Alejandro Jodorowsky: performance, teatro e guarugione

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI STUDIO SPECIALISTICO IN TEATRO E ARTI DELLA SCENA

TESI DI LAUREA ALEJANDRO JODOROWSKY: PERFORMANCE, TEATRO E GUARIGIONE

Relatore: Chiar.mo Prof. Roberto Tessari

Anno Accademico 2010-2011

Candidata: Neva Ganzerla Matr. n° 318201


Neva Ganzerla Alejandro Jodorowsky: performance, teatro e guarigione

L’arte non deve essere un balsamo, deve essere alcool. - Filippo Tommaso Marinetti

2


Sommario 1.Presentazione

5

2.Il dolore: arte, teatro, performance

7

2.1. Dolore: un tema d’indagine

9

2.1.1. Teatro

9

2.1.2. Arti visive

13

2.1.3. Performance

14

2.2. A cosa serve il corpo dell’artista?

16

2.3. Il dolore nell’arte di Jodorowsky

18

3.Alejandro Jodorowsky: biografia

20

3.1. I primi anni: toccare il fondo e risalire

20

3.2. La genesi artistica

28

3.3. Il teatro della guarigione

41

4.Il movimento “Panico” 4.1. Cenni storici 4.1.1. Qu’est que c’est le Panique?

48 48 50

4.2. Contesto storico

55

4.3. Il Movimento Panico: radici storiche

57

4.3.1. Il Dada

59

4.3.2. Il Surrealismo

63

4.4. La triade panica: uguali e diversi

68

4.4.1. Jodorowsky, Topor, Arrabal: uno, nessuno, centomila

68

4.4.2. Caratteristiche peculiari del Panico di Alejandro Jodorowsky

72

5.Il teatro di Alejandro Jodorowsky

74

5.1. Il “Panico” nell’opera di Jodorowsky

74

5.2. Effimero panico: genesi

77

5.3. Teatro panico

79

5.3.1. Contingenza, immanenza

79

5.3.2. Poetica

83

5.4. Dall’atto poetico all’effimero panico

89

5.5. Caratteristiche dell’effimero panico

94

5.5.1. Eredità medioevale

94

5.5.2. Il teatro fuori dal teatro: invadere le strade

98

5.5.3. Happening e performance

101

5.6. Melodramma Autosacramentale - Effimero 65

106 3


5.6.1. Trascrizione

107

5.6.2. Analisi

117

5.6.3. Commento

128

6.Dal panico alla ricerca della serenitĂ

131

6.1. Il teatro come rituale liberatorio

131

6.2. Dal teatro alla magia

134

6.3. Componente teatrale della psicomagia

139

7.Cronologia

143

8.Iconografia

144

9.Bibliografia

148

4


1.

Presentazione La tesi che presentiamo parte da una base di ricerca personale in-

centrata sulla funzionalità creativa e comunicativa del dolore, inteso in senso mentale, emotivo e fisico, con lo specifico interesse di verificare in quali occasioni esso viene utilizzato e con quale scopo comunicativo. All’interno della storia dell’arte visiva e teatrale, in particolare dell’ultimo secolo, la tematica del dolore è stata ampiamente investigata e applicata da parte degli artisti seppure con scopi e con modalità differenti e costituisce un filone di ricerca artistica che si manifesta in performance teatrali, performance artistiche e produzioni di opere visive. Tutti questi lavori testimoniano egualmente la potenza del dolore come mezzo per comunicare ed è grazie ad esso che riescono a dare una maggiore spinta nell’investigazione di tematiche politiche, sociali e psicologiche. Quello che ci interessa in questo lavoro è analizzare in particolare come all’interno della teatralità di uno specifico drammaturgo l’uso del dolore si leghi alle istanze comunicative del testo, come esso vada a far parte della genesi della drammaturgia e della messinscena e che tipo di reazioni sia capace di smuovere nel gruppo di fruitori a cui viene “somministrato”. Come caso esemplificativo si è voluto analizzare il lavoro teatrale di Alejandro Jodorowsky (drammaturgo ma anche romanziere, saggista, sceneggiatore, regista e tarologo 1) poiché, all’interno della tematica del dolore, egli non è solamente interessato agli effetti psicologici che esso ha su pubblico e attori, o all’utilizzo del dolore come strumento per veicolare messaggi, ma soprattutto egli ricer-

1

secondo la definizione fornita da Jodorowsky stesso, il tarologo si differenzia dal cartomante poiché il primo esclude dalla pratica dei tarocchi le possibilità divinatorie, ma utilizza le carte come strumento che attraverso l’uso di forti simboli e archetipi riesce a compiere un’indagine sul passato del soggetto e a cogliere i nodi della sua esistenza che sono alla radice dei suoi problemi.

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ca tramite l’esternazione del dolore (all’interno dell’esperienza teatrale) di stimolare tutti i partecipanti (che siano attori o spettatori) a trovare una soluzione a quegli episodi del vissuto che non hanno trovato soluzione e che continuano quindi a causare sofferenza. L’autore infatti non limita la propria indagine all’interno del dolore come status finito e limitato/limitante, all’analisi psicologica dei meccanismi di autodistruzione o di crescita interiore che esso causa, ma attraverso l’esposizione e l’indagine su di esso, Jodorowsky dimostra un preciso e personale scopo di trascendere dalla sofferenza per elevare il soggetto al di sopra delle immobilità causate dalla sofferenza stessa, sfruttando le possibilità rituali del mezzo teatrale per apportare delle effettive migliorie all’esistenza dello spettatore, dell’attore e dell’autore. Questo lavoro quindi parte da una ricerca biografica esistenzial-culturale dell’autore, al fine di indagare quale sia il bagaglio esperienziale che ha partecipato alla sua formazione artistica; prosegue con un’analisi della sua produzione artistica (teatral-rituale in primis) soffermandosi sulle opere più esemplificative della nostra tematica di base; ricerca e analizza il rapporto tra poetica e mezzo di comunicazione utilizzato; verifica quali effetti l’opera sortisce nel fruitore e descrive infine l’allontanamento parziale dell’artista dal mezzo performativo verso quello (radicalmente differente nella forma, ma identico nello scopo) dell’audizione personale effettuata tramite l’uso dei tarocchi.

6


2.

Il dolore: arte, teatro, performance Cos’è il dolore? Una sensazione fisica? Un’emozione che vogliamo

allontanare? Il ricordo di un’esperienza non piacevole? Il vocabolario della lingua italiana non ci è d’aiuto poiché offre due significati ben distanti tra loro: “Sensazione spiacevole per effetto di un male corporeo” e “Sentimento di profonda infelicità dovuto all’insoddisfazione dei bisogni, alla privazione di ciò che procura piacere, al verificarsi di sventure”2. A dispetto però della dualità di significato della parola dolore, l'esperienza personale ci insegna che esso non è mai un aut-aut tra fisiologia e psicologia, bensì un fatto esistenziale, tipicamente umano, di cui tutti facciamo esperienza senza eccezioni, al pari solo della morte. “Ce n’est pas le corps qui souffre, mais l’individu en sono entier” 3 e infatti il dolore è determinato non solo da reazioni a fattori meccanico-biologici, ma soprattutto da reazioni emotive, intime e personali a eventi negativi; “la douleur est d’abord un fait de situation” afferma David LeBreton, “L’anatomie et la physiologie ne suffisent pas à expliquer ces variations sociales, culturelles, personnelles et même contextuelle. La relation intime à la douleur dépend de la signification que celle-ci revêt au moment où elle touche l’individu”4. Necessariamente quindi tutti provano dolore in modo personale. All’interno del quadro che ci porta a definire il dolore come “fait de situation” risulta molto interessante constatare anche come il rapporto tra dolore/sacrificio/punizione/assoluzione (tipico anche della cultura 2

da Il nuovo Zingrelli, Zanichelli Editore, Milano, 1991.

3

René Leriche, Chirurgie de la douleur, Paris, Masson, 1949, p.10.

4

«L’anatomia e la fisiologia non sono sufficienti a spiegare queste variazioni sociali, culturali personali e allo stesso tempo contestuali. La relazione intima al dolore dipende dal significato che esso assume nel momento in cui tocca l'individuo», introduzione ad Anthropologie de la douleur, David Le Breton, Édition Métailié, Paris 2006.

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cristiana) sia profondamente legato alla nostra cultura, insinuandosi addirittura nelle nostre radici linguistiche 5; il dolore è di fatto spesso considerato come mezzo per porre rimedio all’errore, come strumento di purificazione, e questo ne aumenta notevolmente il carico emotivo di matrice culturale che il dolore e il suo effetto intimo hanno sull’uomo anche solo a livello inconscio. Infine il dolore non è mai un’esperienza autoreferenziale, ma un processo che nel suo sviluppo personale incontra inequivocabilmente i processi di socializzazione 6. Di fronte al variegato mistero del soffrire, le arti hanno trovato un florido terreno di ricerca. La variabilità delle reazioni umane alla sofferenza psichica e fisica ha stimolato la creatività degli artisti di ogni secolo ed ha fatto sì che il dolore diventasse il mezzo di comunicazione più efficace per veicolare i messaggi che si ritenevano di volta in volta più urgenti. La maggior parte degli artisti si è però limitata a presentare il dolore, ad analizzarlo, a trasmetterlo, ma difficilmente a darne una consolazione. Dopo il dolore infatti è necessario che ci sia anche una consolazione (fosse anche quella della morte) se si vuole arrivare ad una efficace conclusione del processo di sofferenza/rinascita. Questo elemento conclusivo è importantissimo per sfruttare appieno la capacità comunicativa dell’azione artistica, in quanto trasforma l’esperienza dolorosa in un’occasione maieutica di crescita, e non viene indagato pressoché da alcun artista. Unico personaggio di spicco della scena internazionale a favorire l’aspetto consolativo come conclusione del percorso doloroso è Alejandro Jodorowsky, che attraverso l’arte e in particolare il teatro, cerca di 5

Nelle lingue indoeuropee, la parola pena si traduce in modi molto simili, aventi tutte la stessa radice etimologia nel monosillabo sanscrito pûnya, ossia purificazione(pain in inglese, pein in tedesco, pena in spagnolo, peine in francese, ποινή in greco, poena in latino e पीडा pīṛā in hindi).

6

Cfr. Michel Bousset, nella prefazione a Jean-Claude Sergent, Le Théâtre fou, Editions Tchan, Paris, 1982.

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andare oltre l’esperienza dolorosa per aiutare il pubblico a trovare una soluzione pratica al dolore. A patto però di sottostare alle non regole del suo gioco teatrale.

2.1. Dolore: un tema d’indagine 2.1.1.

Teatro

Nella storia del teatro, come in quella dell’arte visiva 7 il dolore viene originariamente trattato come una tematica legata il più delle volte a problemi di natura morale, religiosa o civile, ma, seppur presente nei testi come elemento chiave della trama, esso tradizionalmente non viene rappresentato fisicamente sulla scena. Nella tragedia greca infatti, gli eventi più crudi vengono tradizionalmente riportati per via orale dai personaggi sutura (il coro, la nutrice, il messo ecc.)8 e i casi di violenza perpetrata sulla scena sono rari, eccezionali e controversi9. Sebbene col passare dei secoli le scene non rimangano digiune di drammaturgie popolate di atti efferati, i drammi recenti continuano a trattare il tema del dolore nello stesso modo in cui esso viene trattato nelle arti figurative, ossia come πάθος10 , fedelmente legato a grandi tematiche tra le quali l’abbandono, il tradimento, lo smarrimento o la follia. Il dolore diventa quindi un mezzo di comunicazione empatica 11,

7

Cfr. paragrafo 2.1.2.

8

Cfr. Giulio Guidorizzi (a cura di), Introduzione al teatro greco, Mondadori Università, Milano, 2003.

9

Cfr. Aiace, Sofocle.

10

nell’accezione di “sofferenza”, “emozione”. In questa sede parleremo di πάθος in riferimento alla volontà dell’artista di comunicare il dolore nella sua accessione intima, non fisica. Al contrario, useremo il termine dolore quando si vorrà sottolineare anche il coinvolgimento del corpo.

11

nel senso di ἐµπάθεια, composto da ἐν, (in) + πάθος, (emozione). Inteso come capacità di immedesimazione nelle emozioni altrui.

9


al fine di suscitare nel pubblico compassione12 per quanto avviene ai protagonisti della pièce. Il grande distacco da questa tradizione avviene agli inizi del Novecento, quando i grandi avanguardisti e teorici della pratica teatrale, in primis Antonin Artaud e Jerzy Grotowski, sradicano le cattive abitudini da cui il teatro si era lasciato corrompere e promuovono il ritorno alla verità dell’azione scenica, privata delle seduzioni mendaci in cui era scaduto il realismo. Ribellandosi alla tradizione realista che aveva reso il teatro un’esperienza banale e fasulla, una mera ripetizione artigianale di un testo sterile e svuotato di significato, gli avanguardisti puntano a creare una tecnica teatrale più genuina, dedicata completamente alla costruzione di eventi teatrali che rispecchino un lavoro di ricerca comunicativa pura. Questo per Grotowsky si traduce in un percorso sacrale della teatralità, noto come teatro povero: in una situazione creativa spogliata di tutti gli orpelli che il teatro si era trascinato dietro fino a quel momento (rituali sociali, macchinari scenici, costumi, luci ecc.) Grotowsky punta a trovare nel solo corpo nudo, nella voce e nelle capacità fisiche degli attori (dedicati ad esso totalmente, come i santi si dedicano alla preghiera, da qui la dimensione “sacra” del teatro di Grotowsky) la vera essenza della creatività e del teatro stesso 13. Anche per Artaud, grande ammiratore del teatro rituale balinese, la creazione artistica deve partire da una necessità di spogliare la pratica teatrale da tutto quello che la contamina. Egli però non si propone di eliminare semplicemente il superfluo e di recuperare confidenza con lo strumento fisico di cui l’attore dispone, bensì egli desidera rompere

12

dal latino di cumpatire, accompagnare una persona nella sua emozione, provando lo stesso sentimento.

13

Cfr. Jerzy Grotowski, Per un teatro povero, Bulzioni, Roma, 1970.

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tutte le tradizioni che hanno reso il teatro una rappresentazione della realtà, un “posto vuoto”, “nato morto”, privato della sua potente “vis affermativa”. Secondo Artaud “È dunque necessario risvegliare […] il teatro occidentale, declinante, decadente, negativo, per rianimare al suo oriente la necessità ineluttabile dell’affermazione”14, una necessità che è una forza invisibile permanente, una crudeltà che elimina la rappresentazione e permette alla vita di manifestarsi15. Coerentemente con l’idea che il manifestarsi della vita sia un’atto forte, necessario e crudele, il teatro di Artaud è fortemente legato ai temi del dolore e della corporeità. Egli trova necessario infatti che per assimilare appieno il messaggio dello spettacolo crudele a cui ha assistito, lo spettatore debba fare esperienza dello sconvolgimento della normalità e senza possibilità di sottrarsi dall’angoscia e dalla preoccupazione che vorrebbe rifuggire ritornando alla normalità della vita di tutti i giorni. Non però un’angoscia in grado di colpire la psiche dell’auditorio, ma una forza dirompente che getta il pubblico in un panico che trascende la mente e coinvolge le viscere. Un’angoscia sensibile, corporea, troppo grande per essere razionalizzata e quindi diretta all’inconscio. Ecco l'angoscia umana in cui lo spettatore dovrà trovarsi uscendo dal nostro teatro. Egli sarà scosso e sconvolto dal dinamismo interno dello spettacolo che si svolgerà sotto i suoi occhi. E tale dinamismo sarà in diretta relazione con le angosce e le preoccupazioni di tutta la sua vita. Tale è la fatalità che noi evochiamo, e lo spettacolo sarà questa stessa fatalità. L'illusione che cerchiamo di suscitare non si fonderà sulla maggiore o minore verosimiglianza dell'azione, ma sulla forza comunicativa

14

Jaques Derrida, nella prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 1968.

15

«Ho detto “crudeltà” come avrei detto “vita”», ivi, p. 228.

11


e la realtà di questa azione. Ogni spettacolo diventerà in questo modo una sorta di avvenimento. Bisogna che lo spettatore abbia la sensazione che davanti a lui si rappresenta una scena della sua stessa esistenza, una scena veramente capitale. Chiediamo insomma al nostro pubblico un'adesione intima e profonda. La discrezione non fa per noi. Ad ogni allestimento di spettacolo è per noi in gioco una partita grave. Se non saremo decisi a portare fino alle ultime conseguenze i nostri principi, penseremo che non varrà la pena di giocare la partita. Lo spettatore che viene da noi saprà di venire a sottoporsi ad una vera e propria operazione, dove non solo è in gioco il suo spirito, ma i suoi sensi e la sua carne. Se non fossimo persuasi di colpirlo il più gravemente possibile, ci riterremmo impari al nostro compito più assoluto.16

Secondo il principio di “adesione intima e profonda” richiesta da Artaud, la partecipazione sensibile del corpo del pubblico è compresa nella messinscena. Secondo il regista infatti il teatro della crudeltà non deve mai essere un teatro della distanziazione, ma deve rendere sistematicamente il pubblico centro della scena e ridurre la scena contorno di esso. “Non c’è più spettatore né spettacolo. C’è la festa” 17, una festa crudele che per essere attuata necessita di attori che siano prima di tutto esseri umani, non chiamati a trasmettere concetti o visioni del mondo previste da un testo, ma semplicemente siano tramite della manifestazione ateleologica del vero teatro, un mélange di tutte le arti volte a manifestare con rigore crudele/necessario la totalità dei sensi, senza mai doversi piegare al Logos e alla sua vacuità. Questa descrizione del teatro come festa confluirà lentamente, nel corso del Novecento, nell’happening; nuova manifestazione di teatrali16

Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.

17

Ivi, p. 200.

12


tà che trova il suo riflesso nella performance tipica delle arti visive e che verrà anticipata e poi rifiutata da Jodorowsky durante il periodo di messa in atto degli effimeri panici18 .

2.1.2.

Arti visive

Similmente a ciò che avviene nel teatro, nella storia delle arti visive il dolore è rappresentato sia nella sua accezione di sensazione fisica che morale ed esso viene utilizzato per lo più con lo scopo di smuovere l’animo del pubblico; viene usato cioè per veicolare πάθος. Il πάθος - la sofferenza emotiva contenuta e ciò che esso provoca intimamente nello spettatore - è quindi pressoché l’unica sfumatura di dolore utilizzata nell’arte e la rappresentazione grafica di un corpo e/o di un animo sofferente è il medium sfruttato per trasferire al fruitore il carico esperienziale del soggetto rappresentato. L’obiettivo è quello mimetico di trasmettere una sensazione di sofferenza nel modo più fedele possibile cosicché, empaticamente sofferente, il fruitore sia portato ad estrapolare dall’opera solo un insegnamento, solitamente di natura morale, religiosa o civile. In questo modo però gli sarà sempre possibile tenersi a distanza emotiva, non partecipando fisicamente a quanto visto, ma solo capendone la causa scatenante. Non ci si mette nei panni di chi soffre soffrendo, bensì si capisce come tenersi alla larga dalla causa dello stesso soffrire. Gli esempi che possono illustrare questo concetto sono numerosissimi e si ritrovano in ogni secolo della storia dell’arte figurativa: il Laocoonte d’epoca romana, il Cristo incoronato di spine di Beato Angelico (1450), La zattera della Medusa di Théodore Géricault (1819), L’urlo di Edvard Munch (1893) o La famiglia di Egon Schiele (1918) per citarne alcuni. 18

Cfr. capitolo 5.

13


Al di là del tipo di πάθος rappresentato (la morte imminente di un uomo punito, il patimento del Salvatore, l’orrore della guerra ecc.), nella maggior parte delle opere artistiche il dolore non viene utilizzato per trasmettere un dolore fisico tout court, ma sempre uno status emotivo non positivo, che esso prenda o non prenda origine dalla corporeità. Sebbene quindi il dolore sia raffigurato anche nella sua componente fisica, esso nell’arte non ha l’obiettivo di causare nel fruitore la medesima sofferenza. Il πάθος quindi è solo lo strumento per trasmettere un’idea, non un’occasione esperienziale. Questo almeno fino all’avvento delle avanguardie e in seguito della body art e della performance, quando il corpo non è più parte dell’opera d’arte ma diventa supporto incarnato del lavoro dell’artista.

2.1.3.

Performance

Nel XX Secolo, grazie alla fusione involontaria tra arte visiva e arte teatrale legata alla nascita delle performing arts (già anticipate per forma da Futurismo e Dadaismo 19), il dolore viene finalmente utilizzato come sensazione della carne, come strumento di comunicazione per esternare il dolore patetico irrompendo tramite il disgusto, il kitsch e la paura, nell’emotività del fruitore che, subendo un’emozione negativa accompagnata da un dolore fisico reale (quello autoinflittosi dal performer), capisce in modo più diretto lo struggimento dell’artista, del suo corpo e della sua anima. O per lo meno questo è l’intento 20.

19

Cfr. Laurie Andreson prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art en action, Thames & Hudson, Paris 1999.

20

Capita a volte infatti che le performance falliscano nei loro intenti maieutici/educativi, perché giudicate troppo “forti” per la sensibilità dello spettatore. Il pubblico infatti, ritrovandosi di fronte a emozioni e immagini estremamente sconvolgenti che lo coinvolgono completamente e senza lasciargli il corridoio di fuga che è la razionalizzazione, reagisce semplicemente rifiutando lo spettacolo truce della performance, incapace quindi di sopportarne il carico emotivo e trovandosi costretto a battere in ritirata voltandosi dall’altra parte.

14


Particolarità della performance però non è tanto il suo carico emotivo, quanto la sua caratteristica forma di teatralizzazione. L’artista performativo infatti progetta e realizza l’opera esattamente come se fosse il direttore artistico di una pièce teatrale artaudiana: un attore non professionista (l’artista), uno spazio consacrato e non tradizionale (il museo, la strada, un capanno abbandonato ecc.), il coinvolgimento di tutti i sensi sia dell’attore che dello spettatore (suoni, grida, contatto fisico con l’artista, odore del materiale utilizzato ecc.), nessun copione verbale prestabilito né tantomeno il predominio del Logos sull’azione, un coinvolgimento attivo del pubblico (spesso usato come complice per la realizzazione dell’atto stesso), un messaggio ideologico da trasmettere, una dimensione spazio-temporale irripetibile ed eccezionale 21. Seguendo (consciamente o per fatalità) questi principi, le performance degli anni ’60 e ’70 sono riuscite a ottenere la capacità di contaminare il πάθος e trasferire la sofferenza a livello fisico, coinvolgendo il pubblico non più tramite la condivisione dell’emotività, ma trasmettendo con lo stesso principio empatico, il vero dolore della carne. Durante questo periodo - e tuttora - molti artisti hanno scelto la strada della teatralizzazione dell’opera, mettendo il corpo al centro della scena artistica e passando dallo status di visual artist a quello di performing artist, titolo che li accomuna a molte personalità dello spettacolo, una su tutte a Jodorowsky

22

, il quale con i suoi effimeri panici

ha teatralizzato in modo violento, simbolico e fortemente coinvolgente il percorso che porta dall’analisi della propria gabbia di sofferenza alla liberazione della mente e del corpo dalle catene del passato.

21

Cfr. Prefazione a Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, op. cit.

22

ma anche il Living Theatre, l’Odin Teatret, il Bread and Puppet

15


2.2. A cosa serve il corpo dell’artista? L’approdo delle arti all’analisi delle possibilità comunicative del medium corpo deriva dalla necessità nuova, contemporanea, tipicamente novecentesca, di eliminare antichi strati di simbologie e sublimazioni che hanno ridotto la comunicazione a una serie di comportamenti codificati e misurati, socialmente tollerabili, privando il soggetto della possibilità di esternare le proprie pulsioni, le proprie sofferenze, rendendo così sconveniente e vergognosa l’espressione genuina della propria sensibilità. Il lento e progressivo abbandono degli schemi comportamentali, delle maschere della falsa “civiltà”, delle strutture sociali convenzionali, confluisce in una volontà della riappropriazione del sé estrema e necessariamente sanguinaria, poiché quando l’arte parla di libertà “il corpo costituisce uno dei luoghi in cui la rivolta sceglie di materializzarsi” 23. Dopo secoli di repressioni della libertà, dell’inconscio e della diversità personale, gli artisti sfondano il muro che definisce il limite tra cosa si può e cosa non si può e fanno vedere i propri incubi, infrangono i tabù che vogliono separare il pubblico dal privato e mettono in mostra la loro sofferenza personale, cercando molto spesso di condensarne tutto il significato in un gesto che per esprimere lo strazio vissuto strazia il corpo che l’ha custodito. È proprio elevando il proprio gesto fisico personale a simbolo universale che gli artisti riescono a parlare al pubblico e a coinvolgere in modo intenso l’emotività collettiva. Come direbbe Artaud, la performance è un “atto di emanazione”, un’occasione per scardinare le abitudini del pubblico attraverso il disorientamento, il turbamento, l’aggressione, concentrando tutta l’attenzione sulla sofferenza fisica che è simbolo di una sofferenza interiore 23

In FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, Skira, Milano, 2001, p. 19.

16


per troppo tempo celata e repressa. Come se per togliersi di dosso la pelle del perbenismo e della “normalità” fosse necessario eliminare fisicamente l’epidermide. La teatralizzazione dell’evento artistico e, simmetricamente, la trasformazione della teatralità in un rituale, utilizzano il corpo come supporto e veicolo di un messaggio, come mezzo per realizzare l’atto artistico e lo caricano di significato tanto da trasformarlo in significante e accendendo la possibilità di uno scambio simbolico tra artista e pubblico: Il simbolico non è né un concetto né un’istanza, né una categoria né un struttura, ma un atto di scambio e un rapporto sociale che pone fine al reale e, allo stesso tempo, l’opposizione tra il reale e l’immaginario… [...] pone fine alle topiche dell’anima e del corpo, dell’uomo e della natura, del reale e del non -reale, della nascita e della morte.24

Il performer, che si mette al centro della scena nell’atto di donarsi, scoprisi e mostrasi privato dalle gabbie della razionalità, attua il gesto simbolico dell’autolesione come tentativo estremo per coinvolgere in modo totalizzante e irrazionale il pubblico nella propria necessità di autenticità. È proprio all’irrazionale che si rivolge l’artista. A quella parte di noi che per secoli è stata repressa, anestetizzata e che invece cerca di tornare a galla continuamente. Tramite il gesto violento il performer scaglia il pubblico di nuovo nell’irrazionale da tempo rimosso e cerca di donare ad ognuno l’occasione di riprendere contatto con una parte di sé senza la quale non siamo autentici singoli, ma solo delle ripetizioni vuote.

24

Jean Baudrillard in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 28.

17


In alcuni casi patologici, il dolore fisico autoinflitto viene utilizzato dal paziente psichiatrico per alleviare il dolore emotivo, “la nostra accettazione capacità (del dolore fisico n.d.r.) di porre termine alla pazzia è uno dei metodi con cui noi, consciamente o inconsciamente, ne riconosciamo il potere di mettere fine a tutti gli aspetti del sé e del mondo” 25. Il performer agisce sullo stesso piano: utilizza il dolore fisico per eliminare il dolore intimo, vuole mettere fine a una pazzia, quella della vittoria della razionalità sociale sull’espressione personale. Sullo stesso piano lavora Jodorowsky con le sue performance teatrali: eliminare la razionalità per riuscire a raggiungere la serenità di una vita che sia la piena manifestazione della nostra personalità; supera però i suoi contemporanei e cerca sempre di mantenere ben visibile all’interno della liberazione dell’inconscio lo scopo ultimo dell’uomo: migliorarsi per essere felice.

2.3. Il dolore nell’arte di Jodorowsky Il lavoro di Jodorowsky sul dolore è multiforme e non segue un solo indirizzo come invece hanno fatto molti altri performer prima di lui. La maggior parte degli artisti infatti utilizza il dolore per presentare delle situazioni particolari e condividerle a livello empatico; Jodorowsky invece presenta sulla scena dei quadri in cui la sofferenza è solo parte di un processo di liberazione delle proprie ombre. Se da una parte i performer si torturavano per cercare di spiegare lo struggimento che l’artista vive nel momento della genesi di un’opera 26, o per far capire la grave sottomissione sociale e sessuale a cui è sottoposta la donna nel-

25

Elaine Scarry in FAM, Nessun tempo, nessun corpo…, op. cit., p. 34.

26

Cfr. Gina Pane, Azione sentimentale, 1973, performance presso la galleria Il diagramma di Luciano Inga Pin, Milano.

18


la società maschilista postbellica 27, o per testimoniare il processo di sofferenza causato dalla malattia28, dall’altra Jodorowsky, al contrario cerca di superare la componente empatica del dolore e punta a bombardare la sensibilità dello spettatore al fine di superare lo shock emotivo e promuovere una riflessione su di esso che porti ad una crescita. Jodorowsky infatti porta in scena simboli forti e immagini potenti che possono parlare a tutti; tramite esse parla di sé e del proprio vissuto traumatico, dimostrando però che da ogni sofferenza può partire una rinascita. Nel teatro di Jodorowsky quindi, il dolore non è fatto per offendere la persona o per sottolineare la distanza tra il performer e il pubblico, né si pone come testimonianza della superiorità emotiva dell’artista nei confronti della borghesia a cui si ribella, bensì è un gioco assurdo in cui la sofferenza, la paura e l’angoscia esistenziale sono uno stimolo a migliorare, una sorta di trampolino di lancio verso una nuova consapevolezza di sé.

27

Cfr. Ana Mendieta, Untitled (rape scene), 1973, fotografia su carta, Tate Gallery, London.

28

Cfr. Hannah Wilke, Intra Venus, 1993, fotografie e video, conservati presso l’Hannah Wilke collection & archives, Los Angeles.

19


3.

Alejandro Jodorowsky: biografia L’analisi della biografia di Alejandro Jodorowsky è interessante, se

non addirittura necessaria, per capire quali tappe della vita dell’autore abbiano segnato la sua formazione emotiva e artistica, sia nei primi anni di vita che in età più adulta. Jodorowsky infatti non diventa uomo di teatro per scelta o per casualità. Gli eventi della vita, quelli che lui chiama danza della realtà, compongono il suo bagaglio culturale a poco a poco, come tessere di un puzzle, e i suoi lavori in campo artistico scaturiscono dal concatenarsi di esperienze che confluiscono le une nelle altre.

3.1. I primi anni: toccare il fondo e risalire Alejandro Jodorowsky Prullansky nasce il 17 febbraio 1929 a a Tocopilla, cittadina del nord del Cile resa fiorente dall’estrazione del salnitro. Alejandro, la sorella Raquel e la madre Sara Felicidad, sono gli unici membri della famiglia nati in terra americana, mentre il padre Jaime e i quattro nonni sono migranti europei, ucraini dal lato paterno e russi dal lato materno. I primi anni della vita di Alejandro, a tratti tragici, segnano profondamente il suo carattere che l’autore stesso definisce come timido e “patologicamente sensibile”. I primi anni della vita di Alejandro trascorrono quasi senza amici. A causa della sua precocità nella lettura e nella scrittura viene iscritto ai corsi avanzati della scuola, […] tra bambini più grandi che, non sapendo leggere con la mia disinvoltura, divennero miei nemici. Tutti quei bambini […] avevano la pelle scura e il naso piccolo. Io, discendente da emigranti ebrei-russi, avevo un ingombrante naso curvo e la 20


carnagione bianchissima. Il che fu sufficiente a farmi soprannominare Pinocchio e a impedirmi per sempre, con le loro battute, di indossare i calzoni corti. [...] per alleviare la drammatica mancanza di amichetti mi rinchiusi nella biblioteca municipale, [...] passavo ore a leggere […].29 […] Avevo bisogno della presenza di amici. Ma quali? Pinocchio per avere un nasone, per essere bianco e circonciso non aveva amici.30

Anche a casa propria Alejandro non si sente accolto. Il padre Jaime, proprietario di un emporio, fervente stalinista e inconsciamente omofobo 31, gli nega qualunque tipo di giocattolo ed esclude completamente dal loro rapporto ogni manifestazione di affetto e di orgoglio paterno, obbligando Alejandro (che affamato d’amore si prestava con pazienza e dedizione) a sottoporsi a vere e proprie torture fisiche (ma anche psicologiche) pur di ottenere da lui la dimostrazione di un carattere forte. […]aveva deciso di educarmi secondo il metodo duro. “Gli uomini non piangono mai e con la loro volontà dominano il dolore...”32

Le “sessioni educative” potevano comprendere ore di solletico, schiaffi dati con intensità crescente, eliminazione quotidiana delle croste che il piccolo Alejandro si era causato buttandosi dalla finestra 33, divieto di piangere indipendentemente dal motivo e addirittura inter29

A. Jodorowsky, La danza della realtà, Feltrinelli, Milano, 2001, p. 8.

30

Ivi, p. 21.

31

derivato dall’odio per il fratello Benjamín, omosessuale, che “vivrà in coppia con sua madre, dormendo nello stesso letto, fino alla morte di lei”. Ivi, p. 36.

32

Ivi, p. 18.

33

“Non so se mio padre si fosse reso conto che buttandomi giù dalla finestra avevo tentato di suicidarmi.” Ivi, p. 19.

21


vento odontoiatrico senza anestesia 34. Nonostante l’essersi sottoposto a queste prove estreme, Alejandro non otterrà mai il tanto desiderato affetto paterno e riuscirà a superare completamente la rabbia e il senso di rifiuto solo dopo moltissimi anni, grazie al teatro e alla pratica psicomagica 35. L’ateismo fanatico di Jaime causerà in futuro gravi problemi ad Alejandro anche a livello “metafisico”: trovatosi da ragazzo a fare i conti con il mistero dell’al di là Alejandro è incapace di trovare la consolazione che i credenti imparano sin da piccoli e vivrà per oltre quarant’anni con l’angoscia della morte 36. Anche dal lato materno Alejandro è carente di gesti d’affetto: Sara non mi accarezzava mai però passava ore e ore a pettinarmi i capelli, ad arricciarmeli, rifiutandosi di tagliarmeli. […] Poiché a quei tempi nessun maschio portava i capelli lunghi, continuavano a gridarmi dietro “frocetto”. […] Mio padre […] un giorno mi portò dal parrucchiere. […] mi rasò a zero […]. Venire liberato dalla chioma che mi attirava tante battutacce era un sollievo per me… però piangevo perché perdendo i riccioli perdevo anche l’amore di mia madre.37

I rapporti con l’unica sorella, maggiore di due anni, sono del tutto inesistenti e i genitori trattano i due figli in modo sbilanciato: mentre Alejandro vive da reietto all’interno del suo stesso nucleo familiare, Raquel cresce come una principessa, viziata dal padre che nutre per lei un affetto e una gelosia a tratti incestuosi38 , il che condanna Alejandro

34

Ivi, p. 18 e seguenti.

35

Cfr. Paragrafo 5.6.

36

Cfr. i A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 147 e seguenti.

37

Ivi, p. 27.

38

Ivi, p. 51.

22


nel ruolo di perenne intruso 39. Il deserto affettivo-emozionale in cui cresce Alejandro è mitigato dalle letture, dalla sua grande fantasia e dalla presenza di due figure che si rivelano non solo importanti per l’equilibrio emotivo del bambino, ma probabilmente anche per la sua futura formazione artistica: Moishe e Cristina. Moishe, secondo marito della nonna materna, fisicamente del tutto simile a Gandhi, sottopone il nipote a quello che si può definire un atto psicomagico ante litteram al fine di evitare che il piccolo Alejandro cresca violento come il padre: Per sfuggire alla severità del dittatore (Jaime, n.d.r.) mi rifugiavo tra le ginocchia del santo (Moishe n.d.r.). “Alejandrito […] a ogni parola dura ti si secca un poco l’anima. T’insegnerò a raddolcire quello che dici”. E dopo avermi colorato la lingua con un inchiostro vegetale azzurro, prendendo un pennellino […] lo intingeva nel miele e faceva finta di dipingermi l’interno della bocca. “Adesso quello che dici avrà il colore del cielo sereno e la dolcezza del miele”.40

Cristina invece, domestica della famiglia Jodorowsky-Prullansky, fornì ad Alejandro sia l’amore materno che tanto gli mancava e che la sua prima occasione di incontrare la magia: […] era lei a farmi le carezze che mia madre mi rifiutava. […] Mia madre creava in me un bisogno affettivo dolorosissimo, […] ma Cristina […] fu un balsamo per il mio cuore ferito. […]Saranno state le tre di mattina quando mi svegliai […]. Cristina […] seduta sulla panchetta davanti al tavolo vuoto, muoveva le mani nell’aria delicatamente […]. Sembrava modellare 39

Ivi, p. 47.

40

Ivi, p. 16.

23


qualcosa […] non riuscii a trattenermi: “Cosa fai Cristina?” […] “Quando Dio si è portato via mia figlio, la Madonna del Carmine è venuta a dirmi: fammi una scultura d’aria. Quando l’avrai terminata […] il tuo bambino […] si alzerà dalla tomba” 41

Ad interferire nella già traumatizzante infanzia a Tocopilla, sopraggiunge nel 1937 42 il trasloco della famiglia a Santiago, città nel quale l’autore passerà la vita fino al trasferimento definitivo a Parigi nel 1953, all’età di 24 anni. Rassegnato a fatica al trasferimento nella capitale (sradicamento che gli causò anche una terribile forma di orticaria di natura psicosomatica 43) Alejandro ripone fiducia nell’incontro con i nuovi compagni di scuola, ma le sue aspettative vengono disilluse e si ritrova nuovamente solo. È in questo momento che sceglie volontariamente di distaccarsi dal mondo in maniera definitiva: […] il mondo era crudele. Davanti a me si aprivano soltanto due alternative: o diventavo un assassino di sogni come gli altri, oppure mi rinchiudevo nella mia mente trasformandola in una fortezza. Optai per la seconda scelta.44

È in questo periodo che matura anche la decisione di separarsi (inizialmente a livello solo simbolico) dalla propria famiglia e dai dolori che di generazione in generazione si perpetravano al suo interno. È tramite uno dei numerosi dialoghi interiori con il Rebe45 che Alejandro giunge a una conclusione che guiderà poi tutta la sua ricerca in campo 41 42

Ivi, p. 198 e 199. Data presunta. Nei suoi romanzi autobiografici Jodorowsky non offre sempre precise coordinate spazio-temporali.

43

Ivi, p. 29.

44

Ivi, p. 34.

45

Figura immaginaria con cui Alejandro è solito dialogare mentalmente, in realtà proiezione in terza persona dei suoi stessi pensieri.

24


psicomagico: “[…] Tanto Jaime quanto Sara sono bambini abbandonati che inseguono senza sosta l’inesistente amore dei loro genitori. Quello che hanno subito loro, lo stanno facendo a te. A meno che non ti ribelli, farai anche tu lo stesso ai figli che avrai. Le sofferenze famigliari […] si ripetono […] finché un discendente, in questo caso forse tu, acquista consapevolezza e trasforma la sua maledizione in una benedizione”. All’età di dieci anni avevo già capito che per me la famiglia era una trappola da cui dovevo liberarmi, o morire.46

La giovane età di Alejandro però non gli consente ancora di recidere i rapporti che lo legano alla famiglia. In questa situazione frustrante Il mio corpo, ricettacolo di tante colpe, tante lacrime proibite, tanta nostalgia di Tocopilla, iniziò a trasformare la pena in grasso. A undici anni pesavo poco più di cento chili.47 Io ero un guscio vuoto che veniva usato per trasportare un’anima in pena. La portavo in giro defunta dentro a quell’orribile custodia.48

In questa triste adolescenza Alejandro inizia a coltivare l’interesse per la poesia (legge e scrive versi segretamente), non solo come metodo per proiettare all’esterno le emozioni per troppo tempo represse, ma anche come (debole, proprio in quanto segreta) forma di ribellione verso Jaime, che etichettava come “buffoni spregevoli” tutti gli artisti, sia che essi fossero poeti, pittori o cantanti.

46

Ivi, p. 36.

47

Ivi, p. 38.

48

Ivi, p. 39.

25


La poesia operò un cambiamento fondamentale nel mio modo di agire. Smisi di vedere il mondo attraverso gli occhi di mio padre. Mi era consentito tentare di essere me stesso.49

Dopo aver scritto e bruciato molte poesie, Alejandro per la prima volta decide di affrontare il giudizio paterno tentando di informare Jaime della propria vocazione poetica, ma come di consueto il tentativo fallisce. Rassegnato a rimanere per tutta la vita succube dell’ingombrante figura paterna, incolta e dittatoriale, Alejandro medita per la seconda volta il suicidio50, ma improvvisamente invece che metterlo in atto subito decide che prima di morire deve constatare le dimensioni del sesso paterno. Seppure questa indagine, manifestatasi come un’epifania, sia apparentemente immotivata e irrazionale, si rivela in realtà molto formativa, in quanto le aspettative di Alejandro vengono del tutto disattese e il machismo e l’omofobia alla base dei principi educativi di Jaime, si rivelano specchio di una mancanza fisica e di una paura ancestrale: quella di essere omosessuale come l’odiato fratello Benjamin. […] incredibile! […] Più che un fallo sembrava un dito mignolo. […] Di colpo compresi la ragione dell’aggressività di Jaime […]. Mi aveva fatto precipitare nella debolezza costruendomi subdolamente un carattere da vigliacco, da vittima impotente, per sentirsi lui il più forte. […] La sua possente volontà era complementare al suo minuscolo uccello. Il gigante era crollato. E insieme a lui, era crollato il mondo intero. Nessuno dei sentimenti che mi avevano inculcato erano veri. Tutti i poteri erano artificiali. Il gran teatro del mondo, un guscio vuoto.51

49

Ivi, p. 40.

50

Cfr. nota n° 30.

51

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 43.

26


A pochi anni di distanza dalla presa di coscienza di aver vissuto assoggettato ad un potere fasullo, Alejandro inizia un processo di liberazione dai vincoli familiari che dopo un decennio lo porteranno ad abbandonare la sua terra d’origine per cercare l’affermazione oltreoceano. Durante gli anni del liceo riesce a superare i limiti imposti dalla famiglia e si libera in poco tempo del peso fisico e spirituale. Dimagrisce, raccoglie tutte le fotografie del suo passato e conclude lo scioglimento dei legami familiari con quello che si potrebbe definire il suo primo atto psicomagico: Quando non rimase più nessuna fotografia da bruciare, presi una manciata di cenere, la sciolsi in un bicchiere di vino e bevvi quel miscuglio grigiastro. I dubbi erano finiti. Avevo seppellito il passato dentro me stesso.52

Non solo il piccolo nucleo familiare viene coinvolto nella decisione di abbandono di Alejandro. Finalmente liberato dalla paura reverenziale di Jaime, in occasione di una rara riunione familiare, il giovane compie (inconsciamente) un gesto simbolico che coinvolge tutto il clan Jodorowsky-Prullansky. Per le nozze d’oro di Jashe e Moishe […] rimasi seduto per ore, senza mangiare, in un angolo del cortile ombroso […] accanto a un grande tiglio […] a cui era appoggiata una scure. […] Spinto da un impulso irrefrenabile cominciai a colpire il tronco […] avevo scavato metà del tronco. Shoske, la mia prozia, strillava inorridita […]. Uscii in strada e presi a correre respirando ebbro di felicità. Sapevo che quell’atto terribile segnava per me l’inizio di una nuova vita. E più precisamente l’inizio della mia

52

Ivi, p. 55.

27


vita.53

L’intera famiglia allargata è così testimone della rescissione dei legami naturali, dell’abbandono del giovane Alejandro della casa/gabbia familiare e l’inizio della sua attività artistica.

3.2. La genesi artistica La vita artistica di Jodorowsky inizia embrionalmente con le poesie scritte e bruciate in solitudine, grazie alle quali riesce a fare esperienza del potere liberatorio dell’arte, ma è nell’incontro con persone e situazioni differenti che prende vita il genio creativo dell’artista. In seguito all’abbattimento del tiglio a casa dei nonni materni, Alejandro decide di non far ritorno a casa e grazie all’aiuto di un cugino presente alla scena, viene messo in contatto con le sorelle Cereceda che divennero trampolino di lancio della sua produzione creativa: Quella notte […] mi portò a dormire dalle sorelle Cereceda. […] Avevano una casa di tre piani […]. Dovunque c’erano libri pieni di riproduzioni dei quadri più belli e anche dischi […]. Carmen Cereceda, pittrice […]. Veronica Cereceda […] poetessa e futura attrice. Le due sorelle amavano l’arte al di sopra di ogni cosa. […] Rimasi chiuso là dentro per diversi giorni […]. Ho avuto la fortuna di incontrare in quel periodo creature che mi arricchirono la vita, stelle comete benefiche.54

È in quell’ambiente sereno, libero e culturalmente stimolante che Jodorowsky inizia per la prima volta ad interessarsi all’attività teatrale. Con l’aiuto di delle sorelle Cereceda, Jodorowsky crea un arsenale di burattini e un teatrino che negli anni successivi gli diede molte soddi53

Ivi, p. 81 e 82.

54

Ivi, p. 83 e 84.

28


sfazioni personali e professionali, tra cui anche occasione di entrare nell’Università di Santiago del Chile e inaugurare con i suoi pupazzi un nuovo laboratorio teatrale. I burattini furono un’enorme occasione di crescita per Jodorowsky, per tre motivi: gli permisero di scoprire la sua vocazione teatrale, di vedere in una luce diversa le tragedie familiari passate facendo tacere i rimorsi e di capire il potere magico degli oggetti (quest’ultimo punto sarà un caposaldo della terapia psicomagica): […] un oggetto da me costruito mi sfuggiva di mano. Nel momento in cui infilavo la mano sotto il burattino, il personaggio iniziava a vivere in un modo quasi autonomo. Assistevo all’evoluzione di una personalità sconosciuta. […] avevo l’impressione di venire controllato, manipolato dal pupazzo! I burattini mi avevano fatto scoprire un aspetto importante della magia, il trasferimento dalla persona all’oggetto. […] scolpii dei pupazzi che li rappresentassero, ritratti caricaturali ma molto verosimili. E così ho potuto far parlare il signor Jaime, la signora Sara e tutti gli altri. Gli amici vedendo le mie rappresentazioni ridevano a crepapelle. Eppure, progressivamente, mentre le mie mani si fondevano coi personaggi, quelli iniziavano a vivere di vita propria. […] dicevano cose che non avevo mai pensato. Soprattutto si giustificavano. […] Chiesi loro sinceramente perdono. […] A loro volta tutti i burattini mi perdonarono, uno dopo l’altro. E anch’io, uno per uno, li perdonai tutti, versando lacrime amare.55

In questo periodo di scoperte artistiche e umane, di grande impor-

55

Ivi,, p. 84 e 85.

29


tanza è l’incontro con la poetessa e giornalista Stella Díaz Varin56 e, poco dopo grazie ad ella, con Nicanor Parra57, uno dei padri della poesia ispano-americana. Il mio incontro con Stella fu di fondamentale importanza. Grazie a lei sono passato dall’atto concettuale, creazione mediante parole e immagini, all’atto poetico, poesie che sono il risultato della somma di attività corporali. […] ebbi la prova che la poesia era un miracolo che poteva cambiare la visione del mondo.58

È da questa frequentazione che Jodorowsky capisce il potenziale creativo della poesia. Non solo un gioco estetico di parole, ma un esercizio della realtà, un’effettiva possibilità di intervenire sulla realtà modificandola. Conclusa in breve tempo e non senza sofferenza la frequentazione con la Díaz, nel 1948 Jodorowsky entra in contatto con André Racz, il quale, dovendo lasciare il Cile definitivamente, gli lascia in dono il suo immenso laboratorio, probabilmente il capannone di un’ex fabbrica, in cui Jodorowsky inaugura le “Feste dell’atelier”, nate dall’applicazione di un’idea maturata durante il periodo degli spettacoli di burattini: Pensavo che la finalità suprema dell’artista fosse creare feste.[…] bisognava rispettare le parole dell’Ecclesiaste: “Non c’è niente di meglio per l’uomo che mangiare, bere e procurare gioia al suo cuore”.59 56

Stella Díaz Varin: La Serena 1929 - Santiago 2006. Poetessa e giornalista cilena collaborò con il Gruppo Generación del 50, gruppo artistico e letterario cileno. Per approfondimenti cfr. http://ow.ly/8y69H

57

Nicanor Parra: San Fabian, Cile, 1914. Poeta, noto per il sue antipoesie, viene considerato uno dei più influenti poeti ispano americani. È fratello della più famosa Violeta Parra, pittrice, poetessa e cantante. A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 202.

58

Ivi, p. 89 e 90.

59

Ivi, p. 101.

30


Le “Feste dell’atelier” aprivano le porte a chiunque fosse disposto a pagare con la “ragione” il biglietto d’ingresso. Per accedere al capannone bisognava infatti bere d’un fiato un quarto di litro di vodka, ma non sborsare denaro. All’interno non si beveva più, si conversava soltanto o si danzava […] musica classica. […] In quello spazio affollato come un’autobus all’ora di punta, […] l’incontro di artisti con docenti universitari o pugili o rappresentanti di commercio dava origine ad un cocktail esplosivo.60

Le serate si trasformavano in poetiche manifestazioni del dionisiaco, una totale libertà d’espressione artistica e personale che porterà Jodorowsky a dichiarare che Nel 1948, senza saperlo, considerando la creazione di feste come la suprema espressione artistica, avevo scoperto i principi fondamentali dell’”effimero panico” che poi gli artisti chiameranno “happening”.61

È durante una di queste feste paradisiache che Jodorowsky incontra una delle più importanti figure della sua vita, Enrique Lihn, poeta 62, che da quel momento e fino alla sua partenza per la Francia condivide con lui l’intero percorso di ricerca poetica e di maturazione artistica della sua giovinezza. Insieme a Lihn, Jodorowsky getta le basi poetiche e teoriche del futuro effimero panico, grazie all’ideazione e messa in atto nel Cile degli anni ’50 dei cosiddetti atti poetici. L’ispirazione per i primi esperimenti artistici arriva dalla passione per la poesia che accomunava i due e che comprendeva tra le altre le 60

Ivi, p. 102.

61

Ivi, p. 103, virgolette dell’autore.

62

Per approfondimenti su Enrique Lihn cfr. Naín Nómez, Poesía chilena contemporánea: breve antología crítica. Andres Bello, 1992.

31


letture del già citato Parra, di Pablo Neruda, Gabriela Mistral, Pablo de Rokha e di Vicente Huidobro. Proprio quest’ultimo, durante una conferenza tenuta a Madrid in quegli anni, diede ai giovani artisti una grande lezione di estetica che diede la svolta alla loro ricerca: Oltre al significato grammaticale del linguaggio, ce n’è un altro, un significato magico, che è l’unico che ci interessa… il Poeta crea, fuori dal mondo esistente il mondo che dovrebbe esistere… Perché cantate la rosa, o poeti! Fatela fiorire nella poesia 63

Jodorowsky e Lihn, all’epoca universitari, iniziano così il loro sodalizio creativo: rivalutando le possibilità espressive del linguaggio e creando un sistema fraseologico alternativo con lo scopo di semplificare la comunicazione tra individui64. Siamo giunti alla conclusione che a causa del linguaggio contorto, l’intera società viveva in un mondo pieno di situazioni grottesche. […] Come soluzione alla comunicazione grottesca io avevo proposto l’atto poetico. […] la poesia di atti, che doveva realizzarsi come un esorcismo sociale di fronte a numerosi spettatori. […] nel corso di tre o quattro anni realizzammo una gran quantità di atti poetici che avrebbero costituito, senza che io lo sapessi ancora, la base della terapia psicomagica. Con i nostri atti poetici volevamo evidenziare il carattere imprevedibile della realtà. […] denunciare le apparenze, smascherare la falsità e mettere in discussione qualsiasi convenzionalismo.65 63 64

65

Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32. Invece di “mai”: pochissime volte. Invece di “sempre”: sovente. “Infinito”: estensione ignota. A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 104 e seguenti. Ivi, p. 104 e seguenti. Cfr. anche par. 2.2.

32


Cruciale per l’attuazione dello scarto tra poesia e atto poetico concreto è anche la lettura di Marinetti e dei futuristi. In particolare la frase “La poesia è azione” convincerà Jodorowsky e Lihn a consacrare la loro attività artistica alla trasformazione della poesia in atto fisico 66. Negli anni in cui gli atti poetici prendevano una forma via via sempre più definita e coerente (senza però perdere le iniziali caratteristiche di volontà di denuncia, di risveglio delle coscienze e di trasformazione del poetico in realtà), Jodorowsky e Lihn compiono anche un certo numero di errori di valutazione nella realizzazione degli atti stessi. A volte infatti le loro incursioni artistiche non sortiscono l’effetto desiderato (grottesco, divertente, generatore e liberatorio), ma al contrario si rivelano dei veri e propri disastri che mettono a repentaglio la salute mentale delle persone e la vita di poveri animali67 . La constatazione di questo limite dell’atto poetico porta i due a fare un’onesta analisi della loro esuberanza creativa e giungono alla conclusione che ogni atto poetico deve essere ben valutato nelle sue conseguenze, quindi anche negli effetti collaterali che può causare, al fine di prevenirli. Parallelamente elaborano un dogma che si ripeterà in tutta la produzione artistica di Jodorowsky: Qual è la definizione di atto poetico? L’atto poetico deve essere bello, impregnato di un carattere onirico, deve prescindere da ogni giustificazione, deve creare un’altra realtà nel seno della realtà quotidiana. Consente di trascendere ad un altro livello. Spalanca le porte di una nuova dimensione, possiede un valore purificatore… Quindi […] era essenziale diffidare delle energie negative che rischiavano di liberarsi per colpa si un gesto inconsulto. […] L’atto poetico, gratuito, avrebbe dovuto consenti66 67

Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 29 e seguenti. Come quando rubarono gli arti di un cadavere o quando distrussero un formicaio. Cfr. A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 108 e seguenti.

33


re la manifestazione in bontà e bellezza di energie creative solitamente represse […].68

Contemporaneamente alla creazione degli atti poetici e all’attività di burattinaio, Jodorowsky studia come ballerino. Folgorato negli anni ’40 dalle coreografie di Kurt Jooss 69, ospite del teatro Municipal di Santiago con quattro dei suoi danzatori, e da quelle di Ernst Uthoff70, ballerino della compagnia di Joos, Jodorowsky intraprende la strada della danza moderna poiché per la prima volta vedeva […] una tecnica che usasse il corpo con intelligenza per fargli esprimere una vasta gamma di sentimenti e di idee. 71

È grazie ai balletti di Jooss e successivamente a quelli di Uthoff che Jodorowsky arriva alla fondamentale conclusione che l’arte deve essere uno strumento per curare l’anima e il corpo: Jooss, mettendo in scena con la sua tecnica sublime i problemi politici e sociali più pressanti, aveva gettato il seme che più tardi germogliò nel mio spirito: la finalità dell’arte è curare. Se non fa guarire non è vera arte. […] l’arte non doveva guarire soltanto il corpo ma anche l’anima, tutte le finalità si riunivano in una sola: realizzare le potenzialità umane per poi superarle. Sacrificare il personale per giungere all’impersonale: niente per me che non sia per gli

68

Ivi, p. 109.

69

ballerino e coreografo tedesco emigrato dalla Germania di Hitler in seguito al rifiuto di ottemperare alle richieste delle autorità naziste di epurare dalla sua compagnia tutti i danzatori ebrei. Cfr. Suzanne Klara Walther, The Dance Theatre of Kurt Jooss, Harwook Academic, London 1998.

70

Danzatore della compagnia di Jooss, in seguito fondatore de EL BANCH, Ballet Nacional Chileno. Cfr. http://ceac.uchile.cl/ballet-nacional-chileno.

71

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit. p. 123.

34


altri.72

La frustrazione che Jodorowsky trae dallo studio della danza moderna, disciplina che lo avvicina anche ai principi dell’enneagramma di Gurdjieff che rincontrerà quando diventerà brevemente allievo di Oscar Ichazo 73, si trasforma in nuove scoperte in campo artistico. Con Lihn organizzano un balletto i cui passi si muovevano secondo i rumori della centrale elettrica dell’ambasciata statunitense di Santiago e sperimentano che : Si poteva danzare tutto. La realizzazione artistica era il risultato di scelte dettate dalla passione. […] la vita, l’arte, una faccenda di punti di vista e di scelte. E lo stesso succedeva anche in negativo. […] L’individuo sceglieva il proprio male. Per curarlo, bisognava indagare su che cosa lo avesse spinto a scegliere quel problema e non un altro.74

Questa scoperta lo porta a intervenire sul proprio destino: smette di aspettare che il mondo gli offra delle possibilità e inizia a procurarsele. È in questo modo che ottiene dal Teatro Experimental de la Universidad de Chile l’autorizzazione a creare insieme ad Enrique Lihn il Teatro dei Burattini del TEUCH, ribattezzato El Bululù. Il successo dell’iniziativa diventa presto tale che la compagnia raggiunge i 60 elementi e con una nave donata dall’Esercito cileno va in tournée in tutto il paese. Conclusa la tournée e rientrato a Santiago, Jodorowsky fa una delle esperienze più importanti della sua vita, il circo. Contattato da un pagliaccio del circo di cui già suo padre aveva fatto parte, entra nella

72

Ivi, p. 123 e seguenti.

73

Cfr. par.3.3.

74

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 125.

35


compagnia come sostituto del toni75 Chupete, il pagliaccio bambino. Come con il burattini, indossare i panni del toni opera una strana forza su Jodorowsky: A mano a mano che entravo nel costume la mia personalità andava sfumando.[…] Il mio aspetto esteriore, dissolvendosi in quel bambino grottesco, mi regalava la libertà di agire senza ripetere i comportamenti imposti che ormai costituivano la mia identità. […] l’angoscia era sparita insieme alla mia personalità.76

Nel circo , Jodorowsky incontra il suo primo vero maestro spirituale: il pagliaccio Piripipì, che gli dà una grande lezione di sciamanesimo e di vita. Dopo l’ultima replica dell’ingaggio di Jodorowsky, Piripipì seppellisce al centro della pista una ciocca di capelli e le unghie del giovane artista in modo che parte di lui resti sempre legata al mondo del circo. A seguito dei consigli di Piripipì e dell’esperienza come toni Seguii alla lettera gli insegnamenti del toni Piripipì, abbandonai la facoltà di Filosofia dove avevo sofferto per tre anni e mi iscrissi ai corsi del Teatro Experimental de la Universidad de Chile.77

Dopo pochissimo tempo però le sue qualità di attore vengono notate ed entra a far parte della compagnia del Teatro de Ensayo del la Universidad Católica, con cui ebbe occasione di recitare in moltissime repliche di teatro classico anche a fianco di grandi attori dell’epoca come Alejandro Flores. Sempre più teatralmente maturo, Jodorowsky

75

nome usato in America Latina per definire il pagliaccio.

76

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 131 e seguenti.

77

Ivi p. 135.

36


elabora in questo periodo la sua resistenza al teatro imitativo e inizia a fondere l’idea di arte come guarigione a quella di atto poetico, in aperto scontro teorico quindi con il teatro realista: Mi rendevo conto che non mi piaceva il teatro che imitava la realtà. Per me era un’espressione d’arte volgare: con il pretesto di mostrare il vero tentava di ricreare la dimensione più superficiale ma anche più vacua del mondo. […] mi sembrava che il “teatro realista” ignorasse la dimensione onirica e magica dell’esistenza. 78

Secondo questa necessità di non mentire sulla scena, ma di svelare la parte nascosta e poetica della realtà - ovvero il sogno - Jodorowsky, ormai definitivamente orientato all’attività teatrale. Inizia così a lavorare autonomamente allo studio dell’espressività corporea e con un piccolo gruppo di attori si dedica alla ricerca in campo mimico, escludendo la parola dall’indagine. Questo cambio di interessi lo porta ben presto a conoscere figure come Marcel Marceau ed Étienne Decroux, con cui verrà in contatto una volta sbarcato a Parigi, e a scegliere di abbandonare il Cile per la Francia proprio con lo scopo di approfondire lo studio dell’arte mimica. Nel 1953, alla fine del periodo degli atti poetici e dei burattini, Jodorowsky decise di abbandonare la sua terra d’origine, a recidere tutti i rapporti che lo legavano al Cile e ad imbarcarsi su un transatlantico diretto a Parigi, senza valigia, senza soldi e senza conoscere il francese. Arrivato in città sentendosi un salvatore del Surrealismo, vede presto crollare le sue illusioni e solo con grande fatica, racimolando il denaro facendo i lavori più umili, riesce a coronare il suo sogno di studiare l’arte del mimo frequentando i corsi di Étienne Decroux. L’esperien-

78

Ivi p. 141 e seguenti.

37


za, accompagnata anche dallo studio dei testi di Gurdjieff79 e di Gaston Bachelard 80, lo segna profondamente ed è con questa esperienza che Jodorowsky riesce sia ad affinare la sua tecnica che ad approfondire la sua ricerca poetica: La sua crudeltà da bisturi, priva di ogni relazione affettuosa, mi costrinse a essere giudice di me stesso senza aspettarmi conferme altrui. […] Imparai che non può esistere una creatività efficace se non è accompagnata da una buona tecnica. E che la tecnica, senza arte, distrugge la vita81

Dopo l’esperienza con Decroux, Jodorowsky entra a far parte della compagnia di Marcel Marceau e contemporaneamente collabora con Maurice Chevalier, curando per quest’ultimo la messinscena di One man Show al teatro Alhambra, spettacolo che rilancerà la carriera del già famoso cantante82. Quando si reca in Messico, riscritturato da Marceau per una tournée, si innamora di quel paese e lì si ferma, abbandonando temporaneamente la Francia. Fonda il Teatro de la Vanguardia e inizia a mettere in scena i suoi primi spettacoli registicamente autonomi e con veri attori. J’ai commencé en Mexique, un endroit sauvage, avec le Teatro de la Vanguardia. Mon premier cour au Mexique je commençai a partir par “Fin de partie” de Samuel Beckett. On a traité de

79

Georges Ivanovič Gurdjieff (Alexandropol, 14 gennaio 1872 – Neuilly, 29 ottobre 1949) è stato un filosofo, scrittore, mistico e "maestro di danze" armeno. Il suo insegnamento combina sufismo e altre tradizioni religiose in un sistema di tecniche psicofisiche che cerca di favorire il superamento degli automatismi psicologici ed esistenziali che condizionano l'essere umano.

80

Gaston Bachelard (Bar-sur-Aube, 27 giugno 1884 – Parigi, 16 ottobre 1962) è stato un filosofo della scienza e della poesia francese. Epistemologo illustre, è autore di numerose riflessioni legate alla conoscenza e alla ricerca. Nella sua opera fondamentale, Il nuovo spirito scientifico (1934), Bachelard compie un superamento del dibattito tra empirismo e razionalismo, simile a quello teorizzato da Popper.

81

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 153.

82

tanto che dopo il suo successo il teatro Alhambra verrà ribattezzato Theatre Maurice Chevalier.

38


chiens a Samuel Beckett, de [son-of-a-bich]. Ont a lui insulté, ont a insulté a moi, on m’ai vomit… Tout la critique, tout le monde a dégénéré. Et ils aussi ont été tout rouges parce que Beckett a eu le Nobel, a été un scandale. Je fais Jonesco, “Le Roi se Meurt”… [Those shows lasted for several years, I did about a hundred plays]: Adamof, Beckett, Ionesco, Strindberg et cetera… On a fait tous de theatre de l'absurde, Arrabal…83

La possibilità di esprimere la propria creatività però non lo soddisfa: Piano piano, fra successi, fallimenti, scandali e catastrofi, una profonda crisi morale iniziò a minare la fanatica ammirazione che provavo per il teatro 84

Ed è grazie a questa crisi che vengono gettate le basi teoriche dell’effimero panico. Mi domandavo: è possibile per il teatro fare a meno degli attori? E perché non de pubblico? L’edificio del teatro mi pareva limitato, inutile, obsoleto. […] Era inutile interpretare un personaggio. L’interprete - non attore - non doveva consacrarsi allo spettacolo per sfuggire a sé stesso ma per ristabilire il contatto con il mistero interno […] divenire uno strumento di autoconoscenza. Sostituii la creazione di opere scritte con quello che ho chiamato “effimero”. 85

Negli anni messicani Jodorowsky realizza un grande numero di effimeri86 , tutti realizzati senza attori professionisti, senza una vera or83

Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70 A9B564956D6 84

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 156.

85

Ivi, p. 157.

86

Cfr. par. 5.4.

39


ganizzazione e senza pubblicità, fino a quando all’inizio degli anni Sessanta lo scrittore e giornalista Juan Lòpez Monctezuma lo invita a realizzare uno dei suoi effimeri all’interno della propria trasmissione televisiva culturale trasmessa su un canale nazionale. Durante un’intera ora, non interrotta da spazi pubblicitari, Jodorowsky distrusse a martellate un pianoforte a coda e si crocifisse sui resti dando così inizio ad uno scandalo di portata enorme che lo rese un artista maledetto. A seguito di questa esperienza memorabile e soprattutto viste le forti reazioni del pubblico, Jodorowsky focalizza la propria attenzione sulla realizzazione di effimeri di portata maggiore, più complessi e fruibili da un grande pubblico; colpito dalla eco causata sulla popolazione messicana dall’effimero televisivo, riflette sulla possibilità di utilizzare questo nuovo strumento teatrale per aiutare le persone a cambiare in meglio: Gli effimeri dimostrarono di avere un grande impatto su pubblico, molto più del teatro convenzionale. In quegli anni di formazione credevo che, per ottenere un qualche cambiamento nella mentalità collettiva, occorresse aggredire la società toccandola nei suoi concetti fossilizzati. Non mi era venuto in mente che un malato non va aggredito ma bisogna cercare di guarirlo. Non concepivo ancora l’atto terapeutico sociale.87

All’interno di questo mutamento di obiettivi e a questa maturazione artistica avviene l’incontro con Arrabal e Topor; grazie al nuovo sodalizio Jodorowsky crea l’Effimero 65 di Parigi ma non ne trae la sperata soddisfazione. Si allontana dal teatro e inizia a praticare il teatroconsiglio, occasione che gli permette di analizzare a fondo i meccanismi psicologici delle persone e a ricevere nuovi spunti per la sua riflessione artistica, applicando le caratteristiche del teatro al sostegno di

87

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 161.

40


tutti coloro che si avvicinassero a lui per ricevere suggerimenti su come migliorare la propria esistenza 88. A seguito di queste esperienze formative, Jodorowsky approfondirà per lo più la propria ricerca sul tema della guarigione, esplorando le possibilità dell’inconscio e dell’applicazione dei principi teatrali al fine di elaborare una metodologia specifica dell’uso del teatro e dei tarocchi come sostegno della persona.

3.3. Il teatro della guarigione La differenza che corre tra la ricerca di Alejandro Jodorowsky e quella di altre personalità teatrali e cinematografiche sta nel fatto che egli non ha limitato il proprio percorso di ricerca all’interno del campo artistico, ma ha mischiato esperienze artistiche e mistiche e le ha fatte confluire in una pratica che lui stesso ha definito “psicomagia”. Nell’attività di Jodorowsky degli ultimi anni la componente magica pare aver preso il sopravvento su quella teatrale, ma in realtà l’una e l’altra sono strettamente collegate perché maturate contemporaneamente lungo l’intera vita dell’autore. Nell’attività magica di Jodorowsky confluiscono molte diverse esperienze non teatrali (analisi del mondo onirico, pratica del sogno lucido, tarologia, sciamanesimo, meditazione, sufismo, uso di droghe ecc.), ma tutte vanno a confluire nella creazione della psicomagia, divisa in tarologia, psicogenealogia e psicosciamanesimo. Il primo contatto di Jodorowsky con queste attività non convenzionali risale già alla sua prima infanzia, quando scopre nella biblioteca di Tocopilla, suo paese natale, un libro francese sui tarocchi. Pur non capendo nulla di quello che era spiegato nel libro scritto in una lingua straniera, il piccolo Alejandro strappò la pagina che raffigurava La For-

88

Cfr. par. 3.1.3.

41


za poiché ne era rimasto completamente affascinato 89 e questa fascinazione si mantenne costante per tutta la durata della sua vita e lo porterà negli anni a collezionare più di mille differenti mazzi di tarocchi, a conoscerne profondamente il significato, ad applicarli nelle pratiche di guarigione e a restaurarne una versione francese (Le tarot de Marseille)90 che tuttora utilizza nelle sue audizioni e che continua ad insegnare a tutti coloro che vogliono intraprendere la strada della tarologia. Non è però solo Alejandro ad essere legato ai tarocchi: le carte infatti fanno parte dell’eredità della famiglia già dai suoi nonni, in particolare da Aleksandr Prullansky, nonno paterno, che, secondo diversi racconti familiari, teneva sempre la carta VII - Il Carro - nel taschino della camicia, proprio sopra al cuore. Il percorso formativo dello Jodorowsky tarologo parte quindi da un’infantile infatuazione per la figura di un libro e negli anni giovanili viene stimolato anche dall’incontro con Marie Lefèvre, una francese residente a Santiago che offriva gratuitamente al giovane poeta Alejandro e ai suoi amici la lettura delle carte e un piatto di zuppa calda in cambio delle loro chiacchiere. […] con il suo linguaggio cileno bizzarramente pronunciato alla francese, faceva letture di una precisione psicologica sorprendente. A me […] aveva profetizzato cento, mille viaggi in giro per tutto il pianeta. Mi era difficile crederle, eppure la sua predizione si è avverata.91 Questo bizzarro contatto con le carte è stato decisivo: grazie a quella donna, nel mio cuore i Tarocchi sono sempre rimasti uni-

89

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 9.

90

Cfr. introduzione a A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, Feltrinelli, Milano, 2004.

91

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 201.

42


ti alla generosità e all’amore senza limiti.92

Alla fascinazione per i tarocchi, Jodorowsky unisce lo studio della capacità della mente di intervenire sulle percezioni corporali e delle possibilità del sogno lucido di aprire nuovi livelli di comprensione della realtà. A diciassette anni, durante il triste periodo delle scuole superiori a Santiago, Jodorowsky inventa delle tecniche di meditazione che gli permettono di analizzare il suo corpo e, grazie all’immaginazione, di crearne uno diverso, fatto di puro spirito, riuscendo a fare esperienza anche se solo mentalmente - delle possibilità fisiche di un corpo forte e snello come non era il suo il quel periodo. Esplorando il corpo e provando mille evoluzioni impossibili nella realtà, il giovane Alejandro riesce grazie alla meditazione ad esplorare anche il territorio immenso e sconosciuto della mente: Senza amici, senza tenerezze famigliari, quando ritornavo dal liceo mi sedevo […] e, a occhi chiusi, mi abbandonavo per ore ai miei esercizi. La mente era un territorio immenso e sconosciuto e io non facevo altro che esplorarla.93

Grazie alla costante esplorazione della propria interiorità Jodorowsky si rende conto che le azioni - volontarie e involontarie - dei suoi genitori si sono ripercosse su di lui limitandone la sensibilità e la libertà intellettuale e, analizzandone origine e conseguenze, getta le basi che lo condurranno poi effettivamente all’elaborazione della psicogenealogia, lo studio e la soluzione - tramite i tarocchi - dei conflitti e degli errori perpetrati all’interno dell’albero genealogico capaci, nonostante il trascorrere degli anni, di limitare la capacità di ognuno di realizzare la propria felicità. 92

A. Jodorowsky e M. Costa, La via dei Tarocchi, op. cit., p. 14.

93

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 63.

43


I punti di rottura che lo conducono a questa conclusione sono due: l’improvvisa presa di coscienza in età giovanile che nell’educazione tradizionale impartita dalla famiglia c’erano dei limiti fortissimi per la personalità e una crisi spirituale in età adulta (la terza) che gli rivela la necessità di legare arte e terapia. Nella mia anima vigeva il divieto di essere me stesso, dovevo salvaguardare i condizionamenti che mi costringevano a vivere secondo le regole tramandate da una tradizione anchilosata. […] Mi resi conto che i miei genitori avevano abusato di me a tutti i livelli. […] E ora quel bambino abusato (il padre, n.d.r.) abusava di me, cercando ogni pretesto per ripetere quello che lo aveva traumatizzato. 94 In cerca di un’azione positiva, ho lasciato perdere ogni attività […] e ho cominciato a praticare il teatro-consiglio. […] che aveva lo scopo di distruggere il personaggio con cui si era identificato (che andava a chiedere consiglio n.d.r.) per aiutarlo a ristabilire il contatto con la propria intima natura. […] giunsi alla conclusione che la finalità dell’arte fosse guarire […] e decisi di associare nelle mie attività arte e terapia.95

Jodorowsky decide di intraprendere fino in fondo la strada della terapia e per meglio governare le forze dell’inconscio prima affina la tecnica del sogno lucido e poi esplora le possibilità dello zen sotto la guida del maestro Ejo Takata, dell’enneagramma di Gurdjieff, della riscoperta dei centri animali dell’uomo sotto la stravagante guida di Óscar Ichazo, dei funghi psicotropi della maga María Sabina. Ma è con l’incontro di maghi, ciarlatani e guaritori americani che Jodorowsky elabora con completezza le tecniche psicomagiche, in particolare se94

Ivi, p. 76-77.

95

Ivi, p.161 e seguenti.

44


guendo le “operazioni chirurgiche” di Pachita, una guaritrice messicana che operava in trance sotto la guida del “Fratellino”, l’incarnazione di Cuauthémoc96 , l’ultimo imperatore azteco che si oppose all’occupazione spagnola di Tenochtitlán: Pachita afferrava un tratto d’intestino che, non appena posato sul paziente, spariva al suo interno. L’ho vista aprire una testa, estrarne il cervello canceroso e introdurvi un nuovo tessuto encefalico. […] A mezzanotte facevo ritorno a casa, tutto sporco di sangue, stravolto. Il mondo non sarebbe mai più stato lo stesso. Finalmente avevo visto una creatura superiore compiere miracoli, vero o falsi che fossero.97

Per anni Jodorowsky è l’assistente di Pachita durante le sue operazioni poiché era stato persuaso della genuinità dei poteri terapeutici della maga non solo assistendo come spettatore alle guarigioni, ma vivendole in prima persona, dal punto di vista del paziente: ... continuavo a sentire un dolore acuto al fegato, per cui andai a trovare Pachita [...] “Mio caro bambino, hai un tumore” [...]. Mi levai la camicia credendo di fare lo spiritoso. Ma quando mi trovai sdraiato sul lettino di fronte a Pachita che brandiva il suo coltello travestita da eroe azteco e circondata da fanatici che pregavano, cominciai ad avere paura. [...] No, non era tea-

tro. Sentivo il dolore [...] il sangue scorreva a fiotti e io credevo di morire [...] ho sofferto il dolore più grande della mia vita.98 Pachita fu di certo la guaritrice più importante nel percorso psico-

96

Cfr. A. Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p.111

97

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.232 e seguenti.

98

Ivi, p.236 e seguenti.

45


magico di Jodorowsky e forse anche la più famosa di tutto il Messico, ma non fu la sola; Jodorowsky entrò infatti in contatto con moltissimi altri guaritori, messicani in particolare, come Don Carlos Said inventore del magico profumo “Sette Maschi”, il guaritore dei ricchi Don Ernesto, l’indio huichol Don Toño, la medium Soledad e Don Rogelio, devoto di San Luca Evangelista, solo per citarne alcuni99 . L’insegnamento che Jodorowsky trae dalle sue magiche frequentazioni, le ultime di stampo “didattico” dopo le quali si muoverà autonomamente nel modo della psicomagia, non è la convinzione che i guaritori abbiano effettivamente dei poteri soprannaturali, quanto il concetto che per modificare la propria salute, mentale e fisica, il primo passo è quello di cambiare il proprio punto di vista. Quasi tutti i guaritori di fronte ad un fallimento infatti affermavano che la causa stava nel rifiuto del paziente di voler guarire: Tutti i guaritori affermano che se alcuni malati guariscono e altri no, questo avviene perché le operazioni magiche non sono sufficienti: occorre che il paziente cambi la propria mentalità. Chi vive chiedendo, deve imparare a dare.100

Mentre le basi della piscoguarigione vengono gettate seguendo gli insegnamenti degli stregoni, nel campo dei tarocchi Jodorowsky non ha un maestro né un punto di riferimento, ma impara da solo, studiando i numerosissimi testi pubblicati nel corso di svariati secoli. La pratica della lettura dei tarocchi come attività quotidiana inizia nel 1979: a seguito di alcune difficoltà economiche, Jodorowsky si ritrova a dover usare la sua conoscenza di tarologo per sbarcare il lunario. Una volta 99

Cfr. Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani in A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.198.

100

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 253.

46


risollevate le proprie finanze continuò, presso un caffè parigino, a praticare per quattro anni e gratuitamente le letture di tarocchi e, dopo poco tempo, a ogni lettura Jodorowsky fece seguire un incontro pubblico in cui commentava le letture eseguite, i maggiori testi spirituali e alcune storie iniziatiche. Nacque così il Cabaret Mystique e la pratica sistematica delle letture. Cabaret Mystique era uno spettacolo a metà tra il teatro e la terapia di gruppo il cui scopo era quello di aiutare i partecipanti a sviluppare una coscienza profonda e a migliorare il rapporto con loro stessi e con le altre persone. Basandosi sullo stesso principio del riso beffardo che caratterizzava gli atti poetici di gioventù o le feste paniche 101 egli cercava di accompagnare il pubblico attraverso il mistero della vita, provando ad essere una guida capace di svelare come abbattere la paura di vivere e portando così l’accettazione della vecchiaia e della morte. Gli incontri del Cabaret Mystique si tennero per moltissimi anni, fino a che l’età avanzata non ha obbligato Jodorowsky a sospendere questo impegno per dedicarsi solo alle più leggere sedute di tarologia, tutt’ora in atto ogni mercoledì presso il Café La Temerarie di Parigi.

101

Cfr. par. 3.1 e 5.5.1.

47


4.

Il movimento “Panico” Sebbene il lavoro di Jodorowsky sia noto principalmente per per le

sue produzioni in veste di cineasta e sceneggiatore di fumetti, è nel teatro che la sua poetica affonda le proprie le radici ed è al teatro che egli riconosce spiccate capacità terapeutiche. Il movimento “Panico” è un contesto poetico e culturale di matrice dadaista/surrealista all’interno del quale si sviluppa il pensiero teatrale di Alejandro Jodorowsky, molto vicino alle performance dell’arte visiva e all’happening che rese famoso il Living Theatre e da cui parte il suo lavoro verso il teatro della guarigione. Per questa ragione è necessario delinearne il profilo storico e analizzarne le caratteristiche.

4.1. Cenni storici Je proclame dès maintenant que “panique” n’est ni un groupe ni un mouvement artistique ou littéraire; il serait plutôt un style de vie. Ou plutôt, j’ignore que c’est. Je préférais même appeler le panique un anti-mouvement qu’un mouvement. - Fernando Arrabal

102

È con queste parole volutamente confuse e contraddittorie che Fernando Arrabal103 ben definisce il movimento “Panico”. In effetti questa corrente poetica, teatrale, letteraria e figurativa si muove senza schemi predeterminati, senza sovrastrutture, in piena libertà d’azione, di immaginazione e di contraddizione, tanto che non è possibile dichiararne con certezza i contorni, ma solo approssimarne i confini e le caratteristiche generali. Inoltre, a ben vedere, non esiste

102

Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, Punctum, Paris 2006, p. 60/61.

103

Con Roland Topor e A. Jodorowsky, uno dei tre fondatori del Movimento Panico.

48


un solo movimento “Panico”, ma tre, uno per ogni componente dell’anti-movimento (quello di Arrabal, quello di Jodorowsky e quello di Topor104): Jodorowsky, Topor et moi (comme trois jazzmen) interprétons ensemble des partitions complètement différentes. - Fernando Arrabal

105

Storicamente, il movimento “Panico” fa la sua comparsa ufficiale nella prima metà degli anni ’60, precisamente il 7 febbraio 1962, quando, sulla rivista surrealista Le Brèche, André Breton, che ne è direttore, pubblica le Cinq récits paniques (è in quest’occasione che il termine “panico” viene utilizzato pubblicamente); ma è già dal 1960 che i tre fondatori del movimento definiscono “Panico” la loro comune idea d’arte 106. Le parole di Arrabal ben ci fanno intuire il clima in cui si sviluppò il movimento “Panico”: Nel mezzo della società dell’abbondanza, il poeta, l’autore, il regista si sentono portati alla distruzione e siccome essi prevedono che il mondo andrà a morire di sovrapproduzione, sovrappopolazione e pletora, essi creano un teatro compulsivo, perfettamente d’accordo con l’epoca. È in questo momento che l’isteria si scatena, che la parola inizia la sua agonia. - Fernando Arrabal

107

Quando si incontrano, Topor, Arrabal e Jodorowsky sono già attivi 104

Topor però fu generalmente estraneo al teatro, dedicandosi per lo più al disegno.

105

Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 208.

106

Cfr. Frédéric Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris, 2008.

107

Fernando Arrabal, Le nouveau “nouveau theatre”, in La tour de Babel, Christian Bourgois Editeur, Paris, 1976. Traduzione del redattore.

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nel mondo dell’arte. Jodorowsky conosce Arrabal quando gli chiede di poter mettere in scena il suo dramma Fando y Lis e Arrabal conosce Topor in quanto ammiratore dei suoi disegni. Una volta riuniti capiscono velocemente la loro comunanza di orizzonti e intraprendono strade parallele, seppur personali, tutti e tre accomunati dalla forza creativa e distruttiva di Pan.

4.2.

Qu’est que c’est le Panique? Pan-ic. Panic. Le Dieu Pan, c’est le Panic. C’est un acte sexuel avec la totalité. Ça c’est le Panic. - Alejandro Jodorowsky La base du Panic c’est... On peut dire qui est l’explosion de la raison. Ce qui on a prévues, c’est que aller de venir en évidence pou la science d'aujourd'hui que on été incapable de pouvoir d’expliquer le phénomène qui nous entoure avec les seules domaine de la raison. […] Aujourd’hui nous avons une choix: ou l’absurde ou le mystère. C’est la choix scientifique: absurde ou mystère. Nous ne somme pas pour l’absurde. Nous ne somme pas des fanatiques de l'absurde, nous ne somme pas des fanatiques du mystère, nous ne somme pas des soldates de la confusion. Nous disons… l’incertitude, l'impossibilité d’expliquer, le fait que l’espace et le temps sont illusoire. Cette explosion nous montre que nous ne pouvons pas vivre accrochés a cette raison écrasant qui nous empêche de fleurir. - Fernando Arrabal

108

Sebbene i confini temporali del Movimento Panico siano ben defi108

Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70 A9B564956D6

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niti, così come i predecessori e i fondatori di esso, la sua catalogazione storiografica non è possibile. Il Movimento Panico infatti non può essere definito un’avanguardia storica. Questo sia per ragioni temporali (nasce più tardi, nel ’62) che per mancanza di affinità con esse (non ha componenti definiti, né un organo, né un manifesto ufficiale). Si può dire quasi con certezza che “Panico” altro non è stato se non una parola utilizzata da tre autori in testa o in calce ai propri lavori per segnalarne la genesi all’interno di un confine condiviso. Condiviso ma non comune, in quanto i percorsi individuali di Arrabal, Topor e Jodorowsky si sono realizzati in un generico accordo sulle linee teoriche della pratica artistica, ma ognuno con particolari intenti, mezzi e motivazioni. Anche a livello contenutistico, sebbene molte delle loro numerosissime produzioni fossero catalogate come “paniche”, un’effettiva comunione di contenuti è avvenuta solo in una fase limitata della loro collaborazione, come se tre strade distinte per un momento calcassero percorsi gemelli. L’indipendenza delle singole menti fa parte intrinsecamente anche delle necessità che spinsero i tre verso lo stesso orizzonte comune: l’anarchia creativa che accompagnava le loro produzioni si era imposta fin dall’inizio come condizione basilare di esistenza del “non-gruppo” panico. Una contraddizione in pieno stile panico: per non essere un gruppo si riuniscono e cercano di creare l’anarchia creativa. Il Movimento Panico si autodefinisce anti-movimento principalmente perché la sola regola che prevede è quella di rompere le altre regole (dell’Arte, delle società, dell’abitudine). Questa non dogmaticità, necessaria per il gruppo è ben chiara nelle parole di Arrabal: Panique? J’ignore que que c’est. 51


Tout le monde peut se dire «panique», se proclamer créateur du mouvement, écrire «la» théorie panique. - Fernando Arrabal

109

Impossibile quindi per definizione delineare delle caratteristiche fisse, univoche o, peggio, coerenti. Il Panico, infatti, si inscrive di certo nella categoria del paradosso, nella dinamicità dello scontro fra contrari, quindi i frutti del lavoro della triade panica vanno vissuti senza sentire il bisogno di inserirli in catalogazioni estetiche: si finirebbe di certo per contraddirsi o limitarne la portata. La base du Panique, c’est l’explosion de la raison. Théoriser sur Panique ne peut conduire qu’au refus ou au rejet, et il est impossible de théoriser la mouvance d’un fleuve où se mêlent la multitude des cours; au mieux est-il possible d’en dessiner imparfaitement la courbe tonale avec la pointe d’un pinceau transparent. - Fernando Arrabal110

Per comprendere in linea generale quello che sta alla base del Movimento Panico si può partire dall’analisi etimologica del suo nome da cui si ricavano alcune informazioni su quali siano le radici culturali e artistiche che hanno guidato la sua genesi. Panico deriva da: •

Παν (tutto): l’uso della parola greca sottintende che il Movimento Panico ha l’intento di abbracciare e invadere l’intero universo, un approccio più ontologico che estetico in un certo senso e lo scopo del suo potere totalizzante è quello di “s’opposer à toute forme de

109

Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, Pierre Belfond, Paris, 1969, p. 39.

110

in F. Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 9.

52


condamnation, d'excommunication, par trop fréquentes dans les théories politiques et littéraires en général”111. •

Pan: dio greco metà uomo e metà capra che ben si presta ad essere il portavoce del dualismo critico/generativo che muove il Movimento Panico e tutta la cultura artistica degli anni ’60. Un misto di riso beffardo e paura che ben illustra gli effetti ricercati dalle opere del Movimento Panico al fine di ottenere quella ”explosion de la raison” di cui parla Arrabal.

Secondo il gruppo la decisione di spingersi verso questo doppio significato insito nel termine “panico” è dettata dalla volontà di comprendere nel movimento tutto il mondo e di opporsi, come spiega Arrabal, “à toute forme de condamnation, d'excommunication, par trop fréquentes dans les théories politiques et littéraires en général”112, una reazione evidente all’immobilità dei surrealisti, che negli anni ’50 si erano trasformati in filosofi passivi e inerti. Già a partire da questa base si può iniziare ad affermare quindi che l’amore per la libertà totale, l’azione e la contraddizione è una condizione necessaria al Movimento Panico e questo si può capire anche dalle dichiarazioni dei tre membri, interrogati in merito alle definizioni di “Movimento Panico”: […] il Panico è nato come uno scherzo; ci siamo detti: “facciamo un movimento senza idee, ognuno fa le sue cose, e le firmiamo tutti come Panico per dimostrare che la cultura universitaria è ignorante e che crede davvero nelle barzellette”. - Alejandro Jodorowsky

111

Alain Schifres, Entretiens avec Arrabal, op. cit., p. 40.

112

Ibid.

53


Panico. Indefinibile movimento artistico che definisco con notevoli differenze almeno una volta all’anno. Muta e trasmuta giorno e notte, ieri e domani, fisicamente e spiritualmente. - Fernando Arrabal

113

Il… PANICO, se esistesse, avrebbe certamente un’importanza più forte della mia miserabile vita. […] Il… PANICO, se non esistesse, mi ridurrebbe alla mia più semplice forma d’espressione, cioè un uomo simile agli altri […]. IO SONO IL … PANICO. Il PANICO è molto vasto. Dentro di esso non vi è alcuna logica ma solo mitologia, menzogna, vento Tutte cose di cui nessuno può impadronirsi. - Roland Topor

114

Contraddizione e libertà portano necessariamente alla confusione e proprio la confusione è una delle basi teoriche del Movimento Panico, come ama affermare Arrabal: “Panique est l’explosion de la raison”115, la liberazione della creatività pura, indipendente dalle regole pregresse suggerite dalle accademie o dall’educazione. A questo punto possiamo affermare che l’anti-movimento Movimento Panico è caratterizzato dal suo essere profondamente umano, imperfetto, confuso, compulsivo, impulsivo. Si oppone ai dogmi estetici classici poiché ritenuti inadatti ad esprimere in pienezza la natura umana e punta a svelare la complessità della vita andando oltre le regole mummificanti, castranti della società. Per arrivare a queste conclusioni sulla poetica del Movimento Pa113

In Antonio Bertoli, Panico!, Giunti Citylights, Firenze, 2010, p. 116.

114

Ivi, p. 117.

115

Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70 A9B564956D6

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nico, gli artisti partono da un bagaglio culturale vario che ha la sua eredità sia in movimenti artistici recenti, come il Dada ed il Surrealismo 116 e radici più antiche. Soprattutto analizzando il lavoro di Jodorowsky si deve tenere presente la notevole influenza della cultura comica popolare derivata realismo grottesco caratteristico della festa di epoca medioevale.

4.1. Contesto storico Negli Anni ’60, periodo in cui la teoria Panica (se di teoria si può parlare) viene elaborata ci troviamo in un momento di rottura degli equilibri sociali causata dal passaggio tra una società pre-bellica molto disomogenea (grandi differenze fra classi sociali) ad una società postbellica massificata, in cui i mezzi di comunicazioni (soprattutto cinema e TV) propongono nuovi miti di stampo consumistico. Come spiega Guy Debord, filosofo e regista anch’egli parte del movimento Surrealista: La prima fase del dominio dell’economia sulla vita sociale aveva determinato nella definizione di ogni realizzazione umana un’evidente degradazione dell’essere in avere. La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dell’economia conduce a uno slittamento generalizzato dell’avere nell’apparire, da cui ogni “avere” effettivo deve trarre il suo prestigio immediato e la sua funzione ultima.117

Secondo Debord, la predominanza dell’avere sull’essere condiziona i rapporti interpersonali poiché blocca lo sviluppo delle facoltà individuale che non sono più, come sosteneva Marx, assoggettate al pote116

Arrabal subisce anche gli influssi del postismo, un movimento radicato in Spagna, ma non lo tratteremo in questa sede in quanto legato esclusivamente a questo autore e non agli altri due.

117

Guy Debord, La società dello spettacolo, Dalai Editore, Milano, 2001.

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re dell’oggetto, ma all’ostentazione di esso all’interno della società, alla spettacolarizzazione della proprietà e del possesso 118. L’ideologia del consumo, derivante dal nuovo modello industriale e sociale fordista/keynesiano propone nuovi miti sociali (del possesso, del successo…) e mette in difficoltà la cultura accademica, ripercuotendosi anche sull’arte. A causa del processo di industrializzazione della produzione artistica infatti la figura dell’artista perde il suo prestigio e la sua autenticità. Il progetto di emancipazione e di civilizzazione tramite la cultura e l’educazione entra in crisi e gli artisti in questo periodo si ripropongono di combattere attivamente l’appiattimento culturale e creativo in cui l’uomo moderno si sta perdendo. La riflessione sull’Arte diventa così una più ampia riflessione sulla vita e si prefigge come obiettivo la riconquista della funzione magica del lavoro artistico dai meccanismi industriali e tecnocratici della società moderna e irrompe sul versante politico opponendosi all’appiattimento della classe borghese, limitata nella sua espressione dai dogmi della società. Come è facile intuire, la reazione degli artisti ai soprusi del mondo fordista/borghese si manifesta con una forte carica polemica e con cifre stilistiche accomunate in ogni caso da una grande violenza comunicativa. Nell’arte, questa reazione investe il corpo, che diventa terreno di scontro delle rinate necessità artistiche 119; anche nel teatro c’è una visibile invasione di tematiche legate all'attualità ed alla politica e sempre più spesso l’attività teatrale esce dai luoghi deputati per invadere i luoghi della società addormentata e scuoterli dall’interno, trasformandosi in performance o in happening. Come afferma anche Jo-

118 Secondo Debord “lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire immagine”, in Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit. 119

Cfr par. 2.1.2 e 2.2.

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dorowsky si risponde al bisogno di far uscire l’arte dai musei eciarlataini il teatro dal teatro 120. In tutti i campi artistici si cerca la trasgressione delle regole, il superamento dei limiti la totale libertà di esprimere (e di portare il pubblico a poter esprimere) la propria interiorità, il vero sé. In questo clima di creatività (che si trasformerà verso la fine del decennio in una vera e propria rivoluzione giovanile totale), ricerca e rivolta, nasce il Movimento Panico.

4.2. Il Movimento Panico: radici storiche Il Movimento Panico nasce a partire dalle frequentazioni dei suoi tre fondatori alle riunioni del gruppo Surrealista parigino a cui faceva capo André Breton. Nonostante questa frequentazione però, il Movimento Panico non subisce solo gli influssi di surrealisti, ma anche quelli di Dada. Prima di approfondire quali basi teoriche e quali impulsi creativi questi due predecessori diedero al (non-)gruppo Panico, è bene precisare che Dada non fu il predecessore del Surrealismo - come spesso si pensa - e che le due esperienze si svilupparono autonomamente, senza che le idee della prima andassero a confluire nella seconda. Né Dada né Surrealismo furono semplici correnti artistiche, ma proposero due sistemi creativi e due filosofie di vita originali e assolutamente differenti, ma ugualmente forti, strutturati e coscienti. Dada fu una rivolta, priva di caratteri etici o estetici, una guerra al tutto intrisa di Nichilismo. Su un altro versante il Surrealismo, carico invece di una forte connotazione etica, sociale e politica, deciso a ottenere con l’aiuto dell’arte una nuova forma dell’esistente e una corre-

120

A. Jodorowsky, «Tirar fuori il teatro dal teatro», in Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p.191/203.

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zione dei vizi della società. Dada puntava alla creazione della tabula rasa: un abbattimento completo della storia, una rottura totale con la tradizione, una bomba atomica sul passato per eliminare tutte le limitatezze e le costrizioni di leggi pregresse stratificate di stampo “borghese” e reazionario. Il Surrealismo allo stesso modo rompe con il passato, con la storia precedente, ma la sua opposizione al conformismo tradizionale restava comunque legata a interessi per le teorie antiche, specialmente sul versante filosofico (i Surrealisti apprezzavano molto sia pensatori del passato come Parmenide o Eraclito, che teorici più recenti come ad esempio Hegel, Marx e Freud). Inoltre i Surrealisti si pongono apertamente schierati sul piano politico (militarono per lo più nelle forze della sinistra non stalinista), mentre i Dada, nella loro tabula rasa, comprendevano ovviamente anche tutti gli schieramenti politici. Già queste puntualizzazioni sono sufficienti per farci capire l’impossibilità di una “parentela” tra queste due correnti. Analizzando però le tappe che portarono alla loro creazione si evince non solo che le due si svilupparono in parallelo, ma anche che ogni affermazione che le mette in rapporto di subordinazione temporale è totalmente errata. Sebbene infatti il Dadaismo sia stato sempre correttamente identificato nel tempo e nello spazio 121, il Surrealismo viene traslato temporalmente troppo avanti e la data della sua nascita viene fatta coincidere spesso con la stesura del I manifesto, nel 1924. In realtà le prime tappe della genesi surrealista sono da far risalire almeno a 10 anni prima, tra il 1914 e il 1916, quando Breton legge quelli che velocemente diventeranno i capisaldi della sua poetica: Rimbaud, Jarry, Apollinaire e Freud.

121

Cfr. però nota n° 122.

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A testimonianza dell’assenza di parentela tra queste due correnti c’è anche il carteggio tra Breton e Tzara del 1918 dal quale si evince che non c’era alcuna reciproca influenza tra i due per il semplice fatto che ignoravano entrambi quasi totalmente le attività artistiche e letterarie reciproche 122. Questa precisazione di natura storiografica è importante al fine di sottolineare l’assenza di un confluire temporale e logico del Dadaismo nel Surrealismo e quindi nel Movimento Panico. Quest’ultimo quindi non è figlio del secondo e nipote del primo, ma è una creatura autonoma che trae la sua linfa vitale da entrambi i movimenti senza però esserne dipendente, in un’anarchia panica che inglobò tutto quello che le passava a tiro, soprattutto se si trattava di un’idea rivoluzionaria, come in questo caso.

4.2.1.

Il Dada

Il movimento Dada nasce sul finire della prima guerra mondiale e si sviluppa nel quadriennio 1916-1920 123. Esso consiste in una ribellione e reazione alla guerra, una belligeranza anti-belligerante che aggiunge la distruzione di paesi e popolazioni portata dalla guerra a quella perpetrata a danno dell’arte. Di fronte al terrore e all’assurdità di un conflitto mondiale, il gruppo Dada alza la voce e urla per distruggere tutto: le regole, le abitudini, le ideologie, la logica e persino la verità.

122

Cfr. «Correspondance inédite Breton-Tzara-Breton», in Michel Sanoillet, Dada à Paris, Cnrs, Paris 2005, p. 439-465.

123

ad essere precisi più però è necessario ricordare che in riferimento ai Dada di Zurigo il movimento diventa in modo completo quello che noi conosciamo solo nel 1918, quando Tzara si unisce al gruppo di Zurigo e pubblica il Manifeste Dada 1918. Prima di allora Dada è un movimento genericamente innovatore, poco differente dalle altre avanguardie storiche. Se invece ci riferiamo a tutte le produzioni artistiche ascrivibili anche posteriormente a Dada, allora bisogna notare che i primi exploit dello spirito si hanno già nel 1912, in occasione della pubblicazione a Parigi di «Maintenant, prototipo di pubblicazione Dadaista». Cfr. Arturo Schwarz, dAdA e Surrealismo riscoperti, Skira, Milano, 2009.

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Con Dada infatti si può dire che niente è più vero: Ça devient un mode d'existence contestataire qui propose de “suspendre le jugement moral” et de faire de cette maxime “sa morale” afin de ne plus placer l’essence de l’oeuvre d’un point de vue éthique et esthétique, mais uniquement créatif (ou destructif).124

Secondo la definizione degli stessi Dada, Dada è un anti-arte ed il suo primo scopo era fare l’esatto contrario delle regole e delle convenzioni artistiche, sia storiche che contemporanee. Dada abbandona il manierismo, l’estetica e si libera della necessità dell’Arte di comunicare un messaggio, offende, distrugge l’Arte con un’altra Arte, più disordinata, caotica, aggressiva 125. La filosofia Dada è la cosa più malata, più paralizzante e più distruttiva che sia stata pensata dal cervello umano. - American Art News

126

Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione… che alla fine non è diventato che un atto sacrilego. 127

Anarchico e irrazionale, Dada è uno schiaffo alla ragione ed è stato in grado di svelare la stranezza e la varietà delle reazioni umane di fronte a provocazioni che esulano dalla ripetitività rassicurante e familiare dell’arte come era esistita fino a quel momento128. 124

Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, L’Harmattan, Paris 2008.

125

Si pensi al collage, tecnica tipicamente dadaista, fatta di sovrapposizioni quasi casuali di brandelli di materiali differenti prima massacrati con tagli e strappi e poi ricostituiti in un nuovo ordine sorprendente e inaspettato.

126

Fred S. Kleiner; Christin J. Mamiya, Gardner's Art Through the Ages, Wadsworth Publishing, 2004.

127

Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie, Einaudi, Torino, 1990.

128

È a questo che si riferisce Laurie Anderson nella prefazione a RoseLee Goldberg, Performance, l’art en action, op. cit. (Cfr. Nota n° 19).

60


Come anche il Surrealismo, Dada cerca di proporre una nuova filosofia della vita, in contestazione non solo con la società, ma anche con la stessa arte, nella misura in cui essa è sperimentazione formale e specializzata dell’artista, un prodotto fine a sé stesso creato senza una vera relazione né con la realtà né con l’arte in senso più generale. Di conseguenza quindi, i due movimenti, sebbene ovviamente con enormi differenze, non cercavano solo un rinnovamenti artistico, ma puntavano ad una globale una rivoluzione culturale. È per questo che dadaisti e surrealisti non erano movimenti esclusivamente pittorici, ma artistici in senso allargato: poeti, letterati, drammaturghi e anche artisti visivi partecipavano attivamente all’applicazione della poetica comune. Diversamente nei modi, ma come il Surrealismo, Dada puntava a colmare lo iato tra arte e vita. È stato per fare questo Marcel Duchamp ideò il Readymade, ossia la trasformazione dell’arte retinica (termine con cui egli si riferiva alla pittura “imitativa”, realista o meno che fosse) in arte mentale, attraverso l’elevazione di oggetti della quotidianità a opera d’arte solo grazie alla consacrazione dell’artista. Per comprendere come questa operazione non fosse una banale provocazione (come quella di emulatori successivi), ma il frutto di un vero, originale pensiero creativo, Duchamp sottostava rigidamente a quattro condizioni necessarie e molto precise di sua ideazione: lo spaesamento decontestualizzante, la creazione di un nuovo nome per l’oggetto eletto, la pianificazione dell’incontro con l’oggetto e la limitazione della scelta degli oggetti nell’arco dell’anno. Non la semplice apposizione della firma su un oggetto trovato sotto mano quindi, ma un vero rituale creativo. In comune con Dada, il Movimento Panico condivide e mutua l’assedio al dominio della realtà e il rifiuto dei divieti e delle norme che la 61


regolano. Entrambi cercano di abbattere le forme di autorità, gli insegnamenti accademici, ma non in modo passivo, non come semplice rifiuto, bensì attraverso un’attività interventistica e radicale sui meccanismi del potere pregresso, minando così la base stessa a fondamento della cultura e delle istituzioni. A differenza dei Dada però, che si limitavano a polemizzare (seppur concretizzando la polemica in azioni artistiche) contro il modo di vivere contemporaneo, il Movimento Panico cerca di andare oltre, di superare il limite dell’assurdità della vita che era stato reso palese dal susseguirsi delle due guerre mondiali129. Il Panico non si limita quindi a sottolinerare il confine della vita demonizzandolo, aggredendolo come fecero i Dada, ma cerca di andare attivamente fino alla radice dell’assurdo al fine di dividere gli estremi che si raggiungono oltre l’orizzonte del visibile e che generano quel circolo vizioso che è la realtà. Dada naît de l’homme, de sa merde, de son sang, de son sperme, de sa pisse, mais aussi de son esprit. Il donne à la création une dimension qui peut paraitre brute certes, mais qui est “essentiellement” humaine. Nous retrouverons tout cela près d’un demi-siècle plus tard lors de la renaissance du dieu Pan.130

Lo stesso Artaud, testimone del “sabotaggio Dada”, della sua volontà di far esplodere i dogmi della società, di questo disordine interiore ed esteriore volto a trasformare il marciume culturale e morale in concime per la ri-creazione dell’uomo e della società, descriverà Dada come:

129

Il Movimento Panico porta sulle spalle l’esperienza di entrambe le guerre mondiali, al contrario del Dada che si estingue prima della seconda guerra mondiale.

130

Frederic Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 22.

62


Un désastre social si complet, un tel désordre organique, ce débordement de vices, cette sorte d'exorcisme total qui presse l’âme et la pousse à but, indiquent la présence d’un état qui est d’autre part une force extreme et où celle-ci va a accomplir quelque chose d’essentiel.131

4.2.2.

Il Surrealismo

Oltre a Dada, da cui il Movimento Panico trae la sua carica distruttiva, irriverente, caotica e riformatrice, anche il Surrealismo partecipa alla formazione del pensiero panico. Nato nel ’19, dopo un processo di studio personale di André Breton che inizia già dal ’16, il Surrealismo ha l’obiettivo di svelare l'intelligibile, l’indicibile, la parte della realtà che è al di là della possibilità conoscitiva dell’uomo, in altre parole la Verità, ciò che è oltre all’orizzonte del visibile, qualcosa di nascosto, intimo, spirituale, individuale e universale allo stesso tempo. Tutto porta a credere che esista un certo punto dello spirito dove la vita e la morte, il reale e l’immaginario, il passato ed il futuro, il comunicabile e l’incomunicabile, l’alto ed il basso, cessino di essere percepiti contraddittoriamente. Ora è in vano che si cercherà per l’attività surrealista un movente diverso dalla speranza di determinare questo punto. - André Breton

132

Nato, secondo le parole di Artaud, “d’un désespoir et d’un dégoût”, il Surrealismo “est un révolte morale, la crise organique de l’homme, les ruades de l'être en nous contre toute coercition”133, una

131

Antonin Artaud, Le théâtre et son double, Gallimard, Paris, pag. 39.

132

André Breton, Manifesti del surrealismo, Einaudi, Torino, 2003.

133

Antonin Artaud, Messages révolutionnaires, Gallimard, Folio, Paris, 1971, p. 9.

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reazione quindi alle catene che ingabbiano l’essere e lo costringono a rimanere sola apparenza. Scandagliare quindi il corpo e l’anima per smettere di sottostare alle regole innaturali della società per obbedire alle esigenze del proprio Essere, ecco l’obiettivo del Surrealismo; un’esperienza intima che diventa possibile attraverso un’Arte, non più considerata come bello estetico, ma come strumento metafisico per sondare ciò che c’è al di là134 , nel mondo onirico, invisibile e proibito del nostro spirito. Allontanandosi dall’assoluta e costante negazione dei Dada, il Simbolismo afferma non che la realtà sia falsa, ma che essa sia solo contingente. Non è possibile per l’uomo vedere la realtà, ma una realtà, la propria, a patto ovviamente di cercarla. E per farlo il Surrealismo esige che l’immaginazione prenda pieno possesso della creatività, che sia scevra da regole e che trovi la sua realizzazione in un qualunque tipo di linguaggio artistico. La ricerca di esperienze inedite135 era per i surrealisti talmente basilare che venne istituito addirittura un Ufficio di Ricerche Surrealiste (diretto per il primo periodo da Antonin Artaud), i cui lavori venivano pubblicati anche su riviste scientifiche e che presentavano un modo di fare arte e di concepire l’estetica totalmente differenti dal solito, poiché creati basandosi sui criteri di “scienza esatta”, un esercizio poi molto praticato da Arrabal. Il Surrealismo si proponeva come una rivoluzione, come la possi-

134

Il Surrealismo nasce contemporaneamente alla psicanalisi e ovviamente trae grande ispirazione dalle teorie dei sogni di Freud. Sogni, metafore, simboli, pulsioni, desideri occulti. Tutto rifiorisce quando ci si libera dei lacci della ragione e si inizia ad esplorare il mondo onirico. Cfr. Prologo in Antonio Bertoli, Panico!, op. cit.

135

Ivi, p. 26: “Improvvisamente si scopre invece che basta allentare i lacci sempre strettamente annodati della ragione e del controllo razionale per originare esperienze inedite, assolutamente potenti sul piano individuale; che la mano e la bocca, la mente e il cuore, il corpo, se lasciati liberi, originano ed esplorano mondi inauditi e inimmaginabili, dove finalmente l’essere umano si ritrova senza vincoli e può dedicarsi alla costruzione della sua vera essenza ed opera, la sua vita”.

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bilità di ottenere un mondo migliore con l’aiuto dell’immaginazione libera. Questa ricerca intima, unita alla costante riflessione filosofica che ne consegue coinvolgendo sia il modus operandi che il campo di ricerca personale dell’artista, affascinarono molto i fondatori del gruppo Panico che ne frequentarono le riunioni dal ’60 al ’64: C’est justement cette recherche immatérielle et cet plongeon à pic dans la création qui vont fasciner les futurs paniques qui veulent avant tout dynamiter les frontières de la raison pour toucher du doigt la poésie et la liberté , le deux faces de la Vérité telles que les conçoit Arrabal.136

Purtroppo però il tramonto del Surrealismo (che a dire il vero non aveva mai del tutto convinto Roland Topor, che ne denigrava sin dall’inizio il carattere dogmatico) inizia con l’alba del potere di Stalin: molti surrealisti, come Picasso o Aragon, si iscrissero al partito comunista, ma nonostante la valenza politica e sociale dell’arte fosse fondamentale per stessa natura del movimento, il mutamento degli orizzonti russi creò all’interno del movimento fratture e disequilibri insanabili poiché lo stalinismo gettava sulle ideologie politiche di sinistra un’ombra inaccettabile per la maggior parte dei membri del Surrealismo. La deriva politica del gruppo portò Breton ad arroccarsi in posizioni dogmatiche e rigide che diedero al Surrealismo un’aria reazionaria e piccolo-borghese, e lo misero sul versante opposto rispetto alla poetica iniziale del movimento che si proponeva come un oppugnatore delle regole. Questo diede motivo a molti, e in particolare ai membri del Movimento Panico, di allontanarsi dal Surrealismo per intraprendere 136

Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit. p. 25.

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una nuova ricerca, meno sclerosata su posizione dogmatiche. Arrabal affermava di non sopportare “le côté vaticaniste et bolchevique du groupe surréaliste” 137, a Topor non erano mai piaciuti perché li riteneva assoggettati al totalitarismo di Breton e Jodorowsky invece accettava come artistiche anche manifestazione invise a Breton, come la pornografia o la musica rock. Indubbiamente però, il limite surrealista, anche prima dello scontro tra “ortodossi e riformatori”, consisteva già da anni nel disequilibrio tra componente filosofica e componente d’azione: mentre i primi surrealisti restarono troppo legati ad una matrice intellettuale, i secondi, e di conseguenza anche il Movimento Panico, cercarono di andare al concreto e invertirono la marcia della sperimentazione surrealista; non più la ricerca dell’assoluto, dell’arte, a partire dalla realtà contingente, dalla vita, bensì il contrario: utilizzare l’arte per intervenire sulla realtà. La differenza tra i due gruppi sta proprio nella volontà di azione dei secondi e questo è lampante se si analizza il modus operandi del Movimento Panico, in questo senso più vicino al Dada che al Surrealismo. La differenza è evidente se si cita un episodio biografico di Jodorowsky, la conversazione telefonica tra lui e Breton avvenuta in tempi non sospetti, l’8 ottobre 1953 alle 2:40 del mattino, poco dopo dello sbarco di Jodorowsky nella capitale francese: - Oui? […] - È André Breton? - Sì. E lei chi è?… - Sono Alejandro Jodorowsky e vengo dal Cile per salvare il Surrealismo… - Ah, bravo. Vuole incontrarmi? - Subito! 137

Philippe Krebs, Entretien panique avec Fernando Arrabal, 22 agosto 2003, www.hermaphrodite.fr

66


- Adesso no, è molto tardi, sono già a letto. Venga a casa mia domani a mezzogiorno. - No, non domani, adesso! - Glie lo ripeto: non è l’ora delle visite. Venga domani e mi farà piacere chiacchierare con lei. - Un vero surrealista non si lascia guidare dall’orologio. Adesso! - Domani! - Allora mai!

138

Breton rifiuterà di incontrare nel cuore della notte il giovane ed esaltato Alejandro il quale se la prenderà così a male che prima di avere una seconda occasione di conoscerlo lascerà passare sette anni, durante i quali maturerà una poetica che lo porterà in seguito ad allontanarsi dal Surrealismo. Il punto di rottura fu causato principalmente dall’ottuso dogmatismo di Breton, il quale si era lentamente trasformato in una sorta di vate surrealista, con un dispotico diritto si veto sulle decisioni di cosa fosse o non fosse surrealista. Come ricordano Arrabal e Jodorowsky: Aucune cohésion formelle interne; refus de normes et de références, qu’elles soient rigides ou flexibles, en ce qui concerne l’art, le comportement, la morale, la politique les genres, la culture; refus et absence d’organes officiels du mouvement (revues ou autres); absence de sorties publiques collectives. - Fernando Arrabal139 [We broke off with surrealism] parce que Breton avait crée une respectabilité surréaliste que on voulait dépasser. Lui voulait pas de la science fiction, il voulait le fantastique, le poétique. Il n’aimait pas le rock, […] Il n’aimait pas ce que fait le monde. 138 139

A. Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 151. Fernando Arrabal, La Pierre de la folie, Maelstörm, Bruxellex, 2004, p. 121.

67


Le surréalisme a devenu un petit bourgeois incroyable. - Alejandro Jodorowsky 140

4.3. La triade panica: uguali e diversi Topor è un Vaché o un Jarry di fine Novecento, Arrabal un Cervantes novecentesco surrealisticizzato. Jodorowsky è invece Blake, Huidobro e Shakespeare che vanno insieme a festeggiare. Dylan Thomas, poco lontano, brinda alla salute…141

Come già detto per comprendere appieno la poetica di Jodorowsky, per capire come egli raggiungerà la creazione dell’effimero e poi del teatro della guarigione, bisogna specificare le caratteristiche proprie che differenziano il suo metodo da quello degli altri tre “jazzmen”.

4.3.1.

Jodorowsky, Topor, Arrabal: uno, nessuno, centomila

Come ha dichiarato nel 2007 lo stesso Jodorowsky: Io sono stato fin dall’inizio la festa panica, Arrabal la confusione e il veleno panico che penetra nella cultura codificata e la distrugge, Topor la diserzione demolitrice.142

Nonostante i tre fondatori dell’anti-movimento abbiano in comune la creazione di un intero sistema poetico e artistico, esso altri non è che il frutto dell’incontro temporaneo di due percorsi molto diversi, che

140

Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70 A9B564956D6 141

Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 94.

142

Alejandro Jodorowsky in ivi, p. 134.

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per un breve periodo (circa un decennio) hanno un comune cammino all’interno del quale in ogni caso, anche se va delineandosi un “movimento”, non vi è e non vi sarà mai un corpus concettuale unico, piuttosto una serie di azioni individuali che si realizzano su uno sfondo comune. Il punto di incrocio fra i tre consiste quindi esclusivamente nella pratica dell’esercizio panico o “pan-estetico” in cui arte e vita si mescolavano in un’unica soluzione totalizzante, pan-ica, appunto. Sebbene il punto di unione fra i tre artisti sia mutevole, sfuggente e variegato, ben più chiaro è il loro tratto dissonante, che ci appare ancor più chiaro se non si trascende dalla provenienza sociale e culturale dei tre artisti. La profonda differenza infatti tra Jodorowsky da un lato e Arrabal e Topor dall’altro non è frutto dei loro studi teorici o della tipologia dell’arte che padroneggiavano (teatro, scrittura e disegno), ma deriva più anticamente dal loro background d’origine. Arrabal e Topor sono dei “normali” europei avanguardisti che portano sulle spalle l’eredità di secoli di evoluzione della cultura e quella dell’esperienza di due guerre mondiali, sono figli di una comune storia continentale, la loro sensibilità si nutre della medesima eco di secoli di storia pregressa, di filosofia e di scienza 143. Il loro forte legame con l'avanguardia europea viene stravolto dall’arrivo di Jodorowsky, che proveniente da un continente nuovo, con una storia e delle esperienze decisamente diverse sia sul versante socio-politico che culturale: […] [Jodorowsky] porta con sé altri valori, un’idea di poesia e di arte che sulla carta è identica a quella dell’avanguardia europea, ma nella pratica se ne differenzia completamente per 143

Non è un caso infatti che ad esempio Arrabal provi tutt’ora a stilare manifesti del Movimento Panico lasciandosi sedurre dagli strumenti tipici delle stesse avanguardie da cui aveva preso le mosse.

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l’assoluta necessità ed impellenza di realizzazione. La poesia, l’arte, sono davvero nella vita di Jodorowsky, e la vita è davvero un’opera d’arte, anzi la più grande la più vera, unica opera d’arte. Ciò che fa incontrare Jodorowsky, Arrabal e Topor è esattamente ciò che li farà separare poco più tardi e ne costituisce a tutt’oggi la distanza enorme.144

In pratica Jodorowsky riesce a mettere in pratica quello che gli altri avevano solo teorizzato, affascinato anche, per sua stessa ammissione anche dal movimento futurista, in particolare da due frasi che segnarono la sua giovinezza: “La poesia è un atto” e “L’arte non deve essere un balsamo, deve essere alcool” 145. Arrabal e Topor, figli del romanticismo ottocentesco e delle successive avanguardie di inizio Novecento, vivono ancora della figura dell’intellettuale slegato dalla massa del popolo, del “genio-artista chiuso nella sua torre d’avorio” 146. Per loro il panico è solo un esercizio estetico, una prova di abilità intellettuale e creativa per cercare di inglobare nelle loro teorie estetiche tutte le branche del sapere, o per portare lo humour fino al parossismo, un’estrema realizzazione di Dada e surrealismo in fin dei conti, ma non ancora un movimento creativo autonomo. Il Panico di Jodorowsky invece ingloba tutto quanto Dada e i surrealisti avevano tralasciato (il rock, la pornografia, il fumetto, il cinema…), è un movimento autentico, artistico in quanto anti-artistico. Esso è slegato da tutte le categorie estetiche della tradizione filosofica europea e arriva a, non parte da l’arte. Usa la vita, vi partecipa, la trasforma, infine la trascende, per arrivare ad un nuovo status vitale che è l’arte stessa compenetrata dell’esistenza, come “un boomerang (che) 144

Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 95.

145

Filippo Tommaso Marinetti, «Manifesto futurista», in Giordano Bruno Guerri, Filippo Tommaso Marinetti, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2009.

146

Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 97.

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rimbalza costantemente dall’arte alla vita e viceversa, dall’una all’altra, senza sosta né pentimenti né rimpianti”147. La ricerca della nuova coscienza panica, intesa come modo di pensare e quindi di vivere artisticamente/panicamente, parte dall’abbandono delle convenzioni dualistiche, approda al crollo delle strutture storiche e mentali e dalle rovine della ragione spicca il volo verso una nuova dimensione autentica dell’esistenza. Sintetizzando quindi, possiamo affermare con Bertoli che: […] Arrabal, Jodorowsky e Topor si sono incrociati ed uniti proprio all’insegna di un esercizio pan-estetico, ma il punto di partenza era in ogni caso diverso. Arrabal e Topor sono di fatto l’estrema propaggine dell’avanguardia storica, l’arte che entra nella vita e se ne appropria; Jodorowsky è invece il processo opposto: qui è la vita che entra nell’arte e va ad appropriarsene. 148

Questo percorso che Jodorowsky continuerà a percorrere da solo, lo porterà oltre all’atto poetico che già aveva sperimentato in gioventù e oltre alla pratica di Arrabal e Topor; avrà la sua concretizzazione più esemplare nell’azione “a termine” che troverà nel teatro (non nel senso di edificio o tradizione teatrale, ma nel senso di arte della rappresentazione simbolica delle idee) il mezzo per approdare al riavvicinamento di arte e vita. L’apparizione di Pan significa il sorgere di una nuova forma dell’umano.149

E come un episodio cruciale dell’esistenza, come un’epifania, l’atto 147

Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 104 - 105.

148

Ivi, p. 127.

149

Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 142.

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teatrale panico di Jodorowsky avviene hic et nunc, è definito (più che limitato) nel tempo e nello spazio e non è replicabile, è effimero; si contrappone quindi alla drammaturgia di Arrabal, che in quanto drammaturgia è votata alla replicabilità della rappresentazione.

4.3.2.

Caratteristiche peculiari del Panico di Alejandro Jodorowsky

Il metodo panico ha come prima caratteristica quella di opporsi alla logica causalistica di Aristotele, il quale insegnava a contrapporre ad ogni problema una soluzione. Seguendo inoltre i principi del pensiero di Jung, Jodorowsky propone invece dell’unicità univoca e analitica, la sincronicità delle soluzioni; il che lo mette in una posizione diametralmente opposta a quella aristotelico-causalista ampiamente diffusa fino al XX secolo. La scelta di questa teoria non è casuale: all’epoca tutto il mondo scientifico occidentale è vittima di attacchi al pensiero causalista e tutte le leggi coercitive del positivismo si trovano a fare i conti con la rivelazione violenta dell’irrazionalità 150. L’inconscio è più importante della ragione e la dittatura della logica e della causalità si schianta per sempre contro la rivoluzione delle forze interiori. Gli artisti panici fanno proprio questo stravolgimento delle norme, ma solo Jodorowsky lo usa come assioma della sua teoria/pratica panica al fine di creare, questo principalmente perché la vera radicata differenza che lo separa da Topor e Arrabal è l’esagerata necessità dei lavorare sulla realtà e nel presente perché è nella realtà che agisce l’uomo panico. Egli trova nell’ubiquità, nella simultaneità e nella contraddizione che si rivela l’unità diacronica dei contrari, l’unione di tutto nel tutto, la 150

Cfr. Carl Gustav Jung, prefazione a I Ching Il libro dei mutamenti, Adelphi, Milano, 1995.

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completezza panica del mistero della vita e quindi la possibilità di soluzionare i problemi. È all’interno di questa nuova realtà possibile e con l’obiettivo di raggiungere la realizzazione che agisce l’uomo panico: non le scelte estetiche e artistiche stanno alla base delle azioni paniche di Jodorowsky, ma tutte le scelte possibili. Per Jodorowsky, agire panicamente significa ristabilire tutte le istanze al medesimo momenti, conciliare la brutalità e la leggerezza, la danza e la zoppia in un tutto che è in grado di ridarci la nostra vera essenza, la nostra totalità sopita. La liberazione dalle limitazioni della ragione non è ovviamente un ritorno allo stato di natura, ma un'elevazione ad un grado superiore di coscienza, in cui godere di tutte le possibilità della vita. Questa nuova capacità però non può essere raggiunta se non con sofferenza: liberarsi dalle abitudini irrazionali è possibile solo all’interno di uno status di minaccia, di terrore causato proprio dalla stessa simultaneità dei contrari che dopo averci fatto cadere ci eleva.

73


5.

Il teatro di Alejandro Jodorowsky All’interno del mondo “panico”, Alejandro Jodorowsky si pone sia

come teorico che come uomo di teatro completo. Regista, attore e drammaturgo, è nel clima creativo, caotico, contraddittorio e libero denominato Movimento Panico che elabora i suoi atti teatrali, le sue drammaturgie più rappresentative e le teorie poetiche che sono confluite successivamente in opere teatrali contemporanee, come ad esempio La scuola dei ventriloqui, o l’Opera Panica, di impianto più tradizionale, ma comunque fedeli allo spirito “panico” dei primi lavori. Nell’epoca delle frequentazioni con Arrabal, Topor e i Surrealisti, Jodorowsky elabora la pratica dell’effimero panico, una tipologia scenica originale - affine all’happening, ma lontano da esso per dichiarazione stessa dell’artista - che gli permetterà di gettare le basi del teatro della guarigione e delle teorie psicomagica e psicosciamanica. L’epoca della rappresentazione degli effimeri panici termina con il Melodramma Autosacramentale del 1965, ultimo e più completo effimero della carriera di Jodorowsky, che è la summa e il momento più alto di tutta la teoria panica propria dell’autore, a seguito della quale l’impianto teatrale di Jodorowsky subirà un cambio di rotta tale da allontanarlo da questo tipo di azioni teatrali per dedicarsi, come abbiamo detto, a drammi di impianto più tradizionale e alle letture psicomagiche.

5.1. Il “Panico” nell’opera di Jodorowsky Il panico di Alejandro Jodorowsky ha l’obiettivo di essere un metodo empirico di apertura della coscienza maturato in molti anni di studio e pratica, attraverso esperienze non convenzionali e all’epoca poco esplorate, come per esempio la meditazione buddista zen e la pratica 74


sciamanica della guarigione ritualizzata ad opera di santoni tipici delle tradizioni popolari ancestrali latinoamericane. A seguito di queste molteplici esperienze, l’applicazione di teorie e pratiche non convenzionali all’interno dell’attività artistica si pone per Jodorowsky come “una costante ricerca dell’uno con tutti e dell’uno in tutti”, in pieno spirito panico, come afferma Bertoli151 commentando il seguente passaggio: Per me l’opera artistica è creare coscienza, presa di coscienza, passare dal livello inconscio a un maggior grado di consapevolezza fino ad arrivare a un’enorme coscienza. - Alejandro Jodorowsky 152

Il Panico di Jodorowsky quindi, oltre ad essere caratterizzato da una componente quasi esoterica, è anche e principalmente anti-estetico e anti-artistico poiché è strettamente legato alla vita dell’uomo; ricordiamo infatti che il Movimento Panico, per definizione, attinge dalla vita per unirsi all’arte e non usa l’arte per ritrovare l’autenticità della vita. Nel fluire delle esperienze, nella trasformazione delle sensazioni, nel gioco dei rapporti umani risiede Pan ed è da lì che si parte alla ricerca dell’autenticità, dell’Arte. È in un certo senso un tentativo di estensione totale della coscienza e dell’esperienza, talmente estremo che per essere raggiunto compie il passo iniziale grazie a uno shock: tramite la rottura con la razionalità si apre nell’esperienza quotidiana il cammino panico, attraverso il quale si possono esplorare altri livelli di realtà, altri sistemi creativi, altri registri d’espressione e giungere lentamente a toccare la vita autentica e la libertà. Lo scopo del teatro (e anche del cinema, seppur con metodi diver151

Alejandro Jodorowsky in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 56.

152

Ibid.

75


si) di Jodorowsky è quello di accompagnare l’aspirante uomo panico in questo percorso di abbandono della quotidianità, per poi lasciarlo avvicinarsi autonomamente all’illuminazione. Come afferma infatti l’autore a proposito del cinema, ma riferendosi in realtà a tutte le sue produzioni: Credo che i film siano una via verso l’illuminazione, e la prima cosa che un film deve cambiare sono gli attori che vi recitano, e poi il pubblico. Se un ragazzo prende un acido e sperimenta un cambiamento, il minimo che una pellicola può fare è di dargli più di quanto quell’acido può offrirgli. Ma non deve dargli le visioni che l’acido produce, quanto piuttosto la pillola, lo stesso mezzo, e poi lasciare che ogni individuo contempli le proprie visioni e se le assuma a fondo. 153

Di conseguenza, per provocare i grandi effetti che sono necessari per uscire dalla razionalità 154 la teatralità non deve essere una semplice messinscena, ma un’opera panica totale, enorme e strabordante almeno quanto enorme e strabordante è la possibilità creativa umana. Come vedremo più avanti, Jodorowsky chiaramente non vuole fermarsi entro i limiti tradizionali e prestabiliti dell’arte teatrale come è fino a quel momento concepita, ma vuole far esplodere la teatralità portandola fuori, facendo “uscire il teatro dal teatro”, come si intuisce da questo frammento: Basta col raccontare storie e col dedicarsi a dei giochetti, a dei piccoli esercizi di recitazione, a dei piccoli dialoghi, a della piccola musica, a delle piccole immagini… (1970)155

153

Ivi, p. 57.

154

ricordando però che “Non proclamiamo l’irrazionalità, ma la de-razionalizzazione, il dissolvimento di una ragione nell’esistenza”. Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in ivi, p. 144.

155

Ivi, p. 57.

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Jodorowsky vuole esagerare, strappare gli abiti borghesi della misura e della compostezza e quindi eliminare il falso ego, la personalità deformata della razionalità della vita quotidiana, per vivere l’esistenza appieno con arte, creatività e autenticità.

5.2. Effimero panico: genesi L’obiettivo di creare nel pubblico lo shock necessario a superare le limitazioni razionali (ma anche per dare all’attore la possibilità di vivere lo stesso shock recitando) ed entrare nella dimensione caotica di pan, viene perseguita da Jodorowsky attraverso la definizione dell’effimero panico, una creazione teatrale affinata in anni di esperienza poetica, che consiste in un ibrido tra improvvisazione attorale, rito pagano, performance, concerto rock e orgia artistica. Questo mix simultaneo di diverse pratiche è lo strumento di cui l’autore si avvale per realizzare sul piano concreto tutte le ipotesi e le teorie che il Surrealismo si limitava a far vivere in un mondo astratto e inconcludente. L’effimero panico è quindi la “trovata” necessaria per portare a compimento il congiungimento tra arte e vita. Chiaramente quindi, la creazione di un sistema d’azione panica altri non è che la prova della grande differenza che Jodorowsky ha rispetto ad André Breton: l’intero sistema panico, sia per Jodorowsky che Arrabal e Topor, non è una teoria metodologica artistica o una riflessione poetica, ma un vero e proprio modello d’azione rituale il cui scopo è giungere all’autentico e all’affermazione totale, tramite l’azione e l’eliminazione delle possibilità. Come dice infatti Jodorowsky: Face à la réalité et à ses problèmes, l’homme panique ne se pose pas la question de savoir s’il faut chercher une solution, mais propose le plus grand nombre de solutions possible. L’homme panique tente de tout affirmer. C’est pourquoi le pa77


nique a besoin d’une logique qui procède par élimination des possibilités. Les multiples principes de cette logique peuvent être contradictoires, cependant, le Panique les affirme en bloc.156

L’uomo panico non è interessato a trovare una soluzione, la soluzione ai propri problemi quotidiani, bensì ogni soluzione. La “sistematizzazione di eliminazione delle possibilità”, se così si può dire, caratteristica del pensiero panico, è strettamente legata all'accettazione di ogni soluzione a ogni problema: solo eliminando le possibili soluzioni, ovvero accettandole tutte come valide, soprattutto se in contraddizione tra loro, si potrà agire in modo panico. L’eliminazione della possibilità quindi non è intesa come una “scrematura delle soluzioni” al fine di arrivare all’unica possibile, ma, al contrario, è la validazione di tutte le possibilità in blocco e la trasformazione di tutte esse in certezze 157. Una volta accettato di abbracciare la totalità delle possibilità/soluzioni, l’uomo panico non otterrà quindi una “definizione”, ma una struttura, un sistema da applicare alla vita per raggiungere la realtà: […] l’homme panique obtiendra, de cette confusion de principes logiques, une résultante qui peut ben ne pas être une définition mais qui est une structure.158

L’obiettivo principale del metodo panico di Jodorowsky è quindi l’invalidamento della logica di causa-effetto, uno status a cui si arriva avvalorando tutto, soprattutto le contraddizioni. Lavorando sulla base di questo assioma panico è possibile raggiungere ed eliminare il confi-

156

Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 66.

157

Cfr. par. 5.3.1.

158

Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 66.

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ne tra arte e vita, recuperando l’autenticità dell’esistenza. Trasgredire le regole della logica, della ragione e della morale sarà quindi un passaggio necessario per l’uomo panico, ma dovrà essere effettuato all’interno di un rituale che altri non è se non la festa. Jodorowsky quindi crea il metodo panico ascrivendo la libertà d’azione entro i limiti della gestualità rituale, creando così il concetto di effimero panico. Panico perché inserito nella logica di eliminazione delle possibilità e effimero perché realizzato nei limiti temporali della sola festa panica (più avanti vedremo anche che questo risponde a criteri di non riproducibilità dell’atto effimero). Sintetizzando, si può dire che il metodo di Jodorowsky è fondato su tre capisaldi: la teatralità, ovvero l’azione espressiva esemplare di corpo e voce; l’arte, la componente magica che permette di superare i limiti della logica e della ragione; la festa, una particolare situazione limitata nel tempo e nello spazio entro cui è possibile scardinare i tabù grazie al sacrificio della ragione159.

5.3. Teatro panico 5.3.1.

Contingenza, immanenza

Nella poetica teatrale di Jodorowsky, radicata nella pratica mimica e innestata con le maggiori teorie teatrali avanguardistiche e classiche (Dada, Surrealismo, Futurismo, Artaud e teatro classico greco), centrale è il concetto di autenticità e il raggiungimento di essa con l’aiuto del teatro. Lontano dalla ripetitività del teatro naturalista, verista o realista e contrario dunque a dare al teatro l’onere di diventare un fasullo tranche de vie, obiettivo caro a una larga fetta della drammaturgia e della 159

“Everywhere a sacrifice involves a feast and a feast cannot celebrated without a sacrifice.” in Sigmund Freud, Totem and taboo, International Library of Psychology, Rutledge, London, 1999, p. 134.

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messinscena precedenti, Jodorowsky recupera lo spirito greco del far teatro e ripropone nei suoi lavori il concetto di καθαρσις, di liberazione dallo status di sofferenza, tramite l’esperienza (in questo caso “panica”) del teatro. La sua concezione teatrale infatti continua a seguire i principi di simultaneità, contraddizione e immaginazione propri del Movimento Panico, ricalcando quindi il fondamentale principio della ricerca di tutte le soluzioni possibili al fine di trovare un miglioramento fecondo per il proprio status, ma arricchisce il suo pensiero approfondendo il concetto di “utilità” della soluzione. Jodorowsky afferma che nel cercare una sola soluzione al problema, la soluzione che nel momento contingente può rivelarsi (non per forza erroneamente) quella più utile, non facciamo altro che innescare una catena di nuovi problemi collegati tra loro dallo stesso rapporto di causa-effetto che stiamo cercando di scardinare. Ragionando infatti secondo il principio aristotelico, nell’analisi di un problema si valutano solo le caratteristiche contingenti di esso, momentanee, quindi la soluzione più logica sarà contingente perché ricalcherà i rapporti causali che hanno generato il problema e di conseguenza sarà necessariamente la più limitata proprio perché bloccata entro il limiti della realtà temporanea. Una volta che il problema subirà le modifiche a cui è soggetto per il solo fatto di esistere all’interno della realtà quotidiana e mutevole (o come direbbe Jodorowsky, di essere soggetto alla danza della realtà), la soluzione trovata, prima così perfetta e logica, non avrà più alcuna connessione con la realtà e ci troveremo di nuovo alla disperata ricerca di un’alternativa plausibile alla soluzione “scaduta”. È in questo modo che si crea la continuità dei problemi che ci affligge, senza mai lasciarci la speranza di trovare l’uscita. […] questa soluzione si può e si deve abbandonare perché es80


sendo cambiata la situazione, smette di essere utile. L’importante è la soluzione utile, non quella che la ragione trova “vera”.160

Nel cercare le soluzioni quindi non ci si può legare al contingente, ma bisogna appellarsi a logiche di livello superiore, che abbraccino tutti gli aspetti della realtà, indipendentemente che essi siano inclusi o meno nel raggio d’azione del problema. Traslando questa logica sul piano della realizzazione teatrale, per essere autentico, Jodorowsky sostiene che il teatro può e deve funzionare solo quando tratta di grandi archetipi universali e immanenti: vita, morte, sesso, paura, dolore, recuperando quindi necessariamente la sua componente rituale e catartica, esattamente come avviene nella drammaturgia classica. Affrontando quindi grandi temi universali ci si può avvicinare molto a quella pan-soluzione di cui parlano gli artisti panici. L’antica tragedia greca presentava in ogni opera due componenti essenziali, delle quali si è fatta portavoce la psicanalisi: Eros e Thanatos, sesso e morte. Il teatro era un atto rituale dove, ad ogni rappresentazione, si riviveva il mito dell’incesto e la disperata lotta degli eroi incapaci di liberarsi del destino, in una vera terapia collettiva, un’arte sublime e necessaria, utile perché autentica.161

Conseguentemente, ricevendo soluzioni utili ed assistendo ad una “terapia collettiva”, si ottiene una soluzione panica e si ha allo stesso tempo l’occasione di liberarsi a poco a poco dei meccanismi causalistici che ci conducono all’errore; si ha l’occasione per fare un viaggio inte-

160

Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, Firenze, 2008, p. 20.

161

Ivi, p. 20-21.

81


riore possibile solo grazie alla componente magica del teatro, alla sua irrazionale profondità. Il mito ha una funzione purificatrice: rappresentando contenuti dell’inconscio che ci sono proibiti dalla ragione, esorcizza i fantasmi, il lato oscuro dell’essere. Il teatro autentico parla dei nostri grandi interrogativi (Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?) e li guida verso la catarsi positiva, il che permette al pubblico di vivere completamente l’angoscia primordiale ed essenziale (essere mortali) per superarla ed intraprendere la ricerca di una nuova soluzione.162

Di conseguenza è necessario proporre un teatro attuale che non sia la rappresentazione di eventi particolari e quindi contingenti, bensì la rinnovata presentazione di grandi tematiche universali e immanenti. Il teatro autentico ri-presenta ciò che è utile per mitigare il dilemma originario dell’essere umano, con la sua primordiale incertezza, debolezza, insicurezza, paura, che una volta portate a certezza si trasformano in certezza, forza, sicurezza e compassione.163

Di conseguenza l’arte è lo strumento per approfondire la nostra interiorità, liberare la forza creatrice di ognuno e vivere una vita completa, cosciente e onirica, priva della paura di non trovare spiegazione alla nostra esistenza. E per vivere una vita autentica, ossia per far risorgere il nostro vero io, è necessario iniziare con un omicidio: Il teatro è una giocosa cerimonia funebre. In esso andiamo ad esibire e poi ad assassinare il nostri falsi ego. 164

162

Ivi, p. 21.

163

Ivi, p. 21.

164

Ivi, p. 20.

82


5.3.2.

Poetica

Finora il teatro non ha trovato i suoi veri mezzi di espressione […] ha copiato, in modo rudimentale, la filosofia, la politica e la teologia. Questa confusione proviene dal fatto che il teatro è considerato una ”arte” e viene pertanto attribuita ad esso la “durata” delle altre arti. Quelli che fanno teatro si sono sempre irritati per il carattere effimero del proprio lavoro e per l’impossibilità di una rappresentazione scenica perfetta. […] Riunendo gli elementi di una messinscena si ottiene sempre un risultato diverso per ogni rappresentazione. Gli sforzi per creare un cerimoniale che possa essere ripetuto con precisione meccanica sono stati accompagnati da un sotto-testo di “errori”. Gli incidenti che sempre appaiono come ombre, e contro i quali la gente di teatro combatte perché li considera “imperfezioni”, un malinteso che fa loro ignorare l’essenza reale del linguaggio teatrale, il quale è LA PROVOCAZIONE DEGLI ACCIDENTI Il teatro dovrebbe basarsi su quelli che fino ad ora sono stati chiamati a “errori”: l’accidente effimero. Accettando il suo carattere effimero, il teatro scoprirà che è proprio questo carattere ciò che lo distingue da qualsiasi altra arte. Tramite questa accettazione, arriverà alla sua essenza. Le altre arti lasciano pagine scritte, registrazioni […] Il teatro, al contrario, non deve durare più di un giorno nella vita di un uomo. Con la sua nascita avviene anche la sua morte. L’unica traccia che deve lasciare è quella che imprime negli esseri umani e si manifesterà in essi tramite un cambiamento psicologico. Se l’obiettivo delle altre arti è creare delle opere, l’obiettivo de teatro è cambiare direttamente gli uomini. Se il teatro non è una scienza della vita, non è un’arte.165

165

Alejandro Jodorowsky, The goal of theatre, edited by Lawrence Ferlinghetti, City Lights Journal n°3, City Lights Book, 1966, p. 72, 73. Traduzione del redattore.

83


Secondo queste parole contenute in uno scritto intitolato “Lo scopo del teatro”, Jodorowsky puntualizza tre concetti che sono fondamentali per comprendere appieno la base poetica che muove il suo teatro: la crisi della parola di matrice artaudiana (cfr. par. 2.1.1), l’estemporaneità e non riproducibilità dell’azione teatrale e, infine, il legame tra rappresentazione teatrale e vita, sotteso a entrambi. Il teatro di Jodorowsky, ispirato - tra le altre - dalle teorie artaudiane, è concepito come luogo della differenza: poiché quello che avviene all’interno dell’azione teatrale, volenti o nolenti, è di fatto una rappresentazione della realtà, l’autore tenta di esasperare le sue azioni sceniche e drammaturgiche fino a raggiungere il limite massimo della finzione e quindi anche il limite massimo della realtà. In pratica Jodorowsky, distruggendo artaudianamente il linguaggio, il lavoro tecnico dell’attore, la prossemica, la prassi scenica e perfino l’edificio teatrale in sé medesimo, costringe la magia della vita ad entrare nell’hic et nunc teatrale contaminando la falsità della rappresentazione con l’autenticità della vita. Nella logica jodorowskyana, poiché il progressivo formalismo tecnico ha reso sterile la comunicazione teatrale, l’estremizzazione shoccante di questa formalizzazione e al contempo la sua distruzione premeditata riusciranno a riaccendere la comunicazione. O detto con le parole di Bertoli: Il teatro non è la realtà, la rappresenta soltanto, però nel suo tempo e nel suo spazio il massimo della finzione raggiunge il massimo di realtà: non per omologazione ma per differenza. La magia della vita riesce a scardinare la formalizzazione del linguaggio proprio tramite l’apoteosi di questa formalizzazione: proprio perché il teatro non è la vita ma quanto di più vicino ad essa esista sul piano linguistico, è solo nel teatro che la vita ri-

84


esce a darsi per davvero. Il teatro è il luogo della differenza. 166

Per capire in particolare la forza della formalizzazione linguistica, Jodorowsky parte dalla sua ricerca nel campo del mimo e della pantomima: è tramite l’abbandono del linguaggio verbale che riesce a cogliere il linguaggio originale del gesto e dell’emozione e a recuperare il soffio vitale che il teatro aveva a suo avviso perduto. Sentendo l’urgenza della mancanza nel teatro di un linguaggio proprio, Jodorowsky ammette che “La langue écrite ne peut être panique; pour l’être, elle doit s’intégrer dans un ensemble corporel, vocal, spectaculaire; être un élément de la fête panique”167 e quindi la scrittura viene riconsiderata esclusivamente per quello che è, un semplice atto, e nelle rappresentazioni di teatro panico viene utilizzata in modo meccanico, fine a se stesso, un canovaccio che non è parte fondamentale dello spettacolo, ma solo una base di partenza, un promemoria per gli agenti168 che può essere modificato e abbandonato in qualsiasi momento. Jodorowsky è alla ricerca di un’essenzialità drammaturgica che “oltrepassi la logica aristotelica e penetri direttamente nella vita”169. Per questo al fine di realizzare un’analisi completa del teatro prettamente panico sono gli effimeri a dovere essere al centro dell'analisi teatrologica piuttosto che le opere drammaturgiche; in particolare l’Effimero 65 o Melodramma Autosacramentale realizzato a Parigi nel 1965. Conseguente all’allontanamento dalla parola scritta è anche l’allontanamento dalla logica aristotelica; Jodorowsky afferma a riguardo

166

Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p. 91.

167

Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p 86.

168

nel trattare l’effimero non esistono le figure teatrali della prassi scenica tradizionale, quindi per semplificazione chiameremo agenti tutte le persone che agiscono all’interno di esso.

169

Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 92.

85


che la sua manovra di liberazione dalla struttura razionale non è volta ad affermare l’irrazionalità (“Nous ne somme pas pour l’absurde. Nous ne somme pas des fanatiques de l'absurde, nous ne somme pas des fanatiques du mystère, nous ne somme pas des soldates de la confusion” afferma infatti anche Arrabal170), ma piuttosto la de-razionalizzazione: il dissolvimento di una ragione esistente contrapposta quindi alla logica aristotelica, responsabile della creazione di una forma del pensare affatto “concettuale”, centro delle mire distruttive del Panico. Secondo Jodorowsky continuare ad affermare i fatti e a catalogarli secondo le regole della logica significa perdere di vista ciò che veramente accade intorno a noi, ossia non riuscire a cogliere il costante mutamento dell’essere in relazione alle reazioni emozionali che l’interiorità scatena di fronte agli avvenimenti della vita. Catalogare, analizzare e razionalizzare la vita significa depauperarne la potenza onirica e quindi intraprendere un cammino opposto a quello dell’uomo panico, un cammino che difficilmente ci condurrà alla trasformazione della vita in autenticità. Come scrive Jodorowsky: Se c’è dunque l’inutilità del definire l’esistenza, possiamo dire che essa è ciò che siamo e in quanto “cosa costituita da noi” la cercheremo non con un’attitudine raziocinante di conoscerla, ma con un’attitudine fisica di viverla. 171

Legata alla necessità dell’arte teatrale di essere effimera e di non lasciare traccia della propria realizzazione (come Jodorowsky dichiara nel passaggio riportato in apertura del nostro paragrafo), l’assenza

170

Intervista a Ferdinando Arrabal e Alejandro Jodorowsky. Origine sconosciuta http://www.youtube.com/watch?v=LMQ1QRx7H-c&feature=results_video&playnext=1&list=PL67A70 A9B564956D6 171

Alejandro Jodorowsky, «Metodo Panico (1963-66)», in Antonio Bertoli, Panico! op. cit., p.146.

86


della scrittura drammaturgica fissa e preconcetta e l’abbandono del linguaggio tradizionale fanno parte della necessità di estemporaneità del teatro panico, passaggio fondamentale nella comprensione del metodo. Jodorowsky sottolinea enormemente l’aspetto di finitezza temporale dell’atto panico e ne fa uno dei capisaldi della propria realizzazione artistica in nome del legame che deve instaurarsi tra la vita e l’arte. La promozione dell’accidente a componente fondamentale del teatro è giustificata dalla convinzione di Jodorowsky che tutto ciò che è imperfetto è umano ed è quindi grazie alla messa in scena dell’umanità, all’accettazione dell’impulso intimo e alla liberazione dalle briglie della razionalità che si può arrivare ad un livello di coscienza superiore, migliorando quindi il proprio status. Per spiegare la necessità dell’effimero, Jodorowsky si oppone al concetto di perpetrazione della memoria che da secoli l’uomo razionale cerca di raggiungere con le proprie azioni. Secondo quanto scritto in Metodo Panico172 , il desiderio dell’uomo di rimanere, per opere o per fama, impresso nella memoria collettiva ab aeterno è il frutto dell’affermazione di un io individualista e materialista che è causa stessa dell’immobilità dell’essere: cercando di essere ricordato attraverso simboli precostituiti e riconosciuti universalmente dai posteri, l’uomo si priva della possibilità di allargare i limiti della coscienza e avanzare verso il futuro. La memoria (concetto affatto inviso ad Arrabal) è un’àncora indissolubile gettata sul passato, sull’immobilità e sull’impossibilità di crescere ed è per questo che l’uomo panico deve liberarsene per vivere la vita in autenticità e non nell’imitazione di linguaggi e simboli che continuano a perpetrare gli errori accumulati nei secoli passati (concetto che condivide anche nel metodo del teatro consiglio, basato sulla psicogenealogia, la tecnica che permette di libe-

172

Alejandro Jodorowsky, «Panico e pollo arrosto (1964)», in ivi, p.173 e seguenti.

87


rarsi dei propri blocchi mentali analizzandone la genesi e la ripetitività perpetrata all’interno del nucleo familiare). Per vivere e agire in modo panico bisogna eliminare quindi la memoria, agire nei limiti dell’hic et nunc e rielaborare in ogni momento un linguaggio originale e personale che sia l’affermazione della propria sensibilità e non la reiterazione di emozioni ereditate dal passato. Al fine di procedere lungo il percorso di scoperta dell’autenticità della vita quindi, gli strumenti che il metodo panico ci chiede di usare per scoprire la nostra natura panica devono essere coerenti con essa, ovvero tutte le azioni paniche devono essere un tentativo di estremizzazione della realtà e quindi degli episodi dell’esistenza personale che come tali sono definiti nello spazio temporale; di conseguenza, così come tutte le esperienze umane sono finite e irripetibili, anche l’azione panica teatrale deve essere tale: un breve, intenso e unico atto compiuto che, come un’evento che ci ha cambiato la vita una volta per tutte e che ci ha condotto ad un nuovo stato mentale, scuota e risvegli la parte sopita del nostro animo; l’effimero infatti è un’epifania che ci introduce in un nuovo periodo dell’esistenza, più consapevole e più autentico. Come spiega Bertoli: […] effimero - antecedente dell’happening e della performance - volto ad annullare la separazione fra teatro e vita e fra arte e vita, che annulla lo spazio-tempo della rappresentazione per annullare anche quello quotidiano, proprio della ragione dualistica. L’effimero si dà per una volta sola, definitiva ed unica, così come accade per ogni situazione della vita concreta di ogni individuo.173

173

Ivi, p. 99.

88


Quello che ne risulta da queste basi è che per poter realizzare nell’individuo un cambiamento radicale della percezione della realtà e di se stesso tale da permettergli di raggiungere il nuovo status di “uomo panico” è possibile solo dentro e per mezzo di un atto extra-ordinario come solo l’effimero teatrale è.

5.4. Dall’atto poetico all’effimero panico La teorizzazione dell’effimero panico come forma teatrale definita viene embrionalmente elaborata già dagli anni giovanili di Jodorowsky, nel periodo della sua collaborazione con il poeta Enrique Lihn. Ispirati dalla frase di Huidobro “Perché cantate la rosa, o poeti! Fatela fiorire nella poesia”174 e da quella di Marinetti “La poesia è azione” i due giovani artisti capiscono che la poesia non può restare imprigionata sulla carta, ma deve essere un’azione reale rivolta al pubblico; solo in questo modo è possibile rendere comprensibile a tutti la potenza intima e onirica del verso poetico. Gli atti si susseguono per diversi anni e si manifestano in modo multiforme: dalla creazione di una nuova toponomastica cittadina, alla lettura pubblica, fino a forme più tipicamente teatrali come la danza. Indipendentemente però dalla struttura che questi atti assumono, il tratto comune è quello di muoversi all’interno di non-regole come la totale libertà d’espressione personale e la necessità di prevaricazione delle regole sociali, la commistione di pratiche artistiche diverse e l’apertura all’improvvisazione e alla provocazione, il tutto condito da una buona dose di ironia e spirito goliardico. Grazie alla pratica dell’azione poetica, alle “feste dell’atelier”175 e alle esperienze artistiche e teoriche successive, Jodorowsky impara ad 174

Huidobro in A. Jodorowsky, Psicomagia, Einaudi, Torino 1997, p. 32.

175

Cfr. par. 3.1, p. 31.

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utilizzare il valore simbolico delle azioni teatrali e aumenta il contenuto psicologico/emozionale delle sue performance, dando maggior attenzione agli effetti che le rappresentazioni potevano avere sul pubblico; gli atti poetici vanno così via via delineandosi come performance, come veri e propri effimeri panici. La maggior parte degli effimeri veri e propri viene realizzata in Messico a partire dal 1959, a seguito della decisione di Jodorowsky di non far rientro in Francia dopo la conclusione delle tournée americane di Marceau a cui aveva preso parte

176

. In Messico, paese magico per

Jodorowsky, egli pone le basi per fondare una nuova compagnia teatrale, con l’obiettivo di mettere in scena le proprie idee registiche sperimentali. A questo scopo fonda nel 1958 il Teatro de Vanguardia e con esso realizza molte produzioni teatrali, ma non è con una compagnia che sperimenterà gli effimeri, bensì con persone comuni, in locali qualsiasi, solitamente prestati da conoscenti. L’effimero era come una grande festa aperta a tutti in cui la libertà espressiva personale era la vera protagonista. La discrezione con cui venivano organizzati e realizzati i “rituali” era garantita dalla totale assenza di pubblicità e di recensioni sulla stampa locale e la mancanza di legami con la burocrazia statale riusciva mantenere la feroce censura messicana alla larga dagli effimeri, altrimenti di certo bloccati e contrastati dalle autorità (gli eventi erano completamente gratuiti e la forma “privata” in cui si svolgevano non richiedeva che venissero richieste autorizzazioni; la gratuità inoltre faceva sì che la loro realizzazione sfuggisse alle briglie dello stato). Prima della creazione del Gruppo Panico nel 1960, Jodorowsky realizzò almeno 27 effimeri e la loro notorietà in America Latina fu tale

176

Cfr. par. 3.1, p. 39.

90


che all’autore venne richiesto di realizzarne anche al di fuori del territorio messicano. L’esperienza degli effimeri terminò nel 1965, quando Jodorowsky, da tempo in contatto con Arrabal e con Topor a seguito della messinscena di Fando y Lis, decise di tornare definitivamente in Francia e lì presentò l’unico effimero europeo, ultimo della sua carriera teatrale. Solitamente l’effimero non si realizzava seguendo un canovaccio prestabilito, ma Jodorowsky offriva, a chi volesse farlo, i mezzi per inscenare un desiderio segreto, una creazione frustrata, un feticismo vergognoso, qualunque cosa fosse libera espressione del proprio essere. Alcuni esempi: Uno studente di architettura decise di presentare un manichino che colpì violentemente e dal cui pube schiacciato estrasse metri di salsiccia e centinaia di palle di vetro. Un altro […] man mano che recitava formule algebriche si schiantava un uovo dietro l’altro sulla fronte. Un altro […] si mise a recitare un poema incestuoso dedicato a sua madre mentre si versava addosso delle bottiglie di latte. […] Un uomo vestito da vichingo mostrò una colomba viva, con un morso le mozzò la testa...177

Gli effimeri messicani sortirono un grande effetto sul pubblico, specialmente sui giovani, gli artisti e gli studenti universitari, tanto che l’ultima partecipazione di Jodorowsky a un effimero svoltosi in un piccolo teatro di Città del Messico, non fu per sua iniziativa, ma su invito dei suoi “seguaci”, che lo avevano ideato a mo’ di saluto e tributo al grande “maestro”. Quello che colpì gli spettatori degli effimeri fu di certo la folle e completa libertà d’espressione personale e sessuale (tenendosi sempre però entro i limiti di ciò che poteva essere definito

177

Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit., p. 442.

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pornografico, sempre per evitare problemi con la censura), la distruzione delle barriere dell’educazione borghese e del pudore, ma anche e soprattutto la potenza catartica dell’uso ragionato della violenza. Quello che Jodorowsky vuole esprimere con l’atto effimero è un’evoluzione di quello che aveva già intuito con la realizzazione dell’atto poetico: […] la poesia è convulsione, come un terremoto! Denuncia le apparenze, trapassa con la sua spada menzogna e convenzioni. […] L’atto creava un’altra realtà in seno alla realtà ordinaria. Ci permetteva di scoprire un altro piano; ancora oggi sono convinto che, grazie ai nuovi atti, si aprano le porte di una dimensione nuova. 178

È questa intuizione che genera gli effimeri: degli atti che scuotono le basi della percezione, che mettono in discussione la realtà e che si manifestano come l’esplosione positiva delle energie: […] l’atto poetico permette di manifestare energie normalmente represse o latenti in noi. L’atto non cosciente conduce al vandalismo, alla violenza. Quando la moltitudine si infiamma, quando le manifestazioni degenerano, quando la gente incendia automobili o lancia pietre, anche in questi casi assistiamo a una liberazione di energie represse. Ma tali manifestazioni non meritano di essere definite atto poetico.179 […] quando si compie un atto che differisce dalle azione ordinarie e codificate, è importante farlo coscientemente, misurare e accettare a priori le conseguenze. Realizzare un atto è un processo cosciente che mira a introdurre volontariamente una frattura nell’ordine della morte perpetuato dalla società, non è la 178

Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 38.

179

Ibid.

92


manifestazione complessiva di una ribellione cieca.180

La differenza quindi tra l’effimero e il vandalismo - come abbiamo capito, entrambi mossi dalla repressione delle energie latenti - sta nel fatto che il vandalo risponde ad un impulso esplosivo delle proprie voci interiori senza comprenderne le motivazioni scatenanti, né le cause che hanno condotto alla loro repressione e soprattutto senza mediarne la potenza; l’effimero invece è la forma artistica della liberazione dell’anima: esso prevede una rielaborazione (seppur minima) delle proprie “voci di dentro”, il che comporta una ricerca di simboli e oggetti da parte dell’agente che è di per sé rielaborazione dell’impulso e sublimazione creativa e positiva della potenza distruttrice insita in esso. Secondo Jodorowsky il cambiamento personale che consegue alla drammatizzazione dell’inconscio e dalla sua trasformazione in effimero deriva dalla presa di coscienza che l’agente fa nei confronti della morte: teatralizzando le proprie ombre infatti si uccide un parte di sé stessi e questo omicidio/suicidio perpetrato in scena è pari al vivere l’esperienza della morte. Anche il pubblico dell’effimero può vivere la stessa esperienza che vive l’agente perpetrando il proprio omicidio rituale in scena grazie alla capacità dirompente ed empatica del dolore. Un effimero non è ovviamente mai privo di violenza e di dolore catartici. Queste due componenti colpiscono il pubblico in modo frontale, non lasciandogli via di scampo e lo coinvolgono così totalmente da innescare in esso lo stesso processo di recupero del contatto con la propria ombra, stimolandone una intima esplosione catartica. Non bisogna credere però che, con queste premesse, l’atto effimero sia una collettiva manifestazione psicopatologica di isteria. Il confine 180

Ibid.

93


sta nella positività necessaria dell’effimero: l’agente è sì collegato ai propri fantasmi e orientato verso l’apertura dei cancelli dell’anima, ma la detonazione della violenza repressa è orientata su un percorso di creazione, di crescita, di raggiungimento di uno stato mentale, psicologico ed emotivo più elevato. La forza dell’ombra deve muoversi verso la luce e non trascinare verso l’abisso. Ho portato aventi […] la pratica di un atto teatrale radicale, che consisteva nell’interpretazione del proprio dramma, nell’esplorare il proprio enigma intimo. […] [l’effimero panico] consisteva nell’allestire uno spettacolo che poteva essere rappresentato soltanto una volta. Bisognava introdurvi cose periture […] atti che non avrebbero potuto mai essere ripetuti. Insomma, volevo che il teatro, invece che tendere verso la stabilità, verso la morte, tornasse alla sua semplicità: l’istantaneità, la fugacità, il momento unico per sempre. […] concepire il teatro in questo modo significava portarlo alle estreme conseguenze, arrivare al parossismo di questa forma d’arte. Attraverso l’happening, ho riscoperto l’atto teatrale e il suo potenziale terapeutico.181

Per tutelare l’agente in questa ricerca di “illuminazione”, Jodorowsky era solito accettare di sostenere solo le proposte di effimeri genuine e rifiutava di aiutare chi volesse perpetrare in scena una carneficina gratuita.

5.5. Caratteristiche dell’effimero panico 5.5.1.

Eredità medioevale

Così come il richiamo a Pan è dichiaratamente la base del Movimento Panico, sul versante della liberazione dell’essere il realismo grottesco medioevale sta a fondamento del teatro di Jodorowsky nella 181

Ivi, op. cit., p. 47.

94


misura in cui esso è una cifra stilistica che meglio aiuta a comprendere il suo teatro sia dal punto di vista dell’attuazione del happening/performance che nel suo uso del paradosso e della risata beffarda che svela il mistero della vita. Fortemente legato al carnevale, il realismo grottesco è effettivamente una manifestazione di Pan, in quanto eccede i limiti, rompe le regole, investe tutti gli strati della società e si manifesta nella forma della festa popolare. In arte il grottesco è uno stile decorativo di derivazione classica 182 caratterizzato principalmente da ibridazione e anarchia. Sebbene nelle decorazioni romane si trovasse solo in forma di ornamento architettonico, il grottesco viene usato appieno, come tematica, nella pittura fiamminga del XVI secolo, specialmente nei lavori di Hieronymus Bosch. Nelle sue opere si trova la società reale, ma trasformata e ibridata in modo che non possa più essere decifrata secondo una chiave razionale ed emozionale. Si vede il reale ma non lo si può capire: i quadri di Bosch in cui enormi uccelli mangiano uomini, preti e prostitute convivono, piante ed esseri umani mescolano le loro caratteristiche morfologiche in un caos illogico che non riflette le gerarchie sociali a cui si è abituati; il paradosso che si scatena nella simultaneità dei contrari evoca nei fruitori un misto di riso e orrore, di inquietudine panica.183 La follia di queste trasfigurazioni ha un unico scopo, del tutto condiviso dal Movimento Panico: gettare un nuovo sguardo sul mondo. I punti più importanti del realismo grottesco (riso, tempo, corpo e paradosso) si ritrovano simmetricamente nelle opere paniche di Jodo182

Le decorazioni grottesche erano utilizzate nell'antichità e dopo il ritrovamento di queste decorazione nella Domus Aurea di Nerone (1480), sotto pretesto della imitatio antiquitatis, vennero riproposte.

183

La certezza dell’ispirazione che il gruppo Panico ha tratto dalla la pittura di Bosch è comprensibile già dal fatto che una delle più famose opere di Arrabal (La pietra della follia ) porta lo stesso nome di una delle più famose opere di Bosch (Estrazione della pietra della follia).

95


rowsky ed è quindi necessario conoscere la potenza di questi elementi per decifrare le opere dell’autore. Riso Nel realismo grottesco, e quindi anche in Jodorowsky, il riso non è affatto una componente del divertimento. Il riso beffardo scaturito dalle performance paradossali dell’autore o dai travestimenti carnevaleschi medievali è un riso a cui possiamo attribuire tre particolari caratteristiche: non è la reazione ad un evento comico, ma è la risposta collettiva di un gruppo di persone non a proprio agio; è un riso interiore, si ride di quello che si vede e anche dello stesso imbarazzo che si prova nel vedere quello che sta di fronte a noi; è un riso mutevole, non riferito ad un solo oggetto (come avviene nelle performance di pura comicità), ma a tutti i soggetti coinvolti nella festa, si ride di quello che si vede, delle proprie emozioni, di se stessi, di chi ci circonda, della società. Si ride e si de-ride. Molto importante inoltre è la componente nervosa: di fronte a ciò che ci mette a disagio si ride come forma di difesa. Tempo Anche il tempo, come il riso, non è una componente monovalente. È ciclico, diacronico, ma è anche un tempo simultaneo in cui gli eventi si sviluppano contemporaneamente e indipendentemente l’uno dall’altro. Si lega alla naturale e necessaria consequenzialità di vita e morte, ma esse possono comparire contemporaneamente, in una visione contraddittoria e paradossale. Corpo Il corpo grottesco e la rappresentazione del corpo nella messinscena panica sono caricaturali, eccessivi, simbolici. Il travestimento non nasconde la realtà, ma ne aumenta la portata eccedendo i limiti 96


fissati dalla fisiologia per aprirsi al mondo onirico. Nella festa grottesca medievale così come nel teatro panico il corpo non è mai un corpo reale: i caratteri sessuali o alcune parti del corpo sono aumentati in modo sproporzionato e simbolico, l’umano è innestato con l’animale o con il vegetale, il sopra e il sotto si scambiano, la deformità diventa accettabile ed è fondamentale per scatenare il riso grottesco. Non è più un corpo in cui identificarsi, ma un corpo universale in cui riconoscersi contemporaneamente tutti nell’uno e ognuno in tutti in un paradosso collettivo. Paradosso All’interno del travestimento carnevalesco, come nella performance panica, le gerarchie sono rimosse, i personaggi si rapportano tutti sullo stesso piano e non esiste organizzazione sessuale, anagrafica o sociale. I preti si accompagnano alle prostitute, le figlie corteggiano i padri, le coppie non sono legate da vincoli legali o religiosi, i morti possono vivere nuovamente e tutto si svolge nell’anarchia gioiosa della festa. Grazie alla maschera che cela l’identità quotidiana e che elimina la posizione sociale (maschera carnevalesca per la festa medievale, maschera attorale per la rappresentazione panica) gli istinti e le pulsioni possono essere simbolicamente soddisfatti e l'illiceità è legittimata dalle non-regole della festa, i valori qualitativi di positivo e negativo sono annullati, l’impossibile diventa possibile in un clima affatto alieno alla quotidianità. Concludendo, possiamo dire che nelle performance del teatro panico si attua nuovamente ciò che avveniva nella festa grottesca del carnevale medievale. In questa situazione estranea alla quotidianità è possibile dare alle persone una possibilità di rigenerarsi, di liberarsi dell’oppressione vissuta tutti i giorni e si crea un organismo sociale unico in cui spettatori e attori si abbracciano in un solo corpo universa97


le di cui ridere e le convenzioni sociali sono rimosse. A ben vedere esiste solo una differenza tra carnevale medievale e festa panica: la presenza del dolore come componente della performance. La festa medievale era una liberazione totale, un crogiolo di vizi messi in atto, una festosa anarchia capace di lambire le ferite della condizione sociale dei partecipanti, mentre la festa panica ha il preciso scopo di guarire le ombre che le persone reprimono mettendole alla luce, obbligando i partecipanti a prenderne atto e dando infine la possibilità di guarirsi.

5.5.2.

Il teatro fuori dal teatro: invadere le strade

All’interno della logica del teatro panico, in cui l’attore cessa di farsi portavoce della scissione tra persona e personaggio e inizia a far vivere la propria vera essenza di uomo, la performance teatrale non si sviluppa in un tempo e in uno spazio illusori, ma è hic et nunc ossia non è altro che se stessa e ora: […] i teatri […] sono concepiti per attori e spettatori; ubbidiscono principalmente alla legge del gioco, che consiste nel delimitare uno spazio, vale a dire isolare la scena dalla realtà, […] impongono una concezione a priori delle relazioni tra attore e spazio […]. Eliminando lo spettatore dalla festa panica, si elimina automaticamente la “poltrona” e l’”interpretazione davanti ad uno sguardo immobile.184 L’ex-acteur, homme panique, ne joue pas dans une représentation et a totalement éliminé le personnage. Dans l’«éphémère», cet homme panique essaie d’arriver à la personne qu’il est en train d'être.185

184

Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 44.

185

Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p.89.

98


L’esperienza teatrale diventa quindi una porzione di vita in costante metamorfosi che nasce, si trasforma, muore e rinasce continuamente, diventando così una metafora della vita e uno specchio dell’esistenza quotidiana. Libero da tutti i dettami della tecnica accademica e della tradizione artistica, il teatro panico si ribella necessariamente all’opposizione attore/spettatore e per realizzare la comunione esperienziale tra i due partecipanti dell’atto scenico deve necessariamente liberarsi della struttura preconcetta dell’edificio teatrale stesso, uscendo all’aperto: Pour arriver à l’euphorie panique, il faut se libérer de l'édifice théâtrale […] (les acteur) ils obéissent à la loi primordiale du […] isoler la scène de la réalité, et imposent (principal facteur anti-panique) une conception a priori des relations de l’acteur et de l’espace. […] Les théâtres imposent les mouvement corporels, ne serait-ce que le geste humain qui détermine l’architecture.186

Non è solamente una questione di cambiamento o di sovversione dello spazio rappresentato dall’edificio teatrale, che include sempre una separazione tra scena e sala, ma anche un’evasione da un luogo delimitato della memoria, dalla tradizione e dall’abitudine contro cui gli artisti panici combattono fin dagli albori del movimento; solo uscendo all’aria aperta la recitazione potrà sentirsi libera di essere vera vita e l’attore panico di mettere in scena emozioni umane vere, sincere e liberate dalle insensate imposizioni stratificate in secoli di “normalità”. Questa riflessione però non è ad esclusivo appannaggio del teatro panico o di Jodorowsky. Tutte le compagnie di strada sono mosse da questa stessa necessità:

186

Ivi, p.88.

99


(il teatro di strada) certamente non è un genere inteso in senso tradizionale con forme e stilemi codificati […] (ma è) un fenomeno che porta alle estreme conseguenze la crisi architettonica del teatro, che si reinventa di volta in volta gli spazi per tornare agli inizi, alla parata […] che si sparge oltre l’orizzonte della parola letteraria, rinnovando i gesto e dilatando le potenzialità del corpo e della voce. […] (una necessità muove quest’arte, ossia) La convinzione […] che il teatro di strada, più di ogni altra forma scenica, assomigli alla vita, vi aderisca, ne abbia i palpiti, le speranze e la fatica; che passi attraverso i muri delle vie e delle piazze che diventano circo e arena e festa, che sia lo stesso alito di vita che anima le quotidiane vicende umane delle quali sono stati testimoni. […] questo microcosmo che è il teatro di strada contiene […] briciole di vita e quindi frammenti della storia dell’Uomo.187

La necessità di uscire dal teatro non è quindi il frutto di una riflessione di Jodorowsky, ma è il sintomo di un diffuso malessere, è la reazione alla malattia teatrale dell’epoca moderna, è l’”insofferenza del teatro-testo e della pratica scenica del teatro ufficiale. E se i teatri obbligano con la durezza della pietra e dei loro loggioni a leggere ad alta voce qualche Oscar classico, una delle soluzioni è di certo quella di uscirne” 188. L’uscita dallo spazio deputato non è ovviamente da leggersi come lo scadere della qualità artistica: se a livello di analisi teatrologica il linguaggio teatrale è composto da drammaturgia, tecnica recitativa e uso dello spazio 189, l’happening è assolutamente da ascrivere all’inter-

187

Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, Edizioni TEATRO TASCABILE - Bergamo / TEATRO TELAIO - Brescia, Brescia, 1989, p. 5 - 6

188

Fabrizio Cruciani, Clelia Falletti (a cura di), Promemoria del teatro di strada, op. cit., p. 12

189

Jacques Copeau, «Nota per una conferenza ad Amsterdam», 21 gennaio 1922, in Appels, Galimard, Paris, 1974, p. 274

100


no delle forme di linguaggio teatrale, un linguaggio teatrale che trova nella libertà espressiva la propria cifra stilistica e nella nuova situazione spaziale un nuovo motore per la drammaturgia.

5.5.3.

Happening e performance

Il fenomeno dell’effimero panico si inscrive, nonostante la diffidenza di Jodorowsky verso questo tipo di nomenclatura 190, all’interno della categoria degli happening. A seconda della teorizzazione di questa “emanazione teatrale”, l’happening si fa risalire alle esperienze newyorkesi del 1959, oppure si colloca la sua origine in Giappone, o ancora nei mélange di musica e poesia dadaisti realizzati nei café di Zurigo negli anni 1916-21 ecc. Jodorowsky, riferendosi alle esperienze precedenti alla realizzazione del suo primo effimero, fornisce ben otto esperienze per lui esemplari, una cronologia che ha origine fin dall’Ottocento: l’Ubu Roi di Alfred Jarry tenutosi a Parigi nel 1896; Feet di Filippo Tommaso Marinetti del 1909; Sky Blue di Guillame Apollinaire del 1918; l’applicazione delle teorie del Bauhaus a partire dal 1919; il balletto Reluche di Francis Picabia, Erik Satie, Man Ray e Marcel Duchamp; Il teatro e il suo doppio di Antonin Artaud del 1932; Untitled Event di John Cage e Merce Cunningham del 1952 e infine una collage action di Allan Kaprow sfociata in un vero e proprio atto collettivo che inglobava artisti e pubblico, realizzato in una galleria d’arte di New York nel 1959 e chiamato per la prima volta pubblicamente happening. Jodorowsky, in ognuna di queste esperienze, afferma di trovare una fonte di ispirazione che ha 190

da Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 51: “Negli Stati Uniti, nell’ambito degli happening, era frequente abbandonarsi a una sorta di orge collettive, durante le quali i partecipanti andavano avanti ad accarezzarsi mentre fumavano marijuana. In numerose occasioni sono stato invitato a feste di questo genere a New York o in altri luoghi, ma ho sempre declinato l’invito perché mi sono reso conto in fretta che si trattava di vicolo cieco. In definitiva, tutto ciò si traduceva in una forma di pornografia occulta. Ebbene, la pornografia non è costruttiva, ma distruttiva: sotto un’apparenza di libertà, quello che in realtà ci propone è una nuova forma di schiavitù.”

101


concorso alla definizione dei tratti somatici dell’effimero panico e, in effetti. Degli happening come trattati dalla teatrologia attuale, una delle esperienze più significative nella formazione di questo genere fu certamente Untitled Event di Cage/Cunningham realizzato in un college americano nel 1952. Durante questa sperimentazione, il pubblico - posizionato al centro dello spazio - fa un’esperienza di “sincronicità” delle cinque arti fuse in un unico elemento in cui esse, pur partecipando ad un evento globale, mantengono fortemente la loro individualità espressiva. Sulla scena di Untitled Event si vedono contemporaneamente il musicista David Tudor suonare il pianoforte da un lato dello spazio scenico, il pittore Robert Rauschenberg azionare una victrola 191 davanti ad un’esposizione dei suoi stessi quadri, Cage leggere alcuni brani tratti dai testi tradizionali del buddismo zen, i poeti Charles Olson e Mary Richards recitare i loro versi e Merce Cunningham danzare occupando la scena e fungendo da legame a tutti gli altri elementi fissi. Ogni membro del gruppo realizzava autonomamente la propria esibizione, ma la fusione sincronica e lo sviluppo diacronico delle cinque singole arti rendevano possibile fare esperienza di una sesta arte totale, collettiva. In questa prima esperienza, come nelle successive realizzazioni di happening, l’esperienza teatrale/artistica esce dai luoghi ad essa tradizionalmente deputati e pian piano invade gli atelier, poi le gallerie d’arte e tutti gli altri luoghi, per riversarsi infine in strada. Questo spostamento aggredisce lo spettatore, il quale vede il suo spazio invaso da un mix esplosivo di ibridazioni e convivenze artistiche e non è in grado di affrontare questa potenza comunicativa. La nuova forma del fare 191

Fonografo incassato in un mobile di design realizzato a partire dal 1906 dalla casa discografica Victor.

102


teatro pone quindi un problema di natura teorica del tutto nuovo, che mette in discussione non solo l’idea di spazio teatrale, ma lo stesso fondamento del teatro: il principio di riproducibilità: Réaliser un happening, c’est créer une situation qui ne peut se reproduire deux fois de suite. - Salvador Dalì192

Al contrario di quanto tradizionalmente non avvenga, ovvero la ri-rappresentazione di un testo e/o di una pièce particolare per molteplici repliche (per esempio: i 25 anni di repliche de La cantatrice calva di Ionesco presso il Theatre de la Huchette di Parigi, o le oltre 6000 repliche messe in scena in Messico per 37 anni di fila 193 de il gioco che tutti giochiamo di Jodorowsky o anche le repliche de La tempesta di Strindberg per la regia di Giorgio Strehler, ancora oggi spesso in cartellone nella sua messinscena originale, 14 anni dopo la morte del regista), l’happening va in scena una sola volta. Come una farfalla che non vede mai l’alba per una seconda volta, l’happening esaurisce la sua forza vitale nel momento stesso in cui si gode il primo applauso. E anche se viene riproposto (come suole fare il Living Theatre) esso non è mai volutamente lo stesso spettacolo una seconda volta. Questa, nel mondo del teatro, è un’innovazione a tutti gli effetti perché, oltre ad essere la realizzazione di un nuovo linguaggio scenico, apre una nuova strada per presentare il problema della percezione teatrale, un percorso che ben presto assume connotati politici. La valenza dell’happening come strumento della comunicazione politica deriva dal fatto che in esso avviene una demistificazione globale della realtà (una scelta d’azio-

192

in Le Nouvel Observateur, n° 80, Paris, 25 maggio 1966, p. 28.

193

Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 18.

103


ne supera la semplice demistificazione del linguaggio e della logica espressiva già esplorate da Ionesco e Beckett), la critica contenuta negli happening quindi non investe una sola particolare tematica, ma è tutta l’intera struttura sociale ad essere messa sotto esame. La differenza fondamentale tra le esperienze precedenti e il lavoro dell’happening teatrale o della performance visuale sta nel fatto che i nuovi artisti non cercano di creare solo un nuovo linguaggio scenico o un nuovo metodo di comunicazione, ma puntano a rivoluzionare lo statuto dell’arte stessa trasformandola in uno strumento di critica socio-culturale. Di conseguenza quindi l’happening/performance comprende la trasformazione in azione fisica di un punto di vista intimo e personale talmente ampio e complesso che non può essere espresso con in tradizionali mezzi artistici, ma necessita di un concerto, di un mélange di mezzi e linguaggi espressivi; per questo happening e performance non sono ad esclusivo appannaggio dell’analisi teatrale e visuale/plastica, ma sfociano nella poesia, nella psicologia, nella politica ecc. Un così forte accanimento sulla realtà, una critica tanto violenta espressa con l’uso sincronico di più tecniche artistiche e libera dalle briglie del “lecito” e del “bello” rende happening e performance manifestazioni in un certo senso pericolose per il pubblico, perché mettono in crisi l’integrità del personaggio “uomo”, vero protagonista della messinscena. È proprio sulla crisi dell’uomo come falsa rappresentazione che Jodorowsky vuole lavorare e ottenere grazie al teatro panico la crescita spirituale dell’uomo: […] le panique soutient que l'objet doit être plus éphémère que l’homme, et qu’à son tour celui-ci doit perdre l'atavisme de “passer à l'histoire”, produit du moi individualiste angoissé.194

194

Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit. p. 65.

104


Il nuovo linguaggio teatrale non si pone più quindi come oggetto da guardare, come esposizione frontale di contenuti prestabiliti e per lo più creati in tempi lontani, ma si mescola con gli spettatori, li ingloba, ne accetta i condizionamenti e smuove attivamente la loro sensibilità, aspettandosi una risposta da essi: non solo lo spettatore percepisce il messaggio dell’attore, ma anche l’attore gestisce la sua performance a seconda della risposta del pubblico, in un concerto di suggestioni biunivoche soggetto fortemente agli accidenti del caso e quindi mai replicabile, ma unico in ogni messinscena. Volendo cercare di capire cosa spinga Jodorowsky a volersi distaccare da quegli artisti che dichiaratamente realizzavano happening, a parte la rovina pornografica 195, possiamo sintetizzare così le differenze fondamentali: •

Presenza di una drammaturgia; Les éphémères paniques ne sont pas des happenings; ce sont des spectacles dont l'action s’improvise à partir d’une structure dramaturgique.196

Presenza di una scenografia e di una partitura musicale; On dispose au départ d’une sorte de scénario sur lequel on travaille comme sur une pièce, mais en permettent constamment à notre inconscient de s’exprimer ainsi qu’aux parties de notre âme réprimées par la société.197

Nonostante la presenza di una struttura predefinita, non vi è nulla di obbligatorio; La représentation […] dépend beaucoup de la magie du moment.198

195

Cfr. nota n°184.

196

Fernando Arrabal in Aranzueque-Arrieta, Panique, op. cit., p. 90.

197

ibid.

198

ibid.

105


La possibilità è parte integrante della drammaturgia e l’effimero segue le regole della possibilità più che quelle della drammaturgia; Le hasard intervient quand se produit une circonstance magique. Cette situation magique est elle-même le fruit de difficultés survenues dans la marche de la cérémonie.199

La violenza è necessaria per la completa realizzazione dell’effimero; L’éphémère est un cérémonie magique, qui a quelque chose de tribal, de sacré, de primitif expriment avec violence les pulsions les plus souterraines qu’enferme notre âme.200

Nonostante però sia Arrabal che Jodorowsky sottolineino più volte la differenza tra l’effimero panico e l’happening (solo però a parole), non ci sentiamo di certificare questa presa di posizione, in quanto, ad eccezione dell’ultimo punto, le caratteristiche elencate non si possono di certo dire ad unico appannaggio dell’effimero; e, in ogni caso, anche l’ultimo punto, sebbene riscontrabile negli happening con minor frequenza, non è escluso dalle performance, soprattutto quelle ad opera di artisti visuali.

5.2. Melodramma Autosacramentale - Effimero 65 Come tutti gli effimeri, Melodramma Autosacramentale è la drammatizzazione di un carico emotivo personale che necessita di essere espresso con violenza catartica. In particolare, quest’effimero drammatizza tutte delle turbe psicologiche e i blocchi emotivi di Jodorowsky e per questo può definirsi un effimero autobiografico. Poiché inoltre viene realizzato come conclusione dell’intero periodo della ricerca teatrale dell’effimero esso è la summa di tutte le esperienze precedenti maturate in Messico, la massima espressione della teoria panica 199

Ibid.

200

Ivi, p. 90.

106


di Jodorowsky e della nuova applicazione della καθαρις. Poiché viene realizzato a cavallo tra il periodo messicano, pre-panico, e i periodo francese, panico, esso può essere definito come il punto di svolta dell’esperienza artistica di Jodorowsky; è infatti l’inizio di un periodo di allontanamento dalle scene terminato nel 1970201 e l’inizio della nuova ricerca artistica in campo cinematografico che porterà l’autore a notorietà internazionale. Ce happening a marqué la mort de ma carrière théâtrale; en six heures de spectacle, j’ai assouvi toutes mes ambitions, tous mes fantasmes en tant que metteur en scène. Ce fut dépouillement, une mise à mort de l’homme de théâtre que j’étais.202

5.2.1.

Trascrizione

Uno spazio scenico dal quale sono stati tolti tutti i tiri, le scenografie, ecc. In altre parole, una scena priva di tutte le sue futilità: muri nudi. Tutto è dipinto di bianco, perfino il suolo. Un’automobile nera (in buono stato); i vetri sono rotti in modo che vi si possano tenere dentro degli oggetti, utilizzare quello spazio come camerino, come posto per riposare, ecc. Due scatole bianche sulle quali sono disposti degli oggetti bianchi. Un tavolo da macellaio, una piccola ascia. Un boccione con dell’olio che bolle su un fornellino elettrico. Prima di alzare il sipario si brucia una grande quantità di incenso. Tutte le donne sono a seno nudo. Due di loro, stese a terra, sono completamente dipinte di bian201

Cfr. Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 468.

202

Alejandro Jodorowsky e Gilles Facet, La Tirchierie Sacre, Dervy-Livres, Paris, 1989, p. 58.

107


co. Un’altra donna, dipinta di nero, è sul tetto dell’automobile nera. Vicino a lei, un’altra, dipinta di rosa. Entrambe hanno i piedi dentro una piccola giara d’argento. Una donna con un vestito lungo argentato e i capelli pettinati a forma di mezzaluna si appoggia su due stampelle. Il suo intero viso mascherato, perfino il naso e la bocca. Due buchi sul vestito rivelano i capezzoli, un altro rivela la sua peluria pubica. Porta con se un gran paio di forbici d’argento. Un’altra donna ancora, che usa un cappuccio da boia, grandi stivali di cuoio, una grossa cintura. Ha una frusta in mano. I suoi seni sono ricoperti con uno scialle nero. Gruppo di rock’n’roll: sei ragazzi con i capelli all’altezza delle spalle. Nessuno deve aver preso delle droghe, tranne i musicisti. Una rampa unisce la scena al pubblico. Gli oggetti e i costumi utilizzati durante lo spettacolo saranno lanciati agli spettatori. Apertura improvvisa e roboante del sipario. La calma prima della tempesta. Appaio io, vestito con un abito di plastica nera luccicante, pantaloni alti come quelli di un netturbino, stivali di caucciù, guanti di cuoio, grosse lenti di plastica. Sulla testa un casco da motociclista, bianco, come un grande uovo. Due oche bianche. Taglio la loro gola. Esplode la musica: cascata di chitarre elettriche. Gli uccelli deambulano, agonizzanti. Le piume volano. Il sangue spruzza sulle due donne bianche. Trance. Ballo con loro. Le colpisco con i cadaveri. Rumore di morte. Sangue. (Avevo previsto di sgozzare gli uccelli sul tavolo da macellaio. Ma nel mio stato di trance, portato da una forza strana, ho tirato loro il collo con le mani con la stessa facilità con cui avrei stappato una bottiglia). 108


La donna rosa, sempre coi piedi nella giara, muove le anche mentre quella nera come una schiava, comincia a coprirle il corpo con del miele. Distruggo le oche sul tavolo da macellaio . La donna argentata apre e chiude violentemente le forbici. Ah, quel rumore metallico! Passa le forbici alle due donne bianche che cominciano a tagliare la plastica nera mi distruggono il vestito. Perdo gli stivali e i guanti. Curiosamente possedute anch’esse, le due donne finiscono strappandomi il vestito con le sole mani. Il mio corpo è allora rivestito con venti libbre di bistecche, cucite come una camicia. Ululando, le donne si scagliano sulla carne rossa e la rompono in piccoli pezzi. Li danno alla donna argentata. Con un enorme cucchiaio argentato, questa introduce con calma le bistecche nell’olio bollente. (la vicinanza del fornelletto e dei corpi sudati delle donne produce delle scariche elettriche). Ogni pezzo di carne fritto è messo su un piatto bianco; le donne offrono i piatti alla vista del pubblico. Io continuo vestito con dei pantaloni di cuoio nero. Un fallo fatto della stessa materia è appeso perpendicolarmente al suolo. Ho dei braccialetti di cuoio ai polsi e alle caviglie: omaggio a Maciste, l’ercole del paese italiano. Concentrazione. Karate-kata. Raccolgo l’ascia e taglio a colpi il mio fallo di cuoio sul tavolo da macellaio. La donna nera, cosciente del suo scheletro, danza, muove le proprie ossa come un burattino, mentre io rompo i piatti bianchi a martellate. Le donne bianche danzano senza fermarsi. Quando si sentono stanche, adottano la posizione di zazen. Prendo una cornice di metallo. Lentamente alzo lo scialle nero che copre i seni del boia. La pelle non è dipinta. Ha dei seni forti e sani, un corpo potente. 109


Le passo la cornice attorno al collo, dando la schiena al pubblico. La donna mi da una frustata. Traccio una linea rossa sul suo seno destro con un rossetto. Seconda frustata. La linea comincia nel plesso solare e discende fino alla sua vagina. (la prima frustata fu forte, ma non abbastanza: c’era bisogno di più. Cercavo uno stato psicologico che mi era sconosciuto fino ad allora. Doveva sanguinare per trascendermi, per rompere la mia propria immagine. Il secondo colpo mi marcò istantaneamente. Quindi il boia perse il controllo, perché aveva sognato molte volte di dare delle frustate ad un uomo. La terza volta, completamente eccitata, mi diede una frustata con tutte le forze. La ferita ci mise due settimane a guarire). La donna vuole continuare a colpirmi, mi spinge con tutte le forze. Con l’apparato attorno al collo, mi rigiro e cado per terra. (avrei potuto rompermi le vertebre cervicali, ma nello strano stato emozionale in cui mi trovato il tempo diventava lento e, come se mi trovassi dentro un film a rallentatore, riuscii a rialzarmi senza farmi assolutamente niente). Le torno il seno per calmarla. Calma. La donna nera mi porta dei limoni. Ah, quel colore giallo! Li dispongo per terra a cerchio. Mi inginocchio al centro. Un parrucchiere professionista, quasi paralizzato dalla paura, si avvicina per tagliarmi i capelli. La donna coperta di miele scende dal tetto dell’automobile. Ballo con lei. Ballo con lei. Desideri sessuali, con una forza onirica. Le sue calze sembrano riassumere tutta l’ipocrisia sociale. Glie le sfilo senza preamboli. Scivolano sulle sue cosce piene di miele. Api. L’impatto del suo pube nero. La sottomissione della donna. I suoi occhi semichiusi. La sua accettazione naturale della nudità. Libertà. Purezza. Lei si inginocchia vicino a me. Sul suo corpo, partendo dal ventre, appiccico i capelli che mi tagliano. 110


Voglio dare l’impressione che i suoi peli pubici crescano come un bosco e invadano tutto il suo corpo. Le mani del parrucchiere sono paralizzate per l’ansia. È il boia che deve finire di radermi la testa. Due modelle di Catherine Hurley, aliene a tutto quello che sta succedendo e piene di panico all’idea di sporcare i loro vestiti di seta molto costosi (affittati per l’occasione) vanno e vengono portando in scena 250 grandi pani. In quel momento il mio cervello è in fiamme. Tiro fuori da un fisco d’argento quattro serpenti neri. All’inizio cerco di attaccarmeli sulla testa con del nastro adesivo, a mo’ di capelli, ma cedo alla tentazione di dispormeli sul petto come due croci vive. Il sudore me lo impedisce. I serpenti mi ondulano attorno alle mani come acqua viva. Nozze. Inseguo la donna rosa con i serpenti. Lei si nasconde nell’auto. Come una tartaruga nel suo guscio. Ci balla dentro. Mi sembra un pesce dentro un acquario. Spavento una delle due modelle. Lei lascia cadere il pane e salta all’indietro. Uno spettatore ride. Le butto il pane sul viso. (Durante un Ricevimento, alcuni giorni dopo, quella donna mi si avvicinò e mi disse che, al ricevere il pane in pieno vivo, aveva sentito la sensazione di comunicarsi, come se io le avessi introdotto una gigantesca ostia attraverso il cranio). All'improvviso, lucidità: vedo il pubblico seduto lì sulle poltrone, persone paralizzate, isteriche, eccitate, però immobili, senza partecipazione corporale, terrorizzate dal caos che sta per divorarli: devo lanciar loro i serpenti o farli esplodere. Mi trattengo. Respingo lo scandalo facile di un panico collettivo. Calma. Violenza della musica. Gli amplificatori a tutto volume. Mi vesto con dei pantaloni, una camicia e delle scarpe arancioni. Il colore di un buddista brucato vivo. Esco e ritorno con una 111


pesante croce fatta con due travi di legno. Sulla croce, un pollo crocifisso a testa in giù, il culo verso l’alto, con due chiodi sulle zampe, come un cristo decapitato. L’ho lasciato marcire per una settimana. Sulla croce, due cartelli stradali: in basso un cartello con un freccia e la scritta: “Uscita in alto”; sopra il pollo un cartello con la scritta: “ Uscita interdetta”. Consegno la croce alla donna argentata. Ne porto un’altra. Due cartelli stradali: sempre uno sotto che indica verso l’alto; sempre uno sopra che proibisce di uscire. Passo la croce ad una delle donne bianche. Porto una terza croce. La consegno all’altra donna bianca. Le due donne cavalcano le croci trasformandole in giganteschi falli; lottano tra di loro; una di esse introduce la punta della croce attraverso la finestra dell’automobile, simula i movimenti di una atto sessuale con l’automobile. Dispongo la giara di fronte alla croce. Il pollo crocifisso è scosso al di sopra delle teste degli spettatori. Lasciamo cadere le croci. Scelgo tra i musicisti quello che ha i capelli più lunghi. Lo alzo. È più rigido di una mummia. Lo vesto con un abito da papa. Lo copro con la stola. Le donne, in ginocchio, aprono la bocca e turano fuori la lingua il più possibile. Compare un nuovo personaggio: una donna vestita con un abito tubolare, come un lombrico in piedi. Tramite quest’abito voglio suggerire l’idea di una “forma papale” in decomposizione. Un papa trasformato in camembert. Il musicista, imitando i movimenti di un sacerdote apre una lattina di frutta sciroppata. Mette mezza pesca gialla dentro la bocca di ognuna delle donne. Queste la inghiottono in un sol boccone. Ostia imbevuta di sciroppo! Fa la sua apparizione una donna incinta. Pancia di cartone. Il 112


papa nota che ha una mano di gesso. Prende l’ascia la rompe in mille pezzi. Le apre lo stomoaco servendosi di una forbice (devo controllarlo per evitare che la ferisca realmente). Le mette le mani dentro lo stomaco, dal quale estrae delle lampadine elettriche. La donna grida come se stesse partorendo. Si alza, ira fuori dal seno un bebè di caucciù e con questo colpisce il papa in pieno petto. Il bambolotto cade a terra. La donna si ritira. Raccolgo il bebè gli apro il ventre con uno scalpello ed estraggo da suo interno un pesce vivo nelle convulsioni dell’agonia. Fine della musica. Assolo brutale di batteria. Il pesce continua a contorcersi; il batterista scuote alcune bottiglie di champagne fino a che esplodono. Vedendo come la schiuma ricopra tutto, il papa ha un attacco di epilessia. Il pesce muore. La batteria tace. Lancio l’animale al di sopra della rampa. Cade in mezzo al pubblico. Presenza della morte. Tutti escono di scena tranne me. Musica ebrea. Inno atroce. Lentezza. Due immense mani bianche mi lanciano una testa di vacca. Pesa otto chili. La sua bianchezza, la sua umidità; i suoi occhi, la sua lingua… Le mie braccia sentono il suo gelo. Io stesso divento gelido. Per un attimo, mi trasformo un quella testa. Sento il mio corpo: un cadavere sotto la forma di una testa di vacca. Cado in ginocchio. Voglio ululare. Non riesco a farlo perché la bocca della vacca è chiusa. Introduco l’indice nei suoi occhi. Le mie dita scivolano sulle pupille. Non sento niente, a parte il mio dito - satellite sensibile che gira intorno ad un pianeta morto. Mi sento come la testa della vacca: cieco. Desiderio di vedere. Buco la lingua con un punzone; apro le mandibole. Tiro la lingua. Dirigo la testa, con la bocca aperta verso il cielo, allo stesso tempo in cui alzo la mia con la bocca aperta. 113


Esce un ululato, ma non da me, bensì dal cadavere. Guardo il pubblico un’altra volta. Immobile, gelido, fatto di pelle di vacca morta. Tutti siamo quel cadavere. Lancio la testa in mezzo alla sala. Questa diventa il centro del nostro cerchio. Entra un rabbino, le immense mani bianche erano sue. Porta sistemato un cappotto nero, un cappello nero, una barba bianca tipo Vecchio Pascuero. Cammino come Frankenstein. Sta in piedi su una giara d’argento. Tira fuori tre bottiglie di latte da una valigia di cuoio. La versa nel suo cappello. Gli sfrego la guancia contro la sua. Il suo viso è bianco. Facciamo un bagno di latte. Battesimo. Mi prende per le orecchie e mi dà un bacio appassionato sulla bocca. Le sue mani mi afferrano le natiche. Il bacio duira vari minuti. Tremiamo, elettrizzati. Kaddish. Con un matita nera mi traccia due linee dagli angoli della bocca fino al mento. La mia mandibola sembra ora quella di una bambola ventriloqua. Lui è seduto sul tavolo da macellaio. Una delle sue mani mi è appoggiata alla schiena come se volesse passare attraverso di essa, tagliarmi la colonna vertebrale, introdurre le sue dita dentro la mia scatola toracica e pressarmi i polmoni per forzarli a gridare o a pregare. Mi obbliga a muovermi. Mi sento come una macchina, come un robot. Angoscia. Devo smettere di essere una macchina. Lascio cadere la mano tra le sue gambe. Gli apro la patta. Introduco la mano e con una forza inusitata estraggo una zampa di chancho203, simile all’immagine del fallo di mio padre quando avevo cinque anni. Ritiro l’altra mano impugnando un paio di testicoli di toro. Apro le braccia a forma di croce. Il rabbino ulula come se fosse stato castrato. Sembra morto. La musica ebrea diventa più forte; ogni volta più malinconica. Appare un macellaio, vestito con un cappello, un cappotto, ha 203

maialino da latte.

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un barba nera, il grembiule pieno di sangue. Stende il rabbino e comincia l’autopsia: introduce le mani nel cappotto ed estrae un enorme cuore di mucca. Odore di carne. Inchiodo il cuore sulla croce. Lungo pezzo di budella. L’inchiodo. Il macellaio esce. Terrorizzato, alzo il cappello del rabbino. Tiro fuori il cervello di mucca. Me lo faccio scoppiare sulla testa. Prendo la croce e la metto vicino al rabbino. Tiro fuori dalla valigia un lungo nastro di plastica rossa e lego all’uomo alla croce coperta di budella. Alzo tutto l’insieme: legno, carne, vestiti, corpo, e lo lascio cadere per la rampa che scende fino al pubblico. (il peso totale è di 125 kg: però nonostante la violenza del colpo, l’uomo non sentì niente, né si fece il minimo graffio). Entrano le donne bianche, nere, rosa ed argentata. Si inginocchiano. Attesa. Entra un nuovo personaggio: una donna coperta di raso nero tagliato a triangoli, una specie di ragnatela. Un canotto di gomma di tre metri di lunghezza va legato al suo vestito e sembra un'enorme vulva. Plastica arancione gonfiata ad aria. Il fondo del gommone è di plastica bianca. Simbolo: l’imene. Danza. Lei mi fa dei segni. Quando mi avvicino, lei mi respinge. Quando mi allontano, lei mi segue. Si arrampica su di me. Il gommone mi copre completamente. Prendo l’ascia. Rompo il fondo bianco. Ululato. Spacco il tessuto e mi rifugio nella vagina. Rimango tra le sue gambe, nascosto nel satin nero. Da un sacco nascosto vicino al sui ventre estraggo quaranta tartarughe vive che lancio sul pubblico. Sembrano uscire dall’enorme vagina. Come pietre vive, si direbbe. Comincio a nascere. Grida di una donna che partorisce. Cado 115


per terra in mezzo al vetro delle lampadine elettriche, dei pezzi di piatto, delle piume, del sangue, delle esplosioni, dei fuochi d’artificio (mentre mi radevano la testa accesi 36 fuochi, uno per ciascun anno della mia vita), pozzanghere di miele, pezzi di pesca, limoni, pane, latte, carne, stracci, schegge di legno, chiodi, sudore: rinasco in questo mondo. Le mie grida sono simili a quelle di un neonato o di un anziano. Il vecchio rabbino con enormi sforzi, esegue piccoli salti a destra e a sinistra, legato alla croce come un maiale agonizzante, si libera dal nastro di plastica. Esce. La donna-madre spinge verso di me la donna nera. La alzo. La porto verso il centro della scena, lai ha le braccia aperte a forma di croce. Un cadavere-croce. La pittura nera suggerisce una cremazione: la mia propria morte. Dandomi la vita, la donna ha buttato la morte tra le mie braccia. Macchiato dal trucco della mia compagna, comincio a diventare completamente nero, il mio viso sembra quello di un uomo bruciato. Le donne ci legano l’un l'altro con delle bende. Sono legato a lei per la vita, le braccia, le gambe e il collo. Questo cadavere ossuto è incastrato dentro di me e io sono incastrato in lei. Sembriamo due siamesi: come se fossimo una sola persona. Lentamente, improvvisiamo una danza. Ci lasciamo cadere a terra. I movimento non sono né miei né suoi, bensì contemporaneamente di entrambi. Possiamo controllarli. Le donne bianche e rosa ci spruzzano con sciroppi di menta, di cassis e limone. Il liquido viscoso, verde, rosso e giallo ci ricopre; mescolato con la polvere, forma una specie di fango. Magma. Il sipario comincia a scendere lentamente. I nostri due corpi si aggrappano l’uno all’altro, come due colonne. Vogliamo alzarci, cadiamo. Si liberano trecento uccelli vivi che volano per tutto il teatro. 116


Si chiude il sipario.

5.2.2.

Analisi

Il Melodramma Autosacramentale è la messa in pratica conclusiva del metodo panico da parte di uno dei suoi stessi componenti e contemporaneamente è il momento più alto della ricerca panica di Jodorowsky. All’interno dello spettacolo si dispiegano tutti i punti saldi fin ora analizzati della teoria panica e nello stesso momento la loro applicazione portò l’ideatore dello spettacolo a credere che allontanarsi dalle scene fosse necessario per continuare nella ricerca del linguaggio espressivo artistico. Dal punto di vista dei risultati sperati, Jodorowsky porta a casa solo un risultato parziale o presunto tale: se il Melodramma Autosacramentale realizza veramente e in profondità il mutamento di status emotivo e spirituale che Jodorowsky e Arrabal prospettavano

di rag-

giungere per trasformare il partecipante in uomo panico, questo mutamento avviene solo nel protagonista della performance, Jodorowsky, e in pochi altri. Il pubblico resta shoccato, stupito e di certo non indifferente a quello che gli viene somministrato in quelle quattro ore di spettacolo, ma di certo non si realizza un “miracolo collettivo” che invece speravano i suoi promotori. Come si legge in un passaggio della trascrizione dello spettacolo: All'improvviso, lucidità: vedo il pubblico seduto lì sulle poltrone, persone paralizzate, isteriche, eccitate, però immobili, senza partecipazione corporale […].204

A parte questo parziale fallimento, parziale perché non esistono testimonianze scritte di un fallimento dal punto di vista della crescita

204

Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, op. cit. p. 455.

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spirituale 205, la messinscena riesce a realizzare tutti gli obiettivi teorizzati: la creazione del caos, il sacrificio, la violenza catartica ecc. Per comprendere al meglio la forza vincente di questo evento è necessario analizzarne approfonditamente ogni punto, iniziando dal titolo, che già in partenza ci indica qual è il motore principale dello spettacolo. Melodramma e Autosacramentale sono infatti due tipi di spettacolo molto importanti nella storia del teatro e in questo caso vengono utilizzati come titolo poiché fungono da coordinate nella comprensione del messaggio di Jodorowsky. Il melodramma nasce come intrattenimento drammatico accompagnato da una partitura musicale che verso il XIX secolo acquisirà il senso più ampio di dramma popolare, caratterizzato da intrighi ed episodi violenti; quindi, soprattutto in area francese dove trovò ampi margini di sviluppo drammaturgico, la nomenclatura melodramma suggerisce che il tipo di spettacolo rappresentato sarà caratterizzato da azioni violente e da un’importante componente musicale. Inoltre melodramma, grazie al lavoro di Molière sui tipi fissi del melodramma e sull’evoluzione caratteriale dei personaggi, suggerisce l’idea di una trama in cui il male e l’angoscia dei personaggi viene purificata e l’elemento generatore del caos viene ricondotto all’ordine. Quindi grazie al richiamo al melodramma dovremmo intuire che l’effimero realizzato sarà caratterizzato da personaggi universali, da un processo che porta dal caos all’ordine, da un buona dose di violenza e dalla musica. Anche autosacramentale è un termine denso di significato: rimanda ai tableaux vivent di tema religioso utilizzati (in forma embrionale) fin dal Medioevo in occasione delle feste religiose (ad esempio Il Quem quaeritis? usato durante le celebrazioni pasquali). L’idea dell’autosa205

Mentre invece ne esiste un numero cospicuo che afferma la buona riuscita dello shock teatrale, una su tutte quella di Ferlinghetti.

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cramentale è quindi principalmente legato ad un’idea di liturgia ecclesiastica e di sacramento, quindi introduce l’elemento di solennità, ritualità e sacralità dell’effimero, che di fatto è la celebrazione della morte del falso ego a vantaggio della nascita di un nuovo uomo, l’uomo panico. La nascita ufficiale dell’autosacramentale inteso in senso definitivo si ha in corrispondenza del Siglo de Oro spagnolo (non a caso uno dei momenti della storia del teatro più apprezzati da Jodorowsky ed Arrabal), quando la produzione di spettacoli avveniva in occasione della celebrazione del Corpus Domini in particolare a partire dalla metà del XVI secolo, quando la festa liturgica venne regolamentata dalla riforma cattolica che mette fine alle rappresentazioni paraliturgiche e ristabilisce una rigorosa morale cristiana all’interno di queste manifestazioni festose, di fatto assorbendo il teatro profano in quello religioso. Il primo autosacramentale con drammaturgia definita debutta nel 1677 con le opere di Félix Lope de Vega e raggiunge l’apice con Pedro Calderon de la Barca. Nell’autosacramentale le tematiche principali sono quelle della morale religiosa, ma si possono generalizzare affermando che alla base di ogni idea drammaturgica vi era la volontà di rappresentare il dramma metafisico della lotta tra la natura oscura dell’anima e la luce divina. Anche in questo genere, come nel melodramma, c’è la presenza di figure portatrici di caratteri universali, in questo caso addirittura la personalizzazione di concetti astratti come la Giustizia, la Verità, la Salvezza ecc. Quindi il richiamo all’autosacramentale da un lato ci suggerisce l’ispirazione a rappresentazioni barocche grandiose come quelle del Siglo de Oro e dall’altro ci suggerisce che quello che avverrà in scena è un rituale sacro, che permetterà a chi ne prende parte di entrare in contatto con una dimensione superiore e di riuscire così ad ottenere l’illuminazione e un’elevazione del proprio status. Per analizzare con dovizia di particolari lo svolgimento dell’effime119


ro del ’65, possiamo suddividerlo in 15 momenti fondamentali: 1. Apparizione 2. Sacrificio animale 3. Uscita dalla quotidianità 4. Recupero dell’animalità 5. Abbandono dei vizi terreni 6. Supplizio 7. Primo passo nel “tempio” 8. Concepimento 9. Eucarestia 10. Sacrificio del primo nato 11. Battesimo 12. Parricidio 13. Ri-nascita 14. Unione con la morte 15. Liberazione spirituale La scena si presenta agli occhi del pubblico celata dal sipario, il pubblico entra quindi in uno spazio neutrale, quello della sala teatrale, in cui però il forte odore di incenso, bruciato in grande quantità, introduce già dal primo momento in una dimensione sacrale. L’apertura del sipario è “improvvisa e roboante”, e la scena è ingombra di suppellettili e di figuranti. È concepita per risultare una sorta di “terra di nessuno”, a cavallo tra mondo interiore (il palco) e il mondo esteriore (la platea) messi in relazione da una pedana inclinata. Apparizione In questo momento viene presentato il protagonista dell’atto, il prescelto che sarà iniziato ad uno stato di conoscenza superiore. Jodorowsky appare completamente coperto, quasi nascosto dagli abiti, dal 120


casco e dai grossi occhiali. I vestiti di plastica nera lucida lo fanno sembrare un grande scarafaggio umano, una forma di vita tra le più basse, e allo steso tempo come un uomo completamente isolato da ciò che lo circonda, sterile. Il casco bianco sul corpo nero risulta come un’aureola protettrice o come la cima di un totem moderno. La grande quantità di strati sintetici che coprono il corpo di Jodorowsky sembra volerci dire che l’epoca moderna ci ha insegnato a tenerci alla larga da quello che ci circonda, fino a farci vivere in modo asettico, privo di contaminazioni con l’esterno. Sacrificio animale L’oscuro personaggio afferra due grandi oche bianche presenti sulla scena, le sgozza e dopo averle lascia girare agonizzanti per il palco le fa a pezzi. Il primo atto di violenza si svolge a brevissima distanza dall’apertura del sipario, in un crescendo disperato della musica. Serve a Jodorowsky per introdurre la realizzazione del sacrificio umano che avverrà in seguito e per simboleggiare l’idea che durante la rappresentazione nulla è “fuori pericolo”, nulla può fuggire alla potenza catartica dell’effimero. Uscita dalla quotidianità A seguito del sacrificio animale, le donne presenti in scena, strappano gli abiti di Jodorowsky lasciandolo seminudo. Prima due oche bianche venivano sgozzate da un uomo in nero, ora due donne dipinte di bianco si accaniscono sull’uomo in nero. Il parallelo è molto forte e fa capire subito che lo stesso Jodorowsky subirà la stessa sorte delle oche. Nell’atto della denudazione del protagonista inoltre sono contenute due idee: la liberazione degli abiti neri richiama l’opera al nero, il primo stadio del processo alchemico e quindi suggerisce che il sacrificio porterà ad uno status positivo, l’oro; in secondo luogo, la liberazio121


ne dalla protezione dall’esterno, costituita da abiti comuni (stivali di gomma, occhiali da operaio, guanti da lavoro) suggerisce che per compiere questo percorso non solo è necessario spogliarsi delle proprie certezze, ma anche dell’immobile quotidianità, dalla civiltà. Recupero dell’animalità A seguito dell’abbandono dei legami con la civiltà razionale, vi è la fase del recupero dell’animalità: il corpo di Jodorowsky è rivestito con delle bistecche cucite insieme in modo da formare una giacca di carne. L’identificazione tra l’uomo è l’animale è completa e prepara in terreno al sacrificio di Jodorowsky. Come in un vero processo alchemico, il percorso del Melodramma Autosacramentale prevede diverse tappe di presa di coscienza e di abbandono di status pregressi, un cammino verso un nuovo status dell’uomo, un’età d’oro in cui il livello di coscienza ne uscirà riabilitato e accresciuto. La furia delle donne, che ululando strappano i pezzi di carne e li cuociono, è da considerarsi come un vero e proprio sacrificio pagano, sacrificio dei vizi e delle pulsioni che fanno parte della natura animale dell’uomo. Attuandosi un sacrificio, si introduce nello spettacolo un ulteriore elemento sacro; ogni sacrificio infatti è strettamente legato ad un aspetto di purificazione, di cambio di status, ottemperato necessariamente all’interno di una dimensione di sacralità. Abbandono dei vizi terreni Liberato dal legame con la quotidianità, abbandonata l’animalità e entrato quindi nel processo di sacrificio, Jodorowsky passa alla prima mutilazione: quella del sesso. Spogliato dalle furie era rimasto vestito di bracciali di cuoio ai polsi e alle caviglie 206 e di un perizoma fornito di

206

omaggio a Maciste l’eroe di infinita forza e bontà nato con Cabiria, celebre kolossal italiano del 1914, diretto da Giovanni Pastrone e interpretato da Bartolomeo Pagano.

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un fallo di cuoio. Mentre le donne offrono al pubblico la carne strappata dalla giacca della scena precedente, Jodorowsky attua un’automutilazione del finto sesso e lo distrugge con un’ascia per poi continuare l’atto di distruzione rivolgendosi ai piatti con cui era stata offerta la carne al pubblico. Supplizio Nudo, senza sesso e privo di armi, l’embrione dell’uomo nuovo mette in atto realmente il sacrificio di sé che fino a questo momento era stato solo un simbolo. Una delle donne, chiamata “il carnefice”, vestita di nero e a seno nudo, frusta Jodorowsky con foga sempre maggiore. Il dolore, il sangue e la sofferenza non sono più tenuti lontani dal pubblico, ma lo colpiscono direttamente; sono trascorse infatti già due ore dall’inizio dello spettacolo e tutte le azioni sceniche si sono fatte sempre più violente e indirizzate all’uomo, ma fin ora sono rimaste sempre velate grazie all’uso del simbolo o dal fatto di essere indirizzate ad animali o a oggetti. Queste azioni si sono svolte in direzione progressiva verso l’uomo e questo percorso (oche, carne, fallo finto fino a toccare realmente l’artista) ha potuto preparare il terreno avvicinando il pubblico gradualmente a qualcosa di veramente violento, stimolando sia la natura voyeuristica tipicamente umana (quindi tendo alta l’attenzione verso la scena) che al contempo il meccanismo di immedesimazione. Quando Jodorowsky urla realmente e sanguina realmente in scena il pubblico non ha più via di scampo ed è obbligato ad unirsi empaticamente alla sofferenza dell’artista. A livello di messaggio, Jodorowsky vuole esattamente trascinare il pubblico all’interno delle proprie emozioni, a livello simbolico invece il primo passo del processo alchemico è terminato e l’uomo, privato dei vizi, dell’animalità e sperimentato il dolore è pronto ad innalzarsi ad un livello di coscienza supe123


riore. Primo passo nel “tempio” Terminata la flagellazione, Jodorowsky si siede al centro di un cerchio di limoni gialli, colore dell’illuminazione e, pronto ad entrare nel tempio in cui troverà la crescita spirituale, si fa rasare i capelli, come un monaco novizio. Concepimento Introducendo una nuova tematica, quella del sesso, Jodorowsky appiccica i capelli appena tagliati al pube e al corpo una donna coperta di miele 207 e poco dopo trae da un fiasco d’argento - simbolo della luna e quindi della femminilità e della fertilità - alcuni serpenti . Tenendoli in mano o sul corpo insegue una delle donne. Il parallelo tra l’inseguimento, l’uso dei serpenti e l’accoppiamento è di facile lettura. Mentre si prepara il terreno al successivo concepimento, alcune modelle portano in scena numerose forme di pane e introducono così il primo di tre fortissimi simboli cristiani: eucarestia, crocifissione e battesimo. Nel frattempo Jodorowsky compie il secondo passo nel tempio (dopo la rasatura dei capelli) e indossa abiti arancioni, tipici dei monaci buddisti. Vestito in questo modo introduce in scena due enormi croci che le donne afferrano e cavalcano, trasformandole in falli e utilizzandole per compiere un simbolico atto sessuale. Il richiamo al concepimento è sempre più evidente. Eucarestia Creando un potente contrasto, volendo anche blasfemo, con lo sproporzionato e androgino atto sessuale appena terminato, Jodo-

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Il miele nell’intera opera di Jodorowsky è sempre simbolo della pace, dell’amore e delle buone intenzioni. Elemento fondamentale nella psicomagia, il miele viene prescritto in tutti gli atti psicomagici in cui è prevista una rappacificazione tra elementi in contrasto e quindi è sempre caricato di forza positiva.

124


rowsky introduce il personaggio del Papa e quello del Papa decomposto, rappresentati nell’ordine da un musicista vestito di una stola e da un altro attore vestito con un costume da lombrico simile a quelli usati negli spettacoli di Alvin Nikolis (un travestimento obiettivamente poco incisivo). Il Papa comunica le donne presenti in scena dando loro una mezza pesca, altro elemento di colore giallo che prelude all’età dell’oro alla fine dello spettacolo e che ne aumenta l’aspetto cerimoniale. Sacrificio del primo nato A questo punto viene inscenato il secondo tra i passaggi più forti di tutta l’opera (la flagellazione, il sacrificio del primo nato e successivamente la rinascita). Con la complicità del Papa, Jodorowsky si accanisce su una donna incinta: prima il Papa distrugge la sua mano posticcia e poi inscena uno sconvolgente parto cesareo; aprendo il ventre gonfio della donna con della grosse forbici estrae un grande numero di lampadine elettriche, simbolo che la futura “rinascita illuminata” di Jodorowsky è prossima; terminato il cesareo, Jodorowsky prende dal seno della donna una bambola a forma di neonato e lo sacrifica davanti a tutti aprendogli il ventre e estraendone un pesce vivo che tra contorsioni dolorose termina la sua agonia morendo in prossimità del pubblico. La scena è resa ancora più forte e totalizzante dalla musica che sale progressivamente fino a essere un assolo brutale di batteria e che, dopo la morte del pesce, tace lasciando il teatro nel silenzio totale. La morte è ora fisicamente giunta tra gli spettatori tramite il pesce e diventa chiaro che l’accettazione di essa fa parte del processo di rinascita e illuminazione. La forza di questa scena è probabilmente collegata anche all’esperienza personale di Jodorowsky, che durante i primi 4045 anni di vita non riuscì mai ad affrontare l’idea della morte o la sua accettazione. In questo caso quindi la scena, oltre ad essere un’indica125


zione del percorso da intraprendere per giungere all’illuminazione catartica è il tentativo personale dell’autore di superare il proprio blocco nei confronti della morte 208. La scena non termina con questo primo tentativo di catarsi, ma prosegue in un’immedesimazione di Jodorowsky con una testa di vacca lanciata in scena dalle quinte. Difficilmente le sensazioni provate dall’autore durante la manipolazione della testa furono capite dal pubblico, ma di certo era chiaro che Jodorowsky si stava trasformando nella prossima vittima sacrificale. Battesimo La scena che segue è quella maggiormente autobiografica e contiene il tentativo di Jodorowsky di sublimare e risolvere i conflitti avvenuti in gioventù con la figura castrante del padre. Il rabbino gigante che entra in scena infatti rappresenta il basso e ateo Jaime, in un gioco di contrari che unisce in quel personaggio il simbolo dell’ingombrante figura paterna di Jaime Jodorowsky, ma anche ciò che per il pubblico funge da tramite tra la divinità e l’uomo. In sostegno a quest’affermazione possiamo notare che il rabbino è entrato in scena esattamente in risposta alle urla rivolte da Jodorowsky verso il cielo a seguito del suo accanirsi contro la testa di vacca. Il rabbino porta in scena delle bottiglie di latte con cui battezza Jodorowsky sancendo così la riuscita dei passaggi di rinuncia compiuti in precedenza e suggellando la sua preparazione con una cerimonia liturgica. Parricidio Trasformato in una bambola ventriloqua, Jodorowsky rivive i condizionamenti paterni subiti durante l’infanzia e se ne libera inscenando il parricidio. Procede prima con la castrazione del rabbino, ribellione al 208

Cfr. par. 3.

126


machismo paterno e poi, una volta terminata l’operazione del rabbino che ormai sembra morto, inscena la crocifissione del cadavere su una delle croci con cui le donne simulavano precedentemente l’atto sessuale. La scena è quella con maggior componente autobiografica (e quindi catartica) poiché riassume in pochi atti tutta la sofferenza infantile dell’autore, i condizionamenti familiari che hanno reso negli anni necessario il processo di totale emancipazione dalla famiglia fin anche all’organizzazione dell’effimero stesso. Il rabbino infatti non è solo castrato e ucciso, ma subisce anche una lunga autopsia, come a voler dire che l’autore ha analizzato ogni singolo episodio della propria vita legato a suo padre, e più in grande alla famiglia, e l’ha superato (o cerca di superarlo) con grande sacrificio, per raggiungere un nuovo status di coscienza e di conoscenza. Ri-nascita Eliminato il cadavere del padre e quindi la zavorra di tutte le sofferenze passate, Jodorowsky è una creatura nuova, pulita, purificata e pronta a rinascere. Il processo di rinascita viene inscenato con l’ingresso in scena di una donna il cui vestito è composto da un grande canotto col fondo bianco. Bucando la plastica bianca e passando così attraverso le pareti del canotto il pubblico assiste alla nascita di un nuovo uomo dalla vagina di una vergine. Il peccato è quindi simbolicamente allontanato, la colpa già espiata, la morte accettata come processo della vita e l’uomo nuovo è pronto a vedere la luce e la fine del processo di ascensione verso la vita panica. Unione con la morte Così nato, non in un terreno sterile, ma nella scena imbrattata di tutti i materiali utilizzati durante lo svolgimento dello spettacolo (sangue, miele, capelli, piume, plastica, vetri ecc.), Jodorowsky è pronto 127


ad affrontare la vita e la morte conscio di tutti gli elementi che compongono entrambe. Appena nato, danza con una donna dipinta di nero che toccandolo lo macchia della stessa pece di cui è coperta. La donna è la personificazione della morte e Jodorowsky, accettando di danzare con lei e di lasciarsi contaminare dal colore suo corpo vuole comunicare che il percorso è giunto al termine e la paura dell’aldilà è scomparsa, ma anzi è entrata di diritto a far parte della nuova vita come processo necessario per la liberazione. Liberazione spirituale Mentre Jodorowsky danza abbracciato alla morte, la scena si chiude. L’inizio di una fase della vita serena e panica è testimoniato dalla liberazione di trecento uccelli che si alzano in volo per tutto il teatro dando il via ad un turbine di vita e di libertà che erano state allontanate dalla scena all’inizio del percorso catartico.

5.2.3.

Commento

Come abbiamo visto, in questo tessuto intriso di simboli, metafore e atti efferati è possibile leggere un percorso iniziatico, un’attuazione spirituale del processo alchemico che nella biografia di Jodorowsky si trasforma non solo in un nuovo status psicologico, ma anche in un vero cambiamento artistico che lo porterà ad esplorare strade diverse da quelle teatrali, fino a raggiungere appieno l’attuazione di quel teatro della guarigione che aveva intuito fino dai primi anni di pratica artistica. Nel Melodramma autosacramentale l’agente centrale, Jodorowsky, subisce differenti trasformazioni e passa per differenti fasi: violenza, trance, serenità, sottomissione ecc. Il corpo subisce tutte queste manifestazioni e la psiche è costantemente condizionata dalle azioni che si svolgono in scena, come se fosse una massa informe da plasmare per 128


la prima volta. L’effimero panico non utilizza linguaggi specifici, ma suggestioni personali che vanno dall’esoterico al mistico e mette in scena un nuovo sistema che agisce sul regista in primis oltre che sul pubblico. Dalla materia fecale, status dell’uomo comune assoggettato ai condizionamenti della vita quotidiana, all’oro, la purezza raggiunta da chi ha ripreso possesso delle proprie facoltà oniriche; non è la fine del percorso il punto centrale della messinscena, ma il processo creativo che ha permesso di raggiungerlo. Dal punto di vista della reazione di pubblico il pensiero di Jodorowsky si rivela molto distante da quella teorizzata dalla sociologia dello spettacolo 209 e si avvicina all’istintualità, a una dimensione primitiva in cui vita e morte sono i motori delle emozioni: “On ne vas pas au théâtre pour fuir, mais pour reprendre contact avec le mystère que nous sommes.” Sebbene, come detto, non ci siano testimonianze certe delle reazioni di pubblico, si può notare un grande sforzo da parte dell’autore per rendere possibile la comunione dell’esperienza teatrale e rompere l’indifferenza dello spettatore: principalmente la giuntura tra scena e sala realizzata tramite la pedana inclinata, poi l’offerta di cibo da parte degli attori agli spettatori (i pani, la carne fritta), la noncuranza della direzione degli spruzzi di sangue provenienti dalle oche sgozzate, l’abbandono del “cadavere” crocifisso del rabbino sulla pedana in modo che scivolasse verso la platea e infine il lancio di tutti gli oggetti di scena al pubblico, che nelle intenzioni di Jodorowsky avrebbe dovuto portarsi via dal teatro ogni singolo pezzo della scenografia. Oltre all’agognato cambiamento di pubblico però, il vero cambiamento è quello del protagonista, Jodorowsky, che evolve, cresce, soffre e cambia sulla scena le sorti della sua stessa vita. Salta subito al-

209

Cfr. Guy Debord, La società dello spettacolo, op. cit.

129


l’occhio che è il corpo ad essere il centro focale e il motore dell’azione, il linguaggio è invece assolutamente epurato dallo spettacolo, a testimonianza del fatto che il tentativo di raggiungere la vita panica, di recuperare la dimensione onirica dell’esistenza e trasformare le proprie azioni in arte, non ha bisogno della mediazione della parola, ma deve vivere della piena forza delle sensazioni fisiche e mentali, senza filtri, senza spiegazioni. Conteso tra carnefici fuori controllo, donne suadenti, padri titanici, il corpo dell’artista passa tutte le fasi del processo alchemico, subisce ogni passaggio del cambiamento e disteso tra la pace della trance e la frusta del carnefice vive in uno stesso dilatato momento tutte le possibilità dell’essere in modo finalmente panico. Les éléments du dédoublement, opposes ta contradictoires vont surgir au plus profond de sa personnalité: ils sont l’essence du théâtre Panique. 210

210

Mira Kim in Ante Glibota, Arrabal Espace, Editions de L’Amoureuse, Paris, 1994

130


6.

Dal panico alla ricerca della serenità Le esperienze di Jodorowsky sono state molteplici e differenti nel

loro modo di approcciare agli stili, alle teorie e ai mezzi di comunicazione, ma nel corso degli anni si può dire che la vena artistica dell’autore sia andata via via affievolendosi nella sua potenza creativa. Questo non per mancanza di ispirazione, ma perché la necessità principe dell’artista, ovvero la volontà di fare dell’arte uno strumento per la guarigione (presente già dai primi giorni delle sue espressioni pratiche, il motore alla base di tutte le sue produzioni) si è fatta preponderante ed è divenuta l’unico attuale interesse di Jodorowsky.

6.1. Il teatro come rituale liberatorio Come abbiamo visto, il teatro di Jodorowsky, vicino al concetto greco di καθαρις, punta alla liberazione della sofferenza. Per comprendere questo concetto è utile riportare una citazione che Jodorowsky fa nell’introduzione alla sua opera omnia teatrale: Il teatro è una giocosa cerimonia funebre. In esso andiamo ad esibire e poi ad assassinare i nostri falsi ego. - August Strindberg

211

Modellato esattamente su questo modello, l’obiettivo del teatro di Jodorowsky e in particolare degli effimeri, è quello di dare nuova vita a chi accetta di partecipare (sia in veste di attore che in veste di spettatore) alla messinscena. Tramite simboli, azioni liberatorie e uso della violenza, il teatro di Jodorowsky compie una vera catarsi ed elimina dall’esistenza la zavorra che blocca la nostra libera manifestazione personale. L’ispirazione al teatro greco è fondamentale, come si nota da 211

August Strindberg in Alejandro Jodorowsky, Tutto il teatro, Giunti Citylights, op. cit., p. 20.

131


un passaggio dello scritto “Il sogno senza fine”: L’antica tragedia greca presentava in ogni opera due componenti essenziali, delle quali di è fatta portavoce la psicanalisi: Eros e Thanatos, sesso e morte. Il teatro era un atto rituale dove, ad ogni rappresentazione, si riviveva il mito dell’incesto e la disperata lotta degli eroi incapaci di liberarsi del destino, in una vera terapia collettiva, un’arte sublime e necessaria, utile perché autentica. Il mito ha una funzione purificatrice: rappresentando i contenuti dell’inconscio che ci sono proibiti dalla ragione, esorcizza i fantasmi, il lato oscuro dell’essere. Il teatro autentico parla dei nostri grandi interrogativi (Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?) e li guida verso la catarsi positiva, il che permette al pubblico di vivere completamente l’angoscia primordiale ed essenziale (essere mortali) per superare ed intraprendere la ricerca di una nuova soluzione. […] il teatro autentico rii-presenta ciò che è utile per mitigare il dilemma originario dell’essere umano, con la sua primordiale incertezza, debolezza, insicurezza, paura, che una volta portate a certezza si trasformano in certezza forza, sicurezza e compassione.

212

La forza catartica del teatro di Jodorowsky è strettamente connessa all’uso della violenza; ispirato dalle idee dei dadaisti e dei futuristi di cercare sempre un’applicazione attiva della poetica e delle teorie artistiche, egli cerca sempre il punto di rottura, l’estremizzazione del sentimento e l’espressione totale e trascendente dell’interiorità. Per riuscire a portare all’esterno l’emozione repressa o il blocco emozionale, Jodorowsky agisce come un artista performativo e, ispirato dalla crudeltà artaudiana, utilizza la violenza, e in particolare il dolore, come mezzo per raggiungere la libertà d’espressione emotiva. 212

«Il sogno senza fine», ivi, p. 20.

132


[…] voyons le problème de la violence. L’abstrait recréera ce sentiment au moyen de couleurs, de lignes et de volumes. En échange, le concret déchirera la toile ou aplatira un mécanisme identifiable, ne figurant pas la silence mail laissant des marques d’un act réel. En résumé: l’un exprime l’acte, l’autre le commet.213

In questo passaggio sottolinea la differenza tra l’effimero e il teatro comunemente conosciuto. Se da un lato il teatro non fa altro che ripresentare la realtà (l’acte), dall’altro l’effimero non cerca di raffigurarla, ma prova ad essere il motore della realtà stessa. La violenza, necessaria tanto quanto necessaria la riteneva Artaud, caratterizza l’effimero così come essa di per sé caratterizza una realtà quotidiana, intrisa di sofferenza e dolore di natura sia emotiva che fisica, e sarà quindi lo strumento d’espressione fondamentale per strappare il velo che l’uomo da deposto sulla realtà in modo da poter allontanare dalla propria esperienza quotidiana del dolore. Nessuno, a parte l’artista e il caso psichiatrico, cerca spontaneamente la sofferenza, ma al contrario si oppone in tutti i modi ad essa e cerca di evitare di entrarvi in contatto, addirittura negandola o ignorandola; l’arte invece, in questo caso l’effimero, riporta violentemente l’attenzione sul dolore e costringe il pubblico a prenderne atto, a riviverlo e quindi a rielaborarlo e a superarlo. Possiamo dire che l’effimero è in un certo senso il punto a cui voleva arrivare Artaud: la crudeltà è la vita, è la necessità della vita; allo stesso modo, la violenza dell’effimero è uno strumento crudele e necessario per vivere la vita autenticamente. Dal punto di vista del pubblico, la forza dell’effimero è uno shock violento che però risulta sterile nel caso in cui esso si limita ad essere

213

Alejandro Jodorowsky in Fernando Arrabal, Panique, Manifeste pour le troisième millénaire, op. cit., p. 84.

133


il passo iniziale, la rottura semplice con la quotidianità. Quello che serve in seguito è canalizzare le ombre scatenate dallo shock in un percorso di liberazione, in modo che possano liberare la loro forza per innalzare e non per sopraffare il pubblico. La violenza quindi deve legarsi con altri mezzi espressivi, come la musica, il simbolo, la danza che, realizzati con la tipica simultaneità panica, riescano a scatenare il senso dello humour, infatti: Il terrore non elimina l’humour e la simultaneità è un sistema, non un fine. 214

Anche l’aspetto del sacrificio della rappresentazione è essenziale: spesso in scena vediamo apparire un animale come “offerta”. Esso è il simbolo della nostra animalità, di una parte di noi che è nascosta da leggi stratificate e che sulla scena rientrerà in rapporto con noi in modo violento, tramite il sangue e la morte, che entrano a far parte di diritto degli elementi fondamentali dell’opera panica. La morte è di fatto un motore dell’illuminazione e della liberazione dalle sofferenze.

6.2. Dal teatro alla magia215 Il percorso artistico di Jodorowsky, sia sul versante teatrale, cinematografico, drammaturgico o novellistico, nel corso degli anni è andato affievolendo costantemente la propria produttività a testimonianza della crescente attenzione che l’artista ha posto nei confronti dell’audizione personale con l’uso di tarocchi, una delle pochissime attività che egli tuttora pratica. Si può dire che il percorso artistico di Jodorowsky è stato intermittente in tutte le sue attività (teatro, cinema, romanzi), tranne che nel campo della psicomagia, alla quale si è sempre dedicato 214

Antonio Bertoli, Panico!, op. cit., p. 56.

215

Cfr. par. 3.3 per cronologia.

134


senza sosta, con interesse e dedizione crescenti. Sempre legato all’idea originaria che l’arte debba curare, motore principale della ricerca artistica dell’autore e a maggior ragione anche della sua attività “magica”, Jodorowsky è attualmente dedicato in modo quasi esclusivo ai tarocchi, un’inusuale forma di teatralità con la quale, come vedremo in seguito, si prodiga ad assistere chiunque abbia bisogno di un consiglio su come gestire una fase difficile della propria vita. Le letture di tarocchi sono solo l’ultima delle pratiche psicomagiche che Jodorowsky ancora mette in atto e fanno parte di un esteso e ramificato percorso di ricerca sulle credenze popolari, sui guaritori e sulle possibilità taumaturgiche della “menzogna sacra”. Jodorowsky ha infatti per molti anni seguito gli insegnamenti di numerosissimi guaritori popolari216 , soprattutto messicani, e ha compreso che un ponderato uso della teatralità può essere in grado di risolvere problemi di natura sia mentale che organica (o meglio psicosomatica). Moltissimi sono gli esempi riportati nei suoi saggi e romanzi, sia ad opera di “veri” ciarlatani che ad opera dello stesso Jodorowsky e non si limitano solo alla lettura dei tarocchi, ma anche a quello che egli definisce “psicosciamanesimo”. Qual è la differenza tra psicomagia e psicosciamanesimo? Esse si basano sugli stessi principi teorici, ma la prima inizialmente agisce a livello verbale per poi trasformarsi in un atto fisico, la seconda invece si sviluppa con le stesse caratteristiche di una seduta di guarigione sciamanica. La psicomagia si basa sostanzialmente sul fatto che l‘inconscio accetta il simbolo e la metafora, dando loro la stessa importanza che darebbe a un fatto reale. I maghi e gli sciamani delle 216

Cfr. par. 3.3 e «Maghi, misteri, sciamani e ciarlatani» in Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.198.

135


culture più antiche lo sapevano bene. Per i’inconscio, intervenire su di una fotografia, una tomba, un capo d’abbigliamento o qualsiasi oggetto personale (un dettaglio può simboleggiare il tutto) equivale a intervenire sulla persona in carne e ossa. […] l’unico modo per liberarsi della pulsione è realizzarla… ma lo si può fare anche metaforicamente. 217

La psicomagia quindi prescrive la teatralizzazione un’azione o di una serie di azioni che metaforicamente riescano a mettere in atto quello che le nostre pulsioni, represse dall’educazione o dai tabù sociali, ci impediscono di compiere. Essa si avvale dell’uso dei tarocchi come figure simboliche per addentrarsi nelle pieghe nascoste della mente e della nostra storia, e tramite la psicogenealogia (lo studio dell’albero genealogico) sviscera e analizza i problemi che il soggetto eredita dai suoi avi. […] avevo capito che eravamo segnati dall’universo psicomentale dei nostri cari. […] E così assumevamo una personalità che non era la nostra ma che proveniva da uno o più membri della nostra cerchia affettiva; […] Il male si trasmette di generazione in generazione: la persona stregata si converte in stregone proiettando sui figli ciò che prima era stato proiettato su di lei… a meno che non si acquisti consapevolezza spezzando il circolo vizioso.218 L’albero genealogico si comporta, con tutte le sue componenti, come un individuo, un essere vivente.219

La lettura dell’albero genealogico, la comprensione dei problemi repressi e la scelta dei simboli migliori per rappresentarli confluisce 217

Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 280.

218

Ivi, p. 256-7.

219

Ivi, p. 258.

136


nella definizione di un atto, il cosiddetto atto psicomagico, che va eseguito alla lettera come un sortilegio e che, grazie alla forte presenza di numerosi simboli, riesce sempre a liberare le energie negative represse nell’animo del soggetto fino a ripristinarne l’equilibrio psicofisico. Gli atti sono tutti inventati da Jodorowsky al momento stesso dell’audizione, ma si avvalgono di un numero (limitato) di simboli fissi molto potenti come ad esempio l’uso del miele per sottolineare che l’atto compiuto è fatto per riparare a un torto fatto o subìto, del latte per ripristinare il collegamento con la madre, dell’argilla simbolo del corpo umano in quanto materiale usato da Dio per creare suo figlio e così via. L’atto psicomagico deve essere eseguito alla lettera, come un copione, pena la mancata riuscita dell’atto stesso. Complice l’esperienza, attualmente la procedura di lettura dei tarocchi e suggerimento dell’atto da compiere è snella e immediata e si svolge al tavolo di un bar (nel 2011, all’età di 82 anni, Jodorowsky è in grado di compiere dalle 15 alle 20 letture di tarocchi in 2 ore), ma al momento della sua nascita era più articolata. Lo psicosciamanesimo invece è una vera e propria messinscena durante la quale Jodorowsky, avvalendosi sempre di simboli ma anche della comunicazione empatica e delle energie vitali di ognuno, cura il corpo malato come facevano gli stregoni incontrati in Messico. La differenza sostanziale però sta nel fatto che sebbene sia gli stregoni che Jodorowsky agiscano in una sorta di trance 220, ma i primi manipolano il corpo del paziente e prescrivono medicinali casalinghi, mentre lo psicomago non entra mai in diretto contatto con il corpo del malato: tramite i gesti, “finge” di manipolarne l’anima (o meglio, come spiega Jo-

220

Per Jodorowsky è una trance recitata, un’alterazione voluta al fine di attuare l’uscita dalla realtà necessario per la realizzazione dell’atto panico; per i guaritori è una trance vera e propria, come una possessione divina o demoniaca.

137


dorowsky, non l’anima, ma un secondo corpo immateriale, fatto di energie, che sta intorno al corpo fisico). A proposito di questo, Jodorowsky spiega: L’educazione puramente razionale ci vieta di usare il corpo nella sua completa estensione in quanto la pelle viene considerata come il confine di noi stessi, e ci fa credere che sia normale vivere in uno spazio limitato. […] Con ogni mezzo, appoggiandosi a dottrine politiche, morali e religiose, ci fa disconoscere il potere della nostra mente. […] La pelle non è la nostra barriera: non esistono limiti. Gli unici limiti positivi sono quelli che ci servono, momentaneamente, per sottolineare la nostra individualità, ma con la consapevolezza che tutto è collegato.221

Che si metta in pratica la prima o la seconda arte psicomagica, è chiaro che il legame tra queste pratiche e gli effimeri è molto forte. Sintetizzando enormemente, si può arrivare a dire che l’unica differenza tra effimero e psicomagia sta nel fatto che il primo è tutto ad opera dell’agente/performer, mentre la seconda è mediata dalla presenza sapiente di Jodorowsky che dirige la teatralizzazione e indirizza gli agenti/pazienti. Di conseguenza anche la presenza catartica della violenza è fondamentale in entrambi i casi e, nell’atto psicomagico, la sua portata è dimostrata dalla reticenza dei “pazienti” a fare quanto prescritto dal tarologo: Ci sono persone che impiegano un anno a spedirmi la lettera 222; altre discutono, non vogliono fare quello che dico e si mettono a mercanteggiare… […] Parlare in una forma così diretta all’inconscio significa esercitare su di esso una notevole

221

Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 321.

222

La lettera con cui certificano a Jodorowsky di aver compiuto tutto l’atto nel modo più pedissequo possibile e che costituisce il compenso dello psicomago.

138


pressione: si tratta di farlo ubbidire. […] Uscire dalle nostre difficoltà implica modificare profondamente la relazione con noi stessi e con tutto il nostro passato. Date queste le premesse, chi sarà veramente disposto a cambiare?223

Coerente con l’idea originale che l’arte debba curare, Jodorowsky crea un metodo di arte della guarigione e conclude il proprio percorso utilizzando l’arte proprio per il suo scopo basilare: risolvere i problemi delle persone.

6.3. Componente teatrale della psicomagia In cerca di un’azione positiva, ho lasciato perdere ogni attività […] e ho cominciato a praticare il teatro-consiglio. […] che aveva lo scopo di distruggere il personaggio con cui si era identificato (che andava a chiedere consiglio n.d.r.) per aiutarlo a ristabilire il contatto con la propria intima natura. […] giunsi alla conclusione che la finalità dell’arte fosse guarire […] e decisi di associare nelle mie attività arte e terapia.224

Tutte e tre le attività psicomagiche che l’autore crea unendo arte e terapia (tarologia, psicogenealogia e psicosciamanesimo) sono fortemente teatralizzate, ma presentano forme di realizzazione differenti. La tarologia si basa sull’uso dei simboli delle carte divinatorie per scavare nel passato del richiedente, ma quello che egli ottiene non è una lettura del futuro, bensì un’analisi delle problematiche personali e familiari da cui ne consegue un copione teatrale da eseguire alla lettera e che serve a sublimare le frustrazioni che da tempo opprimono la sua anima.

223

Alejandro Jodorowsky, Psicomagia, op. cit., p. 140.

224

Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p.161 e seguenti.

139


Perché la presa di coscienza di un problema fosse davvero efficace dovevo obbligare l’altro ad agire […] e gli prescrivevo delle azioni ben precise senza per questo assumermene la tutela o diventandone la guida per tutta la vita. È nato così l’atto psicomagico, nel quale si coniugano tutte le esperienze che ho assimilato nel corso degli anni […].225

L’atto psicomagico è solitamente una sequenza di azioni simboliche atte a sublimare le frustrazioni e in alcuni casi non è altro che l’ordine di eseguire una sorta di recita infinita: se ad esempio non esiste atto psicomagico capace di trasformarci in una buona madre si dovrà allora recitare per tutta la vita il ruolo della buona madre, finché questa recita esasperata non riuscirà a sovrapporsi per sempre alla realtà 226. La teatralità quindi consiste nella forza catartica che sottende all’uso della potenza del simbolo e alla suggestione dell’esecuzione di un ordine dato da un “guru”, per dare la possibilità all’agente/richiedente di scatenare le proprie pulsioni represse e liberare la mente. Il concetto di base è molto simile a quello che nell’effimero panico sta alla base della catarsi. La psicogenealogia invece, oggi praticata durante le sedute di tarologia solo come studio a tavolino dell’albero genealogico, era originariamente una vera e propria drammatizzazione della famiglia del richiedente: con l’ausilio dei partecipanti alla seduta psicomagica, il “protagonista” sceglieva gli “attori” e distribuiva ad ognuno le parti dei membri della sua famiglia, di solito sulla base di somiglianze fisiche.

225

Ivi, p. 361.

226

Cfr. Par. 5.3.2 pag. 85.

140


Seguiva un’improvvisazione di dialoghi in un rituale di stampo assolutamente drammatico: Per curare la famiglia ho deciso di drammatizzarla. La persona che la stava studiando doveva scegliere tra i presenti chi avrebbe impersonato i propri genitori, i nonni, gli zii e le zie, i fratelli e sorelle. Poi doveva collocarli in uno spazio determinato, in piedi, seduti, immobili su sedie oppure sdraiati (malati cronici oppure morti), alcuni lontani e altri vicini, seguendo la logica del suo albero. […] E poi doveva confrontarsi con ogni “attore”. Rappresentando la famiglia in questo modo, come scultura vivente, il ricercatore si rendeva conto che le persone che aveva scelto “per caso” corrispondevano per molti aspetti ai personaggi e avevano cose importanti da dirgli.227

Il richiedente improvvisava dei dialoghi con gli attori-familiari sviscerando tutti i nodi che avevano compromesso la sua serenità e la maggior parte delle volte le risposte degli attori scatenavano dialoghi liberatori in grado di risolvere problematiche sommerse da anni, liberando finalmente il richiedente. In modo simile a quanto avviene nello psicodramma moreniano228 vengono ripetute in modo teatrale scene della propria vita per analizzarne le dinamiche sottese che, rivissute, possono essere viste sotto un nuovo punto di vista e quindi risolte. La teatralizzazione quindi in questo caso sta nel fatto che recitando quello che è sommerso nella psiche lo si può guardare con distacco e addirittura modificare la conclusione del “copione” vissuto, soddisfacendo le proprie necessità frustrate. Infine lo psicosciamanesimo, dal punto di vista formale, è la pratica più vicina all’arte taumaturgica dei guaritori, ma non punta a opera227

Alejandro Jodorowsky, La danza della realtà, op. cit., p. 361.

228

Jacob Levi Moreno, Psicodramma e vita, Rizzoli, Milano, 1973.

141


re il corpo organico del paziente, quanto piuttosto a mettersi in contatto con la sua anima, con la proiezione del suo corpo nel mondo onirico. Jodorowsky utilizzava questa pratica, fisicamente molto difficile da realizzare e per la quale aveva sempre necessità di essere assistito da suo figlio Cristobal, per risolvere nodi psicologici talmente forti da essere sfociati in problemi psicosomatici difficili da trattare, come i tic nervosi. Mettendosi quindi nei panni del guaritore e inscenando un’operazione chirurgica simbolica Jodorowsky riesce a far cadere il paziente in trance e quindi a trovare quali blocchi emotivi sono alla base del problema organico. Per comprendere in fine la motivazione di Jodorowsky si può dire che egli, sempre legato fortemente all’arte ma stufo della sua sterilità, non voleva che essa fosse circoscritta entro i limitati confini di una definizione, ma preferiva che essa si sprigionasse in ogni luogo e che illuminasse con la luce del caos tutto quello che era schiavo di leggi e norme aprioristiche. L’irruzione della vita nell’arte, meta tanto agognata dalla triade panica, trova quindi qui finalmente il suo riscontro: nel tarocco, nella psicomagia e nello psicosciamanesimo di Jodorowsky. Il metodo panico continua a fare irruzione alla radice dell’essere, alla parte nascosta di noi, alla nostra più profonda realtà psichica continuando a rimbalzare tra l’arte e la vita, tra la vita e l’arte.

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7.

Cronologia

• 1958: Fondazione del Teatro de Vanguardia; Messico. • 1959:Inizio della produzione degli effimeri panici; Messico. • 1960: Prima riunione informale della triade panica presso il Café de la Paix di Parigi; Francia. • 1962: Nascita del Movimento Panico; Parigi. Pubblicazione a Parigi delle Cinq récits paniques sulla rivista surrealista «La Brèche», diretta da André Breton; Parigi. • 1963: Conferenza di Fernando Arrabal presso l’Università di Sidney in cui pronuncia il discorso intitolato L’homme panique, dove illustra i principi base della teoria panica (possibilità, memoria e confusione); Sydney. • 1965: Messa in scena del trittico di effimeri Le groupe panique

présente sa troupe d'éléphants, composto da Cérémonie de la femme nouvelle di Topor, Les amours impossibles di Arrabal e Melodramma Autosacramentale di Jodorowsky; Parigi. • 1967: Nascita della Producciones Panic casa di produzione cinematografica di Jodorowsky; Messico. • 1970: Uscita dei primi due film panici: Viva la muerte di Arrabal e Fando y Lis di Jodorowsky; Messico. • 1971: Esce El Topo. • 1974: autoespulsione di Jodorowsky dal Gruppo Panico.

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8.

Iconografia

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Bibliografia Volumi bibliografici ‣

ll nuovo Zingrelli, Zanichelli Editore, Milano, 1991

René Leriche, Chirurgie de la douleur, Paris, Masson, 1949

David Le Breton, Anthropologie de la douleur, Édition Métailié, Paris 2006

Jean-Claude Sergent, Le Théâtre fou, Editions Tchan, Paris, 1982

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Ringraziamenti A conclusione di questo lungo percorso di ricerca e crescita ringrazio innanzi tutto il Professor Roberto Tessari dell’Università degli Studi di Torino per la fiducia accordata e per aver assecondato la mia voglia di esplorazione e il Professor Marco Consolini dell’Université Sorbonne Nouvelle per il fondamentale aiuto nella ricerca bibliografica. Après, je voudrais remercier Monsieur Richart Carrozza, assistent et ami de Monsieur Jodorowsky, de m'avoir aidé à trouver des informations très importantes et pour avoir bavardé avec moi sur le théâtre, l’art e la vie. Per essere riuscita ad affrontare con consapevolezza e costante curiosità questo percorso non posso non ricordare sempre con gratitudine i Professori Laura Quarello, Sandro Zucchi, Maddalena Mazzocut-Mis per avermi donato semi di conoscenza che sono stati difficili da piantare, ma fondamentali per percorrere questo cammino. A tutta la mia famiglia: i miei genitori, per avermi sempre sostenuta e mai condizionata. I miei zii e cugini, che con la loro attenzione nei confronti dei miei progressi mi hanno fatto sentire che stavo facendo qualcosa di importante. I miei nonni, che non vedevano l’ora che arrivasse questo momento e che sento essere tanto fieri di me. Ai miei amici vecchi, nuovi e nuovissimi. Siete parte della vita che sto costruendo, indipendentemente dalla parte del mondo che avete scelto come casa. Alcuni ci sono sempre stati, altri li ho riscoperti per caso, altri ancora sono arrivati all’improvviso. Non importano i vostri nomi, le vostre facce o il perché siete importanti per me. Quello che conta è sapere che contate e capire che io conto per voi, grazie. Merci à Milù, Valentine e Celia, mes colocataires e amiche. Senza di loro non avrei avuto alcuna possibilità di scrivere questa tesi. Siete belle. Un grazie speciale infine a Luca. Abbiamo fatto tanta strada insieme e mi sei sempre stato vicino con amore, facendomi sentire quanta stima e quanta fiducia hai nelle mie capacità. Ora che questo percorso si chiude, la cosa più entusiasmante è sapere che ne inizierà un altro migliore, più sereno, più felice, più stimolante: la nostra vita insieme. Un viaggio è finito, sono pronta per ripartire.

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