Temporalia - Memento, homo quia, pulvis es et in pulverem reverteris

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TEMPORALIA

— MEMENTO, HOMO QUIA, PULVIS ES ET IN PULVEREM REVERTERIS — ANNA CORRAINI


TEMPORALIA

MEMENTO, HOMO QUIA, PULVIS ES, ET IN PULVEREM REVERTERIS

1

[sacre scritture - gen 3, 19]

Incerta omnia. Sola mors certa. La morte è insita nell’uomo.

1.1 Ognuno è inconsciamente convinto di essere immortale, non si concepisce la propria morte. Freud La morte nella società. 1.2 Quotidie morior. L’uomo è la sua morte. La storia della morte. 1.3 Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è. Ecclesiaste Curiosità di popoli, epoche passate. 1.4

1.3.1 1.3.2 1.3.3 1.3.4 1.3.5 1.3.6

1.4.1 1.4.2 1.4.3 1.4.4 1.4.5 1.4.6 1.4.7

La La La La La La

morte morte morte morte morte morte

per gli Egizi per i Greci per i Romani per i Messicani in Oriente in India

Omina mors aequat. Precisazioni.

Vanitas Ars Moriendi Ossari Vedi Napoli e poi muori El Dia de los Muertos Famadhiana Fiesta de las Natitas

1.5 Chi ben vive ben muore, e chi vive male muore anche male. Cardinal Bellarmino

Pre-post Illuminismo e le conseguenza sulla morte e sulla concezione del corpo.

1.6 Ciascuno di noi subisce la propria morte. Nella società odierna. 1.7 La morte è più popolare della vita. La morte oggi.

Ipoustéguy


2

Sum quod eris, quod es olim fui. I am as you will be. Il Memento mori.

2.1 Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, gia è. Ecclesiaste Breve storia. 2.2 Mors certa, hora incerta. Il significato del Memento mori. 2.3 Quisque suos patimur manes. Ciascuno di noi subisce la propria sorte. Virgilio Iconografia, simboli e significati. 2.3.1 2.3.2 2.3.3 2.3.4 2.3.5 2.3.6 2.3.7

Il teschio Natura morta Orologi, candele o torce e clessidre Calamaio e libri Fiori e bolle di sapone Danse Macabre, Trionfo della morte, La morte e la fanciulla, La leggenda dei tre morti e dei tre vivi Altri simboli minori

3

Mi sono reso conto che dovrei spaccare qualcosa una volta a settimana per ricordare a me stesso quanto è fragile la vita umana. Andy Warhol

Il Memento mori come gioiello.

3.1 Hode mihi, cras tibi. Oggi a me, domani a te. Vulgata Breve storia.

3.1.1

I capelli come gioielli.

3.2 Vanitas vanitatum. I gioielli oggi. 4

Eccllesiaste

Gioielli

4.1 Mors omnibus communis. I Gioielli storici.

4.2 Heut Rodt Morn Todt. Today red, tomorrow dead. I gioielli contemporanei. 5

Sì, mò me lo segno. Massimo Troisi

6

Bibliografia e sitografia.

Conclusioni. [Jean-Michel Alberola, Rien(Blanque), 1994-2004]


[FĂŠlicien Rops, La morte che danza, 1865-75]


TEMPORALIA MEMENTO, HOMO QUIA, PULVIS ES, ET IN PULVEREM REVERTERIS [sacre

scritture - gen 3, 19]

Corso di Laurea in Design della Moda Professoressa Alba Cappellieri Dottoressa Michela Fornasari a.a. 2011 - 2012


1

Incerta omnia. Sola mors certa. La morte è insita nell’uomo.

“È difficile comparare la Morte con il Vuoto, perché noi diamo talmente per scontata quella ‘via d’uscita’ e ne analizziamo ogni dettaglio. Eppur la mostruosità del Vuoto, parola che usiamo per definire l’impensabile, prima, dopo e in tutto l’Universo rappresenta, significa anche Morte. L’idea familiare secondo la quale noi tutti moriamo e che la vita continua in maniera realistica, arriva subito a confortarci: ed è il motivo per cui possiamo averci a che fare. Il Vuoto è talmente vicino a noi, con il nome di Morte, che ci inibisce dal voler cercare una sua genesi. Questo Vuoto ineluttabile è talmente parte di noi che non abbiamo modo di trovare una protezione dallo sviluppo delle concezioni banali, sia in termini fattuali che fittizi.”

Richter, 1985

L’utensile e la sepoltura caratterizzano la specie umana rispetto agli altri esseri viventi, esprimono infatti il suo adattamento al mondo. La sepoltura ha lo scopo di prolungare la presenza dell’uomo dopo la morte e la conservazione del suo cadavere implica un prolungamento della vita e la fede nella loro sopravvivenza. La morte è concepita come priva di contenuto, è vuota, indefinita e impensabile. Se ci siamo noi lei non c’è, e se c’è lei noi non ci siamo più, come ci insegnano Cicerone e Lucrezio. O ci siamo noi, o c’è la morte. Nel primo caso, la cosa non ci riguarderebbe ancora, nel secondo non ci riguarderebbe più. L’immortalità diventa così affermazione della propria individualità, prendendo consapevolezza della morte, veniamo sottoposti a un trauma, siamo dunque spinti alla ricerca di soluzioni per arrivare all’immortalità. Il timore della morte è meno forte nei popoli arcaici, dove la pressione sociale è molto più intensa. L’individuo è in simbiosi con altri membri del gruppo, e l’affermazione del gruppo sociale è intrinseca nelle parti più intime dell’individuo, lasciando quindi in secondo piano la presenza traumatica della morte. Eccetto le nostre spiccate facoltà intellettive, l’aspetto che più ci differenzia dai nostri antenati, così come da qualsiasi altro animale, è la consapevolezza di dover morire. Ne consegue che conoscere equivale a uccidere, e in tal senso anche a morire.


1.1

Ognuno è inconsciamente convinto di essere immortale, non si concepisce la propria morte. Freud La morte nella società.

Edgar Morin definisce la nostra come una società a-mortale. Uomini e donne si pongono solo il problema del vivere e attendono la morte come un destino accettato. L’uomo sembra preferire di non sapere con la sua mente quello che la sua carne inevitabilmente sa e non può ignorare.

Nella storia dell’uomo si sono create quattro fasi differenti secondo Ariès: La prima fase è quella della morte addomesticata dove viene percepita come naturale e ovvia, l’atteggiamento prevalente di fronte ad essa è la rassegnazione, la morte è diventata parte del paesaggio, è ovvia. L’abitudine e la rassegnazione sono gli atteggiamenti che hanno portato a una coesistenza di vivi e morti. Durante il medioevo si può assistere alla morte di sé, alla scoperta della morte individuale e della sua drammaticità, si diffondo quindi le artes moriendi, manuali del ben morire, e nell’arte temi come le danze macabre e i trionfi della morte, i Totentanz. La morte diventa quindi un luogo dove l’uomo prende coscienza di se stesso. Come sintetizzerà il cardinal Bellarmino ‘chi ben vive ben muore, e chi vive male muore anche male’. La terza fase a partire dal XVIII secolo è la morte dell’altro. La morte viene drammatizzata, è dominante, nasce dunque il culto delle tombe, l’attenzione ai propri morti, il dialogo con loro, la creazione di luoghi dove questo dialogo può avvenire nella sacralità. L’ultima tappa, ovvero quella attuale, è quella della morte proibita, e comincia grosso modo dal secondo dopo guerra. La morte scompare dal panorama sociale, oggetto di vergogna e di divieto, ormai la vita è sempre felice o deve sempre averne l’aria. Comte sosteneva il vivere per gli alti al fine di sopravvivere negli altri, il concetto di com-memorazione prende spazio in questi anni e ha un ruolo rassicurante, noi moriremo ma gli altri ci ricorderanno.


1.2

Quotidie morior. L’uomo è la sua morte. La storia della morte. Jean Baudrillard ha definito la morte come semplice linea di demarcazione che separa i morti dai vivi. La vita porta necessariamente alla cessazione di questa, ma la morte come concetto è una costruzione dell’intelletto che può variare da società a società, da epoca a epoca. Mentre noi siamo soliti concepire la morte come uno stato irriducibile, non negoziabile e inequivocabile, la sua definizione e interpretazione dipendono dal contesto. Nel mondo occidentale moderno siamo soliti considerare la morte come limite ultimo. In molte altre culture è concepito come una semplice transizione, e un dialogo tra vivi e morti è tutt’ora presente creando una parte significativa dell’ambiente sociale. Possiamo fare l’esempio dei Famadihana in Madagascar o del Dias de los Muertos in Messico, sui quali ci soffermeremo in seguito. La morte ci uniforma tutti, inevitabilmente moriremo, ricchi o poveri, intelligenti o stolti. Nelle epoche passate questo pensiero era ben noto e creava un alone di sacralità e rispetto nei confronti della morte, rafforzando anche il sentimento di unione all’interno della società che si chiudeva in gruppo per farsi forza. Vi è un atteggiamento nella cultura moderna per cui i morti invece devono essere esclusi dalla società dei vivi. Prima del XIX secolo il rapporto con i morti era importantissimo, gli ossari erano la prima manifestazione di questa valenza. Luoghi sacri di speranza escatologica, erano

[Cripta del monastero di Santa Maria della Concezione]

frequentati dai vivi per intercedere per i propri avi (soprattutto dopo il riconoscimento del purgatorio da parte della chiesa cristiana nel 1254) e per chiedere consigli su problemi personali; anche i più giovani frequentavano questi luoghi per essere inseriti nella storia familiare e per conoscere i propri avi. Gli ossari erano inoltre veri e propri monumenti Memento mori ed erano costruiti anche per aspettare la seconda venuta di Cristo in cui tutte le anime sarebbero risorte ritrovando appunto le proprie membra, diventando così anche Memento vitae.


1.3

Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è. Ecclesiaste Curiosità di popoli, epoche passate. La morte per gli Egizi 1.3.1

La morte per i Romani

Gli Egizi credevano nella resurrezione

Spesso i Romani organizzavano

per questo motivo le celebrazioni

banchetti per lasciare ai presenti

funebri, i monumenti e le tombe erano

un’immagine positiva di loro in vita

rituali curati in ogni loro aspetto

in modo da inciderla nelle menti dei

alla perfezione. Lo scarabeo sacro,

partecipanti perchè rimanesse anche

Ateuchus Sacer, diffuso nelle regioni

dopo la loro morte. Esattamente come

mediterranee, era per loro il simbolo

declamato dall’epicureismo, una vita

di resurrezione. L’insetto, ci

accompagnata dalla bellezza, dal vino,

spiega Celant, nasce e vive tra la

e dagli eccessi, fino a quando il tetro

decomposizione e gli scarti, sottende

ignoto porterà via tutto.

la rigenerazione dell’essere umano che, attraverso la morte, arriva alla vita. Questo culto della resurrezione si diffuse presso i Fenici, i Cartaginesi, i Greci, gli Etruschi e fino ai Romani.

1.3.3

1.3.4

La morte per i Messicani La cultura messicana è ricca di simboli funerari, tra questi, il teschio umano ricopre un posto di primo

La morte per i Greci 1.3.2

piano. Molte tra le divinità maya e

Il pensiero greco antico accetta la

o ne sono addobbate. In Sud America

morte come finitezza dell’uomo e nega

il concetto manicheo dell’esistenza

l’immortalità, la filosofia mette da

perde di significato: vita e morte sono

parte gli dei e guarda in faccia alla

inscindibili. Il Dia de los muertos è

morte. Atene era una città cosmopolita

appunto simbolo e sinonimo di questa

e le idee venivano messe in piazza

concezione. I messicani infatti non

e discusse. Lo sviluppo sociale

intendono sdrammatizzare la morte ma

portò a uno sviluppo individuale

cercano di conviverci in modo gioioso,

ed emerse la paura della morte. La

consapevoli del fatto che è un evento

morte è inevitabile, non ci si può

del tutto naturale e niente affatto

opporre. Socrate mette in primo piano

terrifico. I popoli dell’entroterra

fierezza e serenità nell’affrontarla.

americano si tramandano un’antica

L’indifferenza nei confronti della

leggenda che parla di 13 teschi di

morte è quindi espressione di un

cristallo lasciati in dono agli uomini

ateismo convinto.

dagli dei del cielo e in essi sarebbe

azteche hanno per volto un teschio

racchiuso tutto il loro sapere. Questi teschi parlavano e cantavano attraverso particolari vibrazioni mentre gli sciamani se ne servono per riti esoterici.


La morte in Oriente 1.3.5

non realizzabile finché il vecchio

Se in Occidente il teschio è il

si dividono in quattro fasi: i rituali

simbolo della morte, in Oriente esso

da compiere quando la persona è

è il simbolo della luna. L’idea della

ancora sul letto di morte, in agonia;

morte (del tempo che divora tutto) è

i riti che precedono e accompagnano

una tipica ossessione del pensiero

la cremazione; i riti che permettono

occidentale; in Cina, come in Messico

il passaggio dell’anima del defunto

non è il nero bensì il bianco il colore

dallo stadio Preta (spirito) a quello

del lutto. Il nero, viceversa, celebra

di Pitrs, antenato; i riti in onore

la vita, è il colore del buon auspicio.

degli antenati. Le persone in fin

1.3.6

di vita si cerca sempre di portarle

I riti Antyeshti sono fondamentali

essere commemorate dai parenti e per

nella cultura indù ma possono variare

poi essere trasportate nei luoghi a

da regione a regione e a seconda

loro cari, prima di essere cremate

delle tradizioni. Circa quattromila

(Shmashana) in riva a un fiume o

anni fa i corpi venivano esposti agli

al mare. Dopo lunghi riti dove i

elementi naturali, ma con il passare

famigliari accendono la pira secondo

dei secoli la cremazione si è affermata

precisi movimenti, i parenti si vestono

come rito principale. La cremazione

a lutto, in bianco, e spargono dopo

è diventata allora il passaggio

alcuni giorni le ceneri del defunto

fondamentale per permettere all’anima

in acqua. I piccoli resti di ossa

di raggiungere il più rapidamente

vengono tenuti come reliquie insieme a

possibile una nuova dimensione, evento.

fiori colorati per poi essere lasciate

La morte in India

corpo esiste come tale. I rituali poi

a casa per una morte serena, per

navigare in acque di fiumi sacri.

1.4

Omina mors aequat. Precisazioni.

Vanitas 1.4.1

Non ammonisce solo sul viscerale

La vanitas è un tema pittorico, ma può

attaccamento alle cose terrene ma

essere associato anche a un pensiero

tende a istillare anche un senso amaro

tipico della società del Medioevo,

di fallimento.

per quanto riguarda l’arte ebbe il

Ars Moriendi

suo massimo sviluppo nell’Olanda del

1.4.2

Seicento. Solitamente è una natura

Ars Moriendi, o l’arte del morire,

morta con elementi simbolici allusivi

fa parte della letteratura cristiana,

al tema della caducità della vita.

e fornisce delle guide pratiche ai

Il nome deriva dalla frase biblica

morituri e a chi li affianca. Questi

‘Vanitas vanitatum et omnia vanitas’.

manuali informano il morente a cosa


lo aspetta, prescrivono preghiere,

respirare. La città si trasforma in un

azioni, e attitudini per portarlo a una

esibizionistico apparato digerente, un

buona morte, e alla salvezza. Il primo

continuo offrirsi al visitatore che si

di questi compendi apparve in Europa

riposa all’ombra della morte, non più

durante il XV secolo, e diventò poi un

rifiutata ma abbracciata amorevolmente.

genere cristiano classico che terminò

Percezione ordinaria che si fa intensa,

con l’avvento dell’Illuminismo, e della

acuta, perché la città trasuda speranza

sua ossessione per l’individuo e per

e disperazione ovunque, rendendo

l’igiene.

irresistibile l’immortale ‘culto

1.4.3

ritualizzato dei morti’. La bellezza si

Ossari

L’abitudine di accatastare ed esibire le ossa ebbe inizio nel Trecento. In un primo momento si trattò di un’esigenza pratica: depositi di fortuna ospitavano infatti le vecchie ossa che venivano esumate dai cimiteri per far posto alle nuove. Dal quattrocento in poi, invece, le ossa traslate dalle loro sepolture

è sempre confrontata con la morte, a causa del suo essere situata dinanzi a un mare magnifico ma potenzialmente pericoloso, e per l’incombente presenza del Vesuvio. Costantemente minacciata dalla distruzione naturale, Napoli è una città che simbolizza la moderna situazione esistenziale del vivere al margine.

a guisa di decorazioni ornamentali

1.4.5

oppure per simulare oggetti macabri,

Festeggiamento Sud Americano, in

divenne così un luogo dove la morte

particolare messicano, celebrato

è resa visibile. Disposte con ingegno

il 2 novembre, è una ricorrenza in

sia nelle cappelle sia nelle logge o

cui i vivi possono rendere omaggio

nell’atrio delle chiese, il Medioevo

ai propri defunti. In Brasile è

ne fece un’esposizione indirizzata a

festeggiato come giorno delle anime.

colpire i sensi dei fedeli. Gli ossari

I messicani credono infatti che la

infondevano una speranza escatologica,

morte sia solo la transizione da uno

e inoltre servivano come magazzino

stato a un altro, le rotte destinate

per la seconda venuta di cristo in

alle anime dei morti sono destinate

cui tutte le anime sarebbero risorte

dal trapasso che hanno avuto e non

ricongiungendosi alle proprie membra.

causate dal loro comportamento in

Vero e proprio simbolo Memento mori

vita. A differenza di Ognissanti, el

in realtà è un inno alla vita, e in

Dia de los Muertos è una festa, felice

epoche passate i più giovani venivano

e coloratissima celebrazione in cui

portati per essere introdotti nella

i morti prendono un’espressione viva

vita familiare.

e festante. Le città si riempiono di

Vedi Napoli e poi muori 1.4.4

teschi colorati, i familiari vanno nei

vennero utilizzate artisticamente,

Nella città partenopea la morte non è sinonimo di scomparsa, bensì di presenza costante. La morte è tangibile, la si può persino

El Dia de los Muertos

cimiteri a pregare per gli avi, pulendo le loro ossa. Musica e balli riempiono le strade, sdrammatizzando la morte e vedendola come un inno alla vita. San La Muerte infatti è una santa


che personifica la morte, invocata per

fissano il giorno di inizio e fine delle

vendicare torti e ingiustizie. Tutta

feste. Il giorno prescelto si aprono

la società è coinvolta, tant’è che i

le tombe e si avvolgono gli avi in

bambini sono soliti creare dei piccoli

nuovi sudari. La calca di parenti se

teschi con zucchero chiamati calaveras,

ne impadronisce e li trascina in una

dove sulla fronte è inciso il nome del

danza velocissima. Alla fine della

defunto, spesso affiancati da giocattoli

danza i parenti circondano il corpo

in fango sempre raffiguranti teschi.

lasciato a terra, donano un altro

1.4.6

sudario, del rhum, soldi e fotografie.

Famadihana

Risate e lacrime, gioia e tristezza si

Il Famadihana, o seconda sepoltura, si celebra in Madagascar all’inizio di giugno fino alla fine di settembre, di villaggio in villaggio le tombe vengono aperte e i vivi fanno ballare i loro morti con grandi feste. Organizzato ogni cinque anni per gli

mescolano. Toccando gli antenati si cerca di coccolarli per chiedere un aiuto o un consiglio. Si lancia poi il corpo in aria, danzando attorno alla tomba, dove i corpi vengono ri-deposti. Tutti gli invitati poi vengono riuniti in un banchetto.

antenati, spesso però viene determinato durante un sogno, un parente defunto

1.4.7

può dire a uno dei suoi discendenti

L’8 novembre in Bolivia a La Paz,

che ha freddo. Un Famadihana è molto

si celebra la Fiesta de las Natitas.

costoso poiché per tre giorni bisogna

Centinaia di persone trasportano

offrire banchetti a tutti i parenti,

teschi umani dal Cimitero Generale

agli abitanti del villaggio e agli

della città alle loro case. I teschi

invitati, nonché invitare un gruppo

o Natitas, rimangono nelle case

musicale di Vako-drazana. Dopo la

dei vivi in modo che le anime dei

Fomba, in cui si chiede il parere

deceduti possano fare da guardiani e

degli antenati condividendo del rhum,

aiutanti. La festa è un’opportunità di

gli astrologi legati alla famiglia

ringraziare ed onorare gli avi.

[James Ensor, Il mio ritratto come scheletro, 1889]

da un avvenimento soprannaturale;

Fiesta de las Natitas

[Isaac Luttichuys, Vanitas, 1635-40]


1.5

Chi ben vive ben muore, e chi vive male Cardinal Bellarmino muore anche male. Pre-post Illuminismo e le conseguenza sulla morte e sulla concezione del corpo. [Guercino, Et in Arcadia Ego, 1618]

Possiamo identificare con l’Illuminismo nel XVIII secolo in Europa una linea di demarcazione. Movimento culturale in cui la mente ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione viene illuminata dalla critica e dalla ragione in apporto alla scienza. Il trionfo dei concetti moderni di individualismo ed esaltazione della proprietà privata sovrastano ormai quelli di comunismo e collettività. Come disse Baudrillard noi abbiamo subito un’evoluzione in cui ‘pian piano i morti cessano di esistere’. I morti infatti vengono lentamente esiliati, la morte viene considerata sempre più una frontiera invalicabile che preclude l’interazione con le persone dall’altro lato. Vengono disprezzati ed esclusi dal nostro sistema di scambio socio-culturale. Non più entità con un ricco ruolo da interpretare, degni compagni. Banditi dal mondo dei vivi non furono più visti e ascoltati, relegati sottoterra in moderni cimiteri, ghetti per i morti in cui la loro presenza è riconosciuta solamente attraverso allusioni ed evidenti circostanze (la dipartita, passar a miglior vita, lasciarci dopo una lunga malattia...). Una società incapace di confrontarsi con la morte senza un pallido humor o una perversa fascinazione. La nostra concezione del corpo si è evoluta in seguito alla diffusione degli ideali di individualismo, il sociologo tedesco Norbert Elias, nello studio dell’evoluzione degli standard sociali in ‘The Civilizing Process’, ha descritto l’individualismo moderno come ‘Homo Clausus’, uomo chiuso, ‘un piccolo mondo in lui che fondamentalmente esiste del tutto indipendentemente dal grande mondo all’esterno’, mantenendo un’immagine di sé in cui la vera persona è chiusa da tutto ciò che è l’esterno. Sia Julia Kristeva, nei suoi lavori sull’abiezione, sia Claudia Benthien, nei suoi studi sulla storia culturale della pelle, hanno


allo stesso modo sostenuto che l’epidermide sia diventata il concetto moderno di limite del singolo. Precedentemente all’Illuminismo la morte e la decomposizione erano tra gli atti del dramma del corpo una volta mostrati in pubblico. Nonostante il fatto che siano appunto processi naturali, sono ora nascosti alla vista, e intravisti sono considerati invasivi o repulsivi. Baudrillard sosteneva che la morte avrebbe sempre più indicato la mortalità, più che il livello di individualità, passando così da morte a Morte. È per questo motivo che suggerì che la scienza mortuaria moderna si sarebbe fissata sul far sembrare i morti belli e in qualche modo vivi. I morti, ora si pensa, debbano apparirci in uno stato naturale, che viene definito come quello in cui un individuo è preservato al livello del corpo esteriore. Pratica altamente fittizia dato che lo stato naturale del corpo è appunto la decomposizione e putrefazione. Agli occhi moderni, tuttavia, presentare i morti come simulacro dei vivi permette di mantenere l’identità individuale e partecipa al nostro sistema di società. L’aspetto scheletrico o di decadenza rimane quindi una negazione. Un altro effetto del post Illuminismo fu l’ aumento spasmodico del concetto di igiene e la batteriologica trasmissione delle malattie che portò inevitabilmente a un allontanamento del rapporto diretto con i morti per prevenire i vivi dal rischio di contagi tramite il contatto con i defunti. Tutt’ora tipicamente crediamo che i posti sacri siano sacri e debbano essere protetti dall’inquinamento o dalla profanazione. Siccome i morti furono sempre più visti come agente contaminante, fu naturale considerarli come elemento non consono in siti sacri. Esiste nella cultura anche un rapporto solidale tra vitalità erotica e nichilismo, la solarità dell’una si trasfonde nelle tenebre dell’altro. Tralasciando il sentimento necrofilo, scopriamo che nel Medioevo il cimitero non era soltanto un luogo di sepoltura bensì un luogo pubblico - aperto - in cui si svolgeva la vita sociale del tempo. Le persone vi si radunavano come in una piazza, si davano appuntamento, parlavano e passeggiavano in mezzo alle lapidi. Per un certo periodo si tollerarono feste, giochi e attività commerciali. Al cimitero c’erano le coppie che amoreggiavano e c’era chi lo frequentava in cerca di meretrici. Il legame tra Eros e Thanatos si manifesta anche nelle perversioni, assodato che la morte può arrecare piacere (come ad esempio in quella per asfissia) si deve dunque leggere la morte anche sotto un aspetto erotico e sessuale.


1.6

Ciascuno di noi subisce la propria morte. Nella società odierna.

[Bruno Peinado, Untitled, Vanity Flight Case, 2005]

Nella società odierna spendiamo sempre più risorse per occultare la morte, di fronte ad essa rimaniamo muti come una tomba. Ma poi la morte, il dolore che provoca, i funerali, si vedono in tv. I mass media hanno desacralizzato la morte e allo stesso tempo hanno sostituito lo spettacolo al rito. Si è creato un autoinganno della morte o meglio una spettacolarizzazione della morte, una banalizzazione come altra faccia della rimozione. La società dello spettacolo ha fatto della morte uno spettacolo quotidiano e ordinario. Finto per lo più, casi celebri di suicidi o esecuzioni in diretta ci ricordano che questi sono eventi mediatici seguiti e ottimamamente retribuiti. Le morti vere entrano nelle nostre case grazie ai TG, alle Real Tv e ai documentari. Le morti finte sono presenti più massicciamente e per conseguenza anestetizzano, come le droghe danno assuefazione. La morte deve essere tanta, altrimenti non fa più effetto. Basti pensare ai videogiochi, alle carriere di Stallone e Schwarzenegger, a Pulp fiction, agli zombie, e ai vari horror.

[Ricky Swallow, iMan Prototypes, 2001; Everything Is Nothing, 2003]


1.7

La morte è più popolare della vita.

Ipoustéguy

La morte oggi.

[Andy Warhol, Two Skulls, 1976]

Il teschio Love of God di Damien Hirst, dimostra il fatto che non viviamo per sempre, ma intende esprimere anche un sentimento di vittoria sulla morte. È alquanto improbabile che gli osservatori si soffermino sull’opera per interrogarsi sulla dannazione e sulla beatitudine. L’immagine offerta dal teschio è quella di una sofisticata vanità: invita a cadere in tentazione, accettando la corruzione dello spirito che si incarnerà nella corruzione del corpo. Il teschio è onnipresente nella vita di tutti i giorni, dalla moda al design, ai tatuaggi, dalla musica alla cultura underground, soprattutto in quella dei

[Mike Giant, Muerte, 2009]

bikers, degli skaters, dei surfisti, dell’Heavy Metal e del Punk. Il sodalizio tra Hirst e la Levi’s, il dead/life-style di Vivienne Westwood, Marc Gassier e Attilio Codognato sono esempi di come questa società sia diventata la societa degli Skull and Bones (come l’establishment segreto degli U.S.). L’inevitabilità della morte e la transitorietà delle cose terrene erano affidati una volta all’uso di oggetti, ai quali era attribuita una connotazione simbolica, dovremmo quindi interrogarci sulla mania del collezionismo e sul nostro quotidiano attaccamento alle cose che ci ha fatto perdere di vista la fragilità dell’esistenza e l’intimo rapporto che abbiamo con la realtà. L’estetica ha finito per imporsi sulle problematiche esistenziali. La morte è stata messa in silenzio, siamo stati traghettati dal conformismo al comunismo privo di morale. Esiste una nuova antinomia tra il Memento mori quattro-seicentesco e i loghi (non più simboli) del contemporaneo. Il teschio insiste a volerci informare sulla morte, ma subisce l’influsso della cultura in auge, civiltà ammaliata dai colori e dalla serialità della Pop Art, dando così inizio all’avventura laica


[Damien Hirst, Love of God, 2007]

del teschio. L’arte contemporanea ne fa un’incetta tale che sembrerebbe convinta di possederne la forma, ma senza riuscire a comprenderne il significato. L’ammonimento si diramava dal soggetto verso lo spettatore, per educarlo alla morale e alla consapevolezza di dover morire. Ai nostri giorni il teschio viene riassorbito nell’immaginazione e ne rimane imprigionato. L’implosione non solo volgarizza il simbolo ma finisce anche per semplificarlo, arrivando addirittura ad annullarlo, lo vanifica. L’oggetto in serie non è nulla più di un gadget, banale routine o ingenuità di base. La Pop Art, Basquiat, la street art, i tatuaggi diventano Memento mori dell’avanguardia. Il teschio è svilito a pura apparenza, basti pensare al Jolly Roger e ai simboli stilizzati dei pericoli di morte. La mis à jour dei temi della vanitas e del Memento mori sono svuotati di valenza simboliche e messianiche, sono intrinseche dal gusto della provocazione. Non si aggredisce più lo spettatore incutendogli la paura di morire, si cerca semmai di trasgredire per provocare un fallimentare raccapriccio. Un abuso di interpretazione che inevitabilmente porta alla confusione. La nostra inquietudine dunque non potrà mai essere placata. Se non proprio nei fatti almeno idealmente il durevole viene contrapposto all’accidentale l’eterno al transeunte, per sconfiggere l’atavica lotta con la morte. Rispetto al passato, in cui il teschio era dipinto, disegnato o inciso, dal Novecento in poi esso si materializza assumendo una dimensione tattile. Si serve di ogni mezzo a sua disposizione, dalla fotografia al video, dall’installazione alla performance, per contaminare ogni nuovo fenomeno artistico arrivando fino al copricapo del maestro del lato oscuro di Star Wars, che può essere inteso come una moderna traslitterazione del teschio. [Michelangelo Pistoletto, Pericolo di morte, 1962]


2

Sum quod eris, quod es olim fui. I am as you will be. Il Memento mori.

[Jan Fabre, Skull, 2000]


2.1

Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, gia è.

Ecclesiaste

Breve storia.

L’espressione è coniata nel mondo romano e fa parte di una particolare usanza connessa con le cerimonie riservate agli uomini d’armi più valorosi. Quando uno di loro tornava dalla guerra carico di gloria, ricevendo dal popolo e dalle massime autorità dello Stato tutti gli onori del caso, poteva correre il rischio di cadere nel peccato di superbia e coltivare inopportune manie di grandezza. Per evitare tali debolezze, uno schiavo aveva il compito di ricordare all’eroe, pronunciando costantemente la frase Memento mori, i limiti della sua condizione e più in generale di quella umana. Nel Medioevo l’ordine monastico dei trappisti, fondato nel 1140, assunse tale espressione, ripetuta e scandita nei diversi momenti della giornata, quale motto ispiratore. Tra le varie attività di ciascun frate, affinché non scordasse mai la caducità della propria condizione e il valore effimero della vita, era compreso lo scavo quotidiano di una piccola porzione della propria fossa. Diversamente da noi, nel Medioevo la vita era breve ma intensa, così intensa che ogni situazione era oltremodo amplificata; ecco spiegato il perché del sentimento macabro che attanagliava così duramente la società dell’epoca. Il Memento mori faceva parte delle funzioni religiose (usato dal celebrante per commemorare i vivi e i morti, l’officio pastorale impiegherà i temi macabri per ispirare ai fedeli il timore della dannazione). Nel XVII secolo il Memento mori diventa soggetto di opere d’arte.

2.2

Mors certa, hora incerta. Il significato del Memento mori. Quello che noi chiamiamo Memento mori, ovvero ricordati che devi morire, nasce appunto dalla pratica romana ma poi si espande e prende forma durante i secoli come ammonimento prima e come credenza religiosa poi. Il Memento mori rientra nella casistica collegata ai temi della Vanitas, è una pratica per cui attraverso iscrizioni, spesso latine, opere d’arte di ogni genere e forma, costruzioni come ossari o monumenti ai caduti, oggettistica come gioielli, monete, reliquie, ogni sorta di attrezzo, si tende a mostrare una


simbologia mortuaria in modo da appunto far ricordare a chi le vede la caducità e brevità della vita, fa riferimento al momento in cui dovremo morire: Ricordati che devi morire. Nel contesto della teologia cristiana, l’immaginario del Memento mori riguarda incitazioni a lasciar perdere gli onori terreni e gli status sociali, la morte ci riduce tutti alla stessa materia di base. Le persone dovrebbero dunque lasciar perdere le vanità terrene, dedicarsi allo spirito e pentirsi dei peccati. Buddisti, cristiani, platonici e mistici ritengono che la vita sia pura e semplice vanità, concetto che si riassume nel motto ‘tutto sfugge’, sennonché le persone preferiscono arricchirsi materialmente anziché fortificarsi spiritualmente, motivo per cui c’è sempre meno sentimento umano nelle cose. Per emendare i peccati dovremmo rinunciare alle passioni, che sono all’origine di una cattiva coscienza, rifiutando ciò che è terreno, in un disprezzo del materialismo. Quello che chiamiamo Memento mori è però qualcosa di più simile al timor mortis: invece di ricordarci semplicemente la nostra mortalità, la morte tende a provocare paura. Il Memento mori incute paura proprio perché preannunica la fine di tutte le cose, tematizzata dal mondo ecclesiastico assume così un’ intonazione morale. I temi della vanitas

spesso collimano

con quelli del Memento mori, la prima appartiene più comunemente al genere

[Marina Abramovic, Cleaning the Mirror Nr.1, 1995]

delle nature morte, mentre la seconda assume spesso le sembianze del teschio. È dalla consapevolezza della fragilità delle cose terrene, del tempo che corrompe la bellezza e la divora che nascerà l’effigie del teschio. Invito a superare i grandi tormenti dell’esistenza e a non perdere tempo, il Memento mori tende a farci beneficiare al meglio della nostra breve vita terrena. Lussi o bisogni materiali non valgono nulla di fronte alla morte. L’unica concessione ammessa, affinché l’uomo possa congedarsi senza rimpianti, è l’accumulo di esperienze che lo rendano sazio e appagato dall’esistenza. Agli occhi del vecchio saggio la morte diventa perciò necessaria e utile. Di più,


è desiderabile in quanto rivela il massimo grado dell’esperienza. Christopher Alexander nei suoi studi sull’urbanistica si riferì ad alcune ricerche psicologiche per disquisire riguardo il trattamento dei morti nell’urbanistica, questi studi provano come le persone che non hanno contatto con la mortalità tendono a essere depressi e indeboliti, mentre coloro che hanno un dialogo con la mortalità sono più vivaci e tendono a reagire agli stimoli imposti dalla vita quotidiana. Il Memento mori diventa così inevitabilmente Memento vitae. Nessuna persona che gira le spalle alla morte può essere viva, la presenza della morte tra i vivi è un fatto quotidiano in ogni società che incoraggia le proprie persone a vivere. Un inno alla vita.

Il giorno del giudizio segna la fine della vanitas e del Memento mori, perché da allora in poi i viventi non incontreranno più i morenti, non vedranno più le loro ossa, non conosceranno più la forma di un teschio o di un femore. Si compirà così la vittoria sulla morte (soltanto nel 1500 inizierà a definirsi la figura della morte, distinguendosi da quella degli scheletri comuni). La morte e il Memento mori si possono dunque definire anche come purificazione e lavaggio del proprio corpo e della propria mente dai peccati della vita.

2.3

Quisque suos patimur manes. Ciascuno di noi subisce la propria sorte. Virgilio Iconografia, simboli e significati.

L’iconografia del Memento mori è varia e molto ampia, possiamo ritrovare opere, iscrizioni e oggetti in quasi tutte le epoche e i popoli, a testimoniare come il dialogo con i morti sia una componente necessaria alla, e nella società. In epoca romana i Memento mori erano utilizzati come motivi decorativi di medaglie, monete e mosaici. Grazie a Pompei, e altri ritrovamenti, questi resti sono arrivati praticamente intatti fino ai giorni nostri. Ma dal punto di vista iconologico, tutto ha inizio nel Medioevo, epoca in cui le rappresentazioni dei corpi avvizziti o in disfacimento irretivano i viventi, ponendoli di fronte all’angoscia dell’aldilà. Durante i secoli, soprattutto durante il Medioevo, con lo sviluppo delle arti il Memento mori diventò soggetto di quadri e statue, secondo varie forme e tematiche (Et in arcadia ego, nature morte, simbolismi...), si costruirono inoltre


ossari e luoghi di culto, la morte ormai era diventata un elemento presente tra i vivi ed era vissuta in maniera profonda. In epoca Vittoriana il Memento mori diventò anche una vera e propria moda, con regole per l’abbigliamento e gli accessori nel momento della dipartita di una persona cara.

Ciascuno dei seguenti elementi non indica altro che strumenti destinati a regolare i comportamenti umani suggerendo la rinuncia ai piaceri terreni, rifiuto della mondanità come ornamento della vita, e infine richiamo all’ordine.

2.3.1

Il teschio Il teschio, (non il cranio, che invece appartiene ai vivi) è sicuramente il simbolo che può sintetizzare tutto il pensiero delle vanitas e del Memento mori, spesso si trova singolo, oppure con due ossa incrociate a formare una ics. Simboleggia non solo la mortalità ma anche la promessa di resurrezione. Le origini del teschio come simbolo di morte risalgono al Medioevo, ma è sul finire del Cinquecento che diventa fonte di riflessione. Lo si deve probabilmente agli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, il quale raccomandava la meditazione della morte, esercizio spirituale che i gesuiti mettevano in pratica per mezzo di un teschio. Nell’iconografia religiosa è infatti frequente trovare santi in preghiera che ponderano il senso della vita al cospetto di una testa di morto, atteggiamento comune sia a San Gerolamo sia alla Maddalena, e a tutti quei beati eremiti che si sottopongono alle malie del demonio. Dopo la Controriforma e grazie anche a San Francesco il teschio diventa anche presupposto per il pentimento e la confessione. Basti pensare ad Amleto che nel terzo atto declama il suo enfatico monologo. È una provocazione in colui che lo guarda, e viene a sua volta osservato. Le sue vuote fosse orbitali ci fissano e non smettono di ammonirci [Bai Yiluo, Fate No. 1, 2005]


[Pompei, mosaico]

dall’oltretomba. Ha la facoltà di svelare la realtà ultima e prima, unendo il mondo terreno a quello ultraterreno. Diventa una maschera, che cela la sostanza dell’uomo, diventando una vera e propria monade e reliquia antica. Il teschio è simbolo della fragilità delle cose terrene, del tempo che corrompe la bellezza e la divora. Il teschio diventa perfetto surrogato del terrore dell’oltretomba, preannuncia la fine di ogni cosa. Rafforza infatti il significato della corruttibilità di tutte le cose. Il teschio diventa così pietra filosofale. Il teschio connota un significato molto particolare nella religione cristiana se associato alla crocifissione. Simbolo di Adamo, indica come Gesù morendo sul Golgota, luogo in cui morì lo stesso Adamo, riscatta l’umanità del peccato originale aprendo le porte dei cieli.

2.3.2

Natura morta Il termine natura morta prevale nelle lingue neolatine fra il XVIII e il XIX

Più pregnante è il termine adottato dagli olandesi - vie coye - o dai tedeschi - stillstehende Sachen - che finirono per chiamarle Stilleven-Stilleben, corrispondente alla lingua inglese che le indicava con il termine still life. Tali espressioni non caratterizzano tanto l’oggetto quanto semmai il silenzio e l’immobilità di cui era circonfuso il soggetto stesso. La natura morta è quindi una vita silente, immobile e taciturna. I termini Leben e life si oppongono decisamente

[Rachel Ruysch, Vanité, prima metà del XVIII sec]

secolo, non riesce tuttavia a esprimere il vero contenuto della rappresentazione.


all’aggettivazione mortifera, ma non sono così quieti come vorrebbero sembrare. L’apparente serenità è compromessa dal brulicare degli insetti, la laconicità deve viceversa fare i conti con la muta eloquenza del teschio. L’organico e l’inorganico, il prima e il dopo. Sono opere in cui esiste un continuo, inarrestabile, Movimento interno che suggerisce allo spettatore un senso di avvizzimento, di caduta, di perdita. La natura morta indica come le cose si corrompono inevitabilmente.

2.3.3

Orologi, candele o torce e clessidre. Gli orologi, le clessidre e la candela spenta o parzialmente consumata, sono frequentissimi sia nelle vanitas che all’interno dei Memento mori. Indicano il passaggio inevitabile del tempo. il tempo infatti è pseudonimo di vita. Nel Medioevo la vita era breve e intensa, motivo in più per non vanificarla e per apprendere in pieno il concetto del tempo che sfugge. Il tempo diventa un architetto, chronos, che tutto divora, e l’aion, tempo dell’essere e dell’eternità. Sono strumenti con cui si può appunto vedere e constatare il passaggio del tempo, e ci aiutano a reagire e a interiorizzare l’idea della morte. Sui muri della cripta di Santa Maria della Concezione troviamo

[Philippe de Champaigne, Vanitas, 1671]

scritto: La morte chiude le porte del tempo ed apre quelle dell’eternità. Spesso al posto delle candele possiamo trovare delle torce al contrario che indicano appunto il momento in cui stanno per spegnersi.

2.3.4

Calamaio e libri. Per la mondanità, il calamaio, i cartigli e le pile di libri sui tavoli o sulle scaffalature, così come la penna per scrivere indicano invece la sete di conoscenza che risulta vana dinnanzi alla morte e al divino. Fanno parte di quegli strumenti del sapere che si trasformano in monito per la modestia;


le ricerche scientifiche svelano i propri limiti all’uomo di cultura. Il saggio deve rassegnarsi all’ineluttabilità terrena senza poter ambire al sapere universale, [Eduardo Arroyo, Vanitas, 1991]

ma invece accettare e considerare la morte come sapere ultimo e supremo. La vanità sapienziale non può nulla contro la morte (teschio). La candela a volte può significare anche il lume della ragione e della sapienza rientrando in questa simbologia.

2.3.5

Fiori e bolle di sapone. Nell’apparato scenico non manca ovviamente il vaso con i fiori, teso a simboleggiare la brevità e la fragilità dell’esistenza. In tal senso va detto

quando in quando con il gambo spezzato. Il fiore racchiude in sé il concetto di bellezza ma anche l’idea di vita breve, sicché la prima risulterà effimera per l’avvizzimento cui è subitamente destinata, come ci suggerisce Prévert in una sua poesia: ‘La vita è bella, mi uccido col dirvelo, dice il fiore, e muore’. Proprio come la vita umana la bolla è fragile ed effimera, simbolo di bellezza rara.

2.3.6

Danse Macabre, Trionfo della morte, La morte e la fanciulla, La leggenda dei tre morti e dei tre vivi. La danza macabra deve le proprie origini a un sermone che un monaco volle accompagnato da scene mimate. Jurgis Baltrušaitis spiega che in Europa questo

[Marc Quinn, Ice Age, 2006]

che i fiori sono per lo più appassiti, di


balletto sarebbe nato nel corso di un sermone mimato: ‘Per illustrare il concetto di morte un monaco mendicante avrebbe preso dei figuranti vestiti da re, presti, soldati, lavoratori che venivano afferrati davanti al pulpito da attori avvolti in lenzuoli’. Il tema mette in scena sia i vivi sia i morti, il tema funereo è di solito smentito dal fatto che gli scheletri si divertono, scherzano e suonano in compagnia dei mortali, suggerendo loro di gioire quanto più possibile dei piaceri della vita. Le persone mangiano bevono e cantano in mezzo agli scheletri appena risorti. Nonostante l’immagine terrifica alluda alla caducità dell’essere, morti e morituri sono uniti in una sorta di sciarada. Lo sconcerto della morte è anticipato da un concerto in cui tutti ballano e si divertono, è ancora lontana l’idea di diventare de-functus, ovvero senza funzioni.

[Pieter Bruegel il Vecchio, Trionfo della Morte, 1562]

Il Totentanz, ovvero trionfo della morte, La morte e la fanciulla, La leggenda dei tre morti e dei tre vivi, sono altre declinazioni su come il rapporto tra vivi e morti in realtà sia sia ammonimento alla vita, sia un messaggio terrifico. Il Totentanz indica come la morte inevitabilmente vincerà sui vivi; La morte e la fanciulla, sono ammonimenti in cui la bellezza e la purezza della giovane fanciulla non possono nulla in confronto alla Grande Signora; La leggenda dei


tre vivi e dei tre morti è appunto la sintesi del pensiero ‘oggi a me, domani a te’ o ‘ io sono quello che tu sarai’.

2.3.7

Altri simboli minori Il bambino sdraiato su un teschio o con un cranio in mano, indica la finitezza della vita, in quanto la nascita è il primo passo verso la morte. Insetti, vermi e larve indicavano la corruttibilità della materia. Il pavone è simbolo della vanità umana. L’edera e il cipresso indicano l’idea della resistenza, alludono alla vita eterna in quanto sempreverdi, quindi alla vittoria sulla morte. L’alloro è invece un simbolo di gloria, cinge il capo dei vincitori, dei letterati e degli artisti. Le spighe di grano sono simboli della resurrezione cristiana. Gli strumenti appoggiati a terra inutilizzati sottintendono la malinconica assenza di melodie. La vista, e dunque l’occhio, è la principale forma di conoscenza e deve quindi accettare di osservare intorno a sé la costante mortalità delle forme, non potendo far nulla. Le perle sono simbolo della ricchezza in vita, inutile e da evitare. I bicchieri rovesciati indicano che la vita sta per finire. Il tarasso o soffione simbolleggia la fragilità della vita e la velocità con cui ci può essere strappata. [Hans Baldung Grien, La morte e la fanciulla, 1517]


3

Mi sono reso conto che dovrei spaccare qualcosa una volta a settimana per ricordare a me stesso quanto è fragile la vita umana. Andy Warhol Il Memento mori come gioiello.

La continua necessità di confrontarsi con l’aldilà, il profondo dialogo tra morti e vivi, il pensiero della finitezza umana e l’umiltà della nostra esistenza nei confronti dell’eterno, hanno fatto sì che l’uomo cercasse un modo di avere a stretto contatto il tema del Memento mori e la presenza incombente della morte. Una soluzione furono, come già visto, l’arte, l’incisione, le costruzioni e le sculture; un’altra soluzione fu la creazione di gioielli, piccoli oggetti che sintetizzano i concetti del Memento mori, ed essendo minuti diventano vere e proprie questi gioielli interrogava le persone che lo portavano e chi lo vedeva sulla caducità della vita e ricordavano loro che tutti prima o poi sarebbero morti. La ragione nell’indossare gioielli è più complicata del semplice adornarsi. I popoli hanno utilizzato amuleti e chincaglierie per tentare di proteggersi dalla grande e incomprensibile gamma di malattie e decessi. Nel Medioevo si credeva che alcune pietre avessero poteri magici, servivano a rintracciare il veleno, lo zaffiro ad esempio curava le malattie della pelle e il topazio non solo curava la pazzia ma accresceva la saggezza. Le reliquie sacre si pensava proteggessero chi le indossava e così vennero

[Tabacchiera con inciso Jar 1792]

opere d’arte meravigliose di maestria e tecnicità. L’indossare

incastonate in gioielli e indossate. Con così tanti promemoria dell’imminenza della morte e della pericolo nella vita, non fu sorprendente che i Memento mori apparirono nel XV secolo. Erano decorati con scheletri, bare, teschi, vermi e ossa incrociate...

[Cucchiaio funebre per un membro della famiglia Strickland, 1670]


3.1

Hode mihi, cras tibi. Oggi a me, domani a te. Vulgata Breve storia.

Memento mori esiste dall’epoca romana, rivisse durante il Medioevo, ma combinato con gli insegnamenti cristiani sulla necessità

[Anello in ricordo di Carlo I, 1649, con inciso prepared be to follow me. GLi occhi al Cielo simboleggiano la dipartita nel regno dei cieli]

Il gioiello

di vivere una buona vita. In epoca romana venivano rappresentati soggetti come scheletri, teschi, e più frequentemente immagini di Cupido con in mano la torcia della vita con la fiamma estinta. Più tardi vennero aggiunte le ossa incrociate, castoni rotanti e altri simboli. A metà del XVII secolo i gioielli Memento mori si mischiarono con i gioielli commemorativi rimarcando la morte di un individuo, identificabile con la smaltatura nera, il nome e le date, lo stemma, trasformandoli dall’esortazione ad un buon vivere, in ricordo di una persona. Il gioiello memento mori mise le basi per divenire dunque gioiello commemorativo. Per lenire il carico psicologico causato dal peso del lutto spesso si crearono così dei gioielli per la commemorazione del defunto. I gioielli funebri venivano selezionati accuratamente, e consegnati, tenendo d’occhio il rango del destinatario e l’intimità della relazione. Nel suo testamento Samuel Pepys diede disposizione per la distribuzione di 128 anelli dividendoli in tre fasce di costo. In alcuni luoghi in Inghilterra erano distribuiti cucchiai al posto di anelli. Si conoscono solo alcuni esempi, uno di questi è il cucchiaio d’argento inciso che venne seppellito con incisa la tipica iconografia di un Memento mori: un teschio e le parole ‘live to die. die to live’. La modestia e il decoro erano regole ferree nel costume funebre del XVI secolo, ma piccole


[Castone tagliato del 1850 con un teschio smaltato circondato dal motto latino ‘Cogita Mori’, Ricorda la morte]

innovazioni come i gioielli erano permesse, inserendosi così subito come marchio e novità per distinguere i ceti sociali. Tutto l’abbigliamento funebre doveva evitare ogni tipo di brillantezza o superficie riflettente, come continuazione dell’antico mito di Narciso, dove l’anima era vulnerabile all’interno di un’immagine riflessa. Tutte le immagini familiari, considerate come potenzialmente pericolose al momento della morte, nei più sentiti funerali come i ritratti e gli specchi venivano girati verso il muro e anche i gioielli dovevano avere un aspetto opaco. Dopo la sua scoperta nel XIX secolo, venne così sfruttato il giaietto, pietra di origine fossile opaca. Prima di questo materiale, le perle erano considerate consone per i funerali; essendo bianco puro simboleggiavano la virtù, il gran numero spesso utilizzato ricreava l’immagine delle lacrime, e la superficie opaca suggeriva la modestia. Dove le perle non erano disponibili o troppo costose, una serie di perline nere erano accettabili sostitute (vennero poi utilizzate per i rosari). Un altro materiale che spesso veniva utilizzato per piccoli gioielli e illustrazioni era l’avorio, raffigurante con il suo colore la purezza e la speranza di resurrezione. La gioielleria fu, ovviamente, creata per i funerali privati e, come l’abbigliamento e gli artefatti, era intesa ad aiutare a estendere il significato del lutto e a far trasparire la presenza della morte nei rituali. Venivano conservate delle piccole ciocche di capelli del defunto, che trovavano la loro via nella costruzione di lucchetti funebri e alcuni anelli speciali e rivisitati. Piccoli fili di capelli venivano montati su anelli, sia in un cestello vuoto con iscritti il nome e la data, o inseriti nei castoni attorno a un base di cordini di seta. Anelli di questo tipo venivano prodotti in grande numero per distribuirli agli amici e altri invitati e questa pratica sopravvisse per tutto il XIX secolo. Si inserirono così all’interno della tradizione del Memento mori: spesso teschi smaltati con diamanti per occhi, una pietra dura per il teschio e le ossa incrociate, una breve iscrizione incisa che identifica il defunto (dalla metà del XVII secolo; a volte un riferimento figurativo alla causa della morte o altri dettagli personali. Un anello che si trova a Bristol trova iscritto ‘C.B. Templar / Periit Jan’y 6 1786’, e il suo fronte ottagonale mostra un naufragio sotto al vetro. Attorno al [Anello Memento Mori di epoca romana, Il teschio centrale è circondato da due scheletri che creano il corpo dell’anello]


1800 il modello iconografico di questi anelli era ormai fermamente in uso e venne suddiviso in due tipi: la figura femminile in un antico abito drappeggiato sopra un sarcofago, o un cipresso. Le fedi matrimoniali intrecciate del XVII secolo a volte mostravano mani poggiate su scheletri per santificare il matrimonio e utilizzare il teschio come giudice. Il più drammatico e antico esempio di gioiello Memento mori è probabilmente l’ornamento trovato a Tor Abbey. Una bara smaltata, d’oro, presumibilmente destinata a essere appesa a una collana d’oro. Se aperta contiene uno scheletro e porta la scritta ‘through the resurrection of christe we be all sanctified’. La sua decorazione moresca fa presupporre la sua produzione dopo il 1546.

3.1.1

I capelli come gioielli.

[Bracciale di capelli]

I capelli, simbolo di vita, vengono associati alla morte e ai funerali in tantissime culture. Le pitture sulle tombe egizie riportano faraoni e regine che scambiano i loro capelli come moneta dell’eterno amore. In Messico, tengono i propri pettini in vasi speciali da seppellire poi con loro. Questi piccoli lavori con i capelli hanno la loro radice in terre scandinave, dove è tutt’ora in uso produrli. In Svezia a causa del boom della popolazione a inizio 1800, la scarsità dei campi, e parecchi inverni freddi, portarono alla necessità di impiegare le persone in altri lavori per poter sopravvivere e mantenere l’azienda agricola. Ogni villaggio sviluppò così il proprio commercio. La specialità di Vamhus fu appunto la creazione di piccole gioie partendo dall’intreccio di capelli. Le donne [Anello Memento Mori con capelli del defunto]


[Schizzo per Anello di epoca Vittoriana]

venivano mandate in Europa per commerciare i propri manufatti, scambiando così con altre società il proprio prodotto. I gioielli di capelli si diffusero in tutta Europa. Bellissimi e dettagliati paesaggi e disegni floreali venivano rappresentati. Durante il XIX secolo la Regina Vittoria regalò all’Imperatrice Eugenia un braccialetto creato con i suoi capelli, e scrisse nei suoi diari che l’Imperatrice fu toccata fino a piangere. Nel 1853 ci fu un’esposizione di gioielli di capelli nel Palazzo di Cristallo e venne esposto anche un intero set da the fatto sempre con capelli. A partire dal 1850 ci furono anche fiere per scambiarsi le materie prime, consacrando i gioielli di capelli dei pezzi di inestimabile valore e bellezza. Una raccolta di buone maniere intitolata Godey’s Lady’s Book riporta nel 1850: ‘I capelli sono uno dei più delicati e duraturi materiali che possediamo, e ci sopravvivono come l’amore. È così semplice, gentile e facile scappare dall’idea di morte, che, con una ciocca di capelli che appartengono al bimbo di un amico, noi possiamo guardare al paradiso e scorgere la natura angelica, possiamo altresì dire di avere un pezzetto di paradiso con noi. Da aggiungere che oggi è possibile creare anche diamanti partendo dalle ceneri del defunto’.

3.2

Vanitas vanitatum.

Eccllesiaste

I gioielli oggi.

connotazione differente, con il passare dei secoli hanno perso il loro alone di sacralità riducendosi a mera estetica. Teschi, ossa e immagini raccapriccianti non ci infondono più timore e non ci inducono più a ragionare su quanto sia vanesia la nostra vita. La fragilità dell’essere è continuamente tormentata da immagini mortifere fino alla saturazione, arrivando così a non notarla, a considerarla una semplice moda.

[Collana Ghost and the Temple of Shadow]

I gioielli come le arti visive oggi hanno una


4.1

Gioielli 4

Mors omnibus communis I gioielli storici

[Linea dietro: Anello funebre con miniatura di Carlo I incorniciato da diamanti, Anello di Carlo II e Caterina di Braganza con una corona d’oro e le iniziali s insieme a una ciocca di capelli. Linea davanti: Tre anelli Memento Mori decorati con teschi smaltati e ossa incrociate]

[Anello con teschio celato e incisione interna 1761]

[Anello della tradizione Americana Mememento Mori con inciso un teschio]

[Anello con inciso ‘J. Gardiner 19 May 1764’, il numero 19 indica l’età del defunto. Alla base troviamo un teschio smaltato nero]

[Anello con scheletro e clessidra lungo tutta la rotondità]

[Anello con motto latino inciso all’interno, circa del 1700]


[Anello smaltato bianco, il teschio e le ossa incrociate sono create con capelli, il cipresso simbolo di vita eterna fa sperare in una vita oltre la morte, 1780]

[Vetrino funebre per la Regina Maria II d’Inghilterra, inciso ‘Memento Maria Regina’, e la data del decesso. La corona con le iniziali al di sopra del teschio indicano la regalità della defunta]

[Anello Inglese di fine XVII secolo, il teschio smaltato regge in mano una freccia e una clessidra, simbolo dell’inesorabile trascorrere del tempo, le iniziali e lo sfondo sono create con capelli]

[Spilla montata su un bracciale raffigurante un putto appoggiato a un teschio, simbolo della finitezza della vita, 1708]

[Memento Mori del XVI Secolo, fa vedere sul lato un bambino e sul lato opposto uno scheletro a significare come lo stesso atto della nascita è un passo verso la morte]


[Anello con teschio alchimista del 1900, il teschio è inteso come manipolatore della vita e della sorte umana]

[Anello Inglese del XVII secolo che reca inciso l’ammonimento ‘Be Hold The Ende’]

[Anello con teschio apribile del XVIII secolo]

Curiosità

[Pendente in avorio, doppio soggetto con motto ‘Mors Amara Memo Tua’ 1900]

[Teschio del XVII secolo]

[Teschio indossato sulle divise dell’esercizio prussiano, the Black Hussars, i Maestri Neri]


[Tor Abbey. Bara smaltata, se aperta contiene uno scheletro, incisione interna ‘through the resurrection of christe we be all sanctified’, 1540]

[Pendente smaltato del 1660, racchiudeva dei capelli] [Spilla del XVIII secolo raffiguranete la morte nella sua accezione di Falce]

[Pendente del XVII secolo]

Curiosità [I minatori nel XIX secolo si portavano nelle cave i propri canarini per monitorare le fuoriuscite di gas. Ecco un Memento mori trasformato in pendente di uno dei canarini, ‘In memory of Little Joe died November 3rd 1975 aged 3 years’] [Pendente Memento mori, smaltato, con bara apribile contente scheletro, prodotto in Francia nel XVI secolo]


[Spilla funebre di coppia con immagine del XVIII secolo]

[Not lost but gone before, obelisco e cipresso, tipica iconografia delle miniature funebri del XVIII secolo]

[Anelli funebri del XVIII secolo smaltati, con miniature, capelli e pietre preziose] [In Memory of My Dear Child obelisco e cipresso, tipica iconografia delle miniature funebri del XVIII secolo]

[Pendenti funebri in capelli e giaietto con urna, croce con scritta]

[Anello funebre smaltato, nome e informazion sul defunto ‘Sacred to Friendship’, 1798]

[Anello funebre francesce del 1780 con scritta ‘Vivra Dans Mon Coeur’]


[‘The Hon Alice Nugent Died’ Pendaglio, 1730]

[Spilla inglese del XIX secolo con capelli]

[Anello Inglese con capelli, 1815]

[‘In Memory of’ spilla con capelli del XIX secolo]

Curiosità [Una corona completamente fatta di capelli]

[Spilla del XVIII secolo con capelli]


[Bracciale con capelli intrecciati del XIX secolo] [Braccialetto appartenuto a Maria Kuigia con cinturino a maglia formato a capelli della duchessa, l’incisione in arbao dice ‘Il mare è calmo e nel tuo nome ho voluto aprire una porta: mi rimetto al mio creatore’, XIX secolo]

[Bracciale con capelli e dagherrotipo, XIX secolo]

[Bracciale con capelli intrecciati e chiusura in oro e pietre preziose del XIX secolo]


[Reliquia di san Carlo e santa Rosa da Viterbo con ossa nascoste, XIX secolo]

[Spilla dipinta, donna con le sembianze di un fantasma, XIX secolo]

[Orecchino con dente di bimbo, XIX secolo]

[Pendente a teschio, se aperto nasconde un orologio, XIX secolo]

[Pendente con occhio, XVIII secolo] [Lacrimatorio pendente, XIX secolo]


4.2

Heut rodt Morn Hodt. Today red, Tomorrow dead. I gioielli contemporanei.

[Pendente di Patrick Muff]

[Anelli di Marc Jacobs con motti latini]

[Anelli di Wendy Brandes]

[Anelli di Paxton Gate]

[Diana e Stella Molayem, Roma]

[Delphine Joly, denti nascosti]


[Lydia Courteille]

[Jamie Jewellery] [Jasmine]

[Luisa Morais]

[Giolina e Angelo] [Solange Azagury Partridge]


[Kirt Holmes]

[Corpus Christi]

[Gioielleria Dogale, Venezia]

[Catherine Michiels] [Paxton Gate]

[Jade Jagger]

[Manuel Bozzi]


[Lisa McEachern]

[Jolita Jewellery, teschi e intrecci che ricordano i capelli]

[Tobias Wistisen]

[Ugo Cacciatori]


[Kerry Howley]

[Anna Schwamborn] [Francis Willemstijn]

[Jolita Jewellery, teschi ed intrecci che ricordano i capelli]

[Grau Wal]


[Constanze Schreiber]

[Blu Bayer]

[R/P Encore]

[Vanities]


[Julia deVille, accosta gli elementi del Memento mori al mondo animale]

[Joyeria Osea]



[Giselle Ganne reinterpreta il Memento mori affiancandolo a elementi del mondo naturale e animale, come mandibole, zampe, corna]


[L’iconografia Memento mori all’interno dei preziosi di Delfina Delettrez è ampiamente esplorata in tutte le sue forme]


[Dior ha commisionato una serie di gioielli a Victoire de Castellane creando questa bizzarra collezione, sdrammatizzando quella che è la tragicità del teschio]

[Alexander McQueen osannato come il genio stilista, ha creato gran parte della sua fama grazie alle sue creazioni con teschi]


[Kim Eric Lilot utilizza in tutte le sue creazioni dei chiari riferimenti all’iconografia del Memento Mori, il risultato sono questi gioielli che creano una reazione particolare in chi li osserva, esattamente come i Memento mori]

[Yi Liu incorpora frasi e iconografia del Memento mori in spille e collane, cristallizzate, come se il tempo si fosse fermato]


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Sì, mò me lo segno.

Massimo Troisi

Conclusioni Questa ricerca ha voluto indagare il tema della morte in relazione all’uomo e alle sue reazioni. Passando dalla storia ai simboli e all’arte, si è voluto poi arrivare allo studio dei gioielli, che infinitamente piccoli hanno il potere di riassumere un enorme e profondo concetto culturale, filosofico e psicologico, in un oggetto minuscolo e prezioso. Il mondo contemporaneo sembra esser stato investito da una psicosi legata al Memento mori. Teschi, ossa, urne e qualsiasi riferimento alla morte sono diventati un mondo da cui attingere senza preoccuparsi del loro significato intrinseco, svilendoli. Persino i film d’animazione ne utilizzano i simboli, come Jack Skeleton fortunato personaggio di un cartone di Tim Burton. La moda ha abusato di questa iconografia, basti [Scheletro indossabile]

pensare al gran successo di

Alexander McQueen. Il teschio si è perso tra i tessuti e le pietre preziose, utile solo per far soffermare lo sguardo tra l’enorme scelta e possibilità che la globalizzazione ha portato nella nostra società. Perdendo per sempre la possibilità di creare un dialogo con l’interiore e l’aldilà. A causa delle vicissitudini storiche e socio-culturali, il teschio, e il Memento mori in genere, corrono il rischio di venir meno o confondere la loro funzione salvifica e ammonitrice, per diventare semplicemente simboli-accessorio, modificando così il nostro stile di vita in uno stile di morte.

[Jack Skeleton, creazione di Tim Burton]


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Bibliografia e sitografia. Bibliografia:

Alberto Zanchetta, Frenologia della vanitas. Il teschio nelle arti

visive, Johan & Levi editore, Truccazzano (MI) 2011.

Paul Koudounaris, The empire of death. A cultural history of

ossuaries and charnel houses. Thames and Hudson, Londra 2011.

Steven Guarnaccia, Pentagram papers 18. Skeleton closet. Pentagram

Design. New York

AA. VV. Meraviglie di carta. Devozioni creative dai monasteri di

clausura, Corraini Editore, Mantova 2012

Edgar Morin, L’uomo e la morte, Meltemi Editore, Roma 2002

Enrico De Pascale, Morte e ressurezione, Electa, Milano 2007

Alberto Veca, Vanitas. Il simbolismo del tempo, edizioni Galleria

Lorenzelli, Bergamo 1981

Anne-Marie Charbonneaux, Les Vanités dans l’Art contemporain,

Flammarion, Parigi 2010

Patrizia Nitti, Claudio Strinati, C’est la vie! Vanités de Pompéï à

Damien Hirst, Edizioni Skira-Flammarion, Parigi 2010

Christopher Alexander, A pattern Language: Towns, Building,

Construction, New York 1977

Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli,

Milano 1990

Alfonso Maria Di Nola, La nera signora, Antropologia della morte e

del lutto, Newton & Compton, Roma 2007

Susanne, Friedli e Bernhard Fibicher, Six Feet Under, Keber, Lipsk

2006

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Londra 1910

Nigel Llewellyn, The Art of Death, visual culture in the english

death ritual c.1500-1800, Reaktion Books per Victoria and Abert

Museum, Londra 1997

Alfried Wieczorek, Wilifried Rosendahl, Schadel Kult, Kopf und

Schadel in der Kulturgeschichte des Menschen, Schnell Steiner,

Germania 2011

Maria Rosaria Omaggio, Il linguaggio dei gioielli, Zelig Editore,

Milano 2001


Sitografia: • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

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Vorrei ringraziare con affetto tutte quelle persone che con gli anni mi hanno sostenuto e hanno creduto in me. In particolare: Pietro, Ilaria e Stella, Mamma e PapĂ , Andrea, Francesca, Martina e DesirĂŠe, ovvero le Gin in Teacups, Vittoria, Jonata, Alberto e Laura, Francesco, Simone e Marco, Anna, Mati, Cagli, Caste, Vale e Elena che mi hanno fatto crescere, Giulia e Marilena che mi hanno consolato, 4p, la Sef, Graziano e tutto lo staff Corraini. Un grazie anche a chi mi ha ispirato.


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