PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ITINERARIO DA LARGO DUOMO A PIAZZA VITTORIO VENETO ATTRAVERSO IL SASSO CAVEOSO
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PUNTO PANORAMICO DA PIAZZA DUOMO Stiamo osservando la città da Largo Duomo, l’ampio sagrato della cattedrale che occupa la sommità del primo nucleo urbano di Matera. Da questo punto è possibile ammirare la complessa strutturazione urbanistica della città antica e intravedere i monumenti che andremo a visitare: sulla destra il Sasso Barisano, dove si erge il monastero di sant’Agostino e, girando lo sguardo leggermente verso sinistra, la chiesa di san Pietro Barisano immersa in un nugolo di case e palazzi; di fronte a noi, si intravedono le tre porte d’affaccio di piazza Vittorio Veneto, sormontate dalla facciata del complesso dell’Annunziata, che fanno da spartiacque tra l’uno e l’altro Sasso. Sulla sinistra, con un po’ di attenzione, è possibile scorgere anche la merlatura del Castello Tramontano e le vele del campanile della chiesa di san Francesco.
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Audio di collegamento: La cattedrale è il luogo in cui si è consolidata la coscienza cittadina dei materani. Un popolo che nel corso della sua millenaria storia è sempre stato convinto che nessuno spazio può dirsi realmente abitato senza una presenza sacrale, senza una figura superiore a cui appellarsi nelle avversità della vita, senza una presenza costante da ringraziare nelle gioie e pregare nei dolori.
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3 L’abbiamo vista da lontano. La sua sagoma domina il panorama della città... ed ora, eccoci di fronte a lei.
CATTEDRALE (ESTERNO)
E’ la facciata laterale quella che per prima attrae la nostra attenzione. I monaci e il patriarca, i leoni e il giudice, l’aquila e i leoni.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Due monaci accovacciati, sembrano ricordare alla Piazza il lontano rapporto filiale tra Dio e l’uomo, di cui il Patriarca Abramo, ricordato nella lunetta, è il primo di un lungo elenco.
Quattro leoni onorano la memoria del Giudice Saraceno che operò nella città a metà del Duecento. Due leoni sorreggono altrettante colonne e danno il nome a questa porta d’accesso, anche se al di sopra di essi svetta un’aquila che, avendo perso la testa, non può più dimostrare la sua regalità.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Le statue di San Paolo a destra e San Pietro a sinistra che proteggono la Madonna col Bambino, onorati da sant’Eustachio e da sua moglie Teopista.
Se la figura di questa “Signora” ci ha già affascinato… non ci resta che conquistarne il cuore. Spostiamoci ora sulla facciata principale. Diamo le spalle al Sasso Barisano e ammiriamo gli ornamenti di questa “bella Signora”. Gli archetti del coronamento sorretti da dodici pilastri: gli Apostoli che seguono Cristo con la sua Croce posta in alto. Sotto, altri quattro pilastri laterali: gli Evangelisti testimoni della storia della Salvezza. Il rosone a sedici raggi, la ruota della Vita o della Fortuna, circondata da Michele Arcangelo che la sorveglia, due uomini che la fanno girare e un robusto telamòne che la sorregge.
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CATTEDRALE (INTERNO)
Il cuore di questa chiesa è rappresentato dall’antica cripta di sant’Eustachio, su cui è stata edificata la cattedrale che, come recita l’epigrafe sull’architrave sovrastante la porta d’accesso al campanile, fu completata nel 1270 e dedicata alla Madonna della Bruna. Per comprendere a pieno la devozione dei materani verso i due Protettori della Città, ascoltiamo un passo della Cronaca di Francesco Volpe:
“Antichissima è la venerazione in Matera verso il glorioso Martire sant’Eustachio, gran Capitano ai tempi di Traiano, e Adriano. Dicesi, che al di là del mille ritrovandosi la Città assediata dai Saraceni, il Santo con la sua gloriosa Famiglia apparve per accorrervi in aiuto e salvarla, e che i Materani avvertiti successivamente dell’avvenuto miracolo si siano affrettati ad acclamarli come loro Protettori e Tutelari. Nel dì 20 maggio, quando si vuole che avesse avuto luogo l’apparizione, si solennizza ogni anno con venerazione e pompa la di loro Festività.
Ella si torna a celebrare con maggior decoro il 20 settembre, quando avvenne il loro glorioso martirio. Era nei trasandati tempi, per antico costume, a carico del Baglivo della Città recare nel detto dì 20 maggio, alla Chiesa di sant’Eustachio nel primo solenne Vespro un’offerta, e tributo, consistente in una torcia vestita di monete d’argento, e vari cesti di frutta, di fiori, ed altro, in mezzo a suoni e canti in onore di codesti Santi Protettori”. Per contraccambiare questa offerta, al Baglivo venivano consegnati “un pane, un barile di vino, e parecchie ricotte dure, con una torcia di nitida cera”.
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CATTEDRALE (INTERNO)
Nella Cattedrale si conserva “l’immagine dalla Vergine della Bruna, così detta a motivo della nerezza del di lei viso, detta anche di Santa Maria di Matera in un testamento o di Santa Maria dell’Episcopio. Urbano VI Sommo Pontefice, [che fu Vescovo di Matera dal 1365 al 1377], avendo constatato l’estrema devozione dei Materani verso codesta Sacrissima Immagine, nel 1389 ne istituì la Festività il 2 luglio [facendola coincidere con la festa della Visitazione, istituita quello stesso anno].
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CATTEDRALE (INTERNO)
Venne ella allora confermata Titolare, e venerata sotto il titolo di Maria Santissima della Bruna” con una festa così grandiosa, così caratteristica e così barocca, che sembra oscillare tra il mito e la realtà.
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Audio di collegamento: Scendiamo verso via San Potito fino ad incontrare via San Giacomo e, prima di arrivare alla Gravina, possiamo visitare il MUSMA – il Museo della Scultura Contemporanea di Matera.
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PUNTO PANORAMICO DA PIAZZA POSTERGOLA Il panorama che abbiamo di fronte è dominato dalla rupe scoscesa sulla nostra sinistra che si tuffa nel sottostante torrente Gravina. Sul versante destro, invece, la rupe si erge come una parete verticale, che funge da fondamenta per la città che ne segue l’andamento fino al rione Casalnuovo. La roccia su cui poggia la chiesa di San Pietro Caveoso conclude la sua corsa verso l’alto nello sperone di Monterrone che ospita le chiese rupestri della Madonna dell’Idris e di San Giovanni.
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Audio di collegamento: Seguiamo via Madonna delle Virtù fino a piazza San Pietro Caveoso. Le richieste dei materani di nuovi spazi in cui abitare, in cui riunirsi, in cui pregare erano sempre più frequenti… e a quel rumore sordo dei cavatori di tufo che riecheggiava nei Sassi si unì quello degli scalpellini e dei muratori intenti a costruire le case, i palazzi e le chiese..
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CHIESA DI SAN PIETRO CAVEOSO “La Chiesa Parrocchiale di San Pietro, e Paolo è detta comunemente del Caveoso, a motivo del Borgo o Sasso, ov’è sita. Ella sta collocata sul dorso d’un lato del cupo Torrente detto la Gravina”. Se per il cronista materano Francesco Volpe cupo è il torrente Gravina, nitida è l’importanza storica di questa chiesa. È una delle quattro chiese parrocchiali della Città, assieme alla Cattedrale, san Giovanni Battista e San Pietro Barisano. Il titolo di Collegiata dei Santi Pietro e Paolo, prima che in questa chiesa trovasse la sua ultima collocazione, in origine è appartenuto all’antica chiesetta sotto san Francesco d’Assisi e, successivamente, a quella di san Giovanni in Monterrone. Le leggi sullo sfollamento dei Sassi la ridussero ad un contenitore vuoto per una comunità che ormai non c’era più. Doveva però rinascere, così come avvenuto per i Sassi, seguendo quel percorso di morti e resurrezioni che le vicende umane sembrano periodicamente tracciare.
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Audio di collegamento: Procediamo per alcuni metri lungo via Bruno Buozzi fino ad incontrare la scalinata di via Madonna dell’Idris. ...le nuove chiese parrocchiali riuscivano a contenere un numero maggiore di fedeli, ma le antiche chiese rupestri, testimoni di un legame atavico con gli abitanti vissuti secoli prima, non vennero mai abbandonate, anzi, l’antica devozione verso i Santi della tradizione bizantina donava conforto e tranquillità e quegli spazi invece che venire dismessi si ampliavano di luoghi in cui ci si affidava completamente alla loro protezione.
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10 CHIESA DELLA
MADONNA DE IDRIS E CHIESA DI SAN GIOVANNI IN MONTERRONE Siamo saliti per la gradinata che porta a questo nudo sperone di roccia, inconsapevoli di quello che stavamo compiendo. Per alcuni è stata solo fatica, per altri ha assunto connotati mistici ed ultraterreni.
Il Calvario, così è conosciuto questo roccione, e la croce in ferro battuto che lo sovrasta ne completa l’immagine. Senza saperlo, però, qualcuno ci ha guidati nella salita. La Vergine guida della via, l’Odigitria, che in questo luogo è diventata “Idris”. Attraversiamo la porta: la Madonna in trono col Bambino ci saluta e ci ringrazia della venuta. Lo stesso fa San Leonardo, mentre l’Arcangelo Gabriele sembra annunciarci che il viaggio non è ancora terminato.
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CHIESA DELLA MADONNA DE IDRIS E CHIESA DI SAN GIOVANNI IN MONTERRONE
Infatti. Dobbiamo infilarci nel buio dello stretto corridoio e, abituati i nostri occhi alla luce del nuovo ambiente, entriamo nella millenaria chiesa di san Giovanni in Monterrone. L’ambiente è totalmente diverso da quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle: le luci, le ombre e i colori ormai attenuati, scandiscono i tempi delle fasi di scavo e di ampliamento degli spazi che ci circondano.
È una chiesa rupestre dove tra le luci e le ombre riecheggiano lingue e culture diverse. Se la chiesa con la sua struttura parla greco, san Giacomo comunica attraverso caratteri che rassomigliano a quelli della lingua del Profeta. Il greco ritorna con l’immagine del Pantocratore con i due Giovanni del Vangelo, il Battista e l’Evangelista, mentre il vescovo di Mira, san Nicola, crea costantemente il ponte cultuale tra Oriente ed Occidente, facendoci comprendere che questa tappa del nostro viaggio si è conclusa.
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Audio di collegamento: Ritorniamo verso piazza san Pietro Caveoso e giriamo a destra per vico Solitario. ...i momenti in cui le genti di Matera trovavano conforto nella preghiera erano, comunque, delle piccole pause all’interno di una intensa giornata di duro lavoro. Il ritorno nella propria abitazione era il momento in cui tutto cessava, tutto si fermava, prima di ricominciare ancora una volta alle prime luci dell’alba. La serenità domestica era un qualcosa di totalmente intimo, riservato. La città non poteva entrare nelle case, i rumori non potevano turbare la sacralità della famiglia custodita dietro le porte serrate delle singole abitazioni… Per immergerci in questa dimensione di intimità familiare, visitiamo la Casa Grotta di Vico Solitario oppure possiamo rimandare la visita di questo tipico di ambiente contadino per la Casa Grotta di Casalnuovo che incontreremo tra poco. ...quella stessa serenità che riempiva le case delle famiglie materane era percepibile all’interno dei luoghi di preghiera claustrale. Le comunità religiose erano a pieno titolo parte integrante e importante della società materana. La loro opera di preghiera per il mondo esterno e la loro attenzione verso i più poveri era una ricchezza a cui nessun cittadino voleva rinunciare, anzi, andava sostenuta e garantita soprattutto da quelle categorie sociali più fortunate…
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12 MONASTERO DI
SANT’AGATA E CHIESA DI SANTA LUCIA ALLE MALVE
Santa Lucia alle Malve, parte integrante del monastero benedettino di Sant’Agata e Santa Lucia, è un altro importante esempio di chiesa rupestre offerto dalla Città dei Sassi… l’invito non può che essere quello di visitarla… …mentre ci inoltriamo nei suoi spazi, spiamo attraverso le sue aperture ed ammiriamo gli affreschi in essa conservati, ascoltiamo la storia di una nobile materana che volle lasciare ad esso tutti i suoi beni e, sull’esempio della beata Badessa Eugenia che qui morì nel 1093, si fece suora benedettina:
“Il Monistero di Monache Claustrali di sant’Agata e santa Lucia dell’Ordine di san Benedetto, porta al di là dell’870 i suoi principi. […] Questo Monistero non possedette molti beni. Le Monache erano nel bisogno di girare per la Città, e per fuora, onde provvedere alla loro indigenza. La loro Regola però era esattissima, per la quale riscuotevano giustamente la pubblica stima.
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MONASTERO DI SANT’AGATA E CHIESA DI SANTA LUCIA ALLE MALVE
La Baronessa Matthias figliuola di Roberto Bartinico, e consorte di Eustachio figliuolo dell’Ammirante Santoro di Matera risoluta di menare religiosamente il resto della sua vita, determinò rinchiudersi in questo Monistero. Quindi col consenso del suo consorte prese l’abito nel marzo del 1208, e spogliatasi di tutti i suoi averi, d’essi ne investì il suo Monistero. Le Monache, a vista di tanta liberalità, volendole provare la loro riconoscenza, nello stesso dì del possesso, la crearono Abbadessa”.
Federico II privò di tutti i beni il monastero, che ne rientrò in possesso all’arrivo di Carlo d’Angiò. Nei secoli successivi il monastero ricevette molte donazioni, aumentando quel patrimonio iniziale creato dalla Baronessa Mattia ed eliminando definitivamente ogni timore di indigenza nella vita claustrale delle Monache di Sant’Agata e Santa Lucia anche dopo il trasferimento nell’attuale struttura conventuale di sant’Agata e santa Lucia in Piazza della Fontana.
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Audio di collegamento: Ritornando su via Bruno Buozzi, attraverso una piccola scalinata, proseguiamo verso sinistra per vico San Leonardo, seguendo le indicazioni turistiche per il Convicinio di Sant’Antonio. La solidarietà, il reciproco aiuto e un comune sentimento sociale, sono tutti aspetti caratteristici di quella civiltà contadina che ha riempito le case dei Sassi e che è percepibile anche in alcuni luoghi di culto particolarmente significativi per la vita della comunità contadina di Matera.
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14 CONVICINIO DI
SANT’ANTONIO Il Convicinio indica un’area caratterizzata da contiguità residenziale, in questo caso relativa alla vicinanza di quattro cripte rupestri ubicate all’interno di un recinto quadrangolare: Sant’Antonio, San Donato, Sant’Eligio e San Primo oggi detta di Tempe Cadute ovvero zona di continui crolli e frane. La vicinanza non è solo fisica, anche le dedicazioni delle chiese hanno una sorta di contiguità cultuale: sono quattro Santi popolari. Tutti e quattro hanno un ruolo all’interno del variegato universo della religiosità popolare, con le sue espressioni e le sue manifestazioni di culto che non sempre hanno coinciso con le richieste delle autorità ecclesiastiche. Quattro Santi vicini alle esigenze di una società contadina come era quella materana: la protezione dei raccolti, degli animali domestici e dei bambini. Le famiglie materane, soprattutto nei giorni delle feste di sant’Antonio e di sant’Eligio, si recavano di primo mattino nel cortile del Convicinio per aspettare che l’acqua santa della benedizione li bagnasse insieme agli animali che avevano portato con loro e che giravano in circolo nel perimetro del cortile.
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Audio di collegamento: Ritornando su via Bruno Buozzi, dopo pochi metri svoltiamo a destra seguendo via Casalnuovo fino a dei gradini che ci immettono su via Ridola e svoltiamo a destra nella piazzetta che si intravede tra i palazzi.
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16 PUNTO PANORAMICO DA PIAZZETTA PASCOLI Il panorama che abbiamo di fronte è dominato dal Rione Pianelle che forma una sorta di conca piena zeppa di case sovrapposte. A sinistra, risalendo con lo sguardo verso la sommità della Civita, dominata dal campanile della cattedrale, si distinguono le forme squadrate e possenti dei palazzi nobiliari, tra i quali si intravede la Torre Capone. Il lato destro, invece, è occupato dalla parte posteriore dello sperone di Monterrone con le chiese della Madonna de Idris e san Giovanni e dalla sua ripida scalinata che porta in piazza san Pietro Caveoso.
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Audio di collegamento: Ritorniamo su via Ridola. Il palazzo che stiamo lambendo è appartenuto alla Famiglia Lanfranchi e oggi ospita il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna. Percorriamo questo corso. Sulla nostra destra incontriamo la chiesa di santa Chiara con l’annesso monastero che oggi è sede del Museo Archeologico Nazionale dedicato a Domenico Ridola, padre delle scoperte archeologiche materane. ...costruire, pregare, custodire, termini che nel loro essere verbi all’infinito ci permettono di innalzare il nostro discorso nella dimensione mistica del rapporto tra l’uomo e l’aldilà nel momento di trapasso tra questa e la vita ultraterrena… e la chiesa che chiude via Ridola ne rappresenta la testimonianza architettonica.
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18 CHIESA DEL
PURGATORIO VOCE 1. “Miseremini mei…saltem vos, miseremini mei, amici mei” VOCE 2. “Abbiate pietà di me, almeno voi, abbiate pietà di me, amici miei” Una chiesa dedicata alla morte, alla pietà. Tutti sullo stesso piano: re, papi, vescovi, cittadini, la Morte non fa distinzione, e tutti i 36 riquadri in cui è divisa la porta d’ingresso lo testimoniano. Teschi, scheletri, il tempo che passa e fugge.
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CHIESA DEL PURGATORIO
Entriamo, lasciamoci avvolgere dall’oscurità per riaprire subito gli occhi alla luce della salvezza. Lo spazio interno ha perso i suoi colori originari. La soglia che incuteva terrore e timore una volta varcata era splendente di azzurro perché nella contemplazione del Risorto c’è la luce e si presenta a noi con colori sgargianti.
Poniamoci al centro. La morte che sorvegliava il nostro ingresso, lascia lo spazio a un percorso d’ascensione delle anime e la tela sull’altare di destra del materano Vito Antonio Conversi, che raffigura la morte di san Giuseppe, lo testimonia. Il falegname di Nazareth ha ricevuto il dono dell’ascensione al cielo e lui ha potuto quindi sconfiggere la morte terrena, ma il dipinto sull’altare maggiore dello stesso pittore, dove San Gaetano intercede con la Vergine per le anime del Purgatorio, è un dono che viene fatto a tutti noi.
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Audio di collegamento: L’uomo contemporaneo possiede ormai la consapevolezza del rispetto e della tutela di quello che il tempo ci è stato tramandato. Purtroppo, però, non sempre è stato così! In passato, l’arrivo di una nuova moda artistica eclissava automaticamente le espressioni d’arte precedenti, ritenendole ormai sorpassate e creando una sorta di stratificazione che vede le nuove strutture poggiate su quelle preesistenti. A Matera questa sovrapposizione di diverse epoche e di diverse tecniche costruttive è presente ad ogni passo, perché la città nuova e quella antica vivono in una sorta di osmosi artistica.
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20 CHIESA DI
SAN FRANCESCO D’ASSISI Alcuni cronisti materani narrano che questa chiesa, dedicata a San Francesco, sia stata edificata dal Santo in persona, passato per Matera durante il suo viaggio in Terrasanta: “Questo luogo bramato dal Santo nel suo arrivo in Città, eragli stato negato dall’Università di Matera, la quale ricusava di disturbare il riposo de’ Sacerdoti, che vi dimoravano. […] Il miracolo per tanto d’una donzella defunta restituita al giorno dalle sue fervorose preghiere in Pomarico, ov’era passato, eccitò verso di lui tal rispetto e venerazione ne’ Materani, che senza indugio […] soddisfecero pienamente alle sue brame”. Francesco, però, aveva già ultimato il suo pellegrinaggio terreno quando la chiesa fu costruita. Le stigmate del poverello d’Assisi fanno intravedere la spada di Paolo e le chiavi di Pietro: la chiesa è costruita su una preesistente struttura dell’XI secolo dedicata a Pietro e Paolo. Ancora più antiche le testimonianze del passaggio dell’uomo sulla piazza, che nasconde buche circolari per conservare le derrate alimentari e fori per i pali di capanna, come negli altri insediamenti neolitici della murgia materana.
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CHIESA DI SAN FRANCESCO D’ASSISI
Entriamo. Guardiamo verso l’altare maggiore. Sulla destra una porticina. È l’accesso alla cella campanaria dell’antica chiesa ipogea, purtroppo di difficile accesso. La sosta a Matera di Papa Urbano II durante il suo viaggio per propagandare la Crociata è impressa nella parete; richiama la sosta di san Francesco durante il suo Pellegrinaggio in Terrasanta, impressa nelle Cronache: entrambe sono l’invito a proseguire il nostro viaggio dopo la sosta in questo luogo dove il tempo ha lasciato, cospicue, le sue tracce impresse nella pietra.
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Audio di collegamento: Dalla piazza seguiamo via del Corso fino a piazza Vittorio Veneto. La piazza, il luogo fisico in cui tutto si conosce, tutto ha una dimensione pubblica. In piazza non esiste il privato, non esiste l’intimità garantita dalla propria casa, ogni singola persona è parte di un tutto più grande, la città appunto. La piazza è il luogo di festa, di lotta, di liberazione..e in questo caso, anche di maledizione.
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22 PIAZZA
VITTORIO VENETO Il Convento di san Domenico, il Monastero dell’Annunziata, la chiesa di Mater Domini delimitano l’area detta dei “Foggiali”, un ampio spazio ricco di strutture ipogee, che da queste parti sono meglio note con i termini di derivazione latina di “fosse” o “fogge”.
Al di sotto della piazza si trovano le cisterne che hanno servito per secoli la città. L’acqua, il bene più prezioso da proteggere per una città come questa, proveniva in questo luogo dalla collina detta “del Castello” o “del Lapillo” e veniva raccolta nel “Palombaro”, la cavità a vasca impermeabile scavata nella roccia, che si trova sotto la piazza.
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PIAZZA VITTORIO VENETO
Un passo della Cronologia della città di Matera pubblicata da Gianfranco De Blasiis nel 1635 ci illumina su queste caratteristiche strutture:
“In tutta la Città vi è il masso della pietra detta tufo, atta a cavarci pozzi o conserve d’acqua, conserve di grani, di formaggio e cacio, di vino, quali conserve sono di tale perfettione in questa Città che non hanno pari, et in particolare de’ vini, volendo inferire che sono tanto freddi i vini per l’eccellenza delle cantine o cellari, che al tempo della canicola, non vi è di bisogno di neve, come già è vero. E dell’istessa perfettione e freddezza in eccesso sono le conserve delle acque, et in particolare una chiamata volgarmente Lo Palombaro vicino la fontana, così detta forse ad imitatione del Palombaro di Pozzuoli ch’è uno dei principali Bagni che vi siano. Delle conserve di grani e lor perfettione, basta di dire che ne si conserva sin’ a diece, dodeci e quindeci anni, come se stesse in una cassa”.
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23 PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI La Civita e i Sassi: un panorama che lascia senza fiato.
È uno straordinario risultato dell’azione insediativa dell’uomo che, attraverso i secoli, ha saputo conoscere, valorizzare e fruire di quello che la Natura circostante gli offriva, fino a riconoscersi in quel Patrimonio di grotte, rupi e case che ora appartiene all’Umanità. Conosciamone gli sviluppi storici attraverso il racconto di Francesco Volpe che, dismessi per un momento i panni di rigoroso storico, ha voluto chiudere la sua descrizione con un’immagine onirica della città:
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PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI
“Esiste nel pubblico Archivio di questa Città un privilegio di Filippo Principe di Taranto e Conte di Matera dell’anno 1373, con cui inserisce la Città di Matera nel proprio demanio, insieme ai suoi Casali, possessioni, tenimenti, giurisdizioni e pertinenze. Da quell’epoca la Città cangiò aspetto. Non si valutarono più le valli come due borghi della Città antica, ma come principal corpo di essa Città: ed il nome di Borgo si permutò in quello di Sasso, traendolo dalla immensa copia delle abitazioni apposte e incavate ne’ sassi naturali; e per indicazione si denominò Sasso Caveoso quello che sta di prospetto alla Città di Montescaglioso, e Sasso Barisano l’altro che sta di contro alla Città di Bari. Rimase per altro all’antica Città il nome di Civitas, oggi Civita.
Le abitazioni, che sorgono in queste valli non hanno un medesimo piano e livello. Son le une sopra imposte alle altre, in modochè sembrano pendenti sopra le stesse. Quindi, è all’imbrunir della sera che lo spettatore trovandosi sulle alture, guarda i lumi che ardono in esse come tante brillanti stelle dal Ciel discese”.
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PUNTO PANORAMICO DA PIAZZA DUOMO Stiamo osservando la città da Largo Duomo, l’ampio sagrato della cattedrale che occupa la sommità del primo nucleo urbano di Matera. Da questo punto è possibile ammirare la complessa strutturazione urbanistica della città antica e intravedere i monumenti che andremo a visitare: sulla destra il Sasso Barisano, dove si erge il monastero di sant’Agostino e, girando lo sguardo leggermente verso sinistra, la chiesa di san Pietro Barisano immersa in un nugolo di case e palazzi; di fronte a noi, si intravedono le tre porte d’affaccio di piazza Vittorio Veneto, sormontate dalla facciata del complesso dell’Annunziata, che fanno da spartiacque tra l’uno e l’altro Sasso. Sulla sinistra, con un po’ di attenzione, è possibile scorgere anche la merlatura del Castello Tramontano e le vele del campanile della chiesa di san Francesco.
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E’ la facciata laterale quella che per prima attrae la nostra attenzione. I monaci e il patriarca, i leoni e il giudice, l’aquila e i leoni.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Due monaci accovacciati, sembrano ricordare alla Piazza il lontano rapporto filiale tra Dio e l’uomo, di cui il Patriarca Abramo, ricordato nella lunetta, è il primo di un lungo elenco.
Quattro leoni onorano la memoria del Giudice Saraceno che operò nella città a metà del Duecento. Due leoni sorreggono altrettante colonne e danno il nome a questa porta d’accesso, anche se al di sopra di essi svetta un’aquila che, avendo perso la testa, non può più dimostrare la sua regalità.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Le statue di San Paolo a destra e San Pietro a sinistra che proteggono la Madonna col Bambino, onorati da sant’Eustachio e da sua moglie Teopista.
Se la figura di questa “Signora” ci ha già affascinato… non ci resta che conquistarne il cuore. Spostiamoci ora sulla facciata principale. Diamo le spalle al Sasso Barisano e ammiriamo gli ornamenti di questa “bella Signora”. Gli archetti del coronamento sorretti da dodici pilastri: gli Apostoli che seguono Cristo con la sua Croce posta in alto. Sotto, altri quattro pilastri laterali: gli Evangelisti testimoni della storia della Salvezza. Il rosone a sedici raggi, la ruota della Vita o della Fortuna, circondata da Michele Arcangelo che la sorveglia, due uomini che la fanno girare e un robusto telamòne che la sorregge.
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CATTEDRALE (INTERNO)
Il cuore di questa chiesa è rappresentato dall’antica cripta di sant’Eustachio, su cui è stata edificata la cattedrale che, come recita l’epigrafe sull’architrave sovrastante la porta d’accesso al campanile, fu completata nel 1270 e dedicata alla Madonna della Bruna. Per comprendere a pieno la devozione dei materani verso i due Protettori della Città, ascoltiamo un passo della Cronaca di Francesco Volpe:
“Antichissima è la venerazione in Matera verso il glorioso Martire sant’Eustachio, gran Capitano ai tempi di Traiano, e Adriano. Dicesi, che al di là del mille ritrovandosi la Città assediata dai Saraceni, il Santo con la sua gloriosa Famiglia apparve per accorrervi in aiuto e salvarla, e che i Materani avvertiti successivamente dell’avvenuto miracolo si siano affrettati ad acclamarli come loro Protettori e Tutelari. Nel dì 20 maggio, quando si vuole che avesse avuto luogo l’apparizione, si solennizza ogni anno con venerazione e pompa la di loro Festività.
Ella si torna a celebrare con maggior decoro il 20 settembre, quando avvenne il loro glorioso martirio. Era nei trasandati tempi, per antico costume, a carico del Baglivo della Città recare nel detto dì 20 maggio, alla Chiesa di sant’Eustachio nel primo solenne Vespro un’offerta, e tributo, consistente in una torcia vestita di monete d’argento, e vari cesti di frutta, di fiori, ed altro, in mezzo a suoni e canti in onore di codesti Santi Protettori”. Per contraccambiare questa offerta, al Baglivo venivano consegnati “un pane, un barile di vino, e parecchie ricotte dure, con una torcia di nitida cera”.
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CATTEDRALE (INTERNO)
Nella Cattedrale si conserva “l’immagine dalla Vergine della Bruna, così detta a motivo della nerezza del di lei viso, detta anche di Santa Maria di Matera in un testamento o di Santa Maria dell’Episcopio. Urbano VI Sommo Pontefice, [che fu Vescovo di Matera dal 1365 al 1377], avendo constatato l’estrema devozione dei Materani verso codesta Sacrissima Immagine, nel 1389 ne istituì la Festività il 2 luglio [facendola coincidere con la festa della Visitazione, istituita quello stesso anno].
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CATTEDRALE (INTERNO)
Venne ella allora confermata Titolare, e venerata sotto il titolo di Maria Santissima della Bruna” con una festa così grandiosa, così caratteristica e così barocca, che sembra oscillare tra il mito e la realtà.
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Audio di collegamento: Scendiamo da via del Riscatto fino a vico Conservatorio e proseguiamo per vico Civita verso la chiesa della Madonna delle Virtù, osservando lo spazio che si dipana tra piccole stradine e imponenti palazzi nobiliari. In una città come Matera, una delle figure professionali più diffuse era quella di scavatore o cavatore di tufo. Le case, le chiese, i palazzi, le piazze, tutto in questa città ha preso forma da un primo colpo di piccone dato ad una parete calcarenitica. Quel rumore sordo accompagnava le giornate dei materani che convivevano con quella sequenza di colpi ripetuti all’infinito per intere giornate di lavoro. Cavare blocchi di tufo richiedeva fatica, pazienza e concentrazione. La maestria e la fatica dei cavatori ha reso possibile la realizzazione delle nuove strutture in costruito, oltre a perpetuare l’antica pratica delle costruzioni realizzate per sottrazione…
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6 CHIESA DELLA
MADONNA DELLE VIRTU’
È una delle chiese rupestri più importanti di Matera, anche se l’accesso è di modesta fattura. Questa porticina ci lascia un attimo perplessi riguardo alle attese dell’interno. Infatti, lo spettacolo che si apre ai nostri occhi è diametralmente opposto a quello dell’esterno.
La chiesa, infatti, sembra convergere in un unico punto, quel catino absidale che attira immediatamente l’attenzione dell’osservatore in quanto è arricchito da una magnifica Crocifissione, la cui nitidezza delle figure avrà fatto inginocchiare ai piedi di quel Calvario i fedeli che nei diversi secoli l’hanno ammirata.
È una chiesa a pianta basilicale, sontuosa nelle sue tre navate scavate nel tufo. Il rigoroso rispetto delle proporzioni prospettiche sono la testimonianza più evidente dell’abilità degli scavatori materani.
A destra, l’ampia zona scavata per cavarne blocchi di tufo allorquando la chiesa perse la sua destinazione d’uso cultuale, sembra testimoniarci una sorta di processo distruttivo inverso: anziché sottrazione di spazio, come avviene con crolli e rovine, aggiunta di spazio - dovuta all’attività cavatoria -; causa comunque di perdita delle proporzioni originali. Per fortuna non della sua bellezza. La visita, però, non è conclusa. Una strana apertura posta in fondo alla chiesa consente l’accesso all’ambiente ipogeo del monastero e alla scalinata che porta a san Nicola dei Greci.
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Audio di collegamento: La nuda roccia, però, non poteva rimanere priva dei simboli, delle immagini e degli spazi necessari per renderla un luogo in cui vivere..in cui pregare…
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CHIESA DI SAN NICOLA DEI GRECI Una folla di Santi con vestiti regali ci accoglie al nostro ingresso in questa chiesa. Il titolare della chiesa, san Nicola, si distingue benissimo sul fondo dell’abside di sinistra, accompagnato da santa Barbara e san Pantaleone. Sempre sulla destra, ma lungo la parete, Sant’Antonio, precursore del monachesimo orientale, non sembra affatto intimorito dalla mannaia conficcata sul capo del suo vicino, il domenicano e inquisitore Pietro Martire.
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CHIESA DI SAN NICOLA DEI GRECI
Le aperture delle pareti, l’ambone e l’iconostasi, i colori, gli ornamenti e le figure rappresentate, offrono all’osservatore uno spaccato di prim’ordine su quell’arte figurativa di tradizione bizantina che ha arricchito e colorato le umide pareti delle chiese rupestri di Matera fino al XV secolo.
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Audio di collegamento: Prendiamo via Madonna delle Virtù verso sinistra e proseguiamo fino all’incrocio con via Casale e saliamo per i gradini verso la chiesa di sant’Agostino. Agli ambienti rupestri si affiancano anche strutture cultuali più complesse, frutto di un processo evolutivo delle tecniche costruttive che nel tempo ha assimilato anche i concetti teorici della geometria simbolica.
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10 CONVENTO DI
SANT’AGOSTINO Siamo di fronte ad un complesso monastico che racchiude in sé tutti i concetti stilistici delle costruzioni agostiniane. Il Convento di Sant’Agostino è il risultato della trasposizione architettonica di un atteggiamento ideologico in materia di fabbriche sacre, caratterizzato da una forte mistica della geometria pura ripresa dalla lettura dei testi del vescovo d’Ippona. Sono essenzialmente il triangolo e il quadrato, che fra i poligoni sono le figure più semplici, a scandire le unità costruttive di questa struttura conventuale. La costruzione di questo convento costituisce un momento centrale nell’evoluzione urbanistica di Matera. Il suo posizionamento a ridosso della gravina ha rappresentato la soluzione ottimale per conciliare le esigenze religiose con lo sviluppo delle aree periferiche della città, oltre ad aver consentito agli Agostiniani di ereditare quel flusso costante di fedeli che da sempre si recavano in quel sito per onorare il fondatore dell’Ordine pulsanese, Guglielmo da Vercelli, in quella cripta ipogea su cui è stata edificata la chiesa del convento stesso.
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11 PUNTO PANORAMICO DA SANT’AGOSTINO Gravina, rupe e città. È un tutt’uno. Il panorama che abbiamo di fronte chiarisce ogni dubbio residuo circa la natura e la città ma, soprattutto circa la natura della città. I colori sono gli stessi, i materiali sono gli stessi. La mano dell’uomo è intervenuta solo a plasmare la materia che il territorio gli ha offerto. Le uniche differenze sono rappresentate dal campanile della cattedrale che rompe la linea continua del cielo e da via Madonna delle Virtù che smorza le tonalità cromatiche del grigio e del giallino della roccia calcarenitica. Addentriamoci nel cuore del Sasso Barisano seguendo via d’Addozio fino a piazzetta san Pietro Barisano. Quello che stiamo vedendo può apparire privo di logica, quasi irregolare, eppure è proprio in questa irrazionalità che bisogna cercare la caratteristica delle abitazioni dei Sassi di Matera. Questo insieme di case sovrapposte sembra inaccessibile, privo di vie d’accesso… ma che non è, comunque, capace di nasconderci i suoi preziosi tesori architettonici.
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Audio di collegamento: Gravina, rupe e città. È un tutt’uno. Il panorama che abbiamo di fronte chiarisce ogni dubbio residuo circa la natura e la città ma, soprattutto circa la natura della città. I colori sono gli stessi, i materiali sono gli stessi. La mano dell’uomo è intervenuta solo a plasmare la materia che il territorio gli ha offerto. Le uniche differenze sono rappresentate dal campanile della cattedrale che rompe la linea continua del cielo e da via Madonna delle Virtù che smorza le tonalità cromatiche del grigio e del giallino della roccia calcarenitica. Addentriamoci nel cuore del Sasso Barisano seguendo via d’Addozio fino a piazzetta San Pietro Barisano. Quello che stiamo vedendo può apparire privo di logica, quasi irregolare, eppure è proprio in questa irrazionalità che bisogna cercare la caratteristica delle abitazioni dei Sassi di Matera. Questo insieme di case sovrapposte sembra inaccessibile, privo di vie d’accesso… ma che non è, comunque, capace di nasconderci i suoi preziosi tesori architettonici.
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13 CHIESA DI
SAN PIETRO BARISANO “La Chiesa Parrocchiale di San Pietro Barisano, così chiamata essa dal Borgo, o Sasso, ove sta riposta, vanta pure una remotissima antichità. […] Benché questa Chiesa sia incavata nella pietra indigena, è tutta volta a tre Navi con delle porte proporzionate a ciascuna di esse nella facciata esteriore dell’entrata. L’estinta famiglia Ciminelli, per averla devotamente restaurata e dotata di entrate, ottenne, nel 1467, dal Papa Paolo II la Bolla di jus patronato. Da allora e fino al 1646, quando terminò la linea maschile della famiglia, furono dai Ciminelli nominati quattro Abati. Il diritto di nomina del Rettore, o Abate, passò alla linea femminile, ma una volta estintasi anche questa, questo privilegio passò alla famiglia Venusio, e da questa alla Gattini, “per effetti del matrimonio tra Candida Venusio, sola superstite di […] Casa [Ciminelli], e Francesco Gattini. […] Nella elezione di questo Rettore, o Abbate, nuina parte vi prende la Curia Romana”. “Trovasi in questa Chiesa fondata la Confraternita sotto il titolo del SS. Crocifisso, aggregata all’Arciconfraternita di San Marcello di Roma, di cui è parte di tutte le particolari indulgenze, e grazie che quella tiene dalla Romana sede”.
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Audio di collegamento: Prendiamo via Santa Cesarea, alle spalle della chiesa, e seguiamo la strada fino a piazza san Rocco. A delimitare la piccola piazza c’è la chiesa dedicata al Santo di Montpellier con l’annesso ospedale che oggi ospita l’Università della Basilicata e, sulla destra, un vero e proprio gioiello dell’architettura medievale, la chiesa di San Giovanni Battista con le sue pietre parlanti.
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15 CHIESA DI
SAN GIOVANNI BATTISTA
Le sei innocenti e pure fanciulle, immerse tra foglie di acanto e frutti del bagolaro, le cui testine ci guardano dal portale duecentesco sono le prime a volerci comunicare qualcosa. La loro storia narra di nove religiose condotte dal lontano oriente -San Giovanni d’Acri, capitale del Regno Latino- dal vescovo di Matera. È tempo di crociate, è tempo di scontri e di incontri tra religioni e culture. È tempo di ricerca di serenità e di redenzione, e Matera offre loro questa chiesa, ponendola sotto il titolo di Santa Maria la Nova.
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CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Addentriamoci e ascoltiamo le voci delle pietre che, attraverso la lingua architettonica di derivazione cistercense scritta con le foglie di acanto, le palme, i meloni, le pigne e i melograni, parlano di infanzia e di primavera, di abbondanza e di gioia pasquale. Sui quattro capitelli centrali figure antropomorfe e bestiari. Sul lato sinistro, possiamo ascoltare il dialogo che sta avvenendo tra l’anziano del capitello della senilità e le fanciulle del capitello di fronte che stanno venerando l’ Altissimo.
Sull’altro capitello, la donna che si sta coprendo con il mantello della virtù, che sembra voler anch’essa partecipare a questo dialogo. Dal lato opposto si sente riecheggiare lo scontro che sta avvenendo tra i lupi della fede mentre aggrediscono i grifi del peccato nell’atto di mangiare la foglia dell’anima.
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Audio di collegamento: Incanaliamoci lungo via San Biagio fino a piazza Vittorio Veneto. La piazza è il luogo fisico in cui tutto si conosce, tutto ha una dimensione pubblica. In piazza non esiste il privato, non esiste l’intimità garantita dalla propria casa, ogni singola persona è parte di un tutto più grande, la città appunto. La piazza è il luogo di festa, di lotta e di liberazione..
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17 CONVENTO DI
SAN DOMENICO
La costruzione del convento di quello che in origine era detto l’Ordine della “Predicazione di Cristo” risale al 1230.
Il dato storico assume un particolare significato in quanto confermerebbe un legame tra la fondazione di questo complesso monastico e lo stesso san Domenico di Guzmán che, stando a quanto narrato dalle Cronaca, volle testimoniare la sua personale riconoscenza per questa costruzione in una lettera inviata alla città di Matera:
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CONVENTO DI SAN DOMENICO
“Il Convento di San Domenico dell’Ordine de’ Predicatori sito al sinistro lato della porta principale della Città fu costruita per volontà del beato Nicola da Giovinazzo, degno discepolo e socio del Patriarca, e Fondatore di questa illustre Religione, San Domenico. La Città di Matera, possedeva una lettera vergata di proprio pugno dal Patriarca San Domenico, con cui le significava la riconoscenza, per aver accolta la sua Religione.Caduta ella infelicemente nelle mani di un Preside Spagnuolo della Provincia di Matera, fu giudicata di buona preda, e sparì”.
Nonostante il furto della presunta lettera di san Domenico alla città, la facciata – con il suo rosone che rimanda agli stilemi adottati per la cattedrale – e l’intero complesso monastico – passato nell’Ottocento ad ospitare i funzionari governativirestano la testimonianza più autentica del contributo che i Padri Predicatori hanno lasciato a Matera tanto sul piano architettonico quanto su quello prettamente spirituale.
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18 CHIESA DI
SANTO SPIRITO Spostandoci verso il centro della piazza, oltrepassando la fontana, possiamo affacciarci alla balaustra che ci consente di intravedere la chiesa di Santo Spirito. È l’altro tesoro nascosto sotto la piazza. Una chiesa di origine benedettina che presenta entrambe le tecniche costruttive con cui sono stati realizzati i monumenti di questa città: la parte posteriore è scavata, quella anteriore è invece costruita. Se l’ambiente a tre navate con le colonne di tufo sono espressione di un uso religioso, il pavimento in conci quadrati di cotto e le nicchie ricavate lungo le pareti, là dove un tempo erano visibili alcuni affreschi, rimandano all’uso abitativo che questo spazio ha avuto fino a cinquant’anni fa’.
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CHIESA DI SANTO SPIRITO È un processo, questo, comune a molte altre chiese rupestri di Matera. Infatti, una volta abbandonato l’utilizzo sacrale, questi ambienti sono stati man mano occupati dagli abitanti della città, che in questo modo evitavano un massacrante lavoro di scavo e testimoniando una particolare propensione di questa città a far convivere nel corso dei suoi sviluppi urbani il sacro con il profano.
...ma i segreti non sono finiti. Un’inaspettata torre aragonese è stata scoperta durante i recenti lavori di sistemazione della piazza ed era parte integrante del progetto di perimetrazione muraria di difesa pensato dal Conte Tramontano che, avvolgendo ad anello il Sasso Barisano e passando proprio per questo luogo, doveva chiudersi a ridosso del suo castello.
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19 CHIESA DI
MATER DOMINI È il Conte Giuseppe Gattini, storico e senatore materano del Parlamento post-unitario, a darci notizie riguardanti questa chiesa: “I Cavalieri di Malta possedevano a Matera la Commenda di Santa Maria Annunciata di Picciano a 9 chilometri dalla città. Dipendeva da questa, la chiesa di Santo Spirito al piano di San Domenico e San Tommaso, sopra i magazzini di Pietro Verricelli.
È proprio questo di Santo Spirito il titolo primitivo della chiesa. Era questa una chiesa di remota antichità, detta altrimenti della Mater Domini, a tre navi e posta su uno di quei fossi nella piazza della Sottoprefettura, che furon chiusi all’epoca del mio Sindacato per decoro della città”.
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CHIESA DI MATER DOMINI
Francesco Volpe c’informa che: “Il Commendator [di Malta] Zurla, portato dalla pietà, s’applicò a ristaurarla; ond’è, che nelle due colonne, che si chiudono nel Grande Altare vi è il suo stemma, portante tre merli, colle parole Zurla da una parte, e Commere – Commendatore dall’altra.”
“Il Capitano di Galera Fra Silvio Zurla di Crema fu Commendatore di Matera. […] atterrito per l’infortunio capitato al suo predecessore [morto il 21 dicembre 1647 per il crollo della sua abitazione], volle avere una casa Commendatale, onde comprò quella che appartenne alla famiglia Troiano, in un braccio del Castello Vecchio”.
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20 PIAZZA
VITTORIO VENETO Il Convento di san Domenico, il Monastero dell’Annunziata, la chiesa di Mater Domini delimitano l’area detta dei “Foggiali”, un ampio spazio ricco di strutture ipogee, che da queste parti sono meglio note con i termini di derivazione latina di “fosse” o “fogge”.
Al di sotto della piazza si trovano le cisterne che hanno servito per secoli la città. L’acqua, il bene più prezioso da proteggere per una città come questa, proveniva in questo luogo dalla collina detta “del Castello” o “del Lapillo” e veniva raccolta nel “Palombaro”, la cavità a vasca impermeabile scavata nella roccia, che si trova sotto la piazza.
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PIAZZA VITTORIO VENETO
Un passo della Cronologia della città di Matera pubblicata da Gianfranco De Blasiis nel 1635 ci illumina su queste caratteristiche strutture:
“In tutta la Città vi è il masso della pietra detta tufo, atta a cavarci pozzi o conserve d’acqua, conserve di grani, di formaggio e cacio, di vino, quali conserve sono di tale perfettione in questa Città che non hanno pari, et in particolare de’ vini, volendo inferire che sono tanto freddi i vini per l’eccellenza delle cantine o cellari, che al tempo della canicola, non vi è di bisogno di neve, come già è vero. E dell’istessa perfettione e freddezza in eccesso sono le conserve delle acque, et in particolare una chiamata volgarmente Lo Palombaro vicino la fontana, così detta forse ad imitatione del Palombaro di Pozzuoli ch’è uno dei principali Bagni che vi siano. Delle conserve di grani e lor perfettione, basta di dire che ne si conserva sin’ a diece, dodeci e quindeci anni, come se stesse in una cassa”.
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21 PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI La Civita e i Sassi: un panorama che lascia senza fiato.
È uno straordinario risultato dell’azione insediativa dell’uomo che, attraverso i secoli, ha saputo conoscere, valorizzare e fruire di quello che la Natura circostante gli offriva, fino a riconoscersi in quel Patrimonio di grotte, rupi e case che ora appartiene all’Umanità. Conosciamone gli sviluppi storici attraverso il racconto di Francesco Volpe che, dismessi per un momento i panni di rigoroso storico, ha voluto chiudere la sua descrizione con un’immagine onirica della città:
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PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI
“Esiste nel pubblico Archivio di questa Città un privilegio di Filippo Principe di Taranto e Conte di Matera dell’anno 1373, con cui inserisce la Città di Matera nel proprio demanio, insieme ai suoi Casali, possessioni, tenimenti, giurisdizioni e pertinenze. Da quell’epoca la Città cangiò aspetto. Non si valutarono più le valli come due borghi della Città antica, ma come principal corpo di essa Città: ed il nome di Borgo si permutò in quello di Sasso, traendolo dalla immensa copia delle abitazioni apposte e incavate ne’ sassi naturali; e per indicazione si denominò Sasso Caveoso quello che sta di prospetto alla Città di Montescaglioso, e Sasso Barisano l’altro che sta di contro alla Città di Bari. Rimase per altro all’antica Città il nome di Civitas, oggi Civita.
Le abitazioni, che sorgono in queste valli non hanno un medesimo piano e livello. Son le une sopra imposte alle altre, in modochè sembrano pendenti sopra le stesse. Quindi, è all’imbrunir della sera che lo spettatore trovandosi sulle alture, guarda i lumi che ardono in esse come tante brillanti stelle dal Ciel discese”.
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1 La Civita e i Sassi: un panorama che lascia senza fiato.
PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI È uno straordinario risultato dell’azione insediativa dell’uomo che, attraverso i secoli, ha saputo conoscere, valorizzare e fruire di quello che la Natura circostante gli offriva, fino a riconoscersi in quel Patrimonio di grotte, rupi e case che ora appartiene all’Umanità. Conosciamone gli sviluppi storici attraverso il racconto di Francesco Volpe che, dismessi per un momento i panni di rigoroso storico, ha voluto chiudere la sua descrizione con un’immagine onirica della città:
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PUNTO PANORAMICO TRE ARCHI
“Esiste nel pubblico Archivio di questa Città un privilegio di Filippo Principe di Taranto e Conte di Matera dell’anno 1373, con cui inserisce la Città di Matera nel proprio demanio, insieme ai suoi Casali, possessioni, tenimenti, giurisdizioni e pertinenze. Da quell’epoca la Città cangiò aspetto. Non si valutarono più le valli come due borghi della Città antica, ma come principal corpo di essa Città: ed il nome di Borgo si permutò in quello di Sasso, traendolo dalla immensa copia delle abitazioni apposte e incavate ne’ sassi naturali; e per indicazione si denominò Sasso Caveoso quello che sta di prospetto alla Città di Montescaglioso, e Sasso Barisano l’altro che sta di contro alla Città di Bari. Rimase per altro all’antica Città il nome di Civitas, oggi Civita.
Le abitazioni, che sorgono in queste valli non hanno un medesimo piano e livello. Son le une sopra imposte alle altre, in modochè sembrano pendenti sopra le stesse. Quindi, è all’imbrunir della sera che lo spettatore trovandosi sulle alture, guarda i lumi che ardono in esse come tante brillanti stelle dal Ciel discese”.
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Audio di collegamento: La piazza, il luogo fisico in cui tutto si conosce, tutto ha una dimensione pubblica. In piazza non esiste il privato, non esiste l’intimità garantita dalla propria casa, ogni singola persona è parte di un tutto più grande, la città appunto. La piazza è il luogo di festa, di lotta, di liberazione..e in questo caso, anche di maledizione.
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PIAZZA VITTORIO VENETO Il Convento di san Domenico, il Monastero dell’Annunziata, la chiesa di Mater Domini delimitano l’area detta dei “Foggiali”, un ampio spazio ricco di strutture ipogee, che da queste parti sono meglio note con i termini di derivazione latina di “fosse” o “fogge”.
Al di sotto della piazza si trovano le cisterne che hanno servito per secoli la città. L’acqua, il bene più prezioso da proteggere per una città come questa, proveniva in questo luogo dalla collina detta “del Castello” o “del Lapillo” e veniva raccolta nel “Palombaro”, la cavità a vasca impermeabile scavata nella roccia, che si trova sotto la piazza.
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PIAZZA VITTORIO VENETO
Un passo della Cronologia della città di Matera pubblicata da Gianfranco De Blasiis nel 1635 ci illumina su queste caratteristiche strutture:
“In tutta la Città vi è il masso della pietra detta tufo, atta a cavarci pozzi o conserve d’acqua, conserve di grani, di formaggio e cacio, di vino, quali conserve sono di tale perfettione in questa Città che non hanno pari, et in particolare de’ vini, volendo inferire che sono tanto freddi i vini per l’eccellenza delle cantine o cellari, che al tempo della canicola, non vi è di bisogno di neve, come già è vero. E dell’istessa perfettione e freddezza in eccesso sono le conserve delle acque, et in particolare una chiamata volgarmente Lo Palombaro vicino la fontana, così detta forse ad imitatione del Palombaro di Pozzuoli ch’è uno dei principali Bagni che vi siano. Delle conserve di grani e lor perfettione, basta di dire che ne si conserva sin’ a diece, dodeci e quindeci anni, come se stesse in una cassa”.
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Audio di collegamento: Superiamo lo spazio che in passato era delimitato dall’antica Porta de Juso e saliamo lungo via Duomo, perché il nostro percorso a ritroso nel tempo deve necessariamente fare tappa nella zona che nel Medioevo era occupato dall’antico castello. I pochi resti rimasti ci possono aiutare solo ad ipotizzare i confini e immaginare la struttura.
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PIAZZA DEL SEDILE Le quattro Virtù Cardinali, una meridiana, un orologio e i Protettori della Città. L’immagine che abbiamo davanti a noi è un’allegoria plastica per una corretta gestione della vita pubblica. È il Palazzo del Sedile, il luogo in cui sedevano gli amministratori di Matera dal Rinascimento alla Seconda Guerra Mondiale. La Giustizia, la Fortezza, la Temperanza e la Prudenza, come guide che scandiscono il Tempo della vita pubblica e civile della città, sotto la protezione della Madonna della Bruna e di sant’Eustachio.
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PIAZZA DEL SEDILE
Universitas Civium, la Totalità dei Cittadini. Con questo termine si indicava il Governo delle città nel Regno di Napoli. “Fino al 1806, perdurò il costume di farsi dal popolo l’elezione de’ Governanti in pubblico parlamento, come altresì d’affidarsi l’amministrazione della Città ad un sindaco, a sei ordinati, o eletti, e a diciotto altri individui, ch’esser soleavo convocati ne’ privati parlamenti, facendosi cadere alternativamente la scelta del sindaco in un anno, ch’era il paro, sul ceto de’ nobili, ed in un altro, ch’era il disparo, su quello del popolo.
Effettuavasi l’elezione nella prima domenica d’agosto, in un pubblico general parlamento, cui presedeva, per privilegio della Città, ad oggetto di prevenire i tumulti, il regio governadore. I nuovi eletti non entravano in funzione, che nella prima di settembre”.
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volte, però, né le Virtù, né i Santi Patroni possono rimediare alle azioni degli uomini, che il Tempo ha il dovere di ricordare. 82
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PIAZZA DEL SEDILE
I contadini reclamavano le terre sottratte dai proprietari al Demanio. Tra questi ultimi c’era anche Francesco Gattini, rampollo di un’antichissima famiglia della nobiltà materana, che si presentava come simpatizzante verso le nuove idee liberali. Il popolo, però, non era dello stesso parere, ritenendolo uno dei maggiori usurpatori dei terreni demaniali destinati a loro dagli accordi presi nel Parlamento cittadino, di cui chiedeva la restituzione.
La notte tra il 7 e l’8 agosto del 1860, mentre il Sud dell’Italia era in fermento per la risalita delle Camicie Rosse di Garibaldi, a Matera si consumava un tragico ed efferato eccidio.
Per convincerlo ad accettare questa richiesta Gattini doveva ricevere una lezione. Riunitisi in una casa dei Sassi, i contadini decisero di cospargere il portone del palazzo del Conte Francesco con acqua ragia ed incendiarlo. Bastoni, falci, zappe e qualche fucile vennero branditi e agitati sotto il palazzo del Conte, il quale, in tutta risposta, dopo aver messo in salvo la sua famiglia a Trani, commise l’errore di sfidare apertamente i convenuti lanciando monetine dal balcone. L’agitazione si tramutò in rabbia omicida. Il portone fu abbattuto. Il Conte preso e trascinato in questa piazza. Sottoposto ad un processo dalla condanna scontata, fu trucidato.
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Audio di collegamento: Superiamo lo spazio che in passato era delimitato dall’antica Porta de Juso e saliamo lungo via Duomo, perché il nostro percorso a ritroso nel tempo deve necessariamente fare tappa nella zona che nel Medioevo era occupato dall’antico castello. I pochi resti rimasti ci possono aiutare solo ad ipotizzare i confini e immaginare la struttura.
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CASTELLO VECCHIO
Voce 1. Eppure doveva essere qui. Ma non c’é. Ci sono solo delle abitazioni private, belle sì, ma non sembrano un castello. Voce 2. Infatti era qui, sulla parte sommitale della Civita; questi sono i palazzi nobiliari costruiti a ridosso del Castello Vecchio dopo che Giovanni Orsini del Balzo lo donò alla città nel 1448, i palazzi che a mano a mano ne hanno inglobato le strutture. Voce 1. Ma com’era fatto questo castello?
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CASTELLO VECCHIO
Voce 2. Era maestoso, aveva merli, balestriere, spalti, grossi torrioni, corridoi segreti e tante stanze. Voce 1. Era antico? Voce 2. Secondo alcuni risale al IX-X secolo, ma la prima notizia certa è dell’anno 1160, quando il castellano era un certo Bisanzio. Voce 1. Doveva essere bello qui! Voce 2. Se vuoi posso fartelo vedere, ormai le tecnologie permettono di soddisfare anche le richieste più impensabili.
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Audio di collegamento: Continuiamo a salire lungo la Civita, lasciando alle spalle la zona del Castello Vecchio, simbolo del potere statuale nella città e, prima di superare lo spazio dove era ubicata l’antica Porta de Suso, immergiamoci nel pieno delle vicende civili di Matera che hanno come protagoniste le famiglie dei nobili materani, artefici anche della costruzione dei palazzi che impreziosiscono la città.
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9 PALAZZI E NOBILI
MATERANI
Il tempo dello sviluppo urbano di una Matera è scandito anche dalla costruzione e dalla bellezza dei palazzi delle famiglie nobili che in essa hanno abitato e da cui hanno esercitato il loro potere. Più si sale verso la Civita e più diventa evidente l’antichità e l’importanza del palazzo e della famiglia che in esso ha abitato, come nel caso del palazzo delle Malvindi Malvezzi e Gattini che chiude lo spazio a destra di piazza Duomo. Le cronache c’informano che nel 1588 fu richiesto dalla corte vicereale di Napoli la prova di nobiltà delle famiglie del Regno. Il risultato fu quello di creare un vero e proprio filone letterario di genere, quello della genealogia nobiliare.
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PALAZZI E NOBILI MATERANI
Infatti, tra i nobili materani alcuni si affrettarono a esibire una serie di discendenze risalenti a personaggi della tradizione letteraria greca o romana, così come altri fecero risalire i propri antichi natali a qualche crociato o cavaliere medievale. Proprio il riconoscimento dell’antico blasone fu alla base della rivalità tra alcune famiglie materane. La famiglia Troiano si scontrò violentemente con quella dei Malvindi Malvezzi, tanto da suggellare la minaccia e l’astio nei confronti dell’avversario nei versi in vernacolo riportati nel proprio stemma araldico:
“Io so cano chi rodo un osso Vorìa boiar et non pozzo Venerà tempo chi potrò boiare Muzucaro a chi non mi lassa stare” ovvero: Io sono un cane – che rode un osso Vorrei abbaiare – ma non posso; Ma verrà il tempo – che lo potrò; Chi mi molesta – io morderò.
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Audio di collegamento: Siamo giunti in piazza Duomo: l’ampio sagrato della Cattedrale che occupa la sommità del primo nucleo urbano di Matera. La Cattedrale è il luogo in cui si è consolidata la coscienza cittadina dei materani. Un popolo che nel corso della sua millenaria storia è sempre stato convinto che nessuno spazio può dirsi realmente abitato senza una presenza sacrale, senza una figura superiore a cui appellarsi nelle avversità della vita, senza una presenza costante da ringraziare nelle gioie e pregare nei dolori.
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11 CATTEDRALE L’abbiamo vista da lontano. La sua sagoma domina il panorama della città... ed ora, eccoci di fronte a lei.
(ESTERNO)
E’ la facciata laterale quella che per prima attrae la nostra attenzione. I monaci e il patriarca, i leoni e il giudice, l’aquila e i leoni.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Due monaci accovacciati, sembrano ricordare alla Piazza il lontano rapporto filiale tra Dio e l’uomo, di cui il Patriarca Abramo, ricordato nella lunetta, è il primo di un lungo elenco.
Quattro leoni onorano la memoria del Giudice Saraceno che operò nella città a metà del Duecento. Due leoni sorreggono altrettante colonne e danno il nome a questa porta d’accesso, anche se al di sopra di essi svetta un’aquila che, avendo perso la testa, non può più dimostrare la sua regalità.
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CATTEDRALE (ESTERNO)
Le statue di San Paolo a destra e San Pietro a sinistra che proteggono la Madonna col Bambino, onorati da sant’Eustachio e da sua moglie Teopista.
Se la figura di questa “Signora” ci ha già affascinato… non ci resta che conquistarne il cuore. Spostiamoci ora sulla facciata principale. Diamo le spalle al Sasso Barisano e ammiriamo gli ornamenti di questa “bella Signora”. Gli archetti del coronamento sorretti da dodici pilastri: gli Apostoli che seguono Cristo con la sua Croce posta in alto. Sotto, altri quattro pilastri laterali: gli Evangelisti testimoni della storia della Salvezza. Il rosone a sedici raggi, la ruota della Vita o della Fortuna, circondata da Michele Arcangelo che la sorveglia, due uomini che la fanno girare e un robusto telamòne che la sorregge.
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12 CATTEDRALE (INTERNO)
Il cuore di questa chiesa è rappresentato dall’antica cripta di sant’Eustachio, su cui è stata edificata la cattedrale che, come recita l’epigrafe sull’architrave sovrastante la porta d’accesso al campanile, fu completata nel 1270 e dedicata alla Madonna della Bruna. Per comprendere a pieno la devozione dei materani verso i due Protettori della Città, ascoltiamo un passo della Cronaca di Francesco Volpe:
“Antichissima è la venerazione in Matera verso il glorioso Martire sant’Eustachio, gran Capitano ai tempi di Traiano, e Adriano. Dicesi, che al di là del mille ritrovandosi la Città assediata dai Saraceni, il Santo con la sua gloriosa Famiglia apparve per accorrervi in aiuto e salvarla, e che i Materani avvertiti successivamente dell’avvenuto miracolo si siano affrettati ad acclamarli come loro Protettori e Tutelari. Nel dì 20 maggio, quando si vuole che avesse avuto luogo l’apparizione, si solennizza ogni anno con venerazione e pompa la di loro Festività.
Ella si torna a celebrare con maggior decoro il 20 settembre, quando avvenne il loro glorioso martirio. Era nei trasandati tempi, per antico costume, a carico del Baglivo della Città recare nel detto dì 20 maggio, alla Chiesa di sant’Eustachio nel primo solenne Vespro un’offerta, e tributo, consistente in una torcia vestita di monete d’argento, e vari cesti di frutta, di fiori, ed altro, in mezzo a suoni e canti in onore di codesti Santi Protettori”. Per contraccambiare questa offerta, al Baglivo venivano consegnati “un pane, un barile di vino, e parecchie ricotte dure, con una torcia di nitida cera”.
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CATTEDRALE (INTERNO)
Nella Cattedrale si conserva “l’immagine dalla Vergine della Bruna, così detta a motivo della nerezza del di lei viso, detta anche di Santa Maria di Matera in un testamento o di Santa Maria dell’Episcopio. Urbano VI Sommo Pontefice, [che fu Vescovo di Matera dal 1365 al 1377], avendo constatato l’estrema devozione dei Materani verso codesta Sacrissima Immagine, nel 1389 ne istituì la Festività il 2 luglio [facendola coincidere con la festa della Visitazione, istituita quello stesso anno].
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CATTEDRALE (INTERNO)
Venne ella allora confermata Titolare, e venerata sotto il titolo di Maria Santissima della Bruna” con una festa così grandiosa, così caratteristica e così barocca, che sembra oscillare tra il mito e la realtà.
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13 PUNTO PANORAMICO DA PIAZZA DUOMO Stiamo osservando la città da Largo Duomo, l’ampio sagrato della cattedrale che occupa la sommità del primo nucleo urbano di Matera. Da questo punto è possibile ammirare la complessa strutturazione urbanistica della città antica e intravedere i monumenti che andremo a visitare: sulla destra il Sasso Barisano, dove si erge il monastero di sant’Agostino e, girando lo sguardo leggermente verso sinistra, la chiesa di san Pietro Barisano immersa in un nugolo di case e palazzi; di fronte a noi, si intravedono le tre porte d’affaccio di piazza Vittorio Veneto, sormontate dalla facciata del complesso dell’Annunziata, che fanno da spartiacque tra l’uno e l’altro Sasso. Sulla sinistra, con un po’ di attenzione, è possibile scorgere anche la merlatura del Castello Tramontano e le vele del campanile della chiesa di san Francesco.
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PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ ESCURSIONE VERSO IL CASTELLO
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Dal centro della piazza spostiamoci verso destra e saliamo per via Luigi La Vista, costeggiando la Chiesa e il Convento di Santa Lucia, la struttura che ha ospitato le suore del monastero di Sant’Agata e Santa Lucia alle Malve dopo il loro abbandono dell’antica e gloriosa sede. Oltrepassata via Lucana si ha già la percezione dello spazio fisico occupato dal Castello che porta il nome del Conte Giancarlo Tramontano.
PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ESCURSIONE VERSO IL CASTELLO
2 CASTELLO
TRAMONTANO È l’ “Incompiuta” di Matera. Tre possenti torrioni cilindrici costruiti sui quattro ipotizzati per dominare la città. È il castello del potere e della riscossa, dell’oppressione e della ribellione, del conte e dei cittadini. È un castello che nel proprio nome conserva il ricordo di chi lo ha voluto costruire, ma che, nello stesso tempo, rimanda a chi ne ha deciso l’incompiutezza.
Fu voluto da Giovan Carlo Tramontano, Conte di Matera dal 1497, definito più mercante che cavaliere, non essendo di estrazione nobile, ma semplice maestro di zecca. Nel progetto del Conte, il castello prendeva a riferimento i due castelli napoletani di Sant’Elmo e Castel Nuovo, il Maschio Angioino.
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PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ESCURSIONE VERSO IL CASTELLO
CASTELLO TRAMONTANO
L’omaggio che il Tramontano volle rendere alla corte vicereale spagnola gravò, però, sulle teste dei materani. …ma la Matera dei primi anni del Cinquecento aveva sete di libertà e solo il versamento del sangue di coloro che la impedivano l’avrebbe calmata.
Ascoltiamo la cronaca di quello che successe attraverso il racconto del materano Francesco Paolo Volpe: “Si narra, che [il Conte] informato di alcune corrispondenze amorose, che passavano tra le sue figliuole, ed alcuni giovani gentiluomini della Città, fortemente corrucciandosi, determinato avea la morte di questi ultimi: ma temendo, che una aperta violenza compromettesse la propria sicurezza, meditò d’ottenere l’intento con uno stratagemma”. Organizzò una battuta di caccia, invitando le sue vittime designate, facendo appostare lungo il percorso dei sicari.
“Il perfido disegno penetrato dalle donzelle, venne agli amanti svelato”. Questi, già vicini al gruppo contrario al Conte, decisero di prevenirlo. “Comunicarono i loro progetti a parenti ed amici, e ben presto aumentarono il numero dei cospiratori”. Le riunioni si tennero “in un largo presso la Parrocchial chiesa di San Giovanni Battista nel Sasso Barisano, su di un masso indigeno […] denominato in dialetto volgare il pizzone del mal consiglio”.
Nel frattempo il Conte gravò sui materani un suo debito di ventiquattromila ducati, scatenando ulteriormente l’ira del popolo.
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PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ESCURSIONE VERSO IL CASTELLO
CASTELLO TRAMONTANO
“[..] Avvertiti essi [congiurati] ch’era egli entrato nel Duomo, corsero ad impadronirsi delle alabarde, che continuamente lo scortavano, e che allora giacevano alle porte di esso; e con quelle alla mano v’entrarono e l’assalirono.
Quel luogo venne successivamente detto Via Riscatto, mentre nella chiesa di San Giovanni Battista una lapide muraria ne ricorda l’accaduto.
Accortosi egli a tempo delle loro intenzioni, non si smarrì […], si levò in piedi; impugnò la spada e da valente schermidor qual’era, si coprì in modo, che giunse a sortir illeso dalla Chiesa […]. Di lì fuggendo, tratto tratto s’arrestava a deviare i colpi delle picche, che minacciose se le incalzavano dietro. Egli avea disegno di raggiungere il Palagio dell’intimo suo amico Alfonso Ferraù, […] ed ivi mettersi in salvo. Ma la sua sorte era determinata. Il Palagio si trovò serrato, ed i cospiratori ebbero tutto l’agio di consumare il delitto”.
La volontà di lasciare incompiuta quest’opera, per alcuni materani, testimonia la caparbietà di una città che non ha mai voluto rinunciare alla propria libertà e alla propria storia, consapevole che in esse è racchiuso il seme distintivo della propria identità.
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PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ ESCURSIONE VERSO IL MUSEO DELLE ARTI APPLICATE, LA CASA DI ORTEGA
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Scendiamo dai Gradoni del Duomo e seguiamo via Casale fino alla Torre Metellana. A fianco della Torre possiamo visitare la casa che ospitò il pittore spagnolo Josè Ortega e che oggi ospita il Museo delle Arti Applicate.
PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ESCURSIONE VERSO IL MUSEO DELLE ARTI APPLICATE, LA CASA DI ORTEGA
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IL MUSEO DELLE ARTI APPLICATE: LA CASA DI ORTEGA È uno spazio di fusione, di compenetrazione e di osmosi artistica tra l’Arte figurativa di Josè Ortega e le Arti applicate degli artigiani materani. La Casa di Ortega nei Sassi di Matera che diventa, quindi, il centro d’irradiazione di una sorta di nuovo Umanesimo. È un luogo in cui le diverse esperienze culturali trovano una loro dimora fisica, reinventando quel concetto rinascimentale secondo cui l’arte nasce nelle botteghe artigiane. Le manualità del legno, della terracotta, della ceramica, del tufo, del ferro e della cartapesta che creano un ambiente in cui vivere, utilizzando per arredo i frutti delle arti applicate della tradizione locale, in modo da plasmare la cultura dei materiali e dell’artigianato storico nell’arredamento di una dimora contemporanea. Del resto, lo stesso pittore spagnolo fu un esempio di continua ricerca di quei concetti di bellezza e libertà d’espressione artistica che animarono le corti rinascimentali italiane.
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PERCORSO LA NATURA CHE SI FA CITTÀ / ESCURSIONE VERSO IL MUSEO DELLE ARTI APPLICATE, LA CASA DI ORTEGA
IL MUSEO DELLE ARTI APPLICATE: LA CASA DI ORTEGA
Le opere pittoriche in tela trasformate in bassorilievi cromatici in cartapesta e realizzati nei laboratori artigianali materani. La sua avversione al governo franchista gli costò prima una decennale permanenza nelle carceri spagnole e poi l’esilio in Francia. Prima di poter rientrare in patria nel 1976, trascorse tre anni nella Città dei Sassi.
“Matera come culla della radice cosmica dell’uomo. L’eco che si avverte nelle sue Gravine è quello che si perpetua da quando l’uomo si è insediato in questo luogo. La scelta di Toledo per El Greco non fu casuale, come per me non è stata casuale la scelta di Matera. Io credo di aver aperto una prospettiva: quella di dare qualità artistica alla cartapesta, recuperando ai fini della grande battaglia dell’arte una modalità dell’espressione”: è questo il messaggio culturale che Josè Ortega volle lasciare ai maestri artigiani materani, custodi e garanti di quel patrimonio di conoscenza e di ricerca che sono le Arti applicate.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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PUNTO PANORAMICO DAL BELVEDERE DELLA MURGIA Matera è di fronte a noi. Il nostro sguardo spazia dal rione Casalnuovo al convento di sant’Agostino seguendo tutto l’andamento di via Madonna delle Virtù che corre lungo il versante ripido che si tuffa nella Gravina. Si interrompe solo un istante dalla parte absidale della chiesa di san Pietro Caveoso che sembra poggiare su un basamento quasi instabile. Campanili, chiese, palazzi nobiliari, case sovrapposte: lo spettacolo che offre la città lascia senza fiato. Facciamo quasi fatica a trattenere la meraviglia della visione generale che ci fa sfuggire i singoli particolari… ma forse è giusto così! Stiamo osservando la città dai luoghi più antichi e intrisi di passato, dal versante che ha ospitato i primi insediamenti umani del territorio.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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Audio di collegamento: Le tappe di questo percorso sono collocate all’interno del Parco della Murgia Materana. Prima di inoltrarci all’interno di questo territorio affascinante ed impervio è opportuno richiedere tutte le informazioni sui percorsi da seguire o, meglio, affidarsi all’aiuto di una guida. La natura aspra che ci circonda è stata plasmata dall’uomo che ha voluto fortemente viverci e che l’ha resa meno selvaggia attraverso raffigurazioni sacre che hanno riempito di colori e di figure taumaturgiche le pareti interne delle grotte rocciose. Prendiamoci il tempo per visitare questa zona, ricca di chiese rupestri, di cripte ipogee, di grotte, di ascetari, di cave di tufo, di jazzi e masserie.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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CHIESA RUPESTRE DI SAN VITO Una cupola di tufo posta a protezione di una cisterna d’acqua è la prima immagine che ci offre la chiesetta rupestre di san Vito. Il valore architettonico della chiesa e del casale circostante passano in second’ordine rispetto al contesto geomorfologico in cui ci troviamo inseriti. È infatti un luogo dal fascino estremo. La natura sembra avvolgerci e proteggerci come una Madre premurosa che offre senza indugio i suoi beni più preziosi. Siamo all’interno della gravina materana, a ridosso del torrente Jesce. Con un semplice sguardo siamo in grado di ammirare tutto il paesaggio circostante scandito dai monumenti che l’uomo e la Natura hanno plasmato e che a stento riescono a differenziarsi -gli uni dagli altri- mimetizzati come sono nella roccia calcarenitica da cui hanno preso vita.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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VILLAGGIO NEOLITICO DI MURGIA TIMONE Siamo a Murgia Timone… e diecimila anni fa l’uomo viveva qui. Il suo villaggio di capanne era circondato e difeso da un fossato trincerato. I suoi vicini abitavano a Murgecchia e Trasanello, il colle che dopo l’Età del Ferro avrebbe originato la Civita di Matera.
Un fossato che circondando tutto il centro abitato doveva isolare e proteggere il villaggio primitivo fatto di capanne e al tempo stesso la convinzione che quella traccia sul terreno per il suo significato di cinta sacrale delimitasse non solo lo spazio fisico ma anche quello ultraterreno come nel leggendario pomerium tracciato da Romolo nella fondazione della sua città.
L’uomo del Neolitico viveva di agricoltura e pastorizia e la sua sopravvivenza era garantita da un bacino d’acqua perenne detto lo “Jurio”. Il ritrovamento delle tracce del suo passaggio si deve all’intuito e alla preparazione di Domenico Ridola, che così ne ricorda la scoperta:
“La mia attenzione fu richiamata da due singolari ipogei a Murgia Timone, scoperti per caso... Ad uno di questi che sorgeva in mezzo ad un circolo di pietra... si accedeva per una specie di corridoio fiancheggiato da due muretti a secco... Pensai che i due muretti potessero come in Sicilia celare l’ingresso ad altre tombe... Invece dietro, scavando... venne fuori un lungo fossato, un’altra opera singolare della mano dell’uomo...
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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Audio di collegamento: Per raggiungere la nostra prossima tappa, la Grotta dei Pipistrelli, dobbiamo muoversi in macchina e tornare verso Matera. È consigliabile richiedere l’aiuto di una guida professionale. Percorriamo la strada per 4 km in direzione Sud-Est e, lasciata l’auto all’inizio del sentiero, proseguiamo a piedi. La macchia bassa della vegetazione non riesce a nascondere questa grotta, ricca di testimonianze antropiche che rimandano ad echi di vita preistorica, quando l’uomo l’abitò, lasciando delle preziosissime tracce nelle diverse epoche storiche del Paleolitico, del Neolitico e della successiva età dei Metalli. Luoghi fantastici, tesori nascosti, anfratti bui e pericolosi: quello che stiamo per visitare è uno spazio senza tempo, una grotta che da sempre custodisce segreti e leggende che si sono tramandate oralmente attraverso molte generazioni di materani.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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“I miei cavatori mi dicevano di non andare alla “grott du mattivagghi”, la grotta dei pipistrelli, perché non c’era niente là sotto”.
GROTTA DEI PIPISTRELLI “Ma io dovevo andare nella Grotta, dovevo rendermi conto di cosa si nascondesse dietro i pipistrelli. Un tempo, poi, non c’era nessun bisogno di scendere, di calarsi: l’ingresso della grotta era in piano. Ma adesso siccome era stato tolto tutto il guano, gli escrementi di quelle bestie infernali, tutto era crollato e la grotta era precipitata”.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
GROTTA DEI PIPISTRELLI
È il senatore Domenico Ridola a parlare. Il padre delle scoperte archeologiche di Matera, che narra in prima persona la cronaca degli anni che a partire dal 1872 lo portarono all’interno di questa grotta.
“Avevano scavato già in tanti e per molti anni. Una volta anche loro avevano creduto al tesoro dell’Imperatore Barbarossa”. Si narra, infatti, mentre si recava alla Crociata, Federico Barbarossa passò da Matera. In prossimità della città la figlia che lo accompagnava morì. Il dolore e la rabbia per la perdita fu tale che l’Imperatore distrusse una chiesa scavata in un’ampia grotta per farne il sepolcro per la figlia defunta che riempì di numerose ricchezze.
“Il padre, il nonno di qualcuno dei miei collaboratori aveva scavato, si era calato più in fondo, ma niente.. non c’era nessun tesoro, nessuna ricchezza. Sapevo bene che non esisteva il tesoro di Barbarossa. E poi Barbarossa chi?, chi era questo misterioso re? Re di cosa, di chi? Un re a Matera, in una grotta, perché mai? L’archeologia non è fatta per cercare tesori di monete o di ricchezze. Io cercavo, volevo trovare altro. Anzi, forse volevo solo capire, scavare per conoscere”.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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Audio di collegamento: Ripercorriamo il sentiero a ritroso e rimettiamoci in auto, proseguendo sempre in direzione Sud-Est. Lasciamo la macchina e, sempre accompagnati da una guida, inoltriamoci lungo il sentiero impervio che immette in una gravina laterale. È un percorso lungo e faticoso ma la fatica e l’attesa saranno ampiamente ripagate dallo straordinario scenario che si aprirà ai nostri occhi. L’infinita sequenza di grotte del Villaggio Saraceno è immerso in uno straordinario scenario naturalistico e paesaggistico ricco di folta vegetazione e vertiginosi speroni rocciosi.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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VILLAGGIO SARACENO Abitazioni, chiese, stradine, cisterne, jazzi, tutto in questo villaggio è frutto del compromesso che l’uomo ha trovato con la Natura nei diversi secoli della sua permanenza in questo territorio. Il risultato è questo insediamento antropico di 70 grotte-abitazioni collegate tra loro da sentieri uniti l’uno all’altro da gradoni tagliati nella roccia. I canaletti scavati nel tufo che, partendo da un unico punto, solcano come tante ferite le strutture abitative, permettevano di convogliare l’acqua piovana nelle cisterne poste all’interno della grotta e sul fondo della lama.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA Il Villaggio, in contrada Vitisciulo, è identificato col nome della famiglia Saraceno, proprietaria del terreno in cui insiste, ma i contadini e i pastori di Matera lo hanno da sempre collegato alla presenza dei pirati saraceni che, provenienti dal mar Ionio, avevano risalito il fiume Bradano e si erano insediati in questo luogo, da cui partivano per le loro incursioni nelle aree interne della Basilicata e nella stessa città di Matera, di cui si ricorda questo drammatico episodio:
VILLAGGIO SARACENO
“I materani sostennero l’assedio per circa quattro mesi, alla fine de’ quali s’avvidero che la fame combattea al di dentro a favore degli assediati. Una madre assalita e da questo nemico e dalla trista idea di vedere il tenero suo figliuolo in braccio agl’Infedeli, si sentì forzata di farlo a se stessa servir di pasto. Dicesi, che in approssimarsi dell’atto del delitto, gittandosi addosso del bambino gli tenesse questo discordo: Come potrà soffrire il mio cuore vederti in man di questi empj e crudeli Saraceni, e vil servo, e schiavo de’ cani? Ah! Più presto manchi oggi il lume al Sole, i moti al Cielo, e gli elementi co’ sventurati giorni miei finiscono, e la terra si apra e mi traguggi viva, che simil cosa io vegga. Rientra dunque in quel corpo donde uscito sei, e quel medesimo, che vita e lume ti diede, ora le tenerelle e sventurate membra in sempiterne tenebre chiuda e nell’estremo loro loco dia ricetto, e sepoltura”.
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PERCORSO DALL’ALTRA PARTE DELLA GRAVINA
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Audio di collegamento: È tempo di rientrare in città, perché il nostro intenso e faticoso percorso “al di là della Gravina” si è concluso. I momenti di vita sociale e culturale delle popolazioni che hanno abitato questi luoghi rivivono attraverso le opere e i ritrovamenti archeologici custoditi all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Matera, Domenico Ridola, in cui la memoria dei siti che abbiamo appena visitato è custodita e protetta.
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