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Alla scoperta della Corea del Nord guardati a vista dal Supremo Leader

Niente campo per i cellulari, zero connessioni internet, telecamere e microfoni-spia negli alberghi. Ma l’isolamento del Paese non suscita sospetti nella popolazione, che esulta Il fotoreportage dedicato alla “blindatissima” Corea del Nord, che qui pubblichiamo, ha vinto il premio “il Reportage” nell’ambito dell’Umbria World Fest 2017. L’autore, Filippo Venturi, ha anche scritto per noi un testo inedito con il quale racconta la sua esperienza nel Paese guidato dal dittatore Kim Jong-un. Nella foto, la sala studio del Complesso di scienza e tecnologia della capitale Pyongyang

a ogni test missilistico. L’esercito quinta forza armata del pianeta l Testo e foto di Filippo Venturi


Filippo Venturi

È

quando ricevo la notizia che le autorità nord-coreane hanno approvato il progetto che intendo realizzare nel loro Paese. Ho dovuto preparare una relazione minuziosa, che è stata da loro letta, vagliata e giudicata. A fotografi e giornalisti non è consentito entrare in Corea del Nord col visto turistico (c’è chi l’ha fatto, rischiando, ma s’è dovuto accontentate di tour predefiniti), per questo ho cercato per mesi un contatto che mi aiutasse nei rapporti con le autorità per ottenere l’agognato visto da giornalista, garantendo per me. Le tensioni fra Usa e Corea del Nord sono aumentate con la presidenza di Trump che, dopo ogni test missilistico coreano, usa sempre più spesso l’espressione “ogni opzione è sul tavolo”, accarezzando quasi con piacere anche il termine “guerra”. È a questo punto che il mio contatto inizia a recitarmi, per telefono e email, quasi quotidianamente, il mantra delle regole che dovrò rispettare per poter svolgere il mio lavoro e soprattutto per tornare a casa. Io e una collega giornalista saremo aiutati (scortati) da quattro guide (controllori): un autista, un fotografo incaricato di controllarmi, censurarmi e persino di fotografarmi per documentare ai suoi superiori le mie attività e due guide turistiche. Non potremo uscire dall’albergo senza di loro; verranno a prenderci ogni mattina e ci riporteranno alla sera, accompagnandoci nei luoghi che abbiamo indicato nella relazione.

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un pomeriggio di marzo

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In hotel ci saranno telecamere ovunque negli spazi comuni, ma dovremo essere prudenti anche nelle nostre camere, dove ci saranno i microfoni. Dovremo evitare di parlare del “Supremo Leader” (così dovremo riferirci a Kim Jong-un). Meglio parlare poco e in modo chiaro per evitare equivoci: i coreani considerano ogni occidentale una possibile spia. Dovremo dimostrare costantemente il nostro rispetto verso i loro leader (la famiglia Kim), partendo dal primo giorno, quando faremo “spontaneamente” l’offerta di un mazzo di fiori al monumento a loro dedicato con una procedura ben definita: prima appoggeremo le nostre borse a terra e ci inchineremo esattamente a 90 gradi per almeno cinque secondi, con sguardo solenne. Il cellulare in Corea non funziona; non c’è cam-

po e non c’è internet. Nel periodo che trascorreremo nel Paese saremo completamente isolati dal mondo. La partenza è prevista in maggio da Roma: dopo venti ore di voli aerei e attese, arriveremo nella città cinese di Dandong, dove prenderemo il treno che in sei ore raggiungerà nella capitale Pyongyang, attraversando le campagne coreane.

Rari esemplari umani Lasciata Dandong, sul treno, noto intorno a me sguardi incuriositi: siamo rari esemplari umani occidentali. Poi, non appena varcato il confine, il conviglio, viene fermato e i soldati salgono in ogni scompartimento per perquisire e interrogare i viaggiatori. Arriva il mio turno: devo compilare un questionario nel quale dichiaro che sono un fotografo

e che cosa intendo fare. Elenco il materiale in mio possesso, in particolare l’attrezzatura: tre fotocamere, quattro obiettivi, un cavalletto, uno smartphone, un’infinità di batterie e memorie in grado di garantirmi autosufficienza per le due settimane di viaggio, dato che i blackout elettrici in Corea sono frequenti. Nel questionario mi viene chiesto se ho con me la Bibbia, pongo il segno su No. Mentre sono indaffarato ad aprire ogni tasca dei miei bagagli per mostrarne il contenuto, il militare mi interrompe chiedendomi in un inglese minimale: “No Bibbia?”, “No”. Sto riordinando le mie cose nelle varie tasche della borsa, quando mi domanda: “Tre fotocamere?”, “Sì”. “No Bibbia?”, “No”. “Quattro fotocamere?”, “No tre”. “No Bibbia?”, “No”. “Quanti caval-

Nella foto in alto a sinistra, due giovani nordcoreani in metropolitana; qui sopra, il Broken Bridge sul fiume Yalu che unisce Dandong (sponda cinese) a Sinuiju (sponda nordcoreana)

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Nella foto grande, un coro di bambine nell’asilo settimanale “Chang Gwang”, dove i coreani possono lasciare i bambini il lunedì e riprenderli il sabato

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letti?”, “Uno”, lo tocca. “È questo?”, “Sì”. Rispondo sempre guardando negli occhi il militare. La cosa va avanti per un po’: ripetere le domande gli serve per vedere se cado in contraddizione. Terminati i controlli, il treno riparte e, attraverso il finestrino, osservo il tempo grigio e piovoso, gli edifici fatiscenti e gli sporadici gruppi di persone coperti da impermeabili e ombrelli che vengono coordinati da pochi militari, privando dell’innocenza il paesaggio di campagna. La stazione di Pyongyang è minimale e sovradimensionata per le persone che contiene; scoprirò in seguito che è caratteristica comune a tutti i luoghi che visiterò. Le guide ci accolgono con sorrisi e con fare garbato e ci portano al loro mezzo di trasporto. Viaggiamo stipati in un antico furgoncino giapponese; se sotto altri aspetti hanno una cura maniacale nell’esibire ordine e sfarzo, sui mezzi di trasporto vanno al risparmio. La prima tappa è il Yanggakdo Hotel, spesso

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usato per ospitare gli stranieri. È un albergo di 46 piani situato su di un’isoletta al centro della città; considerata l’ubicazione, qualcuno lo ha soprannominato Alcatraz. Il sole è ormai tramontato quando andiamo a cena, sfrecciando nel buio delle strade (risparmiano sull’elettricità, molto preziosa qui), asfaltate ma rovinate. Non c’è traffico (e non lo troveremo mai), in compenso le strade brulicano di pedoni. Qui la precedenza è sempre data ai veicoli a motore e i semafori sono rari, una scelta forse dettata per risparmiare carburante, un bene pregiato vista la difficoltà nel reperire petrolio e derivati a causa dell’embargo internazionale imposto nel 2006 da Usa, Onu e Ue, dopo il primo test nucleare, blocco in seguito inasprito. In queste prime ore socializzo soprattutto con la guida Kim, che parla un italiano sgangherato. Al ristorante quattro cameriere si prendono cura del nostro tavolo; il resto del locale è vuoto (circostanza che si ripeterà spesso durante il viag-

gio). Kim ci racconta che gli Stati Uniti minacciano sempre il suo Paese, ma loro adesso hanno tutto per poter rispondere alla guerra, alludendo alla bomba atomica. Sembra un bambino contento dei propri giocattoli.

Chi era Giulio Cesare? Kim, oltre all’italiano, ha studiato anche la storia del nostro Paese, antichi romani compresi. La giornalista, per stuzzicarlo, gli domanda se sa chi fosse Giulio Cesare, “Sì”; se sa che fu un dittatore, “Sì”, proprio come il suo leader, “No!”. L’accostamento non lo trova d’accordo, perché in Corea si vota ogni quattro anni e Kim Jong-un è stato eletto con il 100 per cento di voti. “Kim, questo è normale secondo te?, “Sì”. La collega insiste nel provocarlo: “Se ci fosse un nord-coreano che non apprezzasse il leader, che cosa gli succederebbe?”. Kim ci pensa un po’... “Chi è?”, domanda. Non comprende che si tratta di un’ipotesi e si aspetta che gli venga rivelato il nome.

La mattina dopo scendo nella hall per incontrare le guide e mi accorgo che hanno sorrisi insolitamente larghi. Kim mi annuncia entusiasta: “Abbiamo fatto un test missilistico, è andato bene!”. Mi complimento, conciliante, con loro. Per il resto della giornata mi domanderò se sia una notizia vera, oppure una sorta di test per vedere la nostra reazione, o una notizia diffusa solo in Corea (scoprirò poi che era vero). Ci accorgeremo, col passare dei giorni, che le nostre guide hanno soltanto informazioni parziali sull’attualità: ad esempio, non sanno che in Corea del Sud è appena stato eletto un nuovo premier, Moon Jae-in e non sanno dell’assassinio in febbraio a Kuala Lampur di Kim Jong-nam, fratellastro del loro attuale leader. Ogni mattina domandiamo a Kim qual è la notizia del giorno in Corea del Nord. Lui risponde consultando il proprio smartphone, con cui ha accesso a internet, ma limitatamente a pochi siti governativi, come quello del quotidiano “Rodong”, dove può

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Sopra, un’altra sala ricreativa dello stesso asilo; sotto, la sala del cinema 4D nel Complesso di scienza e tecnologia di Pyongyang

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Filippo Venturi

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Nella pagina a sinistra in alto, una panoramica di Pyongyang all’alba, in basso Kim Jong-gum, 29 anni, una delle guide che lavora all’Esposizione nazionale di fiori. Qui sotto, in alto, il fiume Yalu con alcune case nordcoreane; in basso, il colonnello Jon, militare da 40 anni (in lontananza il muro costruito dalla Corea del Sud)

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Nella pagina accanto, una ragazza sulle scale mobili della metro di Pyonyang; sotto, da sinistra a destra, Om Huyok, 56 anni, moglie del professor Ri Sungil, preside dell’Università di Ingegneria elettronica a Pyongyang; Kim Hyang, 22 anni, che lavora in un poligono di tiro di Pyonyang; Mun Chol, 36 anni, dell’ufficio Affari esteri del Politecnico

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leggere le informazioni filtrate dalla propaganda (ne è conscio, ma le considera le informazioni giuste per la popolazione). Il giorno seguente ci racconterà i dettagli del test missilistico riuscito, poi della festa organizzata dal leader per l’esperimento andato a buon fine, successivamente del regalo offerto sempre dal leader agli scienziati che l’hanno reso possibile e, il giorno dopo, dei complimenti ricevuti dagli altri leader asiatici. “Kim, non ci sono mai brutte notizie in Corea?”, “A volte, ma provengono dall’estero”.

Il Palazzo dei bambini Durante il nostro soggiorno visiteremo il Complesso della Scienza e Tecnologia, il Palazzo dei bambini, scuole superiori, asili, biblioteche, parchi giochi e altri luoghi dove vengono formati i giovani nord-coreani. I coreani sono orgogliosi di mostrarci la loro gioventù: bambini di pochi anni hanno una disciplina ferrea e una dedizione totale verso l’attività che svolgono, al punto da sembrare piccoli robot. Le nostre guide spesso ci raccontano del loro sogno di riunificazione pacifica della penisola coreana in un unico Paese guidato da Kim Jong-un. Mi tornano alla mente le interviste che feci ai giovani sud-coreani nel 2015. Nessuno di loro voleva la riunificazione perché non intendono rinunciare al benessere raggiunto e nemmeno vogliono che la crescita economica e tecnologica del Paese venga rallentata per farsi carico dei nord-coreani. Nei nostri spostamenti notiamo che sono moltissimi i militari a presidio dei monumenti, in giro per le strade o anche al lavoro nei cantieri. “Perché

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i militari svolgono lavori da operai, muratori e contadini?”, chiedo, “Costruiscono il socialismo”, sentenzia Kim. Aggiunge poi che il servizio militare, della durata da tre a cinque anni, è obbligatorio e che nelle università insegnano a tutti a sparare; saperlo fare è dovere di ogni coreano. Sono esentati i ragazzi che studiano lingue, tecnologia e musica. Per le donne non è obbligatorio ma, per chi scegliesse di farlo, la durata va dai 18 ai 36 mesi, a seconda del settore scelto. Alcune fonti riportano che l’esercito nord-coreano è la quinta forza armata al mondo dopo Cina, Usa, Russia e India. Se si tiene conto dei riservisti, l’esercito può arrivare a oltre sette milioni di militari su una popolazione complessiva di 25 milioni. Siccome studia italiano, Kim è stato esentato dal servizio militare: la mia impressione è che non ci tenga a farlo, anche se assicura, è una possibilità che sta valutando. Gli abitanti di Pyongyang sono un’élite rispetto al resto del Paese e all’interno della città c’è una casta ancor più ristretta che include poche migliaia di persone, fra le quali rientra il nostro Kim, figlio di un avvocato e col desiderio di diventare funzionario del partito. La mattina del penultimo giorno, nella hall dell’albergo, un importante funzionario del partito, informato della presenza di due giornalisti in visita, viene a presentarsi. Ci dà appuntamento per la sera stessa nel lussuoso Koryo Hotel (dove alloggiano i pezzi grossi del Paese) e concederci un’intervista. Quando arriviamo al suo tavolo notiamo che è vestito elegante, parla inglese in modo spavaldo ed è brillante (come un attore consumato) con la giorna-

lista, che è al centro delle sue attenzioni. È un nordcoreano che si differenzia da tutti quelli incontrati finora perché ha libero accesso all’informazione, ha internet, ha potuto viaggiare all’estero, persino in Italia, ed è consapevole del filtro che viene imposto alla popolazione. Per la prima mezz’ora il suo corteggiamento insistente. La collega, tuttavia, sa come comportarsi in questi casi, cosicché alla fine il funzionario comincia l’intervista e, incalzato dalle domande, fa chiamare Kim per tradurre perché, da quel momento, parlerà soltanto coreano. Nell’ora successiva Kim si troverà a tradurre domande e risposte che contengono informazioni di cui era completamente all’oscuro. Quando a un certo punto gli

altri vanno al bagno e rimane solo con me al tavolo, mi domanda con agitazione se sta traducendo bene, vuole ben figurare col funzionario. Il giorno della partenza, c’è la classica malinconia di chi sta per salutare gli amici. Se a volte Kim ha fatto da filtro al nostro lavoro, obbedendo chiaramente a ordini superiori, altre volte si è dimostrato disponibile, aprendosi con noi. Se ripenso a lui e ai suoi 26 anni sono convinto di averlo conosciuto nel momento migliore della sua vita: quando non era ancora completamente succube del suo mondo, nonostante tutto. Fra dieci o vent’anni lo immagino alloggiare al Koryo Hotel, spavaldo e complice consapevole del regime.

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