POLITECNICO DI TORINO I FACOLTA’ DI ARCHITETTURA CORSO DI LAUREA IN COSTRUZIONE E CITTA’ LAUREA MAGISTRALE
“RIUSO ADATTIVO: Attraverso una Strategia Progettuale di Rigenerazione Urbana Torino O.S.I. – GHIA”
RELATORE PROF. MATTEO ROBIGLIO CANDIDATI SARA GUADAGNO NICOLA LORUSSO ALESSANDRO STRAMANDINOLI
PREFAZIONE INTRODUZIONE prima parte “ANALISI ESTERNA ALL’AREA” 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 2
RIUSO ADATTIVO - ARCHITETTURA PARASSITA: INQUADRAMENTO ED EVOLUZIONE STORICA RIUSO ADATTIVO STRUMENTI APPLICATIVI: ARCHITETTURA PARASSITA SPAZIO E TEMPO STRATIFICAZIONE, SOVRAPPOSIZIONE L’EVOLUZIONE NEL TEMPO APPROCCIO ALL’ESISTENTE, ESEMPI PRESI A RIFERIMENTO: QUARTIERI, EDIFICI E STRATEGIE TECNOLOGICHE
seconda parte “ANALISI DELL’AREA E PROGETTO” 3 4 5 6 7
STUDIO CONTESTUALE DI TORINO ANALISI STORICA GENERALE DELL’AREA ANALISI STORICA, STRUTTURALE E FOTOGRAFICA L’ESISTENTE IL PROGETTO 7.1 CONCEPT E OBIETTIVI 7.2 STRATEGIE D’INTERVENTO : 7.2.1 ACCESSI 7.2.2 PERCORSI 7.2.3 PASSERELLA 7.2.4 VOLUMI E REGOLE 7.2.5 COPERTURA 7.2.6 STRATEGIA IMPIANTISTICA 7.2.7 RENDERING LIFE STYLE 8 CONCLUSIONI 9 BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA -IN ALLEGATO ELABORATI GRAFICI
PREFAZIONE Riequilibrare, riallacciare quartieri (o edifici) prodotti di un continuo sviluppo urbano, pronto a far emergere singole realtà ed eterogeneità, è diventato per noi un obiettivo fondamentale. Giunti al termine del nostro percorso accademico, viviamo i contesti urbani che ci circondano come oggetti d’analisi profonda. Ci capita spesso nella nostra città, come in viaggio, di fermarci a studiare e ad appassionarci alle storie di edifici o quartieri abbandonati e degradati. L’idea di trovare la soluzione o un’ipotesi che li renda nuovamente parte pulsante del resto, ci affascina e stimola. Ci rendiamo conto che reintegrazione è sinonimo di difficili interazioni tra numerose e differenti realtà, che verranno ampiamente analizzate e definite a partire dalla sfera sociale fino a quella urbanistica-territoriale, attraverso strategie di pianificazione e progettazione orientate al riuso del suolo e all’architettura parassita. Tali tecniche che mirano alla riqualificazione senza creare nuova densità urbana, utilizzando l’esistente, che sia partecipata dalla popolazione abitante. Quest’ultima deve essere principale protagonista e fruitrice in tutte le fasi. Negli ultimi cent'anni, l'uomo ha assistito a rapidi cambiamenti dell'economia mondiale dovuti alla frenetica crescita dei bisogni umani; questo incremento esponenziale ha coinvolto le più
grandi e note discipline, senza tralasciare quella delle costruzioni e dell'abitare. Mutando rapidamente il pensiero collettivo, sviluppandosi e migliorandosi, l'uomo si è posto sempre nuovi obiettivi per vivere meglio, attraverso lo studio e invenzione di nuove tecnologie e lo sfruttamento di nuove risorse senza mai arrivare ad ottenere, per adesso, un vero e proprio equilibrio con l'ambiente. L’approccio all’architettura parassita e al riuso adattivo sono oggi motivo di discussione e concetti riemersi, quali pratiche antiche. L’intento è quello di riciclare spazi e riqualificare il tessuto urbano esistente per dare, in parte, risposta al problema ecologico ed al cambiamento dei metodi produttivi. Questa pratica si è conservata nel tempo come metodo di sviluppo strategico, dimenticato e oggi ripreso in considerazione. Analizzare alcuni interventi di riuso adattivo, presenti da pochi anni nel tessuto urbano ci ha dato la possibilità di riflettere sul rapporto ed equilibrio che vi dovrebbe essere tra architettura, strategia, tecnologia, materiali e ambiente naturale, portandoci a considerare tali interventi con maggiore consapevolezza e criticità. Si è capito come per le città o aree metropolitane colpite dalla crisi economica, a differenza di città asiatiche e sud americane che vedono il loro sviluppo in questi anni, sia ormai necessario prendere in seria considerazione uno sviluppo alternativo. Si è trovato interessante approfondire l’evoluzione del riuso nelle architetture nel tempo, quali
strategie antiche tradizionali attraverso l’utilizzo di materiali e tecnologie dell’epoca a nuovi metodi e soluzioni basati su innovazioni recenti. Quest’ultime hanno consentito di definire un nuovo assetto più flessibile e gestibile di aree che, da alcuni decenni a questa parte dopo lo sgombero di molteplici corpi di fabbrica industriali eretti durante il boom economico nazionale ed internazionale, sono in disuso e degradate. In previsione di quello a cui potrà condurci questa recente crisi economica, drovremmo proiettarli in una soluzione tale da arginare una nuova speculazione edilizia ed economica, e tale da essere caratterizzata da un corretto risanamento di aree “appendice”delle città. Tenere in considerazione la sfera sociale e culturale consentirà di gestire, reinventare e pilotare cambiamenti urbani ed il tessuto sociale di suddette aree, incrementandone il realtivo benessere economico e culturale. D’altro canto e sotto altro profilo, questa pratica dovrebbe essere stimolo di sperimentazione per soluzioni che siano in grado, in fututro, di migliorare l’ambiente in cui viviamo, limitando sprechi e consumi eccessivi. Nello specifico, il progetto verrà realizzato partendo da un’analisi urbana in un quartiere di Torino sede delle Ex Officine Stampaggi Industriali O.S.I. e la carrozzeria GHIA, affrontando buona parte delle problematiche tecniche e tecnologiche, con l’obiettivo di riportarlo in connessione con il resto della città.
L’area è circoscritta fra Via Egeo, lo scalo ferroviario di C.so Turati (ospedale Mauriziano) e il ponte sui binari di C.so Dante. Oggi zona prettamente isolata e tagliata fuori dal contesto urbano Torinese, dopo la più virtuosa svolta industriale automobilistica degli anni passati.
Il “nuovo modello” adottato da Toolbox, ci indirizza non solo verso un processo di sviluppo economico consono ai regimi attuali, ma anche in linea con l’impianto cittadino che racconta la storia della Torino industriale del ‘900.
Infatti dopo gli anni 70, tali officine sono state via via dismesse fino al 2001 a causa della crisi industriale che ha dettato un forte decremento della produzione. Oggi l’area si presenta come uno dei tanti relitti della città estesa su quasi 50.000 mq di spazio inutilizzato. Solamente una parte della proprietà intraprende un percorso di formazione piuttosto particolare, vedendo la nascita del Progetto ToolBox.
Questa breve analisi del contesto oggetto di studio, fa capire che il tema che vorremmo sostenere e portare avanti è basato sul riuso adattivo e riciclo con approccio parassitario nelle già espresse finalità.
Tale progetto è finalizzato a far nascere, in alcuni spazi della fabbrica, diverse attività di lavoro condiviso come uffici, sale riunioni, segreteria collettiva, cucina collettiva e una piccola caffetteria. A partire dal 2010 il progetto Toolbox si espande, dando spazio ad un altro progetto sempre relativo al cooworking, il Fablab Torino; è uno spazio dove si condivide la progettazione e la prototipazione di oggetti di nuova tecnologia. L’area in questione, per il progetto futuro della città, avrebbe dovuto accogliere nuovi insediamenti residenziali ed il campus dell’Istituto Europeo di Design. Di recente però, le mutate condizioni economiche e la crisi del mercato immobiliare, hanno bloccato questo processo. Ci rendiamo conto quindi, che il progettoToolbox, potrebbe essere modello di sviluppo alternativo a quello tradizionale.
L’intenzione maggiore è finalizzata infatti a far rivivere un frammento del nostro contesto urbano, attraverso canali e modelli alternativi, dimostratisi già vincenti in contesti nord e sud Europei, nord e sud Americani ed ancora, nel mondo orientale.
INTRODUZIONE La città oggi è al centro dell’attenzione del dibattito sulla sostenibilità perché in soli 100 anni quelle maggiormente dinamiche nel mondo hanno subito una crescita notevole, oltre che disequilibrata. La prima città che ha superato una popolazione di 1 milione di persone è stata Baghadad 13 secoli fa; Londra superò 5 milioni nel 1825; New York ha superato 10 milioni 100 anni dopo; l’area metropolitana intorno a Tokyo ha superato 20 milioni nel 1965 ed ora si attesta sui 30 milioni. All’inizio del XX secolo c’erano 16 città con 1 milione di abitanti e alla fine quasi 400 città con lo stesso numero. Oggi città come Bombay, San Paolo, Città del Messico, Los Angeles, Shanghai e Buenos Aires hanno subito un eccessivo incremento di circa 10 milioni di persone. Per la prima volta nella storia dell’umanità più persone vivono in città invece che in periferia; di conseguenza possiamo sostenere che oggi le città non hanno un rapporto equilibrato con l’ambiente circostante. Gli uomini hanno creato un contesto urbano artificiale togliendosi la possibilità di avere diretto contatto con la natura: questa considerazione potrebbe essere valida perché oggi le città consumano più del 75% delle risorse del pianeta sebbene occupino solo il 2% della superficie terrestre. Questi dati allarmanti sono il risultato dell’incremento di densità della popolazione che ha portato automaticamente, a uno spropositato consumo di risorse energetiche e dannose emissioni di CO2. Tali risultati sono stati raggiunti anche a causa delle dismissioni delle aree produttive, generando poli urbani in stato di abbandono e degrado, difficilmente connessi alle attività urbane cen1
trali e periferiche. Ci troviamo di fronte a realtà urbane che, come il sistema economico, stanno mutando a vista d’occhio. Dobbiamo per fortuna rilevare che in questi ultimi anni stiamo assistendo ad un più attento uso di queste risorse da parte delle amministrazioni e della popolazione, facendo emergere una maggiore sensibilità ecologicamente sostenibile tra l’ambiente urbano attivo, inattivo e quello naturale. In primo luogo, le città sono diventate più vivibili grazie ad una maggiore attenzione alla qualità dell’aria che ha dato il via ad un processo di controllo a scala urbana, ad esempio, nell’intento di limitare i trasporti singoli e incentivare l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblico. Tutte strategie, volte a diminuire le emissioni. In secondo luogo, altri accorgimenti più mirati, su scala architettonica, determinano la progettazione di edifici verdi e riqualificazione di quelli esistenti, mediante impiego di nuove tecnologie e utilizzo di energia pulita. Tra essi pannelli solari, fotovoltaici, pompe di calore e materiali naturali o di riciclo per limitare l’impatto ecologico dovuto all’uso di risorse e materie prime.
Ancora centri ormai dismessi, ex aree produttive, vedono in questi ultimi anni un maggiore interesse, basatosi sul tema del riuso, riciclo e riutilizzo, non solo sul tema funzionale pratico, ma ramificandosi anche su quello sociale e culturale. Come ha scritto Jane Jacobs in un articolo pubblicato sul New York Times nel 2004: “Nel suo
bisogno di varietà e accettazione di casualità, un ecosistema fiorente naturale è più come una città che come una piantagione . Forse sarà la città che risveglia la nostra comprensione e valorizzazione della natura, in tutta la sua brulicante complessità imprevedibile”. L’urbanista Jane Jacobs sostiene nella sua citazione, l’importanza di conoscere ed analizzare lo sviluppo del tessuto urbano in maniera da poterlo paragonare al sistema naturale per comprenderne e valorizzarne il rapporto tra costruito e ambiente circostante.
Un’altra soluzione è la progettazione di aree verdi nel tessuto urbano e sui tetti degli edifici per restituire il territorio sottratto dalle costruzioni; ciò allo scopo di migliorare il microclima e la qualità dell’aria, incrementando nel contempo le caratteristiche isolanti dei fabbricati favorendo risparmio energetico e migliorando la qualità della vita. New York City, veduta dall’alto, 1940
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New York City, Manhattan e Brooklin, veduta dall’alto, 2013
Prima Parte “ANALISI ESTERNA ALL’AREA”
1_RIUSO ADATTIVO-ARCHITETTURA PARASSITA: INQUADRAMENTO ED EVOLUZIONE STORICA L’analisi o la lettura della città contemporanea, vista nell’introduzione, assume caratteri preoccupanti, in quanto si rileva un progressivo incremento del tasso demografico e di conseguenza di congestione del tessuto urbano. Tale negativo risultato è attribuibile ai piani urbanistici promossi negli anni 80, che hanno dato il via ad un processo di sventramento di quartieri urbani e alla conservazione dei centri storici, incrementando così il consumo di suolo, l’impiego e lo sfruttamento di energia e materie prime, in modo disordinato e oggi costoso da mantenere. Per porre rimedio al problema, oggi, in diversi paesi dell’Unione Europea, sono state emanate norme che sanciscono limiti alle nuove costruzioni, incentivando la trasformazione dell’esistente e innescando un processo di riciclo degli spazi urbani a contrastare la “museificazione” dei centri storici e la “tabula rasa”. A partire dagli anni 80 e 90 in Europa abbiamo assistito ad una progressiva trasformazione delle normative che riguardavano lo sfruttamento dei suoli, alla più oculata gestione dei consumi nel rispetto della natura e dell’ambiente. Di pari passo con l’inesorabile avvento dei costi delle materie prime, fra le quali l’esponenziale aumento del petrolio, che alla fine ha scatenato la riserva ed impiego di fonti rinnovabili. 6
Le prime normative di riferimento le troviamo in Germania o in altri paesi nordici e infine in Italia. Tali normative hanno dato il via ai piani regolatori comunali per l’inserimento di regole a tutela e salvaguardia dei centri storici da una parte. Dall’altra, regole volte alla loro trasformazione mediante ristrutturazioni, inserimenti, ecc…Vale a dire tese ad un migliore utilizzo dei centri, che per decenni non erano stati considerati. Prendiamo ad esempio quel che è avvenuto in Italia negli ultimi cinquant’anni. Dopo l’emanazione della legge urbanistica, proprio a causa delle grandi migrazioni verso le città industriali, le esigenze del periodo hanno indotto la municipalità all’emanazione di leggi volte all’espansione degli agglomerati urbani. La legge 865/71 per espropri preordinati all’edilizia economica popolare e la legge 167/62 sui piani per l’edilizia economica popolare. Possiamo oramai dire che si è quasi definitivamente abbandonata questa strategia per passare all’opposto: non più spreco di nuovi territori a scapito dell’espansione, ma migliore utilizzo dell’esistente, in termini di riciclo, dunque delle aree urbane o dei vecchi agglomerati. Inoltre, in Italia, vi è stata la possibilità di dare il via ad un processo di costruzioni parassitarie, grazie alla legge “Piano Casa” emanata dal Governo Berlusconi. La legge determinava una spinta economica al paese, infatti, dava possibilità di aumentare la volumetria dei fabbricati esistenti. 7
A nostro avviso, questa opportunità è stata interpretata nel modo sbagliato: non come occasione di sperimentazione per il tessuto urbano, ma come ulteriore spinta alla costruzione e implementazione volumetrica focalizzata sulle villette singole di periferia, non valutando l’effettivo vantaggio che avrebbe portato in città. 1.1 Riuso Adattivo Il riuso adattivo è una pratica architettonica che vede la sua applicazione in contesti urbani diversi nelle città contemporanee. Il significato del termine si scardina dal concetto di “riuso” tradizionale; si intende il riutilizzo di siti o edifici con differente scopo da quello per cui sono stati concepiti. La trasformazione mira a incrementare il valore potenziale della preesistenza minimizzando gli interventi ed un ipotetico investimento economico. Questo concetto si basa su un metodo progettuale di salvaguardia del territorio che vuole limitare l’espansione urbana, il consumo di suolo, l’impatto ambientale e convertire l’inadeguatezza degli edifici esistenti basata sul cambiamento di esigenze tecnologiche, politiche ed economiche. Gli impianti architettonici più appetibili per l’applicazione di tale strategia, sono quelli di impronta industriale e pubblica. Diversi valori sociali, economici, storici, naturali del sito e di potenziale riutilizzo, rappresentano tali edifici e ne conferiscono appartenenza ed identità per 8
gli abitanti delle nostre città. Gli aspetti economici, sono di fondamentale rilevanza in quanto, diventano la prima causa decisionale determinante, per l’ipotetico riuso adattivo di un sito/ edificio. I costi diventano quindi quesito fondamentale per determinare un ritorno economico o meno del riuso. A tale proposito la fattibilità economica deve diventare processo qualitativo importante per un’analisi d’investimento riguardante la demolizione, la ricostruzione, la bonifica, il restauro, il riuso, vantaggi e svantaggi del sito di ubicazione e delle sue limitrofe potenzialità. Un aspetto positivo per tali problematiche è quello di predisporre di un investimento economico iniziale minimo, seguito da un processo di “invasione” dell’area di tipo incrementale, così contenendo e limitando i costi. Mira alla progettazione di nuove architetture, percorsi e spazi all’interno o sull’esistente, coerenti con gli odierni standard energetici, tecnologici e di comfort. Tali architetture e spazi saranno destinati a nuove attività con destinazione d’uso differenti improntate sul concetto dell’esigenza; parliamo quindi di spazi aggiunti, nuove tipologie residenziali, nuove attività commerciali e di produzione creativa. Come sostengono Martina Baum e Kees Crhistiaanse nel libro “City as Loft”, questi luoghi dismessi possono essere rigenerati come nuovi siti di sviluppo, per la creazione di nuove reti ed esigenze indispensabili per la società contemporanea; è fondamentale quindi, una ricognizione sull’ architettura industriale, della sua eredità, come risorsa culturalmente orientata al rinnovo ed alla sperimentazione. 9
Queste strutture esistenti, oltre ad essere vecchi poli produttivi, possiedono un potenziale altissimo d’identità, di storia e di contesto. Il potenziale è racchiuso nella loro bellezza architettonica, nella versatilità degli spazi vuoti e nelle capacità strutturali portanti molto elevate. Tali spazi garantiscono adattabilità e flessibilità dal punto di vista funzionale e se inglobati in un disegno urbanistico agevolativo e di valorizzazione, anche dal punto di vista contestuale. Diventano spazi innovativi che conservano il fascino dell’architettura industriale, dove le persone possono socializzare, creare nuove reti, vivere, lavorare, mutando il sistema tradizionale in quello attuale scandito da nuovi ritmi e bisogni contemporanei.
Il termine parassita trae origine dalla cultura greca che a quei tempi veniva attribuito, come aggettivo positivo, ai ministri, incaricati di raccogliere porzioni di grano da riporre nel granaio pubblico per gli Dei, i quali erano soliti oziare accanto ai magistrati. Successivamente, nella cultura romana cambiò significato, definendo coloro che vivono mantenuti presso ricche famiglie, allietando i padroni durante il giorno. Cambiò ancora significato e oggi è diventato secondo la scienza un aggettivo dispregiativo per descrivere esseri che vivono sfruttando le risorse di altri “corpi ospitanti”. Infatti il temine parassitismo viene utilizzato principalmente in biologia per descrivere una forma di interazione che avviene fra due organismi diversi di cui uno è detto parassita e l’altro ospite.
1.2 Strumenti Applicativi: Architettura Parassita L’approccio al riciclo urbano può ricondurci a pratiche architettoniche antiche, come quella che prende il nome di “parassita”, vista oggi come una soluzione plausibile al problema ecologico, sociale ed urbano della città.
“Il parassita è un operatore differenziale del cambiamento. Egli eccita lo stato di un sistema: il suo stato di equilibrio, lo stato presente dei suoi scambi e delle sue circolazioni, l’equilibrio della sua evoluzione, il suo stato termico, il suo stato informazionale. Lo scarto prodotto è assai debole, e non lascia prevedere, in generale, una trasformazione, né quale trasformazione. L’eccitazione fluttua e così la determinazione”. Michel Serres Il genere Armillaria include specie lignicole parassite, con cappello asciutto, ricoperto di scaglie, lamelle da bianco a rosa, gambo con anello, sporata bianca o color crema, spore non amiloidi, ellissoidali, lisce, prive di poro germinativo.
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In architettura, il parassita assume una connotazione positiva perché è in grado di portare vantaggi e soluzioni al consumo di suolo, alle emissione di CO2 e al problema contemporaneo dell’abitare attraverso ampliamenti, integrazioni e trasformazioni distributive. Questa denominazione descrive metodi progettuali di riciclaggio basati sul tema del riuso degli spazi urbani apparentemente inutilizzabili. Il concetto chiave dell’architettura parassita è basato sull’immissione di organismi architettonici in edifici e strutture urbane preesistenti, approcciandosi così al “costruito sul o nel costruito”. L’organismo parassita s’instaura nell’esistente come oggetto distinto a livello formale, spaziale e distributivo, rimanendo però, strettamente legato all’ “edificio ospite” da uno stato di necessità. Tali necessità sono frutto proprio di un’azione di tipo parassita che si riflette sull’ “ospite”, in 11
Porter House, Manhattan, New York City, riuso adattivo a Meatpacking districts, SHoP Architects, 2003
quanto, questo fornisce al nuovo organismo un supporto vitale indispensabile di tipo impiantistico e strutturale; nello stesso tempo, però il parassita oltre a sfruttare le preesistenze, è in grado di rivalorizzare e riqualificare l’edificio ospite attraverso opere di restauro, di bonifica, riqualificazione degli impianti energetici, di quelli strutturali e di quelli distributivi. Inoltre questo tipo d’intervento porta con sé una revisione del contesto urbano puntando ad una riorganizzazione e rivalorizzazione dell’area, dei punti di connessione e percorsi, attraverso il miglioramento delle infrastrutture e dei mezzi pubblici.
pensiero, permette oggi, di far convivere realtà temporali in contrasto tra loro perché prive di una continuità formale, non voluta dai progettisti. Possiamo affermare che questo pensiero è rivolto al progresso, in quanto chiama in causa il tema della diversità come “elemento di disturbo” nella città. Elemento di disturbo che oltre ad esaltare la sua presenza come “manifesto” o “simbolo”, è in grado di riqualificare e migliorare gli organismi sui quali opera. 1.3 Spazio e Tempo
Questo tipo di architettura viene quindi interpretata come proposta e possibilità di convivenza tra entità eterogenee. Eterogeneità sono date da evidenti differenze di stili architettonici dovute alle innovazioni tecnologiche, ai nuovi materiali ed alla trasformazione delle destinazioni d’uso scaturita da nuovi bisogni della società contemporanea. Il metodo parassitario non si limita solo a riattivare architetture e sistemi inutilizzati, ma ha anche il vantaggio di differenziare le nuove architetture dal sistema urbano esistente diventando simbolo di uno sviluppo più sostenibile per la città e di una società che cambia, sensibilizzando tecnici e cittadini, in tal senso. Attraverso le nuove tecnologie, i nuovi materiali e i diversi stili, il nuovo organismo tende a distinguersi e a diventare elemento di spicco nel tessuto urbano. La messa in pratica di questo Minimum Impact House, Francoforte, Germania, 12 Prototipo di edificio sostenibile, sfruttamento di pareti cieche, casa privata residenziale, Dexler Guinand Jauslin Architects, 2008
Buona occasione da cogliere nella città contemporanea, sono quegli edifici locati nel centro città, in periferia o in località rurali che presentano uno stato di rovina, dismissione o più semplicemente disposti di pareti cieche, nicchie o tetti inutilizzati. Questi potrebbero essere sfruttati e trasformati, grazie ad interventi di tipo parassitario; interventi che si concretizzano attraverso opere di riqualificazione aventi come punto focale la diversità temporale. Il problema era già stato preso in considerazione nell’età moderna da Le Corbusier. L’architetto sosteneva che il processo evolutivo architettonico non poteva concedere spazio ai ricordi, ma doveva mirare allo sviluppo di nuove concezioni scaturite dall’evolversi della società e della città. Sarebbe opportuno, quindi, vedere la città come un organismo in continua trasformazione che deve rispondere a nuovi bisogni e nuove problematiche. Parete cieca, Torino, 13 Italia, scatto fotografico provocatorio, 2010
Il tema della diversità trova le sue fondamenta nel pensiero dell’architetto francese che da una parte tentò di regolamentare gli spazi e dall’altra vedeva la possibilità di trasgredire queste regole per implementare l’esistente attraverso il concetto del modulo prefabbricato per soddisfare esigenze diverse che mutano nel tempo. In sintesi abbiamo riportato letteralmente il pensiero.
“La cellula residenziale, può essere sostituita ad ogni mutamento delle esigenze individuali, ed ogni mutamento delle esigenze indotte dal rinnovamento dei modelli degli standards residenziali dettati dalla produzione”. Le Corbusier Vale la pena specificare che questo concetto viene ripreso da John Habraken, architetto olandese, attraverso i “supports”. Secondo il progettista l’architettura si pone come opera incompiuta lasciandone il completamento all’utente. Infatti, i “supports” si basano sulla progettazione di un “parte stabile” determinata dal progettista e di una “parte variabile” accorpabile secondariamente a discrezione dei bisogni dell’utente. Ovviamente il progetto si basa su un modello di produzione industriale predisposto di “agganci” impiantistici e strutturali in maniera tale da accogliere la cellula in aggiunta. Se vogliamo, il concetto sostenuto da Habraken fa riferimento a interventi parassita, in quanto prevede l’immissione di un corpo in uno esistente, comprendendo lo sfruttamento di alcune risorse. Stadium Gang, Chicago, Illinois, proposta progettuale provocatoria in favore del riuso adattivo e pratica parassita, Studio Gang Architects, 2004
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1.4 Stratificazione, Sovrapposizione La pratica di riuso densifica la città attraverso l’incremento e l’utilizzo delle superfici residue, proiettandola in un processo di “stratificazione” o “sovrapposizione” dell’esistente. Queste stratificazioni, pur non trovando un canale formale di comunicazione con le preesistenze, hanno stretta connessione con esse, a livello funzionale per trovare collaborazione tra spazio pubblico e privato. Viene proposta, secondo modalità parassita, la realizzazione di uno stadio da baseball sul tetto di un grattacielo del centro città di Chicago, inteso come una stratificazione del tessuto urbano, in grado di trovare collegamento funzionale per spazi esistenti ed inutilizzati. Infatti la funzione lavorativa privata svolta nelle ore diurne dentro il grattacielo è in contrasto con quella pubblica svolta nello stadio durante la notte perché in grado di connettere spazio pubblico con quello privato. Un altro esempio simile è stato il progetto “Mountain Dwellings” pensato dallo studio B.I.G. e JSD a Copenhaghen, che ha proposto un complesso di 80 case unifamiliari realizzate sul tetto inclinato di un silos per auto. Anche in questo caso, l’intento è stato quello di far convivere in maniera funzionale spazio pubblico e privato tralasciando l’aspetto del collegamento formale. Come appare chiaramente, le proposte definite provocatorie, hanno un impatto nel contesto ove dovrebbero sorgere, di notevole rilevanza; è proprio questo effetto che rende percepibile l’inserimento. 15
Mountain Dwellings, Copenhagen, Danimarca, riuso adattivo di un silos per automobili, B.I.G. Architects, 2008
1.5 L’evoluzione nel Tempo Il riutilizzo di spazi come strategia fin dalla nascita dei primi insediamenti venne utilizzata per porre rimedio a stati di necessità. Tali necessità possono essere interpretate come cause “promotrici” volte a soddisfare il bisogno di sviluppo d’insediamenti. Il sistema ha portato a una strategia di riciclaggio e rivisitazione degli spazi urbani, come vedremo. Come abbiamo già avuto modo di dire, inizialmente le città hanno subito una crescita interna alle cinte murarie che rappresentavano un limite invalicabile, portando al modello di città densa che si sviluppa in altezza. Questo primo modello di sviluppo è scaturito dall’avvento della prima rivoluzione industriale nel 700 e 800. In questo periodo infatti, l’uomo acquisisce il potere di trasformare il mondo a suo piacimento grazie alle innovazioni industriali e tecnologiche. L’evoluzione dei bisogni dell’essere umano ha portato al repentino incremento delle città e ciò implicava la costruzione di nuovi fabbricati e l’ampliamento di quelli esistenti attraverso l’utilizzo di tetti, anfratti e riuso di strutture abbandonate. Tutto ciò comportava ovviamente la saturazione del suolo. Assistiamo a opere parassitarie già in passato, come ad esempio “Casa Ringhiera” a Torino, dove fu colta l’occasione della “stanza in più” realizzando una piccola struttura in legno sul ballatoio. Possiamo inoltre citare le slum e le favelas costruite secondo la logica dell’“aggiunta” nei paesi poveri, dove però, non si è in grado di distinguere gli organismi esistenti da quelli nuovi, per la varietà di costruzioni presenti. Un altro esempio è Ponte Vecchio a Firenze, uno dei principali Casa Ringhiera, Torino, Italia, tema dell’aggiunta su ballatoio in ambito residenziale
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monumenti della città, anch’esso sottoposto a una “museificazione” indotta dalla municipalità, pur essendo frutto di un’azione di stratificazione parassitaria. Questo esempio ricalca il ragionamento di espansione contemporanea; infatti il ponte colonizzato dai macellai nel 1442, subisce una trasformazione partendo dalla costruzione di baracche fino alla realizzazione di strutture leggere in legno, appese ai prospetti degli edifici e del ponte stesso. Come ultima stratificazione venne realizzato sul ponte il corridoio del Vasari nel 1565, chiudendo la visuale sul fiume. Esempi analoghi si ritrovano in tutta Italia e in Europa. Questo approccio progettuale non esiste solo come breve parentesi storica, ma s’impronta come strategia di intervento antica, che trova il suo principale motore nella quasi totale assenza di norme o regolarizzazioni per l’edilizia. Dagli esempi citati fino ad adesso, è chiaro che le architetture in questione, oggetto di ampliamento, non vengono solo utilizzate per stati di necessità, ma impiegate anche per destinazioni d’uso differenti in maniera tale da poter rispondere a bisogni dovuti al cambiamento dello stile di vita, delle città, dell’economia e cultura di un paese. Con l’avvento della rivoluzione industriale la città subisce un’espansione su larga scala attraverso lo sventramento di centri storici e quartieri limitrofi. Sventramento dovuto al crollo delle necessità di agire secondo il minimo sforzo, incrementando lo sviluppo secondo i canoni dell’industria moderna. 17
Ponte Vecchio, Firenze, Italia, riuso adattivo e aggiunta volumetrica parassita
Favelas, Rio De Janeiro, Brasile, iniziativa promossa dalla Fondazione Favela Painting, iniziativa autogestita, 2005
Favelas, Rio De Janeiro, Brasile, architettura spontanea, Rose Miyonga, 2007
I centri storici acquisiscono monumentalità e valore come beni da tutelare piuttosto che tessuto da trasformare. Questa modalità di tutela e sventramento si diffonde specialmente durante e dopo le grandi guerre, seguendo un criterio determinato dallo sviluppo industriale, che portava alla fine ad una densità urbanistica crescente, nell’errata convinzione di disporre di energie e risorse infinite. Rem Koolhaas, nel suo libro, “Junkspace” scrive che i centri storici sono diventati luoghi paradosso per via del pensiero e delle strategie applicate dalle municipalità;
“Nella nostra programmazione concentrica, insistere sul centro come nucleo di valore e di senso, fonte di ogni significato, è doppiamente distruttivo: il volume continuamente crescente delle parti dipendenti non solo costituisce uno sforzo insostenibile, ma significa anche che il centro deve essere sottoposto a una continua manutenzione, cioè modernizzazione. In qualità di “luogo principale” paradossalmente deve essere allo stesso tempo il più vecchio e il più nuovo, il più stabile e il più dinamico; subisce il più intenso e costante processo di adattamento, che poi viene compromesso e complicato dal fatto che deve consistere in una trasformazione inavvertibile, invisibile a occhio nudo. Dall’inserimento di arterie di traffico più o meno discrete, bretelle, tunnel sotterranei, dalla realizzazione di un numero sempre maggiore di tangenziali, alla consuetudine di trasformare le abitazioni in uffici, i locali industriali in loft, le chiese abbandonate in locali notturni; dai fallimenti a catena e dalle successive riaperture di particolari centri in quartieri commerciali sempre più costosi, all’incessante conversione di spazi funzionali in spazi pubblici, 20
Legal/Illegal, Cologne, Germania, Centro Storico, Manuel Herz Architects, 2004 Architects, 2004
alla pedonalizzazione, alla creazione di nuovi parchi, alla sistemazione a verde, alla creazione di ponti, alla museificazione, al sistematico restauro della mediocrità storica, ogni autenticità viene pervicacemente eliminata”. 1 “La città generica, una volta, aveva un passato. Nella sua tensione alla dilatazione, vaste sezioni di esso in un modo o nell’altro sono sparite, prima senza rimpianti (il passato era sorprendentemente poco igienico, perfino pericoloso); poi senza preavviso, il sollievo si trasformò in rimpianto. Certi profeti da sempre ammonivano che il passato era necessario: era una risorsa. Lentamente la macchina della distruzione si arresta cigolando; certe catapecchie scelte a caso sull’illuminato piano euclideo vengono salvate, restaurate a uno splendore che non hanno mai posseduto…i luoghi in cui il passato viene conservato sono oggi i luoghi dove il passato è più cambiato, dove è più distante, o addirittura completamente eliminato”. 2 Di conseguenza negli anni 60 e 70 le città hanno subito una crescita incontrollata dovuta alla ripresa economica. La pianificazione urbana, infatti era radicata su una logica che si allontanava dalla vita dei centri storici e della città. La fine del boom economico negli anni 70, che ha visto la crisi petrolifera, ha bloccato i progetti utopici per le città nuove, trovandosi a dover gestire un patrimonio architettonico pressoché degradato e in abbandono. Dagli anni 90 il fenomeno di decentralizzazione si è bloccato, così rivalutando i centri storici e assistendo quindi a un programma di ritorno alla densificazione dei centri urbani per limitare il consumo di suolo e la crisi del mercato economico. 1,2
Rem Koolhaas, Junkspace, 2006, pp. 37-47
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Medialab, Madrid, Spagna, Maria Langarita & Victor Navarro Architects, 2008
La crescente spinta verso la sperimentazione ecologica ha portato in diversi paesi europei all’emanazione di norme che limitano la costruzione e favoriscono il recupero e riuso del tessuto esistente secondo una modalità parassitaria volta alla stratificazione ed al riciclaggio di spazi e strutture esistenti come nei secoli precedenti. Così col passare degli anni, ma sempre in tale epoca, assistiamo nel sistema delle costruzioni contemporanee alla realizzazione del P.A.R.A.S.I.T.E. PROJECT realizzato sul magazzino “Las Palmas” nel 2001 a Rotterdam. Questo edificio temporaneo ha dato inizio ad un nuovo modo di interpretare e concepire il riciclaggio della città, libero, in parte, da norme e zonizzazioni. La risposta internazionale è stata molto incisiva e si sono susseguiti nuovi progetti di recupero spinti dalla strategia parassitaria. Col crescere dell’interesse volto al riciclaggio parassita, durante la biennale di Venezia del 2006, il padiglione tedesco ha ospitato la mostra COVERTIBLE CITY: raccolta di interventi di tipo parassita sul tessuto urbano attraverso l’aggiunta e la trasformazione. La CONVERTIBLE CITY mira a presentare e rendere nota la disciplina riscoperta, attraverso diversi interventi distinti, in diversi contesti, mettendone in evidenza i concetti chiave per migliorare lo sviluppo della pratica architettura odierna. I maggiori punti di forza della mostra si rifanno a concetti basilari come la valorizzazione della continuità e trasformazione dello spazio urbano, il mantenimento delle diversità, l’uso sostenibile dei nuclei urbani, la possibile alternativa all’invadente sviluppo di aree urbane su quelle naturali ecc…ma soprattutto ne spiegano la fattibilità attraverso differenti esempi di edifici parassita realizzati in Europa in maniera tale da dimostrarne la fattibilità. P.A.R.A.S.I.T.E Project, magazzino Las Plamas, Rotterdam, Olanda, Korteknie & Stuhlmacher Architects, 2001
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2 APPROCCIO ALL’ESISTENTE Esempi Presi a Riferimento: Riuso Adattivo di Quartieri, Edifici, e Tecnologie. Lo studio e la ricerca ha portato allo sviluppo di una tassonomia di esempi a livello europeo e mondiale, riguardante il tema affrontato e permettendo di classificarli secondo le diverse tipologie di intervento. Tali tipologie sono state indispensabili per la scelta strategica applicativa progettuale sull’area oggetto di studio, attraverso la produzione di uno schema riassuntivo finale. In generale, ogni esempio a differente scala, rispecchia uno o la totalità degli obiettivi prefissati per lo sviluppo del progetto; le diverse tipologie, quartiere, edificio e tecnologia, mostrano un intervento di aggiunta (modifica distribuzioni) con relativo cambio di destinazione d’uso dell’impianto esistente.
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STRATEGIE TECNOLOGICHE RIASSUNTIVE
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Seconda Parte “ANALISI DELL’AREA E PROGETTO”
Mantenendo la passione espressa nella prefazione, la volontà di trovare soluzioni per riallacciare quartieri o edifici al contesto urbano, ha portato alla scoperta di questa isolata porzione di città. L’evoluzione progettuale è avvenuta in modo spontaneo, in base ad opportunità e potenzialità offerte dall’area stessa. Una scoperta continua del sito, che relazionata al restante contesto urbano, ha permesso di procedere in maniera incrementale durante la fase progettuale. Inizialmente, grazie alle pratiche d’archivio ed alla documentazione fotografica da noi sviluppata, si è riusciti a comprendere l’evoluzione storica, le tipologie strutturali e lo stato di fatto dei diversi fabbricati. Lo studio e l’analisi critica di tale documentazione ha portato ad avere una maggiore consapevolezza del sito oggetto di studio. L’area è delimitata dal ponte di corso Dante, dalla linea ferroviaria Torino-Genova e da quella Torino-Susa; è possibile pensare all’area come ad un’isola di forma triangolare, tagliata fuori dalle connessioni urbane e sopraelevata rispetto ai passanti ferroviari di circa tre metri. La sua morfologia e limiti geografici, oltre a definirne bellezza e particolarità, sono anche la causa della mancanza di flusso e isolamento dal resto della città. Unico punto di connessione con il tessuto urbano rimane oggi Via Egeo, che snodandosi da Corso Dante, consente di accedere all’area. All’interno vi sono vie di scorrimento secondarie, Via Agostino da Montefeltro e Via Bertini, che garantiscono lo spostamento da un impianto industriale ad un altro.
Vista interna, edificio su Via 34 Agostino da Montefeltro
L’attività attuale all’interno è determinata dai soli stabilimenti Toolbox, Fablab e le Fabbriche Arduino, il resto è lasciato al degrado, se non per un edificio occupato abusivamente da alcuni senza tetto. Il primo impatto visivo disegna un’area abbandonata al degrado, ma il potenziale che proviene da quegli enormi complessi industriali, racconta la storia di una zona che produceva, ideava e attirava concorrenti. Ancora oggi le uniche attività all’interno, hanno un’impostazione lavorativa /professionale innovativa alla quale il progetto vuole rifarsi per riportare al massimo splendore quello che già esisteva. L’obiettivo è quello di rivedere queste aree come zone attive, appetibili, virtuose ed in grado di consentire la creazione di nuove reti, sviluppi, connessioni ed opportunità che già sono state in grado di fornire ai cittadini Torinesi.
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Vista interna, struttura monopiano in c.a. con copertura a capriate in cemento, Via Egeo
3 STUDIO CONTESTUALE DI TORINO Analizzare il contesto urbano in cui è inserita l’area, ha fatto emergere alcuni dei maggior punti di rilevanza e collegamenti già esistenti, in modo da creare la possibilità di aggiungerne di nuovi. Primi punti strategici oggetto d’analisi: • Il cuore pulsante di Torino, la stazione ferroviaria di Porta Nuova, con la quale vi erano già due linee di collegamento diretto; • Editrice La Stampa, polo di direzionale del più noto quotidiano piemontese, in Via Ernesto Lugaro; • Facoltà di Biotecnologie in Via Nizza; • L’ospedale Mauriziano sito in Corso Turati (all’incrocio con corso Dante); • PAV, Parco d’Arte Vivente in Via Giordano Bruno; • Società Amiat sito in Via Giordano Bruno; 37
• Camera di commercio per l’Ucraina in Via Montefeltro (interno all’area). Ognuna di queste strutture, fatta eccezione per la camera di commercio, si presenta completamente sconnessa e scollegata dalla zona presa in esame. I collegamenti del trasporto pubblico, la isolano completamente, rimanendo limitrofe: • La linea tramviaria del 4 in Corso Turati a 200 m di distanza; • La linea metropolitana Porta Nuova – Lingotto passante per Via Nizza a 500 m di distanza La pista ciclabile più vicina passa per Corso Dante in corrispondenza di una stazione TOBIKE (n°104) posta all’incrocio tra Corso Dante, Corso Turati e Via Egeo; elemento importante che ha consentito di avanzare l’ipotesi secondo la quale è stato possibile pensare ad un svincolo in corrispondenza di Via Egeo. In tal modo, oltre ad incentivare l’ingresso ciclabile e pedonale all’area, è stato possibile pensare ad un asse verticale verso il centro della città. Documento utile durante la fase di ricerca è stato “L’area di Porta Nuova a Torino: scenari di trasformazione urbana” elaborato dal Politecnico di Torino, nel quale sono state affrontate tematiche edilizie di trasformazione, riguardanti un’area comprendente anche il sito oggetto d’analisi. Questo studio, sostiene ed afferma la possibilità di interrare e diminuire le linee ferrate attive 38
oggi; è stato possibile pensare ad un parco lineare in sostituzione dei due binari della linea Torino-Genova. La strategia prevede al suo interno anche il passaggio di una nuova pista ciclabile, posta a livello del tracciato ferroviario, che in corrispondenza della punta estrema dell’area, rivolta verso Porta Nuova, si congiunge ad un’altra pista ciclabile posta in via Egeo. Con tale soluzione strategica si è riusciti a creare diretta connessione, tramite trasporto lento, con il centro di Torino, il Lingotto e l’area d’intervento. Infine sono state identificate le aree verdi esistenti limitrofe che, come si evince dalla mappa, non presentano alcun elemento verde associabile ad un parco pubblico di significative dimensioni, se non il tratto pedonale situato sul lato opposto di corso Dante. Ad ostruire il passaggio da questa zona all’area presa da noi in esame, è presente un fabbricato di piccole dimensioni in struttura prefabbricata a secco in stato di abbandono, oggetto di futuro riuso sotto forma di “architettura di connessione”.
ANALISI STORICA GENERALE DELL’AREA E’ stata opportuna un’analisi storica per approfondire le varie fasi e successioni dell’edificato e capire le diverse tipologie costruttive e strutturali presenti nell’area. Dai documenti storici pervenuti, sono stati individuati gli attori più rilevanti del processo di edificazione dell’area, come l’Ing. Porcheddu che progettò e fece realizzare il primo stabilimento della Fonderia del Sig. Carlo Garrone, utilizzando il sistema Hennebique, brevetto della quale lui ottenne l’acquisizione esclusiva in Italia. L’Ing. Segre, ex presidente della Società Ghia S.p.a. che fondò, insieme all’Avv. Arrigo Olivetti la nuova società O.S.I. S.p.a. (Officine Stampaggi Industriali) con sede in via Montefeltro, una carrozzeria automobilista che rimase attiva dal 1960 al 1968, realizzando importanti fuoriserie per Fiat, Alfa Romeo e Ford. Con la nuova sede della Ghia S.p.a., importante carrozzeria automobilistica torinese, aperta dal lato opposto di via Montefeltro, intorno agli anni Sessanta, si completa la costruzione dell’intera area. Lo scenario del costruito iniziò intorno al primo decennio del Novecento, dà quel momento in poi si modificò, riadattandosi ad esigenze e condizioni differenti fino ai giorni nostri. Le fasi più salienti:
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1914 – 1917 Le prime tracce storiche risalgono al 1914, l’area era circoscritta da Corso Parigi tagliato probabilmente da un asse ferroviario, due assi ferroviari attualmente esistenti e Via Savonarola. All’interno era percorsa da Via Roccabruna nel solo prolungamento oltre Corso Dante (fu corso Parigi) e Via Bertini conservatasi nel tempo. Accoglieva per lo più edifici di civile abitazione di proprietà privata, probabilmente della media borghesia torinese. Nel 1915 si è vista la nascita dei primi stabilimenti della Fonderia del Sig. Garrone Carlo, un capannone industriale a shed che affacciava su Via Roccabruna e un edificio per uffici su Via Savonarola.
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1918 - 1923 Tra il 1918 e il 1923 vennero costruiti nuovi stabilimenti destinati alla Fonderia Garrone, allineati sul confine delimitato dal raccordo ferroviario e verso Via Bertini. Venne anche creata una tettoia di ampliamento con funzione di raccordo tra i vari stabilimenti industriali, inglobando parte dell’asse viario Roccabruna attualmente inesistente.
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1923 – 1933 Tra il 1923 e il 1933 l’area si espandeva ulteriormente, determinando la creazione di due nuovi assi viari, Via Pagano e Corso Marsiglia, ovvero, il prolungamento del confine con asse ferroviario. L’asse di Via Roccabruna, passante nell’area, veniva completamente inglobata nell’ampliamento degli stabilimenti della fonderia, che determinò anche la soppressione del presunto asse ferroviario che attraversava corso Parigi; non vi sono fonti storiche certe ed attendibili a riguardo. La fonderia continua ad espandersi nel perimetro circoscritto tra via Bertini, via Savonarola, il confine sull’asse ferroviario e corso Parigi. In questo “quartiere” nel 1931 veniva costruito un edificio di cinque piani fuori terra destinato ad alloggi residenziali, di proprietà delle Ferrovie dello Stato, oggi ancora nella sua forma originale. Dal lato opposto di Via Savonarola, di fronte agli stabilimenti della fonderia, nel 1933 sorgeva un edificio destinato ad uffici con annesso capannone industriale di proprietà dei fratelli Miroglio.
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1936 - 1937 Nel 1936 veniva costruito, e pian piano ampliato, il nuovo stabilimento della Società Anonima Trafilati S.p.a. circoscritta tra Via Pagano, Via Savonarola, Via Bertini e Corso Parigi con un isolato corpo di fabbrica ubicato sul lato opposto di Via Bertini. Nel 1937 veniva sopraelevato l’edificio dei fratelli Miroglio.
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1947 - 1958 Tra il 1947 e 1958 nell’area vi è stata una trasformazione di denominazione di alcuni percorsi viari, quella che precedentemente era Corso Marsiglia, si interrompe all’incrocio con la storica Via Savonarola, diventata Via Agostino da Montefeltro, e cambia denominazione in Via Egeo. All’interno dell’area, dopo il secondo conflitto mondiale viene ricostruito parte del fabbricato di proprietà della Società Anonima Trafilati S.p.a. con considerevole espansione su Via Montefeltro per opera della società immobiliare Egeo S.r.l. che compra e costruisce un corpo di fabbrica a due piani fuori terra, a fianco al capannone dei fratelli Miroglio. Successivamente questa venne comprata e gestita dalla Società Ghia S.p.a.
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1960 - 1980 In questi anni si completa la costruzione di quest’area, per come ci è pervenuta, la protagonista principale di questo completamento è la Società O.S.I. S.p.a. che compra, completa ed incrementa i due “quartieri” che affacciano su Via Montefeltro, attraverso la costruzione di nuovi capannoni. Una parte di Via Pagano, rimane e viene privatizzata ai soli fini commerciali della Società. All’incrocio tra Via Bertini e Via Montefeltro risiedeva la Società Giannetti S.p.a. (carrozzeria GHIA) comprata e sostituita con la nuova sede della nascente società O.S.I. S.p.a. Dopo questo fabbricato venivano comprati anche i restanti capannoni industriali di proprietà della Società Anonima Trafilati S.p.a., ampliando in maniera considerevole lo stabilimento; veniva inglobato il tratto di Via Pagano, sostituito da un ulteriore capannone. Nel 1967 il centro stile dell’O.S.I S.p.a. chiude e l’anno successivo segue anche la sezione della produzione automobilistica, rimanendo attivo solo per quel che concerne la realizzazione di stampaggi per aziende subfornitrici. Mentre la parte dell’area della Fonderia, ormai inattiva da alcuni decenni, nel 1978 viene sostituita dagli stabilimenti commerciali della società G.B. Sportelli.
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2009 - 2015 Nel 2009 la G.B. Sportelli chiude, vedendo una repentina rinascita, attraverso l’acquisto della stessa da parte degli ideatori del nuovo stabilimento di cooworking: Toolbox, inaugurato il primo Gennaio del 2010. A distanza di due anni aprono anche le sedi del Fablab e le Officine Arduino. Escluse queste ultime tre sedi il resto dell’area rimane completamente inattivo dagli anni Settanta in poi, lasciando spazio solo a degrado e situazioni emergenti di abbandono edilizio.
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CRONOLOGIA STORICA RIASSUNTIVA
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Vista interna, struttura pluripiano in c.a. con volte sottili in cemento armato, Via Egeo, Via Agostino da Montefeltro
5 ANALISI STORICA, STRUTTURALE E FOTOGRAFICA Le pratiche tecniche storiche hanno dato modo di valutare ed analizzare la struttura e la staticità dell’edificato. In questa maniera è stato semplice schematizzare e definire le diverse tipologie strutturali all’interno dell’area, creando per ogni raggruppamento schede tipologiche. Quindi per ogni edificio si è riusciti a realizzare una descrizione approfondita, partendo dalla singola evoluzione storica fino allo stato attuale, documentato fotograficamente e con disegni tecnici. Attraverso la documentazione fotografica, è stato possibile un confronto diretto tra il passato e il presente, riuscendo ad evidenziare oggi, le realistiche impronte storiche quali testimonianze del passato.
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TIPOLOGIE STRUTTURALI RIASSUNTIVE
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6 L’ESISTENTE Giunti ad una conoscenza approfondita dell’esistente attraverso la lettura delle pratiche edilizie e avendo effettuato un rilievo in loco, è possibile realizzare gli elaborati grafici dello stato di fatto con piante, prospetti e sezioni, individuandone anche i giunti costruttivi.
panoramiche del sito 91
Vista esterna da Via Egeo
Vista dal ponte di Corso Dante
Vista interna, struttura monopiano in c.a. con volte sottili in cemento armato, Via Egeo, Via Agostino da Montefeltro
7 IL PROGETTO 7.1 Concept e Obiettivi La proposta progettuale è iniziata dall’elaborazione di un concept progettuale. Questo prevedeva l’idea di base, trascinante e fulcro di tutta la proposta: I cubi rappresentano i volumi addizionali d’invasione degli edifici esistenti che, come si denota dall’immagine, verso il parco lineare vanno pian piano diminuendo. Ciò sta a significare che il verde del parco si insedia all’interno dell’area in maniera organica e sempre più permeabile, diventando soggetto principale e elemento di spicco del progetto. Mentre la pattern dei volumi sfumata in corrispondenza del “verde/parco” tenderà a diminuire, determinando una diminuzione di densità e di edificabilità. I soggetti principali saranno i volumi addizionali, aggiunti attraverso la tecnica parassitaria all’interno dei fabbricati e il verde, che dal parco lineare si insinuerà in buona parte dell’area. Durante questa fase, è stato importante prefissare gli obiettivi principali che dovevano permettere di definire a livello stilistico, morfologico, strategico e morale tutta la proposta di progetto. 99
VISION 2
VISION 1
VISION 4
VISION 3
Gli obiettivi: - Definire i punti strategici d’accesso all’area, per la generazione di connessioni e snodi in favore della permeabilità, qualità necessaria per il corretto funzionamento di uno stabile di grandi dimensioni. - Mantenendo la scia concettuale della permeabilità, creare delle continue interazioni ed interconnessioni tra gli accessi, risolvendo quelle che apparentemente possano risultare delle barriere architettoniche o dei limiti. - Gestire il progetto e lo sviluppo in maniera incrementale, ovvero, assicurarsi che, come nella fase progettuale, questo accada anche durante quella di realizzazione. Si è pensato ad un modello di edificazione graduale e spontaneo che escludesse un improvviso ed unico flusso di utenti, evitando così, il rischio di perdita di ingenti capitali finanziari.
- Creare un luogo che sia in continua evoluzione, proiettato al futuro e all’innovazione, cioè progressivo e temporaneo. Gestire i nuovi spazi in maniera temporanea e non, favorendo un continuo flusso e aumento. - Mixitè. Predisposizioni tali all’interno dell’area per creare la possibilità di fruizione di utenze diverse e miste. L’obiettivo è stato quello di creare un’area molto flessibile, priva di limiti per utenti con possibilità differenti, eliminando il concetto di utenza e destinazione d’uso delineata. - Rendere l’area eco. La fase impiantistica è stata sviluppata secondo la volontà di rendere l’intera area autosufficiente ed autogestita. Previsti orti urbani, raccolta dell’acqua piovana per uso domestico e pubblico, fotovoltaico e pannelli solari. Dare la possibilità di poter gestire le aree in modo autonomo, conservando il principio ciclico della sostenibilità, senza generare rifiuti inutilizzabili.
- Mantenere ed elargire a tutto il complesso l’impostazione professionale e gestionale di Toolbox, cioè cooperativo ed individualista allo stesso tempo. La creazione di aree destinate all’utente che potrà agire in completa autonomia e autogestione in base alle proprie risorse ed esigenze. All’interno di queste aree normate e delineate, potrà essere messo in atto, tra utenti diversi, il principio di lavoro individuale o cooperativo. 104
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TABELLA RIASSUNTIVA OBIETTIVI
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7.2 Strategie d’Intervento 7.2.1 Accessi e Permeabilità Dettate e definite le linee guida, è stato importante definire quali sarebbero stati i punti d’accesso all’area e quelli di distribuzione. Sono stati assegnati due valori differenti alle preesistenze per la progettazione dei volumi/accessi: • Il valore “storico”, che rimanda ad una destinazione d’uso precedente, come ad esempio un vano scala o accessi già esistenti. • Il valore “funzionale”, che rimanda ad un approccio di tipo strategico, riferito alla necessità di collegamento. L’assegnazione di questi valori ha determinato i punti d’accesso, definiti “gates” o “interfacce” attraverso l’aggiunta di nuove volumetrie distinte in distribuzioni orizzontali, verticali o entrambe. Vi sarà sempre un rimando cognitivo per ciò che dovrà essere indentificato secondo queste caratteristiche di passaggio: dentro – fuori, fuori – dentro e tra vari livelli. Tale strategia assume un’importante ruolo di partenza nella fase progettuale. Il pensiero con109
cettuale si è basato ed ha fatto riferimento alla fisica; gli accessi sono stati pensati come degli elettrodi, che posizionati in punti strategici, hanno la capacità di far muovere un fluido o, nel nostro caso flussi di utenti, generando dei percorsi definiti e strategici per la suddetta area. Giustapponendo questi, nelle locazioni necessarie ed opportune, è stato possibile enfatizzare e definire uno dei nostri obiettivi, quello della permeabilità. L’accesso quindi, diventa un elemento architettonico di forte impatto visivo e funzionale, riconoscibile in quel dato sito ed in grado di relazionarsi con gli edifici esistenti.
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7.2.2 Percorsi, Interazione, Interconnessione Perseguendo la scia della permeabilità, per rendere l’area più accessibile possibile, era oltremodo importante collegare tutti i punti di entrata, in maniera tale da generare interazione ed interconnessione ai differenti livelli. In questa maniera, a livello grafico si è verificato lo sviluppo di una vera e propria rete di fitti passaggi che indicano tutte le possibili soluzioni flusso. La creazione dei percorsi, doveva tener conto della moltitudine di opportunità per accedere da un punto dell’area ad un altro, in questo modo, mantenendo il disegno generato dai passaggi, era immediata la realizzazione delle linee guida principali. Linee guida che concettualmente possono apparire come dei nervi, quelle strutture anatomiche che trasportano informazioni da o verso il sistema nervoso centrale. Espandendo lo stesso principio ai nostri percorsi, tendiamo a far defluire informazioni e utenti dal centro pulsante dell’area verso l’esterno e viceversa, generando interconnessioni, reti e network. Invece, mantenendo la metafora fisica, se i punti di accesso rappresentavano gli elettrodi che generavano i flussi, in questa fase, i percorsi saranno ciò che il fluido disegna nello spazio attirato ed indirizzato da questi ultimi. Il fluido, che presenta una consistenza liquida ma con una sua caratteristica di resistenza capil113
lare, se attirato ed indirizzato oltre a generare il suo percorso, rimarrà teso nelle parti delle superfici laterali, creando delle aree esterne adiacenti. Quindi, il disegno dei percorsi ai vari livelli, piano terra e primo livello, determinano i limiti delle aree da edificare a servizio degli utenti finali. Questi si sviluppano su due piani, quello a piano terra generato ed unito a tutti gli accessi e ai sistemi distributivi, ed un secondo, posto ad altezza di base di una copertura, che collegato ad una passerella, unisce tutta l’area in altezza da l’editoriale “La Stampa” fino al prolungamento di via Sacchi, dando la possibilità di vivere e gestire l’area nella sua intera volumetria ed ancora, connetterla con il tessuto urbano esistente. Il percorso posto al livello superiore assume molteplici valenze, in un tratto rimane copertura, che articolandosi tra i vari volumi distributivi, finisce ancorandosi ad un altro edificio attraverso due piccole passerelle per diventare poi solaio al secondo piano all’interno del costruito.
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7.2.3 Passerella e Interazione con l’Esterno Determinati i due livelli secondo i quali si sarebbe articolato l’intero progetto, la visione dell’area rimaneva comunque più permeabile solamente nei limiti del costruito, mentre il contesto urbano rimaneva ancora sconnesso e scollegato. Con la creazione del secondo piano, fu facile pensare di agganciarvi una passerella che collegasse il contesto urbano all’area: partendo dalla sede dell’editrice “La Stampa”, passando sopra il primo ostacolo della linea ferrata, entrando nell’area ed uscendo sopra il secondo passaggio ferroviario, ultimando nel prolungamento di Corso Turati. La volontà è stata quella di determinare un percorso continuo che concedesse la possibilità di unificare l’area al contesto, gestendo e incrementando il flusso e definendo un corpo che, oltre a mantenere la sua funzione di passaggio, generasse luoghi di sosta e punti di aggregazione, attraverso la progettazione di sedute e spazi comuni. Per sviluppare il concetto citato, la progettazione del nuovo corpo è stato pensato attraverso la ripetizione di alcune sezioni trasversali diverse tra loro, che assumessero formalmente e funzionalmente una conformazione diversa, più aperta nelle zone di aggregazione e più chiusa nelle zone di solo passaggio. 117
Facendo riferimento all’elaborato grafico, analizziamo le sezioni studiate: - Sezione 1, posta nella parte iniziale dell’infrastruttura, proprio sopra i primi binari ferroviari attivi, assume una conformazione di passaggio coperto, molto chiuso al fine di proteggere gli utenti ma concedendo uno spazio di solo passaggio; - Sezione 2, posizionata dopo la prima, risulta più aperta garantendo protezione dalle intemperie e la possibilità di sosta; - Sezione 3, in questi tratti la passerella rimane per la maggior parte scoperta, consentendo il transito, possibilità di ammirare la totalità dell’area, la città e l’interazione con tra le due. In più si può godere delle zone di sosta seduta e zone per sdraiarsi; - Sezione 4, pensata nel tratto d’interazione con il costruito, permettendo la continuazione del normale flusso. La passerella, è stata impresa ardua da gestire, dovendo ovviare a problematiche di dislivello e dovute al transito ferroviario. La progettazione di questa opera è fondamentale per facilitare le connessioni e le interazioni dell’area e con i servizi presenti nel contesto urbano come, linea metropolitana in via Nizza con l’Ospedale Mauriziano, sito in C.so Turati. 118
7.2.4 Volumi e Regole Incrementale, Cooperativo/Individualista, Progressivo/Temporaneo, Mixitè Le nuove aree generate dai percorsi emersi dallo studio precedente, dovevano rispecchiare gran parte degli obiettivi prefissati, stabilire delle regole è stato opportuno per agevolarne la gestione.
- In prossimità degli assi viari interni all’area e del parco lineare, la nuova volumetria e/o superficie verde aggiunta potrà oltrepassare i limiti prefissati. - Le strade carrabili rimarranno Corso Dante, Via Egeo e Via da Montefeltro fino all’incrocio con Via Bertini. Le restanti due vie interne, Via Bertini e il tratto di Via da Montefeltro, diventeranno zona pedonale.
La strategia d’intervento per edificare: - Tutte le aree nuove devono essere frammentate dal singolo utente in base ai suoi bisogni e necessità. Tale frammentazione e ubicazione, in base alle destinazioni d’uso, saranno stabilite secondo iter logico, strategico e funzionale, mirando all’incremento dell’attività potenziale proposta da quest’ultimo; - Le altezze devono rispettare le coperture dell’edificio al quale vengono adattate. Solo in caso di copertura piana è consentito addizionare volumetria al di sopra, mentre i volumi interni adiacenti a pareti finestrate con affaccio interno non potranno elevarsi più di un piano; - La volumetria aggiunta interna ai fabbricati esistenti e limitrofa agli assi viari principali, non potrà oltrepassare i limiti prefissati. 120
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7.2.5 COPERTURA Al piano delle coperture furono applicati alcuni accorgimenti architettonici riguardanti: il consolidamento strutturale e la predisposizione di sistemi tecnologici impiantistici che, sfruttando la morfologia esistente, trovano un’idonea ubicazione, come ad esempio il posizionamento di pannelli fotovoltaici nella parte inclinata, non vetrata, posta a sud delle coperture a shed. Mentre, un significativo intervento venne, effettuato nell’area dove risiede attualmente lo stabilimento Toolbox. In quell’isolato risiede la prima impronta storica di tutta l’area, così si pensò di ricreare lo stesso asse, un tempo viario, che divide l’interno di questa maglia fortemente consolidata. Tale sventramento diede modo di aprire il perimetro, concedendo una connessione con l’isolato adiacente e determinando la possibilità al verde/spazio pubblico di inserirsi ed espandersi al piano terreno anche in questa porzione dell’area. Invece, la superficie di copertura rimasta venne inglobata al secondo livello che collega tutta l’area con la particolarità, diversamente dagli altri isolati, di ospitare su di essa della nuova volumetria. Tale, ha modo solo in questa porzione di svilupparsi all’esterno, aggrappandosi alle strutture sottostanti anziché all’interno dei capannoni industriali esistenti.
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7.3 STRATEGIA IMPIANTISTICA Definita l’interazione tra i due livelli e l’esterno, con l’ausilio della passerella pedonale, fu opportuno valutare la miglior possibile soluzione architettonica da destinare all’uso impiantistico. Non fu immediato arrivare ad una strategia che sostenesse la possibilità di contenere una svariata pluralità di realtà costruttive impiantistiche. Pensare di organizzare un involucro di tali dimensioni in modo da poter ospitare differenti moduli costruttivi con il proprio sistema impiantistico, fu un’impresa ardua. Stabilito che la scelta progettuale fu quella di predisporre gli attacchi principali per far in modo che qualsiasi involucro indipendente potesse stabilirsi, espandersi o anche solo sostare temporaneamente, era necessario capire la strategia architettonica da applicarvi. Per quanto riguarda la predisposizione dello spazio pubblico intermedio, ossia quella zone “cuscinetto” tra l’esterno e i singoli volumi privati, vennero effettuate delle soluzioni puntali per ciò che concerne l’illuminazione naturale ed artificiale, la ventilazione e il riscaldamento. L’illuminazione naturale era largamente predisposta mentre per quella artificiale, sfruttando la conformazione architettonica dell’involucro edilizio, vennero predisposti dei pannelli fotovoltaici, ad esempio nelle coperture a shed sui lati inclinati a sud, per la produzione di energia elettrica ovviamente beneficiando anche del collegamento alla rete pubblica esterna. La ventilazione naturale è stata garantita attraverso le aperture delle facciate esterne dei fabbricati e dall’estrazione dell’aria esausta utilizzando la conformazione delle coperture. 125
Mentre per quanto riguarda il riscaldamento, queste zone gioveranno delle dispersioni termiche di calore dei singoli volumi, creando degli ambienti intermedi tra l’esterno e l’interno privato, a temperatura non controllata. Le predisposizioni adottate per l’inserimento dei vari volumi furono: - delle piastre impiantistiche di superficie analoga a quella dell’area da edificare, progettata attraverso pavimento galleggiante, dove all’interno si snoda le rete dei tubi che consente la libertà dei collegamenti tra unità private e il sistema di distribuzione principale della nostra area; - delle colonne che partendo dal piano terra dell’esistente si estendono fino al piano del secondo livello, portando all’interno le varie tubazioni in modo da fornire la predisposizione agli allacci anche ai volumi posti al piano superiore; - delle lamiere di chiusura poste sotto due parti circoscritti di due shed, posizionati su file differenti, che funzionino da plenum per l’estrazione e l’immissione di aria da e verso l’esterno. In questa maniera ogni volume singolo dal piano terra o da quello superiore si attaccherà ad essi attraverso i propri sistemi di condotti di estrazione e di immissione.
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7.2.7 RENDERING LIFE STYLE Rappresentazioni Concettuali dell’Area
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1 Vista cortile dietro Via Agostino da Montefeltro
2 Vista su Via Agostino da Montefeltro
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3 Vista su passerella
4 Vista interna, predisposizione accessi e piattaforme impiantistiche
4 Vista interna, aggiunta delle nuove volumetrie utenza finale
8 CONCLUSIONI Giunti alla fine della nostra tesi, con il concetto di riuso adattivo intendiamo concepire le impronte storiche come dei potenziali per una trasformazione urbana di successo. Riciclare le risorse inutilizzate del tessuto urbano crea e sedimenta nuovi significati carichi di importanti valori, quali la sostenibilità ambientale ed economica, la qualità della vita sociale e soprattutto genera una nuova identità al territorio. Mentre demolire e ricostruire su aree dismesse della città, come concerne il modello tradizionale di urbanizzazione, definisce la volontà di rimanere restii al cambiamento sociale e culturale della popolazione, quanto alla consistente crisi economica e finanziaria emergente. Il modello alternativo al tradizionale, al quale noi ci rifacciamo, rimanda ad una modalità di trasformazione basata sulle specifiche condizioni messe a disposizione dall’edificato esistente con l’intento di minimizzare gli interventi. Approccio, che per quanto possa risultare innovativo, rimanda ad antiche soluzioni tecnologiche ed urbanistiche, come visto nei primi capitoli. Tali tecniche venivano attuate quando le condizioni sociali e economiche necessitavano di interventi repentini, efficaci e che prevedessero un ritorno economico consistente, limitando le spese di realizzazione. In merito alla sfera economica, senza entrare nel dettaglio, sappiamo che riferendoci al sistema di demolizione e ricostruzione si dovrà affrontare un considerevole aumento dei costi, dovuto 141
allo smaltimento dei rifiuti e alla bonifica del sito; mentre il riuso, ottimizzato l’utilizzo di energie, materiali e risorse, prevede una spesa iniziale meno ingente, previ costi imprevisti riferiti alle condizioni dell’edificio. In definitiva non è effettivamente individuabile il riscontro economico di questa soluzione ma possiamo avvalerci di fonti sicure riguardanti esempi di rigenerazione di interi quartieri o edifici per proporre una rivalsa culturale e sociale. Localizzare siti dismessi in attesa di essere riqualificati è semplice, spesso sono ben catalogati in documenti, quali i piani regolatori comunali ma, il punto focale sul quale far leva è tentare di trasformarli in porzioni di città non vincolati da usi precedenti ma con dei potenziali riferiti: alle dimensioni, all’ubicazione, ai collegamenti e al valore storico di cui evidentemente sono provvisti.
tra i vari punti nevralgici di accesso all’intera area, definendo anche lo spazio edificare, in modo da definire un “campo fertile” al quale il sistema addizionale con le adeguate accortezze impiantistiche e progettuali, possa far emergere tutte le proprie potenzialità. Quindi appoggiamo e proponiamo un processo, secondo il quale: analizzati i riscontri economici e la fattibilità architettonica, si crei la base per proporre e predisporre una nuova strategia di edificazione, caratterizzata da un approccio più flessibile in grado di produrre dinamismo, diversità e coesione sociale, inserendo in maniera spontanea e incrementale nel tempo, una pluralità di realtà che riattiveranno il contesto di cui faranno parte.
Si rimanda alla concezione di un disegno architettonico che vede l’edificio, in questo caso ex industria, come un contenitore a cui vanno ad addizionarsi nuovi sistemi, spesso caratterizzati da materiali tecnologici più flessibili e leggeri, che occupano superfici contenute rispetto a quella ospitante. Questa operazione conduce alla creazione di nuovi spazi “cuscinetto” che, difficilmente in altri ambiti sono così evidentemente riconoscibili, spazi intermedi pubblici tra esterno e privato che possono essere vissuti in modalità differente. La nostra strategia progettuale prevede la creazione di questi spazi attraverso la connessione 142
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RINGRAZIAMENTI
Ringraziamo i tecnici che ci hanno aiutato: l’Arch. Sasso, Luigi, Gianni, Peppe, Il Prof. Matteo Robiglio e il Prof. Marco Filippi. Sara Ringrazio i miei genitori, mio fratello e Aurélie per la pazienza prestata e i numerosi momenti di conforto. Ringrazio la mia piccola Lucille che nei momenti peggiori mi ha regalato le migliori risate. Ringrazio le mie amiche che hanno accompagnato lacrime e risate: Kiara, Vero, Marti e Stecca. I miei cugini e cugine. I miei compagni di tesi che nonostante i litigi, le incomprensioni, i pianti (ma anche le risate) siamo riusciti a concludere. Infine ringrazio Ale, è stata un’esperienza faticosa che mi ha aiutato a capire molto e gran parte lo devo a lui. Alessandro Grazie a tutti coloro che hanno partecipato attivamente alla nostra “impresa”. In particolare ai miei genitori, Sara, Nicola, Walt, Walker, Mastro Peppe, Mary Jean, Mastro Gianni per i consigli tecnici, Fistola, Pina e Terry per i pranzi e l’Ing. Zio Wiliam, Pluca e Sco.
Nicola Giunto alla fine di questo percorso che rappresenta un traguardo fondamentale della mia vita, mi sento di voler ringraziare coloro i quali hanno fatto si che potessi arrivare a tanto, i miei genitori che con i loro sacrifici e con il loro affetto mi sono stati vicini in tutto il periodo della vita, sino a qui. Un altro ringraziamento speciale va a mia sorella Teresa che mi è stata vicina nei momenti di sconforto e ha gioito in maniera silenziosa per ogni mio traguardo, per la pazienza che lei e i miei genitori hanno dimostrato nel sorbire il mio carattere schivo e scontroso nei momenti difficili di questo percorso di studi, così come nella vita quotidiana. Un doveroso ringraziamento va anche alla mia fidanzata, a mia zia ed ai miei cugini che hanno fatto da contorno e non solo a questo gioioso cammino, così come i miei amici e i miei compagni di università mi hanno aiutato in ogni modo. Grazie di cuore a tutti.