Notizie ProVita & Famiglia - N.75 - giugno 2019 - L'unione fa la forza

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Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN

L’unione fa la forza

ANNO VII | GIUGNO 2019 RIVISTA MENSILE N. 75

P. 24

P. 26

P. 34

Don Fortunato Di Noto

Francesca Romana Poleggi

Roberto Marchesini

Azioni concrete ed efficaci contro la pedofilia: quando?

Amore senza sesso e sesso senza amore

Bisogno di sesso e diritto al sesso


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Notizie Pro Vita & Famiglia

giugno 2019

Editoriale

Toni Brandi

La cultura della Vita e della Famiglia in azione!

Ecco arrivato, finalmente, il primo numero di Notizie Pro Vita & Famiglia. Ne siamo tutti molto orgogliosi e, visti gli innumerevoli messaggi di approvazione entusiasta che abbiamo ricevuto dopo aver annunciato l’unione di Pro Vita con Generazione Famiglia, siamo certi che ne siete contenti anche voi, cari Lettori. Del resto, se avrete la bontà di leggere la storia di Generazione Famiglia e della Manif Pour Tous – Italia che vi viene illustrata in queste pagine, vi renderete conto che la comunione di intenti e di valori su cui si fonda la nostra azione c’è sempre stata. Poiché non è ancora cessata l’eco del Congresso Mondiale delle Famiglie, inoltre, abbiamo deciso di pubblicare anche qui la Dichiarazione di Verona, che sintetizza le istanze più sentite – a livello internazionale – dalle Associazioni che hanno organizzato il Congresso. La Dichiarazione riassume le linee guida delle prossime attività che ciascuna intraprenderà nel proprio Paese. Per quanto ci riguarda, una delle prime campagne di Pro Vita & Famiglia, in collaborazione con l’Associazione Meter di Don Fortunato Di Noto, sarà tesa a salvaguardare i nostri bambini dalla sessualizzazione precoce: questa nostra società

“sessocentrica” ci bombarda fin da piccoli di messaggi più o meno espliciti, volti a distruggere la purezza e a stravolgere il comune senso del pudore. Del resto «Sex by eight or it’s too late» [sesso entro gli otto anni o è troppo tardi] è il motto delle associazioni che hanno come scopo lo sdoganamento della pedofilia... Nelle pagine che seguono, cominciamo a trattare l’argomento e ci torneremo su nei prossimi numeri. Parleremo anche di donne e di “gender”, lieti di ospitare il contributo di personalità di spicco del mondo della cultura come Enrica Perucchietti e Angela Pellicciari. Noterete qualche cambiamento dal punto di vista della grafica: l’intento è quello di offrirvi un giornale sempre più gradevole da maneggiare e da leggere. Come al solito saremo lieti di ricevere critiche, commenti e suggerimenti per poter essere sempre più in sintonia con le vostre esigenze. Siete voi Pro Vita & Famiglia, perché noi, con le nostre attività, i convegni, le campagne e anche con questa Rivista, esistiamo e continuiamo a parlare “nel nome di chi non può parlare”esclusivamente grazie alla vostra generosità.

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Notizie Pro Vita & Famiglia

giugno 2019

Sommario

PRIMO PIANO 3

Editoriale

Cinque anni intensi di Manif Pour Tous e Generazione Famiglia

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Maria Rachele Ruiu

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Lo spevi che...

La Dichiarazione di Verona

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Sessualità 8

dillo@ notizieprovitaefamiglia

Azioni concrete ed efficaci contro la pedofilia: quando?

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Don Ferdinando di Noto

Amore senza sesso e sesso senza amore

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Francesca Romana Poleggi

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Versi per la vita Silvio Ghielmi

Bisogno di sesso? Diritto al sesso!

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Roberto Marchesini

Donne e “gender”

Donne e stereotipi del XXI secolo

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Enrica Perucchietti

Il “genere” non è fluido, neanche nel sonno

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Luca Scalise

Una donna che ha cambiato la storia Vuoi ricevere anche tu, comodamente a casa, Notizie ProVita (11 numeri) e contribuire così a sostenere la cultura della vita e della famiglia? Invia il tuo contributo: € 20,00 studente/disoccupato € 30,00 ordinario € 60,00 sostenitore € 100,00 benefattore € 250,00 patrocinatore PRO VITA E FAMIGLIA ONLUS: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina IBAN: IT89X0830535820000000058640 indicando: nome, cognome, indirizzo e CAP

RIVISTA MENSILE N. 75 - Anno VII Giugno 2019 Editore Pro Vita e Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l.

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Tipografia

Angela Pellicciari

Maria Stuarda ed Elisabetta I

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Luciano Leone

Film

Wonder

Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Marco Bertogna, Don Fortunato

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Marco Bertagna

Letture pro life

Immagine di copertina: World Congress of Families XIII, 2019.

Distribuzione Caliari Legatoria

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Di Noto, Silvio Ghielmi, Luciano Leone, Roberto Marchesini, Angela Pellicciari, Enrica Perucchietti, Francesca Romana Poleggi, Maria Rachele Ruiu, Luca Scalise

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Notizie Pro Vita & Famiglia

giugno 2019

Lo sapevi che...

Economia e morale

Trans -age L’olandese Emile Ratelband, 69 anni, ha perso la causa che aveva intentato contro lo Stato perché chiedeva di modificare la sua data di nascita sui documenti: essendo vivace e in buona salute, lui si sentiva vent’anni di meno e chiedeva che anche anagraficamente risultasse di 49 anni. Il tribunale ha dichiarato che il signor Ratelband è libero di sentirsi vent’anni più giovane e di agire di conseguenza, ma la modifica degli atti dello stato civile non è possibile perché comporterebbe una serie di complicazioni giuridiche e sociali insostenibili. Sul Journal of Medical Ethics, Joona Räsänen, una

bioeticista finlandese che lavora presso l’Università di Oslo, ha criticato la decisione dei giudici: bisognerebbe consentire - almeno in determinate circostanze - il cambio di età legale. Vietarlo è discriminante nei confronti di chi si sente che non sta invecchiando e che invece viene considerato anziano “solo” per la data di nascita. È rimasta una voce isolata: tutti le hanno ribattuto che l’età è un fatto biologico che non può essere cambiato. Come il sesso, diremmo noi. E invece no: riguardo ai cambiamenti di sesso la biologia non conta. Chissà perché.

Coma “irreversibile”? Negli Emirati Arabi Uniti, Munira Abdulla è tornata a casa con la sua famiglia dopo 27 anni trascorsi in stato di minima coscienza. Aveva 32 anni quando è stata coinvolta in un incidente automobilistico che le ha provocato una grave lesione alla testa. Due anni fa, dagli Emirati Arabi era stata trasferita in una clinica tedesca, a Bad Aibling. I medici dicevano che non c’era da sperare dopo tanti anni di coma “irreversibile”:

invece c’è stato il risveglio e ci sono stati grandi progressi. Anche se la donna resta gravemente handicappata ed è costretta su una sedia a rotelle, ha detto il suo neurologo che lo stato fisico e mentale della paziente è migliorato enormemente nell’arco di poche settimane, e ora può interagire consapevolmente con il suo ambiente e partecipare di nuovo alla vita familiare.

Cure palliative sì, eutanasia no Italo Penco, presidente della Società Italiana di Cure Palliative (Sicp), ascoltato dalle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali di Montecitorio, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge sulla liceità dell’eutanasia, ha dichiarato: «È fondamentale implementare una rete per offrire le cure palliative in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, al fine di scongiurare il più possibile la ricerca di eutanasia e suicidio assistito». Infatti, è «proprio la mancanza di informazioni sul diritto a ricevere cure per il controllo della sofferenza», secondo Penco, che «può far optare

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per l’eutanasia». Le cure palliative non vanno confuse con la “sedazione terminale profonda” che consiste nell’addormentare profondamente i pazienti allo stadio terminale (in media dai tre giorni prima della morte in poi) che registrano sintomi dolorosi non più gestibili con i farmaci, cioè con le cure palliative. Purtroppo, si fa una gran confusione tra le cose. E la sedazione terminale viene usata spesso per uccidere i pazienti: privandoli di cibo e acqua, o addirittura somministrando barbiturici in dosi massicce e di fatto letali.

La legalizzazione della prostituzione e della cannabis, secondo uno studio commissionato dalla Banca d’Italia nel 2012, genererebbe 170 miliardi di Pil in più all’anno, con un gettito erariale di poco meno di 10 miliardi, cui si aggiungerebbe il risparmio, stimato per un totale di 500 milioni l’anno, in merito alle spese per le forze dell’ordine, non più impegnate nella repressione dei reati in questi due settori (il che è comunque tutto da dimostrare, perché la criminalità continua a prosperare intorno alla prostituzione e alla droga, anche dove esse sono legali). A lungo andare, però, i disagi che alimentano il business della droga e della prostituzione rimarranno irrisolti,

anzi, ne risulteranno incentivati. Consumare droghe o “sesso mercenario” è un sintomo di alienazione ed è foriero di comportamenti antisociali, che di certo non alimentano il benessere collettivo. Oltretutto, fino a prova contraria, disagi e alienazione, nel lungo periodo, non aiutano nemmeno il Pil. È dimostrato, infatti, che ciò che è immorale alla lunga si rivela anche antieconomico. Ma se anche così non fosse, come si può pensare di far “crescere” un Paese sulla pelle dei giovani (rimbambiti dalla droga) e delle donne (compravendute al mercato del sesso a pagamento)?

Aborto dopo uno stupro? Jennifer Christie ha subito violenza sessuale durante un viaggio di affari ed è rimasta incinta. Non ha voluto, però, reagire alla violenza subita con un’altra violenza e ha deciso di tenere il suo bambino. Ha dichiarato: «Se la vita davvero ha un valore, allora non ci possono essere eccezioni». E, a chi ritiene che il figlio concepito durante uno stupro rappresenta il ricordo costante di quel terribile evento, Jennifer risponde: «Non ho mai sentito una madre il cui figlio è stato concepito in uno stupro affermare che le ha ricordato l’aggressione subita. Mio figlio, semplicemente,

mi ricorda che il bene trionfa sempre sul male, che l’amore è più forte dell’odio e che la nostra umanità non è determinata dal modo in cui siamo stati concepiti». Testimonianze come questa sono fondamentali laddove si cerchi di usare la gravidanza a seguito di violenza sessuale come apripista per la legalizzazione dell’aborto. La stessa Christie ha osservato: «Si parla dell’1% dei bambini, quelli concepiti in seguito a una violenza sessuale, per creare una legge che consente il massacro del restante 99%».

Un premio per le lavoratrici mamme AgriCenter, guidata da Riccardo Pistolato, a Mogliano Veneto, nel Trevigiano, ha trasformato il contratto di lavoro di una giovane dipendente in dolce attesa da part time a full time. Quando è rientrata dalla maternità, il titolare della ditta agraria ha sorpreso la sua impiegata comunicandole la promozione. Il Veneto non è nuovo ad atti di elevata sensibilità sociale da parte di imprenditori. È nota alle cronache l’iniziativa

di Vinicio Bulla, titolare della Rivit, azienda vicentina produttrice di tubi in acciaio, che, dallo scorso ottobre, ha stabilito nuove politiche aziendali familiari, finanziando fino a 6.600 euro le spese scolastiche di ogni figlio di dipendente; o il premio che la ditta Brazzale Spa, di Zané, in provincia di Vicenza, offre ai dipendenti ogni volta che nasce loro un bambino.


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Notizie Pro Vita & Famiglia

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dillo@notizieprovitaefamiglia

Versi per la vita CHIACCHIERE Il Congresso mondiale delle famiglie di fine marzo ha scatenato reazioni scomposte: ci hanno definito neofascisti, antiabortisti, omofobi… L’apice “culturale” è stato raggiunto da Gigino Di Maio: «Un Medioevo che non festeggio». Il richiamato Medioevo non considerava la morte la migliore soluzione per un bimbo non desiderato. A tal fine, i nostri retrogradi progenitori avevano introdotto la ruota degli esposti, dopo aver inventato l’ospedale, ove porre i figli non voluti. I trovatelli venivano assegnati presso famiglie in cui la madre fosse disposta a fare da nutrice. La famiglia affidataria s’impegnava a trattare bene il neonato. Alla gestante di allora era risparmiato l’aborto che, oggi, tronca lo sviluppo naturale della sua persona. Le conseguenze negative a livello fisico vengono sottaciute. Secretati gli ancor più devastanti risvolti psicologici quando la donna prende coscienza, talvolta dopo molto tempo, di avere ucciso suo figlio. Si evince, quindi, che, per quanto concerne il nascituro e la gestante, il vilipeso Medioevo era più progredito e rispettoso della persona umana a confronto con la nostra era moderna.

Andrea

Ora, a parole, conta la famiglia, perfino per i grilli e le cicale. Quelli che la dicevan medioevale, adesso, scopron esser meraviglia. Resta però, l’ignobile mattanza, continua e interminabile che si fa ma la si tace… e la natalità sembra un problema che concerne gli altri, non i regnanti, ipocriti e furbastri, tutti propensi a lasca tolleranza.

COSO In questo mondo squallido e corroso anche un bambino è diventato un coso che vien, talvolta, preso come un peso, soggetto fastidioso e indifeso.

Certo: non si rendono conto, gli abortisti, che è la loro una mentalità retrograda: lo ius vitae ac necis , il diritto di vita e di morte del genitore sul figlio, era un istituto tipico delle società antiche (e comunque, anche nella Roma antica, tale diritto fu drasticamente limitato già in epoca imperiale). Oggi non è più un diritto del padre, ma della madre. La sostanza però non cambia. Comunque tra i vari epiteti che ci hanno lanciato quello di “antiabortisti” non è un insulto, ma un vanto. La Redazione

Non val la pena fare una combutta, se non gradito, è facile: si butta. La sua comparsa, ingrata ed imprevista la si cancella come una conquista di un certo femminismo scellerato, con ovvio contributo dello Stato.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa di Verità e Vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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Cinque anni intensi di Manif Pour Tous e Generazione Famiglia Maria Rachele Ruiu

Per cinque anni, otto mesi, e cinque giorni Generazione Famiglia – La Manif Pour Tous Italia ha dato voce alla protesta della società civile contro la deriva antropologica tesa a distruggere la famiglia e a decostruire la persona umana. La Manif Pour Tous Italia scende in piazza Giovedì 25 luglio 2013, alle ore 19, a piazza Montecitorio, esordisce la Manif Pour Tous Italia: una veglia apolitica e aconfessionale in opposizione al progetto di legge contro l’omofobia, che sarebbe stato discusso in Parlamento l’indomani. Qualche settimana prima, infatti, Jacopo, con la moglie Giuditta, Gabriele, Maxime e altri pochi amici si erano incontrati (mentre io facevo la babysitter a Benedetto, primogenito del futuro presidente) mossi da un’urgenza: nel silenzio estivo, qualcuno in Parlamento spingeva perché venisse approvata una legge liberticida, pericolosissima per chi avrebbe voluto continuare a guardare alla realtà, a raccontarla e a difenderla: la famigerata legge Scalfarotto. Partendo dall’esperienza dei Francesi, nacque la Manif Pour Tous Italia, per mobilitare i cittadini, per risvegliarne le coscienze, per salvaguardare la libertà di espressione, per preservare l’unicità del matrimonio tra uomo e donna, il diritto del bambino ad avere un padre e una madre e difendere il diritto alla priorità

educativa dei genitori. Un breve tam tam sui social, un video spot di 20 secondi, e - nonostante la data poco felice - a piazza Montecitorio accorsero più di 400 persone, la maggior parte giovani: seduti per terra, con un bavaglio e una candela accanto, e cartelli chiari: “Libertà d’espressione per tutti”, “No alla legge liberticida”, “Difendiamo la libertà d’opinione”, “Da Parigi a Roma nelle piazze e nelle strade”. Contemporaneamente a Parigi alcuni giovani manifestavano davanti all’ambasciata d’Italia, in segno di solidarietà. Era iniziata un’avventura. Pochi giorni dopo, il 30 luglio, ci ritrovammo con un libro in mano, sempre davanti a Montecitorio: la prima veglia delle Sentinelle in Piedi in Italia. Fu una veglia movimentata, ci tolsero persino le carte

Nel silenzio estivo, qualcuno in Parlamento spingeva perché venisse approvata una legge liberticida, pericolosissima, la famigerata legge Scalfarotto: per questo scese in piazza la prima volta la Manif Pour Tous Italia.

d’identità, ma anche la versione italiana delle “Veilleurs debout” ha - silenziosamente - rotto il silenzio “ufficiale” intorno alla proposta di legge in discussione in quei giorni in Parlamento. Pochi giorni dopo, un nuovo appuntamento: il 5 agosto, a piazza di Pietra, per denunciare il tentativo di oscurare e strozzare il dibattito parlamentare e ribadire quello che sarà il principio cardine della Manif: non siamo contro nessuna persona, ma contro una legge liberticida, contro le leggi che non perseguono il bene dei bambini, soprattutto. «Condanniamo ogni forma di umiliazione nei confronti delle persone omosessuali, ma allo stesso tempo non possiamo consentire un sistema legale in cui la legge sia più uguale solo per alcuni e soprattutto in cui non alberghi la libertà di opinione». Invitammo i politici a non accettare compromessi, spiegammo la pericolosità del testo di legge in discussione, e demmo risonanza a una lettera che un omosessuale aveva intenzione di far giungere fino al Presidente del consiglio Letta: «Accettare la diversità significa anche riconoscere i limiti della natura umana». Colorammo i volti dei bambini, lanciammo palloncini e sventolammo bandiere. Una piazza colorata, allegra, ma decisa è la “firma” della Manif. In pochi mesi crebbero le interazioni sui social, nacquero i primi circoli territoriali e il tam tam mediatico aumentava tanto che l’11 ottobre la Manif era di nuovo in piazza, al Pantheon. Eravamo vivi e vegeti, nonostante la difficoltà a bucare i media, e qualche “gufo”: non avevamo nessuna intenzione di rassegnarci alla legge sull’omofobia nel frattempo approvata alla Camera. Questa volta, contemporaneamente, le Sentinelle si sarebbero alzate in piedi in molte città italiane: Bologna, Bolzano, Bisceglie, Pisa, Venezia e Milano. Dopo i saluti di Gianfranco, portavoce della Manif, Filippo leggeva le Quickly small title per forlaany considerazioni dei Giuristi vita. Giuditta, case shoulddella replace this dumtra gli applausi piazza, ricordava che ci muoveva my textla difesa del più debole e una psicologa spiegò le conseguenze della teoria del gender. Scattammo una foto di gruppo con i rigatoni Barilla, per ricordare il caso emblematico

Patus int, pere faur publiciem macidet ad consulesces nostiae cupimus vata des te dintra, num, se audem cons bonscri ssenihil huidit; es? Ectem o essenterit, quon tum ne ehor

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dell’imprenditore Guido Barilla, piegato dalla lobby Lgbt. Infine concludemmo con una promessa, poi ampiamente mantenuta: «Non abbiate timore di esprimere le vostre idee, non abbandoneremo il campo di battaglia». Più di quattrocento persone a Roma, decine e decine in tutte le altre città: le coscienze si stavano svegliando e non avevano alcuna intenzione di riassopirsi. Portavoce Filippo Savarese Aumentano i circoli vertiginosamente, l’Italia è in fermento. Le Sentinelle si rendono autonome per migliorare l’efficienza nella gestione degli incontri. Ci si trova a Roma, a Piazza Santi Apostoli, l’11 gennaio 2014: più calore, più gente, più associazioni, più parlamentari delle volte precedenti: la piazza trasborda, saremo più di duemila, e per la prima volta Filippo Savarese sale sul palco come portavoce ufficiale. Presentata da Monica Mondo, la manifestazione si apre con un saluto deciso di Filippo «Abbiamo adempiuto a un dovere morale nel trovarci qui, ora!» Intervengono i rappresentanti di tutte le associazioni attive: Pro Vita, Movimento per la vita, Forum delle Famiglie, Famiglie Numerose, Giuristi per la vita. Da ricordare l’intervento di Jean-Pierre Delaume-Myard, portavoce della Manif francese, dichiaratamente omosessuale, che chiarisce: «Il mio impegno non ha nulla a che fare con la mia sessualità, semplicemente non voglio che qualcuno un domani mi rimproveri di non essermi battuto perché tutti potessero avere un padre e una madre».


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Notizie Pro Vita & Famiglia

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Gli impegni si intensificano: dal palco sono state già annunciate le manifestazioni di Firenze il 19 gennaio, e quella a Roma del 2 febbraio, giorno in cui, in contemporanea con altre città e capitali europee, avremmo aperto il bandierone di 600 metri quadri, a piazza Farnese, sotto la pioggia. La bandiera ha suscitato scompiglio e reazioni scomposte, finanche un carro al carnevale di Viareggio. Continuano a moltiplicarsi i circoli territoriali e i convegni della Manif. L’opera di formazione e informazione si compie in tutta Italia: incontri nelle case, aperitivi, appuntamenti istituzionali, in cui ci si pone principalmente una domanda: Sarà ancora possibile dire mamma e papà?. Scoviamo video eccezionali, come Il paradosso norvegese poi sottotitolato dal nostro instancabile Don Maurizio... insomma, trascorrono i mesi pieni di novità, di fermento, di semina, di compagni di viaggio, di “lavorazione dura e faticosa” del terreno. Un inverno fruttuoso, anche quando, insieme a Pro Vita, denunciamo e blocchiamo gli scandalosi libretti Unar che dovevano essere introdotti in tutte le scuole di ogni ordine e grado a insegnare la fluidità di genere.

Il 22 luglio, teniamo una conferenza stampa al Senato in cui viene presentata la Biblioteca Manif, una serie di libretti che riassumono i temi etici di attualità: unioni civili, teoria gender, utero in affitto, omogenitorialità. Al termine un nostro flash mob: ancora una volta, ancora in estate, si provava a mandare avanti il disegno di legge Scalfarotto. Con dei bavagli arcobaleno, che da quel giorno divennero tipici di molte manifestazioni, la Manif comunicò senza fraintendimenti ciò che quella legge avrebbe ottenuto: silenziare la nostra voce. Il primo Family Day Nell’anno successivo accadono tantissime cose: si moltiplicano gli eventi e oramai i circoli territoriali sono una ottantina sparsi per tutto lo Stivale. Ma cominciano anche a piovere i progetti gender nelle scuole: stiliamo un primo dossier e lo consegniamo all’allora Ministro della Istruzione. La Manif comincia ad essere conosciuta e osteggiata dai media tanto da portare alcuni facinorosi ad aggredire chi indossa la maglietta con il logo della famiglia così come già era accaduto in Francia. Da

«Accettare la diversità significa anche riconoscere i limiti della natura umana».

una parte promuoviamo incontri sempre più frequenti con le altre realtà associative per organizzare qualcosa di sensazionale, dall’altra i numerosi convegni su tutto il territorio italiano e l’implacabile lavoro dei circoli. Si solleva una domanda: ora che sappiamo, che facciamo? Il 2 giugno 2015 si riunisce quello che diverrà il Comitato Difendiamo i Nostri Figli: realtà associative ben radicate sul territorio e personalità di spicco rispondono a quella domanda con un chiarissimo “ci facciamo vedere”. Una manifestazione oceanica riempie

piazza San Giovanni, a Roma: impossibile far finta di nulla, i media devono parlare di noi. Il 20 giugno 2015, è storia: incorniciate da due temporali estivi che, con il senno del poi, hanno permesso che nessuno tornasse a casa con un’insolazione, ma soprattutto che i contestatori desistessero dal venire a creare imbarazzi, un milione di famiglie si sono riunite per chiedere a gran voce: «Stop al gender nelle scuole». Generazione Famiglia e il Circo Massimo Il 17 ottobre successivo c’è stata una svolta per la Manif: dopo due anni di attività intensa che da un gruppo di amici romani ormai coinvolgeva un’ottantina di circoli attivi in quasi tutte le Regioni, con una grande convention al Teatro Adriano di Roma, La Manif Pour Tous Italia si è evoluta e trasformata in Generazione Famiglia. All’evento presero parte intellettuali come Gotti Tedeschi, Veneziani, Servidori, Fusaro, Torriero, Meluzzi, Adinolfi, Miriano, La Roche e Volontè. Generazione Famiglia si offriva a tutti coloro che intendevano fare la propria parte per una rinnovata promozione della cultura e dell’antropologia della famiglia: genitori, studenti, professionisti, politici per lavorare insieme in un cantiere per il bene comune. Da costruire insieme. A capodanno la stampa ammise che il gender era stato l’argomento dell’anno. Il dibattito in Parlamento sulle unioni civili ci impose, all’interno del Comitato Difendiamo i Nostri Figli, di organizzare una nuova oceanica manifestazione: al Circo Massimo si fece nuovamente la storia. Il popolo del family day riempì nuovamente Roma, in una tiepida giornata di fine gennaio. E tra tanti frutti e tanta bellezza, uno striscione con su scritto “Ruiu sposami!” resterà negli occhi miei e di molti. Inizialmente pensai di uccidere il folle che lo aveva alzato in piazza, soprattutto quando scoprii essere opera di uno dei responsabili del circolo Manif di Bologna, poi optai per una vendetta decisamente più crudele: l’ho sposato davvero un anno e mezzo dopo, il 2 settembre del 2017.

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CitizenGo e il Bus della Libertà L’anno successivo al family day, certi che oltre ad una ritrovata sinergia tra le associazioni nazionali fosse necessaria una rete internazionale, accogliemmo una proposta di collaborazione con la fondazione internazionale CitizenGo. Un volo a Madrid e un’alleanza che sostenne il lavoro sui territori con l’arma delle petizioni, e portò il Gran Gala del Bene Comune: un appuntamento annuale, a cena, tra cittadini e attivisti, personalità politiche e rappresentanti di associazioni, tutti uniti nella difesa della vita, della famiglia e delle libertà fondamentali. Con l’occasione si premiano coloro che si sono distinti per il loro servizio appunto del Bene Comune. Nella prima edizione furono premiati Maroni, Giovanardi, Gandolfini, Coda-Nunziante, Miriano, Noia, Picchi. Il gala fu anche l’occasione per annunciare il tour del Bus della Libertà: un grande pullman arancione con scritto “I bambini sono maschi, le bambine sono femmine, la natura non si cambia, stop gender nelle scuole” che girerà nell’autunno successivo per sensibilizzare la cittadinanza contro i pericoli della colonizzazione ideologica, soprattutto attraverso i progetti sulla sessualità e sull’affettività spesso appaltati alle associazioni Lgbt. Annunciato da una campagna di affissioni, “Basta violenza di genere”, il bus parte da Roma sabato 23 settembre, toccando le città di Firenze, Milano, Brescia, Bologna, Bari e Napoli, e di nuovo Roma. Subiamo violente contestazioni da parte dei collettivi autonomi e degli attivisti Lgbt, che richiedono la presenza delle forze di polizia a ogni sosta. Subiamo i soprusi del sindaco De Magistris a Napoli, ma le centinaia di sostenitori a Roma che ci accolgono al ritorno, ne decretarono il successo, tanto da “obbligarci” all’organizzazione di un altro tour a ridosso delle elezioni politiche 2018 per costringere i politici a esprimersi sui nostri temi. Così, il 20 febbraio parte da Reggio Calabria un secondo tour del gigante arancione. Sulla fiancata: “Non confondete l’identità sessuale dei bambini”, contro la nuova ondata di progetti


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Notizie Pro Vita & Famiglia

gender nelle scuole, e contro le prime sentenze della magistratura a favore della vergognosa pratica dell’utero in affitto. Il tour tocca Reggio Calabria, Catania, Napoli, Livorno, Torino, Milano, Verona, Bologna, Cesena, Pescara, con ritorno a Roma davanti alla Corte di Cassazione. Durante il tour sono stati regalati migliaia di vademecum, Genitori Protagonisti nella scuola, per aiutare i genitori a riappropriarsi del ruolo educativo in sinergia con la scuola, dove i figli passano gran parte della loro giornata. Nota di colore: insieme a me, Jacopo e Filippo, c’era anche un piccolissimo Michele di 16 settimane, nella mia pancia: nato grazie a un incontro al family day, non poteva che essere da subito un attivista pro family, un “partigiano del terzo millennio”, come ci definirono allora! A maggio si è tenuta la II edizione del Gran Gala del Bene Comune: i partecipanti sono aumentati da 120 a 250 e abbiamo premiato Belpietro, il Centro Studi Rosario Livatino, il papà Marco Sermarini e la mamma Chiara Paolini: ognuno di noi può diventare un protagonista del Bene Comune. Durante l’estate abbiamo pensato che fosse necessario chiarire la distinzione tra Generazione Famiglia e CitizenGO: Filippo è divenuto il Direttore delle campagne Italiane di CitizenGO, e ha lasciato il ruolo di portavoce di Generazione Famiglia. E oggi… Oggi siamo pronti per una nuova avventura: quella di una collaborazione sempre più

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stretta con Pro Vita, iniziata con la campagna shock contro l’utero in affitto e culminata con l’organizzazione del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona. Nessuno di noi in quel lontano luglio 2013 avrebbe immaginato né di crescere tanto, né di poter trovare amici così fraterni, con lo stesso desiderio di bene, con cui organizzare un congresso mondiale, con accreditata stampa da tutto il mondo (più di 200 giornalisti) e così “spaventoso” da obbligare i media a una pioggia di fake news pur di silenziarci. E ora eccoci qua, insieme, perché quando gli obiettivi, l’orizzonte e lo sguardo sono gli stessi, unire le forze è la strategia più costruttiva e - purtroppo - controcorrente. Pronti per una nuova avventura, certi di essere “servi inutili”, certi che tutto il Bene che esce ci sovrasta, certi che potremo anche compiere errori, ma certi che ci siamo e ci saremo, per i nostri figli e i nostri nipoti.

<<Un vero soldato non combatte perché ha davanti a sé qualcosa che odia. Combatte perché ha dietro di sé qualcosa che ama» G.K. Chesterton

Nel 2018 due autobus arancioni, i Bus della libertà , hanno girato l’Italia per spiegare che i bambini sono maschi e le bambine sono femmine…

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Verona, 31 marzo 2019: la manifestazione a conclusione del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie è stata una festa di gioia, di colori, di solidarietà e di bontà .


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Notizie Pro Vita & Famiglia

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Dichiarazione di Verona 31 Marzo 2019 Alla fine del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, è stato stilato il seguente documento, a cura dell’International Organization of Family e dalle altre Associazioni che hanno curato l’organizzazione dell’evento. Anche se sono già due mesi che circola su internet, riteniamo giusto stamparne una copia su questa nostra Rivista, per i nostri Lettori, insieme ad alcune foto ricordo di quei giorni intensi che da un lato ci hanno arricchito, dall’altro ci hanno mostrato il volto ambiguo, bugiardo e a volte violento dei media mainstream, al servizio della dittatura del pensiero unico che tende a soffocare il libero pensiero e il confronto pacifico e democratico.

Adottata per acclamazione nella cerimonia di chiusura del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie. Verona, nobile città d’arte, di cultura e di civiltà antica e moderna, da secoli chiamata “Città dell’amore”, dall’ottobre 2018 si è proclamata “Città per la vita”; oggi è a buon titolo anche “Città della famiglia”, modello di buone pratiche politiche, economiche e sociali a favore di questa nostra umanità: perché chi ha a cuore la famiglia ha davvero a cuore il bene della persona, di ogni donna, di ogni bambino e di ogni uomo, del presente e del futuro. Di contro, a livello globale, stiamo assistendo a un tentativo ideologico di decostruzione dell’essere umano e di sconvolgimento dell’ordine naturale antropologico. Come sempre, le prime vittime di questi sconvolgimenti sono i più fragili e indifesi: innanzi tutto i bambini. Alla luce di tutto questo, per amore della vita, dei bambini, della famiglia e di tutti gli esseri umani:

Chi ha a cuore la famiglia ha davvero a cuore il bene della persona, di ogni donna, di ogni bambino e di ogni uomo, del presente e del futuro.

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NOI AFFERMIAMO CHE:  Il diritto alla vita è il primo tra tutti i diritti umani: deve essere riconosciuto e tutelato – dal concepimento alla morte naturale – a prescindere dalla qualità della vita che si prospetta.  La famiglia è la cellula naturale e fondamentale della società e ha diritto alla protezione da parte della società stessa e dello Stato (Art. 16/3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, DUDU).  La famiglia è fondata sul matrimonio, unione stabile ed esclusiva tra un uomo e una donna, ambedue necessari e complementari per il loro benessere psicofisico, e per generare e educare dei figli – futuri cittadini – in modo sano e responsabile.  La famiglia è il luogo naturale dove la persona è generata, cresce, si forma, si educa alla relazione, all’amore oblativo e alla solidarietà sociale.  La famiglia naturale fondata sul matrimonio stabile risulta essere invariabilmente e universalmente – a livello statistico – la

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PER TUTTI QUESTI MOTIVI, CHIEDIAMO: realtà che garantisce tanto l’essere quanto il maggior benessere dei bambini, la massima protezione dei diritti umani, e il più alto bene comune per la società intera.  Una rinnovata alleanza tra gli uomini e donne di buona volontà è indispensabile per uscire dalla attuale crisi culturale ed economica.  Uno sviluppo economico sostenibile non è possibile senza ribadire il legame profondo che deve esserci tra economia e morale: la tutela della persona umana deve essere preminente rispetto al perseguimento del profitto.  Una società umana disgregata e privata dei corpi intermedi (in primis della famiglia), invece, risulta una massa di obbedienti, servili consumatori, incapaci di riconoscere le loro radici e le loro tradizioni, facilmente manipolabili e sfruttabili da chi cerca solo il profitto. Sarebbe segno della fine della civiltà millenaria che abbiamo costruito finora.

1. che venga riconosciuta e tutelata l’umanità del concepito; 2. che a ogni essere umano, a prescindere dal sesso, dall’età, dalla razza, dalla religione, dallo stato di salute, dalle opinioni politiche e da ogni altra condizione personale, venga data protezione da parte della legge e della società, e sia condannata ogni ingiusta discriminazione; 3. che la vita e i diritti della madre non siano messi in opposizione alla vita e ai diritti del bambino. Entrambi dovrebbero essere protetti e lo Stato dovrebbe promuovere politiche che prevengano l’aborto e offrano alternative alla madre; 4. che coloro che lavorano per conservare e promuovere la salute fisica e mentale delle persone non siano costretti a tradire la loro coscienza o la loro fede mentre perseguono il benessere dei loro pazienti e rispondono alle loro reali esigenze; 5. che vengano tutelate tutte le famiglie, soprattutto se in difficoltà economica, in particolare le famiglie numerose e le famiglie perseguitate in cerca di rifugio in un Paese straniero; 6. che gli Stati sviluppati in Occidente e nel resto del mondo sostengano la crescita demografica, minacciata globalmente dall’ideologia neomalthusiana che, nonostante sia smentita dalla storia, ha portato in molte aree geografiche un preoccupante inverno demografico.

Il diritto alla vita è il primo tra tutti i diritti umani: deve essere riconosciuto e tutelato – dal concepimento alla morte naturale – a prescindere dalla qualità della vita che si prospetta.


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RITENIAMO ALTRESÌ URGENTE E INDEROGABILE: 1. il divieto internazionale di qualsiasi forma di surrogazione di maternità e del commercio o donazione di gameti, perché la donna non è un’incubatrice e il bambino non è un oggetto; 2. la tutela dei reali diritti fondamentali dei bambini:  ad avere una mamma e un papà,  a non essere comprati né regalati come oggetti,  a essere rispettati nella loro natura e sostenuti nello sviluppo di una sessualità integrale coerente con la loro biologia,  alla protezione della propria innocenza dalla sessualizzazione precoce, troppo spesso imposta loro a scuola, per televisione, su internet,  a essere difesi dalla pedopornografia e dalla pedofilia, con un’azione seria, incisiva e severa delle autorità nei confronti di chiunque tenti di abusare dei minorenni; 3. la promozione del diritto delle donne di:  vedersi offrire valide alternative all’aborto,  vedersi offrire informazioni chiare, veritiere e complete sui rischi derivanti dalla fecondazione artificiale (per loro e per i loro bambini) e dall’aborto,  ricevere, a parità di lavoro, un salario pari a quello dei colleghi uomini,

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 poter conciliare il lavoro e la maternità favorendo lunghi congedi parentali, e – per chi lo desidera – flessibilità, part time o telelavoro,  poter scegliere di dedicarsi esclusivamente ai figli e alla famiglia, con una remunerazione adeguata al lavoro casalingo, in particolare laddove lo stipendio del coniuge non sia sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa,  non essere usata come oggetto di piacere, specialmente a pagamento, e quindi di veder puniti severamente gli sfruttatori e i clienti delle prostitute,  veder combattere in modo serio ed incisivo il mercato della pornografia, che non solo mercifica e svilisce la dignità delle donne, ma inoltre istiga alla violenza e rovina le menti delle nuove generazioni; 4. che non venga imposto a tutti i cittadini, attraverso il prelievo fiscale, di contribuire alla spesa pubblica necessaria per l’aborto e per le operazioni ormonali e chirurgiche tese a modificare l’apparato sessuale degli individui; 5. un deciso e radicale contrasto alla diffusione e alla legalizzazione di ogni tipo di droga; 6. che venga difeso il fondamentale dovere e diritto dei genitori di scegliere il tipo di educazione da dare ai loro figli (art. 26 DUDU), specie riguardo la sfera sessualeaffettiva e familiare.

La famiglia è la cellula naturale e fondamentale della società e ha diritto alla protezione da parte della società stessa e dello Stato (Art. 16/3 DUDU).

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Azioni concrete ed efficaci contro la pedofilia: quando? Don Fortunato Di Noto

Ci scrive il fondatore dell’Associazione Meter che dal 1989 offre aiuto concreto ai minori abusati e combatte in modo fiero e instancabile l’immondo e vasto fenomeno globale della pedopornografia. Nello scorso marzo, l’associazione Meter ha pubblicato il suo report con i dati del 2018: i numeri, ne siamo consapevoli, non raccontano tutto: la realtà è sempre più orribile.

telefoniche che giungono al numero verde 800 45 52 70. Si descrive il pedofilo e il bambino vittima e si illustra il corso di specializzazione contro la pedofilia e gli abusi.

Le 144 pagine del Report Meter sono state stilate a seguito del monitoraggio della rete internet (Osmocop, Osservatorio Mondiale contro la pedofilia di Meter). Esso descrive le caratteristiche criminali e il modo di agire del cyber-pedofilo, le caratteristiche dei domini internet dedicati alla pedopornografia e sparsi in tutti e cinque i continenti, la collocazione geografica dei server. Il rapporto inoltre contiene un attento monitoraggio per ogni mese e fasce di età dei bambini coinvolti e dedica un’ampia spiegazione di ciò che avviene nel “deep web” e su come funzionano le piattaforme usate per condividere i file pedopornografici. Infine, tratta del triste fenomeno della pedofilia culturale, cioè della propaganda volta alla giustificazione e normalizzazione della pedofilia che in modo più o meno subdolo stiamo subendo da anni. Questa Rivista ha denunciato spesso il turpe fenomeno. Ma chiunque è in grado di notare che per i media mainstream e gli opinion leader l’unica pedofilia che viene condannata è quella dei sacerdoti, che - per quanto esecrabile - è comunque, sia in termini assoluti che percentuali, una minuscola parte del fenomeno.

Infatti, Meter è anche polo formativo ed educativo: organizza corsi di formazione e incontri nelle scuole, nelle università, e nelle Diocesi per i sacerdoti, religiosi e operatori pastorali.

Nel rapporto si illustra inoltre l’attività svolta dal Centro di Ascolto, a seguito delle richieste

Nel 2018, poi, Meter ha condotto su 314 partecipanti di età compresa tra i dodici e i diciotto anni, un’indagine conoscitiva sul cyber-bullismo, il sexting [la pessima moda, diffusa soprattutto tra giovani e giovanissimi, di inviare via social immagini erotiche del proprio corpo, ndR] e l’adescamento (grooming) . Il rapporto, quindi, descrive le attività psicoeducative che, attraverso i laboratori del

Centro polifunzionale per l’infanzia e l’adolescenza, Meter svolge per mezzo anche di family room e snoezelen room (luoghi ideati per la cura dell’autismo, quindi tesi a valorizzare e promuovere il dialogo e le capacità di esternare i propri sentimenti e il proprio malessere, ndR) Il dramma degli abusi sui minori è globale e riguarda milioni di bambini, italiani e di tutto il mondo. Un fenomeno criminale complesso, trasversale, con picchi di crescita incontrollabili. Il Report rappresenta il reale e concreto lavoro svolto da Meter a tutela dei minori in tutto il mondo: denunce puntuali e documentate alle Polizie in diverse nazioni, ai Server Provider che il più delle volte non sono collaborativi, una quantità enorme e inverosimile di video e foto che rappresentano violenze inaudite e indicibili (anche su neonati) e descrive il complesso traffico illecito criminale. Aver inserito nella Dichiarazione di Verona , al termine del Congresso Mondiale delle Famiglie dello scorso marzo, l’impegno contro la pedofilia e la pedopornografia sollecita tutti a far sì che il contrasto e la promozione della tutela dei bambini sia fatto non sporadicamente, ma con continuità a partire dalle scuole. Non si comprende perché si fanno progetti (anche con finanziamenti e risorse) sul cyber bullismo e non sulla cyber pedofilia e sulla digitalizzazione del corpo dei bambini. Le leggi in Italia sono, dobbiamo dirlo, tra le

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migliori al mondo, manca però un potenziamento in risorse e progettazione continuativa e non sull’onda della emergenza. A livello internazionale è necessario che tutti gli Stati si diano una comune legislazione in norme e prassi. Sono trentacinque i Paesi che non hanno ancora una legge ad hoc sulla pedopornografia e settantotto Paesi si diversificano nella età minima per la liceità del “consenso” e nelle tipologie dei reati sessuali sui minori. Un impegno necessario (così come è avvenuto con la Convenzione di Lanzarote) è quello contro la così detta pedofilia culturale (la istigazione a pratiche di pedofilia), ma non tutti sono d’accordo. È necessario inoltre potenziare il coordinamento tra le varie Polizie europee ed extraeuropee e condannare apertamente e chiaramente le pratiche di pedofilia, la stessa pedofilia e la pedopornografia come veri e propri crimini contro i bambini, che ledono la loro integrità fisica e psichica in modo permanente. È necessario inoltre obbligare i Server Provider e gli Host Server a vigilare e (con una responsabilità giuridica normata) non solo rimuovere il materiale pedopornografico dalla rete, ma anche a fornire tutti gli elementi utili alla individuazione dei soggetti responsabili. È infine necessaria un’azione concreta contro il turismo sessuale pedofilo anche online.

L’associazione Meter, di don Fortunato Di Noto, gestisce anche un Centro di ascolto, accessibile attraverso il numero verde 800 45 52 70. È fondamentale combattere il triste fenomeno della pedofilia culturale, cioè propaganda volta alla giustificazione e normalizzazione della pedofilia che in modo più o meno subdolo stiamo subendo da anni.


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Amore senza sesso e sesso senza amore Francesca Romana Poleggi

Alla radice della deriva nichilista, che comprende l’ideologia gender, c’è una distorta concezione del sesso e dell’amore che porta a conclusioni aberranti.

Costoro meritano la stessa tutela che meritano i bambini nei confronti dei pedofili. Altri non sono in grado di esprimere ciò che hanno dentro in modo convenzionale. Solo chi li frequenta assiduamente e sa porsi all’ascolto, sa che anche gli handicappati più gravi sono in grado di creare legami di amore profondi ed eloquenti. È un dialogo non convenzionale, non fatto di parole, ma di sentimenti, che non si può spiegare. È un mistero grande, nel quale si può entrare solo in punta dei piedi e con la massima discrezione. Chi pretendesse di farci entrare i “professionisti del sesso” – a parere di chi scrive – o ha la patente del grosso ignorante, o quella della mala fede più grave: peggio del peggior pedofilo.

Alla Regione Lombardia è stata recentemente avanzata una “Proposta di sperimentazione regionale per l’assistenza emotiva, affettiva e sessuale per persone disabili o con patologie invalidanti”, alla quale dovrebbero essere destinati centomila euro (dei contribuenti); altri enti locali, come il Comune di Torino e la Regione Marche, già progettano e discettano sul tema da tempo.

Se anche – a volte – i disabili mentali (come anche i bambini), in qualche modo, compiono gesti autoerotici, ciò non autorizza chicchessia a presumere di sapere se – come – quando – “intervenire” dall’esterno.

Premesso che ci vuole molta discrezione per entrare nel merito di un problema davvero delicato, che tocca nel vivo la sensibilità e la dignità di persone fragili, già provate dalla malattia o dalla disabilità, è come prima cosa indispensabile fare una distinzione: parlare genericamente di “disabili” è sbagliato. Quanto ai disabili psichici: alcuni sono come i bambini. Ma spesso hanno un corpo da adulti e sono ancor più fragili dei bambini di fronte al bombardamento pornografico più o meno esplicito cui siamo tutti costantemente sottoposti.

Il sesso per le persone mentalmente disabili è un problema estremamente delicato: queste persone meritano la stessa tutela che spetterebbe ai bambini, rispetto alla pedofilia.

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Le persone sono sacre. Tutte. Le persone più fragili e indifese sono ancor più sacre. Non si toccano, “neanche con un fiore”.

Antonio Canova, Amore e Psiche, 1793 (Museo del Louvre – Parigi)

Le persone sono sacre. Tutte. Le persone più fragili e indifese sono ancor più sacre. Non si toccano, “neanche con un fiore”.

Poi ci sono persone disabili con problemi fisici, perfettamente capaci di intendere e di volere. Il “problema” del sesso possono risolverlo da sé e se vogliono sono in grado di fruire dei servizi delle prostitute e dei gigolò come chiunque altro, con le stesse difficoltà che purtroppo la vita gli riserva nello svolgere molte altre attività, molto più essenziali. È comunque molto più frequente di quanto si creda incontrare persone disabili regolarmente sposate, con figli, ecc. E qui veniamo al punto centrale della


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questione: la soddisfazione sessuale è davvero il primo e fondamentale bisogno della persona?

leggete, ad esempio, EROSi dai media, di Mugnaini, Cantelmi, Lambiase e Lassi, edito da San Paolo. Ma questi dati non vengono certo divulgati. Anzi, la propaganda politicamente corretta continua a celebrare il sesso come un toccasana per risolvere qualsiasi problema, dalla depressione ai chili di troppo, e la pornografia viene considerata una forma di espressione artistica tra le altre.

Il sesso fine a se stesso, il sesso senza amore, fa davvero “bene” alla salute? Certamente viviamo in uno di quei contesti culturali dove il sesso viene idolatrato e posto in cima alla scala dei “valori” che servirebbero alla realizzazione delle persone. Il sesso fine a se stesso, visto come un mero strumento di piacere, è un gioco che non solo “si può” fare in ogni occasione, ma si “deve” fare per essere maturi, felici, realizzati. Se il sesso è tutto, quindi, bisogna provare tutto: lasciarsi andare a fantasie, rivestire ruoli e identità varie, liberi dal dato biologico che può essere “stereotipato” e quindi “limitante” (!). Ed è consequenziale che l’ideologia gender si sia andata diffondendo con una certa facilità. Fin dall’antichità filosofi e letterati hanno giustamente descritto la natura ambigua dell’eros: positiva, fecondante, appagante da un lato, quando il sesso è un corollario dell’amore; ma anche distruttiva, alienante, umiliante dall’altro, se il sesso è finalizzato all’uso del proprio e dell’altrui corpo solo come oggetto di piacere. Dal ’68 in poi, si è deliberatamente e scientemente sottaciuto il lato oscuro dell’eros: la pornografia dilaga, non solo nelle canoniche forme “hard”, vietate ai minori, ma soprattutto in forma “soft” attraverso una lenta continua inesorabile erosione del comune senso del pudore. Non sorprende quindi che due volte l’anno si celebrino le Giornate mondiali dell’orgasmo. Una leggenda metropolitana (messa in piedi dalla letteratura femminista radicale e lesbista degli anni Sessanta) narra che le donne difficilmente raggiungono il massimo piacere, e quindi è necessaria una diffusa educazione sessuale (magari – perché no? – nelle scuole!) per insegnare teoria e pratica, per persone sole o in compagnia.

La cultura della morte, che destruttura l’uomo, che rinnega e calpesta tutti i valori, pone dei feticci al posto di Dio: il denaro e il sesso sono tra i più idolatrati. Lo scopo della vita è solo godere al massimo, nel momento presente, soddisfacendo istinti e desideri individuali: se per far questo si calpesta la libertà e la dignità degli altri, poco importa: “mors tua vita mea“. Mettere il sesso al centro della vita, come esigenza prioritaria e irrinunciabile (“castità” è diventata una parolaccia impronunciabile) serve a rendere l’essere umano sempre più solo e insoddisfatto (ottimo consumatore, peraltro): tutti quelli che hanno un minimo di esperienza di vita sanno benissimo che le gioie del sesso per il sesso, svincolate dall’affetto, dalla cura per l’altro, dall’amore vero – non solo dell’altro, ma anche per se stessi – sono effimere, non lasciano niente (nella migliore delle ipotesi). Anzi fanno davvero “male al cuore”.

Marc Chagall, Sopra la città, 1918 (Galleria Tretjakov - Mosca)

Ma le conseguenze nefaste dell’ipersessualizzazione della società si riscontrano nella vita affettiva e intima delle persone – e sono ancor più gravi quando ne sono vittime i bambini (o i disabili): instabilità psichica, depressione, insoddisfazione, assuefazione (sì: il sesso sfrenato è come una droga), ricerca di un piacere sempre più estremo fino alle perversioni e alle parafilie, fino alla violenza, non solo sessuale, fino alla nausea di sé. Le ricerche scientifiche e psicologiche che spiegano questi effetti sono molte e pubblicate da autori di prestigio in riviste autorevoli:

La propaganda mortifera, invece, propone modelli (stereotipi, sì, questi da combattere e da smantellare) spregiudicati sessualmente e apparentemente appagati per questo. Se invece uno dicesse che il massimo piacere (vero piacere, anche fisico, orgasmico) in un rapporto sessuale si raggiunge quando c’è sintonia e affiatamento, tra due persone che si conoscono profondamente, che si frequentano quotidianamente, “nella gioia e nel dolore”, che si donano reciprocamente senza ricercare un immediato riscontro egoistico, in un rapporto tutt’altro che occasionale e sfrenato, ma fatto di tenerezza, condivisione, fedeltà … beh, costui davvero sarebbe considerato un pazzo fuori moda. E se un altro dicesse che ci sono tanti piaceri della vita diversi e maggiori e più profondi dell’orgasmo, e che dell’orgasmo danno più soddisfazione … beh, quest’altro sarebbe considerato un Marziano.

la soddisfazione sessuale è davvero il primo e fondamentale bisogno della persona?

Tiziano Vecellio,

Amore sacro e amor profano, 1515 (Galleria Borghese - Roma)

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E per distruggere come si deve l’essere umano, è bene cominciare il prima possibile. Quindi i bambini vanno “educati” fin da piccoli. Del resto la pedofilia “buona” è quella di chi sa “gentilmente” iniziare i bambini alle “gioie” del sesso, no? E la prostituzione? Cambiamole nome: sono “professionisti del sesso”, un mestiere come un altro. Chi lo fa (salvo qualche vizioso) lo fa sempre per bisogno, costretto, a volte con violenza? Non importa. Se “appare” una libera scelta, la libertà è sacra e inviolabile. Ora si vuole farla diventare una professione “socialmente utile”: perché negare le gioie del sesso ai disabili? Senza escludere quelle del sesso omoerotico, ovviamente. Chi può concedergliele se non i “professionisti del sesso”? Se poi abbiamo messo nel conto del Ssn il “diritto alla salute sessuale e riproduttiva” (l’aborto), perché non metterci anche queste prestazioni?

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Ancora una volta, nelle questioni etiche, è necessario essere determinati ad andare controcorrente. Dobbiamo educarci ed educare le giovani generazioni a evitare il sesso senza amore … E l’amore senza sesso? Quello sì, è certamente possibile, con le sue diverse gradazioni: è l’amore dei genitori e dei figli, dei fratelli, degli amici veri. È l’amore che dà un senso alla vita, che appaga perché non chiede e non pretende, ma proprio per questo riceve più di quanto osi sperare. «L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di Sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare» (dai Discorsi sul Cantico dei Cantici di san Bernardo abate, Disc. 83, 4-6) .

Francesco Hayez, IL bacio, 1859 (Pinacoteca di Brera - Milano)

L’eros ha una natura positiva, fecondante, appagante da un lato, quando è un corollario dell’amore; ma può essere distruttivo, alienante, umiliante se è finalizzato all’uso del proprio e dell’altrui corpo solo come oggetto di piacere.

Molti disabili - più di quanto si creda - sono felicemente sposati con figli: Nick Vujicic, nella foto, nato senza braccia e senza gambe, ha una bellissima moglie e due bei bambini.

Professionisti del sesso per disabili: parla una mamma Anche qui a Salerno si è tenuto un seminario sull’assistenza sessuale per i disabili o “lovegiver” (e vai con i neologismi!) e apprendo da un articolo di giornale che il disegno di legge in proposito è stato proposto da un senatore omosessuale che in barba alle leggi italiane volò all’estero per avere un bambino tramite la pratica dell’utero in affitto. Il disegno di legge si intitola “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità” [che però è rimasto al palo, ndR].

Questa legge riguarda anche i disabili intellettivi (...)

Io come madre di un ragazzo disabile e figlia di una donna paraplegica dall’età di 19 anni nonché cognata di una ragazza disabile dalla nascita mi sento veramente indignata.

Nel momento in cui si sfrutta la loro corporeità, si presume che loro vogliano, ma non c’è mai la certezza che in realtà non siano costretti. Diventa un abuso sessuale.

Il sesso fine a se stesso, il sesso senza amore, fa davvero “bene” alla salute?

Stimolare la sensorialità delle persone, in particolare dei più indifesi come i bambini e i disabili intellettivi che non hanno piena consapevolezza dei loro atti, lo ritengo un abuso. Loro non hanno una piena possibilità di scegliere, né la capacità di decidere del proprio comportamento sessuale.

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E chi mi rassicura che se viene istituita l’assistenza dei “lovegiver” come se fosse una sorta di fisioterapia, mio figlio, che un giorno potrebbe essere ricoverato in un Istituto, non debba subire certe manipolazioni? E magari anche con partner dello stesso sesso? E dovremmo accettare la cosa come se fosse un aiuto da parte di un “operatore del benessere”? Se tale tipo di prostituzione la fanno passare per una professione, addirittura socialmente utile, magari sovvenzionata dallo Stato (visto che i seminari sono promossi dal terzo settore), quanti ne abuseranno, come abusano del contrassegno per i disabili o dei permessi per la legge 104? E chi ci garantisce che il “lovegiver” non sia un perverso (o una perversa) che approfitta di un incapace di intendere e volere a suo proprio uso e consumo? Chi controllerà il tutto? Ci sarà anche uno che “assiste”? La scrittrice Philippa Willits ha detto, giustamente, che l’assunto che nessuno farebbe mai sesso con una persona disabile per scelta personale e per amore non è solo inaccurato, è anche offensivo ed intessuto nel pregiudizio sociale. Chi vuole aiutare veramente una persona disabile, più o meno grave, anche mentale, gli doni un po’ del suo tempo, gli dia un po’ d’amicizia, a lui e alla sua famiglia. Ci sono tanti modi per dargli un momento di felicità, di condivisione, di gioia, con un po’ di affetto: di questo hanno bisogno gli esseri umani. Questo è sicuramente più giusto e più dignitoso. Dovrebbero fare dei seminari per sensibilizzare la gente a considerare i disabili come persone, che hanno valore in sé, nonostante i loro limiti, che sono capaci di intessere relazioni di Amore, vero e puro: questo li rende davvero felici. E questo renderebbe felici pure i normodotati, se capissero che il sesso viene solo dopo l’amore (e solo in certi casi). È possibile innamorarsi di una persona disabile e laddove c’è la maturità psicofisica necessaria, anche amarsi fisicamente. Ma non bisogna guardare alla loro sfera sessuale come un “problema”. Il vero problema sta nelle relazioni umane e nel rispetto della dignità umana ed è lì che va affrontato. I ragazzi con disabilità mentale spesso ci fanno da maestri in questo e ci riportano al senso delle cose.

Gustav Klimt, Il Bacio, 1908, (Österreichische Galerie Belvedere - Vienna)

Ci sono tanti piaceri della vita diversi e maggiori e più profondi dell’orgasmo, e che dell’orgasmo danno più soddisfazione.


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Roberto Marchesini

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Bisogno di sesso? Diritto al sesso! Il sesso non è un diritto, non è un fine, non è un gioco

C’è chi vorrebbe che il Ssn passasse sesso a pagamento per disabili. La motivazione sarebbe quella di «soddisfare i bisogni sessuali dei disabili». Ma il sesso è un bisogno? Il bisogno è la mancanza di qualcosa di indispensabile. Poiché nessuno – a quanto risulta – è mai morto per mancanza di sesso, non è possibile considerare il sesso un bisogno. Preveniamo l’obiezione: il sesso non è un bisogno in senso lato, ma in senso fisiologico. Si sa, gli uomini hanno «le loro esigenze»… Beh, nemmeno questo è vero (pur essendo un’ottima scusa per concedersi piaceri sessuali inopportuni): gli spermatozoi prodotti e non utilizzati vengono espulsi con le polluzioni o riassorbiti dall’organismo. Accade continuamente, è un meccanismo fisiologico. Non essendo un bisogno, nemmeno «fisiologico», non può in nessun modo essere considerato un diritto. Se così fosse, lo Stato dovrebbe provvedere a soddisfare tale diritto per chi non trovasse nessuno disposto ad accoppiarsi con lui. Dovrebbe, in altri termini, legalizzare la prostituzione. Forse qualcuno ne sarebbe anche contento, ma non sarebbe finita qui. Se il sesso fosse un diritto avreb-

be avuto ragione quel giudice inglese a sentenziare che il marito ha diritto a fare sesso con la moglie anche se lei non è consenziente. Oppure avrebbe diritto a tradire la moglie (e viceversa) se lei non gli si concedesse. Cos’è, dunque, il sesso? Per Freud (1856-1939) il sesso è una delle due pulsioni originarie dell’uomo. Il suo riferimento antropologico è, ovviamente, Nietzsche (18441900) per il quale l’uomo non contaminato dalla lebbra morale del cristianesimo è una «magnifica bestia bionda che vaga bramosa di preda e di vittoria», ossia di stupro e omicidio. Non a caso, per Freud, la seconda pulsione originaria è quella di morte. Ma cosa vuol dire che il sesso è una pulsione? Significa che l’astinenza sessuale causa un accumulo di tensione; quando questa raggiunge una certa soglia, la persona sente una spinta (la pulsione) al soddisfacimento della pulsione. La cosa interessante è che, secondo Freud, l’oggetto della pulsione ha solo lo scopo di procurare il soddisfacimento della pulsione (cioè interrompere l’accumulo di tensione sessuale); potrebbe essere completamente diverso dall’oggetto che l’ha causata. Guarda caso, Freud elaborò questa teoria quando la moglie Martha gli impose unilateralmente l’astinenza sessuale; e lui cominciò una relazione con la cognata Minna. Tutto torna,

no? La teoria sessuale di Freud non è molto diversa dall’idea che il sesso sia un bisogno, se non nel fatto che – come abbiamo visto – il mancato soddisfacimento dei bisogni porta alla morte; il mancato soddisfacimento delle pulsioni… no. Curiosamente (ma c’è il trucco), anche san Tommaso d’Aquino (1225-1274) ha implicitamente elaborato una teoria sessuale simile a quella di Freud. Infatti, nella Summa, scrive: «[...] qualsiasi piacere porta un sollievo capace di mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l’origine» (II-II, q. 38, a. 1). Quindi il sesso (il piacere sessuale) può mitigare qualsiasi tristezza, qualunque ne sia l’origine. Sembra proprio che san Tommaso stia descrivendo la pulsione sessuale di Freud. Troviamo infatti alcune similitudini con la teoria di Freud: innanzitutto l’oggetto del desiderio può essere diverso dalla sua causa; secondariamente, la pulsione sessuale ha

come fine la cessazione di una sofferenza (e l’astinenza sessuale può esserlo). Quindi san Tommaso conferma la teoria sessuale di Freud? Non esattamente. Mentre per Freud, infatti, la sessualità pulsionale è l’unica esistente, per san Tommaso non è così. Anzi: dei due tipi di sessualità tomiste, quella pulsionale è un male. Vediamo di approfondire. «La natura ha legato il piacere alle funzioni necessarie per la vita dell’uomo» (II-II, q. 142, a. 1). Il piacere, tuttavia, non è il fine di queste funzioni (mangiare, bere, dormire, accoppiarsi...), ma una conseguenza. Accade però che il cibo, il sonno, l’alcol e il sesso vengano cercati non come mezzi, ma per il piacere che essi danno («capace di mitigare qualsiasi tristezza»). Si tratta, tuttavia, di un uso improprio della sessualità, diverso da quello naturalmente ordinato; ed è, pertanto, un peccato. Qual è, dunque, il fine naturale della sessualità, se il piacere ne è un effetto e non il fine?

Il marito ha diritto a fare sesso con la moglie anche se lei non è consenziente? La moglie ha diritto di tradire se il marito non la soddisfa sessualmente?

Semplice: il bene dell’altro. Il bene del coniuge e della prole. È esattamente quanto scrive Paolo VI (18971978) nella lettera enciclica Humanae vitae, nella quale descrive la «connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può


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rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (§ 12). I due significati della sessualità umana naturalmente ordinata sono quindi quello unitivo (bene del coniuge) e procreativo (bene della prole). Cercare il piacere per alleviare la tristezza non ha come fine il bene dell’altro, ma il proprio: significa usare il sesso (e usare sessualmente un’altra persona) per lenire una propria sofferenza. Quindi la sessualità «ludico-ricreativa» (secondo una locuzione utilizzata anche in ambito cattolico ma coniata dal famigerato psicologo John Money [1921-2006]) non è naturalmente ordinata. Una ulteriore conferma la troviamo nella (purtroppo) semi-sconosciuta Teologia del Corpo di Giovanni Paolo II (1920-2005). Secondo il suo magistero autentico, «in principio» Dio aveva creato il mondo e quanto contiene, uomo e donna compresi, secondo una «ermeneutica del dono»: tutto era dono, era per l’altro. A causa del peccato originale, tuttavia, entrò nel mondo una nuova ermeneutica, quella «della concupiscenza»: pren-

Il quartiere a luci rosse di Amsterdam è celebre per “le donne in vetrina”. L’esperimento della legalizzazione della prostituzione in Olanda e in Germania è miseramente fallito: non è cessato lo sfruttamento, gli abusi e la tratta che prosperano intorno al mercato del sesso. Eppure, parte del mondo (pseudo) femminista è favorevole alla legalizzazione: donne oggetto, comprate e vendute, con il placet dello Stato.

Lo Stato deve provvedere a soddisfare il “diritto” alla soddisfazione sessuale di chi non trova nessuno disposto ad accoppiarsi con lui? dere per sé, per il proprio bene, qualcosa di bello e di buono (Gn 3, 6), ma che non è stato donato. L’uomo è quindi chiamato (attraverso l’amore coniugale) ad abbandonare l’ermeneutica della concupiscenza e a ritornare al progetto originario di Dio, l’ermeneutica del dono.

LA CULTURA DELLA VITA E DELLA FAMIGLIA, IN AZIONE.

Siamo quindi chiamati a non considerare il sesso come qualcosa per il proprio piacere, ma per il bene dell’altro. Potremmo, a questo punto, prendere anche solo in considerazione l’idea del sesso come diritto, o come bisogno?

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Stiamo assistendo a una rivoluzione antropologica tesa a introdurre un nuovo modello di essere umano incapace di pensiero critico. Miley Cyrus come era nel 2009 Miley Cyrus dieci anni dopo

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Donne e stereotipi del XXI secolo Enrica Perucchietti

La propaganda dice di voler abbattere gli stereotipi di genere in realtà lei stessa ne ha costruiti a iosa: vittime le donne, con l’illusione di essere “liberate”. L’Autrice ripropone ai nostri Lettori le riflessioni cui ha accennato in un workshop al Congresso di Verona. Gli architetti del mondialismo stanno abbattendo il vecchio mondo e sulle sue macerie hanno bisogno di creare un nuovo cittadino che sia facilmente malleabile e controllabile, che sia senza identità, che sia capace di abbracciare con entusiasmo qualunque forma di presunto “progresso”. Un uomo e una donna che siano talmente spersonalizzati da essere fluidi nel loro orientamento sessuale e persino nella loro identità sessuale, che siano capaci di lottare per battaglie eterodirette illudendosi di essere liberi di scegliere. Perché strumentalizzare e orientare gli stati di spirito delle masse verso cambiamenti sociali decisi a tavolino? Le grandi trasformazioni culturali degli ultimi decenni, anche quando sono nate da rivendicazioni spontanee legittime, si sono dimostrate spesso dei cavalli di Troia, delle vere e proprie rivoluzioni antropologiche tese a introdurre un nuovo modello di essere umano incapace di pensiero critico, passivo dinanzi ai mutamenti sociali. Si è passati così a distruggere il concetto di famiglia, a ridurre la natalità − il neo-malthusianesimo è uno dei princìpi cardine del mondialismo − arrivando a legittimare quella forma di schiavismo moderno in cui il corpo della donna è visto come un forno e il bambino come merce che può essere venduta e comprata. L’utero in affitto è un mercato in costante crescita che nonostante le restrizioni (o proibizioni) vigenti in molti Paesi frutta miliardi di dollari l’anno a livello internazionale. E già qua assistiamo a un cul de sac in cui le femministe sono state spinte: negli ultimi cinquant’anni hanno portato talmente avanti le loro battaglie per la rivendicazione dei diritti (“il


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corpo è mio e me lo gestisco io”) che non si sono accorte di essere state strumentalizzate per altri scopi meno nobili. In questo contesto, la figura della donna in Occidente è cambiata profondamente: la propaganda ne ha modificato la percezione collettiva, portando a ridipingerne il ruolo in modo più fluido, stereotipato e dicotomico, facendo anche ricorso alla neolingua che converte al femminile i nomi come se si raggiungesse con questa operazione la vera uguaglianza. Premetto che è vero che certi ambienti sono ancora fortemente misogini e che esiste una specie di “contratto sociale” tra uomo e donna secondo cui, secondo alcuni, l’uomo deve guadagnare di più sebbene la donna lavori spesso di più (e deve poi, al rientro a casa, occuparsi delle questioni domestiche). È risaputo che le molestie e i ricatti sessuali non esistono solo nel mondo dello spettacolo, ma ovunque e che l’atteggiamento di disprezzo e superiorità che certi uomini che detengono il potere esercitano nei confronti della donna va debellato. Detto ciò in estrema sintesi, dobbiamo però essere consapevoli che da un lato sopravvive Femen, icone del femminismo contemporaneo

lo stereotipo della donna come mero oggetto sessuale, erede delle playthings, i “giocattoli” del desiderio sgusciati dalla filosofia di Playboy; dall’altro nel femminismo di terza generazione permane lo stereotipo della donna strega: si tende a modellare la propria immagine in modo sempre più aggressivo e violento, snaturando le caratteristiche tradizionali della donna e finendo all’opposto per parodiare l’uomo. L’apparente emancipazione porta con sé una perdita di femminilità. La crisi del maschio porta a un inasprimento di irrazionalità, che comprende violenza e rabbia. C’è poi lo stereotipo della donna manager: colei che è stata indottrinata al punto da mettere la carriera sopra a tutto. Deve essere sempre perfetta ed efficiente. I media e le riviste di settore stanno inculcando l’idea che la donna in carriera, senza figli, sia più felice e realizzata delle colleghe madri. Ultima tendenza che dilaga tra le più giovani: farsi sterilizzare. La famiglia, i figli, sono visti come un retaggio fascista. Negli ultimi anni si sono aggiunti altri stereotipi che vengono promossi dalla stampa progressista, come quello della donna inquisitrice, frutto del neo-femminismo paranoico: pur partendo da innegabili diseguaglianze e molestie in ambito lavorativo, si intraprende una vera e propria caccia alle streghe (es. il caso Weinstein che sfocia nel #Metoo) e si liquidano tutti i maschi come “mafiosi” o “fascisti”: l’assurdità di queste battaglie porta a risultati opposti a quelli sperati; c’è poi la donna “fluida” che, in nome di una fantomatica emancipazione dal patriarcato abbraccia come faro del progresso, del politicamente corretto, la promiscuità e la fluidità sessuale e di genere (dal queer al “poliamore”).

La neolingua converte al femminile i nomi come se si raggiungesse con questa operazione la vera eguaglianza.

Non è certo un caso che negli ultimi anni i modelli “gender” abbiano letteralmente colonizzato la Tv, il cinema, la moda e il mondo della musica, occupando ogni “nicchia” possibile in modo da influenzare l’immaginario del pubblico, in particolare i più giovani. Il mondo delle star della musica, come accade in questi casi, è stato il primo a essere “arruolato”. Da questo punto di vista, anche la moda dilagante della chirurgia estetica ha aiutato moltissimo all’affermazione di un modello fisico volutamente androgino o persino asessuato, senza età, perché alle donne, a differenza degli uomini, non è permesso invecchiare. Se gli anni Settanta e Ottanta ci hanno offerto solo alcune icone sessualmente ambigue da David Bowie a Grace Jones, oggi sempre più popstar devono una parte consistente della propria fama proprio all’ambiguità di genere. Pensiamo per esempio alla ex stellina Disney, Miley Cyrus. Dopo una parentesi di eccessi, droga e spettacoli volutamente osceni, è convolata a nozze con l’attore e fidanzato storico Liam Hemsworth, ma per non deludere i fan (e le lobby Lgbtqia) ha voluto chiarire che rimane una queer gender, sessualmente fluida.

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Non è da meno la trasformista Lady Gaga: è divenuta fin dagli esordi l’icona gender per eccellenza, essendosi costruita una fetta preponderante dei suoi fans proprio tra quelli che chiama “Monsters”, ovvero le minoranze, gay, lesbiche e trans. Fu un’idea dei suoi produttori affidare la sua immagine a un’agenzia esperta di marketing nell’ambiente omosessuale, lanciandola strategicamente come paladina dei diritti gay. Un’operazione studiata a tavolino. Il mondo della musica e del cinema è legato a filo doppio con quello della moda. Gli stilisti puntano da anni su un modello di donna androgino, altissimo, di una magrezza eccessiva ai limiti dell’anoressia che ne cancelli le curve femminili, un’icona di bad girl aggressiva e mascolina. Inutile sottolineare come i modelli imposti dalle diverse maisons veicolino una nuova idea di umanità fluida, in cui le caratteristiche “naturali” dell’uomo si fondono e si confondono con quelle della donna, dando vita a un esercito di cloni amorfi dall’aspetto androgino simili alle lolite e agli efebi dei manga giapponesi. Le donne sono schiacciate da questa immagine e introiettano la pressione di dover sempre essere perfette, giovani, efficienti e in carriera. Standard ovviamente irraggiungibili.

I modelli “gender” hanno letteralmente colonizzato la Tv, il cinema, la moda e il mondo della musica, occupando ogni “nicchia” possibile in modo da influenzare l’immaginario del pubblico, in particolare i più giovani.

La nota attrice inglese Tilda Swinton


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I nuovi canoni in apparenza “anarchici” che lo spettacolo e la moda impongono, partono, temporalmente, sempre prima: l’industria dell’intrattenimento è infatti diventata una delle principali cause dell’iper-sessualizzazione infantile dovuta a una martellante esposizione a stimoli di natura sessuale. Anche il mondo della musica sembra essersi allineato a questa politica, sfornando “lolite” sempre più giovani e ammiccanti. Molte artiste nate nell’alveo Disney, come la stessa Cyrus, sono state trasformate, nella fase ancora adolescenziale, in ragazzine sexy e sballate, offrendo quindi un modello discutibile ai loro piccoli fan, dal sesso libero (e liquido) all’abuso di droghe e alcol. Esse rappresentano il modello delle future donne. I produttori seguono ormai uno schema chiaro e in fondo ripetitivo: proporre una minorenne carina, incarnazione virginale della purezza, e trasformarla nel giro di un paio di anni in modo che gli adolescenti che crescono con lei vivano in apparenza quelle stesse “trasgressioni”, sottoposti alla tempesta ormonale tipica dell’età. Insomma, si producono e si vendono dischi, film e serie Tv vendendo sesso e perversioni e si offre al pubblico dei modelli di riferimento discutibili e trasgressivi da emulare. In un mondo in cui siamo immersi quotidianamente nella propaganda, abbiamo bisogno di donne coraggiose che sappiano mettersi in gioco, rimanendo se stesse, restando vigili e allenando la propria coscienza critica. Donne che sappiano combattere per cosa realmente vogliono e sognano, senza costrutti o stereotipi, e non quindi per cosa il potere ha preordinato per loro.

Abbiamo bisogno di donne coraggiose che sappiano mettersi in gioco, rimanendo se stesse, restando vigili e allenando la propria coscienza critica.

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Il “genere”non è fluido, neanche nel sonno Luca Scalise

La rivista scientifica Maturitas ha raccolto i risultati di un’ingente mole di ricerche scientifiche sui disturbi del sonno: anche in questo campo il sesso biologico pone una netta differenza tra l’uomo e la donna. Il “genere” non si può scambiare… neanche per sogno!

Si parla di “disturbi di genere” quando la moderna medicina (“medicina di genere”) studia i diversi risvolti che hanno le varie patologie sul fisico dell’uomo piuttosto che su quello della donna. Infatti, con buona pace dei teorici del “gender”, cioè dell’indifferentismo sessuale, per cui il sesso biologico non conta, ma conta il “genere”, cioè “come ci si sente”, i medici sanno bene che il sesso non determina solo diversi organi riproduttivi, ma diversità nel cervello, nella fisiologia, nella psicologia e nella biologia dell’uomo e della donna. Lo scorso aprile, al Convegno Nazionale Italia Sonno 2019, sono stati presentati i risultati di una serie di ricerche scientifiche sui disturbi di genere relativi al sonno: la donna, sempre più “multitasking”, dorme meno e peggio dell’uomo. Scrivono gli organizzatori del convegno in un comunicato stampa: «Il sonno della donna è più fragile di quello dell’uomo, vulnerabile alle mille sollecitazioni ambientali, al richiamo della prole e divorato dalle molteplici richieste di caregiving (prendersi cura). Così “dorme” la donna, preparandosi al suo innato multitasking, con un orecchio vigile, attento ai rumori ed ai risvegli dell’ambiente domestico, un po’ come i delfini che dormono e vegliano insieme con due diverse metà del loro cervello. L’insonnia si sa, è declinata al femminile ed è sorella dell’ansia e della depressione. Se una donna sana in gioventù, nella prima parte del suo ciclo riproduttivo, presenta meno rischi biologici di patologie organiche

La donna, sempre più “multitasking”, dorme meno e peggio dell’uomo.

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del sonno quali le apnee notturne o i disturbi del movimento sonno-relati, questo cambia in epoche particolari della vita quali la gravidanza o la menopausa.

caduta degli ormoni riproduttivi modifica la distribuzione del peso corporeo e conferisce alla donna un rischio biologico di disturbo respiratorio simile a quello dell’uomo».

Gli ormoni femminili infatti influenzano in maniera significativa la continuità e l’efficienza del sonno notturno, le sue capacità ristorative e di protezione nei confronti delle malattie cardiocerebrovascolari, nonché del declino cognitivo. In gravidanza per esempio il sonno è esposto a rischi specifici , con l’aumento del peso, quali il russamento e le apnee della gestante con il possibile sviluppo di ipertensione gravidica, condizioni che espongono a un parto pretermine e assistito, con deleterie conseguenze sul benessere materno-fetale.

La rivista scientifica internazionale Maturitas ha raccolto i risultati dei corposi studi in materia.

Un’altra patologia in gravidanza spesso responsabile dell’insonnia materna è quella delle “gambe senza riposo”, legata alla carenza di ferro e di altri fattori neurotrofici propri di questa fase e che tanto impatta non solo la continuità del sonno materno, ma anch’essa il benessere maternofetale, inducendo alterazioni cardiovascolari che rappresentano altrettanti fattori di rischio nell’ambito della gestazione. E che dire poi del puerperio e delle alterazioni umorali della neomamma che un sonno inadeguato per le nuove sollecitazioni della prole non protegge e spesso consegna al maternity blues (sindrome del terzo giorno), se non alla psicosi puerperale con i noti rischi per sé e per la prole? La menopausa invece rappresenta un ulteriore periodo di vulnerabilità biologica, in cui la brusca

«In questa raccolta è chiaramente emerso che nella menopausa la stima della depressione associata ad insonnia cronica si attesta su valori superiori all’80%», ha dichiarato la professoressa Rosalia Silvestri del Centro Interdipartimentale per la Medicina del Sonno di Messina, «quella dell’insonnia associata a sintomi vasomotori (vampate) al 70%, l’Osa (apnee morfeiche) intorno al 3%, con un aumento di rischio di ipertensione del 40%. La percentuale della Rls (gambe senza riposo) in menopausa si aggira tra il 15-20%, mentre il dato epidemiologico relativo a tutte le donne è inferiore al 4%!», ha concluso la Silvestri. Gli organizzatori di Italia Sonno 2019, la pneumologa Loreta Di Michele e il neurologo Sergio Garbarino, a questa VIII edizione, hanno dato per titolo “Il sonno: un terzo della nostra vita”. «Nonostante l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e tecnologiche della nostra società continuiamo a sottovalutare l’enorme rilevanza di un sonno di buona quantità e qualità per nostro il benessere, salute e durata della vita» ha dichiarato Garbarino, che conclude: «Dovremmo dare al sonno la stessa importanza che oggi riserviamo all’attività fisica o alla sana alimentazione. Quando non riusciamo a ricordarci le cose o quando non ci sentiamo performanti probabilmente è perché abbiamo perduto troppe ore di sonno, senza nemmeno rendercene conto». E certamente è bene, quindi, non sottovalutare - in generale - i disturbi del sonno, che possono influire pesantemente sulla qualità della vita e della salute di tutti. Ma è anche bene non sottovalutare le differenze oggettive e reali che ci sono - persino in questo campo - tra uomini e donne: far finta che non esistano, pretendere che non siano dirimenti, è un’assurda, pura follia.


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Una donna che ha cambiato la storia Angela Pellicciari

Per gentile concessione dell’Autrice, anticipiamo nella sostanza alcuni brani del suo libro che tratta la storia della Spagna dalla Riconquista alla conquista dell’America (Una storia unica. Da Saragozza a Guadalupe, edito da Cantagalli). La splendida figura di Isabella di Castiglia è stata illustrata dalla prof. Pellicciari nel workshop dedicato alla donna nella storia, durante il XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.

Ci sono due aspetti dell’azione di governo di Isabella di Castiglia che la rendono unica: la riforma della Chiesa e le istruzioni date ai governatori delle Indie. La riforma della Chiesa e degli ordini religiosi Dalla “cattività avignonese” (1305-1377) e dallo scisma d’Occidente (1378-1417) la Chiesa eredita due piaghe che si chiamano fiscalismo (tassazione di ogni atto ecclesiastico) e commenda (chiunque ambisca a ricevere un qualsiasi incarico ecclesiastico deve essere in grado di anticipare alla Santa Sede il “beneficio” di un anno. Così le persone ricche riescono ad accaparrarsi decine quando non centinaia di “uffici”). Conseguenza di queste piaghe è un generale rilassamento dei costumi del clero e l’allontanamento dei religiosi dalle regole dei rispettivi fondatori. Isabella e Ferdinando attuano in Spagna (e nei territori che da questa

La fede, il coraggio, la forza morale di Isabella le fanno capire che nessun interesse commerciale, nessuna arretratezza culturale, nemmeno i sacrifici umani praticati su larga scala, possono giustificare la riduzione di un uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio in schiavitù.

Isabella di Castiglia

dipendono) una riforma della Chiesa capillare: nuovi criteri nella selezione dei vescovi, dei parroci, ritorno degli ordini religiosi all’osservanza, la vita del popolo cristiano organizzata in un infinito numero di confraternite (solo a Siviglia, all’epoca di Isabella, ce ne sono 1502). Commenda e fiscalismo devono finire. I vescovi non devono più essere stranieri, cortigiani, nobili, illetterati, immorali, amanti del lusso, lontani dalle rispettive diocesi. All’opposto devono essere nativi del regno (garanzia che i proventi dei loro benefici non prendano la via di Roma impoverendo la nazione); devono risiedere nella sede del loro episcopato


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Al concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa estenderà a tutta la cristianità le riforme fatte mezzo secolo prima da Isabella.

perlomeno sei mesi l’anno; devono essere uomini esemplari, un modello per i fedeli; devono essere scelti fra un clero celibe (il concubinato all’epoca molto diffuso comportava la presenza di figli naturali verso i quali si dirigevano le amorose attenzioni dei padri tramite l’assegnazione di ricchi benefici); devono essere persone colte, capaci di elevare il livello culturale del popolo, attenti alla qualità artistica dei luoghi di culto (per garantire un’ottima istruzione vengono fondati numerosi collegi che gareggiano nella qualità degli studi); devono provenire dalla classe media, in alcuni casi anche dal popolo (limitando così i grandi privilegi che la nobiltà aveva accumulato nel corso dei secoli). Per i parroci valgono gli stessi criteri. Il fronte più complesso è quello degli ordini religiosi: è l’aspetto più delicato e difficile ma la volontà della regina è inflessibile, vanno riformati. Monaci e frati devono vivere santamente tornando alla stretta osservanza. Alla fine del regno di Isabella la Chiesa spagnola è riformata in profondità, tanto da essere pronta per l’evangelizzazione dell’America e tanto da consentire la nascita di uno stuolo di santi. Per la rivoluzione luterana in Spagna non c’è spazio. Al concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa estenderà a tutta la cristianità le riforme attuate mezzo secolo prima da Isabella. Disposizioni ai governatori delle colonie Veniamo alle caratteristiche impresse dalla regina alla colonizzazione delle Americhe. Cominciamo anche qui da una piccola premessa

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il 13 dicembre 1474 Isabella partì in corteo da questo castello, l’Alcázar di Segovia, per recarsi nella Piazza Maggiore della città dove fu proclamata regina di Castiglia.

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storica. Nel 1454, un anno dopo la strage compiuta dai turchi a Bisanzio, strage che ancora oggi è commemorata ogni anno, Niccolò V invia al re del Portogallo Alfonso la bolla Romanus Pontifex. Il papa dà al re «piena e completa facoltà di invadere, ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo, ovunque essi vivano, insieme ai loro regni, ducati, principati, signorie, possedimenti e qualsiasi bene, mobile ed immobile, che sia di loro proprietà, e di gettarli in schiavitù perpetua e di occupare, appropriarsi e volgere ad uso e profitto proprio e dei loro successori tali regni, ducati, contee, principati, signorie, possedimenti e beni». Torniamo ad Isabella. Tanto per cominciare senza di lei forse Colombo non avrebbe trovato sponsor. Avevano già detto no i re del Portogallo, dell’Inghilterra e della Francia: «Dio ha dato alla mia regina e sovrana lo spirito di intelligenza e una grande risoluzione; Sua Altezza ha approvato la mia impresa e l’ha sostenuta quanto ha potuto», scrive Colombo. Anche papa Alessandro VI, lo spagnolo Rodrigo Borgia, legittima la colonizzazione spagnola in America come quarant’anni prima aveva fatto Niccolò V coi re del Portogallo. Con una differenza non da poco: Alessandro non fa il minimo accenno al “dovere” di fare schiavi gli abitanti dei territori conquistati, parla solo della necessità che le popolazioni siano evangelizzate. E l’evangelizzazione è proprio il primo obiettivo che Isabella impone di perseguire a Colombo e ai governatori che prenderanno il suo posto.

L’evangelizzazione è il primo obiettivo che Isabella impone di perseguire a Colombo e ai governatori che prenderanno il suo posto. Per evangelizzare si deve avere amore per le persone, bisogna trattarle bene rispettando le loro vite (non facendoli schiavi) e le loro proprietà.


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Ma per evangelizzare si deve avere amore per le persone, bisogna trattarle bene rispettando le loro vite (non facendoli schiavi) e le loro proprietà. Colombo, invece, organizza una colonizzazione molto dura e si arricchisce spedendo come schiavi in Spagna gli indios americani. I francescani presenti sul posto ne chiedono la destituzione, e Isabella ordina «sotto pena di morte» a quanti hanno portato schiavi dalle Antille di rimandarli indietro liberi. Nel 1500 affida pieni poteri a Francesco de Bodalilla, dell’ordine militare di Calatrava, che arresta l’ammiraglio e lo invia in catene in Spagna. Nel 1501 Isabella assume la piena e diretta responsabilità nel governo delle Indie e da Granada firma un’Istruzione in cui si riferisce agli indios come “suoi figli” e scrive: «È necessario informare gli indiani sulla nostra fede, affinché ne giungano a conoscenza», ma «senza esercitare su di loro alcuna costrizione». Nel 1504 così scrive nel testamento che redige: «Nostra principale intenzione è quella di fare in modo di indurre e attrarre i popoli che le popolano a convertirsi alla fede cattolica, e inviare a tali Isole e Terraferma prelati e religiosi e chierici e altre persone dotte e timorose di Dio per istruire gli abitanti e residenti di quelle terre alla fede cattolica, e insegnare loro buoni costumi». E infatti, la Corona invia nelle colonie i migliori religiosi, i più santi e i più colti. Isabella “comanda” ai suoi eredi «che così facciano e adempiano, e che questo sia il loro principale fine e in esso si metta molta diligenza, e che non consentano né causino che gli indiani, i residenti e gli abitanti delle Indie e Terraferma, raggiunte o

Isabella incoraggia i matrimoni misti tra Indios e Spagnoli.

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da raggiungere, ricevano danno alcuno nelle loro persone o beni, ma al contrario che siano bene e giustamente trattati, e se hanno ricevuto qualche danno che lo rimedino».

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John Vanderlyn, Lo sbarco di Colombo, 1847

La corona di Spagna è fedele alla volontà di Isabella. Fatto storico di enorme importanza. Così, per esempio, gli indios guaranì evangelizzati dai gesuiti e organizzati in una complessa vita civile nelle “riduzioni” del Paraguay, saranno fatti schiavi solo quando, a seguito degli accordi stabiliti dalla Spagna col Portogallo nel 1750, i territori un tempo spagnoli passeranno al Portogallo. La Santa Sede arriverà con quasi mezzo secolo di ritardo a condannare la riduzione in schiavitù degli indios: lo farà Paolo III Farnese nel 1537 con la bolla Pastorale officium. La fede, il coraggio, la forza morale, di Isabella le fanno capire che nessun interesse commerciale, nessuna arretratezza culturale, nemmeno i sacrifici umani praticati su larga scala, possono giustificare la riduzione di un uomo (fatto a immagine e somiglianza di Dio) in schiavitù. Nessun razzismo: gli indios vanno rispettati nelle loro proprietà e nella loro vita, ma contemporaneamente vanno aiutati a vivere secondo ragione. Isabella è anche erede della cultura greco romana, cultura che con Aristotele definisce l’uomo “animale razionale”. Nell’istruzione che invia nel 1503 ripete spesso questa espressione: gli indios devono vivere secondo ragione. Dispone che vivano ordinatamente in villaggi ben costruiti (che «vengano suddivisi in centri abitati in cui vivano Sebastiano del Piombo, Ritratto di Cristoforo Colombo, 1519, conservato al Metropolitan Museum of Art di New York. Senza Isabella, forse, Colombo non avrebbe potuto armare le sue caravelle.

vicini, e che non vivano isolati girovagando per i monti»), villaggi che comprendano chiese, scuole, asili parrocchiali («affinché il cappellano insegni ai bambini a leggere, a scrivere»), e, nei casi in cui ce n’è bisogno, un ospedale (il Governatore dovrà provvedere alla costruzione di «case che fungano da ospedali per accogliere e curare i poveri, sia cristiani che indios»); villaggi in cui ognuno abiti in una casa propria, lavori i propri campi e impari a «conoscere ciò che è suo, così da lavorare con più cura la terra e mantenere in buono stato la sua proprietà». Villaggi in cui gli uomini vadano vestiti e si

Fede e ragione procedono sempre insieme nelle decisioni politiche prese da Isabella.

comportino come «persone dotate di ragione». Isabella si ripromette di colmare l’arretratezza culturale degli indios incoraggiando i matrimoni misti: «che alcuni cristiani si sposino con alcune donne indie, e le donne cristiane con alcuni indios in modo che gli uni e gli altri si aiutino e si insegnino a vicenda, così da conoscere sia la nostra religione sia come lavorare le terre e condurre le proprietà in modo che gli indios e le indie possano vivere come uomini e donne dotati di ragione». Fede e ragione procedono sempre insieme nelle decisioni politiche prese da Isabella. La regina sa che il modello di vita costruito a partire dalla rivelazione giudaico-cristiana è il migliore che possa esistere e vuole che questo modello si diffonda anche nelle Indie, dove erano ancora diffusi i sacrifici umani e il cannibalismo… … Molto altro ancora si potrebbe dire di Isabella di Castiglia: rimandiamo i nostri Lettori al testo di Angela Pellicciari, Una storia unica. Da Saragozza a Guadalupe, in uscita a settembre per le edizioni Cantagalli.


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Maria Stuarda ed Elisabetta I

Luciano Leone

Un Lettore attento e colto ci scrive alcune precisazioni storiche a proposito del film Maria Regina di Scozia, di cui abbiamo parlato nel numero di aprile.

Nel film Maria Regina di Scozia, la trama risulta conforme alla solita volontà di consolidare la fama di Elisabetta I Tudor e di sminuire Maria Stuart. È ovvio: Elisabetta I era protestante, priva di scrupoli, blasfema, spergiura, lussuriosa come sua madre Anna Bolena, feroce assassina di sudditi refrattari alla imposizione della nuova religione di stato anglicana (i Cattolici venivano impiccati e squartati, alcuni posti supini e spappolati sotto pesi) (cfr. Elisabetta Sala, Elisabetta la sanguinaria). Maria Stuart, invece, concluse la sua travagliata esistenza come martire della vera fede, quella cattolica: avendo coraggiosamente ricoperto di persona il trono della turbolenta Scozia, cercò di governare con saggezza ed equilibrio senza discriminare i protestanti; ma molti di questi, in primis il famigerato Knox, la osteggiarono sino alla calunnia e al conflitto armato. Né Darnley, né Bothwell, i due mariti di Maria Stuart (era rimasta vedova del primo), risultano aver avuto fama di bisessualità (cfr. Antonia Fraser, Maria Stuart). Regina coraggiosa, sconfisse i suoi nemici nella battaglia di Chaseabout nel 1565, ma dopo travagliate vicende nel 1568 venne sconfitta a Langside: essendo le sue truppe ormai in rotta, ella volle spingersi in

prima linea nella speranza di rincuorarle, e i suoi fedeli dovettero trattenere il cavallo della regina afferrandone le briglie e supplicarla di porsi in salvo. Attirata oltre confine in Inghilterra dalle promesse di Elisabetta, sua cugina, venne da questa tenuta prigioniera, del tutto illegalmente, per 19 lunghi anni, durante i quali Maria Stuart dovette soffrire freddo e privazioni e temere ogni giorno e soprattutto ogni notte di essere assassinata: Elisabetta e la sua corte di protestanti anglicani odiavano Maria Stuart, poiché, qualora Elisabetta fosse morta senza eredi, Maria era la prima nella linea di successione al trono d’Inghilterra. Ciò nonostante, ella si mantenne salda nella fede cristiana cattolica, mentre sarebbe stato assai comodo per lei abiurare e farsi accettare in tale linea di successione. Durante la prigionia scrisse anche un trattato sull’ avversità, Essay on Adversity. Dopo un processo-farsa, durante il quale oppose la sua difesa senza ausilio di avvocati (l’Inghilterra è la patria del diritto, dell’habeas corpus, e della democrazia…), venne infine condannata a morte per volere di Elisabetta e affrontò con sublime serenità la decapitazione (non la ghigliottina, come dice la recensione di Aprile). Con la consueta perfidia gli anglicani negarono

Una locandina del film Maria Regina di Scozia di Josie Rourke, con Margot Robbie e Saoirse Ronan.

alla condannata il conforto del suo cappellano cattolico, bensì la invitarono a pregare con loro. La regina rispose: «Io sono saldamente radicata nell’antica religione cattolica romana, e intendo spargere il mio sangue in difesa di essa. Io non mi unirò alla vostra preghiera, poiché voi e io non siamo della medesima religione». Pregò in buon latino e perdonò persino Elisabetta. Aveva 44 anni. Era l’8 febbraio 1587. Giustamente Maria Stuart dev’essere venerata tra i santi martiri. A chi fosse interessato ad approfondire, suggerirei di consultare on-line in Bibliotheca Sanctorum la voce Mary Stuart. Per comprendere l’epoca elisabettiana e la violenza e la malvagità dell’anglicanesimo, di matrice calvinista, suggerirei vivamente il saggio di Elisabetta Sala, Elisabetta la sanguinaria. Questo testo, di scorrevole lettura, rende conto dell’eroismo della resistenza cattolica alla prevaricazione del potere, accenna alle figure di Shakespeare e di letterati del tempo, fa toccare con mano quanto sia oggi trascurata la concezione cristiana della morte.

Il celebre ritratto di Maria Stuarda (1542 - 1587) firmato da François Clouet (1558)

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In Cineteca

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Letture pro life

Wonder Titolo: Wonder Usa, 2017 Durata: 113 min. Genere: drammatico Autore: Marco Bertogna Regia di Stephen Chbosky

Auggie ha dieci anni ed è portatore della sindrome di Treacher Collins; la relativa malformazione craniofacciale lo ha costretto a 27 interventi chirurgici e il suo aspetto comunque non può ritenersi normale. Ora per la prima volta, in prima media, entra in una scuola, perché Auggie ha studiato sempre a casa e non ha mai dovuto affrontare una vera e propria classe. La sua esperienza è problematica poiché vive anche situazioni di bullismo vero e proprio; trova degli avversari, incontra amici che sembrano sinceri e che invece si rivelano ambigui, ma alla fine riesce, grazie alla sua spiccata simpatia, a rendere luminose le persone che trova sul suo cammino e a essere riconosciuto per ciò che è: un ragazzino come gli altri, nonostante il suo aspetto che alcuni definivano mostruoso. L’evento principale del racconto (ovvero l’ingresso in prima media di Auggie) è descritto da diversi punti di vista e cioè dagli occhi dei diversi personaggi che ruotano intorno al nostro piccolo protagonista; la pellicola è quindi suddivisa in diversi capitoli in ognuno dei quali il

Politicamente corretto. Storia di un’ideologia Eugenio Capozzi Marsilio

regista esplora la vita, i pensieri e le speranze delle persone che interagiscono con Auggie. Tutto il film risplende della bravura degli attori protagonisti: Jacob Tremblay (Auggie), Julia Roberts (la mamma) e Owen Wilson (il papà). Si parla di diversità, di bullismo, di accettazione dell’altro senza utilizzare gli stereotipi tanto di moda in questi tempi. Finalmente un film nel quale alla diversità non viene automaticamente accostata l’omosessualità. Il bullismo, non è il cavallo di Troia che molti oggi utilizzano per parlare ai più piccoli del gender o dell’omofobia, ma è descritto, come fenomeno per il quale i giovanissimi possono essere vittime dei bulli e i bulli, a loro volta, possono essere vittime dei condizionamenti familiari, sociali e culturali con i quali sono cresciuti. È sicuramente un film da vedere e che scalderà il cuore dello spettatore.

Il chicco di grano. Storie di «santi giovani» in mezzo a noi Costanza Signorelli La Nuova Bussola Quotidiana

Sembra non esserci modo di sfuggire alle censure imposte dal politicamente corretto, che si sforza di riscrivere la storia e la lingua: l’autore ricostruisce le origini ed evidenzia le attuali contraddizioni di questa retorica collegandola a una vera e propria ideologia, che affonda le radici nella crisi della civiltà europea di inizio Novecento, cresce con la ribellione dei baby boomers negli anni sessanta e, con la fine della guerra fredda, la morte dei totalitarismi e la globalizzazione; e infine si impone come egemone in un Occidente sempre più relativista e scettico. Una visione del mondo che ha dato vita nel tempo a dogmi e feticci: il multiculturalismo, la rivoluzione sessuale, l’ambientalismo radicale, la concezione dell’identità come pura scelta soggettiva. Non è solo un libro che raccoglie storie di santi bambini e adolescenti dei nostri giorni, ma è la descrizione di un messaggio che si intravede nella trama di queste brevi ma eloquenti esistenze. Ognuno di loro ha una sua particolare missione, come a dire che Dio preferisce ciascuno diversamente da tutti. Anime disposte a comunicare al mondo come e dove il Suo Amore è vivo ora e in attesa di farsi conoscere da chiunque lo desideri. Cosa vuole dire Dio agli uomini di oggi attraverso di loro? Che se non siamo santi, ossia felici in ogni circostanza, è solo per gli ostacoli che mettiamo noi alla volontà di Dio.


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Fondato e diretto da Maurizio Belpietro


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