte salafita, o un colpo di mortaio proveniente da Yarmuk, richiama alla dura realtà. Ma nel frattempo anche l’autostrada che conduce all’aeroporto è stata bonificata dalle bombe. I sobborghi da dove partivano gli assalti sono stati provvisoriamente pacificati dalle “conciliazioni”, tregue promosse dal governo che sorveglia i focolai d’insurrezione dall’esterno lasciando il controllo del territorio ai ribelli. Lo scalo funziona a singhiozzo, con pochi voli, ma è pur sempre una porta riaperta sul mondo. Anche sull’autostrada verso Masnah, la frontiera con il Libano, la sorveglianza si è ridotta dopo la liberazione di Zabadani e delle aree circostanti. I posti di blocco sono diminuiti da nove a quattro. In mezz’ora dal quartiere borghese di Mezzeh si raggiunge senza troppi rallentamenti il posto di confine. Gli autobus per Aleppo, la seconda città della Siria, impiegano invece otto ore per la strozzatura all’altezza di Idlib esposta a possibili agguati di Al Nusra da Nord e dell’Isis da Sud, La capitale politica e quella industriale sono però di nuovo collegate via terra. Nel tardo pomeriggio i rampolli della borghesia sunnita non ancora piegata dalle rinunce di guerra fanno lo struscio sul vialone di Abou Rommane, un quartiere dall’aspetto pariolino che non sembra essere stato sfiorato dal conflitto: ragazzi scampati al servizio di leva, ragazze truccate in jeans, cellulari di ultima generazione, bottiglie di birra appoggiate sui tettucci delle macchine, flirt all’aria aperta, chiacchiere in libertà. Si parla più del futuro che della guerra. La speranza sconfigge la realtà. Fra le nuove generazioni si avverte ancor più prepotente il desiderio che l’incubo finisca presto. Sono giovani laicizzati, estranei alle faide confessionali, cresciuti nel benessere e nel consumismo, terrorizzati dalla minaccia dell’Isis. Guardano all’Occidente, rifiutano il ritorno al Medio Evo. È solo uno spicchio di una realtà composita,

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troppo frammentata in un paese dilaniato dalle catene senza fine dei drammi e degli odi. Ma il marziano che dovesse essere catapultato a Abou Rommane non avrebbe proprio l’impressione di passeggiare a una decina di chilometri da una guerra. L’altra faccia di Damasco è la periferia degradata, dove la gente vive nei tuguri e con pochi spiccioli. Piccoli artigiani. Ambulanti. Vedove di guerra. Mendicanti. Molti di loro anche in tempo di pace stentavano a combinare il pranzo con la cena. Durante la guerra si sono aggrappati all’arte di arrangiarsi. Nauseati da tutto e tutti. Governativi e ribelli, senza distinzione. Ma protesi, per spirito di sopravvivenza, verso una normalità che non ha coloriture politiche. Aspirano solo a mettersi alle spalle il terrore, a recuperare un minimo di tranquillità. Un gradino ancora più sotto, nella scala della disperazione, si situano le legioni di sfollati. Affluiti quasi sempre con massacranti viaggi a piedi dalle città e dalle campagne siriane martoriate dalla guerra. Privi dei mezzi per tentare la fuga in Europa. Sistemati in scuole abbandonate o in vecchi capannoni. Costretti a vivere di pubblica assistenza, nella più totale promiscuità. Con una sola idea in testa. Quella di tornare nei luoghi d’origine, il giorno vicino o lontano in cui taceranno del tutto i cannoni.

Alla fermata Tre studentesse universitarie di Damasco in attesa del bus

Possibilità di bere alcol

La sera spesso la città piomba nel buio per i black-out. Nei locali pubblici si rimedia con i generatori. C’è l’abitudine a tirare tardi a Damasco. Solo in limitatissimi periodi è scattato il coprifuoco. A Bab Touma, la zona cristiana dentro le vecchie mura, i ristoranti si riempiono verso le dieci. Fino a qualche mese fa, prima dell’intervento dei russi, erano semivuoti. Da Barzieh e altre periferie in mano ai ribelli, distanti non più di 5-6 chilometri, si abbattevano i colpi di mortaio. Qualche avventore ci ha lasciato la pelle. Ora non c’è più pericolo. Le aree della guerriglia sono state bonificate. Permane soltanto il rischio dei kamikaze. Nei posti più eleganti affluiscono folte comitive attirate dalla possibilità di bere alcolici (in quelli gestiti dai musulmani vige ancora la proibizione). A Naranji, forse il ristorante più rinomato di Damasco, a più di un tavolo si pasteggia a whisky. Dalla sala di un locale contiguo provengono brani di rap arabo a tutto

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volume. Si festeggia un matrimonio. Uomini e donne si dimenano scalzi sopra i tavoli. Parte un botto e d’istinto scende sui volti un’ombra di timore. Niente paura. Lo sposo ha stappato una bottiglia di champagne. Alcuni maschi si appartano davanti alla televisione. Un canale in-

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ternazionale trasmette le partite di calcio delle Coppe europee. Va in onda Roma-Real Madrid. Qui a Damasco tifano prevalentemente per le squadre spagnole. Fumano tutti, uomini e donne, senza interruzione, sigarette (anche se ci sarebbe il divieto nei luoghi chiusi) e narghilè.

Verso mezzanotte aprono anche un paio di locali notturni. Fino all’alba restano aperti i bordelli clandestini di guerra per i soldati in licenza dal fronte. Bacco, tabacco e Venere. I rimedi più antichi per lenire una serie di angosce difficili da sostenere.

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