EFFEZERO MAGAZINE
# 2 - 2011
SOMMARIO L’Editoriale
di Stefano Sassu
pagina 3 Il National Geographic #1 di Alessandro Cani
pagina 5 Vuoto a perdere di Nicola Carta
pagina 9 Fotoreporter per caso di Bruno Olivieri
pagina 11
La Sartiglia vista da vicino di Marcello Trois
pagina 21 Bacheca
di tutto, di più...
pagina 23 Organigramma elenco soci
pagina 25 EFFEZEROMAGAZINE n. 2/2011 Notiziario trimestrale di informazione riservato esclusivamente ai soci dell’associazione fotografica Effezero di Cagliari C.F. 92169400923
Incontri: Valerio Contini di Andrea Tuveri
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SEDE OPERATIVA: Via Nervi angolo Via Natta – Zona Industriale est Casic Elmas – 09122 Cagliari SEDE LEGALE: Via Ariosto n. 23, 09129 – Cagliari PRESIDENTE: Giovanni Maciocco SEGRETARIO: Maurizio Cotza TESORIERE: Alessandro Cani Grafica e impaginazione: Bruno Olivieri Per informazioni puoi scrivere a
info@effezero.it © - copyright su immaghini e contenuti è dei rispettivi aventi diritto
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EFFEZERO MAGAZINE
by Stefano Sassu
Il nostro Presidente ha salutato i lettori del precedente magazine con un “Benvenuti Associati”, io invece ho deciso per un approccio sottilmente diverso, ma secondo me più importante per quello che vi racconterò in questo Editoriale. Benvenuti Fotografi e Guerrieri. Fotografi: perchè tutti voi siete innanzittutto dei Fotografi e non dei fotografanti. Lo siete, e lo so che lo siete, per il fatto stesso che siate nostri con-soci della EffeZERO e quindi la pensate come noi e vedete la Fotografia per quello che è: un recalcitante medium con cui confrontarsi ogni giorno, in un eterno e appagante processo di crescita. Guerrieri: perchè combattete contro il vostro medium, e gli strumenti che avete scelto per domarlo, spesso anche più ribelli della stessa fotografia. Perchè combattete contro l’ostinazione delle persone che vi vedono nemici della loro libertà. Untori del mondo moderno, violatori, quasi stupratori, della loro privacy. Privacy che manco loro sanno esattamente cos’è. Voglio introdurre proprio il concetto di libertà usando come lancio il primo articolo di questo numero due del Magazine dove Alessandro ci racconta la bellissima avventura della National Geographic Society, Senza la NGS, un’entità che ha avuto il pregio di rivoluzionare il concetto stesso di fotografia documentale, oggi non avremo idea di come raccontare il mondo a persone comodamente sedute a casa loro. Ed è vitale sottolineare il periodo storico in cui questa portentosa società è nata, ovvero a cavallo tra il XIX e il XX SOMMARIO
secolo. Un periodo di grandi rivoluzioni e di continue scoperte, pensiamo solo all’aereo, alla continua evoluzione dei trasporti e dell’industria, e soprattutto alla grande rivoluzione culturale, di cui la NGS e la fotografia stessa sono alcuni degli aspetti più vistosi.
sarebbero stati arrestati, oppure peggio, il loro progetto sarebbe stato bloccato per poter essere sfruttato da qualche multi-nazionale. Noi come fotografi, abbiamo problemi molto più “leggeri”, ci scontriamo, per esempio, continuamente con il concetto di “violazione della privacy”. Secondo le attuali leggi alcuni dei reportage più belli dei primi anni del NGM o della prima metà del ‘900 non si sarebbero potuti fare.
Ma come mai proprio in quel periodo c’è stato questo grandissimo sommovimento? Eravamo più intelligenti? C’erano più soldi? Oppure tutto era come è oggi, e questo Editoriale è solo un moto nostalgico di una persona che oggi è delusa e depressa dalla proprio cultura e dal proprio popolo e paese?
Pensate solo al reportage di Dorothea Lange sulla Grande Depressione dell’interguerra Americano. Oggi sarebbe impossibile farlo, impossibile quanto meno da pubblicare senza tonnellate di documenti. La famosissima foto della “Madre Migrante” ha un minore, impossibile pubblicarla senza rischiare nella migliore delle ipotesi una denuncia per violazione della privacy, e se un PM giudica la foto poco “pudica” una correlata denuncia per pedopornografia. Sul serio, basta così poco.
In realtà il discorso è molto più complesso e meriterebbe un’attenta discussione; esso riguarda essenzialmente un principio che sempre di più nel nostro mondo attuale si sta restringendo. La libertà. Allora il genere umano non era ne più ricco, ne più intelligente, ne più capace. Ma solo molto più libero.
Si forse questa ultima frase è una provocazione, ma questo editoriale vorrebbe risvegliare alcuni vostri campanel-
E mentre oggigiorno, nella realtà, la libertà si restringe, nella nostra percezione essa si allarga. Ci sentiamo più liberi perchè siamo meno liberi. Sembra un ossimoro, ma non lo è. Se ci pensate, il concetto stesso di privacy che ci “libera” dall’ “abuso” della nostra immagine da parte di altri, ci sta in realtà pesantemente limitando, impedendo agli stessi cittadini “fotografanti” comportamenti che negli anni ‘80 si consideravano assolutamente scontati. E purtroppo proprio noi Fotografi siamo i primi che ci scontriamo con questa limitazione della libertà, in quanto la nostra forma di comunicazione con il resto mondo è quella che più di tutte viene vista come una “violazione” della libertà altrui, da sempre. Dalla leggenda urbana che ci fa sorridere dell’anima rubata dalla fotografia, agli episodi più tristi dei giorni nostri con Fotografi attaccati perchè trovati a fotografare una chiesa. Perchè dico questo? Perchè questa continua limitazione alla libertà è per la società tutta, per il genere umano stesso, una cosa estremamente grave. Vi voglio solo fare un esempio; prendiamo i fratelli Wright, inventori dell’aereo. Oggi
© Bruno Olivieri
L’EDITORIALE
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li d’allarme su quella che è la nostra “Libertà” e su come essa impatta quella degli altri, e soprattutto, su come una “parvenza” di libertà possa essere confusa per vera libertà. Perchè non inganniamoci, noi non siamo liberi. Le nostre case possono essere costruite solo come dicono loro. I nostri morti possono essere sepolti solo come dicono loro. Le nostre automobili possono essere costruite solo come dicono loro. I nostri viaggi possono essere fatti solo come dicono loro. Noi possiamo curarci solo come dicono loro. Noi possiamo morire solo come dicono loro.
fettamente il concetto, il perchè la nostra libertà di fotografare venga costantemente e coscientemente, continuamente limitata: “Siamo una società mediatica, se ci sono 3 morti ammazzati a Roma e nessuno li fotografa, non è morto nessuno”.
Noi abbiamo la libertà di conformarci alle loro direttive, o di subirne le conseguenze. Questa è la nostra unica libertà.
Non siamo la NGS, ma sicuramente siamo un gruppo di persone appassionate, di fotografi capaci e sensibili. Di persone solide e complete. Alle quali la fotografia ha dato un dono, di cui forse non ci rendiamo completamente conto. Noi vediamo. Osserviamo. Percepiamo. E lo facciamo ad un livello che il resto dei nostri concittadini non fa; non perchè noi siamo superiori a loro, ma solo perchè ci siamo addestrati a farlo.
Il principio dietro il concetto stesso di libertà è che essa si ferma li dove inizia la mia, e proprio per questo la libertà stessa dovrebbe essere un costante e continuo compromesso. Rinunciare al proprio diritto di “non ripresa” per poter concedere a milioni di altre persone il diritto alla conoscenza. Questo principio ci è stato tolto di forza. Non decidiamo più noi, decide qualcun’altro. Certo voi potreste dirmi, giustamente, che basta firmare una liberatoria e allora è tutto ok, posso diffondere la foto, pubblicarla, farne quello che voglio. Inappuntabile se il soggetto ripreso è uno solo, e se sono di più? E se ci sono minori? E se la persona non è in grado di intendere e di volere? E se la fotografo e poi non la ritrovo mai più? Noi come fotografi abbiamo il diritto, ma io penso anche il dovere, di documentare la realtà che ci circonda, e dobbiamo continuamente mediare la nostra libertà di farlo con la libertà del prossimo di non voler essere ripreso. No, mi correggo, dobbiamo mediare il nostro dovere di documentare la realtà con la volontà di pochi di non farcelo fare.
Come EffeZERO possiamo aiutarci a far valere questo nostro diritto, dovere di documentare; possiamo darci degli strumenti, conoscenze, competenze e massa critica, per proseguire con questo nostro scopo.
Stefano “Alwaysstone” Sassu (Socio fondatore e consigliere dell’associazione fotografica Effezero)
Trenta persone possono cambiare il mondo? La risposta è scontata: no. Adesso vi faccio un’altra domanda, come provocazione; La National Geographic Society ha cambiato il mondo con trenta persone? La risposta è: Sì. “Solo chi è abbastanza matto da pensare di poter cambiare il mondo, poi lo cambia davvero” E dato che adoro citare:
Qualche settimana fa abbiamo ospitato nella nostra sede un importante fotografo dell’ANSA, Alessandro di Meo. Sicuramente leggerete in qualche magazine futuro il resocondo di questa meravigliosa esperienza.
“Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso. Se i mortali si guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza, la vecchiaia neppure ci sarebbe. Se solo fossero più fatui, allegri e dissennati godrebbero felici di un’eterna giovinezza.
Alessandro ha detto una frase che secondo me riassume per-
La vita umana non è altro che un gioco della Follia.”
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Benvenuti alla EffeZERO, Fotografi e Guerrieri. Confidiamo nella vostra Follia.
© Alessandro Cani
Questo numero è dedicato alla memoria di Pablo Volta (Buenos Aires, 3 gennaio 1926 - Cagliari, 28 luglio 2011). Grande fotografo, grande persona, grande amico della Sardegna.
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Il National Geographic #1 by Alessandro Cani
www.alecani.info http://alecani.wordpress.com
Washington, D.C., 13 gennaio 1888. Nella Dolley Madison House, originaria sede del Cosmos Club, in Lafayette Square, alla luce di un grande candelabro a gas, trentatré autorevoli personalità del mondo scientifico, esploratori, geologi, cartografi, banchieri, meteorologi, militari, educatori, ingegneri (tra essi anche un anatomo-patologo) si riuniscono attorno a un grande tavolo in mogano, convocati da uno stringato invito: “Egregio Signore, La invito a presenziare a un incontro che si terrà nella sala riunioni del Cosmos Club venerdì sera, 13 gennaio alle otto in punto, con l’intento di valutare la possibilità di organizzare una società per la promozione e la diffusione della cultura geografica. Rispettosamente Vostro, Gardner G. Hubbard” Sono accomunati dall’amore per la geografia, la natura e il desiderio di sensibilizzare il pubblico sulla salvaguardia delle risorse del pianeta. Di lì a pochi giorni si ritroveranno come membri fondatori della National Geographic Society. Il neo-presidente Gardiner G. Hubbard proclamerà solennemente queste parole: “Quando affrontiamo il grande oceano della scoperte, l’orizzonte dell’ignoto avanza con il nostro avanzare. E più conosciamo, più ci rendiamo conto della nostra ignoranza.” Alcuni di essi lavorano per il governo degli Stati Uniti (lo U.S. Geological Survey), altri sono esploratori che organizzano le loro spedizioni al di là del Mississippi facendo base a Washington. La neonata organizzazione ha come modello la Royal Geographic Society (fondata e sovvenzionata cinquant’anni prima in Inghilterra da Re Guglielmo IV), si pone l’obiettivo di sostenere e promuovere la cultura geografica in genere attraverso spedizioni, conferenze e pubblicazioni. SOMMARIO
# 2 - 2011 Il National Geographic Magazine divenne così l’organo ufficiale di divulgazione delle attività di ricerca. Il primo decennio di vita fu caratterizzato dalla discontinuità delle uscite, poiché si aspettava un numero sufficiente di articoli prima di far uscire il numero.
Il giovane editore cominciò a sfornare articoli puntando su un taglio più accattivante, meno accademico, ma soprattutto introducendo immagini in gran quantità. Ricordiamo a tal proposito che già nel 1888 la Kodak aveva lanciato la campagna pubblicitaria per le sue fotocamere “You press the button, we do the rest”, contribuendo a fare della fotografia un prodotto per le masse. Nel dicembre del 1904, a causa di una carenza di materiale valido per la pubblicazione Grovesnor riempì ben undici pagine della rivista in uscita a gennaio con un reportage fotografico sul Tibet offerto per la pubblicazione gratuita da un esploratore russo. Fu la svolta definitiva.
Gli articoli erano molto tecnici e il tono era accademico, quasi austero. Dal 1896 uscì regolarmente con cadenza mensile. I primi anni di vita della Society non furono particolarmente movimentati, nel 1898 i soci erano circa un migliaio e le casse sociali erano in passivo di duemila dollari. L’allora presidente Alexander Graham Bell, eletto un anno prima a seguito della morte del fondatore Hubbard, cercò di dare una smossa assumendo come editore a tempo pieno al posto dei quattro collaboratori volontari part-time un giovane maestro di scuola ventitreenne, figlio di un amico di famiglia esperto in culture orientali. Si trattava di Gilbert Hovey Grosvenor. I primi salari del neo-editore provenivano direttamente dalle tasche di Graham Bell, ma il presidente fu lungimirante.
Nel 1908 le immagini occupavano stabilmente circa il 50% della superficie delle pagine della rivista. La nuova linea editoriale diede i suoi frutti: si raggiunsero così i 10.000 soci, attirati dal fascino degli articoli che fecero del magazine una colonna portante del giornalismo americano, e con essi nuovi finanziatori che permisero la realizzazione di nuove audaci missioni esplorative. Grovesnor ebbe il merito di non adagiarsi sugli allori. Sempre attento alle nuove tecnologie, nel 1910 fece uscire un reportage di 24 pagine su Cina e Corea con foto a colori, approfittando dei progressi della tecnologia nel campo della stampa a colori col processo di stampa in autocromia bre-
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EFFEZERO MAGAZINE vettato dai fratelli Lumiere nel 1903 e messo sul mercato nel 1907. Da allora fu un continuo susseguirsi di “prime” per il National: le prime foto a colori della vita nell’Artico, la prima foto subacquea, la prima foto dalla stratosfera, e via dicendo. Grovesnor stesso dichiarò che le possibilità di crescita del magazine erano legate agli sviluppi tecnologici nel campo fotografico: “If the National Geographic Magazine is to progress, it must constantly improve the quality of its illustrations…”.
# 2 - 2011 fotografia un’arte. Conseguentemente anche la stampa del magazine venne curata in funzione della miglior qualità possibile; sul finire degli anni cinquanta il processo di stampa fu trasferito a Chicago, vennero costruiti ex novo degli stabilimenti all’avanguardia che potessero soddisfare gli standard qualitativi della pubblicazione. L’avvento del Kodachrome rappresentò un’ulteriore svolta per i fotografi del NGM. Prima del 1935 l’unico processo fotografico a colori era l’autocromia, una tecnica che richedeva una quantità di luce 60 volte superiore rispetto ai supporti per il bianco e nero, con tanti saluti alle foto di soggetti in movimento, senza contare che l’attrezzatura per lo sviluppo sul campo era pesante, ingombrante e doveva
essere trasportata ai confini dell’ignoto. Per questo motivo le prime foto a colori di inizio secolo aventi per soggetto persone sembrano così innaturali. Luis Marden, successore di Fisher a capo dello staff racconta che la prima frase da imparare nella lingua del luogo di destinazione era “Stai fermo”, e che l’avvento della miniature camera e della Kodachrome aveva liberato i fotografi “a colori” da una prigione.
L’esploratore oceanico Jacques-Yves Cousteau
Marden, con l’accoppiata Leica-Kodachrome, divenne un mito del National Geographic. Partecipò alle esplorazioni della Calypso di Jacques-Yves Cousteau, sviluppando le tecniche di fotografia subacquea, scoprì i resti del Bounty, nell’isola di Pitcairn, scoprì un’orchidea in Brasile e una nuova specie di pulce d’acqua che portano il suo nome, e indovinate chi trovò l’unico esemplare di uovo di Aepyornis in Madagascar, ora conservato nella sede di Washington del National Geographic Society…
Nel 1915 Grovesnor ingaggiò il fotografo Franklin L. Fisher come responsabile delle illustrazioni, l’antesignano dell’odierno photoeditor. Fisher ebbe il compito di selezionare tra i collaboratori del magazine uno staff di fotografi ufficiali. Questi avrebbero naturalmente avuto a disposizione un laboratorio fotografico all’avanguardia, dotato di 10 camere oscure, un sistema di aerazione nel reparto sviluppo e l’aria condizionata in tutti i locali. Nel febbraio del 1928 Grovesnor, dopo aver provato sul campo l’attività fotografica, scrisse una lettera a Fisher in cui concedeva a ogni fotoreporter una “troupe” dotata di automobile. L’incombenza del trasporto dell’attrezzatura non poteva gravare sul fotografo, che doveva essere fresco e riposato per scattare al meglio. Grovesnor considerava la SOMMARIO
© Steve McCurry - NGM
La storia della Society è costellata di personaggi eroici, imprese epiche e scoperte eccezionali. Ricordiamo la spedizione artica di Peary e Hewson nel 1905, quelle di Bartlett tra il 1925 e il ’45, le esplorazioni oceaniche di Jacques-Yves Cousteau e il suo battello Calypso dotato di uno dei primi
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# 2 - 2011 della divulgazione sotto tutti gli aspetti: testuale, grafico e fotografico, il tutto finalizzato alla individuazione e preservazione delle ricchezze della Terra. I fotografi che collaborano con la Society raccolgono più di un milione di scatti all’anno. All’interno dell’organizzazione un intero staff di ricercatori si occupa unicamente di verificare più volte ogni parola che sarà pubblicata sotto il marchio NG. Ogni numero del magazine presenta una serie di reportages che sviluppano l’argomento in maniera ineccepibile, corredati da fotografie che arrivano dove non osano le parole, trascinando il lettore nel pieno dell’avventura. E dove non
Questo è il motivo per cui il NGM rappresenta l’eccellenza, come poche altre grandi testate di livello mondiale. Le sue firme, i suoi fotografi, gli stessi ricercatori che realizzano i progetti descritti nei reportages sono quanto di meglio si possa trovare nei campi della ricerca, della fotografia, della divulgazione scientifica. In conclusione vi riporto alcune curiosità sulla storia della Society che aiutano a capire la filosofia di fondo che ha mosso i protagonisti di questa avventura. Si ricorda un unico caso di espulsione, negli anni trenta: Al Capone fu cacciato quando lasciò Chicago per Alcatraz.
L’etologa e antropologa Britannica Valerie Jane Morris-Goodall, meglio nota come Jane Goodall.
sottomarini biposto con il quale poteva raggiungere i 500 metri di profondità; più recentemente la conservazione e la traduzione dell’unica copia esistente del Vangelo di Giuda e la scoperta del relitto sottomarino del Titanic, nel 2002. Ricordiamo nel campo della paleontologia le scoperte di Berger delle più antiche impronte umane, i dinosauri fossili dotati di penne e il ritrovamento dei resti di un ominide, lo Zinjanthropus. Nel campo dell’etologia le ricercatrici Dian Fossey e Jane Goodall hanno potuto compiere i loro studi sui grandi primati sempre grazie alla NGS. Gli esploratori e gli scenziati che si sono distinti per il loro operato sono stati premiati con la Hubbard Gold Medal, dal nome del primo presidente della Society. Fra i 35 assegnatari possiamo leggere i nomi del trasvolatore Charles Lindbergh, dell’esploratore Roald Amundsen, degli astronauti dell’Apollo 11, Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. Oggi NGM conta oltre 30 edizioni locali. L’edizione italiana nacque nel febbraio 1998 e fu la terza dopo quella giapponese e spagnola. Le linee guida continuano ad essere quelle tracciate nella famosa riunione di 123 anni fa’: promozione della cultura geografica attraverso la ricerca e le esplorazioni, condivisione delle conoscenze, eccellenza SOMMARIO
lo spettatore grazie a tecniche di ripresa innovative e documentaristi che si spingono al limite, spesso rischiando la propria incolumità.
Gilbert Hovey Grosvenor
arrivano le foto arrivano i disegni, piccoli capolavori di arte grafica, e l’immancabile mappa che contribuisce a contestualizzare l’argomento cartograficamente. Non mancano poi grafici e cartine tematiche d’ogni sorta. Possiamo ritrovare lo stile National Geographic in tantissime riviste, di settore e non, che utilizzino il reportage come forma principale di informazione. Il NMG è la sintesi perfetta tra l’autorevolezza di riviste accademiche quali Science o Nature e l’appeal di magazines che fanno dell’immagine commerciale la loro arma migliore, come Rolling Stone. Ciò vale anche per la documentazione video, altro campo in cui la Society ha fatto scuola. I documentari catturano
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© NGM
La NGS ha una sua bandiera tricolore, a bande orizzontali: azzurra per il cielo, marron per la terra e verde smeraldo per il mare.
La disegnò Elsie Graham Bell, figlia del presidente Bell e moglie dell’ editore Grovesnor. Fu portata all’interno della navicella che, nel 1962, compì il primo volo orbitale, in cima al monte Everest nel 1963 e a bordo della missione Apollo 11 nel 1969.
Il Magazine, coerentemente con la nobiltà degli intenti che ispirarono i fondatori, non ha mai accettato di pubblicizzare nelle sue pagine alcolici e tabacco.
© NGM
A.C.
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Vuoto a perdere by Nicola Carta
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Percorrendo la statale 130, lo riconosci subito. Il gigante di ferro e cemento, intendo. Si adagia, emergendo dal territorio pianeggiante ai piedi dei rilievi del Sulcis Iglesiente situato nell’area industriale di Sa Stoia in Sardegna, con la sua silhouette che stona con il contesto. Sembra riposare, è tranquillo, pacifico. Non ha più niente per cui lottare.
© Nicola Carta
Mi avvicino lentamente costeggiandone il confine. Lo osservo e mi rendo conto che è stato mutilato dei suoi arti periferici. Giace abbandonato. Due cani gli fanno da guardia, senza troppa convinzione né incutendo timore in chi gli si avvicina più di quanto sarebbe dovuto essere previsto. Al suo interno il silenzio è
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assordante . Svuotato, è stato ridotto a semplice involucro. Tempio di speranza, è oggi la fotografia di un territorio che ha raccontato durante la sua esistenza storie di grandi intenti e di aspettative mai abbastanza durature che si sono trasformate in drammi sociali. Siamo stati incaricati di fare delle visite ispettive affinché l’unico impianto in Italia che fino ad un anno e mezzo fa produceva lana di roccia venga dismesso in totale sicurezza. Ci accoglie, oltre a una tristezza sommessa, Antonio. Egli è l’unico superstite degli oltre cento lavoratori che tra diretti, interinali e indotto traevano da questa realtà, solo apparentemente solida, la fonte di sostentamento economico in un territorio, quello dell’Iglesiente, appunto, già abbondantemente depresso. La decisione della Rockwool International di trasferire in toto l’impianto in India, dove con la metà del personale si confeziona il doppio del prodotto finito prevede che una squadra di polacchi aggrediscano quel poco che resta del ciclo produttivo, smontandolo e accatastandolo accuratamente per il successivo trasporto. Scegliendo il bianco e nero vignettato, ho cercato di trasmettere con questi scatti quel senso di malinconia e amarezza che ho avvertito nel racconto di Antonio, che ha visto nascere, crescere, vivere e morire la sua seconda casa. Di chi come lui, ha fatto proprio ogni singolo ambiente delimitato da quelle pareti di ferro e vede ora disassemblare quegli stessi spazi che non essendo più separati ritornano parte di un unico grande open space sotto il tetto di un anonimo capannone, destinato a diventare chissà cosa. Con la mia Canon EOS 400 D, ho spaziato dall’uso del grandangolo alla focale media per fissare le sensazioni dei
differenti momenti: - l’interno del grande atrio svuotato di tutti i macchinari mentre immaginavo il febbrile andirivieni di 100 uomini che non conoscerò mai (con il classico 18-55mm @18mm, diaframma completamente aperto per permettere a quel poco di luce che permeava dalle aperture di esporre correttamente la foto, e sensibilità ISO 1600.
© Nicola Carta
Nonostante questi accorgimenti il tempo di scatto di 1/15s, risultando troppo alto, ha messo in pericolo la buona riuscita dello scatto).
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- il particolare della lana di roccia impilata con il silos sullo sfondo che non vedrà mai più la luce in quella specifica posizione (ottica fissa 50mm a f/1.8, che ha sottolineato una ridotta profondità di campo. All’esterno ho deciso di scendere notevolmente con gli ISO portando il valore a 100 con tempo di scatto pari a 1/800 s). - il disordine tra le corsie generato dall’accumulo casuale del materiale di risulta della lavorazione in attesa di essere conferito a discarica (f/4.5 obiettivo 18-55mm @34mm ISO 1600 e tempo di scatto 1/30 s). Sebbene quella degli spazi dismessi, abbandonati o degradati non sia una tematica di primaria attrazione per me, l’accompagnare questi luoghi alla storia ed al bagaglio che si portano appresso, mi hanno convinto a scrivere queste righe e a condividerle. Consiglio a chi fosse interessato a tematiche simili di andare a visitare la pagina su Flickr di Blunders 500, che delle sue foto (tutte rigorosamente HDR) scattate in location impressionanti fa il suo cavallo di battaglia: http://www.flickr.com/photos/blunders500/ N. C.
© Nicola Carta
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Fotoreporter per caso
documentando le varie fasi di preparazione nei giorni che precedono i fatidici “settantacinque secondi” della corsa di piazza del Campo.
by Bruno Olivieri
Per farlo mi sono dovuto accontentare di quel poco di corredo fotografico che avevo appresso per il quale, non avendo previsto una simile eventualità, ho ragionato più in termini di peso e praticità per il trasporto, che in base a un tale effettivo utilizzo. «Che diamine...», pensavo prima della partenza, mentre facevo i bagagli, «... Di solito in vacanza si fotografano monumenti e panorami, mica cavalli al galoppo in mezzo alla folla. Al posto di un corpo macchina in più, credo che mi porterò un cavalletto...» e così facendo per evitare l’ulteriore ingombro lasciavo a casa anche il Tamron 70200mm f2,8 (!!!).
www.flickriver.com/photos/brunoolivieri/
Siena, agosto 2010 - La paràfrasi del titolo della nota trasmissione televisiva “Turisti per caso” di Patrizio Roversi e Syusy Blady, introduce perfettamente il resoconto dell’esperienza che ho vissuto in occasione delle vacanze estive, nell’agosto scorso. Il mio itinerario prevedeva in origine alcune tappe tra la Toscana e l’Emilia presso amici e parenti e la prima delle quali fu programmata a Siena nei giorni immediatamente precedenti lo svolgimento del Palio dell’Assunta del 16 agosto, con la ferma intenzione di ripartire per la tappa successiva qualche giorno prima dell’evento. Ma il caso ha voluto che, per una serie di piccoli imprevisti, sono stato costretto a prolungare la permanenza nella bellissima città toscana e così mi sono ritrovato nel pieno della kermesse della manifestazione, totalmente assorbito da quello che per noi turisti potrebbe sembrare un piacevole “clima festaiolo”, ma che i senesi vivono con autentico misticismo. Ho quindi unito l’utile al dilettevole e mi sono improvvisato fotoreporter seguendo e SOMMARIO
© Bruno Olivieri
In pratica, ero così configurato: Nikon D80 con impugnatura MB e due batterie ENEL3, corredata dalle ottiche: Nikkor 18/55mm f 3.5-5.6G, Nikkor 55-200mm f/4-5.6G e Nikkor 50mm f 1,8. Fortunatamente non ho voluto rinunciare al Flash Nikon SB600 (utilissimo quando il protrarsi degli eventi in prossimità del tramonto, ha messo a dura prova l’insufficiente luminosità delle ottiche non stabilizzate). Completava l’equipaggiamento anche la mia fedele compatta Samsung L100 per la quale, sebbene sia ben lungi dal sostenere che abbia adeguatamente sopperito alla mancanza del secondo corpo,
mi sentirei comunque di renderle l’onore delle armi. Infatti, in quella circostanza non avrei esitato di fare perfino uso della fotocamera del cellulare, se ce ne fosse stato bisogno.
© Nikon
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Nonostante tutto, non penso di essermela cavata poi tanto male e i risultati mi hanno abbastanza ripagato di qualche levataccia all’alba per seguire le prove o di ore interminabili sotto l’impietoso sole pomeridiano d’agosto, per accaparrarmi il posto migliore in prima fila nella speranza di fare qualche scatto decente ai cavalli e non alle nuche degli altri fotoreporter per caso, come me. Infine, dato che la fortuna aiuta gli audaci, in occasione della corsa ho avuto la possibilità di trovare posto a sedere gratis nel costoso palco prospiciente la linea della partenza delimitata dal canapo, grazie alla generosa rinuncia di mio nipote Matteo che ha ceduto il posto allo zio fotoreporter. Grande Matteo, non so se citarti alla fine di questo articolo possa ripagarti del tuo sacrificio, ma sappi che l’ho fatto col cuore! :-D B.O.
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Si montano i palchi in legno che accoglieranno gli spettatori. Con l’avvicinarsi dell’evento l’aria si carica di elettricità, difficile non lasciarsi coinvolgere;
Fervono i preparativi. Per tutti i quattro giorni della durata del Palio la fisionomia della bellissima p.zza Del Campo di Siena, cambierà;
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La coltre di tufo stesa sul lastricato accoglierà lo scalpitìo degli zoccoli. Ma prima, per qualche giorno, sopporterà il ciabattìo irriverente delle infradito dei turisti;
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I secolari riti dalla “Tratta” alle “Prove”, precedono la “Corsa”. Si alimentano le speranze per i sorteggi che assegneranno i cavalli e si fanno pronostici per la vittoria finale;
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Tutto è pronto: la costante manutenzione tiene il tufo compatto. Niente è lasciato al caso, anche la più piccola imperfezione potrebbe essere un’insidia per uomini e cavalli;
Nella cattedrale il Drappellone (o cencio) viene esposto prima di essere portato sulla piazza. Ambìto riconoscimento per la contrada vincitrice;
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Durante le sei prove che precedono la Corsa, familiarizzo con i rumori, le luci, gli umori. Sebbene per me, da profano, affermare di riuscire nell’impresa di abituarmi a tutto ciò sia un azzardo, non posso fare a meno di calarmi interamente nell’atmosfera, affascinato. Dopo un po’, anche per me, questo diventa il “mio” Palio;
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Tutto intorno è colore, storia, consuetudini e nelle notti della Siena del Palio cerco di muovermi con discrezione. In fondo sono sempre un ospite;
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Ci siamo, è il grande giorno. I cori riecheggiano dai vicoli del centro storico. I contradaioli si sfidano con le rime e gli sfottò dei loro canti, prima del verdetto del campo;
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Dopo il Corteo Storico, il galoppo sfrenato dei Carabinieri a cavallo. Poi, alla “mossa” la partenza dal canapo. C’è ancora il margine per contrattare le alleanze o rinnovare le promesse. Si parte. No! Si ripete: una, due, tre volte. E ancora, ancora fino a quanto sarà necessario;
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Partiti, finalmente! Si corre, si cade, si urla, si suda e si impreca per poco più di settanta secondi. Poi, dopo i tre giri lo scoppio del petardo sancisce la fine della corsa. Si corre ancora, si ride, si piange, ci si abbraccia, ci si insulta. E’ il Palio e io c’ero. B.O. pag. 18
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Incontri
Valerio Contini: Back in the USSR by Andrea Tuveri
# 2 - 2011 Egli ci riferisce delle difficoltà di fotografare avute in un paese che cercava di scrollarsi di dosso l’oppressione del passato regime e che soffriva dell’ingerenza della malavita organizzata, pronta a gestire certe situazioni in quei tempi di transizione tra il vecchio e il nuovo.
http://www.flickr.com/photos/tuve76/
Capelli e barba lunga, pantaloni e giubbino kaki, si presenta così Valerio Contini nel covo Effezero, sembra quasi che sia appena tornato da un viaggio da chissà quale parte del mondo.
Valerio ha visto quella realtà, ha scattato, pianto e rimosso. Ha scattato in maniera inconscia e poi ha rimosso, era convinto di non essere riuscito a fotografare niente all’interno dell’ospedale e, dopo aver rivisto il risultato del suo lavoro, con difficoltà si è dovuto convincere che quelle foto erano proprio le sue.
Comincia col presentarsi, perito informatico approdato all’accademia delle belle arti per inseguire una sua amica della quale si era infatuato. E’ stato plasmato fotograficamente da due insegnanti fotografi. Il primo, Fabio Merio, lo ha formato a pane e camera oscura. «Mi ha convinto che il fotografo deve essere un’artista e la fotografia deve essere solo un opera d’arte», ci racconta Valerio. «Ci ha fatto inseguire la perfezione, siamo diventati degli ottimi stampatori”. Il secondo fu Massimo Tosello, fotoreporter anni ‘70. Per Tosello la fotografia è esattamente il contrario, quindi non opera d’arte ma solo documentazione. Con questa formazione e un’educazione familiare in stile “falce e martello”, nel 1998 Valerio comincia a viaggiare e, in clima di perestrojka già avviata, arriva in Russia. Valerio racconta, mentre i suoi scatti scorrono alla luce del proiettore davanti ai nostri occhi; Sono in bianco e nero, perfetti, realizzati con una Nikon F5 e stampati con passione ma sopratutto, sono immagini che raccontano di sentimenti, luoghi, persone. Valerio è un ragazzo al quale hanno insegnato a sentire e previsualizzare lo scatto, ragionando in bianco e nero. Ci parla di cromaticità e di previsualizzazione, cita i “nostri” maestri: Anselm Adams, tra gli altri. Le sue immagini ci portano nel nord est della Russia di qualche decennio fa: le città, i mercati, i bambini, la gente. SOMMARIO
Dopo la prima carrellata di scatti, il lavoro che ci presenta è quello sul centro oncologico pediatrico in bielorussia, Baravliani di Minsk. A quel punto, improvvisamente, il solito clima conviviale che caratterizza gli incontri con i nostri ospiti, il vociare, le battute e gli scambi di opinioni cessano. Nel locale cala il silenzio, sul fondale il proiettore disegna la tristezza. Tanta. Più di quanta noi ne potessimo immaginare.
Ritratto di Vitaly da Bambino © Valerio Contini
Le locations sono tante: dalle manifestazioni del blocco Stalinista alle manifestazioni di estrema destra davanti al cremlino. Le sue immagini più datate, in formato analogico, parlano di una Mosca che non esiste più, dalle quali si evince la nostalgia di un passato ancora recente. La composizione delle sue foto è perfetta e i crop non fanno per lui; il rigore estetico è nella formazione di Valerio. Fa una certa impressione sentire un tuo coetaneo che racconta della tecnica dello scatto “analogico” e delle difficoltà causate dal passaggio al digitale. Ma quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e Valerio è un duro, la sua fotografia nasce da dentro il cuore, non specula, non infierisce, da essa si denota tutto il suo amore per la terra di Russia e i suoi scatti raccontano e rispettano la gente e le loro condizioni di vita.
Ci racconta ciò che sarebbe difficile raccontare a parole; Le sue immagini scorrono inesorabili, tagliano come lame e ti colpiscono alla bocca dello stomaco, come nemmeno un boxeur saprebbe fare. Ecco chi è Valerio, ricordiamoci che è colui che rispetta e non specula. Osservando le sue fotografie ci dà la consapevolezza di tutto questo: Valerio ritrae un bambino che ha subìto l’asportazione di un occhio aggredito da un tumore, fotografa il suo volto di profilo celando il lato con la parte offesa e, sullo sfondo, compare la madre su un piano leggermente sfocato, rispettata da una generosa apertura del diaframma, che guarda quello che sul viso del suo bambino non avrebbe mai voluto vedere. Valerio ha ragione: mostrarci la mutilazione non ci avrebbe dato nulla di più, la tristezza di una madre invece, racconta
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Vitaly 18 Anni, Anemia aplastica severa - © Valerio Contini
Continuano a scorrere le immagini... Vitaly, è un bambino che viveva con la madre e uno zio ubriacone, dopo il disastro di cernobyl va a passare le vacanze dalla nonna in Bielorussia, dopo i primi sintomi la diagnosi implacabile è stata: Anemia aplastica severa.
Dopo otto interventi chirurgici e la donazione di midollo da parte della madre,Vitaly non guarisce e per una serie di sfortunate circostanze non ottiene lo status di “Bambino di cernobyl”, non potendo quindi usufruire di nessuna agevolazione per curarsi.
Un bambino e il suo medico attraverso una finestra.
Valerio spezza la tensione, la tristezza. Parliamo di nucleare e delle sue funeste conseguenze, di bambini bielorussi che fanno le vacanze in Sardegna. Tra questi, ci parla di Lukasaenko, poi ci mostra Andreina, una bimba di sei anni malata di leucemia, dal momento delle diagnosi Andreina non ha più sorriso e, come se fosse diventata adulta di colpo, quando perse i capelli non versò una lacrima e smise di interagire con tutti. Parlava solo con la mamma. Vediamo inoltre bambini che fanno riabilitazione, altri che parlano con le mamme attraverso uno spesso vetro. Sono scatti bellissimi, perfetti pur nell’imperfezione del mondo che rappresentano. Certa critica ha ritenuto le fotografie di Valerio poco dirette e edulcorate. A noi invece, proprio per questo suo stile molto personale, sono piaciute e ci hanno fatto pensare. Molto.
Bambino all’interno del Centro Ricreativo - © Valerio Contini
Grazie, Valerio!
© Bruno Olivieri
tutto, anche quello che non vediamo.
# 2 - 2011
© Valerio Contini
EFFEZERO MAGAZINE
Valerio Contini , è nato in Sardegna nel 1972. Ha studiato fotografia presso l’Accademia di Belle Arti. Dopo gli studi ha iniziato a viaggiare in tutto il mondo, soprattutto nell’ex Unione Sovietica. Ha una moglie e una figlia di due anni. Il suo ultimo progetto è un reportage sulla situazione attuale di Chernobyl, colpita venticinque anni fa dal disastro nucleare che con la sua contaminazione ha irrimediabilmente mutato i luoghi, le persone e le coscienze.
A.T. SOMMARIO
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EFFEZERO MAGAZINE
La Sartiglia vista da vicino by Marcello Trois
www.marcellotrois.com
# 2 - 2011 i cavalieri che avranno l’onore di partecipare alla giostra: la tradizione vuole che dal numero di stelle infilate dipenda l’abbondanza o la penuria del raccolto. L’ultima corsa all’anello viene effettuata con “su stoccu”, un’asta di legno lavorato.
Oristano, marzo 2011. Le parole non bastano per uno dei carnevali più belli dell’isola, così diverso da tutti gli altri. È una festa che inizia al mattino e non finisce mai. Per gli oristanesi dura un anno intero. Per chi oristanese non è, il brivido è di tre giorni. La Sartiglia è una delle manifestazioni carnevalesche sarde più spettacolari e coreografiche. Il nome deriva dal castigliano “Sortija” e dal catalano “Sortilla” entrambi aventi origine dal latino sorticola, anello, ma anche diminutivo di “sors”, fortuna. Nell’etimologia del termine è racchiuso il senso della giostra come una corsa all’anello, una giostra equestre legata strettamente alla sorte, alla fortuna, ai riti pagani propiziatori di fertilità della terra.
© Marcello Trois
Il protagonista è su Cumponidori, il cavaliere, il cui nome deriva da quello del maestro di campo della “sortija” spagnola, chiamato “componedor”. La festa inizia con il lungo rituale della vestizione del capo-corsa il quale, seduto sopra un tavolo di legno, da quel momento non potrà più toccare terra fino alla fine della giornata. Le donne, “is Massaieddas”, guidate dalla “Massaia manna”, vestono il cavaliere con una camicia bianca, pantaloni e “cojettu” di pelle (sorta di gilet anticamente usato quale abito da lavoro dagli artigiani), coprono il suo viso con una maschera androgina tenuta ferma con una fasciatura, poi gli adornano il capo con un velo da sposa e un cilindro nero: uomo e donna al tempo stesso, su Componidori diventa una sorta di semidio. Dopo aver benedetto la folla con “sa Pippia de Maju” (un fascio di pervinche e viole, simbolo di primaverile fecondità), ha il compito di aprire la gara, infilando per primo con la spada una stella appesa ad un filo; sceglierà quindi SOMMARIO
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# 2 - 2011
© Marcello Trois
© Marcello Trois
EFFEZERO MAGAZINE
Due parole con Giuseppe Catapano, 34 anni commerciante, Componidori della corsa alle stelle della domenica: - Per te è stata una Sartiglia diversa? «Questa à la mia Sartiglia numero quindici, ho fatto su terzu nel 2009, diciotto discese effettuate negli anni passati nella corsa alla stella con un centro nel carniere. Chi fa la Sartiglia aspetta questo giorno, però quando il corteo arriva a casa tua è un’altra cosa rispetto a come avevi immaginato tutto. Gli amici, i suoni, quando li vedi tutti qui per te l’emozione è fortissima».
L’attrezzatura tipo di Marcello: Fotocamera Nikon D60 Ottiche Tamron 18-200 mm F/3.5 – 6.3 AF Tamron 70-300 F/4 – 5.6 AF Nikon 18-55 mm
- Com’è stata l’attesa che ha preceduto la nomina a componidori? «Si diceva da mesi che sarei stato io il capocorsa, ma il tempo passava e nessuno si faceva vivo. Ho iniziato ad avere timore, perché il presidente del gremio non si sbilanciava. Poi all’improvviso, alle due di notte, mi è stata comunicata la nomina».
M.T SOMMARIO
© Marcello Trois
- Cosa vuol dire essere componidori? «E un desiderio (come per tutti i cavalieri) che accarezzavo da bambino, un sogno che, finalmente, si è realizzato».
Flash Nikon SB600
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EFFEZERO MAGAZINE
# 2 - 2011
Bacheca
L’attrezzatura tipo di Marco Mattana e composta da una Nikon D700 e un bel set di grandangoli dei quali non si è mai privato.
di tutto, di più
Altra importante conferma per un socio EffeZero al concorso Ichnusa 2011
Tra essi egli predilige il 14-24 f/2.8 Nikkor ed il 16 Fisheye. “Tutto il resto e’ superfluo...” dice Marco, che aggiunge:
Dopo l’exploit dello scorso anno che ha visto il nostro presidente Giovanni Maciocco, aggiudicarsi il 1° premio del prestigioso concorso di fotografia sponsorizzato dal famoso marchio della birra Ichnusa, anche nell’edizione appena conclusa il nostro socio senior Marco Mattana non è stato da meno fregiando il suo palmares privato e quello dell’associazione di un’altra importante affermazione: un altro primo premio della giuria tecnica!
Palmares Effezero
“... Nonostante abbia un bel set di ottiche fisse ed un classico trittico 2.8, potrei andare in giro sempre con le due ottiche sopra citate ed il 50 millimetri...” e, visti i risultati, c’è da credergli!
2011 1° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Marco Mattana - titolo: Scendimene le mani; 11° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Alessandro Cani - titolo: Asinelli sardi; 16° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Giovanni Maciocco - titolo: S’Urtzu; 17° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Stefano Mattana - titolo: Surfiamo i mari di grano;
Il giovane Mattana, nato nel cuore del quartiere Stampace a Cagliari nel settembre del 1974, dopo aver conseguito il diploma in elettronica e telecomunicazioni ha intrapreso poi il percorso lavorativo nello stesso ambito dei suoi studi. Ha comiciato a fotografare in analogico quasi esclusivamente in occasione suoi viaggi in moto, per poi prendersi
qualche anno sabbatico lontano dalla fotografia. Ciò fino all’avvento del digitale che gli ridà entusiamo e fantasia. Da quel momento è stato un crescendo di soddisfazioni che lo hanno portato, assieme al fratello Stefano (nostro socio fondatore), a creare il progetto “Cagliari a 360°” la cui serie di fotografie è stata protagonista di alcune mostre ben riuscite, in vari centri espositivi della Sardegna. Pratica la speleologia ed anche in queste occasioni non lascia a casa la sua fida fotocamera full frame, con la quale continua a deliziarci coi suoi magnifici scatti underground e non. Complimenti, Marco. Da tutti noi associati “Effezero”.
La foto di Marco Mattana, vincitrice del 1° Premio al Concorso Ichnusa (Titolo: Scendimene le mani). In alto: Una fotografia del progetto “Cagliari a 360°” dei fratelli Stefano e Marco Mattana.
SOMMARIO
2010 1° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Giovanni Maciocco - titolo: Il vecchio e la giovane; 5° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Marco Mattana - titolo: rinnovamento; 1° Classificato categoria non Prof Concorso Fotografa la Musica: Giovanni Maciocco - titolo: Tromb(r)a; 2° Classificato categoria Prof Concorso Fotografa la Musica: Bruno Olivieri titolo: Tamir Hendelmann al piano; 2009 1° Classificato giuria popolare concorso Ichnusa: Marco Mattana - titolo: La Sardegna è anche sotto; 3° Classificato giuria tecnica concorso Ichnusa: Stefano Mattana - titolo: Sardegna, una miniera di piacere; 7° Classificato giuria popolare concorso Ichnusa: Alessandro Cani - titolo: Vento e Sardegna; 10° Classificato giuria popolare concorso Ichnusa: Giovanni Maciocco - titolo: Vento di Sardegna 3° Classificato categoria Prof Concorso Fotografa la Musica: Bruno Olivieri titolo: Archie Sheep; Menzione speciale Concorso Fotografa la Musica: Marco Mattana.
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EFFEZERO MAGAZINE
SOMMARIO
# 2 - 2011
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EFFEZERO MAGAZINE
# 2 - 2011 Š Nicola Carta
EFFEZERO Organigramma e elenco soci Fondatori:
AlessandroCinus
Serena Timillero
Giovanni Maciocco - presidente
Marcello Trois
Pamela Turnu
Maurizio Cotza - segretario
Valentina Saba
Teresa Fois
Alessandro Cani - tesoriere
Nicola Carta
Pierpaolo Fois
Stefano Mattana - consigliere
Maria Cristina Floris
Laura Governi
Stefano Sassu - consigliere
Antonio Crisponi t
Isabella Pirastu
Cristiano Cani
Silvia Podda
Stefania Ziantoni
Giuseppe Melis
Giulia Melis
Emanuele Aymerich
Sara Cavada Giovanni Cireddu
Soci senior:
Daniele Grecu
Bruno Olivieri
Alessandro Pili
Andrea Pinna
Silvia Vincis
Marco Mattana
Claudia Chessa
Andrea Tuveri
Elena Giordano
Pierpaolo Arru
Paolo Coiana Matteo OrrĂš
Soci ordinari:
Massimo Carrus
Massimiliano Desogus
Yuri Basilico
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Associazione Fotografica EFFEZERO www.effezero.it info@effezero.it
sede operativa: Cagliari, via Nervi - z.i. Elmas pag. 25
Arrivederci al prossimo numero... Š Isabella Pirastu - Sul dromedario - dune di Merzouga
M A G A Z I N E