Obiettivi e proposte. Sono queste le parole che raccontano il progetto di ReConnection, una rivista universitaria
per il Politecnico di Milano che nasce dalla volontà di non disperdere idee e progetti prodotti all’interno dei corsi della nostra università. Il suo primo obiettivo è quello di riflettere su questi materiali, metterli a sistema, creare matrici comuni e ulteriori approfondimenti che ne valorizzino intuizioni e complessità. ReConnection parte dagli studenti per arrivare agli studenti: la rivista si propone come tavolo di dibattito accademico, aperto a tutti coloro che desiderino partecipare ricercando stimoli, consapevolezze e soprattutto, nei primi anni di università, un allargamento di prospettive e strumenti. ReConnection avrà un’uscita annuale e focalizzerà le proprie indagini sui materiali prodotti all’interno di un corso semestrale; l’insieme di più riviste tematiche offrirà non solo un archivio di riferimenti contemporanei, ma soprattutto la possibilità di riflettere su atteggiamenti attuali rispetto ai temi di ricerca trattati nell’ambito di una facoltà di architettura. Il primo numero della rivista prende in esame le ricerche elaborate all’interno del corso di Cultural Planning; questi materiali ci hanno dato la possibilità di concentrare l’attenzione su due aspetti di ricerca che seguiranno anche nei numeri successivi: l’intercultura e la polifonia progettuale. Infatti, il secondo obiettivo della rivista è quello di riallacciare un dialogo fra culture e discipline diverse, stimolare un ascolto polifonico della realtà spesso assente nei progetti di architettura e nella pianificazione del paesaggio. I progetti che nascono dal dialogo pongono al centro l’uomo e non i gesti del progettista e dimostrano l’impossibilità dell’architettura di essere una disciplina autonoma “per il semplice fatto che la sua prima motivazione è di corrispondere ad esigenze umane e la sua prima condizione è di collocarsi in un luogo” (1 G. De Carlo). Per questi motivi fra le proposte e i contenuti di ReConnection non mancheranno mai le interviste: incontri lunghi, da leggere più volte, colloqui aperti ma anche sistematici, opportunità di confrontare le proprie idee con il mondo pragmatico del lavoro e di imparare da esperienze straordinarie. ReConnection è uno spazio autonomo in cui proposte e suggerimenti progettuali verranno accostati alle analisi delle novità per raccontare la nostra università e documentare la nostra contemporaneità.“ [In ogni caso] la Rivista seguirà lo stesso percorso oscillante, itinerante, inclusivo, attraverso il quale passano i progetti di architettura autentici. (…) perché la messa a punto di una rivista è simile all’elaborazione di un progetto architettonico e non diventa significante se non passa attraverso un percorso di oscillazioni alternate tra obiettivi e proposte.” (2 G. De Carlo) ReConnection
Aims and proposals. These are the words which tell the story of the ReConnection project, a university magazine for the Politecnico di Milano which was born from the will to keep hold of ideas and projects which have been produced throughout our University. Its first aim is to reflect on these materials, systemise them, create common matrices and make further explorations which give value to intuitions and complexities. ReConnection is by the students, for the students. The magazine puts itself forward as a platform for academic debate, open to all those who want to participate by researching stimuli, knowledge and particularly the first years of University, widening prospects and tools. ReConnection will be published annually and will focus on the materials produced throughout a course of one semester. The collection of many theme-based magazines will not only offer an archive of contemporary references, but also an opportunity to reflect upon the current stances that are held towards research themes dealt with in a faculty of architecture. The magazine’s first issue examines the research undertaken in the Cultural Planning course. These materials have given us the opportunity to focus attention on two research aspects which will also feature in the following issues: the inter-cultural aspect and design polyphony. In fact, the second aim of the magazine is to re-establish a dialogue between different cultures and disciplines, stimulating a polyphonic creation of the reality which is often absent in architecture designs and landscape planning. The designs which are born from this dialogue place humans and not the gestures of the designer at the heart of the designs and demonstrate the impossibility of architecture being an independent discipline “for the simple fact that its first motivation is to respond to human needs and its first condition is to be established in a place” (1G. De Carlo). This is why there interviews will never be lacking among ReConnection’s proposals and content: long meetings to be read through many times; open but also systematic interviews, opportunities to compare your own ideas with the pragmatic world of work and to learn from extraordinary experiences. ReConnection is an independent space where design proposals and suggestions will be placed alongside analyses of new aspects to be relayed to our University and to document our contemporary nature. “[In any case] the Magazine will continue its oscillating, travelling, inclusive journey through which authentic architecture projects will pass. (...) because creating a magazine is similar to creating an architectural design and will not become significant if it doesn’t go through a journey of oscillating between aims and proposals.” (G. De Carlo) ReConnection 1 (”Il tempio di Apollo” in “Spazio e Socitetà”, n.19/1982) 2 (“Spazio e Società” n.1/1978, pp.3-8)
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La scelta di una carta riciclata al 100%
The choice of 100% recycled paper
Convinti che politiche sostenibili e di attenzione ambientale possano partire anche dal basso, la carta che abbiamo scelto come supporto per la stampa di ReConnection è una carta riciclata al 100% ed è inoltre certificata dall’ente FSC (Forest Stewardship Council) che assicura la provenienza del legno da una gestione forestale responsabile da un punto di vista ambientale e sociale. Nelle nostre iniziali ricerche abbiamo scoperto Polyedra, società del Gruppo Buhrmann, che ha presentato la sua nuova gamma di carte Cyclus, prodotta dalla cartiera danese Dalum Papier e distribuita in esclusiva per l’Italia da Polyedra. Essa realizza un perfetto equilibrio tra l’esigenza di tutelare l’ecosistema e la necessità di soddisfare un mercato editoriale che richiede prodotti di qualità sempre più elevata. Infatti Cyclus è una carta caratterizzata da una superficie ad alta opacità, compatibile per tutte le tecnologie di stampa. Inoltre garantisce la riproduzione di fotografie senza trasparenze anche nelle grammature più basse rendendola particolarmente espressiva sia in bianco e nero che a colori. Cyclus assicura ottime prestazioni in termini di velocità di stampa, garantendo efficienza di operatività e uniformità del prodotto sia per la stampa in rotolo che in foglio. Ottenuta con la procedura di riciclaggio avviata da Dalum Papier, la carta Cyclus non ha nulla da invidiare alle carte di qualità frutto di un tradizionale processo produttivo, soddisfacendo pienamente le esigenze dei consumatori nel totale rispetto dell’equilibrio ambientale. Il marchio Cyclus, infatti, rispetta la filosofia Dalum Papier: offrire prodotti di qualità riciclando al 100% e sensibilizzando l’opinione pubblica. Tutela ambientale e riciclaggio al 100% sono quindi i valori che Cyclus incarna e che Polyedra rilancia in Italia attraverso l’offerta delle linee Cyclus Print e Cyclus Offset: la prima è una carta patinata che garantisce un risoluzione di densità della stampa molto elevata; la seconda è una carta non patinata caratterizzata da un’opacità senza confronto (80g/mq=93%). L’offerta dell’innovativa gamma Cyclus viene supportata attraverso il progetto 100%, il volume stampato interamente su carta riciclata Cyclus, e frutto della collaborazione tra la rinomata cartiera danese ed importanti artisti internazionali. Il volume “100%” raccoglie le opere di 21 artisti che si contraddistinguono per inclinazioni artistiche differenti. Il libro “100%” è stato stampato su carta Cyclus Offset, mentre il packaging che funge da protezione al volume è stato realizzato con Cyclus Print. Il progetto “100%” sottolinea quindi quanto la carta Cyclus sia una carta naturale dotata di carattere in grado di conferire forte personalità anche ad elaborati di elevato spessore artistico. Segnaliamo a questo proposito un’interessante iniziativa rivolta ad architetti e designer: Comieco, Consorzio Nazionale Recupero e Riciclo degli
Sure that sustainable policies and environmental care can start from the bottom, the paper we have chosen as support for printing Reconnection is a 100% recycled paper and is also certified by FSC (Forest Stewardship Council) inspector for the origin of wood coming from forests managed with a responsible and social environmental behaviour. In our initial research we found Polyedra, a subsidiary of the Buhrmann group, who has presented its new range of Cyclus paper, produced by Danish Dalum Papier paper mill and distributed in Italy exclusively by Polyedra. It achieves a perfect balance between the need to protect the ecosystem and the necessity to satisfy a publishing market that requires products of higher quality. Indeed Cyclus is a special paper featuring a surface with high opacity, compatible with all printing technologies. In addition it ensures the reproduction of images without transparency in the lower weights, makingparticularly expressive in both black and white and black or color. Cyclus shows excellent performances in terms of print speed, ensuring operational efficiency and product uniformity for both print roll and single paper. Obtained with the recycling process initiated by Dalum Papier, Cyclus paper has nothing to envy to other papers resulted by a traditional productive process, satisfying the full consumers’ needs in total respect of the environmental balance. Brand Cyclus, in fact, respects Dalum Papier philosophy to offer quality products with 100% recycled materials and raising public awareness. Environmental protection and 100% recycling are the values that embodied by Cyclus and which Polyedra raised in Italy by offering lines Cyclus Print and Cyclus Offset: the first is a glossy paper that provides a resolution of very high density printing, and the second is an not glossy paper characterized by opacity without comparison (80gsm = 93%). The innovative proposal in range Cyclus is supported through the project 100%, the volume printed entirely on recycled paper Cyclus, and the result of collaboration between the renowned Danish paper mill and major international artists. The book “100%” collects works by 21 artists who are distinguished by different artistic inclinations. The book “100%” is printed on Cyclus Offset paper, and the packaging that serves as protection for the volume was created with Cyclus Print paper. The project “100%” points out that the paper Cyclus is a natural paper with a special character able to give a strong personality to a high artistic publications. In this regard we report an interesting competition for architects and designers: Comieco, the National Consortium for Recovery and Recycling of Paper and board Pack representing Expo 2015, acting as a “mascot” container and working at the same time as an information medium and a container for food and/or beverages.
what if imballaggi a base cellulosica, con il patrocinio di Expo 2015, istiyuisce un premio per la progettazione di un Pack in carta e cartone che possa rappresentare l’Expo 2015, diventando un contenitore “mascotte”, che sia contemporaneamente supporto informativo e contenitore di alimenti e/o liquidi. Ad esempio, durante l’Expo di Saragozza, sul tema “L’acqua come elemento di sviluppo sostenibile”, sono stati distribuiti bicchieri con il logo di Fluvi: durante l’Expo 2015 potrebbe essere distribuito ai visitatori un pack (piatto, sacchetto, cartoccio, ecc.) che richiami il tema “Feeding the Planet, Energy for Life”, fornendo un supporto/oggetto utilizzabile durante la visita e da portare a casa come ricordo. LExpo Pack può essere dunque progettato per portare a casa alcuni cibi scoperti all’Expo o essere utilizzato come piatto trasportabile con portaposate e portabicchiere per gustare e scoprire i cibi dell’Expo. Partner dell’iniziativa sono: Assocarta, Assografici, Amsa, Slow Food, Symbola e Interni come media partner. Destinatari del Premio sono gli studenti di scuole Universitarie italiane, scuole ad indirizzo grafico, designer, architetti, aziende che possono proporsi individualmente o in gruppo. Il prodotto dovrà essere realizzato principalmente in carta e cartone. Qualsiasi materiale aggiunto è accettato purchè il suo impiego non predomini sull’elemento cellulosico e ne permetta la successiva riciclabilità e/o compostabilità del manufatto, conformemente alle norme tecniche vigenti al momento al momento della pubblicazione del bando. I progetti presentati devono essere originali e inediti, sviluppati espressamente per il concorso in oggetto. Per iscriversi è necessario compilare la sceda di partecipazione completa di tutte le nformazioni richieste, scaricabile in formato elettronico dal sito internet di Comieco (www.comieco.org).
For example, cups with the Fluvi logo were distributed during Expo in Zaragoza on the theme “Water as an element for sustainable development”; during Expo 2015, a pack (plate, bag, wrap, etc.) referring to the theme “Feeding the Planet, Energy for Life” could be handed out to visitors, thus providing a medium/object that can be used during the visit and taken home as a souvenir. Therefore the Expo Pack can be designed to take home some of the food products discovered at Expo, or used as a portable plate with a utensil and glass holder to taste and discover the foodstuffs available at Expo. The initiative is organized in partnership with Assocarta, Assografici, Amsa, Slow food, Symbola and Interni as media partner. The target of the Competition includes the students of Italian University schools, graphic schools, designers, architects, and companies that can partecipate either individually or in teams. The product shall be mostly made of paper and board. Any additional materials shall be accepted, provided they do not prevail over paper and allow subsequent product recycling and/or composting, pursuant to the technical rules in force upon the publication of the notice. The submitted projects shall be original and undisclosed, expressly developed for this competition. Registration provides for completion of the application form, including all the requested information, which can be downloaded from the website of Comieco (www.comieco.org).
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Da Connection [1963] a Reconnection
Da Connection [1963] a Reconnection
La rivista Connection fu pubblicata dagli studenti della Graduate School of Design presso l’università di Harvard. La prima redazione comprendeva Charles Jencks e Peter Kemble (Architettura); Jay Chatterjee (Urbanista); Alexandra Korff, Gordon Milde, e Jay Ostrower (Pianificazione), Lise Vogel, Michael O’Hare, e James O’Gorman (Belle Arti), Robert La Rocca e Giuseppe Volpe (Architettura del Paesaggio). Per i suoi fondatori, l’obiettivo di Connection era quello di creare dialogo tra architetti, artisti, storici e teorici su tre livelli diversi. Il primo obiettivo era quello di fornire un forum per gli individui della Scuola di Design, il Dipartimento di Belle Arti, e il Visual Arts Center ad Harvard. Secondo obiettivo era quello di stimolare gli studenti a esprimere le loro opinioni, oltre che aumentare la comunicazione tra i dipartimenti ma anche tra diverse scuole. Oltre a questo, Connection restituiva una visione delle attività inerenti alle arti visive nell’area metropolitana di Boston. Dalla sua edizione inaugurale, nel novembre del 1963, fino a quando la rivista cambiò nel 1969, Connection includeva al suo interno testi teorici, articoli sul paesaggio, architettura e urbanistica, oltre a recensioni di libri, mostre, conferenze e altri eventi svolti all’interno dell’università. Per ciò che concerne l’architettura, Connection ha pubblicato interviste con Walter Gropius, Marcel Breuer e Mies van der Rohe, ma i suoi contenuti non si limitavano al paradigma modernista: ad esempio si potevano trovare al suo interno anche articoli del giapponese Fumihiko Maki architetto metabolista (natale 1966) e un colloquio sul tema dell’architettura con il musicista John Cage (autunno 1966). Nel novembre del 1963 nasceva come abbiamo detto all’interno dell’università statunitense di Harvard “Connection”: una rivista universitaria pensata e voluta da studenti, per gli studenti. Gli obiettivi di divulgare e rendere usufruibile il lavoro prodotto all’interno dell’università e il carattere interdisciplinare della rivista sono gli stessi paradigmi su cui nasce l’idea di ReConnection, il cui nome non a caso deriva dall’esperienza del giornale oltre oceano. Connection nasce negli anni sessanta, un periodo di tensioni intellettuali caratterizzato in architettura sia da un continuo bisogno di ricerca sia da un contesto fortemente interdisciplinare e relazionale, tutto questo facilitava l’innovazione e la continua sperimentazione. ReConnection si propone oggi come una rivista nuova, un tavolo di dibattito su cui sia possibile rintracciare il nostro tempo e gli atteggiamenti accademici che riteniamo utile approfondire, tutto questo avviene sull’esperienza americana di un passato remoto tuttavia così attuale nella struttura e nei processi di stimolo culturale e di conoscenza.
Connection was published by students at the Graduate School of Design at Harvard University. The initial editors included Charles Jencks and Peter Kemble (Architecture); Jay Chatterjee (Urban Design); Alexandra Korff, Gordon Milde, and Jay Ostrower (City Planning); Lise Vogel, Michael O’Hare, and James O’Gorman (Fine Arts); and Robert La Rocca and Joseph Volpe (Landscape Architecture). For its founders, Connection’s objective was to create dialogue amongst architects, artists, historians, and theorists on three different levels. The first aim was to provide a forum for individuals from the School of Design, the Department of Fine Arts, and the Visual Arts Center at Harvard. It was hoped that as a result Connection would stimulate students to voice their opinions, as well as increase communication between the departments, and even between different schools. Further still, Connection provided a current review of visual arts activity in the Boston area. From its inaugural issue in November 1963 until the magazine folded in 1969, Connection included a mixture of theoretical texts, articles on landscape, architecture and city planning, as well as reviews of books, exhibitions, lectures, and other events within the school. In terms of its architectural coverage, Connection published interviews with and articles by Walter Gropius, Marcel Breuer, and Mies van der Rohe, but its scope was not limited to a high modernist paradigm. For example, it included an article by the Japanese Metabolist architect Fumihiko Maki (Winter 1966) and an interview on the subject of architecture with musician John Cage (Fall 1966). Connection was born In November 1963 at the Graduate School of Design at Harvard University : it was a journal designed and tought by students, for students. The objectives of spread and make despatching the work produced within the university by students and the interdisciplinary nature of the magazine are the same paradigm followed by our idea for Reconnection, whose name derives from . As we already said, Connection was born in the sixties: a period in architecture of intellectual tensions, characterized by a strong interdisciplinary research and relational networks between different cultures, all this in order to facilitate innovation and a constant experimentation. Reconnection is a new magazine for our time, a space for discussion where we can find contemporary ideas and academic attitudes that we assume as foundamental to be spread. All this starting from the American experience of “Connection”, an old reference however exremely actual in the structure, processes and cultural stimulus of knowledge.
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Docenti/Professors: Monica Amari, Matteo Poli Approfondimenti/Reviews: Camilla Brighi, Nicolò Gobini
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La diversità culturale è uno strumento progettuale
Cultural diversity is a design tool
Il corso di progettazione culturale dell’anno accademico 2008/2009 è stato proposto all’interno del piano di studi per gli studenti iscritti all’indirizzo “Landscape Architecture” del Politecnico di Milano: a questo indirizzo, pensato interamente in lingua inglese, hanno partecipato studenti provenienti da molti paesi del mondo. Il Politecnico di Milano è impegnato da diversi anni in un percorso complesso ma di decisa internazionalizzazione dell’Ateneo: come più volte ha voluto sottolineare il nostro Rettore Giulio Ballio, le ragioni di questa intenzione sono diverse e vanno intese come un “investimento redditizio”. Gli allievi stranieri che studiano al Politecnico e che poi ritornano nei loro paesi di origine saranno motori di relazione per il sistema produttivo del nostro paese inoltre contribuiscono a “sprovincializzare” gli allievi italiani, comunicando le loro culture e abitudini diverse. Oggi studiano al Politecnico più di 2.300 studenti stranieri provenienti da 109 nazioni nel mondo, rappresentando più del 6% della popolazione studentesca del nostro Ateneo. Le relazioni che si creano risultano essere utili non solo all’interno del sistema universitario di docenti, studenti e programmi accademici ma anche a molte aziende italiane sempre più interessate a collaborare con professionisti consapevoli di una realtà globale e diversificata di ricerca e produzione. All’interno del laboratorio di progettazione culturale, l’internazionalità degli studenti è risultata essere una componente fondamentale per la realizzazione dei lavori di ricerca e di proposta progettuale del corso: il bagaglio culturale diversificato, le esperienze universitarie precedenti nell’ambito dello studio dei territori e le soggettive osservazioni che da tutto questo derivano, hanno portato gli studenti a produrre materiali di lavoro estremamente eterogenei nella loro struttura e di grandissimo interesse per la varietà di approfondimento sui temi di indagine urbana e territoriale. Si sono così formati dei gruppi di lavoro composti nella quasi totalità dei casi da tre o più studenti provenienti da paesi diversi: lo scambio, la curiosità, ma anche la necessaria mediazione sono stati i principi chiave che hanno guidato queste felici collaborazioni. Le singole sensibilità e le diverse formazioni culturali comportano tensioni e visioni molto diverse. Questa diversificazione emerge chiaramente dalla grande varietà di ambiti d’indagine che sono stati toccati e dalla qualità delle osservazioni che ne sono così conseguite. Il corpo di tutti questi materiali, organizzati e restituiti all’interno di ogni singolo gruppo attraverso una strumentazione grafica e processuale condivisa, fanno emergere la complessità delle problematiche ma soprattutto suggeriscono le potenzialità e le possibili progettualità dei luoghi studiati.
The “cultural planning” course of 2008/2009 has been suggested to the students of the Polytechnic of Milano’s “Landscape Architecture” course of studies: many students from all over the world have participated in this in its entirety English-taught venture. The Polytechnic has been involved for many years in a complex path headed towards the internationalisation of the Athenaeum: as our rector Giulio Ballio often reminded us, the reasons of this project are many, and are to be regarded as a profitable investment. The foreign students which study at the Polytechnic and are bound to return to their homelands will be the driving force behind the relationship which will further our country’s productive system, furthermore they will impart and share knowledge with our native students opening up their minds to different cultures and lifestyles. There are currently 2300 foreign students from 109 different countries enrolled at the Polytechnic, which is roughly 6% of the whole student body of our Athenaeum. The forged relationships are not only useful within an university system of teaching staff, students and courses, but to many Italian companies which are increasingly interested in the cooperation with professionals aware of a global and diversified reality of production and research. Within the “cultural planning” ’s laboratory, the student’s internationality has been essential to the realization of the research and design proposal: the diversifies cultural baggage, the previous university experiences in the field of territorial studies and the subjective observations stemming as a result have lead the students to the production of extremely structurally heterogeneous work material, which is very interesting due to the variety of the territorial and urban enquiries’ themes. Several working groups have been formed, which in most cases are formed of students of at least three different nationalities: the exchange, curiosity, and the necessary mediation have been the key principles of the collaborations. The singular sensitivities and the different cultural educations brought to tensions and very different viewpoints. This diversification can be clearly perceived from the great variety of scope of the different topics which have been explored, and by the quality of the resulting observations. The material’s body organized and restored to each group via a joint graphic instrumentation , bring out the complexity of the issues but suggest the potentials and the possible development of the studied locations.
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Intervista con Takatoshi Oki, studente giapponese
Interview with Takatoshi Oki, japanese student
ReConnection Qual è per te un sinonimo di coesistenza? Takatoshi Oki Collaborazione. Vorrei anche dire accordo, congiunzione, sincronia: collaborazione indica che più di due persone lavorano insieme, coesistenza indica solamente che due o più persone esistono nello stesso momento; ecco perchè dico collaborazione: questa è essenziale per una coesistenza. RC Considerando la tua esperienza che relazione intercorre fra architettura e coesistenza? TO L’architettura è un metodo interattivo di offrire la possibilità di coesistenza di una persona o un gruppo che usa un certo spazio progettato da un architetto, affinchè le cose possano coesistere realmente bisogna tenere ben presenti altri parametri, la natura, e tutte le cose intorno all’utente finale. RC Quale può essere in contributo di un architetto nello studio di una coesistenza? TO L’architetto può contribuire a controllare la fragile e controversa armonia di una coesistenza RC Mi puoi parlare dell’importanza degli strumenti grafici nei tuoi progetti e ricerche? TO Gli strumenti grafici visualizzano ciò che è nella nostra mente, esprimono un progetto più chiaramente e in modo più preciso che le parole scritte. Naturalmente, in fase di progettazione, sarebbe meglio lasciare spazio alla nostra immaginazione; tuttavia, quando abbiamo bisogno di visualizzare il nostro progetto, è più utile avere una proiezione che può fare appello alla nostra comune percezione delle cose. RC Dove trovi riferimenti tecnici e grafici per comunicare in modo appropriato le tue idee? (esempi di studi, websites, libri o riviste) TO Vorrei tentare di assorbire idee da tutto ciò che ogni giorno mi ispira. RC Mi puoi parlare dell’importanza dell’interdisciplinarietà all’interno di un’analisi territoriale? TO Rende possibile un’indagine considerando ogni punto di vista RC Hai lavorato in un team multiculturale per il corso di “progettazione culturale”? TO Ho lavorato su un progetto per Kyoto, una città giapponese, e la città cinese di Xian, in un team multi-nazionale con studenti cinesi. Come è noto dai conflitti, il Giappone e la Cina hanno interagito per un lungo periodo fino alla guerra. Attraverso questo progetto, abbiamo potuto collaborare con un atteggiamento di reciproco scambio, il fatto che fossimo sia studenti cinesi che uno studente giapponese (io) è stato utile per analizzare il progetto e le città da due diversi punti di vista.
ReConnection Can you tell me a synonymous of coexistence? Takatoshi Oki Collaboration. I would also say accord, conjunction, or synchronicity because collaboration indicates that more than two things work together whereas coexistence means only that more than two things exist together; however, I chose the word ‘collaboration’ since it is essential for coexistence. RC Starting from your experience, which is the relation between architecture and coexistence? TO Architecture is an interactive method to offer the possibilities of coexistence to a person or group who use/s a certain space designed by an architect here, things to coexist would be others, nature, and all the things outside of the user. RC What is the contribution of an architect in a coexistence’s study? TO An architect can contribute in controlling a fragile and controversial balance of coexistence. RC Can you tell me the importance of graphic tools in your researches and projects? TO Graphic tools visualise what is in our mind, so that it tells in a project to others more clearly and precisely than a written description. Of course, at the planning stage, it would be better to leave room for our imagination; however, when we need to display our project, it is more useful to have a projector which can appeal to our shared perception. RC Where do you find graphic and technique inspirations to communicate well your ideas? (exemples of journalists, websites, books or magazines) TO I would attempt to absorb ideas from anything which inspires me. RC Can you tell me the importance of interdisciplinarity in a territorial analysis? TO It makes it possible to examine thoroughly from every angle. RC Have you worked in a multicultural team for the course of cultural planning? If yes, can you tell me something about this experience? TO I have worked on a project for Kyoto, a Japanese city, and Xian, a Chinese city in a multi-national team with Chinese students. As has popularized by the conflicts, Japan and China have interacted for a long time since the war. Through this project, we could collaborate from both a giver’s and taker’s viewpoint as we had both Chinese students and a Japanese student, myself; it was beneficial to analyse the project and the cities from two different points of view.
interculture Intervista con Nowzar Hedayati, studente iraniano
Interview with Nowzar Hedayati, iranian student
ReConnection Qual è per te un sinonimo di coesistenza? Nowzar Hedayati Vivere insieme in armonia RC Considerando la tua esperienza qual’è la relazione fra architettura e coesistenza? NH Considerando il Black Rock City (Burning Man City) porta persone provenienti da diverse classi sociali ed economiche insieme per godersi il festival. Forse la forma circolare della struttura urbana della città aumenta il concetto di coesistenza tra le diverse persone. RC Qual è il contributo di un architetto nello studio di una coesistenza? NH Quando un architetto sta progettando un edificio o un piano urbanistico, deve tenere in considerazione che diverse persone vivono in questo edificio e in questa città. Persone che hanno diversi status sociali ed economici, quindi la progettazione deve rispettare tutti questi caratteri e ascoltare gli utenti per farli vivere in pace e armonia l’uno con l’altro. RC Mi puoi parlare dell‘importanza degli strumenti grafici? NH Gli strumenti grafici sono molto utili per illustrare temi diversi, come i problemi nel progetto, le soluzioni e le proposte. Un buon esempio grafico può facilmente descrivere il progetto senza un testo e può far capire il progetto molto più velocemente. RC Dove trovi ispirazioni di grafica e tecnica? NH Online internet magazines, Magazines (abitare, domus, DIID…), websites (graphic designers, architectural websites), Books and Friends. Molte volte ho trovato i migliori riferimenti nei lavori dei miei amici, credo che le giovani generazioni (architetti e designer) siano molto più capaci di exprimere le loro idee attraverso strumenti grafici. RC Mi puoi parlare dell’importanza dell’interdisciplinarietà? NH Quando un architetto analizza il territorio per progettare deve considerare tutti i problemi che interessano il progetto. Un progetto può ottenere ottimi risultati quando l’architetto ha analizzato tutti gli aspetti e lui / lei ha fornito soluzioni per ogni dettaglio che sta influenzando il progetto. RC Hai lavorato in un team interculturale nel corso di “progettazione culturale”? NH Sì, stiamo studiando in un ambiente internazionale, abbiamo lavorato con persone di diversa estrazione culturale nel corso di Cultural Planning, il nostro gruppo era composto da studenti provenienti dall’ Italia, Iran, Brasile e Grecia. Tutti noi provenivamo da paesi diversi e abbiamo studiato in diverse parti del mondo, ma abbiamo avuto una comunicazione molto buona nel gruppo e abbiamo utilizzato le rispettive esperienze al fine di raggiungere il miglior obiettivo per il progetto.
ReConnection Can you tell me a synonymous of coexistence? Nowzar Hedayati Living in harmony together RC Starting from your experience, which is the relation between architecture and coexistence? NH The creation of Black Rock City (Burning Man City) brings people from different social and economical classes together to enjoy the festival. Perhaps the circular shape of the urban structure of the city increases the notion of coexistence between the different people in Black Rock City. RC What is the contribution of an architect in the study of a coexistence? NH When an architect is designing a building or a neighborhood, he/she must take into consideration that different people live in this building and in this district. People who have different social and economical status in the society, therefore the design of this building or this neighborhood, shall respect all these backgrounds and it shall assist the occupants to live in peace and harmony with each other. RC Can you tell me the importance of graphic tools in your researches and projects? NH The graphic tools are very useful instruments to illustrate many different issues, such as the problems facing the project, the solutions and the proposals. A good graphic illustration can easily describe the project without a text, and it can make people understand the project much quicker. RC Where do you find graphic and technique inspirations to communicate well your ideas? NH Online internet magazines, Magazines (abitare, domus, DIID…), websites, Books and Friends. Many times I find the best graphic illustrations from friends’ works, because I believe that the young generation is much more capable of experessing their ideas through graphic tools. RC Can you tell me the importance of interdisciplinaritY? NH When an architect is making analysis of the site, the territory and the neighborhood, which the project is located, he/she must consider all the issues that are affecting the project. A project can achieve a perfect set of results when the architect has analyzed all the aspects and he/she has provided solutions for every detail that is influencing the project. RC Have you worked in a multicultural team for the course of cultural planning? NH Yes, because we are studying in international environment, we have been working with people from different cultural backgrounds and in the course of Cultural Planning, our group was made of students from, Italy, Iran, Brazil and Greece. All of us came from different countries and we’ve been studying in different parts of the world but we had a very good communications in the group, and we used each other’s experiences in order to achieve the best goal for the project. 13
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Intervista con Uyen vo, studentessa vietnamita
Interview with Uyen Vo, vietnamese student
ReConnection Per te quale può essere un sinonimo di coesistenza? Uyen Vo Co-occorrenza. RC Consideranzo la tua esperienza qual’è la relazione fra architettura e coesistenza? UV Interdipendenti: si tratta di due idee provenienti da differenti presupposti che si incontrano con l’obiettivo di aumentare il valore complessivo del progetto. RC Qual è il contributo che può dare un architetto nello studio di una coesistenza? UV La sensazione dei materiali, delle scale e delle necessità umane quando si lavoro in un modo tattile. RC Ci puoi parlare dell’importanza degli strumenti grafici nelle tue ricerche e progetti? UV Gli strumenti di grafica rendono semplice la memorizzazione e afferrare le idee più velocemente, visualizzare aiuta a semplificare invece di ripetere cose più e più volte. RC Dove trovi riferimenti grafici e ispirazioni progettuali per comunicare in modo appropriato le tue idee e progetti (esempi di studi, websites, libri o riviste)? UV Le ricerche di OMA e i progetti di SANAA. RC Mi puoi parlare dell’importanza dell’interdisciplinarità nelle analisi territoriali? UV Il territorio è definito non solo dalla geografia ma come “uno spazio di relazione che cresce nel tempo come il prodotto di un processo di sedementazione culturale”, l’interdisciplinarietà in un’analisi consente di ottenere il reale significato e le differenti interpretazioni nello studio dei fenomeni, è un atteggiamento sistematico. RC Hai lavorato in un gruppo multiculturale nel corso di “progettazione culturale”? Se si, puoi dirmi qualcosa a proposito di questa esperienza? UV Si! Significa avere una visione complessiva del mondo ma impone anche a chi collabora una sensibilità interculturale in modo da evitare possibili conflitti nella relazione fra diverse culture.
ReConnection Can you tell me a synonymous of coexistence? Uyen Vo Co-occurrence. RC Starting from your experience, which is the relation between architecture and coexistence? UV Interdependent : it is two ideas coming from different premises that come together and raise the overall merit of the project. RC What is the contribution of an architect in a coexistence’s study? UV The feeling of materials, human scales and experiences when working in a tactile manners. RC Can you tell me the importance of graphic tools in your researches and projects? UV Graphic tools make it simple to memorize and catch the idea faster as visualization is more powerful than just repeating things over and over. RC Where do you find graphic and technique inspirations to communicate well your ideas? (exemples of journalists, websites, books or magazines) UV OMA’s analysis and SANAA’s works. RC Can you tell me the importance of interdisciplinarity in a territorial analysis? UV As the territory is defined not only as geography but as “a relational space that grows in time as the product of a process of cultural sedimentation”, interdisciplinarity in a territorial analysis helps claiming its meaning and its interpretative value, systematically provided for studying phenomena. RC Have you worked in a multicultural team for the course of cultural planning? If yes, can you tell me something about this experience? UV Yes! It is to have a worldwide views but also it requires the members to have intercultural sensitivity in order to avoid conflicts while encountering communication across cultures.
interculture Intervista con Arianna Conca, studentessa italiana
Interview with Arianna Conca, italian student
ReConnection Qual è per te un sinonimo di coesistenza? Arianna Conca Varietà. RC Considerando le tue esperienze che relazione intercorre fra architettura e le coesistenze? AC L’architettura è uno strumento utile a sviluppare l’idea di coesistenza nello spazio. RC Qual è il contributo che un architetto può dare nello studio di coesitenze sul territorio? AC Un architetto studia come lo spazio può essere modificato dall’interazione di elementi varianti. RC Che importanza hanno per te gli strumenti grafici per le tue ricerche e i tuoi progetti? AC Gli strumenti grafici devono essere uno strumento semplice per raccontare progetti, informazioni e fenomeni. RC Dove cerchi ispirazioni grafiche e tecniche per restituire al meglio le tue ricerche e progetti? (esempi di pubblicazioni, studi professionali, media) AC Mi ispiro sia al mondo del giornalismo che dell’architettura. Per esempio amo molto i diagrammi fatti all’interno del giornale francese “Le monde diplomatique” ma anche dalle analisi progettuali di OMA. RC Che importanza ha dal tuo punto di vista la collaborazione e la ricerca interdisciplinare per gli studi territoriali? AC Un approccio interdisciplinare è utile nel momento in cui si deve restituire un’analisi completa del territorio e dei fenomeni che si manifestano su di esso. dimostrazione di questo è il fatto che il metodo interdisciplinare permette la relazione di differenti punti di vista e consente di approfondire differenti gradi di conoscenza.
ReConnection Can you tell me a synonymous of coexistence? Arianna Conca Variety. RC Starting from your experience, which is the relation between architecture and coexistence? AC The architecture became a tool to realize the coexistence in the space. RC What is the contribution of an architect in a coexistence’s study? AC An architect study how the space can be modify by the interaction of varieties. RC Can you tell me the importance of graphic tools in your researches and projects? AC The graphic tools have to be an easy language to explain concept, data, phenomena. RC Where do you find graphic and technique inspirations to communicate well your ideas? (exemples of journalists, websites, books or magazines) AC I take inspiration from the world of journalism and architecture. For example I love the diagrams of the magazine “Le monde diplomatique” or those of the architectural analysis of OMA. RC Can you tell me the importance of interdisciplinarity in a territorial analysis? AC An interdisciplinarity approach is helful to have a complete analysis of a territorial phenomena. As a matter of fact it allows comparig differents point of view and joining different knoledges.
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investigations
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Polifonia per trans/multi/inter disciplinarietà
Poliphony as trans/multi/inter disciplinarity
Gli strumenti d’indagine, i metodi di comunicazione e le scelte grafiche dei lavori prodotti all’interno del corso di progettazione culturale sono risultati essere di estremo interesse dal punto di vista metodologico per lo studio dei fenomeni urbani e territoriali. Il termine di partenza di tutti i lavori coincide con una coesistenza. Coesistenza intesa come fenomeno del paesaggio contemporaneo, sinonimo di diversità, integrazione e interculturalità, episodio geopolitico e socio-culturale generato e generatore di idee e progetti per il territorio, strumento di interpretazione e progettazione del paesaggio urbano. La coesistenza è quindi uno strumento, un principio di incontro che è creato e crea idee e progetti sul territorio; considera in se stessa l’idea di diversità, intesa come due realtà, oggetti, culture, politiche che si incontrano e da cui nasce un’idea culturale; nasce un progetto capace di radicamento nel paesaggio contemporaneo. La coesistenza in questo modo definisce un territorio “nuovo” ma radicato, un luogo interculturale e perciò di conoscenza, un ponte d’incontro fra il diverso e ciò che è abituale. Viene definito il territorio come luogo di moltitudini, complessità, flussi spontanei e movimenti. Da qui la necessità di una lettura dei fenomeni urbani che sia in grado di “riprodurre la polifonia specifica della condizione della città contemporanea”. In quest’ottica la definizione di coesistenza come momento progettuale sul territorio e come strumento analitico del paesaggio contemporaneo considera e non può prescindere dal principio di multidisciplinarietà e interdisciplinarietà. Così il progetto urbano e di paesaggio nasce dal concerto di osservazioni che vengono raccolte e perciò messe a sistema rispetto ad un tema individuato. Un’analisi consapevole delle complessità territoriali e urbane richiede punti di osservazione diversi ed eterogenei ma cosa comporta questo atteggiamento? Quali sono gli strumenti? Quando l’atteggiamento interdisciplinare perde retorica e diviene momento operativo? La multidisciplinarietà non è una collaborazione acritica e retorica di progetto ma è l’apporto che ogni singola disciplina comporta nella sua forza strumentale e di cui va tenuto conto. Chiarificatrici le parole di Stefano Boeri in un’intervista rilasciata a Hans Ulrich Obrist: “dovremmo sostituire una prospettiva interdisciplinare intesa come scelta a priori, come obiettivo metodologico, con un’indagine di quanto emerge quando l’osservazione è compiuta da posizioni diverse: quella del sociologo, dell’artista, dell’architetto, del regista del fotografo e del geografo; e insieme questi punti di vista vengono proiettati sul medesimo campo fenomenologico, lo spazio urbano.” L’approfondimento che abbiamo scelto di fare in questo primo numero di Reconnection indaga l’ambito progettuale dell’analisi: un’indagine sull’indagine.
The survey’s tools, the methods of communication and the graphic choices of the works produced within the course of cultural projecting have resulted to be of great interest to from a methodological point of view and for the study of urban and territorial phenomena. Each work’s starting term coincides with a coexistence. Coexistence understood as contemporary landscape phenomena, synonym of diversity, integration and bridge between cultures, geopolitical and socio-cultural event which springs from and generates ideas and territorial projects; considers itself to be idea of diversity, understood as two realities, objects, culture, policies, that come together and from which a cultural idea is born; a project which is able of taking roots in the landscape is born. The coexistence thusly defines a “new” but rooted territory, an intercultural medium, and therefore a place of knowledge, a bridge and meeting between common and uncommon. The territory is defined as a place of multitudes, complexities, spontaneous fluxes and movements. Therefrom stems a necessity to read the urban phenomena in a way which enables to -replicate the specific polyphony of the contemporary city’s condition- From this viewpoint the definition of coexistence as a planning moment on the territory and analytical instrument of the contemporary landscape considers and can’t be parted from the principle of multidisciplinariety and interdisciplinariety. From this viewpoint the landscape and urban project stems from a concert of observations which are collected and brought into context with an identified theme. An aware analysis of the territorial and urban complexities necessities different and heterogeneous points of view but what exactly is it that this behaviour entails? Which are its instruments? When does the interdisciplinary behaviour loose rhetoric and becomes an operative circumstance? The multidisciplinariety isn’t an uncritical collaboration and a project’s rhetoric, but it is the input brought by what each single discipline entails in its instrumental entirety, and of which one ought to take note. Stefano Boeri’s interview by Ulrich Obrist is elucidative :”we should substitute an interdisciplinary perspective, meaning a previous choice, a methodological objective, an enquiry of what emerges when the observation stems from different positions : the sociologist’s, artist’s, architect’s, director’s, photographer’s, geographer’s; these viewpoints are projected together on the same phenomenological area, the urban space.” The in-depth examination which we chose to present in Reconnection’s first issue probes the projectural analysis’ area of interest: an enquiry on an enquiry.
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investigations and graphics
Materiali/Outputs: by students
output historical analysis
La consapevolezza storica è presupposto di progetto
Historical awareness is a design assumption
All’interno di ogni lavoro analizzato è presente una parte dedicata allo studio del contesto storico. Questa risulta particolarmente importante perchè inquadra e definisce con maggiore chiarezza gli svariati temi che son stati affrontati. In questa sezione vengono proposti due case studies che hanno rappresentato l’analisi storica in maniera molto interessante. Il primo lavoro di cui ci si occuperà è “Israeli West Bank”, ricerca che approfondisce la questione politica tra Israele e Palestina considerando le diverse tipologie di barriere di separazione che dividono il territorio palestinese da quello israeliano e la loro ricaduta sulla vita dei due popoli. E’ analizzato l’impatto geografico, ambientale, sociologico e visivo che questi confini concreti hanno sul territorio. Al lavoro hanno partecipato gli studenti Giovanni Benetti, Giovanni Chinellato e Filippo Della Lucia di provenienza italiana. Viene qui riportata una parte dell’indagine storica che, gli studenti hanno scelto di sviluppare attraverso lo strumento grafico del fumetto. Questa tecnica grafica appare particolarmente indicata per una visualizzazione semplificata ma efficace di una situazione geo-politica estremamente complessa. La sintesi comunicativa è resa immediata dalle immagini e dai brevi testi che le accompagnano. Il book “Vicenza-Dal Molin” tratta invece la questione delle basi militari americane in Italia, nello specifico la base di Camp Ederle a Vicenza, e degli effetti che queste hanno sul territorio e sulla popolazione. Gli studenti - Alessandro Mason, Livia Minoya e Sara Pellegrini (italiani), Sharai Viswa Chitanya Prasad e Neeraj Sharma (indiani) - sono partiti da un’attenta analisi sulla crescita culturale della città di Vicenza in relazione ai diversi periodi storici per studiare e comprendere il territorio vicentino e il suo rapporto con la presenza militare americana, per poi individuare le diverse posizioni politiche e il tipo di comunicazione mediatica rispetto al movimento contro l’insediamento dell’ampliamento della base Americana nell’area Dal Molin. Lo strumento grafico che hanno utilizzato è il classico modello x-y preso in prestito dalla matematica che consente una lettura molto semplice ed efficace.
Within each analyzed work there is a part dedicated to the study of the historical context. This is particularly important because it frames and defines with clarity the many themes that are addressed. This section presents two case studies that represented the historical analysis in a very interesting way. The first work is “Israeli West Bank”, the book explores the political issue between Israel and Palestine considering the different types of barriers that divide Israel from Palestinian territory and the resulting effects they have on the two peoples . Is analyzed the geographical, environmental, sociological and visual impact that boundaries have on the territory. At this book worked students Giovanni Benetti, Giovanni Chinellato and Filippo Della Lucia of Italian origin. Reported here is part of historical inquiry that students have chosen to develop through comics graphics. This graphic is a technique suitable for a simple but effective display of geo-political situation extremely complex. The communication summary is yield immediate thanks to the images and the short texts that accompany them. The book “Vicenza-Dal Molin” rather, treates the issue of U.S. military bases in Italy, specifically the base of Camp Ederle in Vicenza, and in the world and the effects they have on the territory and population. Students - Alessandro Mason, Livia Minoya and Sara Pellegrini (italian), Sharaa Chitanya Viswa Prasad and Neeraj Sharma (indian) - departed from careful analysis of the cultural growth of the city of Vicenza in relation to different historical periods to study and understand the territory of Vicenza and the relationship with the American military presence, identifying the different political and media positions related to the movement against the construction of the enlargement of an American base in the Dal Molin. Graphical tool that used is the classical x-y model borrowed from mathematics that can be read very simple and effective.
[continua con l’intervista a Paola Nicolin a pag. 101]
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[continue with the interview to Paola Nicolin at page 101]
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output economical research
L’economia è uno strumento progettuale
Economy is a design tool
Una valutazione economica è stata fatta per ogni lavoro nella parte dedicata al progetto di cultural planning. Si è adottata l’analisi SWOT, strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un’operazione progettata. L’applicazione dell’analisi SWOT non è limitata alle imprese con fini di lucro bensì può essere utilizzata in qualsiasi processo decisionale in cui uno stato finale desiderato (obiettivo) è stato definito, come per esempio nel caso delle organizzazioni no-profit. Per questo motivo un’analisi economica è stata necessaria per ogni case study; talvolta però, è presente anche nella parte di ricerca e di indagine che precede lo sviluppo del cultural planning. E’ questo il caso di “Vicenza-Dal Molin” e di “Naples: the spatial interpretation of waste” . Il primo esempio qui proposto è “Vicenza-Dal Molin”, che studia le ripercussioni sui territori ai quali si appoggiano delle basi militari americane, con uno zoom sulla base militare di Camp Ederle e il futuro ampliamento della base Dal Molin presenti nel territorio vicentino. Oltre ad una ricognizione sulla situazione politica, urbana e sociologica, con un forte riferimento alle manifestazioni contro l’ampliamento della base vicentina e il riscontro mediatico che le ha accompagnate, un’ analisi economica offre una previsione e una comparazione di costi con e senza la nuova base militare Dal Molin. Questa indagine è riassunta e rappresentata da un diagramma quantitativo che evidenzia con immediatezza i differenti investimenti economici. Il secondo esempio, “Naples: the spatial interpretation of waste”, degli studenti Uyen Vo (vietnamita), Yonxu Soh (cinese), Ugo Mosconi e Beniamino Manzella (italiani), si preoccupa di analizzare la problematica dello smaltimento dei rifiuti nel mondo, con particolare riferimento alla situazione campana, e l’influenza che essi, e i diversi sistemi di eliminazione individuati, hanno sul paesaggio urbano e sul territorio. Nel book si documentano anche i costi economici che vengono sostenuti dai diversi Stati nel mondo per l’introduzione di sistemi di riciclaggio. La grafica utilizzata ha come obiettivo quello di mostrare attraverso un diagramma quantitativo che compara l’altezza di una lunga colonna di ecoballs (collettori di rifiuti) con l’ altezza del Vesuvio, la quantità di rifiuti prodotti e le spese che gli stati devono sostenere per il loro smaltimento.
An economic evaluation was done for each job in the part devoted to the project of cultural planning. This is the SWOT analysis, strategic planning tool used to evaluate the strengths (Strengths), weakness (Weaknesses), opportunities (Opportunities) and threats (Threats) of a project. The usefulness of SWOT analysis is not limited to for-profit organizations but can be used in any decision-making in which a desired end state (goal) has been defined, such as non-profit organizations. For this reanson an economical analysis was needed for each case study, in some cases, however, is also present in the research and investigation that precedes the development of “cultural planning”. This is the case of “Dal Molin, Vicenza” and “Naples: the spatial interpretation of waste”. The first proposed example is “Vicenza-Dal Molin” which studies the influence of American military bases on the territories which are supported with a zoom on the military base of Camp Ederle and the future expansion of the Dal Molin base in the territory of Vicenza . In addition to studies on the political situation, urban sociology, with a strong reference to the demonstrations against the extension of the base in Vicenza and the media volume that accompanied them, there is also an economic analysis providing an estimate of costs and a comparison with and without the new Dal Molin military base. This survey is summarized and represented by a quantity diagram showing immediately different economic investment. The second book, “Naples: the spatial interpretation of waste”, made by students Uyen Vo (vietnamese), Yonxu Soh (chinese), Ugo Mosconi and Benjamin Manzella (italian), is concerned to analyze the problem of disposing of waste in the world, with particular reference to the situation in Campania, and the influence that they, and the elimination systems of these, have on the urban landscape and territory. In the book is also done a study on the economic costs that are incurred by the different States in the world for the introduction of recycling systems. The graphic that we report here is a quantity diagram comparing the height of a long column of ecoballs (waste collectors) to height of Vesuvius, and has as goal to show the amount of waste produced and the costs that states incur for disposal.
[continua con l’intervista a Marco Percoco a pag. 107]
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[continue with the interview to Marco Percoco at page 107]
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output sociological inquest
L’analisi sociologica dei luoghi
Sociological inquest of places
La ricerca sociologica è un elemento che compare in molti dei lavori che sono stati presi in considerazione. Per poter effettuare un progetto di cultural planning è infatti fondamentale esaminare e tenere in considerazione la composizione sociale del territorio che si studia e i rapporti che si creano all’interno delle popolazioni analizzate. I books che abbiamo scelto di proporre sono quelli che presentavano dei grafici particolarmente chiari nella rappresentazione della società. Il primo è “Cairo, city of the dead”, sviluppato dagli studenti Moataz Farid (egiziano), Alp Can Arisoy (turco) e Ann Marie Corbo (americana). In questo specifico caso la questione sociologica è alla base di tutto lo studio, infatti oggetti dell’analisi i l’antico cimitero del Cairo che ospita le famiglie più povere della città che si vedono costrette a vivere a diretto contatto con i morti. La rappresentazione di questa evidente contraddizione è messa in risalto da una mappa psicogeografica che riporta i confini del cimitero, per darne una localizzazione fisica, ma sostituisce le piante delle tombe con le fotografie dei derelitti che le abitano. Il secondo book - “Baghdad, Security Plan” - degli studenti Arianna Conca, Guido Granello (italiani) e Joselyn Danna (colombiana), affronta invece il tema della difficile situazione creatasi a Baghdad dopo l’intervento delle forze militari americane e l’introduzione di una green zone, prevista dal Security Plan. Il grafico utilizzato, che potremmo definire mappa di parole, rappresenta la composizione della città di Baghdad attraverso i nomi delle etnie, che fissano i limiti dei diversi quartieri. L’ultimo case study di cui offriamo una selezione è “Pantanal”, degli studenti Roberta Pollastri, Cristina Crivelli (italiane) e Sandra Herrera (boliviana). Il book considera il bacino di Pantanal, paradiso delle acque nel mezzo dell’America del Sud, e le diverse popolazioni e specie animali che lo abitano. La grafica che rappresenta questa particolare convivenza è una mappa per sovrapposizione che riporta l’ubicazione dei diversi componenti di Pantanal.
The sociological research is an element that appears in many of the works that have been taken into account. To carry out a “Cultural Planning” project, is essential examines and take into account the social composition of the territory that is studied and reports that are created inside analyzed populations. The chosen books are those who are particularly clear in the graphic representation of society. The first one is “Cairo City of the Dead”, developed by students Moataz Farid (egyptian), Alp Can Arisoy (turkish) and Ann Marie Corbo (american). In this case the sociological study is the base of all the question. It is analyzed the cemetery of the city of Cairo, which hosts the city’s poorest families that are forced to live in direct contact with the dead. The representation of this noticeable contradiction is highlighted by a psychogeographic map showing the boundaries of the cemetery, to give them a physical location, but replacing the plants of the graves with photographs of the derelicts who live in there. The second is”Baghdad, Security Plan”, made by the students Arianna Conca, Guido Granello (italian) and Joselyn Danna (colombian) , and deals with the difficult situation created in Baghdad after the intervention of U.S. military forces and the introduction of a green zone, provided by the Security Plan. The graphic used, which could be defined word’s map, shows the composition of the city of Baghdad through the use of names of ethnic groups, establishing the limits of the various districts. The last case study we offer is “Pantanal”, by the students Roberta Pollastri Cristina Crivelli (italian) and Sandra Herrera (bolivian). The book considers the Pantanal basin, water paradise in the middle of South America, and various animal species and populations that inhabit it. The graphic that represents this particular partnership has an overlapping map showing the location of different components Pantanal.
[continua con l’intervista ad Aldo Bonomi a pag. 88]
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[continue with the interview to Aldo Bonomi at page 88]
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output journalistic inquiry
Il metodo giornalistico applicato al progetto
Journalistic inquiry applied to the project
Documenti e testimonianze tratte dalla stampa che vengono esposte attraverso un’analisi giornalistica sono molto interessanti per comprendere meglio la questione che viene approfondita dagli studenti nel corso di cultural planning e spesso vengono utilizzati per presentare le diverse opinioni che politici, giornalisti e cittadini si sono fatti sui casi specifici affrontati. Molti studenti approfittano di questa opportunità per avvalorare le proprie tesi e per inquadrare l’oggetto della loro ricerca. Vengono spesso riportate pagine di giornale, interviste, commenti e fotografie che aiutano a visualizzare la problematica e a trovare delle soluzioni. Nell’esempio che si è scelto di riportare qui di seguito però, si tratta piuttosto del racconto di un’esperienza tragica, come è stata la catastrofe di Chernobyl, e di come la vita di un essere umano possa continuare nonostante una vicenda di queste proporzioni. Il book che tratta questo argomento è “Life in the dead zone”, redatto dagli studenti Saloumeh Behboud (iraniana), Assel Issabekova (kazaka) e Karim Elwishi (egiziano), e include un fotoracconto realizzato dalla giornalista russa Elena Filiatova che, con la sua motocicletta, dal 2006 ha effettuato diversi viaggi in solitario attraverso la zona contaminata dallo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl, per poter raccontare i paesaggi e le vite che si trovano nell’area. Nei suoi viaggi la Filiatova si è imbattuta in luoghi, paesi e città tutti pressoché disabitati, eccetto pochi villaggi, tra cui Lyubyanka, dove ha incontrato qualche famiglia che ha deciso di tornare a vivere nel proprio paese natale nonostante le pericolose radiazioni. La storia di queste famiglie, accompagnate da alcune foto degli intervistati, sono la grafica che rappresentano l’indagine giornalistica, in questo caso fotogiornalistica.
The testimonials that are exposed by journalistic analysis are very interesting to better understand the issue that is deepened by the students during the “Cultural Planning”. In fact they are used to provide the different views that politicians, journalists and citizens are made on the specific cases addressed. Many students take advantage of this opportunity to substantiate their argument and to frame the question that they deepen. Press pages, interviews, comments and photographs are often reported to help the visualization of the problem and to find solutions. In the case the we choose to report below, however, it is a sort of tragic story of an experience, as was the Chernobyl disaster, and how the life of a human being can continue despite this. The book covers this topic is “Life In The Dead Zone”, written by students Saloumeh Behboud (iranian), Assel Issabekova (kazaka) and Karim Elwishi (egyptian), and includes a photo story conducted by russian journalist Elena Filiatova who, with her motorcycle, since 2006 has made several solo trips through the contaminated area by the explosion of Chernobyl nuclear power plant, to describe landscapes and lives in the area. In her travels she met sites, countries and cities all almost uninhabited, except for a few villages, including Lyubyanka, where she met some family who decided to return to live in their home country despite the dangerous radiation. The history of these families, accompanied by some photos of the respondents, are the graphics that represent the journalistic investigation in this case photojournalistic.
[continua con l’intervista ad Alberto Coretti a pag. 90]
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[cotinue with the interview to Alberto Coretti at page 90]
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output architectural study
Il disegno architettonico come indice di ricerca
Architectural draw as research index
L’analisi architettonica che viene mostrata qui di seguito, è intesa come ridisegno delle diverse architetture prese in considerazione nei case studies prodotti dagli studenti. Esse infatti esercitano un forte impatto sia sul paesaggio sia sui gruppi sociali che vi sono insediati. Diventa dunque importante raffigurare gli edifici che sono elementi fondamentali nello studio del territorio. Abbiamo selezionato tre books. Il primo è “Coexistenz” che tratta il tema della percezione da parte della gente della pubblicità esposta sugli edifici: analizza quindi una convivenza tra l’architettura, il messaggio mediatico e il suo destinatario, ossia l’uomo. E’ evidente che per poter rappresentare questa contaminazione è necessario sviluppare disegni architettonici, tecnica che infatti gli autori della ricerca, Fabrizio Piras e Francesca Galluzzo (italiani) con Joen Yoen Jae (coreana) e Nguyen Ba Thuan (vietnamita), hanno utilizzato applicandola a diversi edifici in diverse città. Il secondo lavoro di cui ci si occuperà è “Hurricane Katrina”, degli studenti Emily Nelson (americana) Vibhor Mukul Singh (indiano) e Ana Villacampa (spagnola). Come dice il titolo stesso, il tema trattato è quello dell’uragano Katrina che ha investito la città di New Orleans nel 2005 creando morte e distruzione. Oltra ad un’analisi di come l’uragano si è formato e ad uno studio sociale sulla tipologia di popolazione rimasta nella città, l’aspetto che il gruppo ha scelto di approfondire maggiormente è stato quello della gestione degli accampamenti provvisori per coloro che avevano deciso di non abbandonare la città. Gli studenti hanno infatti disegnato una mappa spaziale dello stadio cittadino, il Louisiana Superdome, all’interno del quale sono stati disposti i posti letto per i sopravvissuti al distastro. Sono rappresentati dunque i letti, i percorsi possibili all’interno dello stadio, e la densità di popolazione prevista per l’emergenza. Infine, l’ultimo caso proposto è “Vicenza - Dal Molin”, che illustra l’incombenza della base militare americana di Camp Ederle - Dal Molin sul territorio, ridisegnando le sezioni dei confini di Camp Ederle con il paesaggio circostante, allo scopo di far comprendere che tipo di dialogo si crea tra la base e il vicino quartiere di San Pio X.
The architectural analysis shown below, is intended as a redesign of the different architectures considered in case studies produced by students. Indeed, they have a strong influence on both the landscape and society. Therefore becomes important to represent the buildings thet are key components in the study of the territory. The books which graphics are reported are three. The first is “Coexistenz” which addresses the issue of perception of people exposed to advertising on buildings. Then examines coexistence between architecture, media message and the recipient, the humans. It’s clear that in order to represent this contamination is necessary to develop architectural drawings, technical thet the students Francesca Galluzzo and Fabrizio Piras (italian) by Joen Jae Yoen the (korean) and Nguyen Ba Thuan (vietnamese), have used applied to several buildings in different cities. The second work that we will show is “Hurricane Katrina”, made by the students Emily Nelson (U.S.) Vibhor Mukul Singh (indian) And Ana Villacampa (spanish). As the title of the book suggests, the theme treats is the Hurricane Katrina hitting the city of New Orleans in 2005, creating death and destruction. Besides an analysis of how the hurricane is formed and a social study on the typology of the population remained in the city, the aspect that the group choose to go deeper into was the management of temporary camps for those who had decided not to leave the city. Students have in fact designed a spatial map of the city stadium, the Louisiana Superdome, in which were placed the beds for survivors. They therefore represented the beds, the possible paths inside the stadium, and the population density expected for the emergency. Finally, the last case is”Vicenza - Dal Molin” which examines in particular the issue of U.S. military base of Camp Ederle - Dal Molin, located in Piacenza. In this case the students have chosen to show the base task in the territory, reshaping the section of the boundaries of Camp Ederle and the surrounding landscape, allowing them to understand what kind of dialogue is created between the base and the nearby district of San Pio X. [continue with the interview to Cino Zucchi at page 111]
[continua con l’intervista a Cino Zucchi a pag. 111]
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output urban investigation
Diversi criteri di analisi urbana
Different criteria for urban analysis
L’analisi della città è un passaggio obbligato per la comprensione del territorio e degli eventi che si producono al suo interno. Ogni lavoro, tra quelli che sono stati selezionati, offre un’ampia parte dedicata allo studio urbano, che comprende i sistemi della viabilità, del verde e delle acque, la morfologia dei quartieri e lo sviluppo delle periferie cui si aggiungono elementi come la densità di popolazione e la dislocazione dei quartieri a seconda della funzione (abitativa, commerciale o di servizio). I case studies che vengono qui riproposti sono tre. Il primo è “Baghdad, Security Plan”, che affronta lo spinoso tema della situazione creatasi a Baghdad dopo l’intervento delle forze militari internazionali. L’introduzione da parte di quest’ultime di un piano di sicurezza ha cambiato radicalmente la morfologia urbana e la composizione sociale che è stata fortemente modificata dai cambiamenti avvenuti all’interno della città. Questi stravolgimenti sociali e urbani sono rappresentati attraverso mappe che raffigurano le varie alterazioni nel corso del tempo: sono mappe temporali che ridisegnano i quartieri prima e dopo l’introduzione del security plan. Il secondo caso che viene riproposto è “Cairo: city of the dead”. In questo book l’analisi urbana è fondamentale per comprendere la situazione di totale disagio che gli abitanti dello slum che sorge all’interno del cimitero del Cairo subiscono quotidianamente. Il ridisegno della città dei morti, che viene effettuato come si trattasse di un disegno di pianificazione urbana, evidenzia di volta in volta gli elementi che gli studenti hanno ritenuto importante mettere in risalto: la viabilità, il sistema del verde e delle acque, gli accessi al cimitero, la densità di popolazione e così via. L’ultimo caso presentato è “Metamorphosis”, degli studenti Shushan Yi, Jiang Wei e Xuda Liu (cinesi) e Takayoshi Oki (giapponese), lavoro che considera un parallelo culturale e fisico tra due importanti città, rispettivamente del Giappone e della Cina: Kyoto e Xi’An. In questo caso l’uso del disegno a scala urbana è stato impiegato per mostrare la differente crescita nella storia delle città. Si può infatti parlare di mappe storiche.
The city and its urban analysis is a necessary step for understanding the land and events that occur within it. Every work, including those that have been selected, offers a section devoted to urban studies, including traffic, green and water systems, the morphology and development of suburban neighborhoods. Is also considered the population density and location of the districts according to the function (residential, commercial or service). The case studies that are replicated here are three. The first is “Baghdad, Security Plan” which tackles the thorny topic of the situation in Baghdad after the intervention of the international military forces. The introduction by the latter of a safety plan has dramatically changed the morphology of the city and its suburbs, as well as the social composition was strongly modified by changes within the city. These urban and social upheavals are represented by maps depicting these changes over time. We can talk about temporal maps redrawing districts before and after the introduction of the security plan. The second case that is proposed is “Cairo: City of the Dead”. In this book the urban analysis is crucial to understand the total situation of distress that the inhabitants of the slum that lives inside the cemetery in Cairo suffer every day. The redesign of the city of the dead, which is made as it was a drawing of urban planning, stands out from time to time items that students found it important to highlight: the roads, the green and water areas, the access to the cemetery the population density and so on. The last case of which there will be shown the material is “Metamorphosis”, made by the students Shushan Yi Jiang Wei and Liu Xuda (chinese) and Takayoshi Oki (japanese), a work that considers the cultural and physical parallels between two major cities of Japan and China, that Kyoto and Xi’An. In this case the use of the design on an urban scale was used to show the difference in growth in the history of the city. We can define that maps historical maps.
[continua con l’intervista a Stefano Boeri a pag. 82]
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[continue with the interview to Stefano Boeri at page 82]
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output designed details
Lo studio del dettaglio rivela la complessità
The study of detail clarifies the complexity
L’analisi di un’architettura non si esaurisce con il ridisegno di prospetti, piante e sezioni. E’ anche attraverso i dettagli che si può comprendere l’influenza che il costruito (sia esso una grande struttura o un oggetto di minori proporzioni) ha sul territorio e sulla cultura di un popolo. Le percezioni visive suscitate nell’utente dal dettaglio, possono essere una chiave per comprendere la sua cognizione dello spazio. I casi che sono stati individuati per dimostrare l’importanza del disegno del dettaglio, “Israeli West Bank” e “Metamorphosis”, utilizzano questo metodo in modo molto diverso . Il primo book, “Israeli West Bank”, tratta il delicato tema degli elementi di separazione posti al confine tra i territori palestinesi ed israeliani. Gli studenti scelgono di affrontare la questione tramite il disegno tecnico dei singoli elementi che formano le barriere e i check point presenti sulla linea di saparazione tra i due Stati e la graficizzazione del loro assemblaggio. Attraverso una rappresentazione così minuziosa delle strutture di divisione, gli autori della ricerca offrono al lettore un’idea di come esse possono essere diversamente percepite dalle due popolazioni. Il secondo caso, “Metamorphosis” , istituisce un confronto -fisico e culturale- tra due importanti città: Kyoto, giapponese, e Xi’An, cinese. L’analisi del dettaglio viene qui utilizzata per evidenziare differenze e assonanze di usi e costum; con questo obiettivo sono stati graficizzati, attraverso l’uso del disegno quotato, elementi della cultura culinaria, vestiaria e musicale.
The analysis of architecture does not end with the redesign of elevations, plans and sections. Is through the design details of an architectural structure or object, that you can understand the influence that these have on the land and culture of a people. The detail raises the visual perceptions that help people understanding the cognition of space. The cases that are chosen to demonstrate the importance of design detail, “Israeli West Bank” and “Metamorphosis” use this method in a very different way . The first book, “Israeli West Bank” treats the delicate issue of separating elements on the border of the Palestinian territories and Israelian’s. Students choose to investigate the issue through the technical design of individual elements that make up the barriers and checkpoints on the line of saparation between the two countries and plotted their assembly. Through a well-depth representation of the structures division, students give to the reader an idea of how two people can perceive these places of division. The second one, “Metamorphosis”, creates a physical and cultural parallel between two major cities: Kyoto, Japan, and Xi’an, China. Here, however, detail analysis is used to highlight differences and similarities of customs and traditions that exist between these two cities. That’s why were plotted, using a quoted drawing, elements of the culinary culture, clothing and music.
[continua con l’intervista a Cini Boeri a pag. 78]
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[continue with the interview to Cini Boeri at page 78]
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La ricerca fotografica e l’uso delle immagini
Photographic research and the use of the images
La fotografia, mezzo di riproduzione della realtà per antonomasia, è un supporto di grande efficacia, precisione e immediatezza comunicativa. Con essa si possono facilmente rappresentare condizioni sociali ed economiche, fenomeni urbani ed architettonici, caratteristiche delle popolazioni. La sua funzione di ancella di altre discipline la rende particolarmente adattabile a qualsiasi tipo di indagine. NNei quattro casi che si è scelto di documentare essa svolge diversi ruoli. Il primo book, “Burning Man Festival” - redatto dagli studenti Giacomo Cantoni e Augusto Corsini (italiani), Nowzar Hedayati (iraniano) e Domenika Kostantinidi (greca) - analizza alcuni aspetti del Burning Man Festival, dedicato all’auto realizzazione, che vede il costituirsi con cadenza annuale di una comunità temporanea. La ricerca parte da una ricognizione geografica per giungere al significato sociale dell’evento e la fotografia amatoriale (telefonini e handycam) viene utilizzata per fissare e contestualizzare scene di espressione artistica e sociale che si sono verificate durante il festival, organizzato in un paesaggio pressoché lunare: il deserto del Nevada. Il secondo caso, “Coexistenz”, usa invece la tecnica del fotomontaggio e interviene sull’immagine. Il tema della relazione tra architettura e messaggi mediatici, argomento principe del book, è perfettamente espresso attraverso la colorazione parziale delle fotografie, che traduce istantaneamente in termini visivi questo concetto altrimenti difficilmente descrivibile. “Mercati Milanesi”, il terzo book scelto, studia il fenomeno dei mercati rionali esistenti sul territorio di Milano. Gli studenti, Chiara Geroldi, Roberto Maffei e Elena Oggioni (italiani) hanno prodotto svariate analisi che rappresentano i diversi quartieri con e senza mercatole conseguenze economiche, sociali ed urbane connessse a questa presenza/assenza. Parte integrante di questo book è un video, qui ridotto in fotogrammi, che segue un’intera giornata al mercato, per meglio sottolineare i momenti salienti, gli orari di punta e i flusso di gente che si crea all’interno di un mercato. Infine “Hurricane Katrina”studia il disastroso passaggio dell’uragano Katrina sulla città di New Orleans e i drammatici effetti che ha scatenato. In questo caso si può parlare di reportage fotografico, poichè le immagini seguono le vicende degli sfollati e ne ritraggono le situazioni più intense.
Photography, a means of reproducing reality, by definition, is very important to immediately recognize the different situations in different areas. With it is easily represented the social and economic, urban and architectural phenomenons, difficulties and opportunities of the people. Its role as a handmaiden of other disciplines makes it especially adaptable to any type of investigation. In the cases chosen to deepen, it has several functions. In the first, “Burning Man Festival” - book written by students and Augusto Corsini James Cantoni (italian), Nowzar Hedaya (iranian) and Domenika Kostantinidi (greek), which analyzes some aspects of the Burning Man Festival, an annual experiment in temporary community dedicated to self realization, starting from the geographical meaning reach to social significance- amateur photography (cell-phones and handycam) is used to capture scenes of social and artistic expression that occur during the festival, organized an almost lunar landscape, the desert of Nevada. The second case, “Coexistenz”, use photography as photomontage. The theme of the relationship between media messages and architecture, the principal argument of the book, is perfectly expressed through the partial color photographs, which makes this concept instantly visible otherwise difficult to describe. “Mercati Milanesi”, chosen third book, studies the phenomenon of local markets exist in the area of Milan. Students Geroldi Chiara, Roberto Maffei and Elena Oggioni (Italians) have several tests that represent the different districts with and without market and the related economic, social and urban consequences. In this book there is a video, which was reduced in frames, which follows an entire day at the market, to better highlight the key moments, peak times and the flow of people that is created inside a market. Finally, “Hurricane Katrina“is studying the disastrous Hurricane Katrina on New Orleans and the dramatic effects it has unleashed. In this case we can speak of photographic reportage, as the images of displaced people following the story and portray the most intense moments.
[continua con l’intervista a Denis Curti a pag. 94]
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[Continue with the interview to Denis Curti at page 94]
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interviews
talk: a way to understand
Intervistatori/Interviewers: Camilla Brighi, Nicolò Gobini
interviews cini boeri architetto/architect
Progettista e committente in Struttura e percorsi dell’atto progettuale, Milano, CittàStudi, l991
Le dimensioni umane dell’abitazione, Milano, Franco Angeli, 1980
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L’architettura è una professione sociale
Architecture is a social vocation
ReConnection Dal suo punto di vista che importanza ha l’indagine preliminare dei fenomeni urbani in un progetto di architettura? Cini Boeri Io dico che in qualsiasi progetto di architettura il rendersi conto del contesto in cui ci si inserisce, sia dal punto di vista dell’immagine che dal punto di vista sociale e politico, è estremamente importante. Bisogna rendersi conto di questo e su questo fare i conti. RC In un progetto di architettura quali sono le fasi più complesse o significative? CB Può essere complesso il rapporto con l’interlocutore, non sempre è facile. Nella mia esperienza ho sempre cercato di farmi un quadro psicologico del mio interlocutore ed è giusto tenerne conto, perché a un certo punto il tuo progetto è fatto per lui, bisogna capire com’è fatto, come usa vivere, come desidera vivere. L’ostacolo può essere superato se tu riesci a chiarire molto bene il tuo rapporto con il committente. Poi altri ostacoli possono avvenire per problemi tecnici, non è un percorso dolcissimo: è molto entusiasmante, ma può avere dei momenti di difficoltà. RC Quindi l’incontro con il committente per lei è particolarmente importante? CB Sì, nel mio caso è sempre preceduta da una specie di... non dico interrogatorio, ma ricerca psicologica del mio cliente. Devo capirlo e probabilmente già mentre parlo per capirlo lui stesso capisce come mi muoverò io, quindi è una trasmissione reciproca molto importante. RC Secondo lei che relazione esiste fra un progetto di architettura e il progetto di design? CB Il progetto di design può derivare dall’architettura, l’architettura ha i suoi spazi dove rendere abitabile l’area dell’uomo. Il design denuncia certe carenze o propone comunque qualcosa di nuovo, dovrebbe rispondere a questo più che al decoro, come invece le ultime tendenze, anche frequenti, ci propongono ma questo non corrisponde alle sue finalità. Il design è un progetto, un progetto di architettura adatto al muoversi dell’uomo nel suo spazio. RC Secondo lei in che modo l’architettura o il design sono riusciti o riescono ad immaginare, a prospettare, degli scenari futuri? CB Prima di tutto c’è un’acceleratissima tecnologica, questa è una cosa molto bella, la nostra grande fortuna: ogni anno o due anni ci propone nuove soluzioni per tutto, particolarmente nella produzione dei materiali. Per esempio, quando io ero giovane la scoperta delle materie plastiche è stato un grandissimo momento, che ha cambiato radicalmente la possibilità di progettare il design. Oggi, ad esempio, consideriamo il vetro: è diventato un materiale strutturale. Il vetro lo amo moltissimo perché amo la trasparenza. Che sia strutturale
ReConnection From your point of view, what is the importance of the preliminary investigation of urban phenomenons in an architecture project? Cini Boeri In any architecture project, it is extremely important to take into account the context where it is taking place, as much from the aesthetic standpoint as from the social and political standpoint. We must take this into account and make calculations on this basis. RC What are the most complex and significant phases in an architecture project? CB The relationship with the interlocutor is not always easy. In my experience, I have always tried to form a psychological picture of my interlocutor, and it is right to take it into account because, at a certain point, your project is made for him. You have to understand how he is, how he lives, how he wants to live. This obstacle can be breached if you manage to make very clear your relationship with the buyer. Then, other obstacles, such as technical problems, can come up. It is not an
effortless course of action: it is very exciting, but it can have its moments of difficulty. RC Therefore, your meeting with the buyer is particularly important for you? CB Yes, in my case it is always preceded by a kind of… I wouldn’t say interrogation, but psychological investigation of my client. I have to understand him, and probably already as I am talking to him, he too understands how I will act. Thus, it is a very important form of reciprocal communication. RC What do you think is the link between an architecture project and a design project? CB The design project can be derived from architecture. Architecture has its spaces where it renders the life of man inhabitable. Design exposes certain deficiencies or in any case proposes something new, and it should try to meet to these objectives rather than to react to decorum, as is suggested by the latest common tendencies which do not ultimately correspond to its aims. Design is a project, an
interviews mi riempie di gioia, perché io posso sostenere un grattacielo con il vetro, arriveremo a questo. RC Sempre parlando di immaginario, che valore ha l’utopia nel lavoro dell’architetto? CB Ma, dunque... questa è una risposta personale. Io ho sempre progettato con grande gioia e tuttora mi entusiasma. Il momento della creatività, del progetto, dedicato al progetto, mi piace moltissimo, vorrei che fosse sempre, ogni giorno. È naturalmente una forma di ottimismo, perché mentre disegni tu speri che il mondo possa essere così, o che si possa trasformare grazie alla tua matita. Ricordo uno scambio di idee con un’architetto donna che lavorava con Gardella, in un periodo degli anni Settanta-Ottanta, periodo di grandi difficoltà politiche. Io le avevo espresso un senso di esclusione, la difficoltà di emergere e lei mi ha risposto una cosa che mi ricorderò per sempre: ricordati che per noi la matita è un fucile. RC Parliamo di multidisciplinarietà. Crede che la multidisciplinarietà sia necessaria in un progetto di architettura? CB Secondo me è indispensabile. Prima di tutto, dato per scontato che noi dovremmo avere una buona cultura, non è una disciplina facile la nostra, non è neanche superficiale e neanche, come spesso viene identificata, soltanto una espressione artistica. È un impegno sociale il nostro, per cui naturalmente devi conoscere le altre discipline, devi tenerne conto ed avere rapporti continui con queste. RC Con quali professionisti, come ad esempio fotografi, filosofi, economisti, politici, scrittori, è importante collaborare? CB Tutti. Tutti quelli che intervengono nella vita, che sono vitali come noi, che appartengono alla nostra società contemporanea, senza restrizione. RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, anche persone che ha incontrato, luoghi in cui è stata, quali ritiene più significative e più importanti per la professione dell’architetto? CB Sono sempre stata curiosa di conoscere gli altri e quindi ho frequentato diversi tipi di persone. Ho viaggiato anche molto, per lavoro e in questi casi si conoscono diverse abitudini, diversi comportamenti, diverse situazioni politiche e sociali. Tutto questo ti arricchisce, ti rende più capace di esprimere una tua proposta. RC C’è un luogo o un viaggio che più degli altri ha avuto importanza per lei? CB Certo l’America è sempre un viaggio entusiasmante, dona spunti interessanti per il tuo lavoro, però lì vale meno la curiosità; la curiosità è stata nel mondo giapponese, nel mondo cinese, nel mondo del Sud America, posti dove sono andata sempre per lavoro, il che voleva dire arrivare al nucleo reale della popolazione, non avere una conoscenza superficiale. L’aspetto più interessante del viaggio è che rimangono alcune caratteristiche di queste zone o popoli che tu hai conosciuto che possono essere assimilate anche dal tuo modo di essere, oppure di cui puoi tenere conto:
architecture project that is suited to the movement of man in his space. RC In what ways do you think architecture or design have managed or manage to imagine, to depict, future scenarios? CB First of all, technology is extremely advanced and this is a very beautiful thing, our great fortune: every year or every two years, it proposes new solutions for everything, particularly in the production of materials. For instance, when I was young, the discovery of plastic materials was a monumental moment which radically changed the conception of design. Today, for example, let us consider glass: it has become a structural material. I adore glass because I love transparency. The fact that it is structural makes me very happy because I can sustain a skyscraper with glass. We will reach that point. RC Still speaking of the imaginary, what is the value of utopia for the work of an architect? CB Well…this is a personal answer. I have always designed projects with great joy, and it has thrilled me to this day. I love the moment of creativity of a project, that is dedicated to a project. I wish that it could be that way all the time, every day. Naturally, it is a form of optimism, because as you draw you hope that the world could be that way, or that thanks to your pencil it could be transformed. I remember an exchange of ideas with a woman architect who worked with Gardella during the 1970s-1980s, a period of huge political difficulties. I had expressed a sentiment of exclusion, the difficulties of emerging as an architect, and she gave me an answer that I will remember forever: remember that the pencil is not a gun. RC Let’s talk about interdisciplinary collaboration. Do you think that interdisciplinary exchange is necessary in an architecture project? CB In my opinion, it is essential. First of all, since it is a given that we should have a good cultural background and that our discipline is not an easy one, our work is neither superficial nor, as it is often identified, simply a form of artistic expression. Ours is a social commitment, therefore you naturally have to know other disciples, you must take them into account and continually have connections with these. RC With which professionals, such as photographers, philosophers, economists, political actors, and writers, is it important to collaborate? CB All of those. All of those that take part in life, who are vital as we are, who belong to our contemporary society, without restrictions. RC Within your cultural and life experiences, people you have met, places you have visited, which do you believe were most important for the profession of the architect? CB I have always been curious to know others, and therefore I have hung out with different kinds of people. I have traveled a lot for work and in these cases, you come across different habits and behaviours, as well as political and social situations. All of this enriches your knowledge, makes you more capable of expressing your proposition. RC Is there a place or a travel experience that has mattered more than others for you? CB Certainly, traveling to America is always exciting and offers interesting work opportunities, but curiosity is worth
La casa tra tecniche e sogno, Franco Angeli, Milano, 1988
Cini Boeri, architetto e designer, a cura di Cecilia Avogadro, Silvana Editoriale, 2004
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http://www.arflex.it/
http://www.flickr.com/ photos/brumd/3288189202/
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è comunque un momento fondamentale. Viaggiare è importantissimo. Viaggiare per lavoro, non come turista. RC Se non avesse fatto l’architetto cosa le sarebbe piaciuto fare? CB Mi piace molto la professione del taxista, perché il taxista viaggia molto, mi piaceva guidare, mi piace tuttora... E poi sei libero, puoi andare, non andare, fermarti, dire signora, no, scenda pure, oppure salga pure. E poi un’altra professione. Mi ricordo quando pensavo: se avessi dovuto cambiare città o paese improvvisamente, che lavoro avrei potuto fare io? Forse il panettiere. Il panettiere è una professione che ti dà la gioia di produrre un qualcosa di essenziale alla vita e poi sforni migliaia e migliaia di panini e anche questa mi sembrava una cosa che potesse entusiasmare. RC Tra i suoi progetti c’e n’è uno in cui si identifica maggiormente? CB Mi è molto difficile decidere. Lungo la mia professione ho tentato di trasmettere, o comunque di esprimere dei concetti di vita, che mi sembravano giusti, che mi sembravano progressisti, che lo fossero o che siano caduti nel vuoto non lo so, spero di no. Per esempio, il giorno in cui io ho disegnato il Serpentone era una mia rivolta per tutti quelli che mi dicevano disegna un bel divano, disegna una bella poltrona... perché mi rendevo conto che il divano era una specie di status symbol per le persone di qualsiasi classe. Mi sono innervosita e ho detto ma perché non fare un divano a metri che si può tagliare, un divano di due o tre metri curvo di qui, curvo di là, e l’ho disegnato. Ha avuto un successo come novità, non credo che abbia cambiato il modo di pensare delle persone, però è stato prodotto nel tempo. Poi invece le altre cose possono essere più relative al modo di comportarsi nella vita. Io amo molto la flessibilità, non ho vergogna a cambiare parere, anzi, sono contenta se cambio parere, vuol dire che ho maturato qualcosa di diverso. A questo concetto corrisponde il movimento, cioè la ruota e lo scorrevole. In molti appartamenti ho cercato di non chiudere gli spazi, ma con gli scorrevoli poterli cambiare secondo le necessità. I mobili dovrebbero essere mobili, nel mio disegno hanno sempre le ruote infatti. RC Come vede il futuro della professione dell’ architetto? CB Sono un po’ preoccupata, è un errore nostro, è un errore degli architetti se si presentano come dei personaggi pazzerelli, ricchi di fantasia soltanto, ne deriva un giudizio sbagliato. La professione dell’architetto, secondo me, è una professione sociale, impegnativa com’è quella del medico, come quella di un opinion maker, di un giornalista. Noi abbiamo il dovere di sentire questa cosa, perché se non la sentiamo, naturalmente su questo vveniamo giudicati. Questo è quello che ho cercato di dire sempre agli studenti nelle ultime lezioni o nelle conferenze che mi è capitato di fare. RC Esatto, pensa che l’università sia un momento fondamentale per la formazione dell’architetto, o meglio, che ruolo deve avere l’università oggi nella formazione
less there; my curiosity has drawn me to the Japanese and Chinese world, as well as to South America – places where I have always been for work – which means that I wanted to get to the true core of culture, not simply have a superficial understanding. The most interesting aspect of traveling is that certain characteristics of the locations or civilizations you get to know could be assimilated in your way of being or taken into account in your daily life. In any case, it is a fundamental moment. Traveling is very important. Traveling for work, not as a tourist. RC If you had not been an architect, what would you have liked to do? CB I like the profession of a taxi driver because a taxi driver travels a lot, I liked to drive, I still like it today… And you are free, you can go, not go, stop, say “no miss,” or “go ahead,” or “please come in.” And another profession. I remember when I used to think: If I had to suddenly change city or country, what work could I do? Perhaps I would be a breadmaker. Breadmaking is a profession that gives you the joy of producing something that is essential to life, and then you bake thousands and thousands of sandwiches, and this too seemed like something that could make me happy. RC Within your projects, is there one with which you identify best? CB It is very difficult for me to decide. Over the course of my career, I have tried to convey, or at least to express, some life concepts that I considered right, that I considered progressive. Whether they were that way or whether they have fallen into oblivion, I have no idea but I hope not. For example, the day I drew the serpentine couch was a rebellion again all those who were telling me to draw a pretty couch or a pretty armchair… because I realized that the couch was a sort of status symbol for people of any social class. I got nervous and I said why not make a couch that could be broken up, a couch that was two or three meters long, curving this way and that way, and I drew it. It was successful as a novelty, I don’t think that it changed the way people thought, but it continued to be made over time. Then other things can be more relative to the way people behave in life. I love flexibility, I don’t feel ashamed about changing opion, it means that I developed something different. This concept corresponds to movement, to the wheel, and to all flow. In many apartments, I tried not to close spaces, but to change them with movement according to necessity. Furniture should be moveable, in fact in my drawings furniture always has wheels. RC How do you perceive the future of the architect? CB I am a little worried, it is our mistake, it is the mistake of architects if they present themselves only as nutty characters, with a rich imagination. This prompts a wrong judgement. In my opinion, architecture is a social profession, as demanding as the work of a doctor, or that of an opinion maker, or a journalist. We have a responsibility to feel this way because if we do not, of course we are going to be judged. This is what I have always tried to communicate to students in the last courses I have taught or conferences I have attended. RC Do you think that university is a fundamental moment in
interviews dei futuri architetti? CB Io ho fatto l’università dopo il fascismo, quindi aveva ancora qualche piccolo residuo della retorica fascista e allora, semmai, era la lotta contro la retorica che poteva formarci, se avevamo la forza di farlo. Oggi può essere molto di più, mi auguro che sia molto di più. Mi chiedo se c’è un rapporto con la realtà del lavoro, è importante, è un pezzo della nostra disciplina. Spero che ci sia. RC Quale tra queste qualità, conoscenza, passione, tecnica, capacità di ascolto e umiltà, secondo lei è più importante per l’individuo e per il professionista? CB Comincerei ad escludere quelle negative, cioè l’arroganza: via, il credere di essere l’unico competente in una materia: via. Tra i valori positivi: il capire, il sopportare la diversità di un altro, il cercare di regalare qualcosa di nuovo, quindi una certa generosità e poi un po’ di cultura. RC Grazie.
the development of an architect, or better, what role should university play today in the formation of future architects? CB I went to university after fascism so it still had a few residues of the fascist rhetoric. Thus, if anything, it was a fight against the rhetoric that could shape us, if we had the strength to carry it through. Today, university can be much more, and I hope that it is much more than that. I wonder if there is a connection between university and the reality of work, it is important to have that connection, it is a part of our discipline. I hope that there is one. RC Among knowledge, passion, technique, listening ability, and humility, which do you think is the most important quality for the individual and the professional? CB I would start by excluding the negative qualities, such as arrogance: away with the belief of being the only competent individual in a field, away with it. Within the positive qualities: understanding, supporting another person’s differenes, trying to offer something new, therefore a certain generosity and a bit of general knowledge. RC Thank you.
http://vimeo.com/10254983
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interviews stefano boeri urbanista/city planner
www.stefanoboeri.net
KLAT magazine, #01 inverno 2009/2010
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La dimensione pragmatica degli immaginari futuri
The pragmatic approach to future scenarios
ReConnection Che importanza ha l’indagine dei fenomeni urbani in un progetto? Stefano Boeri Io ho sempre sostenuto che nel lavoro di architetto, la possibilità di mettere insieme la ricerca e l’analisi nella sfera del progetto, è, insieme, appassionante ma molto difficile, perché essere progettisti significa sostanzialmente lavorare in solitudine e a un certo punto arrivare a dar forma a configurazione materiale che è unica, che è quella che ha una sua storia, una sua vita, un suo peso ed è un lavoro di progressiva selezione delle possibilità future. Cominci da dieci ipotesi, poi arrivi a cinque, poi a tre, poi a due e, a un certo punto, definisci che quella è quella. Lavorare come analisti o sviluppare una ricerca, significa,in fondo, muoversi quasi in un modo opposto, nel senso che è un lavoro inclusivo, di apertura delle possibilità del futuro, di ascolto, di messa in confronto di ipotesi diverse, di codici differenti, di multidisciplinarietà. Allora io non ho mai pensato che queste due metodologie di avvicinamento allo spazio fisico, perché sono entrambi dei modi con cui ti confronti con una configurazione data, possano essere combinate secondo una sequenza causale o deduttiva lineare: prima una buona analisi preliminare come condizione per poter arrivare a un buon progetto di architettura di trasformazione e modificazione oppure prima un progetto che ti permetta di esplorare, di testare le possibilità di reazione, le capacità di reazione di un luogo e quindi una conoscenza più approfondita sulle caratteristiche del luogo. Queste sono un po’ delle retoriche tipiche della scuola dell’accademia italiana, dell’architettura italiana degli anni ’70, ’80, ’90 che, sinceramente, non mi hanno mai convinto. Penso che, nella dimensione di appassionata unicità del nostro mestiere, queste due cose vadano vissute, nel nostro interno, con una fortissima autonomia: più sono autonome, più sprigionano delle possibilità di connessione, perché sono inaspettate, ma sono fantastiche; molto spesso l’idea giusta ti viene mentre stai ragionando su un dettaglio dello spazio, che magari non ha niente a che vedere con il progetto, ma che ti solleva magari una percezione visiva: c’è uno spunto formale che poi capisci che funziona perfettamente. Molto spesso la comprensione di un luogo ti arriva dal fatto che inserisci nel progetto un altro luogo che però ti fa capire che ci sono delle strane associazioni, quindi queste sinapsi improvvise, in qualche modo non pianificate, vengono tanto più quanto noi siamo capaci di tenere distinte la sfera del progetto e la sfera della ricerca, anche a costo di una programmata schizofrenia, ma questo mi dice anche perché a me interessano gli architetti schizofrenici e credo che questo sia l’aspetto più interessante della nostra professione.
ReConnection I would like to start by asking you how important you think urban phenomena research is in design. Stefano Boeri I have always believed that as an architect, the opportunity to put research and analysis together in a design is fascinating, but at the same time very difficult because being designers essentially means working alone and then at a certain point starting to give life to a material configuration which is unique, which has its own history, its own life, its own weight and is a work of progressively selecting future possibilities. You start with ten hypotheses, then you get down to five, then three, then two and then at a certain point you identify one as being the right one. To work as analysts or develop research essentially means to move in nearly the opposite way in that it is an inclusive job which opens up future possibilities, one that listens, one that compares different hypotheses, different codes, different disciplines. So I never thought that these two methods of getting closer to physical space – because they are both ways in which you face a given configuration – can be combined in a causal sequence or linear deductive sequence: first, a good primary analysis is necessary in order to reach a good architectural design of transformation or modification or first, a good design which will allow you to explore, to test the possibilities of reaction, the abilities of reaction in a place and, as a result, gain a deeper awareness of the characteristics of the place itself. This is essentially the typical rhetoric of the School of the Italian Academy, of Italian architecture from the ‘70s, ‘80s and ‘90s which, to be honest, have never really convinced me. Within the fascinating uniqueness of our profession, I think that these two factors should be experienced within us with strong independence – the more they are independent, the more they can release the opportunities of connection because they are unexpected, but they are fantastic. Often, the right idea comes to you while you are pondering a detail of space which might not have anything to do with the design, but which coaxes out a visual perception; there is a formal starting point which functions perfectly. Often, you begin to comprehend a place after inserting another place into your design, one that helps you to understand that there are strange associations, and so these improvised synapses, unplanned, start to occur a lot more when we are able to keep the design side separate from the research side of things, even at the cost of a planned schizophrenia, and I say this because I am personally interested in schizophrenic architecture. I think that this is the most interesting aspect of our profession. RC What are the most important phases within a design process? SB If you compare the life of a piece of architecture, of an object, of a house, with the time that you devote to designing that piece of architecture, you can understand that individual participation is a minimal element compared to the overall lifecycle; in reality, everything we do starts long before
interviews RC Quali sono le fasi più significative all’interno di un percorso progettuale? SB Se tu confronti la vita di un’architettura, di un oggetto, di una casa, con il tempo che tu dedichi alla progettazione di quell’architettura, capisci che la partecipazione individuale è un elemento minimo rispetto al ciclo di vita complessivo; in realtà tutte le cose che facciamo nascono molto prima del nostro arrivo, della nostra comparsa sulla scena: iniziano i fruitori potenziali a sentirne il bisogno, spesso poi si costruisce un’ipotesi, ci sono relazioni istituzionali che la codificano, c’è un piano urbanistico, c’è una petizione, una domanda dei cittadini, una richiesta formale. Poi tu arrivi, c’è naturalmente un sistema economico, devi in tempo ridicolo dare a tutto questo una forma, una torsione verso una dimensione pragmatica, secolarizzata, in quel luogo, in quel momento. Questo è il nostro lavoro. Dopo la vita continua, anzi, la vita inizia perché quella cosa che tu hai pensato in un certo modo, viene abitata, viene modificata, viene ripensata in un modo diverso, le vengono attribuiti dei significati diversi dal previsto, e tu, a quel punto, da lontano, puoi cercare di far poco. Allora la cosa interessante e molto significativa è che tu, lavorando in questa operazione di torsione verso la dimensione pragmatica, devi sapere in qualche modo anticipare i possibili effetti futuri, le possibili traiettorie imprevedibili, quindi devi dargli una specie di inerzia e questa è una cosa che mi succede sempre. Penso al progetto più controverso che ho fatto negli ultimi anni che è quello alla Maddalena: evidentemente è stato proiettato, super accelerato, io non avevo neanche lontanamente previsto gli effetti possibili che quella vicenda giudiziaria avrebbe avuto, però tutto sommato quello che mi rassicura è che noi siamo riusciti a dare al progetto due o tre elementi di stabilità nel tempo su cui io conto: è come se vedessi partire una nave e pensassi: io non sono più a bordo però sono contento di averle dato quella rotta, quella rotta la terrà, nonostante tutto. Quindi il nostro obiettivo è questo: devi capire che quello che stai facendo deve durare e per durare devi essere capace di anticipare possibili controversie, possibili tempeste, ma anche possibili eccessi di consenso. E’ molto interessante interrogarsi su quali siano gli elementi di durata in architettura: non è solo un problema di coerenza, ma è un problema di equilibri interni e anche, a volte, di essere un po’ controcorrente per certe cose; se vai controcorrente tieni meglio che se, invece, è una cosa che va subito nel sistema della moda. RC Come si declina il significato di utopia nel lavoro progettuale? SB L’ultima volta che ho parlato di utopia ho parlato di distopia, di come la retorica della sostenibilità produce contraddizioni assurde nella nostra pratica di progettisti. Per la scorsa Biennale, con Abitare abbiamo pubblicato una serie di riflessioni sul fatto che la sostenibilità intesa come eccesso di tecnologie, solare, eolica, crea una situazione tecnocratica che è quasi una distopia, un
we get there: potential consumers begin to feel the need for something, then a hypothesis is often created, there are institutional relationships which code that hypothesis, there is an urban plan, there is a petition, a request from citizens, a formal request. Then you arrive on the scene, naturally there is an financial system, you have to shape all of this in a ridiculously small amount of time, turning it into a pragmatic, secularised dimension; in that place, in that time. That is our job. Afterwards, life goes on; or rather, life starts because the thing that you thought of in a certain way is lived, is changed, is thought of again in a different way, is given a different meaning than the one originally intended, and at that point you, from afar, can do very little. So the interesting and very important point is that you, in working in this operating of turning towards the pragmatic dimension, must know how to anticipate the possible future effects, the possible unforeseeable direction; you have to give it a sort of inertia and this is what always happens to me. If I think about the most controversial design I have done over the last few years - the Maddalena (Ex Arsenale – Sardinia). It was obviously designed in a very short space of time, I hadn’t thought for a second of the possible effects that that legal affair would have, but all in all what reassures me is that we managed to give the design two or three elements of stability over time which are important to me: it’s almost as if I saw a ship leave and I thought: I am not on board any longer but I am happy to have given it that route, it will have that route despite everything. So our purpose is to understand that what you are doing must last over time and in order to last over time you must be able to anticipate possible controversies, possible storms, but also excessive consent. It’s an interesting exercise
Stefano Boeri Architetti Effetto Maddalena Effect, a cura di Michele Brunello e Francisca Insulza, Rizzoli, 2010
to ask oneself what the durable elements are in architecture: it’s not just a problem of consistency, but also a problem of internal balance and, sometimes, of running a little against the grain under some aspects. If you go against the grain, you last longer than something which is just a fashion. RC How does the concept of utopia fit in with design? SB The last time I spoke of utopia, I spoke of dystopia, of how the rhetoric of sustainability produces absurd contradictions in our work as designers. For the last two-yearly issue of Abitare, we published a series of reflections on the fact that sustainability understood as an excess of technologies, such as solar and wind technologies, creates a technocratic
Distopie sostenibili – Sustainable Dystopias Abitare at Biennale di Venezia ABITARE 481 http://www.abitare.it/
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USE Uncertain States of Europe, a cura di Multiplicity, Skira editore, 2003
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incubo. Oppure la sostenibilità intesa come eccesso di coltivazione, di vegetalizzazione della città, crea una situazione in cui la città non ha più spazi pubblici perché tutto è verde, quindi una distopia. Oppure ancora l’idea di sostenibilità intesa come rispetto della natura che crea poi una situazione di distopia oggettiva, come quella nelle nostre città in cui specie animali non domestiche ormai hanno invaso sfere, campi di vita che sono tipici della dimensione urbana antropizzata; quindi sono più le distopie, in questo momento, che mi sembrano interessanti. Le utopie sono comunque energie, sono l’ossigeno della professione, sono degli eccessi e come tutti gli eccessi sono pericolosi, ma necessari. RC Il significato invece di multidisciplinarietà? SB Ci sono tanti modi di intendere la trans, inter, multidisciplinarietà. Diciamo che mi interessa quando si applica allo stesso campo progettuale, fenomenologico, mi interessa molto la multidisciplinarietà di chi si occupa di una questione urbana, per esempio, utilizzando sguardi diversi, mettendo in campo prospettive di persone differenti che guardano quel tema; quindi la transitorietà dei ruoli diventa un momento in cui cominciare a coltivare anche la traduzione dei significati, dei codici con cui nomini quella cosa. Questo è molto interessante, la cosa bella oggi è che Internet ti consente,certe volte, proprio questo: chiami il filosofo, l’artista, lo scienziato, il progettista a guardare cosa può essere, che so, il futuro della scrittura. RC Internet, le riviste, ma quali sono i luoghi? SB E’ molto interessante la nascita dello scambio, anche un modo per fare scuola, è una strategia di informazione, mentre spesso, quando il tema è la traduzione in lingua di termini, etimologico, di concetti astratti, la cosa mi sembra molto meno interessante, oppure di semplice invasione del campo altrui, se adesso mi occupassi di parlare, che so, di astronomia piuttosto che di altro, dal punto di vista dell’architettura ,quello non sarebbe particolarmente interessante. RC Ad esempio Aldo Bonomi nella Città infinita parla di anelli mancanti fra le discipline … SB Sì, certamente è un punto, ma non ci credo tanto, non è solo quello il problema; non è che si deve costruire un sapere completo, questo è un grande errore; il sapere lo costruisci a partire da un confronto di sfere di conoscenze che saranno sempre parziali, quindi piene di vuoti e i vuoti sono il luogo dove si crea il senso comune, importantissimo. Le cose che non si dicono sono quelle che si danno per scontate, quindi il fatto che tra le discipline ci siano dei vuoti è fondamentale. In momenti di turbolenze,quelle in cui un paradigma scientifico si mette in discussione, succede invece che si cerca di riempire tutti i vuoti, ma i vuoti hanno la loro importanza nella stabilità della conoscenza. Interessante, invece, è quando tutti guardano lo steso luogo. RC Come avviene il legame fra le parti? SB Il legame sostanziale è nel fatto che gli sguardi convergono su un oggetto tematico, fisico, geografico,
situation which nearly becomes a dystopia, a nightmare. Or sustainability understood as an excess of cultivation, of vegetalisation of the city, creates a situation in which the city has no more public spaces because it is all green, thus creating a dystopia. Or even the idea of sustainability understood as respecting nature which then creates a situation of objective dystopia, like in our cities where some non-domestic animals have invaded spheres, fields of life which are typical of an anthropised urban dimension. So the dystopias are more interesting for me at this point in time. Utopias are energies, they are the oxygen of the profession, they are the excesses and like all excesses they are dangerous, but necessary. RC And what about the multi-disciplinary aspect? SB There are many ways of understanding the concept of trans-disciplines, inter-disciplines, multi-disciplines. I would say that this aspect interests me when it is applied to the same design/phenomena field; I am very interested in the multi-disciplinary aspect which is involved in urban planning, for example, looking at things from different points of view, putting different people’s perspectives on the table. The transition of roles becomes a moment in which we also start to cultivate the translation of meanings, of codes you use to name that thing. The nice thing today is that Internet sometimes lets you do this: you call the philosopher, the artist, the scientist, the designer to analyse what could be, I don’t know, the future of writing.
RC Internet, magazines, but what are the places... SB The birth of exchange is very interesting, it’s also a way to learn, it’s a strategy of information, while often when the theme is translating etymologically abstract terms into a language, the aspect seems much less interesting, or a simple invasion of someone else’s field, such as if I started to talk about, I don’t know, astronomy instead of something else, from an architectural point of view, would not be very interesting. RC For example, Aldo Bonomi in Città infinita (Infinite City) talks about the missing links between the discipline ... SB Yes, that is certainly a point, I don’t really believe it, that’s not the only problem. It’s not as if you have to gain total knowledge; that is a big mistake. Knowledge comes from comparisons between various fields of knowledge which are always partial, and therefore full of empty gaps, and these empty gaps are the places where you create common sense,
interviews politico, sociologico. Il legame formale può essere “n”: può essere fatto per fare una rivista, per lavori in rete, per mettere in campo saperi diversi secondo il tema che affronti, per creare un movimento politico, che mette in campo professioni, energie, tendenze. Non è così importante la forma, il format, o comunque, è fondamentale il format, ma è molto importante la struttura, l’ordine del discorso. Sostanzialmente dici: ho un oggetto, ho un tema, ho un fenomeno, lo guardo chiamando in causa parti diverse. Il senso di Multiplicity è nato così; noi eravamo un architetto, dei fotografi, degli artisti, degli antropologi, dei geografi e abbiamo detto: studiamo una serie di questioni che hanno un’evidenza fisica; sguardi diversi possono aiutarci a lavorare su degli indizi che oggi il territorio racconta. Noi siamo architetti però tante volte facciamo lavoro di studio, di approfondimento progettuale; ci arrivano degli indizi sulla realtà fortissimi, che magari non sono totalmente riconducibili alla specificità della nostra professione. Il materiale del progetto, è quello, ci stai lavorando benissimo, non hai bisogno di inserire tutto in questo imbuto per cui tutto quello che capisci diventa un pezzo dell’enciclopedia che ti serve per progettare. C’è un’utilità sociale della nostra professione che va al di là di quanto tu conduci nell’imbuto della progettazione e magari semplicemente è un’intuizione di tipo analitico, quindi tornando al discorso, io capisco una cosa che magari ha una valore politico importantissimo ma non c’entra niente col fatto che io devo costruire una casa, capisco una cosa che ha un ruolo sociologico fondamentale, ma non c’entra niente col fatto che devo iscrivermi a questa associazione. In questo senso lavorare con Multiplicity è stato importante perché abbiamo capito che ci sono degli indizi nello spazio che possono essere molto utili e che vengono decifrati meglio se guardati da sguardi diversi, che poi possono costruire discorsi che non sono di progettazione, ma, per esempio, di denuncia. Il lavoro che abbiamo fatto sul Mediterraneo ci ha permesso di mettere in scena un’immagine diversa del Mediterraneo, piuttosto che un lavoro fatto sulla Palestina, come dire, di attenzione ai movimenti e agli individui, di statuto di cittadinanza diversa dal nostro territorio, in tempi diversi, ci ha permesso di mettere in evidenza il grande problema della differenza di trattamento e di potenzialità dello stile di vita della popolazione palestinese e della popolazione israeliana occupante il territorio palestinese. Però ripeto, credo moltissimo in questa capacità di mettere sguardi diversi a confronto su una situazione, sono come delle biopsie quelle di Multiplicity: noi prendevamo una situazione che ci sembrava interessante, cercavamo di andare a fondo e su casi molto localizzati e poi li confrontavamo; è un po’ il lavoro che fa un archeologo quando non conosce il territorio: fa dei sondaggi, dei confronti, stabilisce dei criteri di comparazione. RC Tra le sue esperienze culturali di vita quali ritiene più importanti per la strada professionale che ha intrapreso? SB Ho fatto politica per tanti anni quando ero molto
this is a very important point. Things that are not said are those you take for granted, so the fact that there are empty gaps between disciplines is very important. But in moments of turbulence, moments in which we analyse a scientific paradigm, we try to fill all the empty sections, but these empty gaps are important for the stability of knowledge. It is, however, interesting when everyone focuses on the same place. RC And what’s the link? How is there a link between the parts? SB The essential link is in the fact that everyone’s gazes meet together on a thematic, physical, geographical, political or sociological object. The formal link can be “n”: it can be made to create a magazine, for online works, to put on the field various knowledge of the theme you are working on to create a political movement which brings together professions, energies and tendencies. The shape or format is not so important; well format is fundamental but the structure, the order of the discourse is much more important. You would essentially say: I have an object, I have a theme, I have a phenomenon, I look at it and call in to play different parts. The concept of Multiplicity was born in this way. In our group, there was an architect, photographers, artists, anthropologists, geographers and we said: let’s study a series of questions which have physical evidence; different points of view which can help us to work from the hints that the territory gives us today. We are architects, but we often perform studies to explore designs further. We receive evidence of very strong realities which might not be able to be completely traced back to the specific nature of our profession. That is the material of the design, you are working very well, you don’t need to put everything into the funnel so everything you understand becomes a piece of the encyclopaedia that you need to create a design. There is a social utility of our profession which goes beyond what you put into the funnel of design and it may simply be an analytical intuition. Returning to the point, I understand something that might have a very important political value but it has nothing to do with the fact that I have to build a house, I understand something that has an important sociological role, but it has nothing to do with the fact that I have register with this association. In this regard, working with Multiplicity was important because we understood that there are hints in spaces which can be very useful and which are better deciphered if they are looked at from many points of view which can work to build discussions that are not about design, but about exposures instead. The work that we did on the Mediterranean helped us to project a different image of the Mediterranean, instead of a pieces on Palestine, for example, which is focused on movements and individuals with a different nationality from our country, in different times, which has allowed us to highlight the big problem in the difference between the treatment and lifestyle potential of the Palestinian people and the Israelis occupying Palestinian territory. But, again, I really do believe in the ability of having different pairs of eyes looking at a given situation, they are like the biopsies of Multiplicity. We would take a situation that seemed interesting, we would try to explore it as deeply as possible and on very localised cases and then we would compare them. It’s a bit like the work that an archaeologist
http://www.multiplicity.it/
SOLID SEA project by Multiplicity in Domus 870, may 2004 Africa e Mediterraneo 50, may 2005
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interviews http://www.iuav.it/
www.dezeencom/ 2009/07/01/ex-arsenaleat-maddalena-by-stefanoboeri-architetti/
Milano. Cronache dell’abitare, a cura di Multiplicity, Mondadori, 2007
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giovane, poi mi sono laureato con Bernardo Secchi, con una tesi sul linguaggio. Credo di aver condizionato il mio stile in base a quello che lui ha scritto sul linguaggio, perché ho sempre avuto una passione per la parte del discorso semiologico, per le forme discorsive dell’urbanistica. Poi però la mia passione per l’architettura, che è stata sempre molto forte e che era un pochino tenuta lontana dal rapporto non facilissimo con mia madre, che, diciamo, in un certo senso, è una potenza, piano piano è tornato fuori e quindi ho abbandonato le forme del discorso per le forme dell’architettura. RC Se non avesse fatto l’architetto, avrebbe scelto qualche altra strada in particolare? SB Questa è una domanda strana; io sono, ancora oggi, molto insicuro sulla mia identità professionale: non so se sono davvero capace di farlo, però non è che sono anche in grado di dire se volevo fare altro. Forse il giornalista, altra cosa che ho sempre fatto: mi sono occupato di scrivere e ho scritto e scrivo tanto e comunico attraverso la scrittura. RC Il progetto invece in cui si identifica di più tra quelli che ha fatto? SB Quello della Maddalena senz’altro, ma anche il progetto che stiamo facendo a Marsiglia che è nato prima di Maddalena, ma abbiamo avuto dei tempi lunghissimi perché, paradossalmente, abbiamo vinto un concorso e poi c’è stata una vicenda politica difficilissima. Anche lì, però, a un certo punto è capitato un evento speciale, come Marsiglia Capitale della Cultura, che per fortuna ha accelerato il tutto e adesso siamo in cantiere. Il progetto di Maddalena è una specie di fratello minore di Marsiglia: è come se fosse un parto lunghissimo e poi nel mezzo c’è un piccolo parto, che nasce lì e si chiude subito, tanto viene investito da una gigantesca polemica o memoria retrospettiva, non so come chiamarla. Sono due progetti che si assomigliano, due modi di rapportarsi al mare, non ornamentale, in cui l’acqua è un elemento non ornamentale ma costitutivo del progetto e sicuramente c’era anche un’ambizione politica in entrambi i progetti. RC Grazie.
does when he or she doesn’t know the territory: carry out surveys, comparisons, establishing comparative criteria. RC Among your cultural and life experiences, which do you consider to be the most significant for the professional path you have chosen? SB I did politics for many years when I was very young, and then I graduated with Bernardo Secchi with a dissertation on language. I think I have conditioned my style based on what he wrote about language because I have always had a passion for semiology, for the discursive shapes of urban planning. But my passion for architecture – which was always very strong and which was held back a little by my very difficult relationship with my mother, which, in a certain sense is a power – gradually came back so I abandoned the forms of discourse for the forms of architecture. RC If you hadn’t become an architect, what would you have done instead? SB This is a strange question. I am still today very insecure of my professional identity. I don’t know if I am really capable of doing it but I am also not able to say whether I wanted to do something else. Perhaps a journalist, something else I have always done. I have always written and I continue to write and communicate through writing. RC What is the design in which you identify yourself more among all those you have done? SB It has to be the Maddalena project, but also the design that we are doing in Marseilles which started before the Maddalena project, but for which we have had a very long timeline because, paradoxically, we won a competition which was followed by a very difficult political affair. But at a certain point a special event was held, Marseille - Culture Capital, which luckily accelerated everything and now we have a building site. The Maddalena design is like the Marseille design’s little brother. It’s almost as if there was a very long birth and in the middle of it all there was a smaller birth which took place then and there and was completed straight away, and then was hit by a giant polemic or retrospective memory, I don’t really know what to call it. The two designs are similar, they are two ways of relating to the sea, in a non-ornamental way, where the water is a non-ornamental element but instead a building block of the design and there was definitely political ambition in both designs. RC Thank you.
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interviews aldo bonomi sociologo/sociologist
Milano ai tempi delle moltitudini, Aldo Bonomi, Bruno Mondadori, 2008
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Continuare a cercare per continuare a capire
Keep seeking in order to understand
ReConnection Secondo lei qual’è l’apporto più significativo che le indagini di AAster possono dare alla lettura dei fenomeni urbani e alla comprensione del territorio? Aldo Bonomi Il Consorzio AASTER porta avanti un lavoro di ricerca-azione, ovvero l’esplorazione dei processi reali latenti, mettendo al centro il legame tra mutamento delle forme produttive, cambiamento della composizione sociale e processi di governance urbana e territoriale per ricontestualizzare (e territorializzare) lo studio dei processi di sviluppo. RC Di quali strumenti si avvale AAster nelle proprie indagini? AB I tre strumenti principali dell’attività di ricerca-azione sono: i dati e gli indicatori statistici relativi a specifici items, i questionari strutturati e le interviste qualitative a stakeholders strategici. RC Nella sua professione quali sono le fasi più complesse o significative? Secondo lei che importanza hanno e come si creano luoghi e momenti di interconnessione? AB Sicuramente non è semplice riuscire a cogliere e rappresentare nella sua dinamica spazio-temporale lo spazio di posizione e rappresentazione degli stakeholders territoriali in riferimento a specifici temi ed istanze. Tuttavia, la difficoltà maggiore delle analisi portate avanti dall’Istituto AASTER risiede nell’impossibilità di fermarsi o cristallizzare il proprio pensiero in schemi rigidi, poiché si deve riuscire a muoversi lungo il pendolo asincrono che collega il “centro” e il “margine”. Il processo produttivo può essere sintetizzato in tre macro fasi: l’ascolto del territorio volto alla ricostruzione della voce degli stakeholders, lo sviluppo di categorie di analisi sociale allo specifico contesto preso in analisi e la restituzione del sentimento territoriale reinterpreto alla luce della nostre categorie di pensiero. Lungo questo processo le fasi più complesse stanno a monte e a valle, ovvero nello sviluppo di relazioni con il territorio e nella capacità di restituire le evidenze emerse in modo tale da tenere insieme rappresentazione e possibilità di incidere sulla realtà. RC Quanto i suoi progetti sono tesi ad immaginare scenari futuri per la città? E che spazio lascia all’utopia? AB Ognuno di noi credo serbi e coltivi le proprie speranze, convinzioni ed anche utopie. Tuttavia, per costruire degli scenari verso cui convogliare le energie collettive è necessario partire dai processi reali limitando la sfera di influenza dei propri preconcetti. RC Parliamo di multidisciplinarietà… Dal suo punto di vista quanto la multidisciplinarietà è necessaria in un progetto di ricerca? AB La multidisciplinarietà è fondamentale nelle scienze sociali. Infatti, la comprensione di una società in costante mutamento e caratterizzata da livelli di complessità crescenti delle relazioni economiche e sociali richiede
ReConnection We wanted to ask you what, according to you, is the most significant contribution that the AASTER investigations make to the interpretation of urban phenomena and to the understanding of the territory? Aldo Bonomi The union AASTER is pursuing a researchaction work, rather the real latent process exploration, by focusing the relationship between the production forms changing, change in social composition and processes of urban and regional governance to re-contextualize (and regionalize) the study of development processes. RC What are the tools that AASTER uses in these investigations? AB There are three principal tools in the research-action activity: the data and the statistic indicators on specific items, the structured questionnaires and the qualitative interviews to strategic stake-holders. RC In your profession what are the phases that you consider most complex or most meaningful? How is important and how can we create places and moments of interconnection between humans? AB Is not simple to catches and represents, in its spacetime dynamics, the territorial stake-holders position space referenced to specific themes and items. Anyway, the major
difficulty of the AASTER analysis is the impossibility to stop or crystallize our own thoughts in rigorous schemes, because it is necessary to be able to move along the asynchronous pendulum that connects the “center” and the “border”. The productive process can be summarized in three macro phases: the territory understanding to reconstructs the stake-holders voices, the development of social analysis categories in the specific context analyzed and the restoration of territorial feeling reinterpreted with our thought. Along this process the most complex phases are both upstream and downstream, rather they are in the development of territorial relationships and in the capability to return the results so as to hold together representation and ability to have effects on reality. RC How much are imaginary scenarios for the city present
interviews un approccio non specialistico o settorializzato, bensì generalista e attento a tutte le possibili interconnessioni. Dunque, a mio avviso, per rimanere vigili e riuscire a cogliere le tracce di mutamento sociale è richiesto un approccio da generalista, ovvero la capacità di avvalersi delle professionalità degli specialisti sapendone fare sintesi. RC Tra le sue esperienze culturali o di vita (anche persone che ha incontrato, posti in cui è stato) quali ritiene più significative per la strada professionale che ha intrapreso? AB Sicuramente il confronto con il mio amico Primo Moroni e con il mio “maestro” Giuseppe De Rita, così come le letture di Michel Foucault e Zygmunt Bauman RC Se non avesse fatto ciò che ha fatto cosa avrebbe voluto fare? AB Faccio quello che amo fare: continuare a cercare per continuare a capire. RC Quali tra queste qualità: conoscenza, passione, tecnica, capacità di ascolto, umiltà, è più importante per l’individuo e per il professionista? AB Sono tutte qualità importanti sul piano individuale e professionale. Tuttavia, per il professionista due sole le dimensioni più rilevanti: quella del senso (la percezione del sé che deriva dalla propria fatica quotidiana) e quella del reddito. RC Grazie.
in your projects? what significance do you give to the word utopia and how important is utopia in your projects? AB I think everyone keeps and rears their own hopes, beliefs and utopias. Though, to constructs scenarios to which channel collectives energies we must start from real process, limiting the sphere of influence of their preconceptions. RC Let’s talk about multidisciplinary approaches. Is it necessary, in your opinion, to approach projects from a multidisciplinary position? AB Multidisciplinary is fundamental in social science. Indeed, the comprehension of a constantly changing society, characterized by layers of growing complexity between economics and social relationships, requires a not specialized or sectorialized approach, but general and attentive to all possible interconnection. So, in my opinion, to catch the social changing scents is necessary a general overtures, rather the opportunity to relies on the expertise of the specialists, knowing how to summarize. RC Let’s talk a bit more about your experiences. Among your cultural and life experiences, people and places, which have been the most significant for your development? AB Certainly the relationship with my friend Primo Moroni and with my “maestro” Giuseppe De Rita, such as reading Michel Foucault and Zygmunt Bauman. RC If you hadn’t done what you have done, what would you have liked to do? AB I do exactly what I love to: keep seeking to keep understanding. RC Which qualities among knowledge, passion, technique, humility, and ability to listen are the most important? AB All of them are very important qualities on an individual and professional way. Tough, for the expert there are two dimension that are more relevant: the self perceptions (arising from our own daily fatigue) and the one of the incomes. RC Thank you.
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interviews alberto coretti redattore/editor
www.urbanmagazine.it/
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Il racconto della città come panoramica contemporanea
The teale of the city as contemporary panorama
ReConnection Secondo lei qual è l’apporto più significativo che Urban, ma più in generale la sua professione editoriale, può dare alla lettura dei fenomeni urbani e alla comprensione del territorio? Alberto Coretti Il lavoro che fa un giornale come Urban è quello che fanno un po’ tutti i giornali, però focalizzato sulla città. Se io identifico degli elementi che per me fanno notizia sulla città, evidentemente rispetto a quelli che ritengo siano gli stereotipi che si danno delle città, cerco di darne un’immagine diversa e attraverso questa sorta di galleria di immagini, di istantanee, numero per numero provo a costruire un racconto e dato che la città, è il luogo dove la maggior parte degli esseri umani ha scelto di vivere, probabilmente attraverso questo racconto io, se prendiamo tutti i numeri insieme, riesco anche a dare una sorta di panoramica sul contemporaneo. È un po’ duplice: da una parte rompi lo stereotipo, provi a rompere lo stereotipo e dall’altra provi a raccontare. RC Di quali strumenti si avvale Urban nell’analisi dei fenomeni urbani? AC Sono molto banali, sono tre sostanzialmente. La sensibilità della redazione, internet e i collaboratori. RC Nella sua professione quali sono le fasi più complesse o significative? AC La risposta più facile sarebbe quella che riguarda l’identificazione dei contenuti. Trovare contenuti giusti che abbiano il giusto bilanciamento tra immagini, storie da raccontare, un lavoro molto difficoltoso. Però nella catena editoriale se tu trascuri la fase successiva, hai compromesso tutte le fasi precedenti: se tu, appunto, hai curato la ricerca iconografica in maniera maniacale, ma poi non vai alla stampa, comprometti tutto il lavoro di ricerca iconografica. Se poi la distribuzione non viene fatta bene, è poco curata, a questo punto il lavoro che hai fatto editorialmente non arriva come dovrebbe al pubblico che ti sei prefissato. Per cui in realtà è tutta la catena che va seguita. Nel momento in cui, poi, la redazione è una redazione moderna, molto molto piccola, ci si trova a dover affrontare l’intero progetto, dall’inizio, quindi dalle idee, alla stampa e poi anche alla distribuzione. In realtà, con chi fa questo lavoro, si discute, si trovano soluzioni migliori, sempre migliori. RC Cosa intende per redazione moderna? AC Nel senso che... non ci sono più redazioni... o perlomeno, le redazioni fordiste, in cui ci sono un sacco di livelli, di gerarchie, di strutture, vanno via via sempre più scomparendo, perché da una parte le testate si moltiplicano, per cui i ricavi per testata si riducono e dall’altra la tecnologia ti aiuta: quello che potevi fare in quattro forse adesso lo puoi fare in uno. RC In che modo Urban è capace immaginare degli
ReConnection What do you think is the most significant contribution that Urban magazine – and more broadly its editorial work – makes to the interpretation of urban phenomenons and understanding of the territory? Alberto Coretti The work published in Urban is similar to that of other newspapers, with the difference that Urban brings a particular focus to the city itself. If I find some elements that provide new information about a city – in contrast with those that I believe are merely stereotypes of cities – I try to convey them through a different perspective, and through this sort of gallery of perspectives, of snapshots, one by one, I try to construct a story. Given that the city is the place where the majority of humanity has decided to live, I hope that through this story, if we take all the snapshots into account, perhaps I can manage to provide a sort of panoramic view on modernity. It is a kind of double objective: on one hand, you break or attempt to break the stereotypes, on the other, you try to tell a story.
RC What tools does Urban use for the analysis of urban phenomenons? AC They are very banal, there are essentially three. The insight of the editors, the Internet, and the contributors. RC What are the most complex or significant phases of your work? AC The easy answer is identifying contents. Finding the right contents that have the right balance of images and narrative is a very difficult job. However, if you neglect any subsequent phase in the publishing chain, you compromise all previous phases: indeed, if you have fanatically performed iconographic research but do not send it to the press, you have compromised all your previous work. Similarly, if distribution is not carried out properly or is not well managed, all your editorial work will fail to reach the public you had intended. Thus, in reality, all parts of the chain must be managed attentively: from the moment that we – a very small and modern editing team – find ourselves facing an
interviews scenari futuri per la città? AC Diciamo che quello che succederà dopodomani non lo sappiamo. Noi raccontiamo delle cose singolari che suscitano, che stimolano la nostra sensibilità sul presente. Magari sono microrealtà, sono fermenti, sono qualcosa che non è ancora così manifesto e che quindi verosimilmente potrebbero poi informare il futuro prossimo. Quindi si può dire che quello che raccontiamo noi come presente può darsi che diventi il futuro prossimo. RC In quest’ottica che significato ha utopia per lei? AC Per me l’utopia è qualcosa per cui pochi, in malafede, si approfittano di molti in buona fede. Non è una parola di cui ho un buon giudizio. RC Urban ha una forte connotazione globale. Questa scelta come convive con la necessità di raccontare dei fenomeni locali? AC Urban ha vissuto i primi anni della sua vita essendo assolutamente locale dal punto di vista della scelta editoriale. Era la città che non ti aspettavi, era la tua città, i tuoi luoghi dove prendevi i giornali, dove probabilmente vivevi e ti ricreavi, perché poi Urban è distribuito nei luoghi ricreativi, e ti raccontava probabilmente qualcosa che accadeva a 500, 1500 metri da te e ti voleva stupire. Adesso Urban fa un altro lavoro, però forse si sta arrivando a delle conseguenze simili. Ti racconta frammenti di una città ma in qualche modo appartiene a tutte le città e quindi a tutte le persone che vivono nelle diverse città e di conseguenza per differenza, in controluce, uno ricava l’identità della propria città, ne desume i limiti ma anche i contenuti di forza; quello che raccontiamo noi serve a circoscrivere dei confini, delle differenze, che possono essere uno stimolo e, forse, uno spunto di riflessione. RC Dal suo punto di vista è importante la multidisciplinarietà all’interno di un progetto? AC Innanzitutto dipende dal progetto. Non necessariamente è importante e comunque non in un tutte le fasi di un progetto. Se un progetto deve essere qualcosa di molto tecnico, spaziare attraverso altri stimoli potrebbe essere fuorviante. Altre volte invece il punto di partenza deve essere assolutamente multidisciplinare. RC Che ruolo avrebbe Urban all’interno di una ricerca multidisciplinare? AC Vale quello che abbiamo detto prima sul fatto che lo sguardo globale ti permette, per differenza, di capire quello che si può fare sul locale e non è stato ancora fatto. Se si va a Hong Kong e si vedono le Elevated Walkway, vie pedonali sopraelevate in mezzo al traffico, magari, mutatis mutandis,si pensa possano avere un senso anche a Milano.L’ approccio globale ti fa assaporare delle differenze. RC Urban è anche un luogo d’incontro fra innovazione e pubblico? AC Noi sempre di più regaliamo suggestioni, emozioni, diamo dei tipi di percezioni su quello che appunto è il contenuto, che è la città. Probabilmente se queste
entire project, from the very beginning, starting from the ideas, to the press, and also to the distribution. In reality, people who partake in this work are always conversing, always searching for better alternatives. RC What do you mean by modern editing team? AC In the sense that… there are no longer editorial teams… or at least, not the fordist editorial teams made up of multiple levels, hierarchies, and structures. These editorial teams are increasingly disappearing because on one hand, newspapers are multiplying and therefore the earnings per news story are diminishing, and on the other, technology helps: what could previously be done by four people can now be done by one. RC What capacity does Urban have to predict future scenarios for the city? AC We cannot know what will happen the day after tomorrow. What we do is we tell peculiar stories that arouse or stimulate our sensibility about the present. Perhaps they are micro-realities, perhaps they are germinating seeds. They are something that is not yet so evident and, therefore, could potentially provide information about the upcoming future. Thus, we could say, that what we tell as a story of the present has the potential to become a reality in the proximate future. RC In this same vein, what do you believe to be the meaning of utopia? AC For me, a utopia is the reason why a deceitful few to take advantage of many people of good-faith. It is not a word which I judge kindly. RC Urban has a strong global connotation. How does this choice of title coexist with the necessity to explain phenomenons at the local level? AC During the first few years of Urban’s existence, its published material was absolutely local. It was the city that you did not expect, your city, your spots where you picked up the newspapers, where you probably lived and entertained yourself. After all, Urban is distributed in recreation facilities, and it probably told the story of something that was happening 500, 1500 meters from you, intending to surprise you. While Urban now serves a different purpose, perhaps it arrives at similar consequences. It describes fragments of a single city, but, in a way, it belongs to all cities, and therefore to all the people who live in the different cities. Consequently, because of the differences, or contrasts between places, one can extract the identity of his own city, infer its limits, and also its contents: what we describe serves to circumscribe the confines, the differences, that could be a stimulus and, perhaps, a catalyst for reflection. RC From your point of view, is it important to approach a project using interdisciplinary perspectives? AC First of all, it depends on the project. It is not necessarily important, in any case, not in all phases of a project. If a project is something very technical, looking for answers through other stimuli could be misleading. On other occations, on the other hand, the starting point must be interdisciplinary. RC What role would Urban have in interdisciplinary research? AC What we said before – about the fact that a global perspective allows you to understand what can be done on a
http://www.youtube.com/ watch?v=Yi3wFMzGgMU&fe ature=related
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interviews
www.urbanmagazine.it/ Tarchivio.html
www.maartenbaas.com/ www.novembre.it/
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percezioni poi diventano condivise fra i nostri lettori e i progettisti, magari si genera anche una comunità di intenti e forse si può evitare un po’ di più il rischio delle cattedrali del deserto, che è un problema quantomeno delle nostre città. RC A chi si rivolge Urban? AC Il pubblico di Urban lo dà in primo luogo il tipo di distribuzione e in secondo luogo la linea editoriale, che però è ovviamente una conseguenza del tipo di distribuzione. È un pubblico giovane, ma non giovanissimo, dai 22 ai 45, 48 anni, tendenzialmente single, che non ha cioè una situazione consolidata, per cui passa l’inverno a casa e magari mette il naso fuori in primavera, perché comunque Urban si trova nei locali, alla Triennale, tendenzialmente con un livello di cultura avanzato e, auspicabilmente, per i nostri inserzionisti, con una propensione al consumo elevata. RC Ci potrebbe parlare del progetto “Un design in redazione” ? AC Quando si lavora con un gruppo di persone per parecchio tempo, su un progetto che è prolungato e ciclico, in qualche modo si sviluppano dei processi operativi che sono ciclici purtroppo e per fortuna, nel senso che questo è quello che poi dà uno stile, una riconoscibilità a quello che fai. Se Urban ha uno stile è perché viene fatto sempre dalle stesse mani, dalle stesse menti e questo sicuramente è il plus. Il difetto è che a lungo andare questo tipo di processo può inaridire il prodotto, c’è la coazione a ripetere e questo a lungo andare può seccare la vena creativa. Avere ogni tanto un agente esterno che entra bruscamente in questi processi, in qualche modo li ibrida, in altri momenti magari li rompe anche, ed è sicuramente un arricchimento, e dà longevità alla redazione. Molto spesso capita. L’abbiamo fatto una volta all’anno e a volte è capitato che alcuni ingredienti che sono entrati in quel momento, rimetabolizzati da noi, poi ce li siamo portati appresso per lungo tempo. RC Avete scelto Fabio Novembre e Maarten Baas, due designer. La scelta ricade necessariamente su un ambito professionale oppure ci sono altri professionisti con cui vi piacerebbe fare questa esperienza? AC Il designer, a parte il fatto che è la settimana del design, ha una testa molto vicina a quella del lavoro di redazione, perché rispetto a un architetto, in generale ha una formazione molto meno teorica. L’architetto è spesso parruccone, parte troppo dal teorico e invece il designer è più legato alla realtà e cerca un’intuizione per trasformarla e poi si sofferma su un oggetto che ha sempre una funzione ma anche un lato estetico ed è un lavoro molto vicino a quello della redazione, che ha delle informazioni, però, soprattutto nei periodici, è sempre molto attenta all’impatto estetico. Ecco perchè un designer ma potrebbe essere tranquillamente un fotografo, un artista; anche un economista mi incuriosirebbe e piacerebbe molto... RC Ha già pensato a qualche altro personaggio con cui le
local scale – still holds, and it has yet to be done. If one travels to Hong Kong and sees the Elevated Walkway, sidewalks that are elevated in the midst of traffic, perhaps, mutatis mutandis, one could think that such structures would also make sense in Milan. The global approach allows you to savour the differences. RC Is Urban also a meeting place between innovation and public? AC More and more, we offer suggestions, emotions, and give different types of perceptions on our content, which is the city itself. Perhaps, if these perceptions are later shared among our readers and project-designers, a community of similar intents could be generated, possibly allowing us slightly better to avoid the risk of “cathedrals in the desert”, which is a problem of our cities at least for now. RC Who is Urban addressing? AC The public of Urban is determined in the first place by its mode of distribution and, in second place, by its editorial line, which, however, is obviously a product of the distribution. The readers are young, but not extremely young, ranging from 22 to 45 or 48 years of age, and generally single. That is, the readers do not tend to be people with an established situation, who spend the winter at home and maybe poke their noses out in the spring, because, after all, Urban is found in clubs and in the Trienniale (museum of design) that generally draw highly educated people, and fortunately for our advertisers, also a high propensity for consumerism. RC Could you talk to us about the project “Un design in redazione” (“A design in the editing”)? AC When one works on a project – that is dragged out and cyclical – with a group of people for a long time, unfortunately a working process that is also cyclical somehow develops. But this is also fortunate, in the sense that this is what gives a style, a recognizable quality, to what you create. If Urban has a style, it is because it is always produced by the same hands and minds, and this is certainly a plus. The weakness of this process, in the long run, is that it could dry up the product; there is repeated coaction, and this could ultimately dry out the creative vein of the teamwork. Having an external agent suddenly come into these processes once in a while, in some way hybridizes them, on other occasions it might even break them up, and it is surely an enhancement which improves the lifespan of the editorial board. It very often happens. We have done it once a year, and sometimes, certain ingredients that enter into the process during these moments, and are remetabolized by us, are later incorporated into our work for a long time. RC You have chosen Fabio Novembre and Maarten Baas, two designers. Is this choice necessarily bestowed to this professional field or are there other professionals with whom you would like to share this experience? AC Outside of the fact that it is now the week of design, the designer’s mind is in tune with the work of the editors because, unlike the architect, he generally has a much less theoretical background. The architect is often a pompous old-fashioned professor, he too often starts from the theoretical, while the designer is more tied to reality, he seeks
interviews piacerebbe collaborare? AC Per adesso abbiamo questo appuntamento una volta all’anno con un un designer, però non escludo. L’economista sarebbe una bella sfida, ne nascerebbe una cosa molto diversa probabilmente, però forse non riuscirei ad esaurirla nei tempi di produzione del numero classico. È un lavoro da iniziare molto prima e da sviluppare unitamente. RC Tra le sue esperienze, culturali e di vita, posti in cui è stato, persone che ha conosciuto, quali ritiene più importanti per la strada professionale che ha intrapreso? AC Per la strada professionale forse ce ne sono diverse, però per fare Urban, una generale è sicuramente la formazione, ho studiato filosofia e lo studio della filosofia in generale e di quella anglosassone in particolare, è quello che mi ha formato di più. Poi sicuramente fare un viaggio in una grande città una volta all’anno ti apre gli occhi e poi c’è un libro, Marcovaldo di Italo Calvino, che silenziosamente è sempre quello che mi suggerisce qualcosa, perché comunque le cose sono quello che sono, ma poi continuamente possono venir reinterpretate, i significati si stratificano, i segni pure, per cui la città è quello che è, ma poi chi ci vive, chi la abita, chi la fa vivere, in qualche modo se la reinventa sempre. È un racconto che può essere anche intimo, non c’è bisogno di gesti eclatanti: ciascuno di noi poi, uno spazio, una via, che semplicemente percorre ogni giorno, la rilegge, la costruisce in maniera diversa ogni volta. Quando per venire qui, in moto, mi faccio il mio pezzo di corsia preferenziale sulla circonvallazione esterna, forse ogni giorno mi invento un racconto diverso, mentale, su quello che accade su quella circonvallazione, la trasfiguro: le moto le vedo come delle api, la ferrovia che sorpasso la vedo come un gigantesco bruco e questo è un meccanismo che secondo me fanno tutti e di cui quel libro è la sua apoteosi. RC Se non avesse fatto questo lavoro le sarebbe piaciuto fare qualcos’altro? AC Se avessi avuto maggiore costanza e capacità di concentrazione, anche un altro rigore scientifico, avrei potuto studiare per fare l’antropologo. RC C’è un’indagine di Urban in cui si è identificato maggiormente? AC Qui ti do una risposta proprio da giornalista. Il numero in cui mi identifico di più è esattamente il numero che sto facendo. Se mi chiedi cosa c’è nel numero scorso quasi non me lo ricordo, non perché non sia fiero di quello che ho fatto, però sono proiettato sul presente, magari alcuni servizi vorrei rifarli in ogni numero, però alla fine il numero che sta uscendo è sempre quello che mi sembra più bello. RC Grazie.
a strategy to trasform this reality and then he focuses on an object that still retains its function but that also comprises an aesthetic aspect. Thus, design is a kind of work much more similar to that of the editorial board, which makes use of information but at the same time is always very attentive to aesthetic impact, especially in newspapers. This is why we chose a designer, but it could also very well have been a photographer, an artist; an economist would also be very interesting… RC Have you already thought about other individuals with whom you would like to collaborate? AC For now, we have this appointment once a year with a designer, but I am not excluding other possibilities. Collaborating with an economist would be an interesting challenge, and it would certainly lead to something very different, but perhaps I would not manage to complete such a project in the amount of time assigned for the production of the classic volume. It is a kind of project that must be started much earlier and developed collaboratively. RC Within your cultural and life experiences, places you have visited, people you have met, which do you believe were most important for the career path you have pursued? AC For my professional track, there were many, but regarding Urban, my academic background was certainly important. I studied philosophy, and the study of philosophy in general and of Anglosaxon philosophy, in particular, is what influenced me the most. Then, certainly, traveling to a big city once a year opens your eyes a little bit, and then there’s a book, Marcovaldo by Italo Calvino, which is always silently suggestive for me because even though everything is as it is, things can be reinterpreted, meanings and symbols can become nuanced. Therefore, a city is what it is, but those who live in it are always somehow reinventing it. It is a story that could also be private, there is no need for extraordinary efforts: every one of us, then, is constantly reinterpreting and reconstructing the spaces and streets that we walk down every day. When I come here, by motorcycle, and I drive on my preferred lane on the outer bypass, I may be inventing a different mental story every day about what is happening on that bypass, I am transfiguring it. RC If you had not pursued this career path, would you have liked to do something else? AC If I had had more constancy and capacity of concentration, or a different scientific diligence, I could have studied to be an anthropologist. RC Is there an investigation in Urban with which you identify most? AC Here I truly give you the answer of a journalist . The issue with which I identify most is the issue I am currently working on. If you ask me what there was in the previous issue, I almost do not remember it, not because I am not proud of what I produced, but I am programmed to work in the present. Perhaps I would like to recreate certain reports in every issue, but in the end, the issue I am curently working on is always that which I find most captivating. RC Thank you.
Marcovaldo, Italo Calvino Marcovaldo: or the Seasons in the City, Italo Calvino, translation William Weave, Harvest Books
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interviews denis curti contrasto
http://www.contrasto.it/
http://daguerre.org
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Fotografia: un obiettivo sulle trasformazioni territoriali
Photography: the eye on territorial mutations
ReConnection Qual è l’apporto più significativo che la fotografia può dare all’indagine dei fenomeni urbani? Denis Curti È una domanda molto interessante, anche perché la fotografia, già a partire dalla storia, addirittura dalla prefotografia, ha sempre guardato con grande attenzione alla città. Nel 1838, quindi un anno prima dell’annuncio ufficiale dell’invenzione della fotografia, Louis-Jacques-Mandé Daguerre, grande uomo di marketing, scatta un’immagine che gli serviva per mostrare l’evoluzione dei suoi esperimenti a Messier Francois Argo il quale avrebbe annunciato all’Accademia di Francia l’invenzione. Daguerre scatta una fotografia sul Boulevard du Temple, a mezzogiorno, si capisce perché c’è la luce zenitale, però incredibilmente nell’immagine non si vede niente, quella via è deserta. C’è una spiegazione di tipo tecnico: per fare una fotografia ci volevano anche venti minuti di posa e in venti minuti di posa, se passa una carrozza o se una persona cammina non rimaneva impressa sull’emulsione fotografica di allora, perché aveva bisogno di una esposizione alla luce molto più lunga e gli obiettivi erano poco luminosi. Eppure se si guarda attentamente quell’immagine si scopre che in realtà c’è un uomo che si fa lustrare le scarpe dal lustrascarpe. Daguerre aveva fatto una scelta molto precisa: per presentare la sua invenzione aveva scelto la città. Questa dimensione urbana doveva essere vitale, ma la fotografia a quei tempi era in grado di fotografare soltanto le cose statiche, i soggetti statici. Quindi lui fa una messa in scena, crea una finzione, inserisce immediatamente, ancora prima dell’annuncio della fotografia, il virus della menzogna nella fotografia e chiede a due persone di recitare per lui, per poter rappresentare un’idea di rappresentazione del movimento. Questo dà diverse informazioni sul linguaggio, della fotografia: da una parte questa scelta di Daguerre è indicativa di un forte spostamento di attenzione, da parte dei fotografi che escono dalla dimensione dello studio, come invece continueranno a fare i pittori, per poter dare sfogo a questa straordinaria invenzione.; dall’altra c’è il tema della rappresentazione. Lui aveva bisogno, da un punto di vista del marketing, di dimostrare che era capace di rappresentare il movimento, in questo è stato preveggente, perché la fotografia sarà lo strumento scelto per eccellenza per raccontare il movimento e l’idea urbana. Ancora oggi, secondo me, è difficile dare una risposta definitiva e chiusa sulle prospettive della fotografia perché sono ancora molto aperte. La storia della fotografia, a partire da Daguerre in avanti, è veramente ricchissima di esempi di carattere spontaneo o addirittura di carattere istituzionale, a sottolineare l’importanza dell’obiettività e dell’oggettività
ReConnection I would like to you ask you what, in your opinion, is the most significant contribution that photography can give to urban phenomena studies? Denis Curti That’s a very interesting question because right from the beginning, even from pre-photography, photography has always focused great attention on cities. In 1938, a year before the official announcement of the invention of photography, Louis-Jacques-Mandé Daguerre, a great marketing man, took the photo that he needed to show the development of his experiments to Messier Francois Argo who went on to announce the invention at the Academy of France. Daguerre took a photograph on the Boulevard du Temple, at midday, you can see it is midday because of the zenith light, but, incredibly, you cannot see anything in that picture, the street is empty. There is a technical explanation for this: taking a photo required twenty minutes of exposure and in twenty minutes of exposure, if a carriage or person passed by it would not be impressed on to the photographic paper of the time because it needed much longer exposure to the light and the lenses were not very bright. And if you look carefully at that photo, you can see that in reality there is a man who is having his shoes polished by a shoe polisher. Daguerre had made a very careful decision: he had chosen the city to present his invention. This urban dimension must have been vital, but photography in those times was only able to photograph static things, static subjects. So he created a scene, a fictitious moment, and even before announcing the invention of photography, he had already inserted the virus of the lie into photography by asking two people to act for him to represent an idea of movement. This gives us various information about the language of photography: one the one hand, Daguerre’s choice indicates a big shift in focus by photographers emerging from the study dimension, something painters would continue to do, to develop this extraordinary invention and on the other there is the theme of representation. From a marketing point of view, he needed to demonstrate that he was able to represent movement and in this point he had shown foresight because photography
interviews della fotografia, che è una grande menzogna, eppure la fotografia è sempre stata scelta come lo strumento ideale per raccontare le grandi trasformazioni urbane e i fenomeni urbani. Io ricordo, in ordine cronologico, la missione Géographique, la mission DATAR, durante la grande crisi americana del ‘29, che vide protagonisti dei fotografi destinati poi a diventare dei grandissimi fotografi, fino appunto ad arrivare alla mission DATAR più recente in Francia, piuttosto che alla mission Transmanche che racconta la trasformazione di un territorio urbano dove viene costruito il canale della Manica e in cui accadranno delle trasformazioni micidiali: alberghi, autostrade, ristoranti, centri commerciali, cambieranno completamente il tessuto urbano. E quella fu una missione straordinaria che vide impegnati 40 fotografi, con una libertà interpretativa incredibile. Mi aveva molto colpito Martin Parr, che proprio sui fenomeni e comportamenti urbani raccontò una storia divertentissima di come gli inglesi venivano a comperare la birra in Francia , dove costava meno e quindi andavano ad ubriacarsi dall’altra parte grazie a questa possibilità. Fecero circa 40 libri, poi tutti riuniti in una grande collezione. La fotografia davvero poteva essere, erano gli anni ‘80, da un punto di vista anche tecnologico, lo strumento più affascinante, che faceva entrare nelle pieghe più nascoste anche dell’intimità. E così via, fino all’ultimo nostro progetto sulla Pedemontana, la costruzione di una strada che sul piano del fenomeno urbano sconvolge, crea, unisce, distacca, ma espropria, quindi uno è costretto a cambiar casa e anche se te la rifanno uguale e più bella e più moderna, tu comunque devi abbandonare la tua. Noi per conto della società Pedemontana, abbiamo raccontato il tessuto urbano. RC Quindi racconto, testimonianza dei fenomeni urbani e delle trasformazioni, tuttavia secondo lei la fotografia è anche capace di immaginare degli scenari futuri? DC Questa è una domanda frequentissima nel mondo della fotografia, ma ogni volta che la sento mi stupisce e mi fa molto riflettere. Alla fotografia viene sempre richiesto di rappresentare il futuro. Drammaticamente la fotografia ha a che fare con la realtà e quindi deve fotografare il presente e lo rende addirittura passato nel momento in cui lo fotografa. Eppure c’è un fenomeno che mi piace sottolineare, che non riguarda immediatamente noi, che è quello di un sociologo, Francesco Morace che da anni ormai usa le immagini per tracciare i percorsi sociologici delle sue ricerche. Il suo mestiere è esattamente quello di disegnare gli scenari futuri e incredibilmente lo fa con le immagini. Allora io invento una fotografia che riesce a disegnare, a tratteggiare il futuro, non tanto con un racconto, quindi non tanto nella sua dimensione narrativa, quando nella dimensione autoriale. Esistono certi autori che hanno una sensibilità tale, che sono così visionari, che pur guardando obbligatoriamente la realtà riescono in
would go on to become the quintessential tool which was chosen to tell the story of movement and the urban idea. In my opinion, it is still difficult today to give a definitive and final response on the future prospects of photography because they are still very open. The history of photography, from Daguerre onwards, is truly rich with spontaneous or even institutional examples which underline the importance of objectivity in photography, which is a great falsehood and yet photography has always been chosen as the ideal tool for telling the stories of urban transformation and urban phenomena. I remember – in chronological order – the Géographique mission, the DATAR mission, during the great American crisis of ‘29 where some of the photographers there went on to become very important photographers in years to come, until we come to most recent DATAR mission in France, and the Transmanche mission which recounts the transformation of an urban territory where the English Channel was built and in which big changes would take place: hotels, motorways, restaurants, shopping centres would completely change the urban fabric. And that was an extraordinary mission which used 40 photographers who had incredible interpretative freedom. I was particularly struck by Martin Parr who told a very funny story within urban phenomena and behaviour about how the English would go and buy beer in France where it was cheaper and then would go and get drunk over on the other side because of this very possibility. They made around 40 books which were all subsequently compiled into one large collection. Photography really could have been, from a technological points of view (it was the ‘80s), the most fascinating tool which let us into the most hidden nooks and crannies, even intimate places. And that was what it was like, right up until our last project on Pedemontana, the construction of a road that, on an urban phenomena level, disturbs, creates, unites, detaches, but expropriates and so you are forced to move house; even if they will build you the same house again, and this time more beautiful and more modern, you still have to abandon yours. On behalf of the Pedemontana society, we told the story of the urban fabric. RC So narration, witnessing urban phenomena and transformations, but do you think photography is also able to imagine future scenarios? DC This is a very common question in the photography world, but every time I hear it, it surprises me and makes me reflect a lot on this point. Photography is always asked to represent the future. Dramatically speaking, photography relates to reality so it has to capture the present, but it makes it the past as soon as it captures it. But there is a phenomenon I would like to highlight, which does not immediately affect us, but it’s from a sociologist, Francesco Morace, who has used images as a way to trace sociological journeys in his research for years. His job is to draw future scenarios and, incredibly, he does it with images. So I invent a type of photography that can draw, trace the future, not really with a story, so not really in a narrative dimension, but instead in an authorial dimension. There are some authors who are so sensitive that they become
Paysages photographies : la Mission photographique de la DATAR : travaux en cours 1984/1985, Bernard Latarjet, Holger Trülzsch, Hazan, Paris, 1985
Mission Photographique Transmanche, Josef Koudelka, Editions de la Différence, 1989 www.martinparr.com
www.pedemontana.com
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interviews
http://movies.nytimes.com/ person/1548246/RidleyScott
www.wim-wenders.com/ Una volta, Wim Wenders prefazione di Daniele Del Giudice, edizioni Socrates, 1993 Once, Wim Wenders, D.A.P./Schirmer/Mosel, 2001
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qualche modo a suggerire quale potrebbe essere il futuro. La fotografia, a differenza del cinema, raramente, si trova nelle condizioni di costruire. Kubrick sicuramente ha immaginato il futuro e ce lo ha voluto dire. Molti film di fantascienza avevano questo scopo, bellissimi... Blade Runner è un film che tutti credo amiamo ancora oggi, anche se rivisto con gli occhi di oggi fa sorridere. Con la fotografia questo non si fa. Però invece da un punto di vista dell’autorialità, per cui si riprendono certi elementi della narrativa, legandoli al tema più visionario, sicuramente lo si riesce a fare. Io credo che davvero certi autori hanno saputo raccontarci un’idea dei sentimenti del luogo che è veramente affascinante. C’è un tarlo, in qualche modo, che ossessiona me, ma anche molti altri che lavorano in questo settore e che nella società contemporanea non hanno tempo di ricostruire il tempo: si ritrova il tempo già preconfezionato, precostituito. . Mi ricordo di un dialogo a distanza, molto bello, tra Daniele Del Giudice e Wim Wenders, dove si diceva questo e dove, a un certo punto, viene tracciata una linea, veramente affascinante da un punto di vista storico, dove Del Giudice sostiene che il romanticismo è una rivoluzione ottica, mentre invece per quanto riguarda l’illuminismo ci vuole ancora tempo per dare delle valutazioni, perché ha fornito delle prospettive ma non le soluzioni per raggiungere queste prospettive. E’ molto interessante questo aspetto, perché il desiderio di trattenere le immagini da una parte e dall’altra quello di immaginare il futuro, apparteneva già a Friedrich, a Carus. Nella prefotografia, essi avevano fatto, Friedrich in particolare, dei quadri trasparenti che si sovrapponevano uno al l’altro e dovevevano essere guardati in trasparenza, uno addirittura completamente trasparente, lo potevi guardare solo di notte e aveva un cerchiolino in mezzo che doveva combaciare con la luna piena. Non avevano ancora inventato la fotografia, ma era un desiderio di immaginare qualche cosa di diverso ancora dalla pittura, dal cinema..Bisogna però tenere sempre presente che la fotografia è sempre il risultato di una messinscena. Anche quando tu non chiedi al tuo soggetto di recitare, quindi anche se tu fotografi una montagna, con la quale è difficile parlare, in realtà tu crei una messinscena, perché la fotografia è una somma di alcune scelte successive e quanto più sono consapevoli queste scelte, quanto più il punto di vista è interessante. RC Parliamo di multidisciplinarietà, anche all’interno del progetto fotografico. Qual è l’importanza, nei progetti di ricerca, di una collaborazione multidisciplinare e di un’interazione tra le discipline? DC Io credo che la fotografia, paradossalmente, abbia pagato e continui a pagare il fatto di essere uno strumento forse più adatto all’idea della interdisciplinarietà: per anni c’è sempre stata la fotografia e il cinema, la fotografia e il teatro, la fotografia e la musica. C’era la fotografia e qualcos’altro, come se la fotografia fosse incapace di guardare se stessa e
visionaries, that even when they have to look at reality they manage in some way to suggest what could be a possible future. Photography, contrary to cinema, rarely finds itself in conditions of construction. Kubrick definitely imagined the future and wanted to tell us all about it. Many science fiction films had this purpose, wonderful.... Blade Runner is a film that I think everyone still loves today, even if watching it with today’s eyes can make you smile. This doesn’t happen with photography. But you can definitely manage it from an author point of view, taking some elements from the story and linking them with a more visionary theme. I think that some authors really knew how to relate an idea of the feelings of a place which is really fascinating. There’s something that in some ways bugs me, but also bugs many others who work in this sector who do not have time to rebuild time in contemporary society: finding time prepackaged, preassembled... I remember a very beautiful remote dialogue between Daniele Del Giudice and Wim Wenders where they were saying just that and where, at a certain point, a line is traced, really fascinating from a historical point of view, where Del Giudice affirms that romanticism is an optical revolution, while for enlightenment, more time is needed for evaluations because it provided some future prospects but no solutions to reach these prospects. This aspect is very interesting because the desire to hold back images on the one hand and imagining the future on the other was something that already belonged to Friedrich, and Carus. In pre-photography, they (particularly Friedrich) had made transparent pictures which were put one on top of the other and had to be looked at transparently; one totally transparent picture you could only look at at night and it had a little circle in the middle which had to match up with the full moon. They still hadn’t invented photography, but there was a desire to imagine something different from paintings, from cinema... But we must always remember that photography is always the result of a staged scene. Even when you are not asking your subject to play a part, even if you photograph a mountain, which is difficult to talk to, you are actually creating a staged scene because photography is the sum of some successive choices and the more aware these choices are, the more the point of view is interesting. RC Let’s talk about the multidisciplinary aspect, even within a photographic project. In research projects of a multidisciplinary nature, how important is interaction between the disciplines? DC I think that photography, paradoxically, has paid and continues to pay the price of being perhaps more suitable as an interdisciplinary tool: for years there has been photography and cinema, photography and theatre, photography and music. There was photography and something else, as if photography was incapable of being on its own and was only worth something when it was with something else. Photography was an interdisciplinary tool for painters, film directors and artists in terms of inspiration, block notes. In reality, now that photography has reached such an extraordinary technical and technological level,
interviews allora aveva valore soltanto quando era affiancata a qualche cos’altro. La fotografia è stato uno strumento interdisciplinare per i pittori, per i registi, per gli artisti in termini di ispirazione, di block notes. In realtà, oggi che la fotografia ha raggiunto un livello tecnico e tecnologico straordinario, pur continuando a non possedere quelle qualità di intrattenimento che la musica, il cinema e molte altre forme d’arte posseggono, ha fatto dei grandi passi. Oggi i nostri fotografi dialogano a pari dignità con qualsiasi altro operatore della comunicazione, della scienza e del marketing, perché davvero la fotografia, soltanto oggi, ha raggiunto una dignità. Nella nostra attività quotidiana l’aspetto interdisciplinare è assolutamente presente e fondamentale. Anche la formazione del personale che lavora in un’agenzia è completamente cambiata: interessano ingegneri o laureati in Storia dell’arte o in Economia, mentre prima serviva soprattutto un tecnico o comunque una figura completamente diversa. RC Contrasto crea tante collaborazioni a livello internazionale. Ritiene che questo atteggiamento di apertura e di collaborazione fra differenti discipline sia un metodo condiviso e contemporaneo? DC Si, devo dire che è assolutamente condiviso. È una condivisione che a volte fa un po’ fatica a coesistere, perché, le relazioni internazionali, che dir si voglia, sono difficilissime. Vuol dire viaggiare, vuol dire spostarsi, vuol dire appunto condividere davvero. Sicuramente da questo punto di vista la tecnologia aiuta moltissimo, però è più sul piano progettuale che puoi misurare l’importanza di questa condivisione. È molto importante. RC Quali sono le fasi più complesse o significative all’interno di un progetto fotografico? DC Intanto c’è una sana capacità di ascolto, nel senso che comunque noi abbiamo negli anni diversificato moltissimo il nostro business. Questa realtà nasceva come una realtà destinata al mercato editoriale, cioè i fotografi vendevano le fotografie ai giornali. Punto. Che già è molto, però questo facevano. Ancora oggi è la parte principale del core business di Contrasto. Oggi noi parliamo di realtà aumentata, così come di editoria. Allora noi sviluppiamo progetti per l’editoria, sapendo ascoltare i nostri fotografi ma anche i nostri referenti. Che cosa vogliono i giornali? Di che cosa ho bisogno? Quali sono le idee dei nostri fotografi e quali sono le idee dei nostri collaboratori. Queste cose devono trovare un punto di comunione e da questo punto di vista Contrasto è l’agente ideale affinché il progetto possa nascere. Per esempio noi abbiamo fatto una storia sui neofascisti, adesso, con un libro che si chiama Oltrenero, che nasce da un progetto di un fotografo, che aveva cominciato a guardare questi strani personaggi allo studio, fuori dalle discoteche, a Casa Pound, che è il loro luogo di ritrovo; abbiamo raccolto queste fotografie e le abbiamo portate a Perpignan. Abbiamo incontrato a Perpignan il capo redattore video de La Repubblica, al quale abbiamo mostrato questo lavoro, gli è piaciuto moltissimo e da
even though it still continues not have the same qualities of entertainment that music, cinema and many other forms of art possess, it has come very far. Today our photographers talk as equals with any operator in communications, science or marketing because only now can we truly say that photography has achieved a level of dignity. In our daily work, the interdisciplinary aspect is very present and fundamental. Even training for staff that work in agencies has completely changed: they need engineers or graduates in the History of Art or Economics, whereas before they mostly needed technicians or some completely different roles. RC Contrast creates many collaborations on an international scale. Do you think that this open and collaborative attitude between various disciplines is a shared and contemporary method? DCYes, I would say it’s shared. It is sharing that at times has trouble co-existing because international relations are, if you like, difficult. It means travelling, moving from one place to another, it means sharing in the true sense of the word. Technology definitely helps from this point of view because
you can measure the importance of this sharing more on a design level. It’s very important. RC What are the most complex or significant phases within a photography project? DC In the first instance, there is a healthy ability to listen as we have changed our business in a big way over the years. This reality was born for the editorial market, i.e. photographers would sell their photographs to newspapers. And that’s it. Which is already a lot, but this is what they’d do. And still today, this is the main part of Contrast’s core business. Today we talk about an increased reality, just like we do the publishing industry. So we develop projects for the publishing industry, knowing how to listen to our photographers but also to our representatives. What do the papers want? What do they need? What are our photographers’ ideas and what are our collaborators’ ideas. These things must find something in common and from this point of view Contrast is the ideal agent to help the project grow. For example, we recently did a story on neofascists with a book that is called Oltrenero, which started as a photography project which had begun to look at these strange characters at their headquarters, outside the nightclubs, at Casa Pound, which is their meeting place; we
Oltrenero, Alessandro Cosmelli e Marco Mathieu, Contrasto DUE, 2009
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interviews
www.renaissancelink.com
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quel momento ha cominciato a girare con il fotografo. A loro si è aggregato un regista che ha fatto un documentario. I progetti nascono per questa possibilità di sovrapporre, affiancare, disporre i diversi personaggi con i loro linguaggi e con le loro autonomie. Dopodiché questo è diventato un libro, una mostra, diversi servizi che noi abbiamo venduto ed ha arricchito enormemente il nostro archivio, perché nessuno ha delle storie di questo tipo sui neofascisti in Italia. Questo è un esempio su mille sulle tantissime capacità progettuali che ognuno di noi, fotografi, uomini del marketing, ha. Devi tenere conto che la diversificazione di Contrasto, che oggi si occupa, come dicevo, di editoria, di formazione, di collezionismo, di corporate, di advertising , cioè di tutti i territori del mondo della fotografia, fa sì che questo aspetto progettuale sia veramente forte ed è l’elemento caratterizzante della nostra attività. RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, persone che ha incontrato, luoghi che ha visto, quali ritiene più significative per la strada professionale che ha intrapreso? DC Devo dire che insieme ad altri amici ho fondato questa associazione dedicata all’idea del rinascimento, convinto che nel momento di crisi peggiore possono venire fuori le idee migliori. Faccio questo riferimento al rinascimento, perché l’idea della bottega e dei maestri è stata per me fondamentale: l’idea di ricostruire un’associazione di persone, chiamarli liberi pensatori è fin troppo presuntuoso, persone normalissime che si ritrovano spinte da una passione straordinaria é sicuramente la logica della bottega. Io mi occupo di fotografia da un po’ di anni, ho incontrato sicuramente dei maestri, delle persone che mi hanno illuminato, che mi hanno aperto la strada. Allora l’idea di poter riprodurre queste cose in modo naturale, senza candidarmi come maestro, non vorrei essere frainteso, ma creando le condizioni affinché possano esserci degli incontri e delle interazioni, come dicevi tu, è per me un aspetto straordinario. Io ho in mente due o tre persone, nella mia vita, non ho in mente libri, film, canzoni. E’ il rapporto umano che mi ha riempito e mi ha dato il coraggio, la forza, la sicurezza anche di andare avanti, questo è stato per me importante. RC Se non avesse fatto ciò che ha fatto cosa avrebbe voluto fare? DC Per un certo periodo della mia vita ho sempre portato avanti due aspetti: quello della fotografia e quello della scrittura, che mi è sempre piaciuta. Ho scritto dei fotoromanzi, ho scritto delle storie per i grandi popolari italiani, storie d’amore struggenti. Avevo delle velleità quindi. L’ho fatto, mi sono anche molto divertito, poi ho piegato un po’ quest’anima da scrittore più sul cinema e quindi le sceneggiature, per poi arrivare a riportare questo desiderio di scrivere nella fotografia e quindi svolgere proprio la professione di critico fotografico. Oggi cerco di portare avanti queste due dimensioni parallele, anche se quella organizzativa e di marketing ha
collected these photographs and we took them to Perpignan. In Perpignan, we met the chief video editor of La Repubblica and we showed him our work, he liked it very much and from that moment he began to work with the photographer. A director joined them who made a documentary. Projects are created by this opportunity to superimpose, join, and use various characters with their languages and their independence. After all these steps, it became a book, an exhibition, various services that we sold and which enormously enriched our archive because no-one has stories of this type about the neo-fascists in Italy. This is one example out of a thousand on the huge project abilities that each of us as photographers, marketing people, has. You have to remember that the diversification of Contrast, which today, as I mentioned, works in the publishing industry, training, collections, corporate practices, advertising, all sectors within the world of photography, makes this project aspect really strong and is a characterising element of our activity. RC Among your cultural and life experiences, people you have met, places you have seen, which of these do you consider the most significant for the professional path you have chosen? DC I have to say that I, together with other friends, founded this association dedicated to the idea of the renaissance, convinced that the best ideas can come out of the worst crises. I make this reference to the renaissance because the idea of the master and the apprentice was very important for me: the idea of rebuilding an association of people, to call them free thinkers is too presumptuous, very normal people who find themselves propelled forward by an extraordinary passion is definitely the logic behind the apprenticeship. I have worked in photography for a few years; I have definitely met some teachers, people who have enlightened me, who have cleared the way for me. So the idea of being able to reproduce these things in a natural way – I don’t mean putting myself forward as a master – but creating the conditions so that there can be meetings and interaction, as you were saying, is an extraordinary aspect for me. I can think of two or three people in my life, I’m not thinking of books, films or songs. Human relationships have given something to me, given me the courage, strength and security to go forward, this has been important for me. RC If you hadn’t chosen this professional path, what would you have done instead? DC For a certain period of my life, I have always worked on two things: photography and writing which I have always liked. I have written photo novels, I have written stories for the Italian greats, distressing love stories. So I did have fanciful ambitions. I did it, and I had a lot of fun, but then I focused my writer’s soul more on cinema and then screenplays, eventually deciding to bring this writing desire to photography and to working as a photography critic. Today, I try to take these two parallel dimensions forward, even if organisation and marketing have got the upper hand. That said, I have never stopped writing, not even for one day. RC Are there any professionals such as architects, philosophers, economists, politicians, you would like to work with? If so, with whom would you like to create projects?
interviews nettamente preso il sopravvento. Detto questo non ho mai smesso di scrivere neanche per un giorno. RC Ci sono dei professionisti come ad esempio architetti, filosofi, economisti, politici, con cui ritiene utile collaborare; con cui sarebbe bello costruire dei progetti? DC Giusto per fare un esempio, il progetto della Pedemontana noi lo abbiamo fatto perché Aldo Bonomi, quindi un sociologo, che ha un’ idea molto precisa della città infinita, era con noi. Io ho ascoltato molto attentamente quello che diceva Aldo perché tutti i progetti che noi facciamo prevedono per forza la compresenza di questi personaggi, che arrivano dal mondo della sociologia, dell’architettura, della letteratura. Noi facciamo libri, mostre, progetti, missioni fotografiche, ma non abbiamo le competenze per poter approfondire poi le diverse tematiche. Adesso ne stiamo facendo un altro con Stefano Boeri sulle cascine; quando abbiamo fatto un libro sui set della pornografia abbiamo chiesto a Martin Amis di scriverci un testo su questo. RC Il suo lavoro per Contrasto funziona anche come catalizzatore fra diverse collaborazioni? DC Diciamo che non ci sono delle regole fisse. Sicuramente Contrasto è catalizzatore, è un centro, su questo tavolo arrivano tantissimi progetti. Dopodiché noi cerchiamo di accettare progetti dove la fotografia ha un ruolo importante, quindi molto spesso capita a noi di essere il soggetto trainante di tutto il progetto, poi dipende da cosa dobbiamo fare. Dobbiamo cercare dei partner economici, dobbiamo cercare qualcuno con cui collaborare... Però a me piace molto l’idea dell’ATI, dell’associazione temporanea di impresa, detto tecnicamente. Siamo disponibilissimi ad entrare in avventure, che hanno un tempo comunque contenuto. Moltissime aziende, per esempio, ci chiedono di essere accompagnate per un percorso molto limitato: da qua a là abbiamo bisogno di voi, dopodiché non ci sono gelosie o rancori, ognuno va per la sua strada. Questo nel mondo della comunicazione è molto frequente. Così come invece ci sono dei fotografi che vengono qui e che ci chiedono di essere aiutati a trovare il fil rouge di un progetto, questo è molto affascinante, perché a volte è lì, evidentissimo, ma loro non lo vedono, perché sono così presi dal loro ardore fotografico che guardano dall’altra parte, allora lì il nostro compito è quello di arrivare a fare una sintesi e aiutarli a trovare una quadratura. RC Il futuro dell’agenzia e poi anche il lavoro del fotografo sono attività sperimentali? DC No. Direi che a me la parola sperimentazione non convince... credo che non si addica completamente a noi, perché noi non siamo sperimentatori. Noi siamo, molto più modestamente, un laboratorio ideale per sviluppare la cultura del progetto, questo mi piace molto di più e lo sento molto di più mio, nel senso che non sono in grado di sperimentare altri linguaggi, non ne ho la capacità, la formazione. Posso avere delle intuizioni, posso accompagnare i miei fotografi a trovare, come dicevi prima tu, le persone giuste affinché questo progetto
La Città Infinita, a cura di Aldo bonomi e Alberto Abruzzese, Bruno Mondadori, 2004
DC Just as an example, we did the Pedemontana project because Aldo Bonomi, a sociologist who had a much more precise idea of the infinite city, was with us. I listened very carefully to what Aldo said because all the projects that we do necessarily use these people as well, people coming from the world of sociology, architecture, literature. We create books, exhibitions, projects, photographic missions, but we don’t have the skills to explore the various themes further. Now we are doing another project with Stefano Boeri on farmhouses. When we created a book on pornography sets, we asked Martin Amis to write us piece about it. RC In Stefano Boeri’s project on farmhouses, at what point do you come in? DC From the start... RC From the start? DC I have to say that it was planned... but perhaps even planned by him... In the first instance, categories have been overcome, but most of all the records have been beaten. It’s not as if just because I’m there it’s mine: no, we share it entirely, each person with their own skills. No no, this is really important; for us it’s a necessity. It’s not even a starting point, it’s either that or nothing at all. RC Does your work for Contrast also work as a catalyst between various collaborations? DC Let’s say there are no set rules. Contrast is a definite catalyst, it’s a centre, and many projects come to this table. Afterwards, we try to accept projects where photography has an important role, so often we are the driving force behind the whole project, but it depends on what we have to do. We have to search for financial partners, we have to search for someone to collaborate with... But I like the idea of the ATI, temporary business association, very much. We are very willing to take part in adventures, short term adventures that is. For example, many companies ask to be followed through a short journey: we need you from here to there and afterwards there is no jealousy or grudges, everyone goes their separate ways. This is very common in the world of communication. There are also photographers who come here and ask us to help them find the common thread in a project; this is very interesting, because sometimes it is right there in front of them but they can’t see it, because they are so wrapped up in their photographic ardour that they are looking the other way, so in that case it’s our job to make a synthesis and help them find an outline. RC Are the future of the agency and the work of the
www.cascinemilano2015. org/ www.martinamisweb.com/
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interviews possa essere realizzato e che contenga degli elementi di sperimentazione. Di per sé la sperimentazione non è un valore, è una modalità, poi l’innovazione io la sento oggi come una necessità: sei innovatore fino a quando riesci a riconoscere valore al talento. Noi questo lo facciamo, abbiamo aperto un’agenzia perché riconosciamo valore al talento e quindi all’innovazione. La cultura del progetto è il passaggio successivo, naturale mi viene da dire. La sperimentazione lasciamola agli artisti. RC Grazie.
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photographer experimental activities? DCNo. I have to say I’m not convinced with the word ‘experimentation’... I think that it’s not really suitable for us because we are not experimenters. Much more modestly, we are an ideal laboratory for developing the culture of the project, I like this much more and I feel like it’s much more mine, in that I am not able to experiment with other languages, I don’t have the skills or the training. I can have intuition, I can accompany my photographs to find, as you were saying before, the right people to use so that this project can be achieved and can contain some elements of experimentation. Experimentation is not a value per se, it is a method, I see innovation today as a necessity: you are an innovator until you appreciate talent. This is what we do, we opened an agency because we appreciate talent and, as a result, innovation. Cultivating the project is the next step, I want to say natural step. We’ll leave experimentation to the artists. RC Thank you.
interviews Divulgazione e coscienza dei precedenti
Disclosure and awareness of the past
ReConnection Dal suo punto di vista qual è l’apporto più significativo che la sua attività professionale (anche di ricerca) può dare all’indagine dei fenomeni urbani e alla lettura del territorio? Paola Nicolin Tendo a vedermi come una storica dell’arte, quindi come una persona che ha avuto una formazione molto tradizionale, classica e uno degli elementi che mi viene da sottolineare è proprio il rapporto con la storia, con un’analisi storica del territorio. Penso che la mia professione possa offrire un punto di vista cronologicamente esteso anche del tema del territorio, che cosa sia e come debba essere analizzato. Il legame tra il mio lavoro, la mia professione, la storia e anche il fatto di trovarmi spesse volte a lavorare con architetti, designer, persone che hanno una formazione diversa dalla mia, è un modo per andare anche a leggere, dentro il lavoro di artisti, delle componenti lontane, anche embrionali, che poi magari vengono persi a mano a mano che l’opera si raffina è si formalizza. L’idea è che la mia professione possa aiutare, attraverso il confronto con altre persone, a rintracciare, nel mio ambito, degli elementi diversi, una sorta di DNA che non necessariamente appare nell’opera finita. RC Quali sono gli strumenti della sua professione di storica dell’arte che più è necessario applicare in questo tipo di indagine? PN All’inizio avevo un metodo molto più legato ad un’analisi filologica dell’opera. In realtà poi mi sono accorta che lo strumento che mi ha dato più risultati, che mi ha permesso di lavorare meglio, è l’idea dell’incontro diretto, se vuoi si può parlare di intervista, di conversazione, di scrittura a quattro mani, con la persona o con una serie di persone che hanno a che fare con l’oggetto della ricerca e poi trovare una sintesi di tutto questo materiale, quindi un’indagine ad ampio raggio. Del resto io mi occupo di contemporaneità, per cui è una cosa abbastanza inevitabile che ci debba essere un confronto diretto, spesso anche faticoso, comunque poi seguito, da una fase di decantazione che ti permette di arrivare a una sintesi. RC Quali sono le fasi più complesse o significative di questo percorso? PN Io faccio sempre una grande fatica proprio ad arrivare ad una semplificazione che è una fase importantissima, perché permette a una ricerca di essere divulgata ed è una fase molto complessa, molto delicata, perché significa cercare di non perdere tutto il monte di conoscenza che si presume aver raccolto, ma che non è divulgabile e che, da un punto di vista di utilità nel senso di spendibilità, è nulla se non viene elaborato. Questo è un piacere mio personale, ma penso che sia anche un tema su cui, in ogni ambito accademico, ci sia la necessità
ReConnection What do you believe is the most significant contribution that your work (including your research) can make to the interpretation of urban phenomenon and to the spatial analysis literature? Paola Nicolin I tend to see myself as an art historian, therefore as a person who has had a very traditional or classic education. As such, one of the elements that I most wish to emphasize is precisely the connection with history, with a historical analysis of geographic areas. I believe that my profession could offer an extensive chronological perspective even on the theme of spatial analysis, what it is and how it should be studied. The link between my work, my profession, and history is also the fact that I often find myself working with architects, designers, and people who have a different academic background from me. It gives me a chance to interpret historical, even embryological components in the work of artists, which perhaps are lost as the work becomes more polished and formalized. The idea is that, through comparisons of other people, my work could help me uncover new elements, a sort of DNA that does not necessarily appear in a finished work. RC Therefore, among the tools of your profession as an art historian, which do you believe to be the most essential to this kind of research? PN Initially, I used a method that was much more linked to a philological analysis of artwork. In reality, I later realized that the tool that gave me more results, that allowed me to work better, is the idea of direct encounters, interviews, conversations, or four-handed writing, if you like, with the person or the group of people who are involved with the object of research, and later find a synthesis of all this material, in other words a broad survey. For the rest, I deal with modernity, therefore engaging in direct dialogue is almost inevitable, even exhausting at times, then it is followed by a phase of information filtering which eventually allows you to reach a synthesis. RC What are the most complex or significant phases of this experience? PN I always find it very challenging to arrive at a simplified version of the problem. This is a very important phase because it allows research to be made public. It is also a very complex and sensitive phase because it consists in not loosing a whole mountain of inaccessible obscure knowledge that presumably has been collected, but that, from a utilitarian perspective of expendability, is worth nothing if does not get elaborated. This is a personal pleasure I get from my work, but I think it is also an issue that must be considered by every academic field. I truly think through the idea of rendering a complex reality simple. RC How much is your profession capable of envisioning a future scenario? PN I can never manage to separate the idea of research and perspectives in the future. When I research, or give a lecture,
paola nicolin storica/historian
Palais de Tokyo Sito di creazione contemporanea, Paola Nicolin, postmedia, 2006
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interviews di ragionare. Penso veramente all’idea di rendere semplice una realtà complessa. RC Quanto la sua professione è in grado di immaginare un scenario futuro? PN Io non riesco mai a slegare l’idea di una ricerca da qualcosa che ha a che fare con una prospettiva futura. Quando faccio una ricerca o una lezione o scrivo un articolo o immagino un progetto editoriale o curatoriale, ho sempre la prospettiva di immaginare che cosa potrebbe essere quello stesso lavoro visto tra dieci anni, quindi l’idea di futuro nella mia professione è una sorta di tensione che io cerco di avere nel momento in cui mi metto a progettare qualcosa e me lo immagino non necessariamente legato alla contingenza, ma a una qualche forma di ricezione nel futuro. RC In questo contesto si può inserire il significato di utopia? PN Il significato di utopia è molto complesso, è anche molto vago. Almeno per me dovrebbe intendersi in senso letterale, come non luogo, qualcosa che deve essere ancora, non solo conquistato ma proprio creato, rappresentato. Quindi è importante perché è uno stimolo, è l’idea che comunque ci possa essere un contesto, ancora inesistente, verso il quale rivolgere le proprie energie. RC Secondo lei è necessario un approccio multidisciplinare ai progetti di ricerca? PN La mia esperienza è quella di una persona che si è trovata ad imparare molto dal confronto con altre discipline, con altri protagonisti del mio tempo e che venivano da percorsi diversi. Sono un po’ indecisa se il concetto di multidisciplinarietà forse non valga la pena anche associarlo all’idea di transdisciplinarietà, nel senso che secondo me multidisciplinarietà è comunque qualcosa che implica più elementi che in un certo qual modo dialogano, più linguaggi, appunto, una sorta di Torre di Babele che parla in diverso modo, nello stesso tempo. Mentre invece transdisciplinarietà ,secondo me, è più anni Settanta come genere, però implica che poi nella pratica questi linguaggi abbiano delle conseguenze l’uno nei confronti dell’altro.Io lo vedo un po’ nell’arte e nell’architettura e penso che sia poi interessante vedere gli effetti di questa moltitudine. RC Secondo lei occorre parlare di catalizzatori? PN Non penso che si possa forzare il dialogo, che io dico dialogo tra le arti, ma intendo comunque un dialogo tra diverse discipline e quindi che ci sia un catalizzatore. Secondo me ce ne sono già: esistono delle attitudini fortissime tra persone che appartengono ad ambiti diversi e queste attitudini da un lato vanno scoperte, e in questo senso un catalizzatore potrebbe diventare interessante, dall’altro lato vanno anche scoperti i falsi legami, perché, per esempio, non è necessariamente detto che gli artisti e gli architetti abbiano qualcosa da dirsi, mentre invece può essere che un artista, in un progetto molto particolare, si sia trovato a riprendere un certo ambiente e allora lì c’è un’attitudine vera, legata a 102
or write an article, or envision an editorial or curatorial project, I always imagine how that same work would be read ten years later. Therefore, the idea of the future in my profession is a sort of tension that I try to keep in mind when I start to design a project, and I imagine not necessarily how it would link to contingencies, but rather to the kind of response it would elicit the future. RC In this context, would you be able to introduce the definition of utopia? PN The meaning of utopia is very complex, and also very vague. At least for me, it should be understood in a literal sense, as a place that does not exist, as something that has yet to be, not only as something that can be achieved, but to actually be created, or depicted. Therefore, it is important because it is a stimulus; it is the idea the someday there could be a context that does not yet exist, towards which to point our energies. RC Do you believe that a multi-disciplinary approach is necessary in research projects? PN My experience is that of a person who found herself learning a great deal from comparisons with other disciplines, with other protagonists of my time, and people who came from different career paths. I am a little bit undecided about whether it’s worth associating the concept of a multi-disciplinary approach with a trans-disciplinary
approach, in the sense that I think multi-disciplinary research is something that implicates more elements, more languages, that partake in dialogue to some extent, indeed, a sort of Tower of Babel where different ways of speaking are used simultaneously. On the other hand, trans-disciplinary research, to me, is more in the vein of the seventies, but it implies that in practice these different languages have consequences for each other. I see this happening a little bit in art and architecture, and I think that it is interesting to then see the effects of this diversity. RC Do you think it is relevant to speak of catalysts? PN I don’t think that dialogue can be forced, when I speak of dialogue between the arts, I nonetheless mean interdisciplinary dialogue, and therefore there must be a catalyst. I think catalysts already exist: there are very powerful potentialities for connections between people in different fields, and these potentials should be discovered. In this sense, a catalyst could be interesting. On the other hand, we should
interviews delle cose passionali, vere, non su delle forzature teoriche. In questo senso il catalizzatore forse sì sarebbe utile ma allora che funzioni anche al contrario, cioè che smascheri anche delle multidisciplinarietà che in realtà non hanno assolutamente niente da dirsi. RC Quale potrebbe essere il ruolo della sua professione all’interno di un progetto multidisciplinare? PN Un po’ potrebbe essere quello di far emergere dei precedenti. Il lavoro dello storico dovrebbe essere quello di una sorta di detective che va, nei confronti di una determinata storia, a recuperare degli indizi nascosti. Allora il mio lavoro dovrebbe essere, di fronte a un tema, prima di tutto rendere consapevoli le persone dei precedenti, in modo tale che si creino contatti, delle cronologie, proprio creare il contesto dentro il quale poi dibattere. Poi, pensando alla mia professione come quella di una persona che scrive o che, nel caso laboratoriale, mette insieme delle cose, dovrebbe essere quella di divulgare: mettermi nelle condizioni di essere uno strumento perché una certa idea venga comunicata attraverso un discorso critico. RC Considerata la sua esperienza come storica e curatrice, quali sono i professionisti con cui è più utile collaborare? PN Secondo me veramente con tutti, proprio per il discorso che facevo prima. Io sento sempre di piu’ l’esigenza di essere precisa, di andarmi a cercare l’interlocutore in relazione a una cosa che condividiamo, quindi un oggetto concreto. In questa prospettiva il dialogo è con tutti, perché l’arte è semplicemente un grande contenitore di una serie di esperienze che ci appartengono. La scelta è in relazione al progetto, a una serie di analisi, alla fine delle quali si individuano gli interlocutori migliori. Però non ne farei davvero un criterio, perché comunque, ripeto, un politico può avere una immagine della città altrettanto lucida di un fotografo, il problema è se il politico sa di che cosa sta parlando e viceversa il fotografo utilizza la fotografia in una prospettiva che mi interessa, cioè che è legata al tipo di ricerca che sto facendo, sennò diventa un tema interessante ma che non riguarda più me e le mie ricerche ma lui come artista, come intellettuale. RC Internazionalmente, considerando anche la sua esperienza come editore del The reader, secondo lei questo atteggiamento alla collaborazione transdisciplinare è applicato? PN Storicamente l’idea dell’unità delle arti è una realtà del secondo dopoguerra ma anche delle avanguardie, quindi torniamo molto, molto indietro. A livello internazionale direi che esiste sicuramente un’impennata della necessità o del desiderio di far scrivere, non lo so, a un biologo marino di architettura spaziale; si sente l’esigenza di cambiare il punto di vista e quindi anche internazionalmente si sente il desiderio e la voglia di sperimentare, nella pratica della scrittura o nell’insegnamento, questi cortocircuiti. Poi i criteri sono molto diversi, secondo me, rispetto all’Italia, nel senso che la situazione che conosco meglio sono gli Stati
identify fake connections because, for instance, it is not necessarily true that artists and architects have something to say to each other. However, it could happen that an artist in a particular project finds himself describing a certain environment, and so in this case, there is a real potential for a multi-disciplinary connection, one that is linked to true passions, not forced on by theories. In this sense, the catalyst would perhaps be useful, but then it must also work in the reverse manner, in other words, it should also unmask multidisciplinary collaborations that in reality have absolutely nothing to tell each other. RC What could be the role of your profession in a multidisciplinary project? PN It could be that of helping certain precedents emerge. The work of the historian should be that of a sort of detective who approaches a particular story to recover lost clues. Thus, when dealing with a particular topic, my work should be, first of all, to make people aware of its precedents, such that connections, chronologies, and contexts for debate can be created. Then, considering that my profession is like that of a person who writes or who puts together information in a way that is similar to laboratory work, its role should be that of divulging information: of putting myself in the conditions under which I become an instrument for a certain idea to be communicated through critical discourse. RC Taking into consideration your experience as a historian and curator, with which professionals do you find more useful or necessary to collaborate? PN I honestly think with all of them, precisely because of the argument I was making earlier. More and more, I feel the need to be precise, to go search for the particular interlocutor with whom I share something, in other words, I look for a concrete object. From this perspective, the dialogue is with everyone because art is simply a big box containing a series of experiences that belong to us. The choice is in relation to a project, to a set of analyses at the end of which the most appropriate individuals for dialogue are chosen. But I would not create a criterion, because, I repeat, a politician could have a perspective of the city that is equally accurate as that of a photographer, the question is whether the politician knows what he is talking about and vice versa if the photographer uses photography in a way that interests me, in other words, in a way that is linked to the type of research I am doing, otherwise it would become an interesting subject that no longer concerns me and my research, but he, the photographer, as an artist and an intellectual. RC Also taking into consideration your experience as editor of The Reader, do you think this attitude towards transdisciplinary collaboration is applied internationally? PN Historically, the idea of the unity in the arts is a reality of the aftermath of the Second World War, but also of the avant-garde, therefore it goes very far back in time. At the international level, I would say there is certainly a sharp rise in the necessity or the desire to make, let’s say, a marine biologist write about, I don’t know, spatial architecture; people are starting to feel the need to change points of view, and therefore, even internationally, there is a desire and will to experiment through writing or teaching. Of course, I think
www.abitare.it/
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interviews
http://www.triennale.org/
L’architettura della partecipazione, Giancarlo De Carlo, Saggiatore, Milano, 1973
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Uniti e vedo comunque una forte disciplina e una forte organizzazione del dialogo multidisciplinare. RC È un’esigenza che si avverte in modo chiaro, rispetto anche agli studi di architettura… PN Sì, poi gli ambiti possono essere molto diversi. Può essere una rivista, può essere una serie di conferenze, può essere Studio Visit, possono essere tante cose. Penso che sia molto forte e anzi che adesso stia per essere organizzata anche come metodologia di apprendimento. RC Abbiamo saputo che si stà occupando di una ricerca sulla XIV Triennale di Milano. Che relazione può avere il tema del grande numero con un approccio multidisciplinare? PN Mi sto occupando della XIV Triennale di Milano, che è stata il soggetto della mia tesi di dottorato, adesso l’ho ripresa e quindi ci sto lavorando con un minimo di distanza. Penso ci siano delle affinità molto concrete nel tema, nel senso che il progetto della mostra dei grandi numeri di Giancarlo De Carlo nasce, insieme ad altri episodi degli stessi anni, con il desiderio di non dividere più disciplinarmente design, arti visive e architettura, ma di far sì che la mostra diventasse un discorso critico sul tema del grande numero, quindi includendo ogni tipo di linguaggio. Un altro aspetto, secondo me, è che il consumo dell’immagine della Triennale del ‘68 è stato molto intenso, perché sono spesso delle immagini bellissime che erano anche molto comunicabili e che sintetizzano problemi enormi in uno scatto. L’idea del grande numero come aspetto multidisciplinare è anche proprio il modo di utilizzare diversamente quelle immagini e ricontestualizzarle in un ambito di dialogo tra le discipline che in realtà è molto più complesso dell’uso dell’immagine come scenario di un tema che in realtà magari non aveva assolutamente niente a che fare con quello. RC Quindi questo atteggiamento di apertura può essere stato immaginato anche per avvicinarsi ad un grande pubblico? PN Penso che l’uso di questa immagine per comunicare con il grande pubblico sia da un lato strumentale e da un altro lato anche poco critica, nel senso che sono anni particolari, molto densi, dove la multidisciplinarietà era estremamente sentita, ma nello stesso tempo, nonostante sia passato tanto tempo, questo insegnamento non è stato metabolizzato. Allora si dice, usiamola per parlare al grande pubblico, perché se ti faccio vedere un’immagine di questo genere, tutti sappiamo di cosa stiamo parlando ma dall’altro lato non abbiamo una coscienza critica dell’uso di questa immagine. In questo senso forse è interessante che vengano fuori degli studi su questo. RC Tra le sue esperienze, culturali e di vita, luoghi in cui è stata, persone che ha incontrato, quali sono le più significative? PN Io sono stata abbastanza fortunata nel mio percorso scolastico, nel senso che, partendo dal presente per andare un po’ più indietro, per me è stata molto importante l’esperienza che ho fatto negli Stati Uniti,
the criteria are very different around the world compared to Italy, in the sense that the situation I know best is that of the United States, and there I see that there are both robust disciplines and multi-disciplinary dialogues. RC With respect also to the study of architecture, is it a need that is felt in a clear direction? PN Yes, well of course, the areas of this need can also vary greatly. It could be a magazine, it could be a series of conferences, it could be one of many things. I think that the need is felt very strongly and that, in fact, it is also about to be established as a learning methodology. RC I heard that you are currently leading research on the XIV Triennale di Milano. I wanted to know how the theme of the exhibition – “The Large Number: International exhibition on modern decorative and industrial art, and modern architecture” (Il grande numero: Esposizione internazionale delle arti decorative e industriali moderne e dell’architettura moderna) – could relate to a multi-disciplinary approach. PN I am doing research on the XIV Triennale di Milano, which was the subject of my PhD thesis. As I look at this topic again, I can work on it with a bit more distance. I think there are very concrete affinities between multi-disciplinarily research and the theme of the exhibit. Indeed, the project of the “Large Number” exhibit by Giancarlo De Carlo, together with other events from that same time period, emerges with the desire to stop the disciplinary divisions between design, visual arts, and architecture, to instead create an exhibit that could become a point of critical discourse on the “Large Number,” therefore including every kind of language. I think another connection between a multi-disciplinary approach and the XIV Triennale is that there was a very intense consumption of the images of the Triennale of ’68 precisely because they were often very beautiful images that were readily communicated and that synthesized enormous problems in one stroke. The concept of the Large Number as a multi-disciplinary aspect is found precisely in the different ways those images can be used and re-contextualized in any field that comprises crossdisciplinary dialogue, which in reality is much more complex than simply using an image to represent a topic that perhaps it had nothing to do with. RC Therefore could this attitude of openness have been imagined also as a way to reach a larger audience? PN I think that the use of this image to communicate with a larger audience has been instrumental but also insufficiently critical, because these very particular years, very dense ones, in which multi-disciplinary approaches were extremely powerfully felt, but at the same time, despite the fact that a lot of time has passed, this teaching has not been absorbed. So we say, let’s use this image to talk to a large audience, because if I show you an image of this sort, you and everyone will know what we are talking about. But on the other hand, we do not have a critical awareness of the use of this image. In this sense, it would be interesting to read some studies about it. RC Within your cultural and life experiences, places you have visited, and people you have met, which do you believe are most significant? PN I have been rather fortunate in my educational path.
interviews proprio dell’Accademia Americana. È stato anche uno shock, nel senso che io non conoscevo il sistema accademico americano, per cui il mio primo incontro con la scuola americana è stato MIT, che non è proprio il posto più accogliente del mondo e quindi proprio il metodo, l’ambiente, la capacità di imparare velocemente a fare domande, a rispondere a domande, a farmi un’idea delle cose, questo è un insegnamento che la scuola italiana non mi aveva dato e che invece trovo sia importante e quindi mi sento fortunata di averlo ricevuto in fase matura. Al contrario, trovo invece che alcuni incontri importanti per me siano stati proprio gli incontri di maestri, o comunque di persone che mi hanno aiutato, a partire dai miei insegnanti dell’università; per esempio ho lavorato molto con Choen, che è uno storico dell’architettura francese con cui ho fatto un master di Storia dell’architettura dopo la tesi e ho fatto con lui un lavoro di start-up della Citè de l’architecture, quando era stato incaricato del progetto. Per me è stato importante avere una formazione molto tradizionale in Europa, in Italia e poi avere la possibilità di allargare gli orizzonti anche in termini di conoscenza, ma soprattutto di metodo, di modo di arrivare a una sintesi, di imparare a essere chiara, a fare delle domande, che è una cosa che io non sapevo fare. Un tipo di modalità di apprendimento che all’università italiana non è così diffuso. RC Ha mai pensato a una carriera alternativa che le sarebbe piaciuto intraprendere? PN Per divertimento a me sarebbe piaciuto fare l’attrice, ma non lo dico per dare la risposta pop. A me la cosa che piace dello studio, proprio dell’approccio storico, è che per farlo bene devi entrare nella testa di un altro. Ad esempio io odiavo gli archivi, mi sembrava di perdere tempo e vita, mentre invece studiando un pochino di più ho proprio avuto un atteggiamento diverso nei confronti dell’archivio, perché vuol dire entrare nella vita di qualcuno. l’idea, così, un po’ idiota, di fare l’attrice, nasce quindi dalla consapevolezza che comunque tu entri nella vita di un altro, entri in un personaggio e per interpretarlo bene ci deve essere solo quello. In questo senso forse mi sarebbe piaciuto. RC Tra le sue ricerche ce n’è una in cui si identifica di più? PN Guarda, a me è piaciuto molto fare il Reader, questa idea, forse è il progetto, editorialmente, nel quale mi sono ritrovata di più. Mi è piaciuto perché, come sempre, stare dietro proprio alla fase di start-up è molto interessante. A me piacciono molto le riviste, sono proprio la mia passione da fanciulla, quindi l’idea di essere all’interno di un contenitore così stimolante come Abitare e fare una cosa tutta libera, perché comunque il supplemento è proprio la ciliegina sulla torta di una macchina editoriale, è stato molto bello, molto arricchente per me, perché ho conosciuto tante persone e ho imparato tante cose e anche perché dietro c’era la voglia di provare a sollevare il tema del dibattito critico sulle cose, che mi interessa molto come lettore soprattutto in un momento di esplosione di divulgazione via internet. Mi ci sono
Starting from the present and going back in time, my experience in the United States at the American Academy was extremely important for me. It was also a shock because I did not know the American academic system. Therefore, during my first encounter with American schools, at MIT – which is not exactly the most welcoming place in the world – the methods, the environment, the capacity to learn quickly and ask questions, answer questions, and getting an idea of how things worked were all things that the Italian education system had not taught me and that I find to be important, hence I consider myself lucky to have learned all of these things when I was already mature. On the other hand, I find that some of the most important encounters for me were precisely with teachers, or in any case with people who helped me, starting with my university professors; for instance, I worked a lot with Choen, a French architecture historian with whom I completed a Master in Architecture History after my thesis, and it is with him that I did the initial work for Histoire de l’architecture when he was put in charge of the project. For me it was important to have a very traditional education in Europe, in Italy, and later to have the possibility to expand my horizons, also in terms of knowledge, but more than anything in terms of methodology, of how to arrive at a synthesis, to learn to be clear, and to ask questions, which are all things that I did not know how to do, a type of learning method that in Italy is not so widespread. RC Have you ever thought of an alternative career that you would have liked to pursue?
http://hst.mit.edu/
http://www.citechaillot.fr/
PN For fun, I would have liked to be an actress, but I don’t say this to give you the popular answer. What I like most about studying, precisely what I liked about the historical approach, is that to do it well you have to get into the head of others. For instance, I used to hate archives, I felt like I was losing time in life. But as I studied more, I developed a different attitude towards archives because it means entering the life of another person. The kind of silly thought of being an actress, therefore, is born from the awareness that in any case you enter the life of someone else, you become a character, and to interpret him well, you must be only him. In this sense, perhaps I would have liked it. RC Within your research, is there something with which you identify most? 105
interviews riconosciuta molto. RC Come immagina il futuro della sua professione? PN Io non ho molto in mente il passato della mia professione, perché mi sento molto agli inizi, quindi faccio fatica a non immaginare tutto in una dimensione futura. In generale lo vedo stimolante, perché mi trovo in mezzo a una vera e propria rivoluzione dei mezzi di comunicazione, un nuovo momento interessante in termini di invenzione di un registro narrativo diverso, proprio un modo di scrivere oltre che di fare le cose legate all’editoria. In realtà poi io non sono particolarmente positiva, sono abbastanza realista, non vedo degli scenari particolarmente felici, vedo un grosso lavoro da fare e anche una grande energia da mettere nelle cose e in questo senso il futuro lo vedo molto combattivo. RC Esiste secondo lei una qualità che una persona, un professionista, deve avere prima di tutto? PN Come caratteristica umana io penso che l’umiltà sia un dono, perché non ci si può imporre di essere umile, o lo sei o non lo sei, ma quando le persone lo ricevono, ce l’hanno, vedi la differenza. L’ho visto nelle persone con cui mi sono trovata a lavorare e quindi questa per me è una cosa importante. Per quanto riguarda in particolare la mia professione, evidenzierei la pazienza: non bisogna aver fretta, appunto e questo va contro, paradossalmente, alle richieste di urgenza, legate alla confezione di qualcosa o all’elaborazione di un pensiero. Poi anche una grande disponibilità, non solo all’ascolto, al dialogo, ma proprio come atteggiamento nei confronti delle cose e delle persone, perché spesse volte le cose più interessanti sono venute fuori dall’essere disponibili ad accogliere delle prospettive diverse. RC Grazie.
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PN Well, I really liked to make the Reader. Perhaps this idea, this project, is the one in which as an editor I found myself best. I liked it because, as always, being behind the scenes of the initial phases of something is very interesting. Moreover, I really like magazines; they are truly my girly passion. Therefore, the idea of being part of an encompassing structure as stimulating as Abitare and making something completely freely – because in any case the supplement is precisely the cherry on top of the cake of the editorial machine – was wonderful and very enriching for me because I got to know many people and learned many things, and also because the desire behind it was to raise the critical debate on things, which, as a reader, I find very interesting, especially during the time of the information explosion through the Internet. I identified very well with this. RC How do you imagine the future of your profession? PN I don’t have a very good idea of the past of my profession because I feel very much at the beginnings; therefore I have trouble not imagining an entire future dimension. In general, I perceive it as stimulating because I find myself in the midst of an actual revolution in the modes of communication, a new interesting moment in terms of the invention of a different narrative register, precisely a new way of writing beyond edited work. In reality, I am not a particularly positive person, I am relatively realistic, I don’t see some especially happy scenarios, I see an enormous amount of work to do and also a great amount of energy to invest, and in this sense, I see a very challenging future. RC Do you think there is a quality that a person, or a professional, should most importantly have? PN As a human, I think that humility is a gift because we cannot force ourselves to be humble, either you are humble or you aren’t, but when people receive this gift, if they have it, you see a difference. I saw it with the people with whom I found myself working, and therefore this is an important quality for me. As for my profession in particular, I would emphasize patience: one cannot be in a hurry, and this paradoxically goes against the requests for urgency linked to the crafting of something or to the elaboration of a thought. Then, I would also say availability, not only for listening or for dialogue, but precisely as an attitude towards things and people, because often the most interesting things come out of being open to welcoming different perspectives. RC Thank you.
interviews Il futuro dell’economia urbana è l’interazione sociale
The future of urban economy is social interaction
ReConnection Qual è l’apporto più significativo che uno studio economico e politico dà alla lettura del territorio e dei fenomeni urbani? Marco Percoco Secondo me siamo in un momento un po’ particolare della scienza economica, ed è particolare perché è un momento in cui c’è molta contaminazione. Oggi si cominciano a studiare, i comportamenti degli individui, che non sono necessariamente massimizzazione del profitto e del mercato, si comincia a studiare il ruolo della storia passata, dei paesi; si studia molto la geografia, si studia molto tutto ciò che è interazione sociale, tutto ciò che è società, come questo ha un impatto sull’economia più che il contrario, quindi non più come l’economia può modificare i comportamenti umani o può modificare alcune società, ma il contrario, come l’economia, in realtà, è un prodotto dei comportamenti più o meno segmentati delle persone. Cinque-sei anni fa ci fu una raccolta di articoli per rendere onore a James Jacobs, allora in quel momento si è cercato di fare il punto della situazione. Uno dei più grossi economisti urbani, anzi forse il più grosso economista urbano che c’è oggi sulla faccia della terra, disse: guardate, il futuro dell’economia urbana sono le interazioni sociali. Quindi hanno scoperto l’acqua calda per i sociologici. Per gli economisti è una novità, e oggi si studia questo. Quindi oggi il contributo dell’economia, soprattutto dell’economia urbana, l’economia del territorio è questo, cioè cercare di studiare come la competitività di un territorio, il livello di sviluppo, la specializzazione preventiva di un territorio, sia il frutto di interazioni, quindi di amicizie, di inimicizie, di abitudini delle persone stesse. Oggi l’economia studia cose che invece il pianificatore e il sociologo studiavano già cinquant’anni fa. E quindi oggi il contributo dell’economia è cercare di portare innanzitutto una sistematizzazione metodologica, più rigida; la seconda cosa è cercare di porre un po’ l’accento su ciò che può avere una economicità di fondo. RC Quali sono gli strumenti di cui il vostro dipartimento si avvale per la comprensione di queste dinamiche economiche? MP La cassetta degli attrezzi oggi è l’analisi costi-benefici, che ormai è una cosa abbastanza connaturata dal punto di vista urbano. Diciamo che oggi nell’analisi costibenefici ci si focalizza sui grandi progetti di investimento. La seconda cosa, l’applicazione della statistica differenziale ai comportamenti umani, sviluppo delle città, processi produttivi, analisi delle specializzazioni, quindi la statistica è molto importante. RC Questi gli strumenti. Invece qual è l’obiettivo della vostra ricerca? MP Io parto dall’analisi dei costi-benefici, che è un po’
ReConnection What is the most significant contribution that an economic or political study can give to interpreting the territory and urban phenomena? Marco Percoco I think we are currently in quite a particular moment of economic science, especially as we are in a time in which there is a lot of contamination. Today, we are starting to study the behaviour of individuals which is not necessarily about maximising profit and the market, we are starting to study the role of past history, of countries; we are studying a lot of geography, everything to do with social interaction, everything to do with society, how society has an impact on economy rather than the other way around, so it’s no longer how the economy can change human behaviour or some societies, but the opposite, how the economy, in reality, is a product of the more or less segmented behaviour of people. Five or six years ago there was a collection of articles to pay homage to James Jacobs and at that moment people tried to take stock of the situation. One of the biggest urban economists, perhaps the biggest urban economist on the face of the earth, said: the future of urban economy will be social interaction. And so they discovered a problem for the sociologists. For economists it is something new, and today this is what we are studying. So today, the contribution of economics, especially urban economics, territorial economics, is precisely that i.e. attempting to study how the competitiveness of a territory, the level of development, the preventative specialisation of a territory is the result of interactions; i.e. friendships, enmities, and habits of people themselves. Today, economics is studying what planners and sociologists were already studying 50 years ago. Now, economics is firstly trying to contribute a stricter methodological systemic organisation; and secondly, trying to place more emphasis on what a standard cost-effective situation can have. RC What tools of your department do you use to understand these economical dynamics? MP Today’s toolbox is the cost/benefit analysis which by now is something quite innate from an urban point of view. Let’s say that today in the cost/benefit analysis, we focus on large investment projects. The second point is the application of differential statistics to human behaviour, the development of cities, production processes, the analysis of specialisations; so statistics is very important. RC So these are the tools. Considering the observation parameters which are rendered by this type of investigation, the final product of all these tools, what is, or what should be, the end objective of your research? MP I start from the cost/benefit analysis which is a bit of a metaphor for all economics in my opinion. I think this is the economic model. I have taught cost/benefit analysis for many years and I have always said to the students that it’s true that the cost/benefit analysis tells us whether it’s a good idea to do something or not; this is also true for
marco percoco economista/economist
www.certet.unibocconi.it/
Multi-level governance at work: Evidence from Structural Funds Management in Lombardia, M.Percoco and M.Glove, Environment and Planning C - Government and Policy, 2009
www.costbenefitanalysis.org/
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interviews Urban Transport Policies and the Environment: Evidence from Italy, M. Percoco, International Journal of Transport Economics
http://didattica.unibocconi.it/
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la metafora di tutta l’economia secondo me. Io penso che questo sia il modello economico. Io insegno da tanti anni analisi costi-benefici e agli studenti dico sempre che è vero che l’analisi costi-benefici ci dice se ci conviene o meno fare una determinata cosa; questo vale per il singolo individuo, se ci pensiamo qualsiasi nostra azione ha un’analisi costi-benefici, vale anche per la società. Ci dice se ci conviene o meno, ma non è la decisione. Il prodotto ultimo dell’analisi di costi-benefici deve essere un’informazione, l’informazione data al decision maker, che alla fine della fiera è l’amministratore, che deve pagare per avere la concessione. Il ruolo dell’economista e il ruolo dell’analisi costi-benefici è quello di dare più informazioni possibili, informazioni trattate, organizzate. Quindi deve esserci un processo di analisi di informazioni grezze che devono produrre, invece, informazioni utili alla decisione. RC All’interno di questo processo di analisi, quali sono le fasi più complesse? MP Molto spesso è molto difficile capire che cosa il decision maker vuole, capire le informazioni di cui ha bisogno, perché molto spesso il decision maker si accorge solo dopo che invece aveva bisogno di altre informazioni. Questa è la cosa più difficile da far passare perché poi la metodologia può essere più complicata possibile, ma una via di uscita si trova. RC In che modo ritiene che un centro di ricerca e di sviluppo territoriale come il CERTET sia capace di immaginare degli scenari futuri per la città e quindi all’interno di questo processo che significato ha l’utopia? MP Questa domanda mi coglie in un momento particolare anche per questo perché proprio in questo periodo stavo pensando se attivare o meno un programma sulla definizione di scenario di sviluppo urbano fino al 2030, e quindi stiamo cercando di capire come analizzarlo. Oggi il CERTET si è dotato di alcuni strumenti, innanzitutto di raccolta i dati e di primo trattamento di questi dati. Stiamo cercando di immaginare un modello che non sia di previsione, ma un modello in cui, a partire dallo scenario nazionale italiano e a partire dagli input qualitativi che vengono poi dalle somme delle varie città oltre che dalle somme delle varie città europee, si possa raggiungere la definizione di scenario quantitativo. RC Quindi c’è anche la sperimentazione? MP La sperimentazione alla fine c’è sempre, nel senso che anche nel momento in cui si fa la ricerca applicata, in un’università c’è sempre una piccola quota di sperimentazione. RC Parlando di multidisciplinarietà, dal suo punto di vista, è necessaria alla ricerca? MP Si. Come dicevo prima, l’economia oggi sta attraversando un periodo di forti contaminazioni. Il problema, però, è che questa contaminazione è connaturata alla mia disciplina. La mia attività di riferimento è la regional science, la scienza regionale. Io stesso sono, da tanti anni ormai, nel consiglio
individuals, if we think about it any action of ours has a cost/ benefit analysis, it is also true for society. It tells us whether something is a good idea or not, but it doesn’t make the decision. The final product of the cost/benefit analysis has to be information, information given to the decision maker who, at the end of the day, is the director who has to pay to have that concession. The role of the economist and the role of the cost/benefit analysis is to provide as much information as possible, information that is processed and organised. So there has to be a raw data analysis process which must, as a result, produce data that is useful to making the decision. RC Within this analytical process, what are the most complex phases, the most significant phases? MP Very often, it’s difficult to understand what the decision maker wants or understand the information they need, because often the decision maker only realises afterwards that they needed other information. This is the most difficult thing to get past because the methodology can be as complicated as you like, but there is always a way out. RC In what ways do you think that a territorial research and development centre like CERTET is able to imagine future scenarios for the city and, within this process, what meaning and what value does utopia have? MP This question comes at a very particular moment because right in this very period I have been thinking about whether or not to start a programme on defining an urban development scenario up to 2030; so we are trying to understand how to analyse this. Today, CERTET has equipped itself with some tools, first and foremost for data collection and the first processing phase of this data. We are trying to imagine a model which does not forecast, but, starting with the Italian scenario and qualitative inputs which come from the sums of various cities in addition to the sums of the various European cities, is instead a model in which we can reach the definition of a quantitative scenario. RC So there is also experimentation? MP At the end of the day, there is always experimentation in that even when you do some applied research, in a university there is always a small degree of experimentation. RC Speaking of the multidisciplinary aspect, from your point of view, is research necessary? MP Yes. As I was saying before, economics today is going through a period of heavy contamination. But the problem is that this contamination is deeply rooted in my discipline. My activity of reference is regional science. For many years now I have been part of the Management Council of the Italian Regional Science Association and it’s an association that involves planners, economists and geographers because this discipline has been around forever, for over fifty years. In reality, its founder always thought that the territory was the focus of various disciplines which clearly differed from one another. So the regional science research programme aims to integrate everything: planning, geography, economics; otherwise you only evaluate little pieces. RC Exactly, but at what point is the role of an economic research centre important or useful? At what point in the research process can you insert the economic and political
interviews direttivo dell’Associazione Italiana Scienze Regionali, ed è un’associazione a cui partecipano pianificatori, partecipano economisti, partecipano geografi, insomma, perché è da sempre, da oltre cinquant’anni che esiste questa disciplina. Il suo padre fondatore in realtà ha sempre pensato che il territorio fosse l’oggetto di diverse discipline, chiaramente diverse tra loro. Allora, il programma di ricerca delle scienze regionali è questo, cioè di integrare tutto: pianificazione, geografia, economia, altrimenti si valutano solo piccoli pezzettini. RC In che momento della ricerca si può inserire l’aspetto di analisi economica e politica? MP Se parliamo di ricerca applicata, molto spesso il ruolo di un centro come il CERTET è necessario quando si analizzano o le attività produttive o i sistemi produttivi, o quando bisogna fare un’analisi di fattibilità, o a volte nel momento in cui si tratta di dover far discutere diverse professionalità. Molto spesso la dicotomia è tra pianificatori urbanisti e gli ingegneri; pensate alla pianificazione di un sistema di trasporto, in cui c’è il disegno, il progetto da un lato e dall’altro lato abbiamo i modelli di simulazione del traffico, molto spesso noi economisti urbani siamo capaci di lavorare sia con l’uno che con l’altro, ma anche in questo caso serve un’interfaccia. RC Con quali professionisti le è capitato di collaborare o è stato necessario collaborare? MP Dipende molto dal progetto che si sta portando avanti, nel senso che, se stiamo valutando una grande infrastruttura di trasporto, in nove casi su dieci, i nostri interlocutori, i nostri partner sono, o coloro i quali si occupano di finanza, di problematiche finanziarie, e/o ingegneri dei trasporti. RC Con urbanisti, ad esempio? MP Un po’ meno a dire la verità, perché forse gli urbanisti in un secondo momento. Molto spesso prima si decide quale progetto fare o come farlo, è un poi viene passato alla fase di valutazione. Ed è un metodo molto più efficiente secondo me. Se si ragionasse tutti assieme sui progetti e i tempi di realizzazione delle opere sarebbero ancora più lunghi. Dall’esperienza americana, lì sono attive presso i governi degli stati federali delle commissioni permanenti interdisciplinari, per la gestione di singoli bacini, sia di traffico che di costruzioni. Li ci sono sociologi, ci sono urbanisti, economisti, allora, il momento di discussione è a monte, non c’è più una macro discussione, compreso l’oggetto di pianificazione e valutazione. RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, quali ritiene più significative per la strada professionale che lei ha intrapreso? MP Sicuramente quella negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti a studiare, tra l’altro, in un dipartimento, in un centro di ricerca che era un po’ una specie di summa teologica di quattro enti completamente diversi fra di loro, che erano il Department of Geography, il Department of Urban Planning, il Department of Economy e la Federal Trade
analysis aspect? MP If we are talking about applied research, the role of a centre such as CERTET is often required when we are analysing production activities or production systems or when we need to conduct a feasibility analysis, or sometimes when we need to discuss various professions. Often, the dichotomy is between urban planners and engineers. Think about the planning behind a transport system where there is design, the project on the one hand and traffic simulation models on the other, and we urban economists are often able to work with one and the other, but in this case an interface is needed. RC Which professionals have you happened to work with or you have had to work with in the past? MP It depends a lot on the project that you are working on, in that if we are evaluating a large transport infrastructure, nine times out of ten our interlocutors, our partners, are those who work with finance, financial problems and/or transport engineers. RC With urban planners, for example? MP Not as much to be honest. Perhaps we will work with urban planners at a later stage. Often we decide which
Scienze Regionali, Italian Journal of Regional Science, Faranco Angeli Riviste
project to do or how to do it, and then it will be passed on in the evaluation phase. It’s a much more efficient method in my opinion. If we all discussed the projects together, the times taken to carry out the works would be even longer. From the American experience, there are permanent interdisciplinary commissions in place within the federal state governments to manage the single traffic and construction catchment basins. There are sociologists, urban planners, economists and so the discussion time is at its peak, there is no longer a macro-discussion, including the object of the planning and evaluation. RC Among your cultural and life experiences, which do you consider the most significant for the professional path you have chosen? MP Definitely being in the United States. In the United States studying, amongst other things, in a department, in a research centre which was a bit of a Summa Theologica of four organisations which were completely different from one another, which were the Department of Geography, the Department of Urban Planning, the Department of Economy 109
interviews http://www.ftc.gov/
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Commission di Chicago, quattro cose completamente diverse tra di loro, che però si trovano d’accordo sullo studio dell’economia locale. RC Se non avesse fatto ciò che sta facendo, che cosa le sarebbe piaciuto fare? MP Allora, io alla fine della terza media feci un test per capire che cosa potevo fare nella vita e mi venne fuori che potevo fare o il filosofo o il cuoco. Non lo so, magari il cuoco. No, a parte gli scherzi, non lo so perché nell’istante in cui sono entrato in questa università volevo fare un corso universitario, e mi interessava la questione regionale. Ho provato a fare qualcos’altro prima di intraprendere questa strada, e ho lavorato in banca; dovevo lavorarci per sei mesi per uno stage, ma alla fine ci sono stato un mese. RC grazie.
and the Federal Trade Commission of Chicago, four things that were completely different from one another but were agreed on studying local economics. RC If you hadn’t done the job you are currently doing, what would you have liked to do? MP At the end of middle school, I took a test to understand what I would be able to do in my life and the result was that I could be a philosopher or a chef. I don’t know, perhaps a chef. No, but jokes aside, I don’t know because as soon as I came into this university I wanted to do a university course and I was interested in the regional issue. I tried to do something else before taking this route and I worked in a bank. I was supposed to work for six months in unpaid work experience, but in the end I only stayed for one month. RC thank you
interviews L’architettura nasce per un bisogno di protezione
Architecture starts up as a shelter need
ReConnection Dal suo punto di vista che importanza ha l’indagine preliminare dei fenomeni urbani in un progetto di architettura? Cino Zucchi Il fenomeno urbano è una realtà complessa e multiforme. La città corrisponde quasi alla civiltà, fin dalle origini, per cui comprende in sé molte delle manifestazioni culturali dell’uomo. La città è il luogo di quasi ogni attività umana. In questo senso può essere descritta da economisti, pittori, sociologi: qualsiasi disciplina troverà nella città qualcosa da analizzare. Oggi è interessante il tema delle mappe tematiche: su Google ormai cominciamo ad avere delle banche dati fisiche che portano informazioni, magari solo commerciali, ma anche di altro tipo, per cui i mezzi elettronici possono non tanto dirci delle cose nuove sulla città, ma porre in relazione complessa aspetti diversi, rappresentato per sovrapposizione e interferenza il carattere sfaccettato della città. Le utopie architettoniche “totali” secondo me non hanno capito la vera natura della città, il suo carattere “resiliente”, la sua plasmabilità a vari usi, la sua stratificazione. Durante una visita da turista ad Arcosanti di Paolo Soleri, i miei figli ad un certo punto mi hanno detto: papà, perché ci hai portato qui? quando andiamo in un bel albergo con la piscina riscaldata? Non vedevano nessuna ragione perché dovessimo essere lì. Arcosanti è un’utopia architettonica che non ha mai trovato un equivalente politico-religioso: un architetto non può pensare di sognare una società. In questo senso gli architetti si credono o troppo importanti o, qualche volta, troppo poco importanti. Tornando allo studio della città, c’è anche un problema di diagnosi e terapia. Spesso oggi si confonde la descrizione della città con la sua trasformazione. Nella Biennale dedicata al futuro delle metropoli una delle cose che mi avevano colpito di più era una foto di Armin Linke: un dormitorio in Cina, con dei letti sovrapposti, una stanza dove potevano vivere 200 persone, una sorta di lager. La fotografia era molto bella, direi quasi sublime; la situazione che stava rappresentando era la cosa più agghiacciante che si potesse pensare. Voglio dire che nelle altre arti il meccanismo della mimesi può distanziarci da una scena che in realtà non vorremmo vivere: un quadro che ci dona piacere artistico può rappresentare una crocifissione, o una tempesta, luoghi o situazioni in cui non vorremmo trovarci. Secondo me oggi la descrizione della città continua a confondere, in maniera interessante, la fotografia e l’arte con lo studio di quello su cui noi possiamo operare. Di tutti i fenomeni urbani io mi occupo solo di quelle cose che posso trasformare; però non tutte le descrizioni di città possono essere rilevanti al fine della sua trasformazione. Gli stimoli possono venire dappertutto, però, in forma più scientifica,
ReConnection From your point of view, what is the importance of a preliminary analysis of urban phenomena in an architecture project? Cino Zucchi In reality, an urban phenomenon is complex and multiform. The city, from its origins, has basically corresponded to civilization, therefore it comprises many of the cultural manifestations of man. The city is the hub of almost every human activity. Consequently, it can be described by economists, painters, and sociologists: any discipline will find something to analyse in a city. Nowadays, the phenomenon of thematic maps is quite interesting: on Google we are starting to have physical data banks which carry information, perhaps only commercial, but possibly also other kinds. Hence electronic devices do not tell us anything new about cities, but they can relate different aspects of cities in a complex way, thereby representing the stratified character of a city by showing us their superimposed and intertwined components. In my opinion, “total” architectural utopias have not grasped the true nature of the city, its “resilient” character, its versatility, and its stratification. At a certain point, during a tourism visit to Arcosanti by Paolo Soleri, my sons asked me: dad, why did you take us here? When are we going to a nice hotel with a heated pool? I didn’t see any reason why we should have been there. Arcosanti is an architectural utopia that has never found a political-religious equivalent: an architect cannot think that he can dream a society. In this sense, architects either give themselves too much importance, or in other cases too little. Returning to the study of the city, there is also a problem of diagnosis and therapy. Nowadays, the description of the city and her transformation often get confused. In the Biennale dedicated to the future of big cities, one of the things that most astounded me was the photo of Armin Linke: a dormitory in China, with bunk beds, a room in which 200 people could live, a kind of concentration camp. The photo was very beautiful, I would say almost sublime; the situation that it was representing was the most chilling thing you could imagine. I mean to say that in the other arts, the mechanism of mimesis has the power to distance us from a scene which in reality we would wish not to experience: a picture that gives us artistic pleasure could represent a crucifixion, or a tempest, places or situations in which we would not like to find ourselves. In my view, the description of the city today continues to confuse, in an interesting manner, photography and art with the study of that which we can operate on. Of all urban phenomena, I only concern myself with those that I can transform; however, not all descriptions of cities can be relevant at the end of a transformation. Stimuli can come from everywhere, but to operate in a more scientific way, it would be favorable to search for diagnoses, areas of the city on which we later find ourselves operating without to much delusion of omnipotence.
cino zucchi architetto/architect
www.zucchiarchitetti.com
www.arcosanti.org/
www.arminlinke.com/
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interviews
The Dictionary of Received Ideas, Gustave Flaubert, Penguin Classics, 1995
Notes on the Synthesis of Form, Christopher Alexander, Harvard University Press, 1964
Paul Valery: www.amazon.com/ Selected-Writings-PaulValery/dp/0811202135
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è opportuno cercare delle diagnosi, dei campi della città su cui poi ci si trova a dover operare, senza avere troppo delirio di onnipotenza. RC In un progetto di architettura quali sono le fasi più complesse o che lei ritiene più significative? CZ Io ho delle idee molto chiare di metodo, anche se non credo nel “metodo”. Come quel matematico che diceva “non sono io a parlare difficile, ma sono difficili le cose di cui sto parlando”, mi è difficile riassumere in poche parole la natura del processo con cui io credo si possa arrivare dall’osservazione alla forma. Non ho paura di usare questa parola, perché noi, alla fine, produciamo una forma. La frase più comune che ho sentito negli ultimi dieci anni nelle lezioni di architettura è la seguente: “I’m not interested in forms, I’m interested in strategies”; “strategia”, la bocca si riempie di una parola “santa”; ogni epoca ha una parola santa. Stamattina leggevo Il dizionario delle idee comuni dove Flaubert prende in giro le idee correnti del suo tempo; ecco allora noi potremmo dire che la “strategy” è una di queste idee; se ci fosse l’addizione all’architettese del Dizionario delle idee comuni di Flaubert potremmo aggiungere “Landmark” o “Hybrid”. vent’anni fa avremmo detto con la stessa sicurezza “morfologia urbana” o “tipologia edilizia”. Ogni epoca carica una parola di un significato che non le appartiene: secondo me, la parola “strategia” denota la vecchia paura calvinista della forma, come se la forma fosse diventata una parola volgare. Puoi parlare di “processi”, di “algoritmi generativi”, ma l’esito finale di un progetto è la forma. Diceva Christopher Alexander, in Note sulla sintesi della forma: forma è lo scopo del design e il contesto è la parte invariante con cui si relaziona. Come dire: noi scegliendo di modificare una parte del mondo in qualche modo ne riplasmiamo la forma. Ciò non toglie che questa sia legata a un contesto in maniera complessa, ma il fine ultimo nostro è la trasformazione formale del mondo e voglio insistere su questo punto perché mi sembra che sia un punto non sempre chiaro. Il problema è un altro: che rapporto c’è tra la forma come entità autonoma e quel complesso di relazioni sociali, economiche, tecniche, morali, artistiche che fa del mondo, il mondo. La transustanziazione di questa condizione in forma, secondo me, è la parte più difficile dell’architettura. La mia teoria, si potrebbe dire, alla fine è molto popperiana: uno deve mettersi con arbitrio e analizzare una cosa, guardarla, inventare una forma e subito dopo verificarne la congruenza col programma. E’ un’opera sostanzialmente di “falsificazione”; Charles Sanders Peirce avrebbe detto “abduzione”. Secondo lui l’induzione e la deduzione sono processi di tipo meccanico, mentre l’abduzione è sostanzialmente l’invenzione arbitraria di una teoria o di un modello e la successiva verifica di essa con i dati sperimentali. La forma è arbitraria ma il suo rapporto con il mondo non lo è. Paul Valéry diceva che l’artista trasforma l’arbitrio in necessità; diceva, inoltre “non possiamo che chiamare scienza l’insieme delle ricette che riescono sempre; tutto il resto
RC In an architecture project, what do you think are the most complex or significant phases? CZ I have very clear ideas about methodologies, even though I don’t believe in “methodology.” Like the mathematician who said “it is not my speech which is difficult, but the things of which I am speaking that are difficult,” I find it hard to summarize in a few words the nature of the process through which, starting from observation, one arrives at form. I am not afraid of using this word because ultimately what we produce is form. The sentence I’ve heard most frequently in an architecture class in the last ten years is the following: “I’m not interested in forms, I’m interested in strategies;” “strategy,” the mouth always fills itself with “holy” words; every epoch has a holy word. This morning I was reading The dictionary of common ideas, in which Flaubert makes fun of the common ideas of his time; well, now we could say that “strategy” is one of those ideas; if there were an architecture edition of the The dictionary of common ideas by Flaubert, we could add “Landmark” or “Hybrid” too. Twenty years ago, we would have spoken with the same assurance about “urban morphology” or “housing typology.” Every time period instills a word with a significance that in reality does not belong to it: in my opinion, the word “strategy” denotes an old Calvinist fear of form, as if form had become vulgar. You can talk about “processes” and “generative algorithms,” but the most important outcome of a project is nonetheless form. As Christopher Alexander stated in Notes on the synthesis of form: form is the objective of design and context is the invariable aspect with which it is related. In other words, in choosing to modify one aspect of the world, we are reshaping it in one way or another. This does not preclude the fact that this aspect is linked to its context in a complex way, but our ultimate endpoint is the shapeable transformation of the world, and I would like to insist on this point because it seems to be a point that is not always clear. The issue is another one: what connection there is between form as an autonomous entity and the network of social, economic, technical, moral, and artistic relations that make the world what it is. I think that the transubstantiation of this condition into form is the most difficult aspect of architecture. In the end, my theory could be said to be very Popperian: one should think and analyse something carefully, watch it, invent a form and immediately afterwards, verify its congruence with the original assumption. It is essentially a kind of “falsification;” Charles Sanders Peirce would have called it “abduction.” According to him, induction and deduction are mechanical processes, whereas abduction is essentially the arbitrary invention or a theory or of a model, and its subsequent verification with experimental results. Form is arbitrary but its relation to the world is not. Paul Valéry used to say that the artist transforms arbitrary ideas into necessity; in addition, he said that “we can only call science the collection of recipes that always work; everything else is literature.” In other words, I think that a big part of diagrams, algorithms, methods, books, and written and spoken sayings about architecture are trying to exorcise the fear of the arbitrary. Umberto Eco used to say: “Language is something with which one can lie.” From the moment in
interviews è letteratura”. In altre parole, secondo me, gran parte dei diagrammi, degli algoritmi, dei metodi, dei libri, scritti e detti sull’architettura, stanno cercando di esorcizzare la paura dell’arbitrario. Umberto Eco diceva: “Il linguaggio è qualcosa con cui si può mentire”. Nel momento in cui tu hai un linguaggio, hai la possibilità della bugia, cioè dello scollamento forma-significato. In un certo senso puoi dire anche che c’è un rapporto di ambiguità tra forma e contenuto che noi, con angoscia, cerchiamo di rendere necessario; m il processo per arrivare a questo stato finale di “necessità” è spesso molto interpretativo e arbitrario. La parte più difficile di quello che c’è in architettura non è la parte tecnica, è la parte interpretativa: come interpreto un contesto, una situazione, come lo traduco in un atto di forma che non è legata necessariamente a quell’oggetto. Parliamo ad esempio di architettura e politica. Potremmo dire che Hitler e Roosevelt, il nazismo e la democrazia americana, erano due sistemi opposti; però un ufficio postale americano degli anni Trenta non è così diverso dalla sede della Gestapo; ha le stesse colonne, persino l’aquila sopra: un classicismo semplificato. Sistemi politicamente opposti si rappresentavano con un’architettura tutto sommato non così diversa: un vero paradosso. Adorno ha letto nellle forme del Kulturforum di Hans Scharoun, l’unica forma possibile della democrazia dopo il nazismo: ma questa è una sua interpretazione arbitraria. Qual è l’architettura della democrazia? Per me forse quella di Gunnar Asplund a Goteborg in Svezia, o di Arne Jakobsen nel municipio di Aarus in Danimarca, ma anche questa è un’ interpretazione arbitraria. Questo nesso è totalmente culturale; solo la cultura e la civilizzazione che possono stabilire il fatto che una basilica abbia quella forma, che una sinagoga ne abbia un’altra. RC Secondo lei che significato ha l’utopia in architettura? CZ Cerco di dirla con una battuta. Se io andassi a dire a mia moglie, Francesca: i figli, che fatica; quando saranno grandi, quando avremo 150 anni, ti porterò a fare un viaggio per tutto il mondo, per due anni; lei mi potrebbe dire: sì, ma 150 anni sono un po’ tirati, perché la vita media dell’uomo...; potrei rispondere allora: eh, ma come sei prosaica, non mi lasci mai sognare! Credo che oggi l’utopia sia una moda; in realtà chi richiede l’utopia oggi è il commercio, per cui gli architetti utopici sono in un certo senso architetti commerciali, che stanno vendendo buoni sentimenti. Non credono neanche loro alle loro utopie. Non credo che nessun architetto vorrebbe minimamente vivere nella sua utopia; credo invece che ci sia un mondo che non sa più vendere oggetti e manufatti e deve inventare la “vision”. Quando arriva u rappresentante di sedie dico: non mi stia a raccontare la sua “mission”, mi faccia vedere se ha sedie buone: se sono buone le compro, se no, non mi stia a raccontare che volete salvare il mondo. Qui ormai nessuno vuole più vendere sedie e tutti devono far finta di salvare il mondo. Gli architetti che fanno utopia stanno vendendo buoni sentimenti a un’industria che si vergogna di essere
which you have a language, you have the possibility to lie, in other words, the decoupling between form and meaning. In a certain way, you could say that there is also a kind of ambiguity between form and content which, with anguish, we try to render necessary; but the process used to arrive at this ultimate state of “necessity” is often very interpretative and arbitrary. The most difficult part of architecture is not its technical component, it is the interpretative component: how I interpret a context, a situation, and how I translate it in an act of form that is not necessarily linked to that object. We are speaking, for example, of architecture and politics. We could say that Hitler and Roosevelt, Nazism and American democracy, were two opposite systems: however, an American post office of the 1930s is not so different from the headquarters of the Gestapo; it has the same columns, and even the eagle on top: a kind of simplified classicism. Systems that were politically opposed were represented with architecture that all in all was not so different: a real paradox. In the forms of the Kulturforum by Hans Scharoun, Adorno read the only possible form of democracy after Nazism: but this is an arbitrary interpretation. What is the architecture of democracy? Perhaps for me it’s that of Gunnar Asplund in Goteborg, Sweden, or of Arne Jakobsen in Aarhus’ town hall in Denmark, but this too is an arbitrary interpretation. This nexus is completely cultural; only culture and civilization can determine the fact that a basilica will have that shape and www.arne-jacobsen.com
that a synagogue will have another. RC In your opinion, what is the significance of utopia in architecture? CZ I’ll try to answer with a joke. If I went to tell my wife Francesca: our children are such a pain; when they’re older, when they’re 150 years old, I’ll take you on a trip around the world for two years. And she could say to me: yes, but 150 years are somewhat of an overstatement since man’s average lifespan is...; to which I could answer: ah, you’re so prosaic, you never let me dream! I think that today, utopia is a trend; those who are actually in need of utopia are businesses, thus, utopian architects nowadays are, in a way, commercial architects who are in the business of selling good feelings. Not even they believe in their utopias. I don’t think that any architect would ever want to live in his utopia; instead, utopias come from societies that no longer know how to sell 113
interviews
Seven American Utopias: The Architecture of Communitarian Socialism, 1790-1975, Dolores Hayden, The MIT Press, 1979
http://hst.mit.edu/
www.rtqe.net/ ObliqueStrategies/
El Croquis Rafael Moneo 1967-2004 combining issues n.20+64+98, 2004 http://www.elcroquis.es/
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commerciale. Vale anche per l’ecologia: l’uso attuale della parola “sostenibilità” – concetto per altro lodevole – è per lo meno allarmante. Tutte le volte che c’è un’utopia, secondo me, c’è anche un elemento da Grande Fratello, di social engineering, che genera mostri. Anche l’utopia ha una sua storia: c’è un bellissimo libro di Dolores Hayden, Sette utopie americane, in cui l’autrice analizza, per esempio, la comunità degli Shakers, che ha generato bellissime architetture. Gli Shakers si sono estinti per mancanza di figli, perché, per le loro leggi, dovevano adottare figli, per cui le comunità Shakers non esistono più, ma esiste la loro stupenda architettura. Possiamo anche andare a vedere i falansteri, realizzati sulla teoria di Charles Fourier, che cercava un socialismo utopista basato sul tema di quello che lui chiamava la passione “papillionaire2, farfallante. Oggi parliamo di utopia ma nessuno va a vedere le case del futuro di trent’anni fa: all’Expo di Montreal esiste una città del futuro ridotta a un baraccone. Diciamo che le utopie invecchiano molto velocemente. Secondo me l’architettura deve far sognare, però come una bella canzone: non dirmi cosa devo fare, fammi solo sognare. Invece le utopie cercano sempre di dirmi cosa vogliono farmi fare, mi vogliono salvare l’anima. Io non voglio essere salvato: non cantarmi la canzone per portarmi in paradiso, fammi sentire in paradiso con la tua canzone. Non convertirmi. Le utopie vogliono sempre insegnare agli altri cosa è meglio per loro, per questo non mi interessano molto. Mi interessa invece l’elemento sognatore dell’architettura. RC Crede che l’interdisciplinarietà sia necessaria nei progetti? CZ La mia educazione è molto interdisciplinare. Io ho avuto la fortuna di andare da giovane al MIT dove ho fatto quasi tutto, meno architettura. Ho studiato matematica, fisica, chimica a livelli molto alti. Ho una base culturale molto scientifica. Tornato in Italia, ho fatto quasi lo storico in certi periodi della mia vita. Stamattina ho comprato su internet Oblique Strategies del musicista Brian Eno: è una specie di mazzo di tarocchi, di carte, che parla di decisioni compositive, è come un “libro delle risposte” compositive. Penso che nell’architettura possano convergere sollecitazioni del tutto diverse; oggi però esiste un concetto di specializzazione: evidentemente l’architetto non è più capace di governare l’intera conoscenza del suo operato. Qualche mese fa ho assistito a una lezione di Rafael Moneo all’Accademia di Spagna, dove ha fatto vedere il suo primo progetto, bellissimo, uno dei progetti più belli che abbia mai visto; di quel progetto si era calcolato da solo le strutture! In Spagna l’architetto ha la responsabilità e può calcolare le strutture. Forse un architetto di oggi non è più in grado di coprire l’intero scibile. Il problema è: in che forma e con che livello di sofisticazione le discipline sanno dialogare tra di loro. C’è un modello interdisciplinare visto come pura sommatoria di competenze specifiche, è come se ci fosse l’anestesista, il chirurgo, l’infermiera e il riabilitatore, naturalmente
objects and handmade goods, and instead need to invent a “vision.” When a chair salesman comes my way, I tell him: don’t spend time telling me your “mission,” let me see if you have good chairs: if they’re good, I’ll buy them, if not, don’t start telling me that you want to save the world. Nowadays, no one here wants to sell chairs and everyone has to pretend to save the world. The architects who are making utopias are selling good sentiments to a industry that is ashamed of being commercial. The same goes for ecology: the current use of the word “sustainability” – a concept that is all in all praiseworthy – is alarming, to say the least. Every time we talk of utopia, in my view, there is also an element of Big Brother, of social engineering, ultimately resulting in monsters. Even utopia has its own history; there is a beautiful book called Seven American Utopias by Dolores Hayden, in which the author analyses the Shakers community that has produced beautiful architecture, for instance. The Shakers went extinct due to their lack of progeny because according to their laws, they had to adopt, so the Shakers community no longer exists, but their wonderful architecture remains. We could also go see the phalansteries, based on the theory of Charles Fourier, who searched for utopian socialism based on what he called “butterfly passion.” Today we speak of utopia, but no one goes to see the homes of the future from thirty years ago: at the Montreal Expos there is a city of the future that has been turned into a warehouse. Let’s be honest, utopias get old very quickly. In my opinion, architecture should make people dream, but only in the way that beautiful song does: don’t tell
me what to do, let me only dream. Instead, utopias always try to tell me what they want me to do; they want to save my soul. I don’t want to be saved: don’t sing me the song that will take me to heaven, let me feel like I’m in heaven by listening to your song. Don’t convert me. Utopias always want to teach others what is best for them, for this reason they do not interest me much. Conversely, I am interested in the dreamful element of architecture. RC Do you think that an interdisciplinary approach is necessary to carry out projects? CZ My education is very interdisciplinary. When I was young, I was lucky enough to attend MIT where I did almost everything, except architecture. I studied very advanced
interviews legati. L’altra questione è come noi riusciamo a dialogare e possiamo usare dei procedimenti di altre discipline, diverse dalla nostra, e se esistono dei “principi di lavoro” trasferibili da un campo all’altro: in questo senso parlavo di Brian Eno. Per esempio, lui in una di queste carte, dice: “fai quello che farebbe un tuo amico”, oppure 2sii meno severo con te stesso2, oppure “fai un campo base e da lì vai per variazioni”, oppure “isola un elemento vuoto e costruiscigli intorno una cornice sofisticata”. Tutte queste affermazioni perché potrebbero essere pertinenti alla musica come alla mia opera. Esiste una teoria generale della composizione, in questo caso artistica? È un tema interessante. Però alcune arti hanno, invece, delle specificità. Per esempio l’unidirezionalità temporale della musica non ha equivalenti in architettura. Diciamo che allora c’è bisogno, da parte di tutti quelli che metti intorno a un tavolo, di una grande capacità di narrarsi, di dialogare e poi di lavorare insieme, per cui non crederei nel mito interdisciplinare che non sia chiarito nei suoi presupposti. RC Esistono luoghi o momenti più adatti a facilitare il dialogo, a creare relazioni? CZ Il bar e una birra Corona con il lime. Il bar. Secondo me la cultura, come si faceva ieri nei salotti, si fa oggi al bar. RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, quali ritiene più significative per la strada professionale che ha intrapreso? CZ Come diceva Johann Heinrich Füssli, pittore zurighese amico di William Blake, “in arte le cose si trovano per caso ma si conservano per scelta”. Questo concetto si applica molto bene alla vita. La vita è un albero di decisioni, ramificato, dove dalla foglia alla radice il percorso è unico, ma dalla radice alla foglia ci sono mille biforcazioni. Alla fine di una vita, guardando indietro, hai l’illusione di una linea, ma dall’inizio della vita sembra più un labirinto. L’elemento che ci fa decidere, ad ogni bivio, da che parte andare, è il nostro carattere, la nostra indole, un minimo di razionalità e un po’ il tirare ad indovinare. Quello che voglio dire è che il nostro carattere è un meccanismo selettivo, come un DNA: il libro di Jacques Monod, Caso e necessità, spiega molto bene il rapporto tra mutazioni genetiche casuali e conservazione del DNA, che lei inanella e struttura. Così un libro, una persona, un luogo, possono avere molto significato, anche inatteso, però poi strutturato da una personalità che tende a mettere insieme. Prima mi riferivo a questa particolarità, di essere passato per caso, dagli estremi della cultura scientifica a quelli della cultura umanistica. Un mese fa ero un sabato pomeriggio, dagli stuccatori che stavano tracciando le curve di un nostro padiglione al MAXXI: geometricamente erano un incrocio tra un paraboloide e un ellissoide. Agli stuccatori ho detto: qui c’è un bernoccolo, perché avete sbagliato la derivata seconda. Mia moglie, lì presente mi ha detto: tu sei matto Cino cosa vai a parlare della derivata seconda a un povero stuccatore che sta lavorando il sabato. E io rispondevo convinto: se tu ti tocchi la testa e senti un bernoccolo, è un problema di derivata seconda. La derivata prima
math, physics, and chemistry. I have a very scientific cultural background. When I came back to Italy, I was almost a historian in certain periods of my life. This morning, I went online and bought Oblique Strategies by the musician Brian Eno: it’s kind of like a tarot deck, like a deck of cards that talks about compositional decisions; it’s like a “book of compositional answers.” I think that completely different questions can come together through architecture; today, however, there is specialization: clearly the architect is no longer capable of ruling over all the knowledge belonging to his discipline. A few months ago, I went to listen to a lecture by Rafael Moneo at the Spanish Academy in which he showed his first project, one of the most beautiful projects I have ever seen: he had calculated the structures for that project on his own! In Spain, the architect is given the responsibility and is allowed to calculate the structures. Perhaps an architect today is no longer able to cover all knowledge; the issue is about how and with which level of sophistication the disciplines interact with one another. There is an interdisciplinary model that is seen as a pure summation of specific areas of expertise, it’s as if the anesthetist, the surgeon, and the physical therapist were naturally attached. The other issue is how we can manage to communicate, use the procedures of other disciplines that are different from ours, and see if there are any “work principles” that are transferable from one field to another: I was talking about Brian Eno concerning this matter. For instance, in one of his cards he says, “do what your friend would do,” or “be less hard on yourself,” or “build a base camp and start with modifications from there,” or “ isolate an empty element and build a sophisticated frame around it.” All of these statements could be as relevant to music as to my work. There is a general theory of composition, I guess artistic in this case. It’s an interesting subject. Some arts do have unique elements, however. The temporal unidirectionality of music, for instance, does not have an equivalent in architecture. We could say, then, that all those you put around a table need to have great ability to narrate, to communicate, and to work together, hence I wouldn’t believe in the interdisciplinary myth that is not clear about its presuppositions. RC Are there places or moments that are more suited to facilitating dialogue, to creating connections? CZ A bar and a Corona with lime. A bar. In my view, the cultural dialogue that yesterday took place in living rooms, today takes place in bars. RC Within your cultural and life experiences, which do you think were the most important for the career path you pursued? CZ As said Johann Heinrich Füssli, a painter from Zurich who was friends with William Blake, “in art, things are found by chance but are kept by choice.” This concept is very applicable in life. Life is like a branched decision tree, where the path from the leaf to the root is unique but from the root to the leaf there are thousands of bifurcations. Looking back in time at the end of your life, you have the illusion of a line, but at the beginning of your life it looks like a labyrinth. The things that make us choose where to turn at each fork in the road
La Storia dell’arte raccontata da Flavio Caroli, Flavio Caroli, Electa Mondadori, 2001
Il caso e la necessità, Jacques Monod, Mondadori, 2001 Chance and Necessity: An Essay on the Natural Philosophy of Modern Biology, Jacques Monod, Alfred A. knopf, New York, 1971
www.fondazionemaxxi.it/
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interviews alessandro.lazzari@polimi.it
Il palazzo di Leonardo Spinola Costantino Baroni, Trivulziana Architettura, 1935 I palazzi della vecchia Milano, Giacomo C. Bascapè, Hoepli, Milano 1986
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di valore zero definisce in un’equazione un flesso o un punto di massimo e minimo, ma la derivata seconda - la tendenza alla variazione della derivata prima - esprime un rallentamento o un’accelerazione di una curva. Il calcolo vettoriale ci dà la possibilità di dare una formula matematica precisa a questo movimento. Sapere di poter descriverlo in maniera geometricamente esatta, dà un rigore anche alla nostra disciplina. Non sopporto l’elemento empirico delle persone che oggi sono nate con il computer, e non sanno niente delle regole della geometria analitica. Nello stesso tempo potremmo dire che la filologia, intesa come scienza storica, è la contropartita, di questo elemento scientifico. E’ come se io avessi rimbalzato come un ubriaco, tra lo studio dell’intelligenza artificiale e l’esegesi di un testo del Cinquecento. Sempre mia moglie, uscendo da una festa a palazzo Spinola a Milano, mi ha detto: che bel palazzo neoclassico! Tutti pensano che questo sia un palazzo neoclassico, ma in realtà è del ‘500. Io lo riconosco subito dalla base dell’ordine ionico “canonica”, e quindi che attesta cultura “vitruviana”, con collarino, un toro, una scozia e un’altra scozia, mentre la base attica che il neoclassico le sostituisce quasi sempre ha un toro, una scozia e un altro toro. Siccome la doppia scozia della base ionica originaria si rompeva spesso, ad essa si è sostituito nel tempo la base attica, che è pertinente al dorico; per cui la differenza tra lo ionico cinquecentesco e lo ionico neoclassico, si riconosce spesso da questa base; o meglio, un occhio esperto dovrebbe riconoscerlo. Sono stato autoironico in tutti e due i casi, sia per la derivata seconda che per la distinzione dello ionico vitruviano, però questa capacità di poter attivare una visione “sofisticata”, se ce n’è bisogno, secondo me è una discriminante. Non sto usando né la base ionica nei miei lavori né la derivata seconda, mi bastano le quattro operazioni della calcolatrice; ma questo tipo di educazione più profonda è quello che dà l’occhio “anatomico” sulla forma. Guardando un disegno di Michelangelo, capisci che ha studiato anatomia: se fa un muscolo, sa cosa c’è sotto. Avere metodo serve poi a liberarsi dal metodo stesso. Questo avviene attraverso persone, libri o luoghi. Ci sono delle persone al cui cospetto tu capisci che hanno lavorato a un’interpretazione del mondo estremamente originale. A Milano c’è, secondo me, un genio incompreso: si chiama Cesare Pellegrini, insegna a Bovisa, è un santone, un guru che vede cose che noi umani non vediamo e che il mondo professionale ha respinto perché la professione vuole ricette pronte. Persone o frasi ti suonano vere e non sai perché: come la bellezza irradia, così irradia l’intelligenza o la verità delle cose, senza dogmatismi. RC Se non avesse fatto l’architetto che cosa le sarebbe piaciuto fare? CZ L’altro giorno ho comprato una batteria elettronica. Avevo incontrato da Lucky Music un mio vecchio amico, Toto Zanuso, architetto anche lui, che faceva il batterista negli Stormy Six e mi sono ricomprato la batteria e
are our character, our disposition, a minimum of rationality, and an amount of well-educated guessing. What I mean is that our character is a selective mechanism, like DNA: the book Chance and Necessity by Jacques Monod does an excellent job at explaining the relation between random genetic mutations and the perpetuation of DNA that you twist and shape. In this way, a book, a person, or a place can have a huge, even unexpected significance. However, these influences are ultimately shaped by the personality, which has a tendency to assemble things. Earlier, I referred to this particularity, that of having gone from a scientific background to the humanities. A month ago, on a Saturday afternoon, I was with the stucco decorators who tracing the curves of our pavilion at the MAXXI: geometrically, they were a cross between a paraboloid and an ellipsoid. I told the stucco decorators: here there’s a bump, why did you mess up the second derivative. My wife, who was present, said to me: Cino, you’re crazy, why are you talking about the second derivative with a poor stucco decorator who is working on a Saturday. And I answered, determined: if you touch the head and feel a bump, it’s a problem relating to the second derivative. The first derivative with a value of zero defines an inflection point in an equation, in other words a point of maximum or minimum, but a second derivative – the tendency of variation in the first derivative – expresses a slowing down or an acceleration of a curve. The vectorial calculation gives us the chance to give a precise mathematic formula to this movement. Knowing how to describe in a geometrically exact way gives thoroughness to our discipline as well. I can’t stand the empirical element of people nowadays who are born with the computer and know nothing of the rules of analytic geometry. At the same time, we could say that philology, which is intended as a historical science, is the trade-off of this scientific element. It’s as if I had bounced back and forth, like a drunkard, between the study of artificial intelligence and the exegesis of a text from the fifteenth century. When leaving a party at the Spinola Palace in Milan, my wife told me, “what a beautiful neoclassical palace!” Everyone thinks that it’s a neoclassical palace, but in fact it dates back to the sixteenth century. I instantly recognize this from its Ionic “canonical” base, which therefore provides evidence for “Vitruvian” influence; it has a collar, a torus, a scotia and another scotia, whereas the Attic base used by neoclassicism almost always has a torus, a scotia, and another torus. Since the double scotia of the Ionic base broke quite often, it was substituted with the Attic base, which belongs to the Doric order; therefore, the difference between the Ionic architecture of the sixteen-century and the Ionic architecture of neoclassicism is often recognizable by this base; in any case, an expert’s eye should recognize them. I was using selfirony in both situations, in the case of the second derivative as well as in the identification of the Vitruvian Ionic structure, but if there is a need for this capacity for a “sophisticated” way of seeing, I think it’s a discriminating factor. In my work, I am using neither the Ionic base nor the second derivative, all that I need is the calculator; but this more profound type of education is that which gives that “anatomical” eye for
interviews stamattina prima di venire qua ho fatto una bella rullata in studio; erano 33 anni che non suonavo! Forse mi sarebbe piaciuto fare il musicista, perché io adoro il rock e credo che ci sia una canzone per ogni stato d’animo; la mia visione della musica rock è sostanzialmente religiosa, è la cosa più bella che c’è. RC C’è un progetto in cui si identifica di più? CZ Flaubert, scrivendo alla sua amante e scrittrice Louise Colet, dice: “Louise, sbagli, tu sei troppo sentimentale; lo scrittore non deve rivolgersi direttamente al pubblico, nei suoi romanzi deve essere come Dio, dappertutto e quindi in nessun luogo”. Secondo me, non bisogna rappresentare se stessi attraverso i progetti. I progetti sono quasi come dei figli, ma devono avere la loro vita. Un architetto che vuole considerare un progetto una rappresentazione di se stesso, sbaglia molto. Io vedo i progetti dotati di vita autonoma e trovo ogni tentativo di autorappresentazione anche volgare. Non bisogna confondere il problema artistico, che io considero abbastanza oggettivo, con un problema di soggettività dell’autore. Il romanticismo ha generato un eccesso di soggettivismo applicato all’arte e molti problemi di natura esistenziale si sono confusi con problemi di natura artistica, per cui noi diamo vita a delle configurazioni. Una configurazione è una forma che non viene interpretata da te, ma tende ad organizzarsi spontaneamente secondo una specie di minima economia formale. Se faccio otto punti in cerchio, a forma di ottagono, posso anche vederci dentro una stella o altre forme, ma se chiedo a dieci persone, queste mi daranno interpretazioni simili, perché c’è come una specie di economia di configurazione. Ora, secondo me, un progetto che vorrebbe fregiarsi del titolo di opera, ha “trovato se stesso” quando la differenza tra ciò che è e ciò che avrebbe voluto essere è minima. La maggioranza delle persone e la grande maggioranza dei lavori vorrebbero essere ciò che non sono e continuano a piagnucolare che il mondo non gli ha dato la possibilità di essere ciò che non sono. La scusa dei mediocri, è cercare di essere qualcun altro vestendone la parvenza esteriore: ogni ragazzina vorrebbe essere Avril Lavigne, semplicemente mettendosi i suoi sandali. Ora, quali progetti possiamo chiamare opere? Secondo me quelli che, alla fine del processo, manifestano una certa serenità, che è anche un’individualità, quando, cioè, un progetto trova se stesso all’interno di un tema e di un contesto. Io ho un rapporto strano con il progetto a Venezia, che forse è quello più noto del mio studio. Lo considero una canzonetta venuta bene, cioè è un motivo facile, talvolta troppo facile, è un po’ il “piccolo grande amore” dello studio Zucchi: sono costretto a cantarla ad ogni concerto, a farla vedere ad ogni lezione, prima o dopo mi tocca farla vedere. La lascio sempre alla fine nei power point, come i Rolling Stones lasciano Jumpin’ Jack Flash. Sto scherzando con metafora rockettara. Però, detto questo, è vero che quel progetto rappresenta l’essere a Venezia, l’essere contemporaneo, aver sostituito una fabbrica e l’essere
form. Looking at one of Michelangelo’s drawings, one knows that he studied anatomy: if he drew a muscle, he knew what was underneath. Having a method serves to liberate oneself from methodology itself. This happens through people, places, or books. There are people whose presence makes you understand they have worked to achieve an extremely original interpretation of the world. I believe that in Milan there is a misunderstood genius: his name is Cesare Pellegrini, he teaches at Bovisa and he is a saint, a guru who sees things that we humans don’t see and that the professional world pushed away because it requires pre-made recipes. Some people and some sentences really ring true to you, but you don’t know why: intelligence and truth illuminate without dogmatism in the same way that beauty illuminates its surroundings. RC If you hadn’t been an architect, what would you have liked to do? CZ The other day I bought an electronic drum set. I had met an old friend of mine at Lucky Music, Toto Zanuso who is also an architect, but he used to be the drummer for the Stormy Six, and I bought a new drum set. This morning, before coming here, I did a good jam session in the studio; it had been 33 years since I had played! Perhaps I would have liked to be a musician because I love rock and I think that there’s a song for every mood. My vision of rock music is essentially religious; it’s the most beautiful thing that exists. RC Is there a project with which you identify best? CZ In a to his lover, the writer Louise Colet, Flaubert wrote: “Louise, you’re making a mistake, you’re too sentimental; the writer should not directly address his audience, in his novels he has to be like God, everywhere and nowhere at once.” I don’t think one has to represent himself through his projects. Projects are almost like children, but they need to have their own lives. An architect who wishes to consider a project as a representation of himself is making a big mistake. I see projects as entities with an autonomous life and I find the attempt at self-representation vulgar. One should not confuse the artistic problem, which I consider rather objective, with a problem relating to the author’s subjectivity. Romanticism has generated an excess of subjectivity in the arts, and many problems having to do with existentialism are confused with issues relating to artistic nature, thus we give life to configurations. A configuration is a shape that is not interpreted by you, but that tends to spontaneously organize itself according to a minimum of formality. If I draw eight points in a circle, in the shape of an octagon, people could also see a star or other shapes, but if I ask ten people, they will all give me similar interpretations because there’s a sort of economy of configuration. Now, in my opinion, a project that would like to assume the title of artwork has “found itself” when the difference between what it is and what it would have liked to be is minimal. The majority of people and the great majority of works wish to be something they are not and make a fuss about the fact that the world didn’t give them the possibility to be what they are not. The excuse of the mediocrity is to try to be someone else by changing one’s outer appearance: every teenage girl would like to be Avril Lavigne simply by putting on her sandals.
www.luckymusic.com
Lettere d’amore a Louise Colet 1846-1848, Gustave Flaubert, ES editore, 2008 The Letters of Gustave Flaubert: 1830-1857, Gustave Flaubert, Belknap Press of Harvard University Press, 1980
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interviews
www.acnewman.net www.thenewpornographers. com/ www.wellesnet.com/
Milano Moderna, Fulvio Irace, Motta, Milano, 1997
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sull’acqua. C’è qualcosa di fisiognomico, c’è un edifico che ha una faccia, è un “tipo” diciamo. Per cui non posso negare a quell’edificio una sua completezza. C’è una canzone intitolata “un palazzo alle quattro del mattino”, di un altro mio idolo, A.C.Newman, che dice: “It was a straight shot, but baby would you call it art ...”, “È un colpo fortunato, ma ragazza, potresti chiamarla arte?”. Anche Orson Welles, nel film F for Fake, inizia a dire: “Da quando il mondo è nato, di fronte all’arte abbiamo un problema.” “Pretty but is it art?” “Carino, ma è arte?” In realtà la frase è tratta da un sonetto di Rudyard Kipling. Secondo me ogni distinzione tra arti maggiori e arti minori è caduta. Per dire che l’altro colpo fortunato è il Parco di San Donà di Piave, una specie di virgola bianca. Giorni fa ero sul sito di skateboardisti spagnoli che dicevano: “il parco di Cino Zucchi sarebbe perfetto ma ha i sassolini troppo grandi”, quindi davano un voto al mio parco; i bambini lo adorano per andare in bicicletta. Spero soltanto che non ci vadano con le moto perché lo sporcherebbero troppo di nero nel fare le impennate, però, in fondo, un parco serve anche a questo. Questi due oggetti hanno una dimensione anche domestica e consolatoria. Possono essere visti come figure particolarmente pregnanti, ma anche come oggetti che sopravvivono al quotidiano e questo per me è molto importante. La dimensione quotidiana e prosaica dell’architettura è connaturata alla sua arte. Un’architettura fruibile solo un giorno, secondo me, non è un’architettura. Ci devo convivere per molti giorni della mia vita, devo sentirla molte volte, come una canzone e ogni volta magari ci posso trovare qualcosa di diverso. Una poetica contro quella del mordi e fuggi, della spettacolarità, perchè c’è una dimensione consolatoria dell’architettura. Secondo me l’architettura è l’arte dello shelter, del rifugio. Dimenticare che l’architettura nasce per un bisogno di protezione, di comfort è dimenticarsi la sua natura più profonda; così diventa un progetto di sola comunicazione. In alcuni casi ci si riesce meglio, come, in un disco, c’è una canzone più riuscita. RC L’università oggi è un luogo capace di insegnare tutto questo? CZ Secondo me l’università è fatta di uomini e gli uomini sono delle manifestazioni locali dello stato presente della cultura. L’università è un semplice luogo dove degli uomini, pagati dallo Stato e arrivati lì per caso o per scelta, parlano agli altri di cosa bisogni fare. Alcuni predicano bene, alcuni predicano male. Alcuni si limitano a presentare delle tecniche, alcuni pontificano, vorrebbero dirti com’è la vita. Io credo che noi professori dobbiamo seriamente riflettere sul concetto di responsabilità individuale, specialmente all’università: c’è una legge sulla libertà di insegnamento che va capita bene. Naturalmente è una legge politica, nel senso che in alcuni momenti storici l’università, anche adesso, vive una condizione politica. Ad esempio io ho visto il foglio con cui Gustavo Latis, un bravo architetto che ha fatto la mia casa di Milano e che era ebreo, è stato buttato fuori dell’università, ai tempi delle leggi razziali: “professor Latis
Now which projects can we call masterpieces? In my opinion, those that manifest a certain serenity at the end of the process, meaning those that have a kind of individuality, in other words, when a project finds itself within a theme and a context. I have a strange relationship with the Venice project, which is perhaps the most renown in my studio. I think of it as a nice and successful ditty, an easy tune, sometimes too easy, it’s a kind of the “baby love” of the Zucchi studio: I am forced to sing it at every concert,
bring to every class lecture, sooner or later I have to show it around. I always leave it for the end of a Power Point, in the same way that the Rolling Stones leave Jumpin’ Jack Flash. I am joking with this rock metaphor. But, having said that, it’s true that that project represents being in Venice, being contemporary, substituting factories with being on the water. There is something physiognomic about it, it’s the kind of building that has a face, a “personality” let’s say. Therefore I couldn’t take away that building’s completeness. There’s a song entitled “The Palace at 4am,” by another idol of mine, A.C. Newman, which goes, “It was a straight shot, but baby would you call it art...” Even Orson Welles in his film F for Fake starts by saying “from the time the world was born, we have always had a problem in front of art. It’s pretty but is it art?” This sentence is actually taken from a sonnet by Rudyard Kipling. In my opinion, every distinction between major arts and minor arts has vanished. That is to say that the other straight shot is the Park of San Donà di Piave, a kind of white comma. A few days ago I was standing by some Spanish skateboarders who were saying, “Cino Zucchi’s park would be perfect but its cobblestones are too big.” They were in fact grading my park. Children love to go biking in it. I only hope that they don’t start driving motorcycles through it because they would get it too dirty by doing wheelies, although ultimately a park also serves this purpose. These two objects also have a homey and comforting dimension. They can be seen as particularly meaningful figures, but also as objects that survive the everyday; I find this aspect very important. The everyday and prosaic quality of architecture is inherent to its art. Architecture that can only be used for a day is not architecture in my opinion. I have to live with it for many days of my life, I have to feel it many times, like a song, and perhaps I can find something new in it everytime I encounter it. It’s the idea of not doing things quickly and
interviews da domani non può venire più qua”. Nessun professore del Politecnico, a quei tempi, disse nulla. L’università è uno specchio della società. In questo senso l’università è fatta da intelligenti, da proceduralisti, da pontificatori, da copioni, da gente che si fa il suo piccolo orticello. Non so parlare in senso collettivo, potremmo dire però che c’è una trasmissione orizzontale di cultura: è interessante quando professori e studenti formano non proprio una comunità scientifica, ma un luogo di scambio. Anche gli studenti hanno una cultura che oggi, per esempio, ha a che fare molto con internet, con delle immagini, è una specie di raggio laser che attraversa letteralmente tutto il mondo. Questo elemento, sostanzialmente sincronico è un asse diverso dall’elemento diacronico, genealogico della cultura trasmessa. Potremmo dire che i professori, secondo me in maniera errata, vedono talvolta l’università come una genealogia: c’era Rogers che ha insegnato ad Aldo Rossi e poi c’è Crotti e così via. Secondo me non hanno più capito lo stato culturale degli studenti, che è sostanzialmente orizzontale, nel bene e nel male; però un’istituzione deve anche avere un’inerzia, una “lunga durata”, è come una famiglia che ha le sue leggende interne. Un’università oggi è un meccanismo complesso, che unisce la cultura orizzontale degli studenti, sostanzialmente quasi amorfa e forse simultanea, a qualche genealogia verticale. RC Si sente debitore di qualcosa nei confronti della nostra città e cosa le ha dato Milano? CZ Ogni città è come una vecchia suocera: si amano i difetti della propria città. C’è un famoso passo di Carlo Emilio Gadda, che era ingegnere del Politecnico, che dice: “Milano è una brutta e mal combinata città, come quelle ragazzone venute su a polenta e busse”. Come dire, una ragazzona di campagna. Io amo Milano nei suoi difetti, mi piace come città. Non penso che sia la città più bella del mondo ma la città ti entra un po’ nella pelle in maniera sotterranea. C’è un complimento molto bello, di un italo-canadese che è venuto a lavorare da me. Mi aveva chiesto di vedere gli edifici del Portello. Dopo un mese di permanenza, quando non conosceva ancora bene Milano mi ha detto: Cino, più sto a Milano, più incomincio a vedere negli edifici del Portello delle risonanze strane che non sono citazioni letterali, ma è come se avessero assorbito una patina della città, qualcosa che sto scoprendo di giorno in giorno. Io ho trovato questa affermazione un bellissimo complimento. Non hai messo citazioni - che in realtà posso anche aver messo come, per esempio, un tetto di Caccia Dominioni - ma: hai ricreato un’atmosfera. Nello stesso tempo trovo inutili i dibattiti su come Milano debba rinascere: se una festa c’è, c’è; dire: facciamo la festa, dai ragazzi, mettiamo su dei dischi e balliamo, dai, siete tutti morti, beviamo un po’. Quando lo dici la festa sta andando male, per cui continuare a dire che Milano dovrebbe rinascere è inutile. Probabilmente i momenti migliori di Milano sono stati quando la gente stava facendo qualcosa quasi senza saperlo, negli anni ‘50-’60, che adesso noi viviamo come mitici, ma quelle
messily, or just to show off, because there’s a comforting quality in architecture. In my view, architecture is the art of creating a shelter, a refuge. To forget that architecture is born from a need for protection and comfort is to forget its most profound nature; it would become solely a project of communication. In some cases we are more successful, in the same way that on an album there is one or several songs that are more successful. RC Is the university nowadays a place capable of teaching all of this? CZ I believe that university is made up of men, and men are local manifestations of the present state of culture. A university is simply a place where a group of men, who were paid by the State and arrived there by chance or by choice, talk to others about what needs to be done. Some preach well, others badly. Some limit themselves to only presenting strategies, others pontificate and would like to tell you how life is. I think that we professors need to seriously reflect on the concept of individual responsibility, especially at the university: there’s a law on the freedom of teaching that needs to be well understood. Naturally, it’s a political law, in the sense that in many moments throughout history and even now, universities are ruled by political conditions. For instance, I saw the paper with which Gustavo Latis – a great architect who built my house in Milan – was thrown out of university for being Jewish during the period of racism. The eviction read: “starting tomorrow Professor Latis can no longer be here.” No professor at the Polytechnic said anything at that time. Universities are the mirror of society. In this sense, universities are made up of intelligent individuals, practical people, dogmatists, copycats, and of people who cultivate their own little garden. I don’t know how to describe it in a collective sense, but we could say that there’s a horizontal transmission of knowledge: it’s interesting when professors and students don’t really form a scientific community, but a site of exchange. Students too have culture and knowledge, which today, for instance, have mostly to do with the Internet and with images, a kind of laser ray that covers literally the entire planet. This essentially synchronic element is different from the diachronic element which has to do with culture as it is transmitted genealogically. We could say that professors sometimes see universities as a genealogy, a viewpoint that I believe to be flawed. For instance, there was Rogers who taught at Aldo Rossi and then there was Crotti and so on. In my opinion, they no longer understand the cultural state of their students, which, for better and for worse, is essentially horizontal: but an institution should also have inertia, or a long-term duration, it’s like a family that has its internal legends. A university today is a complex mechanism that unites the horizontal culture of the students, which is on the whole almost amorphous and perhaps concurrent with some vertical genealogy. RC Do you feel indebted towards our city and what would you say Milan has given you? CZ Every city is like an old friend: you end up liking the flaws of your own city. There’s a famous passage by Carlo Emilio Gadda, who was an engineer at the Polytechnic, in which he said, “Milan is an ugly and messy city, like those no-nonsense
www.carloemiliogadda.net
www.cidizeta.it www.azucena.it Caccia Dominioni e Milano, Elena Triunveri in Domus n.790, 1997 pag.114
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www.archiportale.com/ progetti/cino-zucchi/ milano/museo-diocesanofinalista_4714.html
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persone stavano semplicemente sperimentando molto, con freschezza, nella musica, nel teatro, nell’architettura, e solo dopo si crede che ci fosse un movimento. Il magico non lo prescrivi con la ricetta, quindi basta dire che Milano “deve rinascere”: facciamola rinascere senza dirlo. RC C’è un progetto che vorrebbe realizzare a Milano? CZ Ci sono tanti angoli bellissimi di Milano irrisolti, oppure sotto occupati. C’è per esempio il buco davanti alla FNAC e a San Sebastiano, in via Torino, che io vedo così da quando ero bambino. È ancora un buco della guerra. La ragione per cui è rimasto tale è che, secondo il piano regolatore del dopoguerra la zona aspettava uno sventramento, come altri punti di Milano. Sarebbe divertente tapparlo oggi con una specie di otturazione dentaria, con un dente particolare. Recentemente ho fatto un concorso per il museo diocesano che è tra corso di Porta Ticinese e il Parco delle Basiliche; anche lì c’è un buco, lasciato dalle bombe, da riempire, da lasciar vuoto, da reinventare: questo è molto interessante. Potremmo dire che mi interessano i luoghi di Milano irrisolti, dove la risoluzione non aspetta semplicemente un tappo, ma avrebbe bisogno di una reinterpretazione. RC Grazie.
country girls.” In other words, like those big, brawny country girls. I love Milan in its flaws; I like it as a city. I don’t think that it’s the most beautiful city in the world, but the city gets under your skin in a bit of an underground manner. An Italian-Canadian who came to work with me gave it a very nice compliment. He had asked me to see the Portello buildings. Within a month of his stay, when he still didn’t know Milan very well, he said to me: Cino, the more I stay in Milan, the more I start to see strange resonances in the Portello buildings that are not literary citations, but it’s as if they had absorbed a patina of the city, this is something I’m learning every day. I found this statement to be a beautiful compliment. He said that I didn’t put citations – which in reality I could very well have put, for example in the roof of Caccia Dominioni – but that I recreated an atmosphere. At the same time, I find the debates about how Milan needs to be reborn completely useless: if there’s a party, there’s a party. In other words, it’s like saying, let’s party, come on guys, lets put on some music and dance, come on, you’re all dead, let’s drink a bit. When you say this, it means that the party is going badly, therefore it’s useless to continue saying that Milan should be reborn. Probably, the best times for Milan were when people were doing something almost without knowing it, in the 50’s and 60’s, which we now look back on as legendary years. But those people were simply experimenting a lot with a fresh perspective: in music, in theater, in architecture... and only later people thought to explain it as a movement. You don’t prescribe magical moments with a recipe, such as “Milan needs to be reborn”: let us bring it back to life without saying it. RC Is there a project you would like to do in Milan? CZ There are many beautiful corners of Milan that are unresolved or under-inhabited. For example, there’s the hole in front of the FNAC and at Saint Sebastian on via Torino, which have been this way since I was a kid. It’s still a hole from the war. The reason it stayed this way is that, according to the land use plan in the aftermath of the war, the area was waiting to be knocked down along with many other sites throughout Milan. It would be funny to close up that hole today with a kind of dental filling, with a particular tooth. Recently, I participated in a competition for the diocesan museum which is between the corso di Porta Ticinese and the Parco delle Basiliche; there is a hole there too that was left there by the bombs and needs to be filled, left empty, or reinvented: this is very interesting. We could say that I am interested in the unresolved areas of Milan, where the resolution does not consist in simply putting a plug on the hole, but where the hole actually would need to be reinterpreted. RC Thank you.
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suggestions and case study
Articoli/Columns: Camilla Brighi, Nicolò Gobini
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L’autostrada Pedemontana: un progetto partecipato
Pedemontana highway: a partecipated project
L’Autostrada Pedemontana Lombarda è un’opera viaria molto complessa. Si tratta di una grande infrastruttura - 87 km di autostrada e 70 km di nuova viabilità locale che si inserisce in un ambito territoriale sostanzialmente urbano, densamente abitato e fortemente edificato, cresciuto in modo disordinato e in cui ben poco rimane del paesaggio originario: la città infinita cresciuta a nord di Milano. Nella progettazione di quest’autostrada particolare cura è prestata ad alcuni fondamentali aspetti: - la qualità intrinseca dell’infrastruttura, che non dovrà essere concepita in relazione ai soli aspetti funzionali ma anche a quelli architettonici e più generalmente estetici; - le modalità di inserimento nel paesaggio, finalizzate ad
Lombardy’s Pedemontana highway is a very complex road work. It’s a major infrastructure which encompasses 87 km of highway and 70 km of new local viability, which fits in a substantially urban territorial area, densely settled, grown in a disorderly way and in which little of the originary landscape remains: the infinite city grown in the north of Milan. The project of the highway has been thought with the goal of paying a particular attention to these fundamental aspects: -the intrinsic quality of the infrastructure, which won’t have to be exclusively designed in relation to functional aspects, but envisaging purely architectural and esthetical ones too;
tip-off evitare ulteriori effetti barriera e pensate anzi come una opportunità per provare a restituire ordine e armonia; - la relazione con l’ambiente, non limitata ai tradizionali interventi di mitigazione ma arricchita di valenze attraverso la co-progettazione di adeguati interventi di compensazione ambientale; - il contenuto di innovazione nella gestione dell’infrastruttura, per esempio nelle modalità di esazione del pedaggio o di produzione dell’energia da fonti rinnovabili; - la relazione con il territorio e con le sue dinamiche di sviluppo. Per mantener fede a questi principi è stata dunque basilare la collaborazione di diversi enti pubblici nonché di professionisti: architetti, paesaggisti, ingegneri, fotografi, sociologi ed economisti si sono visti necessariamente e reciprocamente utili e fondamentali. Il libro “Pedemontana Lombarda: strada, comunità, città
-the modalities of the insertion in the landscape, trying to avoid ulterior barrier-effects, trying to bring back order and harmony - the relationship with the environment, not narrowing the interventions to traditional mitigating ones but trying to coproject adequate ones of environment compensation; - the content of innovation in the handling of the infrastructure, the exaction of the toll or the production of energy from renewable sources for example; -the relationship with the territory and its development dynamics. In order to fulfil these principles, the collaboration of various public bodies and professionals: architects, landscape artists, engineers, photographers, sociologists and economists has been essential. The book: “Pedemontana Lombarda: strada, comunità, città infinita” highlights this cooperation, emphasizing the fundamental steps which have made this ambitious
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tip-off infinita” mette in luce questa intensa cooperazione, evidenziando i più significativi passaggi che hanno reso possibile questo ambizioso progetto. Al termine dei lavori l’Autostrada Pedemontana Lombarda collegherà 6 province (Bergamo, Lecco, Monza e Brianza, Milano, Como e Varese), in un territorio abitato da circa 4 milioni di persone dove operano oltre 300.000 imprese. E’ infine importante notare che l’Autostrada Pedemontana Lombarda rappresenta anche un’occasione per ricostruire paesaggio, ambiente, territorio. È questo lo spirito che ha già portato a coinvolgere esperti di livello nazionale ed internazionale, e a incontrare in tutti i territori interessati i rappresentanti delle forze sociali e delle istituzioni locali.
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project possible.At the end of the works the Pedemontana highway will connect 6 provinces (Bergamo, Lecco, Monza e Brianza, Milano, Como and Varese), in a territory populated approximately by 4 Million people and in which operate more than 300’000 enterprises. It’s important to say that the Pedemontana highway represents an chance to rebuild the landscape and the territory. This spirit has already led to involve nation-wide and international-wide experts, and to encounter the representatives of the local institutions and social forces of each territory.
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RenaissanceLink.com: visione narrazione e costruzione
RenaissanceLink.com: vision, narration and fabrication
Abbiamo incontrato il sociologo Francesco Morace per parlare della nascita a Milano di un’associazione/ piattaforma, The Renaissance Link, che a fronte di una crisi globale vuol farsi interprete di innovazioni possibili. E’ una comunità che riparte dalle persone e dalla voglia di rielaborare la crisi. Una piattaforma on-line e un laboratorio che mescola discipline con la voglia di sperimentare nuovi modelli di business e nuove qualità di vita. Una Associazione con un Manifesto, pratiche da consolidare, progetti da condividere, regole da inventare. Mai da soli, sempre in relazione: affrontando la fatica del confronto. Il Rinascimento inventò la prospettiva. La prospettiva di oggi è il link, un nuovo legame che apre al rinnovamento. I progetti che l’Associazione intende promuovere saranno articolati: l’individuazione di nuovi modelli di business, la configurazione di nuove alleanze trasversali e internazionali, il circolo virtuoso e creativo tra diverse discipline, il rilancio del “made in Itlay”, la rinascita di Milano. Trae origine da quest’idea e dalla collaborazione di Francesco Morace e Giovanni Lanzone (filosofo) anche un libro, “Una scommessa per il futuro dell’Italia”, i cui postulati parlano di bellezza per un futuro possibile e migliore e di verità non solo come un ideale, ma come necessità di tutti i giorni. Attorno a Renaissance link si sta inoltre creando una community di persone con voglia di collaborare, un network di idee capaci di sfruttare la rete con voglia di fare e in modo partecipato.
We have met the sociologist Francesco Morace to talk about the birth of an association/platform in the city of Milan which interprets the possible innovation necessary to tackle a global crisis; the Renaissance Link is born, a community which starts with the people’s desire to revise the crisis. An online platform is a laboratory which blends disciplines with the desire to experiment new business models and a new quality of life. An association with a manifest: consolidate practices, share projects, invent rules. Never alone, always in relation: facing the confrontation’s hardship. The Renaissance invented perspective. Today’s perspective is the link, a new bond which leads to renovation. The projects endorsed by the association will be articulated: the detection of new business models, the configuration of new transversal and international alliances, the virtuous and creative circle amongst disciplines, to revitalize the “made in Italy”, Milano’s rebirth. From this idea and the collaboration of Francesco Morace and philosopher Giovanni Lanzone stems a book titled “A bet for Italy’s future” whose postulates tell about beauty for a better future and of truth as a necessity and not only as an ideal. Furthermore a community of people willing to cooperate has been created, a network of ideas capable to exploit the net in a participate and constructive way.
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Milano Fiori: una progetto corale
Milano Fiori: a choral planning
Milanofiori, è posto nell’area adiacente all’autostrada A7, a sud di Milano. Il progetto urbanistico, ad opera dello studio Capelli Architettura e Associati, Milano e FOA Federico Oliva Associati, Milano, comprende edifici destinati a varie funzioni : uffici, residenze, esercizi commerciali , un cinema multisala, un hotel, un centro fitness e benessere, un polo universitario, parcheggi e una piazza centrale e un parco attrezzato. Il masterplan è stato disegnato dallo studio (EEA) Erick van Egeraat di Rotterdam con sedi a Londra, Praga, Budapest e Mosca. Il nuovo quartiere occupa 360 mila metri quadrati, di cui 218mila costruiti, per un investimento di 480 milioni di euro. La volontà di rendere il quartiere il più possibile eterogeneo e differenziato ha portato alla scelta di coinvolgere diversi architetti per la progettazione degli edifici tra cui Erick von Egeraat che oltre al masterplan firma la parte uffici, lungo l’autostrada, che proteggono da rumore e traffico le abitazioni; OBR Open Building Research, Genova, che ha progettato 105 appartamenti dai 40 ai 200 metri quadrati, costruiti secondo principi di sostenibilità ambientale; studio 5+1AA Agenzia di Architettura, Genova, per la parte commerciale che fronteggia l’attuale Carrefour; Archea Associati, studio fiorentino di Marco Casamonti; CZA Cino Zucchi Architetti, Milano. Tra gli obiettivi del progetto c’è la volontà di realizzare degli spazi di elevata qualità ambientale in cui l’architettura e il paesaggio siano di alto livello.
Milanofiori is located in the area besides highway A7 in the south of Milan. The urban planning, by the Studio Capelli Architettura Associati, Milano and FOA Federico Oliva Associati, Milano, encompasses buildings destined to various functions: offices, residences, business, a movie theatre, an hotel, a fitness centre, an university dislocation, parking lots, a central square and a park. The master plan has been drawn by the EEA Erik Van Egeraat of Rotterdam with bases in London, Prague, Budapest and Moscow. The new neighborhood occupies 360 thousand square metres, of which 280 thousand built, for an investment of 480 million euro. The will of making the neighborhood as heterogeneous and differentiated as possible has led to the choice of involving various architects for the buildings’ planning amongst which is Erik van Egeraat, who besides the master plan, planned the offices along the highway who protect the inhabitants from the traffic’s noise; OBR Open Building Research, Genoa who projected 105 flats between 40 and 200 square metres, built after the principles of environmental sustainability, studio 5+1AA Agenzia di Architettura Genoa, for the business part; Archea associate, a Florentine studio of Marco Casamonti; CZA Cino Zucchi Architetti, Milano. Amongst the objectives are the will to realize spaces of heightened environmental quality in which architecture and landscape are of a high level. The green areas were planned by Amber Architecture, whose
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Il verde, progettato da Amber Architectures, studio diviso tra Rotterdam e Milano, è un punto centrale del progetto in quanto occupa più di 136.000 metri quadrati, di cui 113.000 di parco pubblico e contribuisce ad integrare il nuovo landmark artificiale con l’ambiente naturale preesistente. Per Massimo Bertolano di Amber Architectures, impegnato nella progettazione del verde: “ Questo masterplan non vuole creare semplicità. (…) Il verde è uno dei tanti elementi di questa città nella città, crea compenetrazione dialettica, esistenziale e reale, perchè va a riallacciarsi al verde esistente”. Massimo Bertolano, nell’intervista che ci ha concesso, definisce l’importanza della multidisciplinarietà proprio partendo dall’esperienza di Milanofiori: “ Nella fase di transizione che stiamo vivendo, ci vuole un apporto di team all’analisi dei fenomeni urbani, alla loro interpretazione e, naturalmente, anche alla fase fisica di trasformazione di questa realtà: nel nostro processo di sviluppo globale, il team work è essenziale”. Utilizzando l’esempio di Milanofiori è interessante vedere come funziona: “ Il team di sviluppo del progetto partì da un imput economico: un economista si legò al team di ricerca creativa del cliente, la ING Real Estate, che faceva ricerche di mercato legate all’architettura, per cui ci fu una connessione di fattori economici a livello di visus plan di mercato, in sintesi quanti metri quadri servono per ottenere un certo tipo di profitto. Il terzo elemento fu l’interfaccia di architettura urbanistica più legata alle
offices are divided between Rotterdam and Milan, it is a central point of the project, as it occupies more than 136.000 square metres, of which 130.000 of public park and contributes to the integration of the new artificial landmark with the preexistent natural environment. Massimo Bertolano, stressed the importance of multidisciplinariety in our interview with him starting from the experience of Milanofiori: in the phase of transition in which we live, a contribution of a team analysis of urban phenomena, to their interpretation, and, naturally of the physical phase of transformation is essential: in our process of global developing the teamwork is crucial. Utilizing Milanofiori’s example it is interesting to see how it works: the developing team started from an economical input: an economist allied to the customer’s team of creative research, The ING Real Estate, which plans market researches tied to architecture, a connection of economical factors on the market’s visus plan level took thereby place, in synthesis how many square metres are needed to make a profit. The third element was the urban architecture’s interface tied to the normative issues, while a fourth element is constituted by the relationship with people dealing with branding, who tackle the issue in terms of communications like Pirella, Oliviero Toscani and Paul Horst do. When the Hollander (Erik van Egeraat, editor’s note) enters in the project he brings with him the kind of communication he believes to be important, because of him already being accustomed to a market-bound project development. 131
tip-off questioni normative, mentre un quarto elemento è costituito dal rapporto con persone che si occupano di branding, che affrontano la questione in termini comunicativi come fa Pirella, Oliviero Toscani, Paul Horst. Quando l’olandese ( Erik von Egeraat, ndr) entra nel progetto porta con sè quel tipo di comunicazione che per lui è molto importante perchè è già di partenza portato a uno sviluppo del progetto legato al mercato. Mancava la parte sociale, abitualmente connessa al fenomeno del masterplan pubblico. Me ne occupai io come architetto, perchè non ci fu la presenza di un ente, di una persona specifica nel team e questo sarebbe il quinto elemento che serve per poter fare un lavoro d’assieme, cioè , in maniera molto schematica: economia, programma d’investimento, interfaccia di architettura urbanistica, narrativa e sociologia”. Bertolano inoltre chiarisce il suo atteggiamento: “ la mia tolleranza rispetto al tema dell’interdisciplinarità parte sempre da una tolleranza personale o da una volontà di trasformare un input senza opporsi per partito preso o secondo un dogma, ma trasformarla in valore rispetto a un dogma superiore”. In questo senso, sottolinea anche l’importanza della sua esperienza olandese: “ Quella su cui ho investito molto tempo ed energie e che mi ha
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The market side, usually linked to the public masterplan phenomena, was missing. I took care of it as an architect because there wasn’t a local authority, of a specific person in the team, and this is the fifth element needed in a combined work, or, expressed schematically: economy, investment plan, urban architectural interface, narrative, sociology.” Bertolano clears his behavior further: “ my tolerance versus interdisciplinary theme always starts from a personal tolerance or a will to transform inputs without opposing from the start or following a dogma’s dictates, but transforming it following a higher dogma.” In this sense, he underlines the importance of his hollandaise experience:” What I invested time and energies in and which has help me to detach from the disciplinary hypocrisy, which in Italy had risked to slow many urban projects, because architecture had stopped dialoguing with society economy, which it has been changing in the last few years. Holland has never separated architecture from the economic phenomenon, their functionalism, tied to the Calvinist culture, can never lack: the relationship with budget, whit the program, with the language is direct.” At the question of which he believed to be the more complex and significant phases of an urban architectural project he answered:” The first is up to the client: a question has to come in; the most clear the input, the earlier one can start with
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aiutato a staccarmi dalla ipocrisia disciplinare che, in Italia, aveva rischiato di rallentare alcuni processi di sviluppo urbano perchè l’architettura aveva perso la maniera di comunicare con la società e con l’economia che invece da qualche anno sta recuperando. L’Olanda non ha mai separato l’architettura dal fenomeno economico, il loro funzionalismo, legato alla cultura calvinista ,non può mai mancare: il rapporto col budget, con il programma ,con il linguaggio, è diretto”. Alla domanda su quali ritenesse fossero le fasi più complesse e significative di un progetto di architettura urbanistica ci ha detto: “ La prima spetta al cliente: deve arrivare una domanda; quanto più questo input è chiaro, tanto più si può partire con la prima fase del progetto. Se non ricevo dal cliente una ipotesi di lavoro, una domanda, non posso pensare correttamente. La seconda è come “to process”, come sviluppare il metodo di lavoro. Noi abbiamo la disciplina, se facciamo un confronto con i nostri colleghi, quelli che ci aiutano a lavorare, cioè gli ingegneri, ma c’è sempre un team, per questo parlo di collaborazione tra colleghi della disciplina e i primi sono loro, c’è poco da discutere. Loro pensano in un modo, noi in un altro (…) noi abbiamo il dovere di allargare l’immaginario e loro, i nostri colleghi, i nostri cugini, hanno il dovere di applicare il metodo scientifico allo sviluppo del progetto”.
the project’s first phase. If I don’t receive a work hypothesis, a question, I can’t think correctly. The second is “how to process”, how to develop the method of work. We possess the discipline, if we make a comparison with our engineering colleagues, who help us with our work, but there is always a team, it’s because of this that I speak about the collaboration of colleagues, and they are the first, in indubitable. They think in a way, we in an other one (…)new have the duty to broaden the imaginary, they have to apply the scientific method to a project.
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Foresta Nascosta: museo temporaneo di quartiere
Foresta Nascosta: temporary museum of a neighborhood
Foresta Nascosta è un progetto pubblico ideato da Matteo Balduzzi (architetto), Daniele Cologna e Stefano Laffi (sociologi),artisti e ricercatori milanesi, per creare una sorta di grande album di famiglia della città. Foresta è quella formata dagli alberi genealogici, cioè dall’insieme delle storie delle famiglie di San Giuliano, che affondano le proprie radici nel passato e crescono intrecciandosi fino a creare la complessa realtà sociale di oggi. Nascosta rappresenta la sfida del progetto, ossia portare le persone a raccontarsi e a mostrarsi: gli attori sono gli abitanti, la storia sono le loro biografi e, le immagini sono quelle preziosamente conservate nei cassetti e negli album di famiglia. L’intero progetto è in bilico tra pubblico e privato. I racconti sono a volte quelli dei momenti importanti della vita della città, le immagini che hanno fatto la storia locale. Ma più ancora la ricerca è stata quella di tesori apparentemente solo privati che all’interno di una cornice comune assumono invece un forte valore collettivo. L’idea è quella di creare un’opera condivisa e libera in cui le persone possano sentirsi abbastanza protette e allo stesso tempo protagoniste da raccontare le proprie memorie, anche intime e personali, in quanto parte di un unico racconto corale e sfaccettato, di un dialogo vero.
Foresta Nascosta is a public project ideated by Matteo Balduzzi (architect), Daniele Cologna and Stefano Laffi (sociologists), and Milanese artists and researchers, to create a sort of big family album of the city. The forest (foresta) is constituted by the genealogical trees, by the stories of San Giuliano’s families, whose roots delve in the past and whose branches grew up and intertwined, creating today’s complex social reality. Hidden (nascoasta) represents the challenge of the project, that is to lead the people to talk about ad to show themselves: the actors are the inhabitants, the story are their biographies and the images are the ones they safely guarded in cupboards and family albums. The entire project is poised between public and private. The tales are sometimes those of the crucial moments of the city’s life, the images which made local history. But the research has been more centred on apparently private treasures which take on a strong collective value within a common frame. The idea is to create a free and shared work of which people can feel to be the protagonists of, and at the same time feel sheltered by, able to tell their memories, even personal and intimate ones, inasmuch pieces of a coral and multi-faceted tale, of a true dialogue.
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E si muove tra passato e futuro: ci sono i ricordi, ma l’uso dei mezzi di comunicazione, il lavoro svolto in tempo reale, il linguaggio che Foresta Nascosta utilizza sono assolutamente contemporanei. Le parole sono quelle di chi ha radici profonde ma sono state raccolte da giovanissimi del territorio, formati dagli autori a farsi ascoltatori sensibili. Questo è anche un modo per cercare il senso di comunità perduto, per capire che l’identità è molteplice e si costruisce nel tempo, per dare fiducia alle persone sull’importanza del proprio ruolo sociale, per creare un’occasione di scambio fra le generazioni, per dare valore a parole e immagini altrimenti sommerse, per far emergere la profonda umanità di un quartiere e alla fine di un’intera città. Da marzo 2009 a marzo 2011, il progetto si muove attraverso cinque quartieri della città, ognuno simbolo di un decennio di storia urbanistica e sociale dal dopoguerra ad oggi. Le storie personali e le fotografie di famiglia degli abitanti sono raccolte da un gruppo di ragazzi di San Giuliano e acquisiscono dimensione e visibilità pubblica attraverso l’esistenza fisica nella città di due container, il Museo Temporaneo di Quartiere, e attraverso la continua presenza sulla stampa locale. La presenza di Foresta Nascosta sui media, intesi come estensione dello spazio pubblico, luogo di discussione e di confronto, è un aspetto fondamentale nella comunicazione e diffusione del progetto. Le immagini e le storie di Foresta nascosta sono pubblicate con cadenza settimanale sulle pagine dei media partner del progetto con due progetti ad hoc, quello della Gazzetta del Sud Milano e quello che compare su Il Cittadino.
And it moves between the present and the past: there are memories, but the use of the media, the real-time work, the language utilized by Foresta Nascosta, are wholly and truly contemporary. The words are those of people with deep borrowing roots, but have been collected by the young of the territory, formed by the authors to become sensitive listeners. It is also a way to look for the lost community sense, to understand that identity is manifold and is built in time, to bring confidence to the people about the importance of their social role, to create an opportunity of exchange amongst the generations, to give value to words and images otherwise submerged, to bring to the light the profound humanity of a neighbourhood and ultimately of a city. From March 2009 trough March 2011, the plan will run through five districts of the city, each symbol of a decade of urban history from the post-war years up until today. The personal stories and family pictures of the inhabitants have been collected by a group of San Giuliano’s young people and acquire dimension and visibility through the presence of two containers, (the temporary neighbourhood’s museum), and through the continued presence on the local press. The presence of Foresta Nascosta in the media, as an extension of the public space, a place of dialogue and exchange of views, is a fundamental facet in the project’s diffusion. Foresta Nascosta’s images are published weekly on the pages of the media partners of the project with two ad hoc projects, the one of Gazzetta del Sud di Milano and the one which appears on the Cittadino.
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tip-off anna detheridge connecting cultures
connectingcultures.info http://vimeo.com/ user3310565
www.artplaces.org
vettabbia.wordpress.com/
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Ricerca e azione: il metodo di Connecting Cultures
Action Research: the method of Connecting Cultures
ReConnection Qual è, secondo lei, l’apporto più significativo che un’associazione culturale come Connecting Cultures, può dare alla lettura dei fenomeni urbani e alla comprensione del territorio? Anna Detheridge Noi ci siamo proposti soprattutto come agenzia di ricerca interdisciplinare, per cui la prima cosa che tentiamo di fare è quella di proporre una forma di ricerca sul territorio che metta insieme discipline diverse, partendo ovviamente da quella che è la nostra competenza principale, quella artistica. Noi siamo curatori di progetti d’arte rivolti al territorio, con una finalità da un lato di ricognizione, di lettura e comprensione del territorio e del paesaggio ma, allo stesso tempo, in questa ricerca c’è anche un aspetto pragmatico, l’obiettivo di far nascere qualcosa. Il principio di base dal quale partiamo, infatti, è quello di ricerca-azione, che nella sociologia americana significa una ricerca che parte con delle premesse teoriche che vengono successivamente verificate sul campo. La particolarità di questa metodologia è che ciò che viene verificato sul campo deve tornare a modificare le premesse iniziali in modo da poter aggiornare in continuazione le premesse iniziali. Quello che si trova e le persone con cui si lavora fanno parte attiva di questa ricerca, il che significa che il posizionamento di chi fa ricerca non è quello di chi si mette su un piano diverso e esamina attraverso un binocolo quelli che sono i fenomeni che si trova ad indagare, ma partecipa insieme alle persone, ai luoghi o agli stake holders, alla ricerca di verità, soluzioni, suggestioni. Questo rende diversa la modalità e la metodologia di lavoro e ci permette anche di correggere tutta una serie di presupposti sbagliati; è più duttile e fa parte di quello che gli americani chiamano la sociologia qualitativa piuttosto che quantitativa. RC In queste ricerche quali sono le fasi più complesse o significative? AD Ci sono due aspetti: uno è la ricerca di conoscenza dei luoghi. Se parliamo di un territorio, considerato che la nostra ricerca si sviluppa in campo urbano, è importante identificare i luoghi critici, che riservano le cose più interessanti. Molto spesso si fanno progetti, soprattutto progetti d’arte, nei luoghi più belli oppure in luoghi privati, parchi, giardini, per inserirci delle opere che, a mio parere, spesso non hanno alcun senso, oppure si utilizza un pezzettino di rotonda e ci si mette, che so, la defecazione dell’assessore. Invece quello che a noi sembra importante, per una progettazione che abbia un senso, è andare a cercare i luoghi critici, i luoghi dove ci sono degli incroci mancati, delle rimozioni, dove un progetto incontra l’altro e non è mai stato finito, dove manca una connessione; andare a cercare quei luoghi che potrebbero essere riconnessi, rimessi in gioco e che
ReConnection What do you think is the most significant contribution that a cultural association like Connecting Cultures can make to the interpretation of urban phenomenons and to the understanding of regions? Anna Detheridge We have mostly presented ourselves as an interdisciplinary research agency, therefore the first thing that we attempt to do is to put forth a kind of regional research that combines different disciples, evidently starting from our primary area of competence, the artistic one. We are curators of art projects that deal with the territory, with the aim of surveying and re-interpreting regions and landscapes, but at the same time, in this type of research, there is also a pragmatic aspect, the objective of giving birth to something. The basic principle from which we begin, in fact, is that of action research, which in American sociology means research that emerges from certain premises and therefore verified on the field. The particularity of this approach is that what is verified on the field must come back to amend the initial premises in order to continuously update the initial premises. What we find and who we work with are an active part of this type of research, which means that the position of the researcher is not that of someone who places himself on a different plane and examines his subjects through binuculars, but rather of someone who partakes in the search for truth, solutions, and recommendations together with the people, places, or stakeholders he is investigating. This results in different research modalities and methodologies, and also allows us to rectify an entire series of misconceptions; it is a more ductile type of research and comprises what Americans call qualitative rather than quantitative sociology. RC What are the most complex or the most significant phases in this kind of research? AD There are two aspects: one is the research dealing with the understanding of regions. If we talk about a region, given that in any case our research is developed in urban sites, it is also important to identify the critical places in the field, the places that contain the most interesting subjects. Projects, especially art projects, often are developed in the most beautiful or most intimate places, such as parks or gardens, in order to insert artworks that, in my opinion, often make no sense, or they use part of a rotunda to exhibit, I don’t know, the feces of the town coucillor. Instead, what we believe to be important for a design project to make sense is to look for critical places, places where there are missing intersections or removals, where one project meets another and has never been finished, where a connection is lacking; looking for those places that could be reconnected, put back into play, and that could help the life of the city flourish, or link people and areas that had been distant until that moment. Inert places, even if they should sometimes remain that way because they are enjoyable and pleasant, like the Parco delle Risaie, here around the corner, for example, that
tip-off potrebbero far fluire la vita della città o anche legare persone e ambiti che fino a quel momento erano distanti. Luoghi inerti, anche se a volte sarebbe meglio che rimanessero tali, perché sono luoghi ameni, piacevoli, come, ad esempio, il Parco delle Risaie qua dietro: dovrebbe mantenere un suo equilibrio che oggi invece è precario, sarebbe un disastro se diventasse un luogo di grande percorrenza. Di fatto, i luoghi sono sempre punti in divenire, sono sempre dinamici, per cui si tratta di individuare certi snodi, certi luoghi su cui si può agire più che su altri. Questa è la parte teorica che ci sembra più importante. L’altro aspetto riguarda la collaborazione tra le persone, perché, quando si parla di interdisciplinarietà, ci si riferisce alla ricerca interdisciplinare ma anche alla collaborazione interdisciplinare, che sono due cose completamente diverse. Nella collaborazione interdisciplinare ci sono le personalità, ci sono di mezzo le professioni, le identità, per cui ognuno identifica il suo ruolo in una certa forma professionale e molto spesso le une cozzano con le altre. A parte gli individui che possono essere più o meno portati alla collaborazione, certamente l’artista non è preparato a una collaborazione o a un lavoro in team e questo è un problema fondamentalmente di formazione; non ci sono scuole in Italia, che io sappia, che preparano gli artisti a collaborare con altre professioni, anche se si comincia a delineare questo tipo di lavoro, si comincia a capire che, per quanto riguarda il paesaggio per esempio, è una cosa importante. Quello che noi cerchiamo di fare nella formazione è proprio questo e siamo ancora agli inizi. Non credo di avere risposte, però tentiamo di mettere insieme questa ricerca dei luoghi critici e proviamo a proporre forme di collaborazione che portino ad immaginare situazioni di recupero o di ricucitura di luoghi disagiati. RC Secondo lei come è possibile creare momenti di interazione tra le discipline? AD Ci vorrebbero delle politiche culturali un po’ più attive e anche la consapevolezza dell’importanza di ciò a cui queste forme di collaborazione possono portare. Fino ad ora questo non è molto usuale, anche se se ne parla. Proporre dovrebbe anche essere una funzione delle università; esistono degli istituti interatenei, scuole, alte scuole di formazione, però più nella teoria che nella pratica. Quello che noi stiamo cercando di fare, nel nostro piccolo, è proprio sperimentare questo, ma più che sperimentare un’istituzione, per la quale noi non abbiamo mezzi né storia, cerchiamo di sperimentare il lavoro a piccoli gruppi, per mettere a fuoco un modo, una metodologia che possa diventare letteratura, nel senso di portare nuova conoscenza. RC Nel libro Città infinita, Aldo Bonomi parla di “anelli mancanti” tra le diverse parti che si impegnano nel progettare la città, il territorio. Lui individua questi anelli mancanti nelle istituzioni pubbliche, secondo lei è corretto? AD E’ abbastanza ovvio che le amministrazioni pubbliche, oggi, sono ipertrofiche, autoriferite e sono anche molto
should maintain its equilibrium, today precarious and would result in a disaster if it became a heavily visited site. However, the areas we choose are always developing spots, they are always dynamic, hence we are always trying to identify certain sites of intersections, or hubs, certain places on which we can act more than on others. This is the theoretical component that seems most important. The other aspect concerns the collaboration between people because, when we talk of interdisciplinary work, we are referring not only to interdiscplinary research, but also to interdisciplinary collaboration, which are two completely different things. In interdisciplinary collaboration, there are different personalities, professions, and identities, therefore every individual recognizes his role according to his particular profession, and quite often, the various professions clash with each other. Apart from the individuals that are more or less disposed for collaboration, certainly the artist is not prepared for a collaboration or for a team project, and this is a fundamental problem of his professional education; in Italy, as far as I know, there are no schools that prepare artists to collaborate with other professions. Even if this kind of work is now starting to be delineated, people are beginning to understand that, as far as the landscape is concerned, it is especially important. What we try to do through education is precisely this, and we are only at the beginning. I don’t think that I hold any answers, but we try to put together this research of critical places and we propose modes of collaboration that could lead to imagine decisive situations or resolutions for disadvantaged areas.
Una visione in movimento. A changing vision. Progetto Valdarno, Anna Detheridge, Connecting Cultures Editions, 2006
RC How do you think we could create periods of interaction between disciplines? AD We need rather active cultural politics and also an acknowledgement of how important the results of these collaborations could be. So far, this is not very common, even though it is being discussed. Proposing these collaborations should also be a function of univeristies; there are joint institutes, schools, and advanced universities that offer interdiscplinary education, but more from a theoretical than a practical approach. What we are trying to do, in our small project, is precisely to experiement with this, but rather than to create a kind of pilot institution for which we do not have the means nor the history, we are trying to test this through small working groups, to foster a methodology that could 3 139
tip-off Paesaggi della Biodiversità, a cura di Connecting Cultures, Connecting Cultures Editions, 2003
imaginingparcosud.org/
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poco qualificate dal punto di vista della professionalità di chi ci lavora, dagli uffici tecnici in poi. In più c’è un problema molto grosso, italiano, che è l’invasività della politica, che inficia qualsiasi progetto che nasca al di fuori della politica stessa; di ciò siamo tutti consapevoli e in questo senso anche un po’ impotenti. Quello che andrebbe molto potenziato dai cosiddetti intellettuali, è una collaborazione reciproca, che è scarsa. Quando noi abbiamo tentato di collaborare con le facoltà, di architettura piuttosto che altre, è sempre stato molto difficile essere presi sul serio, per cui in Italia c’è molta difficoltà a lavorare al di fuori del cosiddetto referente, guardando invece alla qualità del progetto, però le cose col tempo cambiano. Sinceramente non so a cosa porti questo tipo di critica alle amministrazioni, perché, di fatto, c’è poco da fare; forse bisognerebbe soltanto limitarle, tagliare le province per esempio. Soprattutto in ambito urbanistico si notano le sovrapposizioni: provincia, comune, regione, uffici, sezioni, alla fine ognuno dà il veto all’altro! RC Con grandi sprechi... AD Sì, dei progetti rimangono nei cassetti per anni. Veramente però c’è anche un po’ di incapacità progettuale in generale. RC Quanto i progetti sul territorio di Connecting Cultures sono tesi ad immaginare scenari futuri per la città e in questo senso che significato assume l’utopia? AD La parola utopia, usata come l’hanno usata generazioni di urbanisti, compreso anche Bernardo Secchi, a me francamente non piace molto, perché nonostante questi illustri professori, accademici, abbiano una loro visione del territorio, si misurano molto poco con le realtà che esistono dentro il territorio e penso che sarebbe molto meglio conoscerne a fondo le potenziali risorse, in senso olistico, a 360 gradi. Conoscere un paesaggio oggi, un paesaggio urbano, un paesaggio territoriale, significa capirne i sottosistemi ecologici, il potenziale dei luoghi di aggregazione, gli aspetti antropologici e forse gli urbanisti, fino ad oggi, tutto questo non l’hanno preso molto in considerazione. Tornando alla domanda che riguarda noi, credo che la nostra utopia è forse quella di cercare di andare sul campo per conoscere meglio i territori e che questa visione possa scaturire da una conoscenza, il più possibile interdisciplinare, di questi luoghi. Tutto quello che facciamo normalmente nel costruire una ricognizione è far nascere una visione delle risorse e delle possibilità che un territorio ha, attraverso il percorso, la conoscenza, l’esplorazione. RC Questi sono gli obiettivi, ad esempio, di un progetto come Imagining Parco Sud? AD Imagining Parco Sud è un progetto molto fragile, nel senso che non abbiamo le risorse e non abbiamo neanche né l’interesse né il patrocinio dell’Ente Parco, che fino adesso non ha mostrato di voler capire nulla di quello che si fa fuori da esso, tanto per tornare al discorso dell’autoreferenzialità dell’amministrazione
become literature, ables of bringing new knowledge.
RC In the book “La Città Infinita” that deal with urban or regional planning, Aldo Bonomi writes about “missing rings.” He identifies these missing rings in public institutions, do you think he is right? AD It is rather obvious that public administrations, today, are hypertrophic, self-referenced and also rather underqualified from the point of view of professionals who work there, from the technical offices and up. Moreover, a big problem in Italy is the invasiveness of politics, which invalidates any project that emerges outside of the political realm; of this we are all well aware and also rather powerless. What the socalled intellectuals should work hard to develop is reciprocal collaboration, something which is rather lacking. When we have tried to collaborate with architecture departments, rather than with other departments, it has always been very difficult to be taken seriously. Thus, in Italy, there is great difficulty in working outside of the so-called archetype, and looking instead at the quality of a project, but things change with time. I honestly do not know what the criticism of the administration leads to, because in fact, little can be done; perhaps the power of administrations should simply be restricted, cutting it off in the provinces for example. The superimpositions of the provinces, municipalities, regions, offices, and sections are especially noticeable in the field urban planning, in the end, each one vetoes the other! RC Resulting in a lot of waste… AD Yes, some projects remain in the drawers for years. But in reality, there is also a lack of capacity to carry out projects in general. RC How much are regional projects for Connecting Cultures inclined to imagine future scenarios for the city and, in this vein, what is the significance of a utopia? AD Frankly, I do not particularly like the word utopia as it has been used by generations of urban planners, including Bernardo Secchi, because despite the fact that these distinguished professors, these academics, have their own vision of a territory, these visions do not resemble the realities that actually exist inside the territory, and I think it would be much better to fully understand the potential resources of a region in a holistic sense, at 360 degrees. To understand a landscape today, an urban landscape, a regional landscape,
tip-off pubblica. Il tentativo è quello di fare delle esplorazioni, restituirle attraverso un sito web, far conoscere, invitare delle persone a conoscere, a percorrere e far sì che si generi consapevolezza sia della sua storia, sia delle sue potenzialità, attraverso anche la collaborazione con gli artisti. RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, persone che ha incontrato o luoghi in cui è stata, quale ritiene più importanti per il percorso che ha intrapreso? AD Venti anni di lavoro al Domenicale del Sole 24 Ore sono sicuramente stati una palestra e anche un luogo privilegiato di osservazione della trasformazione della società in Italia. Nell’85, quando ho cominciato con il Sole 24 Ore, il Domenicale era agli inizi ed era qualcosa ancora da costruire, io sono stata la responsabile delle pagine di arte, design, architettura, tempo libero, di quello che era in quegli anni la seconda metà di un giornale che aveva mediamente 24 pagine. Per cui è stata un’esperienza fantastica, che mi ha portato a conoscere tanti professionisti e diventare amica anche di tante persone, perché è stata una collaborazione di discussione quotidiana, settimanale, con persone come Roberto Sambonet, Stefano Boeri, Fulvio Irace, con designer, architetti, artisti, persone che hanno scritto, settimana dopo settimana, su queste pagine. C’è un aspetto molto importante che forse è anche legato a una mia formazione. Io ho studiato linguistica all’università, in Inghilterra e la cosa importante per me, è la grande apertura che mi ha regalato questa formazione, che poi ho ampliato nei primi anni di insegnamento all’università, a Milano, allo IULM, in cui mi sono trovata a fianco, colleghi quali Umberto Eco e Alessandro Serpieri. Ho partecipato al primo congresso della semiotica nel ‘76; Lea Vergine aveva appena pubblicato il suo libro sulla Body Art. Insomma erano anni molto interessanti per le arti visive in cui esisteva un’interazione tra le arti, già teorizzata in Marcatrè, rivista fondata da Eugenio Battisti negli anni 60 ben prima che io arrivassi in Italia e che ha formato il terreno teorico-culturale per questo tipo di visione in cui l’Italia, in quegli anni, era all’avanguardia. Gli anni ‘70, come anche i primi anni del secolo, sono stati anni di una tabula rasa ideale, in cui si ricorreva alla ricerca interdisciplinare come qualcosa che avrebbe potuto mettere insieme una speranza per il futuro. L’artista che più ha incarnato, negli anni ’20, questa visione dell’opera totale, che è l’opposto di quella dei situazionisti, è stato Moholy Nagy, non solo durante la Bauhaus, ma in tutto il percorso della sua carriera: l’opera totale, per lui, era qualcosa che si faceva carico di tutta l’innovazione e che la restituiva aldilà di qualsiasi definizione di opera d’arte, di design, sempre con questo ideale di riflettere i bisogni di una società in continua evoluzione. Quest’idea è stata riproposta, in maniera modificata se si vuole, però definitivamente con un collegamento, da Tomàs Maldonado, Enzo Mari e da un piccolo gruppo di studiosi, nei primi anni ‘70 (Maldonado veniva dall’esperienza della scuola di Ulm che cercava una rigorosità scientifica nel
means to understand the ecological sub-systems, the potentiality in spots of aggregation, and the anthropological aspects. Perhaps, until today, urban planners have not taken these understandings much into consideration. Returning to the question which concerns us, I believe that our utopia perhaps comes from trying to go to the field to gain a better understanding of different palces, and that the vision of utopia could spring from an understanding – as much as possible interdisciplinary – of these areas. All that we normally do to construct a field survey is to give birth to a vision of the resources and of the possibilities of a region, through journey, knowledge, and exploration. RC These are the objectives of a project like Imagining Parco Sud for example? AD Imagining Parco Sud is a very fragile project, meaning that we have received neither the sponsorship nor the interest of the Park Board, which – getting back to the discourse of self-referenciality on the part of the public administration – has given us no indication that it wished to understand anything that takes place outside of itself. However, our attempt is to carry out investigations, and share them through a website, as well as through a collaboration with artists, inviting people to explore and discover in order to generate awareness of the site’s history, of its potentiality. RC Within your cultural and life experiences, people you have met, and places you have visited, which do you believe were most important for the path you have pursued? AD Twenty years of work for the Sunday edition of the newspaper il Sole 24 Ore have been a training ground and also a priviledged position to observe changes, transformations of society and of Italy. In 1985, when I started work with il Sole 24 Ore, the Sunday edition had just been launched and still had to be developed. I was responsible for the art, design, architecture, and culture pages, in other words, the second half of a newspaper that at the time averaged 24 pages. Therefore, it was a fantastatic experiences that brought me to know many professionals and even become friends with many people because it was a collaboration through dialogue, sometimes daily, sometimes weekly, with people such as Roberto Sambonet, Stefano Boeri, Fulvio Irace, with designers, architects, artists, people who written, week after week, in these pages. Perhaps, a very important aspect was also linked to my education. In college, I studied linguistics in England, and what mattered most for me were the many doors that this education opened for me, that I later expanded upon during my first years of teaching at the university in Milan, at the IULM, where I found myself working side-by-side with collegues such Umberto Eco and Alessandro Serpieri. I participated in the first semiotic convention in ’76: Lea Vergine had just published her book about Body Art. All in all, these were very interesting years for the visual arts in which an interaction between the arts existed, already theorized in Marcatrè, a magazine founded by Eugenio Battisti in the ‘60s, long before I even arrived in Italy and that has formed the teoreticalcultural terrain for this type of vision, of which Italy, at the time, was at the forefront. The ‘70s, similarly to the first
www.ilsole24ore.com/
http://www.archphoto. it/2009/03/19/speciale-marcatre_magdalo-mussio/
www.moholy-nagy.org/ Painting, Photography, and Film, Laszlo Moholy Nagy, The MIT Press, 1969
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tip-off La speranza progettuale. Ambiente e società, Tomás Maldonado, in Nuovo Politecnico n. 35, Einaudi, Torino, 1970
www.accademiadibrera. milano.it/
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mettere in relazione diverse materie). Ci sono state delle scuole, le famose ISIA, partorite da questo progetto di politica culturale. Purtroppo le cose in Italia hanno vita breve e vengono anche dimenticate molto presto, un progetto comunque molto importante, che tuttavia si è esaurito perché la pressione dell’industria non è stata tenuta a bada da un programma educativo, per cui alla fine il design è finito nel marasma del consumismo, ma il suo afflato, la sua energia, anche se oggi si è perduta, in quel momento era ancora forte. RC Se non avesse fatto ciò che ha fatto che cosa avrebbe voluto fare? AD L’artista forse. Dopo la laurea mi sono anche diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera, per cui ho finito anche tutto il percorso artistico, sempre alla fine degli anni ‘70; ma già lavoravo e non l’ho più fatto. RC Quali qualità, secondo lei, sono più importanti nelle persone con cui collabora? AD L’intelligenza è fondamentale, l’altra è la passione. La passione supera tutto, se c’è passione qualsiasi cosa diventa secondaria, diventa un problema al quale si trova una soluzione. RC Grazie.
years of the century, were an ideal tabula rasa, in which we appealed to interdisciplary research as something that might bring together hope for the future. In the ‘20s, the artist who most embodied this vision of an encompassing work of art, as opposed to situationists, was Moholy Nagy, not only during the Bauhaus, but throughout the whole span of his career. For him, the theater of totality, of which the ideal was always to reflect the needs of a society in continual evolution, somehow became charged with all innovation and offered more in return than any other type of work of art or of design. This idea has been proposed again – by Tomàs Maldonado, Enzo Mari, and a small group of scholars in the beginning of the 1970s – in a modified manner if you want, but definitely connected to the old one (Maldonado’s experience came from the school of Ulm which sought scientific diligence by bringing together different fields of study). Some schools, such as the renown ISIA, were born from this project in cultural politics. Unfortunately, things in Italy tend to have a short lifespan and to be forgotten very quickly. Thus, despite its importance, this project ran out of steam because pressure from industry was not constrained through an educational program, therefore, in the end, design ended up in the muddy chaos of consumerism, but its life and its energy, which have been lost today, were still powerful at that time. RC If you had not pursued what you are doing today, what would you have liked to do? AD Perhaps, I would have been an artist. After graduating, I also obtained a diploma from the Brera Academy of Fine Arts, so in the ‘70s I also completed an artistic education. However, at the time I already worked, so I stopped. RC What are the most important qualities of the people with whom you collaborate? AD Intelligence is fundamental, the other is passion. Passion overpowers everything. If there is passion, everything else becomes a secondary problem to which you have to find a solution. RC Thank you.
tip-off La Triennale e la narrazione del territorio
La Triennale and the narrative of the environment
ReConnection Volevamo chiederle qual è secondo lei l’apporto più significativo che un’istituzione come la Triennale può dare alla lettura dei fenomeni urbani per la comprensione del territorio Davide Rampello Innanzi tutto il carattere che Triennale si è dato, perché la Triennale non ha un carattere in sé: è un’istituzione che assume il carattere di chi la guida, di chi la vive, di chi la fa, di tutto il team che ci lavora dentro. Da quando abbiamo iniziato il lavoro, sia come indirizzo nel Comitato, nel Consiglio di Amministrazione, sia come discussione all’interno del Comitato scientifico, la Triennale si è data una vocazione sicuramente multidisciplinare, di rappresentazione di ciò che accade nel mondo delle arti, del design, ma anche dei temi che il territorio sollecita. Abbiamo concluso pochissimi giorni fa la settimana del sociale che è stata un lungo dibattito su vari temi, come l’emarginazione, la sicurezza, l’emigrazione, supportato non solamente da dibattiti, ma da un racconto, da una narrazione fatta dai film makers che abbiamo recuperato, milanesi e non, su temi vari, sempre riguardo Milano; per esempio oggi abbiamo inaugurato un bellissimo film su Via Padova, fatto da un film maker, una ragazza di 26 anni, un’opera di grandissimo pregio per qualità narrativa e per acutezza di analisi. Questi esempi sono indicativi di come noi affrontiamo il tema, perché l’analisi del territorio se non è raccontata, narrata, non serve a niente. Quando si fanno delle analisi, bisogna poi farle diventare quantomeno progetto di comunicazione, opportunità di conoscenza per la gente perché penso che oggi i modelli di analisi, per la complessità della società attuale, siano assolutamente insufficienti, mentre il modo più forte per avvicinare e conoscere il territorio sia la narrazione del territorio stesso: far raccontare storie alla gente, storie di vita, tante e poi farne un grande Decameron. Le cose oggi è necessario costruirle sugli uomini, non sulle astrazioni delle analisi e dei modelli con cui siamo stati abituati a lavorare finora, perché risultano insufficienti. Sono sempre da fare, ma i modelli devono essere adattati ai mutamenti, perché una società che muta cambia il proprio linguaggio, il proprio modo di sentire la vita e di rappresentarla. Tutto cambia. Una volta esistevano le cosmogonie, le alchimie; esistono anche oggi ed è giusto che ci siamo, ma questo è stato sostituito dalla conoscenza di strumenti, da visioni, da tutto quello che sappiamo. Oggi è necessario recuperare, reinventare strumenti nuovi. RC Nella sua professione quali sono le fasi più complesse o che ritiene più significative? DR Tutto. La figura del presidente non è diversa da quella del regista, che io peraltro ho fatto. Porto questo esempio perché ci sono molte similitudini tra la presidenza e la
ReConnection What is the most significant contribution that an institution such as the Triennale can make to the interpretation of urban phenomena? Davide Rampello First of all, the character assumed by the Triennale. The Triennale does not have an innate character: it’s an institution that assumes the character of whoever manages it, experiences it, makes it, and of all the team who works in it. From the time we started working, both providing directions in the Committee, within the Administration Council, and leading discussions inside the scientific Committee, the Triennale clearly assumed a multidisciplinary vocation of representing things that happen in the world of art and design, as well as regional themes. Merely a few days ago, we concluded a week on social issues consisting of long debates on various themes, such as marginalization, security, and emigration, but it did not only comprise debates, it was also held together by a story, a narration by Milanese filmmakers on various themes not always regarding Milan. For instance, today on Via Padova we premiered a beautiful film by a 26-year-old woman filmmaker, a work of enormous merit for its narrative quality and analytic acuteness. These examples are indicative of how we approach a subject. If the analysis of the territory is not told or narrated, it serves no purpose. When one undertakes such analyses, they have to somehow be turned into a communications project, an opportunity to acquaint people with the issues at hand, because analytic models nowadays, at least in my opinion, are completely insufficient given the complexity of modern society. Whereas the strongest way to make people understand and feel closer to a territory is the narration of the territory itself: to tell people stories, many life stories, and then turn them in a big Decameron. Things today need to be built on man, not on the abstractions of analyses and models that we have been used to working with until present. Because these turn out to be insufficient. They still have to be used, but models should be able to adapt to variability because society is variable; it changes its own language, its own way of experiencing and representing life. Everything changes. Once upon a time we had cosmogony, alchemy; they still exist today and it’s fair that they should still be around, but they’ve been transformed over time with the knowledge of new tools, visions, and everything that we know. Today, it’s necessary to both preserve tools and reinvent them. RC In your profession what are the phases that you consider most complex? DR All of them. The role of the president is not so different from that of the director, a position I have had in the past. I’m using this example because there are many resemblances between the presidency and direction: both are positions of upper responsibility. Theater, film, or television direction implies being attentive to the entire ensemble, the story, the script, the concept, and the selection of actors, but also being
davide rampello triennale
www.triennale.org/ twitter.com/LaTriennale http://www.flickr.com/ groups/latriennaledimilano http://www.youtube.com/ user/TriennaleVideo
Via Padova - Istruzione per l’uso, Regista/Director: Giulia Ciniselli, Anna Bernasconi Paese/Country: Italy Anno/Year: 2010 Produzione/Production: Mir Cinematografica, Triennale di Milano Distribuzione/Distribution: Mir Cinematografica
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www.triennalebovisa.it/
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regia: sono tutti e due posti di responsabilità di vertice. La regia di un’opera teatrale, di un’opera cinematografica o televisiva, implica l’attenzione a tutto il complesso, alla storia, al copione, al concept, alla scelta degli attori, ma anche a tutti i particolari: che il capello sia giusto, che il trucco sia perfetto, che il movimento sia adeguato. E’ proprio nell’esercizio di una costante attenzione a tutto, che il ruolo si realizza. Se ritorniamo ora alla presidenza, l’attenzione va dal biglietto di invito, a come si scrive una lettera, a come ci si comporta nei rapporti, alla scelta delle linee editoriali. La cosa più difficile è mantenere l’attenzione, senza essere tesi, perché l’attenzione con la tensione crea evidentemente un disagio in chi la subisce, oltre che in chi ce l’ha; attenzione dei pensieri e il non calare mai, ma prevedere anche il bisogno di abbandoni, perché è l’abbandono che favorisce la creatività, nel senso che ci si mette nella situazione dell’ascolto da cui spesso nasce l’idea. Idea viene da eidos ed è una visione, non a caso tutta la mistica è fondata su questo punto. Torno a dire, con una grande tensione costante, che vuol dire anche saper gestire i rapporti tra le persone in maniera sempre adeguata: mai scaricare, ad esempio, le nevrosi, mai. E’ un esercizio molto difficile che bisogna perseguire con grande costanza RC Quanto nei suoi progetti per la Triennale sono presenti immaginari scenari per la città? DR Il tema è che ognuno di noi, all’interno del proprio procedere, ha una visione della vita, ha dei sogni ed è l’insieme di tutto questo che dà, evidentemente poi, alla città una visione. Non esiste una visione della città astratta. Per come è smembrata la società oggi è necessario, fortemente necessario, ricucire, rammendare il territorio, perciò rimettere assieme gli uomini, per dar seguito a questo desiderio forte di comunità che è evidente negli uomini, ma che non riesce ad arrivare a pieno compimento. Allora per quanto mi riguarda, per quanto riguarda il procedere di Triennale, noi ci muoviamo con tutta una serie di azioni che sono frutto appunto di idee, di visioni. È chiaro che poi queste azioni si sostanziano in rappresentazioni, che possono essere mostre, dibattiti, eventi, tutta una serie di cose a contatto con la città, che modificano la percezione della città stessa. Si diceva che sette, otto anni fa la Triennale era un’istituzione morta, oggi la Triennale è il riferimento più forte sulla città. Questo vuol dire che le azioni hanno cambiato qualcosa e la gente ha, nell’immaginario, un riferimento forte, un luogo: la Triennale appunto, ma anche la Bovisa che è stato un gesto molto coraggioso che abbiamo attuato per dare senso e togliere il concetto di periferia a un quartiere così importante, che, voi lo sapete, è destinato a diventare, quando sarà completato, il quartiere della ricerca tra i più importanti in Europa. Il tema vero è contribuire a questa innovazione della visione, in tanti modi. Anche il nostro progetto di realizzare le Triennali all’estero, che è un progetto, vi assicuro, faticosissimo, è un inedito nazionale, perché nessuna istituzione culturale è mai uscita con i luoghi
attentive to all the little details: that a hat is put on correctly, that the makeup is perfect, and that a gesture or movement is carried out as it should be. It is only by paying constant attention to everything that this role is fulfilled. Going back to the presidency, careful attention is paid to everything, from the invitation card, to the way a letter is written, to the selection of what goes in the editorial columns. The most difficult thing to do is to stay attentive without becoming tense, because attention and tension together create unease in the person has them and in whoever is subjected to them; staying attentive of thoughts and never letting your attention drop. But this position also anticipates the need for abandonment, because abandoning yourself favors creativity, in the sense that it allows you to put yourself in a situation in which ideas are born. Ideas come from the Greek word eidos and represent a vision; it is no coincidence that all mysticism is founded on this point. Getting back to the question of tension, being in charge also means knowing how to manage relations between people in an adequate manner: never release your neuroses. It’s a very difficult challenge that you have to constantly deal with.
RC How much are imaginary scenarios for the city present in your projects for the Triennale? DR The thing is that every one of us has a vision of life and dreams that are particular to our own development, and it is the combination of all of these that gives the city a vision. An abstract vision of the city doesn’t exist. Given how dismembered society is today, it’s extremely necessary to repair and mend the territory, in other words, to reunite men in order to achieve their evident desire for a strong community that has not been able to be completely fulfilled. Hence, as far as I’m concerned, as far as the progress of the Triennale is concerned, we are taking on a whole series of initiatives that are precisely the product of ideas, of visions. Clearly, these initiatives are then made tangible through representations, such as exhibits, debates, or events, a whole series of things that come into contact with the city and modify the perception of the city itself. Seven or eight years ago, people said that the Triennale was a dead institution, but today the Triennale is the strongest benchmark for the city. This means that certain actions must have changed something, and that people possess a strong point of
tip-off ma solo con delle mostre. Siccome oggi le mostre sono totalmente insufficienti, bisogna creare i luoghi anche all’estero, luoghi veri, vivi, dove comunicare lo stile italiano, il modo di vita italiano, l’impresa italiana, la creatività italiana; anche questo dà evidentemente un immaginario alla gente, perché la gente dice: “ah! la triennale a New York” e questo pensare la Triennale a New York, anche se non l’ andrà mai a vedere, allarga l’ immaginario. RC Che significato che lei dà al senso della parola utopia e quanto è importante l’utopia nei suoi progetti? DR “Utopos” vuol dire il non luogo, non nel senso che ne da Marc Augé. Nella cultura greca nasce questo concetto di non luogo, che è una grande possibilità di avere spazio mentale, perciò di avere libertà mentale, come una grande riserva interiore, spirituale, intellettuale, perché chi ha utopie ha spazi su cui fonda immaginari, sogni, su cui coltiva, come fosse veramente una cultura batterica. Per cui l’utopia ha un grandissimo valore se la si considera in questo modo, perché ha un valore di tensione, di proiezione. Molte utopie, poi, venendo elaborate dentro di noi, possono diventare progetti e realtà. Ci si avvicina all’utopia quando uno immagina qualcosa di estremo nel paese che non c’è, come Peter Pan nell’isola che non c’è. Avere la forza di immaginare l’isola che non c’è vuol dire avere ancora la forza di immaginare e oggi se non si immagina non si va da nessuna parte RC Dal suo punto di vista la multidisciplinarietà è un atteggiamento necessario nei progetti? DR Io trovo che non solo sia necessario, ma oggi tutto spinge verso questo. Vedete, il successo straordinario, senza andare nel mondo latino, dell’Umanesimo e poi del Rinascimento, è stato determinato da una straordinaria fusione di tutte le attività dell’uomo, fusione nel senso di azione dell’uomo. In molti casi l’uomo di lettere era anche l’uomo di armi, di commercio, di finanza: tutto dentro di lui. Il commercio, la finanza, le scienze, le tecniche, le tecnologie, le arti, i mestieri convivevano in una comunità e si fertilizzavano a vicenda. Firenze era un borgo, ma al suo interno è nata la rivoluzione del mondo, perché non è che dobbiamo pensare solamente a Giotto. Lì è nato Dante, Petrarca, Boccaccio, Galileo, Alberti, Michelangelo, Lorenzo il Magnifico; lì è nata la lettera bancaria, la finanza, la tecnologia, tutto. Allora voi mi dite se non è fondamentale la multidisciplinarietà. Noi siamo vittime ancora delle visioni ottocentesche positiviste, che avevano posto la priorità alla scienza, che era la strada maestra per andare verso il dio progresso. Non dobbiamo dimenticare le rappresentazioni degli Expò dell ‘85, dell ‘89 e del ‘900 a Parigi, dove il progresso era il vero Dio e tutto questo è stato profondamente smentito dalla Prima guerra mondiale, dalla Seconda guerra mondiale e da tutto quello che è successo in mezzo. Questa doveva essere la via verso la felicità dell’uomo. Le scienze erano il fulcro e le arti appartenevano invece al diletto dell’uomo, poi sono nate la sociologia, la psicologia, per cui il mondo si era frantumato, diviso; noi stessi diciamo: il mondo
reference or place in their imaginary: the Triennale of course, but also the Bovisa, which was a very courageous gesture we made to give sense to and take away the concept of periphery from such an important neighborhood, and that is destined to become, when it’s finished, one of the most important research sites in all of Europe. Our true objective is to contribute to this new vision in many different ways. Our project to carry out the whole Triennale abroad, which I assure you is a very challenging project, is unheard of in Italy because other cultural institutions have only taken exhibitions outside of the country, not entire places. Since nowadays exhibitions are completely insufficient, you have to create places abroad as well, real places that are alive where you can communicate the Italian style, the Italian way of life, Italian enterprise, and Italian creativity: clearly, this also allows people to use their imagination because people will say: “Oh! The Triennale in New York!” and this act of thinking about the Triennale in New York broadens the imagination, even if one never actually goes to see it. RC What significance do you give to the word utopia and how important is utopia in your projects? DR “Utopos” means the non-place, not in the sense used by Marc Augé. This concept of non-place, which is a huge opportunity to have mental space and mental freedom, like a big spiritual and intellectual internal supply, was born in Greek culture. Whoever has utopias has spaces on which to build dreams and the imaginary, spaces to cultivate like bacterial cultures. Therefore, utopia has a monumental value if one considers it in this way, because it has the value of creating tension between reality and the imaginary, the value of projecting the imaginary. Many utopias, as they are elaborated within us, can become projects and reality. One comes closer to utopia when he imagines something extreme in a country that doesn’t exist, like Peter Pan in Neverland. Having the power to imagine Neverland means having the power to dream, and today if one cannot dream, one cannot go anywhere. RC Is it necessary, in your opinion, to approach projects from a multidisciplinary position? DR Not only do I find it necessary, but I find that everything today pushes us in this direction. Look at the extraordinary success of Humanism and later of the Renaissance; it was caused by an extraordinary fusion of all human activities in man’s very actions. Commerce, finance, sciences, technical knowledge, technologies, arts, and professions coexisted in one community and continuously cross-fertilized each other. Florence was a village, but it gave birth to the revolution of the world, and we don’t only have to think about Giotto. Dante, Petrarca, Boccaccio, Galileo, Alberti, Michelangelo, and Lorenzo the Magnificent were all born there; the bank letter, finance, technology, everything was born there. Then you ask me if multidisciplinary approaches are fundamental. We are still victims of the positive visions of the nineteenth century that had prioritized science, which was the main path to reach towards the god of progress. Let us not forget the shows of the Paris Expos of ’85, ’89, and ‘900, where progress was the true God. But this was proved deeply
http://www.dezeen.com/ 2010/05/14/triennale-newyork-by-michele-de-lucchiand-pierluigi-cerri/ http://tmagazine.blogs. nytimes.com/2010/01/28/ molto-triennale-a-newdesign-museum/
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tip-off
Aria de la memoria, Poesie scelte (1973-2002), Franco Loi, Einaudi, Torino, 2005
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della scienza, il mondo dell’arte, il mondo dell’economia, in una divisione assolutamente idiota. Invece bisogna che ci rendiamo conto, vista la globalizzazione e i disastri attuali, che il mondo è uno solo e la vita è una sola, quella che viviamo, perciò la nostra attenzione dev’essere per tutto. Certo, ci sono le inclinazioni e i talenti, è normale, ma la curiosità, nel senso alto del termine, dev’essere per tutto. Io non mi occupo di economia, ma sono interessato all’economia, perchè può distruggere il mio lavoro, e devo avere considerazione anche della finanza perchè non posso solamente dire “ah la cultura” nei modi ormai idioti e afoni che sento. Quando si grida alla cultura, lo si fa in un modo ormai vecchio, perché oggi bisogna rinnovare anche questo concetto. Bisogna sviluppare un concetto antropologico di cultura, nel senso di coltivare l’uomo e di porre l’uomo al centro della nostra attenzione, non gli oggetti fatti dall’uomo, senza nulla togliere alla loro importanza. Non possiamo ignorare i temi dell’ambiente, delle malattie, della fame e oggi la cultura deve dare risposta anche a questo, bisogna avere un senso della società molto ampio. Abbiamo un’eredità che dobbiamo continuamente valorizzare, parlo di eredità occidentale, nella riconsiderazione della memoria, ma va reinterpretata e adeguata ad oggi senza pensare di far riemergere il passato. La memoria è “Mnemosine” , la madre delle muse, non esiste arte se non esiste memoria. E’ un esercizio profondamente spirituale, intellettuale, non è il riesumare il passato, è reinterpretare costantemente il presente: cosa è stato e cos’è, perché se no quello che è passato, non ha senso. RC Secondo lei come si creano e quali sono i luoghi e i momenti di interconnessione tra gli uomini... DR Mettendo insieme gli uomini: è un fatto fisico , non è solamente la rete, non sono solamente le community. Va bene anche quello, ma ci si deve mettere insieme fisicamente, guardarsi, perché è tutta un’altra cosa. RC Ci occorrono anche proprio dei luoghi fisici... DR Assolutamente: c’è il teatro, lo stadio, la piazza... RC Tra le sue esperienze culturali e di vita, persone, luoghi, quali sono state quelle più significative per la sua professione? DR Tutto, ma ci sono personalità emergenti sicuramente. Ci sono uomini che mi hanno dato molto, che sono stati maestri. Non so, Franco Loi, Eugenio Battisti; ci sono stati maestri, ma dentro queste maestrie c’era il racconto della nostra vita che era fatto da migliaia di altri racconti, di altri uomini. Se devo ricordare la storia intensa che ho con Franco Loi, che considero il più grande poeta nostro vivente insieme ad Andrea Zanzotto, penso a tutto quello che abbiamo vissuto assieme, in tanti luoghi, con altre persone, altre cose. Ci sono poi delle emergenze, ma invece di focalizzarci su una singola cosa, dovremmo abituarci a fare esercizio di memoria, ricordarci magari un particolare che sembra insignificante, ma che invece è dentro di noi e dentro di noi ha lavorato e ci ha fatto cambiare senza che noi lo sapessimo. Magari è stato un incontro casuale, di quarant’anni fa: a
wrong by the First World War, the Second World War, and by everything that happened in between. This was thought to be man’s path towards happiness. Sciences were the fulcrum while the arts belonged to the pleasure of man, but then sociology and psychology were born, and the world was shattered, divided. Today we say: the world of science, the world of art, the world of economics, creating a completely idiotic division. Rather, if we take into consideration the level of globalization and current disasters, we should realize that there is only one world and only one life, that which we are currently living, therefore we should give our undivided attention to everything. Certainly, people have inclinations and talents, it’s normal, but curiosity, in the sophisticated sense of the term, should be for everything. For instance, I don’t take care of the economy, but I am interested in the economy because it could destroy my job, and I also have to consider finance because I can’t just say “oh, I like culture” in the idiotic way I hear it said around me. When we call out to culture we are doing it in an antiquated way because today we have to renew this concept too. We have to develop an anthropological concept of culture, by elevating man and putting man at the center of our attention instead of the objects he makes, yet at the same time not taking away from their importance. We can’t ignore the environment, disease, and hunger, so today culture must give answers for this too, we must have a very broad sense of society. We have an inheritance that we must continue to value when reconsidering collective memory, I’m talking about our occidental inheritance, but it should be reinterpreted and adapted to the present without focusing on the reemergence of the past. Memory is the Greek goddess “Mnemosyne,” the mother of muses. Art doesn’t exist if memory doesn’t exist. Memory is a deeply spiritual and intellectual exercise, it doesn’t consist of exhuming the past; it is the constant reinterpretation of the present: what has been and what is, because otherwise what happened in the past has no meaning. RC How can we create places and moments of interconnection between humans? DR Bringing humans together: it’s a physical matter; it isn’t only the Internet or online communities. That’s great too, but you have to physically bring people together, allow them to see each other because it’s a completely different thing. RC Among your cultural and life experiences, people and places, which have been the most significant for your development? DR Everything, but there are surely personalities that stand out. There are men who gave me a great deal, who were teachers to me. I don’t know, Franco Loi, Eugenio Battisti; there were teachers, but within all the mentoring there was also our life story that was made up of thousands of other stories and of other people. If I think about my intense story with Franco Loi, who I consider our greatest living poet along with Andrea Zanzotto, I think about everything that we lived together, in many places, with many people, and other things. There are, then, some things that stand out, but instead of focusing on a single thing, we should get used
tip-off volte mi vengono in mente delle facce, dei sapori, dei profumi e mi rendo conto quanto siano stati importanti, se emergono all’improvviso. Certo che non basta una vita. Quando dicevo la parola tensione intendevo dire questo. Noi abbiamo un senso di noi stessi assolutamente addomesticato, abbiamo il concetto del tempo: finalmente vado in pensione e ho il tempo libero!, questa è la distruzione della società, tutti questi pensionati non sanno cosa fare perché gli han tolto la cosa più importante: il lavoro. Il cosiddetto tempo libero è un concetto sbagliato, come se fosse un tempo vincolato e un tempo prigioniero quello del lavoro. Stiamo dando, abbiamo dato tutta una serie di disvalori totali. Il tempo è il tempo. Come diceva Sant’Agostino “Tempus est extensio animi”. Ogni volta che siamo provocati da una domanda, in base a come reagiamo, ci rendiamo conto che siamo vittime costantemente di luoghi comuni, di abitudini, di modi di dire. Questo è il vero disastro, che siamo tutti uguali, nel senso di omologati, mentre l’unica uguaglianza che dovrebbe esserci è quella davanti alla legge, il resto non deve essere una garanzia. Bisogna ricordarsi che “ogni uomo è una specie umana”. Se tutti gli uomini diventano un’unica specie veramente è un disastro: animali, tutte tigri, leoni. RC Se non avesse fatto ciò che ha fatto che cosa le sarebbe piaciuto fare? DR Viaggiare e avere un amore ogni giorno. I miei grandi sogni sono il mare, l’amore e i viaggi. Innamorarmi in ogni luogo. RC Quali qualità come conoscenza, passione, tecnica, umiltà, ascolto, sono più importanti? DR Tu hai detto due cose molto importanti: l’ascolto e l’umiltà. L’umiltà viene da humus, terra: l’aderenza alla terra, poi tutto il resto. Però ascolto, generosità, umiltà sono doti indispensabili per ricostruire la società. RC Grazie.
to doing a little exercise in memory, to try to remember a detail that maybe seems insignificant, but that is nonetheless within us, has maybe affected us and changed us without us noticing. Maybe it was a casual encounter from forty years ago: sometimes faces, tastes, and smells come back to my mind and I realize how important they must have been for them to suddenly reemerge. Of course, one life is not enough. When I said the word tension, this is what I meant. We have a completely domesticated sense of ourselves, we have the concept of time: finally, I’m retiring and I have free time! This is the destruction of society, all of these retired people who don’t know what to do because they have been deprived of the most important thing: their work. This so-called free time is a fake concept, as if there was a time you were bound to and another you were imprisoned by, the time of work. We are designating some time as completely worthless. Time is time. As Saint Augustine said: “Tempus est extensio animi,” time is an extension of the soul. Every time we are provoked by a question, we realize, based on how we react, that we are all constantly victims of common places, of habits, of common sayings. This is the real disaster, that we are all the same, all homologous, whereas the only similarity that should exist is that of being equal in front of the law, the rest should not be guaranteed. We should remember that “every man is a different human species.” If all men actually become only one species it would really be a disaster: animals, all tigers and lions. RC Which qualities among knowledge, passion, technique, humility, and ability to listen are the most important? DR You just mentioned two very important things: humility and ability to listen. Humility comes from humus, Latin for soil: adhesion to the earth comes first, then everything else. But ability to listen, generosity, and humility are all indispensable attributes to rebuild our society. RC Thank you.
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the talk of the town
[ brief talk with stefano boeri - 28.07.2009 8 PM, Abitare head office, Milan ]
RECONNECTION
si sente debitore di qualcosa nei confronti di Milano?
STEFANO BOERI
RECONNECTION
Quali qualità di Milano andrebbero potenziate per renderla una città migliore?
sono assolutamente
appassionato di Milano: Milano è la mia grande passione. Debitore, beh, su tantissime cose, è una città straordinaria.
STEFANO BOERI
credo di essere stato il primo a dire che Milano è come un arcipelago senza il mare, con delle isole di eccellenza, alcune sono a
contatto con il loro mondo di riferimento globale, ma che nel tessuto concreto della città, ossia nella fisicità della città, mettono in piedi un dialogo comune. Milano è la città dell’eccellenza della sanità, dell’editoria, della moda, del design, dell’informatica. Ciascuna di queste parla con Shanghai, con Francoforte, con New York, ma spesso non sa creare un dialogo tra Porta Romana e Corso di Porta Vigentina. Questa città, ricca di punti di forza che non dialogano, è anche, però, una sorpresa continua: quando fai un po’ di relazione è sempre sorprendente scoprire che hai a 5 metri una persona che non conoscevi e che si svela interessantissima; c’è questo sistema di scoperta continua che la città produce, che rende la città vivibile, a prescindere dall’opacità che trovi, perché è difficile, poi, fare relazione. E’ un mistero interessante. A me piace molto questa discrezione, che poi non è discrezione, è un modo di essere: ci agitiamo tutti, tutti abbiamo ottime connessioni, fatichiamo a parlarci, a vederci, a toccarci, ma quando succede è molto interessante; capita che nel corso della vita abbiamo 15-20-30 di questi contatti che sono strepitosi, magari con persone che hanno vissuto a 10 metri e non abbiamo mai visto: reincontri. Spesso questi incontri avvengono tramite le reti lunghe: è più facile che io scopra che c’è uno straordinario medico, che si occupa di una questione che riguarda la vita in periferia, grazie alla comunità internazionale che io conosco a New York, o grazie ad una festa a Milano, piuttosto che io arrivi a
RECONNECTION c’è un progetto che vorrebbe realizzare per Milano a cui tiene in modo particolare? STEFANO BOERI Fare il sindaco di Milano. RECONNECTION Le piacerebbe davvero? STEFANO BOERI lui in modo differente.
No, non mi piacerebbe: lo farò!
RECONNECTION
STEFANO BOERI I am fascinated by RECONNECTION What qualities do you think should be strengthened in this Milan in order to make it a better city? STEFANO BOERI I think I was Talking of Milan, do you feel you owe something to the city?
Milan: Milan is my great passion. That I owe something... well, a lot of things, it is a crazy city
the first who said that Milan was a sort of archipelago without the sea, with wonderful islands, some which are in touch with their
world of global reference, but in the concrete material of the city, i.e. in the physicality of the city, they put their feet instead of their mouths into common dialogue. Milan is a leading city in health, publishing, fashion, design, IT. Each of these sectors speaks to Shanghai, Frankfurt, New York, but often it doesn’t know how to create a dialogue between Porta Romana and Corso di Porta Vigentina. This city, which is rich in powerful points which do not interact, is, however, a constant surprise. When you do create some relationships, it is always surprising to discover that you have someone that you didn’t know only five metres away who turns out to be an extremely interesting person. There is this system of constant discovery that the city produces, that makes the city liveable, regardless of the opacity that you find in creating relationships, because it’s difficult. It is an interesting mystery. I really like this discretion, which isn’t discretion at all really; it is a way of being. We all shake each other up, we all have great connections, we have trouble speaking to each other, seeing each other, touching each other, but when we do it’s very interesting. In fact, over the course of our lives, we have 15 or 20 or 30 of these contacts which are extraordinary, perhaps with people who have lived 10 metres away from us but we never saw them: meeting again. Often, these meetings take place via broad networks. It’s easier for me to discover that there is an extraordinary doctor who takes care of a special life issue thanks to the international community that
RECONNECTION Is there a STEFANO BOERI Becoming the
I know in New York or thanks to a party in Milan, rather than me finding him some other way. project that you would like to do for Milan, a project you are particularly thinking about? mayor of Milan.
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RECONNECTION
Would you like to?
STEFANO BOERI
No, I wouldn’t like to: I will!