(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
Giù le mani dai nostri bambini
ANNO VII OTTOBRE 2019 RIVISTA MENSILE N. 78
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Francesca Romana Poleggi e Giulia Tanel
Silvana De Mari
Salvatore Tropea
Lo Stato, la famiglia, i bambini e la cultura della morte
Bambini amputati
I bambini in una società sessocentrica - Intervista ad Alessandro Meluzzi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«La famiglia è una cellula anarchica dove vigono delle regole proprie, che non sono né dello Stato, né del mercato». Gilbert Keith Chesterton
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Editoriale
Lo Stato che “serve” ai cittadini per garantire l’ordine, la pace sociale, le pari opportunità e l’assenza di ingiuste discriminazioni deve riconoscere come preesistenti alla legge i diritti inviolabili dell’uomo, quelli naturali, scritti nella coscienza umana di ogni tempo e in ogni luogo. Poiché, però, l’uomo è naturalmente un animale sociale, lo Stato deve riconoscere altresì tali diritti alle “formazioni sociali”. Non a tutte. Non alle associazioni a delinquere, per esempio. Solo a quelle «dove si svolge la sua personalità» (art. 2 Cost.). Questo “principio di sussidiarietà” vale (o dovrebbe valere, almeno sulla carta) tra l’UE e i Paesi membri, tra gli Stati e le Regioni, tra lo Stato e gli enti pubblici e gli enti privati, ma soprattutto nei confronti della famiglia, la cui essenza pre-statuale è ribadita dall’art. 29 della Costituzione: se l’ente maggiore interviene nella sfera dell’ente minore solo in casi eccezionali, cioè quando l’ente minore non sia in grado di gestirsi da sé, lo Stato “entra” nella famiglia solo quando eventuali abusi vengano accertati da prove certe, univoche e inconfutabili. Oggi invece stiamo assistendo
a una tale involuzione delle “democrazie occidentali”, degenerate in partitocrazie, oligarchie, “Stati etici” (cioè che pretendono di decidere ciò che è bene o male per legge), che nella sostanza esse sono divenute regimi totalitari: non più lo Stato che serve ai cittadini, ma lo Stato che li usa per i suoi fini di potere. Assistiamo quindi a tentativi più o meno subdoli dello Stato apparato di sostituirsi alla famiglia e ai genitori non solo attraverso la scuola pubblica, che li espropria del diritto di educazione (soprattutto su temi etici sensibili, come le questioni relative al sesso, all’affettività o alle tradizioni religiose), ma anche attraverso i servizi di assistenza sociale: il recente scandalo della Val d’Enza non è che la punta di un orrendo iceberg di portata internazionale. Diceva Chesterton: «La famiglia è una cellula anarchica dove vigono delle regole proprie, che non sono né dello Stato, né del mercato. Una camera di compensazione a protezione dell’individuo. Se gli togli la famiglia, l’individuo diventa il consumatore perfetto, solo davanti al mercato e allo Stato».
Toni Brandi
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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Bambini amputati Silvana De Mari p. 16
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Famiglia e società Lo Stato, la famiglia, i bambini e la cultura della morte
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Bambini amputati
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Manipolazioni mediatiche in odio alla famiglia
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Francesca Romana Poleggi e Giulia Tanel
Silvana De Mari
Giuliano Guzzo
Perché vietare il panino della mamma?
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La famiglia come entità pre-giuridica e pre-politica
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Andrea Ingegneri
Gianfranco Amato
Dentro la breccia
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I bambini in una società sessocentrica. Intervista ad Alessandro Meluzzi
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Gender Il dolore, il degrado, il riscatto
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Siamo ancora liberi di dire mamma e papà? Intervista a Giancarlo Ricci
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Antonella Ranalli
Salvatore Tropea
Kevin Witt
Salvatore Tropea
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Capitano della mia anima
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In cineteca
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In biblioteca
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Luca Scalise
Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Aborto Colossi della Tv e del cinema vs. America pro life Gloria Pirro
RIVISTA MENSILE N. 78 — Anno VII Ottobre 2019
Distribuzione Caliari Legatoria Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Gianfranco Amato, Silvana De Mari, Silvio Ghielmi, Giuliano Guzzo, Andrea Ingegneri, Gloria Pirro, Francesca Romana Poleggi, Antonella Ranalli, Luca Scalise, Giulia Tanel, Salvatore Tropea, Kevin Witt.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Un altro monito dai Paesi Bassi Pressure in dealing with requests for euthanasia or assisted suicide. Experiences of general practitioners (Pressione nell’affrontare richieste di eutanasia o suicidio assistito. Esperienze di medici generici) è il titolo di un articolo recentemente pubblicato dal British Medical Journal nel quale vengono intervistati 22 medici generici in Olanda, dove l’eutanasia è legale dal 2002. Gli intervistati hanno dichiarato che nel dover “assistere” i suicidi o nel prescrivere l’eutanasia subiscono un vero e proprio ricatto emotivo: o il paziente minaccia di “farlo da sé”, oppure i familiari minacciano di farlo loro stessi (e in
entrambi i casi la colpa ricadrebbe sul medico). Alcuni sono stati testimoni della pressione dei familiari sul paziente stesso: in un caso il medico è riuscito a far sottoscrivere al malcapitato la dichiarazione di voler morire naturalmente. In generale, i medici intervistati hanno detto di essere stati privati della loro libertà e autodeterminazione professionale, si sentono controllati e diretti da altri, spesso gli è stata messa fretta e spesso hanno avuto dubbi sul rispetto dei criteri legali per dare la morte a richiesta.
Quel curioso coagulo di sangue… María Martínez Gómez per anni ha lavorato in una struttura per aborti, negando la realtà di ciò che vedeva, fino al giorno in cui si è convertita. Il suo compito era quello di preparare le donne agli aborti chirurgici e di assisterle dopo. La Gómez ha ammesso di aver mentito sistematicamente a se stessa e alle madri che assisteva. Quando una volta vide tra i poveri resti di un aborto il piede di un bambino, si autoconvinse che si trattava solo di un curioso coagulo di sangue. La clinica, per evitare che le madri cambiassero idea all’ultimo momento, disponeva che fossero isolate dai
loro partner e dagli accompagnatori, per “rimuoverle dalla realtà”. A volte, alla fine dell’intervento, le donne non si rendevano conto che tutto era compiuto ed erano così traumatizzate da ciò che avevano vissuto, che la supplicavano di fermare tutto: era compito della Gomez tranquillizzarle e informarle che ormai “non erano più incinte”. Tutto questo per Maria Gomez si traduceva in uno stress insostenibile: finalmente la conversione le ha dato il coraggio di dare le dimissioni. Quindi è tornata all’università e ora è una fisioterapista.
Il “poliamore” spiegato ai bambini Nulla di nuovo sotto il sole, visto che già la corrispondenza dei fondatori del comunismo sovietico e è piena di riferimenti al tema e visti anche i prototipi del Sessantotto, dove “tutto” era messo in comune. Ora, però, ci troviamo di fronte alla decisione della prestigiosa American Psycological Association, l’APA, che si sta adoperando per studiare il “poliamore” nella speranza di rimuovere lo “stigma” a esso associato: perciò non lo chiamiamo più “poliamore” bensì “non monogamia consensuale”.
Sicché è stata creata la Division 44 che promuoverà la «consapevolezza ed inclusività della “non monogamia consensuale” e delle diverse espressioni delle relazioni intime»; il gruppo Religione e Spiritualità è poi stato incaricato di rimuovere qualsiasi obiezione religiosa che le persone potrebbero avere nei confronti di uno degli stili di vita sessuali elencati. La California, intanto, ha già deciso di introdurre nei programmi di educazione sessuale per i bambini fino a dieci anni anche il tema delle relazioni poliamorose.
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Omosessuale perseguitato dalla Gaystapo Ha trent’anni ed è stato eletto Consigliere comunale a Casalecchio del Reno, dove lavora, risultando il più votato del suo partito, la Lega. Negli scorsi mesi Umberto La Morgia è finito nel mirino della Gaystapo pur essendo egli stesso dichiaratamente omosessuale: è stato fatto oggetto di minacce, insulti e intimidazioni per aver criticato i gay pride, che negli ultimi tempi hanno assunto una evidente connotazione politica; per aver condannato l’utero in affitto e l’inseminazione artificiale delle lesbiche e per aver detto che il grande clamore contro l’omofobia ha come scopo principale non il combattere le discriminazioni e le violenze, ma lo sdoganamento culturale della cosiddetta omogenitorialità.
«Certi attivisti Lgbt che si presentano come paladini dell’amore universale, come coloro che vogliono una società più inclusiva (hanno anche sposato la causa dell’immigrazione incondizionata e indiscriminata, in nome della “inclusività”), poi sono i primi a tempestare chi non la pensa come loro di messaggi d’odio e di violenza», ha detto a ProVita & Famiglia. «Il bello è che nessuno di questi è stato segnalato sui social. Invece, a me, per aver dato delle “capre” a quelli che mi insultavano, hanno bannato il profilo Facebook per una settimana». Tipico stile della Gaystapo.
«Uccido bambini: che problema c’è?» LeRoy Carhart da circa trent’anni pratica l’aborto, in qualsiasi momento della gravidanza, senza se e senza ma. In un’intervista a Hilary Andersson, della BBC, dopo aver spiegato tranquillamente nel dettaglio le procedure per l’aborto tardivo, con lo schiacciamento del cranio («Tanto il bambino è già morto...»), che molti ancora credono siano invenzioni dei pro life (forse qualcuno ricorda la polemica tra la Clinton e Trump, in campagna elettorale), ha detto che per il “bambino” non fa differenza
nascere o no. La giornalista allora ha osservato che la maggior parte di coloro che sono pro aborto usano la parola feto perché non riconoscono che nel grembo materno ci sia un bambino. Carhart l’ha interrotta dicendo: «Penso che sia un bambino e uso la parola bambino anche con le pazienti». Abbastanza esterrefatta la donna gli ha chiesto: «E lei non ha problemi a uccidere un bambino?». Risposta: «Non ho problemi se è nell’utero della madre». Viva la faccia della sincerità.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Siamo una società completamente alla deriva, che non fa figli perché troppo impegnativi, dove non si hanno relazioni con altre persone perchè troppo impegnativo e dove ci si circonda di cani, trattandoli come figli e immaginando di avere una relazione con loro, come fossero persone. Che tristezza! Io faccio l’elettricista e qualche mese fa ho eseguito dei lavori presso una signora anziana che un giorno mi disse: «Questo cagnolino mi è stato regalato da mio figlio affinché mi faccia compagnia, perché lui e i miei nipoti non hanno tempo di venire a trovarmi». Ho visto una lacrima scivolarle sulla sua guancia e poi ha aggiunto: «A me dispiace per questo povero cane costretto a stare chiuso in questo appartamento insieme a una vecchietta, ma lui non dice nulla quindi tutto va bene...». Pascal
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Versi per la vita LUMINARE Un grande luminare della scienza, cercando nella Carta dei diritti, scoprì che dentro c’erano gli storti che aprivano la porta per gli aborti. Mirando a un orizzonte di sapienza, tenendo conto delle umane sorti protese alla conquista dei profitti, decise di approntare dei paletti elastici, flessibili, perfetti strumenti di adeguata convenienza. Dolce, gentile, buona, lusinghiera, e pista generosa di carriera.
CO2 Prodotto ignoto al popolo, che è bue quel gran veleno detto ci-o-due! Ma adesso, per conforto a chi ci crede, è diventato un dogma della fede. E chi non crede è già scomunicato mancando di rispetto a quel Creato, che indubbiamente è grande meraviglia se pure si assottiglia qualche strato dell’aria che è chiamata stratosfera. Però il fedele bravo non dispera. Ha un bel congetturare intorno all’aria in questa fase triste e funeraria. Infine si è formata maggioranza malgrado dei contrasti con la scienza e questo è fortunata circostanza per nota pilotata supponenza.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo Stato, la famiglia, i bambini e la cultura della morte Giulia Tanel e Francesca Romana Poleggi
Le cosiddette “democrazie occidentali” sono diventate nella sostanza Stati totalitari, anzitutto perché non rispettano il principio di sussidiarietà, e quindi calpestano i diritti della famiglia.
Da anni si assiste allo smantellamento della famiglia anche attraverso l’azione diretta, invadente, ingiustificata e illiberale dello “Stato sociale”.
La cultura della morte, cioè il nichilismo che mira alla destrutturazione dell’essere umano, si manifesta con tante sfaccettature: l’ideologia abortista, il gender e l’omosessualismo, l’edonismo sfrenato che pone il sesso, il denaro e l’apparire in cima alla scala dei “valori”. Ma in ciascuna di queste sue declinazioni, la cultura della morte conquista e plasma molto più facilmente le menti degli individui (esseri umani soli, monadi deboli e fragili), piuttosto che quelle delle persone (soggetti di relazione, capaci di dare e ricevere amore e quindi forza per affrontare la vita e superare gli ostacoli). È per questo motivo che il nichilismo ha come scopo principale quello della distruzione dei corpi intermedi, delle formazioni sociali (famiglia, nazione, gruppo di appartenenza). Nel momento in cui una nazione (l’insieme di persone che condivide lingua, storia, cultura…) diventa Stato, la cultura della morte nichilista si avvale del soggetto che ha potestà d’imperio per raggiungere i suoi fini. Si infiltra nei luoghi del potere e così trasforma gli Stati cosiddetti democratici (nella forma) in Stati totalitari (nella sostanza). Il primo segnale di questa metamorfosi è il fatto che essi non rispettano più quel principio di sussidiarietà che serve proprio alla salvaguardia dei corpi intermedi. La nostra Costituzione lo sottintende nell’art. 2, laddove “riconosce” (quindi ammette
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che sono preesistenti allo Stato) i diritti inviolabili non solo al singolo, ma anche alle formazioni sociali. Ciò vuol dire che lo Stato deve salvaguardare e tutelare la famiglia, intervenendo nelle sue dinamiche interne solo quando davvero essa non riesce da sé a realizzare la sua funzione. Purtroppo, in alcuni casi (non così comuni come certa propaganda vorrebbe far credere), è vero che ci sono genitori che non sono in grado di portare avanti il loro compito, e ai quali è quindi doveroso che i figli – per il loro bene – vengano temporaneamente o definitivamente tolti. In quest’ambito ben vengano assistenti sociali e tribunali dei minorenni. Bisogna notare, però, che da anni si assiste – senza che si sollevi la necessaria preoccupazione – allo smantellamento della famiglia, non solo attraverso le ideologie
mortifere di cui sopra (divorzio, aborto, gender, etc.) e le leggi che ne conseguono, ma anche attraverso l’azione diretta, invadente, ingiustificata e illiberale dello “Stato sociale”. Le denunce vengono da tutta Europa, da genitori cui vengono tolti i figli dai servizi sociali in modo arbitrario e ingiusto; e i bambini vengono violati nei loro più forti sentimenti. Qualcuno ricorderà la vicenda dei coniugi Martens, in Germania: la scuola impone corsi di (pseudo) educazione sessuale obbligatori, i genitori si oppongono e finiscono in prigione. Il Patriarcato Cattolico Bizantino getta pesanti ombre sui servizi sociali anche della Finlandia e della Francia e ha addirittura accusato le strutture statali europee di genocidio, perché pare che gli abusi che essi compiono siano
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Notizie Pro Vita & Famiglia
La cultura della morte conquista e plasma molto più facilmente le menti degli individui (esseri umani soli, monadi deboli e fragili), piuttosto che quelle delle persone (soggetti di relazione, capaci di dare e ricevere amore e quindi forza per affrontare la vita e superare gli ostacoli).
Se tra i nostri Lettori c’è ancora qualcuno che non l’ha fatto, gli consigliamo vivamente la lettura di questo romanzo distopico scritto nei primi anni Trenta: è sorprendentemente profetico. Tra le tante altre cose mostra bene come, nel Mondo Nuovo, lo Stato abbia completamente cancellato la famiglia...
la causa del suicidio di decine di ragazzini e di madri ogni anno. In Norvegia i servizi sociali sono stati al centro di una protesta di respiro internazionale. Dalla Barnevernet norvegese vengono presi di mira specialmente i nuclei familiari di origine straniera o residenti provenienti dall’estero, che hanno una cultura diversa da quella atea e priva di canoni morali che si è imposta in Norvegia. Qualsiasi tipo di educazione religiosa può essere sanzionata dalla Barnevernet, anzi qualsiasi tipo di educazione tout court: non
solo una sana e innocua sculacciata, ma anche un pasto non di gusto (secondo gli assistenti sociali) o un bagno con troppo sapone. All’inizio di quest’anno il Ministero degli Affari Esteri di Oslo ha confermato le notizie che erano state riportate dai media: le autorità norvegesi hanno chiesto ufficialmente alla Polonia di rimpatriare il console Sławomir Kowalski, persona indesiderabile in Norvegia, perché per anni è stato estremamente efficace nella difesa delle famiglie polacche ivi residenti, in particolare quelle perseguitate dalla Barnevernet: un video in rete mostra i poliziotti norvegesi che spintonano il console per allontanarlo dai locali in cui si trovava un bambino – cittadino polacco – portato via arbitrariamente ai suoi genitori. Secondo The Times i servizi sociali norvegesi tolgono ogni anno circa 1.500 bambini dalle loro famiglie. Per esempio, Silje Garmo, 37 anni, è dovuta fuggire a Varsavia con la sua bambina di 23 mesi, Eira, nel 2017. Il marito aveva descritto la donna alla Barnevernet come un’incapace, con uno «stile di vita caotico» e affetta da «sindrome da stanchezza cronica», costringendola a sottoporsi a una serie di test antidroga, che sono risultati costantemente negativi, i suoi file medici sono stati consultati senza il suo permesso e non è stato trovato nulla di significativo. E così una cittadina europea è stata accolta come rifugiata in uno Stato dell’Unione Europea! Di origine romena (e di religione cristiana ortodossa), la famiglia Bodnariu e la famiglia Nan possono raccontare il trauma e la persecuzione
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subita con cuore leggero, perché alla fine hanno riavuto i loro bambini. Ma quanti innocenti ancora devono vivere quest’esperienza traumatica, nonostante le vibrate proteste e le condanne giunte persino dall’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa? Anche nel Regno Unito i genitori non possono stare tranquilli: in Scozia quattro bambini tra i 5 e gli 11 anni sono stati tolti alla famiglia perché troppo grassi, e dati in affidamento. Al Mail On Sunday la mamma quarantaduenne che ha conservato l’anonimato per tutelare i minori ha asserito che la famiglia è stata sottoposta a un vero e proprio “campo di rieducazione” dal Comune di Dundee: per due anni ha dovuto alloggiare in una casa stile “Grande Fratello”, sorvegliata a vista durante i pasti da un’assistente sociale che annotava eventuali sgarri alimentari e, in seguito al fallimento dell’esperimento, i quattro bambini più piccoli della coppia sono stati dati in affidamento definitivo. Jll Goss, invece, è dovuta scappare in Spagna per non farsi portar via anche il suo secondo figlio: spera un giorno di rivedere la sua Alyssia, che è stata data in adozione per dei sospetti assolutamente infondati di percosse subite dai genitori quando aveva pochi mesi (la bambina in realtà era in cura per una carenza di vitamina D che le comportava delle ossa molto fragili e conseguentemente facili microfratture). The Sun scrive che i bambini sottratti alle famiglie
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sono aumentati del 34% nel 2018 (da 7.550 a 10.130). Del resto Charlie e Alfie insegnano che i genitori non sono più liberi di curare i propri figlioli, una volta che li ha presi in carico il Servizio sanitario nazionale inglese... Qui in Italia, dopo la scandalosa vicenda della cooperativa di Rodolfo Fiesoli, il Forteto, cui le Istituzioni e la magistratura hanno continuato per anni ad affidare bambini, anche disabili, nonostante le denunce e le condanne, abbiamo assistito a partire dagli anni Novanta all’inchiesta “Veleno” nel modenese, dei giornalisti Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, pubblicata in sette puntate su Repubblica.it: sedici bambini tra i Comuni di Massa Finalese e Mirandola furono allontanati per sempre dalle loro famiglie, accusate di far parte di una setta di satanisti pedofili. Accuse dimostratesi infondate, nate da dichiarazioni estorte ai bambini di allora. Lo hanno dichiarato le vittime stesse, ora adulte. C’è chi ci è morto di crepacuore e chi si è suicidato. Al centro dell’inchiesta c’era una psicologa dell’Asl di Modena, successivamente responsabile di una struttura privata di Reggio Emilia. Alle soglie di questa estate 2019, infine, eccoci all’inchiesta “Angeli e Demoni”, coordinata dalla procura di Reggio Emilia e incentrata sull’operato dei servizi sociali della Val D’Enza, con centro nel paese di Bibbiano. Quando andiamo in stampa l’inchiesta è ancora aperta, e non entriamo quindi nel merito degli indagati e
Nel video da cui è tratto questo fotogramma si vede la signora Luise Martens, a Eslohe, in Renania, mentre ascolta il poliziotto che le dice che non la porta in prigione perché sta ancora allattando, «… ma presto il giudice farà rispettare la legge!» (fonte: You Tube).
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Notizie Pro Vita & Famiglia
nella trattazione dei singoli casi. Appare tuttavia utile mettere in allerta rispetto a tre principali pericoli che si possono correre nell’affrontare questa tanto scottante, quanto drammatica vicenda.
Nel 2014 Le Iene fecero un servizio e Pro Vita presentò agli organi governativi interessati una petizione firmata da più di 180.000 persone. Eppure, per far commissariare la cooperativa fondata nel 1977 da Rodolfo Fiesoli (“il Profeta”) ci sono voluti quattro anni. E intanto bambini e disabili continuavano a essere affidati dai servizi sociali alla “comunità degli orrori”. Da ultimo, con il commissariamento, la gestione è stata formalmente tolta dalle mani dei fiancheggiatori del pedofilo Fiesoli. Allora la Regione Toscana rilevava al Forteto un risarcimento per il danno di immagine subito. Rileva Giovanni Donzelli (FdI) che il governatore Rossi i danni avrebbe dovuto chiederli al Pd locale e nazionale «che in quarant’anni, fra silenzi, accreditamenti e finanziamenti, non ha fatto altro che rafforzare e alimentare una setta dove si abusavano i minori». «Gli stessi dirigenti della Regione negli anni hanno giustificato, mettendolo nero su bianco nelle relazioni, i metodi del Forteto», sottolineava Donzelli. «Perché la Regione non ha agito contro di loro come chiesto nella relazione della Commissione regionale d'inchiesta votata all'unanimità dal Consiglio? Il Pd ha da sempre fatto muro contro il commissariamento con la scusa della difesa della realtà produttiva e dei posti di lavoro e adesso che la cooperativa Forteto è commissariata vogliono affossarla economicamente». Pare che alla fine la Regione abbia desistito. Dicono alcuni che - non essendosi costituita parte civile a suo tempo - non avrebbe avuto titolo per chiedere il risarcimento alla cooperativa.
Innanzitutto, come spiegherà Giuliano Guzzo nelle prossime pagine, il rischio di vedere insabbiata la notizia dai soliti media radical chic, in quanto scomoda nei contenuti, ma ancora di più nelle figure delle persone coinvolte. Bisogna inoltre evitare di “buttarla in politica”. Se da un lato è di fondamentale importanza dire nomi, cognomi e partiti dei colpevoli, dall’altra è altresì importante tenere scisse quelle che sono le vie investigative e giudiziarie dalla politica. Un ultimo pericolo è poi quello di circoscrivere il campo investigativo. E questo su due distinti livelli. Innanzi tutto dal punto di vista geografico, perché la realtà sommersa della Val D’Enza non è affatto isolata, come dimostra il fatto che già negli anni passati erano emerse situazioni analoghe nel modenese o in Trentino o a Torino, a riprova che il modo d’agire poco limpido dei servizi sociali è prassi fin troppo diffusa e radicata. Oltre a questo è importante non lasciarsi distrarre e andare a indagare le motivazioni che sono alla base di tutto il castello di carta che piano piano si sta svelando e sgretolando: dietro tutto c’è sicuramente il profitto economico, ma l’intento di fondo è quello di attaccare in maniera pesante (e definitiva) la famiglia, il nucleo fondamentale della società. A dircelo sono gli stessi indagati. Il quotidiano Libero riporta una dichiarazione dell’assistente sociale Federica Anghinolfi, per la quale «in
Da tutta Europa arrivano denunce da genitori cui vengono tolti i figli dai servizi sociali in modo arbitrario e ingiusto; e i bambini vengono violati nei loro più forti sentimenti.
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questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli». Un intento, quello ideologico, rilevato anche da S.E. Massimo Camisasca in un’intervista a Radio Vaticana: «Attraverso i giornali», ha affermato il prelato, «ho la percezione di un problema serio, che ha al suo cuore i bambini. E quando si tratta di bambini, si tratta evidentemente della realtà più significativa, più preziosa e importante, oserei dire quasi divina, che abbiamo nella nostra realtà sociale e a cui deve essere prestata un’attenzione somma. E mi sembra che in taluni casi, per quello che posso capire dai giornali, questa attenzione somma non solo non ci sia stata, ma ci sia stata anche e addirittura una prevaricazione ideologica. E cioè i bambini sono stati usati per e in nome di un progetto ideologico».
Il console polacco Sławomir Kowalski, dichiarato persona non gradita dalle autorità norvegesi per il suo impegno per i bambini e le famiglie perseguitate dai servizi sociali (Barnevernet).
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Spezzare il legame tra un bambino e la sua famiglia vuol dire sprofondarlo nelle cinque ferite: dolore, vergogna, abbandono, paura, isolamento
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Bambini amputati Silvana De Mari
In quanto psichiatra, l’Autrice riflette sull’importanza dei servizi sociali che sono in grado di ricostruire famiglie disastrate e di togliere vittime vere dalle mani di carnefici veri. Ma essi hanno un potere enorme e fuori controllo: quindi possono avvenire abusi, come a Bibbiano, devastanti per i bambini. Il feto è legato al corpo della madre dal cordone ombelicale, da cui riceve nutrienti e ossigeno. Il bambino è legato alla sua famiglia e alla sua casa da un altrettanto prezioso cordone ombelicale. I casi in cui un bambino deve essere allontanato da casa sono pochissimi, e ancora meno sono quelli in cui non è possibile affidarlo a nonni o zii, così da non spezzare il suo legame con il suo ambiente, oltre che quello con i genitori. Spezzare questo cordone ombelicale vuol dire infliggere al bambino una sofferenza e un danno pari a quelli di un’amputazione. Vale quindi lo stesso discorso che si fa per le amputazioni: chi le pratica inutilmente è un criminale. Spezzare questo legame vuol dire sprofondare il bambino nelle cinque ferite: dolore, vergogna, abbandono, paura, isolamento. I carabinieri sono venuti a prenderlo a scuola, lo hanno strappato da tutto il suo mondo, lo hanno scaraventato in mezzo a estranei, in una specie di orfanotrofio detto “casa famiglia” dove quelli più grandi di lui lo prendono a calci e commettono gli abusi tipici del cosiddetto nonnismo, abusi che però sono fatti da minorenni e quindi non sono calcolati come abusi dai servizi sociali. Nelle case famiglia si mangia cibo fornito da una cooperativa che spesso compra la roba meno cara sul mercato con aspetto commestibile. Un’assistente sociale lo informa con le braccia conserte che i suoi genitori sono inadeguati, i-na-de-gua-ti. Vuol dire che è figlio di genitori sbagliati. Dolore e vergogna. Nostalgia e vergogna. «Domani mamma viene a trovarti», mente l’assistente sociale. La madre non ha il diritto di andare dal bambino, non lo ha perché lei, l’assistente sociale, lo ha negato. Il giorno dopo il bambino aspetterà la mamma inutilmente, e così il giorno dopo e poi quello dopo ancora. Tutta la vergogna dell’abbandono crolla sul bambino, spezzandolo per sempre. Che diavolo è successo a Bibbiano? Hanno esagerato. Da anni, dal 2000 per la precisione, il potere degli/delle assistenti sociali è diventato infinito. L’assistente sociale è un impiegato/una impiegata statale e noi abbiamo creato uno Stato talmente mostruoso da permettere agli impiegati statali di decidere che un genitore è inadeguato, che un bambino deve avere la psiche e l’infanzia distrutta levandolo da casa sua per fragilità peraltro risolvibili, per motivi come l’indigenza o una malattia di un genitore,
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Se la tecnica Emdr viene usata in modo non rigoroso, aumenta il rischio di creare false memorie. È ampiamente dimostrato in letteratura, per esempio da Sanne T. L. Houben et al. in Lateral Eye Movements Increase False Memory Rates, pubblicato su Sage Journals, Clinical Psychological Science
la litigiosità dei genitori (un consulente che non sia un pollo è in grado di risolverla), o la tossicodipendenza del genitore, che potrebbe essere risolvibile (o lei si disintossica o le levo il bambino, se è negativa ai controlli le do 200 euro a settimana) e che potrebbe essere arginata affidando il bambino agli zii o ai nonni. Per comprendere il potere infinito degli/delle assistenti sociali riporto una stralcio dell’audizione dell’assistente sociale di Bibbiano, la regina dei servizi sociali della val d’Enza Federica Anghinolfi, giovedì 14 luglio 2016 alla Camera. Non siamo quindi in un Centro Sociale, queste parole sono state pronunciate alla Camera e regolarmente applaudite. Dopo aver dato numeri assurdi sulle percentuali degli abusi, la signora Anghinolfi afferma: «Questo ha dato dei frutti, perché si è intervenuti tempestivamente; ad esempio sull’emergenza interveniamo in 24 ore, e, se necessario, in 24 ore il minore viene collocato fuori famiglia, se deve iniziare una terapia,
la inizia e avvia tutto il percorso con le autorità giudiziarie». Sull’emergenza (Quale? Chi la stabilisce?), in 24 ore, cioè senza uno straccio di indagine, sulla sola ombra di un sospetto, si infligge al bambino un trauma maggiore, si sprofondano lui e la sua famiglia nel dolore e nella vergogna, si spezza per sempre il suo senso di identità. La mente di un bambino che potrebbe aver subito un abuso è una scena del crimine, spesso l’unica disponibile. Occorre, quindi, per amore della verità, e per amore di quella mente che deve restare intatta, muoversi con un rispetto infinito, badando a non spostare nulla, a non alterare nulla. Il primo dovere di chiunque dia cura è: «Non nuocere». Questo «Non nuocere» si moltiplica per mille se abbiamo a che fare con un bambino. Questo vale per medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali e anche giudici.
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L’Emdr non ha niente a che vedere con l’elettroshock. È un’ottima tecnica nella risoluzione del disturbo post traumatico da stress, se usata in modo rigoroso.
Il rischio, il pericolo, se il bambino viene interrogato malamente, è quello di formare false memorie, con un danno permanente e incalcolabile non solo nella vita di quel bambino, ma anche nella sua mente. Ogni professionista che si avvicini a un bambino, quindi, a meno che non sia uno sprovveduto o un malvagio, deve usare una impeccabile tecnica mentre parla. Deve avere una tecnica impeccabile e una grandissima onestà intellettuale: sta cercando la verità, non sta cercando un abuso. La realtà potrebbe essere che non c’è mai stato nessun abuso. Se il professionista non ha questo chiaro in mente potrebbe, magari involontariamente, creare false memorie. Bisogna cercare non l’abuso, ma la verità, perché chi cerca trova. Gli inquisitori del XVI secolo cercavano le streghe e le trovavano, gli ufficiali del Kgb trovavano i nemici del popolo, gli psicologi specializzati nella cura del trauma trovano i traumi, gli psicoterapeuti che hanno problemi non risolti con i loro genitori trovano colpe tremende nei genitori dei loro sfortunati assistiti, quelli divorziati e pluridivorziati trovano conferme che l’amore eterno o anche solo durevole in realtà non esiste e che è solo un’ipocrisia borghese. Chi cerca trova, perché chi cerca finisce per creare quello che sta cercando, lo crea con la sua stessa ricerca, estorce confessioni assurde, spinge allo squilibrio totale un sistema instabile, crea false memorie oppure, dove le memorie siano autentiche, crea l’incapacità a risolverle. Si chiama “iatrogeno” un danno della salute causato dall’arte medica, gli effetti di un intervento chirurgico disastroso, o di una prescrizione sbagliata, oppure il danno di una terapia corretta ma con effetti collaterali devastanti. Anche la psicologia fa i suoi danni iatrogeni.
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Essendo basata sulla parola, la si crede innocua. Le parole modificano il pensiero e il pensiero è la base di ogni cosa. La psicologia ha fatto, e continua a fare, morti e feriti. Famiglie distrutte, figli che imparano a odiare i genitori, colpevoli di ogni male, individui sempre più rinchiusi in un ottuso vittimismo, lo spaventoso fenomeno delle false memorie con imputazione giudiziaria e a volte condanna di innocenti, dipendenza patologica dalla terapia: sono i danni possibili di un terapeuta incauto, disonesto, semplicemente stupido o con una sindrome di onnipotenza di qualità media. Tutto questo vuol dire che gli abusi sono possibili. E Bibbiano? A Bibbiano gli abusi sono stati talmente gravi che non è più possibile invocare la buona fede. A Bibbiano, come sta dimostrando [quando andiamo in stampa l’inchiesta non è ancora conclusa, ndR] l’inchiesta “Angeli e Demoni”, bambini sono stati strappati alle loro famiglie e dati in affidamento o adozione a persone certamente non idonee, per usare un termine eufemistico, con una dimostrata malafede: addirittura sono stati alterati disegni. In una registrazione ambientale si ascolta la voce di una “psicoterapeuta” che urla con una violenza disumana, e sotto la sua voce si ascolta un pigolio terrorizzato di un bimbo: pare che durante quella “terapia” la “terapeuta” fosse travestita da lupo. In un’altra registrazione ambientale si ascolta un dialogo tra due neuropsichiatre su un maresciallo dei carabinieri che si è permesso di fare indagini: una delle due dice che forse era il caso di ricordargli che anche lui ha figli. E gli assistenti sociali possono entrare a casa di chiunque e levare i figli.
Bisogna cercare non l’abuso, ma la verità.
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A Bibbiano, però, non sono state usate né elettroshock, né scosse elettriche. Queste due notizie, fortunatamente false, sono state date inizialmente dai giornali. Dichiarano di aver usato la tecnica Emdr (dall’inglese Eye Movement Desensitization and Reprocessing, cioè “desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”): è una tecnica psicofisica che permette la desensibilizzazione dei postumi dei traumi o di esperienze stressanti basata su una stimolazione bilaterale degli emisferi ottenuta preferenzialmente mediante il movimento orizzontale degli occhi, da cui il nome. Molto raramente in Italia, più frequentemente negli Usa, è usata un’apparecchiatura, NeuroTek, per dare l’ausilio di una stimolazione elettronica, ottenuta tramite gli stimolatori elettronici Emdr prodotti, appunto, dalla NeuroTek Corporation. Usata correttamente, l’Emdr è un’ottima tecnica nella risoluzione del disturbo post traumatico da stress. Durante l’Emdr addirittura si hanno modificazioni dell’elettroencefalogramma. Deve essere usata in maniera rigorosa. Durante la stimolazione bilaterale il terapeuta deve restare rigorosamente in silenzio. Se durante questa fase il terapeuta parla, suggerisce, inventa, può essere semplicemente fastidioso, ma potrebbe anche creare e instillare false memorie. Una terapia
e un interrogatorio devono essere fatti sempre con domande neutre e aperte («Cosa è successo?», «Come ti sei sentito?»), mai con domande che possano suggerire qualcosa («Qualcuno ti ha toccato?», «Quella persona ti ha fatto male?») altrimenti c’è il rischio di creare false memorie. Il cervello compiacente, e quello dei bambini un po’ lo è, non osa contraddire, dire «No». In Emdr questo rischio aumenta, come dimostrato in letteratura. Ci sono stati casi di ragazzi che hanno vissuto affidi deleteri, genitori incolpevoli cui sono stati sottratti i figli. Indubbiamente ci sono anche stati casi di violenza vera e tragica subita in famiglia, e riparata in case famiglia, ma anche la migliore casa famiglia risulta un’intollerabile prigione se il bambino ha perso una famiglia non colpevole, magari solo fragile o povera. Ci sono psicologi bravi che, con varie tecniche, tra le quali l’Emdr, sono riusciti a rendere meno urente il dolore dell’abuso subito; ci sono assistenti sociali molto brave che ricostruiscono famiglie disastrate, o levano vittime vere dalle mani di carnefici veri. Bibbiano ha danneggiato anche loro. E molto. Ma Bibbiano ha anche dimostrato che il sistema è corrotto dalla mancanza di controllo. Il potere del Servizio Sanitario è infinito. E questo è un tragico errore che deve cessare.
Il potere degli assistenti sociali è diventato infinito.
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Manipolazioni mediatiche Giuliano Guzzo
Come al solito i principali mass media sono servi del pensiero unico, politicamente corretto. Un esempio: la vicenda di Bibbiano, che è stata mediaticamente insabbiata per odio alla famiglia.
A fine giugno scorso, come si ricorderà, i carabinieri di Reggio Emilia hanno messo agli arresti domiciliari sei persone e hanno notificato altre misure cautelari a dieci altre in seguito a una complicata indagine relativa a una organizzazione che, secondo le ipotesi investigative, aveva lo scopo di togliere bambini a famiglie in difficoltà e affidarli, dietro pagamento, a famiglie di amici o conoscenti. È iniziato così quello che oggi, per molti, è lo scandalo Bibbiano.
Un caso, quello della sottrazione di minori della Val D’Enza, che è esploso parallelamente a un singolare e sistematico tentativo di insabbiamento mediatico posto in essere su più versanti. Passiamo brevemente a esaminare in che modo si è cercato di silenziare uno scandalo giudiziario ma anche politico (sono stati coinvolti diversi sindaci e amministratori del Pd). La prima carta che si è giocata è quella del garantismo, ossia quella di ricordare che tutti sono innocenti fino a prova contraria e,
Filippo Neviani (in arte: Nek), Laura Pausini e Alessandro Borghese: tre voci fuori dal coro che hanno gridato contro lo scandalo di Bibbiano.
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soprattutto, fino al terzo e ultimo grado di giudizio. Un’affermazione avanzata da diversi tra politici e giornalisti dall’indubbio valore, anche perché riflette appieno quanto stabilito dalla Costituzione italiana. Solo, si rileva come da un lato si sia invocato il garantismo con tempismo sospetto o quanto meno prematuro (l’indagine si stava ancora allargando) mentre, dall’altro, un simile richiamo non si ascolti spesso. Quando per esempio si tratta di commentare presunti abusi del clero – benché non manchino né siano mancati casi clamorosi di preti accusati ingiustamente (si pensi, tra i tanti, al caso di don Giorgio Govoni) – raramente si sentono richiami alla presunzione d’innocenza. Chissà come mai. Un altro trucco cui si è ricorso per tentare di distogliere l’attenzione dai fatti della Val D’Enza è stato quello della distrazione mediatica tramite scoop di dubbia tempistica. Un esempio? Quello del Rubligate, ossia del presunto scambio di petrolio e quattrini tra misteriosi affaristi russi e alcune figure vicine alla Lega. A prescindere da qualsivoglia valutazione politica, l’oggettiva dubbia tempistica di detto scoop consiste nel fatto che non soltanto esso è esploso, come caso, proprio in corrispondenza a quello di Bibbiano, ma si basava in realtà su ricostruzioni che il settimanale L’Espresso aveva già largamente anticipato nel mese di febbraio. Ricostruzioni che però sono magicamente tornate d’attualità con la divulgazione di registrazioni audio (per forza di cose erano già disponibili a febbraio) ad opera del sito BuzzFeed.com proprio nel momento in cui, da noi, l’attenzione mediatica andava crescendo sullo scandalo delle sottrazioni di minori. Un caso? Il tentativo di minimizzazione del caso di Bibbiano, per quanto esercitato con cura, è stato però disturbato da almeno tre personaggi famosi – i cantanti Nek e Laura Pausini, seguiti dallo chef e conduttore Alessandro Borghese – che sono pubblicamente scesi in campo sia per chiedere attenzione sui fatti della Val D’Enza, sia per gridare la loro indignazione
Invocavano il garantismo, riciclavano una notizia vecchia di mesi (Rubligate) e denigravano i vip che osavano alzare la voce contro lo scandalo: così hanno mediaticamente insabbiato uno scandalo enorme come quello di Bibbiano.
per quanto stava emergendo nell’inchiesta. Ebbene, per replicare a tutto ciò i burattinai dell’informazione hanno da un lato cercato di minimizzare le prese di posizione di questi personaggi famosi e, dall’altro, hanno tentato di spiegare come costoro, in realtà, fossero incompetenti rispetto al tema degli affidi familiari, il che astrattamente può anche essere. Peccato solo che questo rilievo sembri non valere quando altri vip vengono arruolati per sponsorizzare l’eutanasia o le adozioni gay senza, neppure in quel caso, avere alcuna competenza specifica in bioetica o in psicologia dello sviluppo. Purtroppo dopo alcune settimane – anche in conseguenza dei tre suesposti stratagemmi – l’attenzione mediatica su Bibbiano è iniziata a scemare in modo consistente; il che tuttavia non ci esonera dal chiederci come mai si sia voluto fare di tutto per far calare il sipario sui fatti della Val D’Enza. Forse per reale adesione al principio del garantismo e della presunzione d’innocenza? Suvvia, è chiaro che così non è. E probabilmente neppure il colossale giro d’affari che comunque gravita attorno agli affidi familiari in tutta Italia basta a spiegare un tentativo di insabbiamento mediatico che pare essere stato ispirato dalla volontà di occultare altro. Che cosa? Semplice: l’odio per la famiglia. Se riduciamo lo scandalo di Bibbiano a vergogna di partito o a malefatte di
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psicoterapeuti senza scienza né coscienza, perdiamo di vista il cuore del problema – che appunto è l’odio feroce verso la «cellula fondamentale della società» che una certa sinistra cultura da decenni diffonde senza sosta; con la conseguenza che togliere i figli a padri e madri – in questa logica – è perfino qualcosa di positivo e di liberatorio, perché scardina l’odiata famiglia. Non è un caso che decenni or sono fosse lo psichiatra comunista David Cooper (1931-1986) a scrivere: «Non abbiamo più bisogno di padri o di madri. Abbiamo solo bisogno di “maternage” e “paternage”» (La morte della famiglia, Einaudi, 1972). Chiaro? Di padri e madri «non abbiamo più bisogno», basta chi ne vesta i panni. È bene riflettere su questo perché dietro Bibbiano oggi – come dietro il Forteto ieri – c’è proprio la convinzione che per costruire, a volte, bisogna prima distruggere: anche, anzi soprattutto, se di mezzo c’è la famiglia. Meglio dirlo chiaro, perché diversamente – una volta che i fatti della Val D’Enza diventassero per davvero un ricordo – determinati errori, e in alcuni casi orrori, potrebbero nuovamente ripetersi nell’indifferenza generale; il che sarebbe inaccettabile e intollerabile, soprattutto nei confronti dei bambini. Per questo pare opportuno – senza con questo giustificare alcun eccesso giustizialista, ovviamente – sia seguire da vicino scandali come quello di Bibbiano, sia fare attenzione ai molteplici e già visti stratagemmi mediatici per distrarre l’opinione pubblica e per convincerla che un determinato fatto che pare gravissimo, in fondo, poi così grave non sia.
Perché i media si sono adoperati per insabbiare il caso Bibbiano? Per odio alla famiglia.
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Perché vietare il panino della mamma? Andrea Ingegneri
L’ombra dello Stato totalitario che sopprime e opprime i corpi intermedi – in primis la famiglia – oscura anche divieti apparentemente innocui dettati da motivi di ordine e igiene.
Pensare di trascorrere un intero anno senza vedersi infliggere una nuova mortificazione oppure l’ennesima restrizione di libertà è proprio diventato un miraggio per le famiglie italiane. Così, mentre concetti di bene superiore e di interesse collettivo sempre più astratti si fanno strada, saettando tra commi di leggine e paragrafi di sentenze, per forgiare le clave che appiattiranno i brandelli di libertà individuale residui, ecco arrivare dall’alto l’ennesima mazzata. Ancora una volta a doversi far da parte per il “bene comune” saranno i genitori che, rei del becero egoismo di voler decidere di che nutrire i propri figli, si vedranno preclusa tale possibilità nelle scuole a tempo pieno. Del resto, si sa: il rancio è ottimo e abbondante. Cosa avranno dunque da obiettare se sarà d’obbligo fare ricorso solo e unicamente al servizio di refezione scolastica? Suvvia signori, non siate tirchi. Il concetto di gratuità generalmente legato a un obbligo stavolta non si applica: pretenderlo sarebbe prevaricatorio. Immolare il portafogli sarà l’unica strada percorribile e, naturalmente,
Le mamme metterebbero a rischio la salubrità dei locali scolastici coi loro panini, manco fossero armi biologiche e imbottiti di chissà quali schifezze.
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Concetti di bene superiore e di interesse collettivo sempre più astratti si fanno strada, saettando tra commi di leggine e paragrafi di sentenze, per forgiare le clave che appiattiscono i brandelli di libertà dei genitori ancora esistenti. incrociare le dita sperando che il pranzo sia passabile. Eppure, messa da parte l’ovvia ironia, di che lamentarsi ci sarebbe eccome. Sul piano della libertà individuale la nuova impostazione appare irragionevole. Con un volo pindarico, ma neanche troppo, chi ha memoria storica ricorderà una delle caratteristiche comuni ai regimi comunisti totalitari, proprio sull’aspetto dell’alimentazione. Nella dittatura cambogiana dei Khmer rossi, ad esempio, il solo raccogliere una mela da terra poteva comportare la pena di morte. La frutta veniva lasciata a marcire dov’era, perché l’unica forma di alimentazione consentita era quella gestita dallo Stato attraverso i refettori pubblici. Le pene più pesanti e più frequenti erano proprio per chi veniva scoperto ad alimentarsi da solo, sfuggendo alle
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mense collettive. Era persino proibito possedere attrezzi da cucina, fatto salvo un unico cucchiaio. Sulla carta erano nobili intenzioni: maggior tutela della salute, annullamento delle disparità, persino l’ambizione che ciò avrebbe contribuito al bene della popolazione al punto da raddoppiarla numericamente. Nella pratica, un milione di persone morirono di fame e di malattie legate alla fame. Non che si vogliano mettere sullo stesso piatto le due cose, ma questo fatto storico dovrebbe fornire la misura di quanto asfissiante sia una proibizione in tal senso, e che gran valore simbolico abbia il cucinare per le persone. Specie per i propri cari, ove assume pure una connotazione affettiva. Che la cucina sia cultura, inoltre, è un fatto riconosciuto ormai ovunque. Che si sta cercando di fare, dunque? Strizzare l’occhio ad un business miliardario, che senz’altro crescerà ancora, o c’è dell’altro? Esaurito lo scopo dell’iperbole, dovrebbe esser chiaro che qui nessuno pretende di sentirsi nella cappa di una delle grandi dittature del passato. È pur evidente che certe chicche non ce le facciamo mancare neanche noi. Basta effettuare una semplice ricerca in rete per imbattersi in testimonianze agghiaccianti in merito alla qualità dei servizi di refezione. La più recente risale a dicembre dello scorso anno, quando un’ispezione dei Nas sul territorio nazionale ha riscontrato anomalie in una mensa scolastica su tre. Per bocca dell'ex ministro della salute Grillo apprendiamo di «Cibi scaduti, gravi carenze igieniche, persino topi e parassiti: un film dell’orrore». Erogate sanzioni pecuniarie per oltre 576 mila euro e oltre 2 tonnellate di alimenti sequestrati. Simili ispezioni in anni precedenti
Non si comprende perché il cibo possa essere oggetto di confronto di disparità sociale e non lo siano piuttosto i costosissimi zaini, le scarpe, gli astucci, i quaderni, le tute da ginnastica, etc.
non hanno dato risultati più incoraggianti. Forse in questo solco già tracciato trovano conferma le recenti parole del medico e scrittrice Silvana De Mari, secondo cui l’assenza di un’alternativa alla refezione scolastica ne comporterà il peggioramento. Si sa che al peggio non c’è mai fine. Ce lo ricorda anche il fatto che spesso simili contesti divengono facile meta di colonizzazione ideologica, come qualcuno ebbe da obiettare a Roma ai tempi dell’amministrazione Marino per quanto accadde con il celebre menù europeo, nell’illusione che qualche porzioncina di wurstel e patatine potesse integrare le differenze culturali. Se ciò non bastasse, una recente nota di UilTucs e della UIL del Lazio ha epitetato il nuovo bando della refezione scolastica del Comune di Roma in modo poco lusinghiero, arrivando a equiparare il costo dei pasti dei bambini a quello dei canili municipali. Dell’aver colmato il divario gioiranno forse gli animalisti più accaniti, un po’ meno le famiglie coinvolte dacché vedranno ridurre il costo per pasto dei loro bambini da 7 euro a circa 4 euro negli asili nido e da 4,50 euro a 4 euro tondi per le scuole elementari. Continuando a leggere apprendiamo pure che
Una delle caratteristiche comuni ai regimi comunisti totalitari riguarda proprio l’aspetto dell’alimentazione: per esempio, in Cambogia l’unica forma di alimentazione consentita era quella gestita dallo Stato attraverso i refettori pubblici.
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«si aggiunge già da qualche anno l’abitudine di far svolgere le mansioni di cuoca al personale della Multiservizi, confidando nella capacità femminile di preparare un pasto». Peccato che oggi questa stessa capacità femminile non sia riconosciuta alle comuni mamme che, pur sempre donne, metterebbero invece a rischio la salubrità dei locali scolastici coi loro panini, manco fossero armi biologiche e imbottiti di chissà quali schifezze. Quel che resta di un tale minestrone di assurdità è che una qualsiasi impiegata possa preparare il cibo per gli alunni, ma se a farlo è una mamma per suo figlio si apre invece un problema di sicurezza, dai contorni persino diseducativi. Ne prendiamo atto. Tutti questi elementi spingono a pensare che, pur di disconoscere il cosiddetto “diritto al panino” (termine di per sé caricaturale e forse volto a evocare un’immagine grottesca delle rivendicazioni genitoriali), si stia imponendo qualcosa che l’attuale sistema non è neppure in grado di garantire in maniera adeguata, e che da anni va peggiorando di giorno in giorno. Sotto aspetti più pratici, ulteriori contraddizioni emergono in modo dirompente. Per quanto concerne la disparità sociale, non si comprende perché il cibo possa essere oggetto di confronto e non lo siano piuttosto i costosissimi zaini, firmati e non, con o senza trolley, le scarpe, gli astucci, i quaderni, le tute da ginnastica, etc. Per non parlare di fenomeni più voluttuari, ormai febbrili, specie tra i più piccoli: costose bamboline LOL, gormiti, carte Pokémon, figurine... Tutte cose con le quali una famiglia impara a confrontarsi dal primo momento in cui un bambino mette piede dentro una scuola e inizia a socializzare coi compagni, e che non pare abbiano mai fatto morire nessuno.
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Una disparità sociale, inoltre, potrebbe introdurla proprio l’obbligatorietà delle refezioni scolastiche, ben più grave perché oltrepassa il perimetro della classe. I più benestanti, pur impegnati col lavoro, potranno permettersi di revocare il tempo pieno assumendo una tata che vada a ritirare i bambini da scuola a orario di pranzo. I meno abbienti dovranno altresì ingoiare inevitabilmente l’ennesimo rospo. Proprio tra questi va segnalato che i pendolari vedono spesso disconosciuto il diritto alla riduzione della tariffa in base al reddito perché, per motivi di lavoro, si trovano costretti a portare i figli in prossimità della sede lavorativa, in scuole poste al di fuori del comune di residenza. In questi casi il tempo pieno è inevitabile. Talvolta sono pochi chilometri, che però comportano il dover pagare la tariffa piena, come i ricchi. Un’ingiustizia la cui esosità cresce con il numero dei figli. Non proprio il massimo come politica familiare. Secondo i legali che stanno seguendo il caso non tutto è perduto e vi sarebbero ancora delle chances di veder riconosciuta la possibilità dell’auto refezione, sebbene non più come «diritto soggettivo perfetto o incondizionato». Non sarà comunque semplice, tenuti in conto il cancan mediatico, come sempre corale e a senso unico, unito allo zelo di certo personale preposto nell’osservare direttive e circolari che talora ergono un muro tra il cittadino e i suoi reali diritti. Forse ce ne faremo una ragione. I figli delle famiglie italiane non mangeranno più il pane di casa ma beneficeranno, volenti o nolenti, di proverbiali (e costose) brioches. Speriamo almeno che non siano scadute.
Una recente ispezione dei Nas sul territorio nazionale ha riscontrato anomalie in una mensa scolastica su tre.
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La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana.
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La famiglia è una creazione dell’uomo o un elemento di natura? Gianfranco Amato La famiglia è una creazione dell’uomo o un elemento di natura? La risposta è semplice. La famiglia non è il frutto di un sistema socio-giuridico, di un determinato contesto storico-culturale, di una moda, di una concezione filosofica o politica, né tanto meno è il frutto di una dottrina religiosa. La famiglia è un elemento oggettivo di natura che precede cronologicamente e ontologicamente qualunque istituzione umana. Per questo essa è sottratta alla disponibilità dello Stato e non può essere modificata o manipolata attraverso la funzione legislativa. Per questo si dice che la famiglia è un elemento pre-giuridico e pre-politico. Fa parte della struttura naturale dell’essere umano. La prima immagine che abbiamo di famiglia – senza aggettivi di sorta come “naturale”, “tradizionale”, ecc. – risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore in particolare. Nel 2005 in Germania, vicino alla città di Eulau, gli archeologi hanno rinvenuto alcune tombe che appartenevano a quell’epoca. In una di queste tombe hanno ritrovato i resti di quattro esseri umani: un uomo, una donna e due bambini. Furono seppelliti abbracciati tra di loro. Attraverso l’analisi del Dna gli scienziati hanno scoperto che si trattava di una famiglia: madre, padre e due figli. L’immagine che è stata ricostruita di questa famiglia, oltre ad essere particolarmente commovente,
L’Autore condivide con i nostri Lettori le riflessioni che al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona sono state oggetto del suo intervento nel Workshop dedicato
La prima immagine che abbiamo di famiglia risale al periodo preistorico, al Neolitico superiore.
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ci dice una cosa importante: in quell’epoca non esisteva nessuna legge, non esisteva nessun parlamento, non esisteva lo Stato e non esisteva nessuna Chiesa, ma esisteva la famiglia, elemento naturale che precede tutte queste istituzioni. La nostra civiltà occidentale affonda le sue radici, oltre che nella preistoria, anche nella cultura giudaica, che nel Bereshit ()תישארב, il primo libro della Torah, definisce la famiglia in questi termini: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà alla moglie e i due formeranno una sola carne». La nostra civiltà si radica anche nella cultura classica greco-romana. Aristotele, che rappresenta la massima espressione del pensiero filosofico greco, ci ha lasciato una definizione interessante: «Polis sùnkeitai ex oikiòn», ossia «La società è costituita dall’insieme delle famiglie» (Politica, I, 1253b). Non sono i singoli individui ma le famiglie a costituire la società. E Aristotele aveva ben in mente quali fossero le funzioni e le caratteristiche della oikos, intesa come famiglia. Cinque, in particolare. La prima caratteristica era quella della despotèia, ovvero dell’autorità indiscussa: la famiglia è una comunità dove i genitori comandano e i figli obbediscono. La seconda caratteristica era quella di nascere dalla sùnzeuxis gunaikòs kai andròs, ovvero dall’unione di un uomo e di una donna. La terza caratteristica era legata a una funzione essenziale della famiglia, ovvero la teknopoìia, la procreazione. La quarta caratteristica era connessa alla oikonomìa, in quanto la famiglia è una comunità che si amministra e si gestisce in maniera razionale: il termine economia, peraltro, deriva proprio da «òikos», famiglia. La quinta caratteristica risiede in un’altra funzione fondamentale, ovvero quella della «paidéia», l’educazione: la famiglia è la prima e più importante agenzia educativa della società. Dopo il pensiero filosofico dei greci arriva il pensiero giuridico dei romani. Ulpiano, uno dei più grandi giuristi dell’antica
Roma, sosteneva che la famiglia si fonda sull’unico matrimonio, quello «justum», ovvero il matrimonio tra un «masculus pubes» e una «femina potens». Prima di lui il grande Cicerone aveva spiegato che la famiglia è la «prima societas», il nucleo, la cellula della società (De Officiis, I, 53-54). Essa costituisce, infatti, il fondamento della stessa società («principium urbis») e il suo vivaio («seminarium rei publicae»). Perché i romani sostenevano che la famiglia fosse un “vivaio”? Perché per essi la famiglia costituiva il primo luogo dove il cucciolo d’uomo impara a convivere con persone che non si è scelto; impara che esistono delle regole da rispettare; impara cosa significa condividere. Era una specie di filtro, di “stage” che il cucciolo d’uomo
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o di famiglia tra persone dello stesso sesso. E perché non lo fecero malgrado allora ci fossero maggiori condizioni per farlo rispetto a oggi? Perché i romani avevano un senso chiaro e intelligente della laicità e sapevano distinguere tra l’aspetto privato – per cui uno a casa sua, sotto le lenzuola, può fare quello che più gli aggrada – e l’aspetto pubblico, ovvero ciò che può avere effetti negativi nella convivenza civile e nella società.
doveva affrontare prima di andare a vivere nella grande famiglia che è la società. I romani pensavano che se la natura non avesse donato questa possibilità di una sperimentazione quotidianamente della convivenza in famiglia, gli stessi uomini non avrebbero potuto vivere insieme nella società: sarebbero stati dei lupi solitari o si sarebbero scannati tra di loro. Ma poiché nella grande famiglia dove il cucciolo d’uomo andrà a vivere, cioè la società, ci sono uomini e donne, era importante per i romani che il bambino imparasse nella sua famiglia quali fossero le funzioni di questi due sessi. Ecco perché, per esempio, nonostante nell’antichità classica l’omosessualità fosse abbastanza tollerata e diffusa, nessuno si è mai sognato di parlare di matrimonio omosessuale
Ora, se la famiglia, come abbiamo visto, è un elemento pre-giuridico e pre-politico, ossia non ha nulla a che vedere con il diritto, la legge, il parlamento, quando e perché i documenti giuridici in Europa si occupano di essa? Esiste una data e una ragione. Dopo la seconda guerra mondiale, infatti, l’esperienza mostrò al mondo che l’unica cosa che seppe resistere e tenere insieme la società durante quello tsunami devastante fu proprio la famiglia. E il mondo comprese che, per ricostruire la stessa società dalle ceneri di quel devastante evento bellico, occorreva ripartire dalla famiglia. Per questo la Costituzione italiana del 1948, la Costituzione tedesca del 1948 e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 riconobbero l’importanza della famiglia fino ad allora sottovalutata. L’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, infatti, stabilisce che «la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto a essere protetta dalla società e dallo Stato». E la Costituzione italiana all’art. 29 usa un verbo interessante quando afferma che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». “Riconosce” significa prendere atto di qualcosa che preesiste. L’articolo non afferma che la Repubblica istituisce la famiglia e ne disciplina le modalità di costituzione e di estinzione. Non è una creazione dello Stato. Per comprendere esattamente il significato attribuito dai costituenti all’espressione
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La famiglia rappresenta l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra l’individuo e il Potere.
«società naturale», è sufficiente leggere il dibattito sul tema che emerge dai verbali dei lavori preparatori della stessa Costituzione. Si possono citare, ad esempio, tre significativi interventi: le dichiarazioni di voto degli onorevoli Moro, La Pira e Mortati. Il primo affermò quanto segue: «Dichiarando che la famiglia è una società naturale si intende stabilire che la famiglia ha una sua sfera di ordinamento autonomo nei confronti dello Stato, il quale, quando interviene, si trova di fronte a una realtà che non può menomare né mutare». Il secondo, La Pira, precisò che «con l’espressione società naturale si intende un ordinamento di diritto naturale che esige una costituzione e una finalità secondo il tipo della organizzazione familiare». Il terzo, Mortati, volle precisare il carattere normativo della definizione di famiglia come società naturale, dichiarando che «con essa si vuole, infatti, assegnare all’istituto familiare una sua autonomia originaria, destinata a circoscrivere i poteri del futuro legislatore in ordine alla sua regolamentazione». Poche furono le voci critiche rispetto a quella formula, e solo perché le attribuirono una portata meramente definitoria. L’on. Ruggiero, per esempio, rilevò che la Costituzione non doveva dare definizioni degli istituti, e che il progetto non ne dava alcuna, tranne che per la famiglia. Nel suo ragionamento fu interrotto dall’on. Moro, che lo fulminò con queste parole: «Non è una definizione, è una determinazione di limiti». Con quelle tre parole, espressione dell’indiscutibile intelligenza di un uomo come Aldo Moro, in maniera sintetica ed efficace fu riprodotto il pensiero della maggioranza dell’Assemblea, che volle infatti mantenere la formula «società naturale».
Ora si pone il tema del perché si voglia far prevalere l’idea che la famiglia non rappresenti un elemento di natura, bensì una variabile socio-culturale soggetta al cambiamento anche attraverso la funzione legislativa. Io credo – e questa rappresenta una mia convinta opinione – che oggi questa tendenza a destrutturare la famiglia ubbidisca a una precisa logica di potere. Sembra di vivere la profezia distopica del grande scrittore inglese Aldous Huxley nella sua opera Il Nuovo Mondo, che identificava proprio nell’eliminazione della famiglia e nell’abolizione delle parole “padre” e “madre” uno dei passaggi fondamentali per il raggiungimento del dominio assoluto da parte di poteri oligarchici. Del resto, la famiglia rappresenta l’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà tra l’individuo e il Potere. E il Potere vuole eliminare anche quell’ultimo, piccolo, angusto spazio di libertà per rendere l’individuo solo e facilmente manipolabile. Lo denunciò, circa trent’anni fa, quello che io considero il mio Maestro, Mons. Luigi Giussani, con queste profetiche parole: «L’interesse del potere a distruggere la famiglia è duplice. Prima di tutto, distruggendo questa primordiale unità-compagnia dell’uomo, il potere riesce ad avere davanti a sé un uomo isolato: l’uomo solo è senza forza, resta un pezzo di materia, un cittadino anonimo, è privo del senso del destino, privo del senso della sua ultima responsabilità e si piega facilmente al dettato delle convenienze. La famiglia è attaccata per far sì che l’uomo sia più solo, privo di tradizioni che gli consentano di veicolare responsabilmente qualcosa che possa esser scomodo per il potere o che non nasca dal potere. La seconda ragione, più profonda, è questa: distruggendo la famiglia si attacca l’ultimo e più forte baluardo che resiste naturalmente alla concezione culturale che il potere introduce, di cui il potere è funzione, vale a dire, intendere la realtà atomisticamente, materialisticamente, una realtà in cui il bene sia l’istinto o il piacere, o meglio ancora il calcolo».
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Dentro la breccia Antonella Ranalli
Monsignor Thomas Olmsted, vescovo di Phoenix, invita a difendere la famiglia naturale e la vera mascolinità
«Uomini, non esitate a partecipare alla battaglia che infuria intorno a voi, che ferisce i nostri bambini e le nostre famiglie e distorce la dignità sia degli uomini che delle donne». Inizia così (in puro stile Braveheart) Dentro la breccia, l’esortazione apostolica pubblicata nel 2015 da Monsignor Thomas Olmsted, vescovo di Phoenix, in Arizona. L’esortazione incita gli uomini a uscire dal torpore in cui la cultura contemporanea vuole relegarli e ad accettare la propria vocazione alla paternità, non soltanto verso i figli ma verso l’intera società. Essa inizia con un invito a conoscere e apprezzare la complementarietà tra mascolinità e femminilità per attuare una fruttuosa e pacifica collaborazione tra uomini e donne. Segue quindi il riconoscimento della maniera con cui la teoria del gender «ha infettato le società di varie parti del mondo. Questa ideologia cerca di rimuovere il maschile e il femminile come maniera normativa per comprendere la natura umana e di aggiungere al loro posto altre categorie di sessualità. Questa ideologia è distruttiva sia per la società che per gli individui ed è una menzogna. Io vi esorto ad abbracciare più intensamente la bellezza e la ricchezza della differenza sessuale e a difenderla contro le false ideologie». Da qui il Monsignore passa a spiegare il vero significato di mascolinità, in opposizione a quello presentato dall’industria dello spettacolo e dello sport, basato su caratteristiche fisiche quali la forza muscolare o su condizioni effimere quali il successo e la ricchezza. Un esempio di questa mentalità è il personaggio di James Bond, il cui cognome in
Thomas James Olmsted (Oketo, 21 gennaio 1947).
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inglese significa legame ma che nei romanzi e nei film si rifiuta di instaurare qualsiasi legame affettivo duraturo, limitandosi a relazioni superficiali e utilitaristiche. Questo atteggiamento, purtroppo sempre più diffuso, ha le sue radici nella rivoluzione sessuale, definita dal vescovo come «la promessa di un amore libero e di libertà dalle catene delle vecchie opinioni riguardo la virilità e la femminilità. Quello che ne è derivato è stata la separazione della sessualità dall’impegno del matrimonio e una scelta diffusa per la sterilizzazione chimica o chirurgica, il che equivale alla negazione di ciò che nell’individuo è la parte più essenziale del maschile e femminile. Essa ha dato inizio al flagello dell’aborto, della pornografia e delle violenze sessuali così dilaganti nella nostra epoca. Al contrario di un amore sincero e autentico questa falsa libertà offre piaceri di scarso valore che mascherano una solitudine e un dolore più profondi. Al posto della sicurezza dei legami di una famiglia
«Uomini, non esitate a partecipare alla battaglia che infuria intorno a voi, che ferisce i nostri bambini e le nostre famiglie e distorce la dignità sia degli uomini che delle donne».
tradizionale, essa lascia i bambini a bramare la stabilità dell’amore di un padre e di una madre. La rivoluzione sessuale si è ribellata con arroganza contro la natura umana, una natura che non crescerà mai in maniera vigorosa nella confusione e nell’assenza di autocontrollo. In effetti, l’amore che prometteva non è mai stato trovato. Sulla sua scia ci sono solo macerie, una quantità innumerevole di cuori spezzati (tenuti insieme dalla paura di ulteriore dolore), vite rovinate, case distrutte, sogni infranti e la perdita di fiducia nel fatto che l’amore sia addirittura possibile». Secondo Olmsted il superamento di questa crisi sociale è possibile solamente se gli uomini si riapproprieranno del ruolo di padre cui la natura li ha destinati, ruolo che non si limita al concepimento ma consiste nell’essere presenti nelle vite dei figli in maniera costante, come guida amorevole e come esempio con le parole e con le opere. Anche gli uomini che
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non possono avere figli per problemi di salute o perché hanno abbracciato la vita religiosa possono svolgere questo compito prendendosi cura del prossimo, con un riguardo particolare per donne e bambini, pronti a qualsiasi sacrificio per difenderli, fosse anche quello della propria vita. Il vescovo di Phoenix non si è limitato a esprimere opinioni così politicamente scorrette in Dentro la breccia, ma ha fatto della difesa della vita e della famiglia naturale il fulcro della propria azione pastorale: obbliga seminaristi, diaconi e nubendi a seguire corsi per la pianificazione familiare naturale, organizza conferenze e gruppi di lavoro sulla missione degli uomini nella società, ha criticato il presidente Obama per i finanziamenti a Planned Parenthood e alla ricerca con le staminali embrionali, ha più volte presenziato a veglie di preghiera di fronte alle cliniche abortive, ha spesso rimarcato il fatto che la promozione della struttura naturale della famiglia è un valore non
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negoziabile, anche quando si tratta di scegliere chi o cosa votare. Nel dicembre 2018 Olmsted ha inoltre pubblicato un’altra esortazione apostolica, dedicata alla famiglia e intitolata Completate la mia gioia. Essa parte dalla constatazione che la famiglia può essere il posto in cui sperimentiamo una sofferenza così profonda da farci perdere la fiducia nell’istituzione che rappresenta e nella possibilità di trovare mai la felicità al suo interno. A causa dei traumi emotivi che si propagano di generazione in generazione e degli attacchi esterni «adesso la vita familiare si trova in un campo di battaglia spirituale. In quanto coniugi e genitori dovete scegliere se accettare la sfida come se fosse un’avventura o se abbandonare il campo. Non si può fuggire da questa scelta perché non scegliere significa scegliere la resa. [...] La famiglia ha una natura, un significato, una struttura e uno scopo prestabiliti. È una questione importante perché è il terreno
«La rivoluzione sessuale si è ribellata con arroganza contro la natura umana, una natura che non crescerà mai in maniera vigorosa nella confusione e nell’assenza di autocontrollo».
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naturale destinato alla crescita di ogni bambino. La natura della famiglia, all’interno della quale ogni essere umano è concepito e allevato, richiede qualcosa di più di una maternità e di una paternità biologica. Essa richiede una realtà aggiuntiva, una realtà protettiva, che parla alla nostra dignità di persone e che oggi dev’essere difesa a gran voce: è il matrimonio». Il vescovo spiega che il matrimonio non è un costrutto sociale, bensì un’istituzione presente in ogni società della storia umana perché diretta conseguenza della nostra natura di animali sociali. Esso è responsabile del benessere della società: «Quando il matrimonio è prospero e simile a un giardino, la società è forte. Quando il matrimonio diventa simile a una giungla, la società soffre». Purtroppo farlo funzionare non è facile, perché l’amore vero comporta sempre dei rischi, primo fra tutti quello di rimanere delusi
e di ritrovarsi con il cuore spezzato. Per fuggire da questi rischi molti si rifugiano nelle false promesse della rivoluzione sessuale, che hanno causato solamente divisioni: «Il piacere sessuale separato dalla procreazione, la sessualità dal matrimonio, l’uomo dalla donna mediante il divorzio, la donna dal figlio tramite l’aborto, gli anziani dai figli che potrebbero prendersi cura di loro. Tutte queste cose sono una piaga di sofferenza di un’intensità che il mondo non ha mai conosciuto prima d’ora». La cura di queste piaghe può avvenire solo se i coniugi e i genitori si impegneranno a dare testimonianza del vero amore. L’esortazione si chiude proprio con questo riflessione: «Quando fate dei sacrifici gli uni per gli altri, quando vi incoraggiate e vi perdonate a vicenda, quando accogliete i figli e li allevate secondo la fede cattolica, state aiutando la nostra scettica generazione a credere che l’amore libero, totale, fedele e fecondo sia ancora possibile».
«La vita familiare si trova in un campo di battaglia spirituale. In quanto coniugi e genitori dovete scegliere se accettare la sfida come se fosse un’avventura o se abbandonare il campo».
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I bambini in una società “sessocentrica” Salvatore Tropea
In un contesto sociale dove il sesso viene addirittura idolatrato, pare che i bambini abbiano bisogno primariamente e principalmente di educazione sessuale. A questo proposito, abbiamo chiesto un parere allo psichiatra, scrittore e opinionista Alessandro Meluzzi.
Sempre più spesso si sente parlare – e si deve di conseguenza affrontare il problema – della sessualizzazione precoce dei bambini. Fin da piccoli, infatti, si trovano bombardati, palesemente o in modo latente, da messaggi carichi di riferimenti alla sessualità, a pratiche degenerate e ad argomenti che nulla hanno a che vedere con il mondo dei bambini. Una questione che tocca tutti: dalla famiglia, alla scuola, a qualsiasi realtà educativa e ricreativa. Un problema che, ovviamente, rischia di avere pesanti ripercussioni sulla psiche proprio dei bambini e sui loro comportamenti attuali e futuri. Pro Vita & Famiglia ha dialogato sul tema con Alessandro Meluzzi. Da professionista della psiche – non da credente – il sesso precoce ai ragazzini fa male sia vederlo, sia praticarlo? Perché?
Alessandro Meluzzi
«Io sono dell’idea che la sessualità negli adolescenti, e soprattutto nei bambini, debba seguire i loro tempi. Quindi bisogna sicuramente rispondere alle domande che loro pongono, mentre non bisogna proporre domande che invece loro non fanno e non bisogna, allo stesso tempo, rendere ridicola l’educazione sessuale trasformandola in un gioco di coniglietti, di parodie, di cartoni animati e così via.
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Quello di cui c’è veramente bisogno, inoltre, è inserire l’educazione sessuale all’interno della discussione più ampia dell’educazione sentimentale, che non è una cosa da insegnanti di scienze o biologia ma è una cosa infinitamente più complessa. Direi quindi che di queste questioni non c’è ragione di parlare con i bambini più del dovuto. Tutti noi veniamo da un mondo e da una generazione dove siamo riusciti a fare educazione sessuale senza essere tallonati da insegnanti, genitori o adulti che volevano per forza insegnarci come andavano le cose. Per questi motivi sono contrario a un esibizionismo e all’estremizzazione di questi concetti. E sono contrario ai discorsi sulla sessualità calati dall’alto dagli adulti come una vera e propria imposizione». Come difendere i nostri bambini dalla pornografia “soft” che sta dappertutto (dalle pubblicità per strada, ai cartoni animati...)? «Purtroppo i mass media sono quello che sono in tal senso e non ci sono vere difese. Quello che mi turba maggiormente, più che la pornografia soft, è il fatto che mentre noi veniamo da una generazione di cartoni animati razionali, basati su valori solidi, adesso si insiste continuamente su cartoon omofili, come il caso Frozen insegna. Quindi semmai il problema sta proprio qui, ovvero nella morale che c’è dietro le cose, in questo caso dietro ciò che viene trasmesso e mandato in onda. Non è tanto il singolo episodio o il singolo cartone che possiamo reputare di cattivo gusto o inappropriato, ma è la filosofia che sta dietro e che viene veicolata ovunque da un certo mainstream». Chi deve fare educazione sessuale ai bambini? «Secondo me innanzitutto la famiglia deve svolgere il vero e proprio ruolo decisivo. Poi la scuola deve metterci la parte della cultura. Come dicevo prima, nell’ambito scolastico l’educazione sessuale e sentimentale non è solo una questione di gameti, di biologia o di storielle ad hoc, ma è una questione così ampia che arriva, e dovrebbe arrivare, nell’educazione fino al quinto canto dell’Inferno di Dante, che coinvolge anche la poesia amorosa di Catullo, che attraversa lo Stil Novo, il Barocco, la storia dell’arte. Quindi
l’educazione sentimentale è un’educazione della civiltà, non è una semplice e mera questione biologica». A scuola, in un contesto “classe”, cosa si può fare? «Penso sinceramente che si debba fare il meno possibile, il minimo indispensabile. Dunque rispondere alle domande poste dai bambini, dare le informazioni sanitarie preliminari e comprensibili alle varie età dei bambini, dunque anche quelle concernenti le malattie sessualmente trasmissibili o i concetti elementari di fisiologia. Ciò detto però non ci si dovrebbe addentrare in altre questioni, quindi in tematiche come il genere, l’omosessualità, l’orgasmo, il piacere. Lasciando a tutti la possibilità di provare determinate cose nei tempi e nei modi giusti».
Piselli e farfalline… sono più belli i maschi o le bambine? di Vittoria Facchini, edizioni Fatatrac, è un manuale del corpo umano che può capitare nelle mani dei nostri figli attraverso la scuola o le biblioteche per ragazzi. Contiene precise spiegazioni su come fare sesso (nel retro vi è proprio scritto: «Tutto ciò che i bambini vorrebbero sapere sul sesso»). Tutti i disegni con i quali è illustrato il testo sono nudi: si descrivono i diversi tipi di “tette”, i diversi tipi di posizioni in cui baciarsi, i diversi tipi di mutandine e via discorrendo. In una delle ultime pagine, poi, dove si descrivono i piaceri dei corpi nudi di due persone che stanno insieme, c’è una vena feticista, visto che un’immagine ritrae un uomo che lecca i piedi di una donna giustificandolo così: «Ai corpi e ai cuori fa piacere assaggiare tutti i sapori, sentire i profumi e gli odori».
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Il dolore, il degrado, il riscatto Kevin Witt
Che tipo di persone sono questi drag queen, che in America leggono fiabe gay ai bambini nelle biblioteche pubbliche e in Italia intrattengono i ragazzini negli eventi legati ai gay pride? Proponiamo ai nostri Lettori la testimonianza di un ex drag queen, Kevin Witt, pubblicata in origine da Mass Resistance (traduzione con adattamenti non rivista dall’Autore). Premessa È politicamente molto scorretto riferirsi con articoli e pronomi maschili “ai” drag queen. Sarà probabilmente considerato provocatorio dai più. I nostri Lettori, però, comprenderanno che questi “esercizi lessicali” sono molto importanti per rinforzare le nostre difese immunitarie dal lavaggio del cervello che subiamo ormai da decenni.
Quanti di noi usano ormai espressioni come “figli di due mamme” o “figli di due papà”, quando sappiamo benissimo che due maschi e due femmine non possono avere figli? Quanti parlano di “interruzione di gravidanza”, quando si dovrebbe dire “interruzione di bambino”? Quindi, per amore di verità e in ossequio alla realtà, per noi chi nasce maschio è un “lui”, anche se si traveste e si atteggia da femmina.
Kevin Witt
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Gli psicologi hanno accentuato il problema. È scioccante il modo in cui i professionisti che operano nel campo della psiche umana (medici e psicologi) anni fa abbiano ceduto alle istanze del movimento Lgbt.
Sono stato omosessuale, transessuale, drag queen e mi sono prostituito per vent’anni. Ero solito esibirmi in spettacoli
di varietà con le stesse persone che intrattengono i bambini nelle biblioteche di questa città (Dallas, nel Texas, n.d.T.). Cinque anni e mezzo fa ho incontrato Gesù, che mi ha liberato. Da allora la mia vita è cambiata in meglio, sono felice, sono molto più felice di quanto non sia mai stato. Oggi dirigo la sezione di Mass Resistance di Dallas e aiuto i genitori a opporsi alle drag queen Story Hours che vengono organizzate nelle biblioteche pubbliche e nelle grandi librerie. La maggior parte delle persone non è consapevole del trauma interiore e del dolore con cui convivono queste persone.
Essere un drag queen fa parte di uno stile di vita molto autodistruttivo...
È scioccante il modo in cui gli ordini professionali che operano nel campo della psiche umana (medici e psicologi) anni fa abbiano ceduto alle istanze del movimento Lgbt, sacrificando la loro missione, cioè l’aiuto concreto ed effettivo alle persone in sofferenza, a favore del “politicamente corretto”. La punta estrema di questo scandalo sono le leggi che pongono il divieto di intraprendere terapie riparative per chi soffre a causa delle proprie tendenze sessuali, leggi sponsorizzate in tutti i Paesi dall’attivismo Lgbt. I professionisti – per legge – possono solo aiutare le persone “affermare” quelle tendenze (che portano a un comportamento auto-distruttivo) e devono guardarsi bene dal voler risalire alle cause per trattarle e risolverle. Io stesso sono andato dai “terapisti di genere” quando ero più giovane. Ogni volta che dicevo loro che ero stato violentato e molestato [da bambino], loro rispondevano: «Oh, dovresti solo essere una donna!». Cercavo aiuto, ma tutto ciò che mi è stato dato è stata l’affermazione della mia omosessualità e transessualità. Alla fine è stato Gesù che mi ha salvato. Oggi partecipo ai gay pride in tutto il Texas per diffondere la Parola di Dio tra i partecipanti.
Vivevo costantemente in depressione. Ero un alcolizzato. Ho avuto rapporti omoerotici con uomini di ogni genere: ho avuto anche cinque partner diversi in un solo giorno. Ero un pervertito.
Sono stato molestato e violentato da bambino: la maggior parte dei transessuali,
dei drag queen e degli omosessuali che conosco e che ho incontrato sono stati abusati o molestati sessualmente oppure sono stati trascurati emotivamente dal padre. Questa è la principale causa che porta le persone a condurre una vita così.
Le “Drag Queen Story Hours” sono eventi molto in voga in Canada e negli Usa: le biblioteche o le grandi librerie ospitano dei travestiti che raccontano favole ai bambini e li “educano” alla “morale” sessuale Lgbtqia (...). Non c’è da stupirsi che ora vadano di moda i “drag kids”, come il bambino nella foto Nemis Melancon, 10 anni, in “arte” Lactatia.
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Siamo ancora liberi di dire mamma e papà? Salvatore Tropea
La parola allo psicoterapeuta Giancarlo Ricci, inquisito per aver espresso la propria opinione professionale sull’importanza della “madre” e del “padre”.
Giancarlo Ricci, psicoterapeuta milanese con quarant’anni di esperienza alle spalle e autore di numerosi e apprezzati volumi, è noto per essere stato inquisito per aver difeso, citiamo testualmente, «la funzione essenziale e costitutiva di padre e madre nella costituzione del soggetto». Infatti, secondo chi ha aperto il procedimento, ossia l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, questa frase sarebbe stata discriminatoria nei confronti delle cosiddette “famiglie arcobaleno”. I fatti risalgono alla sera del 21 gennaio 2016, quando Ricci partecipò alla trasmissione televisiva Dalla vostra parte, condotta dal giornalista Paolo Del Debbio su Rete 4. Il tema della serata era «Mentre il Parlamento discute la legge sulle unioni civili, il Paese si riscopre omofobo?». Abbiamo intervistato lo psicanalista, che ha ripercorso con noi la vicenda, spiegandoci le sue posizioni e le conseguenze che ha avuto nel suo lavoro e nell’attività pubblica che svolge come professionista. Dettagli e situazioni che ha anche approfondito nel libro che ha scritto per Sugarco, proprio su questa vicenda, dal titolo Il tempo della post libertà. Il processo a suo carico è stato archiviato: ci vuole raccontare brevemente perché è finito sotto accusa? «È arrivato un esposto all’Ordine degli Psicologi dopo che ero intervenuto in una trasmissione, Dalla vostra parte, dedicata al dibattito intorno alle unioni civili, nel gennaio del 2016, e appunto l’Ordine degli Psicologi mi ha notificato questo documento dove mi
Il dott. Ricci è stato inquisito per aver difeso «la funzione essenziale e costitutiva di padre e madre nella costituzione del soggetto».
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si accusava di comportamenti non professionali, di aver parlato in nome dell’intera categoria nonostante l’Ordine avesse già dato delle linee guida prestabilite, e in particolare mi si accusava di aver detto che per lo sviluppo di un figlio occorrono una madre e un padre. L’obiezione sottolineata in questo esposto era che questa affermazione discrimina le “famiglie arcobaleno”. Altre cose per cui venivo imputato erano che non ero documentato, che avrei dovuto citare fonti scientifiche durante questa trasmissione e che ritenevo che l’omosessualità non potesse essere equiparata all’eterosessualità. L’Ordine avvia quindi un procedimento disciplinare a mio carico. Si sono svolte poi diverse udienze nell’arco di un paio di anni. Sono stato difeso dagli avvocati Davide Fortunato e Valeria Gerla, fino ad arrivare al gennaio di quest’anno con un’archiviazione che però ha avuto il sapore di un’assoluzione per insufficienza di prove. Questo documento, infatti, afferma che l’Ordine non è rimasto convinto delle mie affermazioni, che tuttavia esiste la libertà di espressione, che quello che ho detto non è in linea con l’Ordine degli Psicologi,
ma l’Ordine stesso è costretto ad archiviare perché non sono emersi elementi contrari». Dopo e durante questo procedimento il suo lavoro è cambiato? «Qualche difficoltà l’ho trovata. Non tanto nel mio lavoro in studio, quanto a livello della comunità degli psicologi, nel senso che è come se fossi stato messo in quarantena per tre anni. Ho dovuto disdire e rimandare varie iniziative a livello pubblico e sociale. Allo stesso tempo, però, ho ricevuto molta solidarietà, soprattutto da parte del mondo cattolico, anche da parte di sconosciuti che mi hanno più volte incitato a insistere e non mollare. È stata fatta anche una raccolta di firme con CitizenGo, che ha raggiunto quasi le 4.900 firme. Nel frattempo – e di questo devo ringraziare l’Ordine – ho scritto un libro polemico sul tema della libertà, dove parto dalla mia vicenda ma poi allargo la visuale sulla società e quindi su come oggi, nel nostro mondo e nella psicanalisi, la libertà non sia sempre tutelata come si vuole far credere. In definitiva posso dire comunque di essere contento di come è andata la vicenda».
Il dottor Joseph Nicolosi (1947-2017) nel 1980 ha fondato la Thomas Aquinas Psychological Clinic di Encino, Los Angeles dove, per oltre trent'anni, ha esercitato la terapia riparativa dell'omosessualità, fino alla sua morte improvvisa (e non del tutto chiara) nel marzo 2017. È stato cofondatore della National Association for Research and Therapy of Homosexuality (NARTH, Associazione nazionale per la ricerca e terapia dell'omosessualità), associazione tuttora attiva negli Stati Uniti. Le terapie riparative da lui proposte non hanno nulla di inumano, come sostengono i suoi detrattori. Nicolosi diceva che non considerava l’omosessualità una patologia, ma la terapia serviva ad aiutare quegli omosessuali che non vivevano serenamente la loro condizione e che liberamente e spontaneamente desideravano recuperare l’eterosessualità latente in loro.
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Cosa ne pensa della censura di Amazon ai libri di Joseph Nicolosi?
questa denuncia ad Amazon, ma poi nel concreto c’è e ha i suoi effetti».
«Questa di Amazon mi sembra davvero una conseguenza dell’influenza delle lobby Lgbt altrimenti, se vogliamo essere prudenti, dovremmo dire che è a sua volta una prudenza da parte di Amazon. Certamente Nicolosi, con la sua terapia riparativa, ha dato fastidio e ha suscitato polemiche, perché rimetteva in gioco i capisaldi di quell’ideologia che possiamo riassumere con il termine di omosessualismo, che è un’altra cosa rispetto all’omosessualità. Amazon quindi avrà subito, secondo me, delle pressioni perché vendere i suoi libri sarebbe stato scandaloso. Questo però a mio parere fa pensare che il nostro mondo – che si fregia di essere liberalista e a tutela dei diritti – in realtà propone una libertà condizionata. Si potrebbe parlare di “caccia alle streghe”, ma quella era qualcosa di pubblico, alla luce del sole. Nella contemporaneità, invece, c’è qualcosa che funziona in modo poco visibile e molto silenzioso, perché appunto io non sono a conoscenza di chi effettivamente abbia lanciato
Un altro dibattito molto attuale è stato quello sulla Triptorelina che viene data ai bambini. Ma ne hanno davvero bisogno per motivi psicologici? «Penso a questa cosa come qualcosa di molto preoccupante, nel senso che viene fatta passare come una questione medica, ma in realtà è una cosa che ha una dimensione e una portata sociale diversa. Dal mio punto di vista non si tratta tanto di un bambino o di una bambina che per problemi medici ha bisogno che il suo sviluppo psico-sessuale sia inibito, ma il vero nodo è rappresentato dai genitori. Come può accadere, come si può pensare che dei genitori possano approvare una terapia di questo tipo, se non appunto approvando la teoria gender? Potrebbero sembrare parole desuete, ma occorre ritornare a uno stile educativo più forte e deciso, altrimenti si finisce per approvare qualsiasi desiderio dei bambini, anche quello di non sentirsi idoneo in un corpo femminile o maschile».
«Ho scritto un libro polemico sul tema della libertà, dove parto dalla mia vicenda ma poi allargo la visuale sulla società e quindi su come oggi, nel nostro mondo e nella psicanalisi, la libertà non sia sempre tutelata come si vuole far credere».
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Colossi della Tv e del cinema vs. America prolife Gloria Pirro
L’arte è sempre stata strumento di propaganda: Netflix e Disney sono da molti anni schierati pro aborto e pro Lgbt.
Le migliori battaglie iniziano sempre così: con una decisione scomoda. In questo caso a scatenare l’inferno è stata la legge firmata da Brian Kemp, governatore della Georgia, che vieta il ricorso all’aborto dopo l’individuazione del battito cardiaco del bambino nell’utero. La cosiddetta “Legge sul battito del cuore” non era destinata fin dall’inizio ad avere vita facile; gli oppositori hanno immediatamente contestato il fatto che la legge renda molto difficile l’aborto, visto che in genere il battito del cuore del bambino si riscontra intorno alla sesta settimana di gestazione e la maggior parte delle donne non si rende conto di essere incinta prima di tale lasso di tempo. La legge dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio del prossimo anno, ma è probabile che i ricorsi finora presentati per bloccarla giungano alla Corte Suprema: i pro life sperano che ciò avvenga quando alla
Corte siederà una maggioranza solida di giudici disposti a ribaltare la sentenza Roe vs Wade che nel 1973 di fatto legalizzò l’aborto a richiesta e per tutti i nove mesi. Ed è qui che entra in campo Netflix. Ted Sarandos, responsabile dei contenuti della famosa piattaforma online di servizi di intrattenimento on demand (il cui fatturato nel 2018 è stato di 15,79 miliardi di dollari), ha rilasciato delle dichiarazioni apparse in esclusiva in un articolo di Variety il 28 maggio scorso, in cui affermava che Netflix ritirerà le produzioni che sta girando attualmente in Georgia se la legge sull’aborto non verrà rivista; questo per rispettare il “diritto alla scelta” (cioè il diritto all’aborto) delle donne che lavorano per Netflix. A Netflix ha fatto eco pochi giorni dopo il gigante Disney; altre case di produzione,
Lo star system americano invoca il boicottaggio della Georgia e degli altri Stati federati che hanno varato leggi pro life.
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come la Warner Media, hanno affermato che considereranno anche loro la possibilità di boicottare la Georgia come sede per le future produzioni nel caso in cui la legge entri in vigore. Si tratta di un ricatto importante: Netflix gira in Georgia una delle sue serie di maggior successo, Stranger Things, per non parlare di Ozark e della più recente Insatiable. A proposito di quest’ultima: l’attrice Alyssa Milano, ex star di Streghe che interpreta uno dei personaggi principali della serie, ha lanciato uno sciopero del sesso con l’hashtag #sexstrike, invitando le donne ad astenersi dai rapporti sessuali finché il loro diritto all’aborto non sarà ripristinato con la messa al bando delle leggi pro life in Georgia. La proposta della novella Lisistrata ha fatto il giro di Twitter in poche ore, suscitando numerosi consensi. E ci suscita qualche perplessità: ma come, quoque tu, Alyssa, una delle artefici del #metoo, lanci uno sciopero il cui sottinteso è che il sesso è una cosa che si fa soprattutto per gli uomini? La facciata colorata e accattivante dei contenuti di intrattenimento nasconde quella molto meno accattivante della propaganda: basta in effetti sfogliare il catalogo Netflix per rendersene conto. E dire che era nata come una piattaforma coraggiosa che diffondeva contenuti interessanti e non sempre politicamente corretti… man mano che il successo della piattaforma è cresciuto, l’adesione al politicamente corretto
si è fatta sempre più evidente e la qualità della maggior parte dei contenuti originali è scesa parecchio: la produzione citata in precedenza, Insatiable, è stata criticata anche dagli addetti ai lavori per la superficialità con cui affronta alcune tematiche, tra cui il bodyshaming (cioè i commenti critici, soprattutto online, sul corpo e le imperfezioni fisiche del prossimo) e i disturbi dell’alimentazione. L’arte è sempre stata, almeno in parte, strumento di propaganda: Netflix e Disney sono ormai, da molti anni, come molti altri colossi, schierati al lato dei pro choice, delle rivendicazioni femministe, dei “diritti” delle minoranze omosessuali e le produzioni seguono – dichiaratamente o meno – queste idee di fondo. Anche quelle più insospettabili: ve l’aspettavate forse la svolta super femminista del live action di Aladdin? Più che un’adesione reale si tratta forse di scelte di mercato, di questioni di profitto. Chi può dirlo? Di certo, se il peso delle minacce di Disney e Netflix riuscirà a fermare la legge di Kemp, questo non potrà che confermare che si tratta sempre meno di intrattenimento e sempre più, in qualche modo, di politica e di un tentativo ben congegnato di diffondere ovunque idee di parte. Sarà forse un caso che la quinta stagione di Black Mirror, serie rinomata per il modo caustico in cui criticava e denunciava i pericoli dei nuovi media, abbia perso mordente e si sia trasformata in un prodotto qualsiasi?
La facciata colorata e accattivante dei contenuti di intrattenimento nasconde quella molto meno accattivante della propaganda.
Alyssa Milano ha lanciato uno “sciopero del sesso”: forse perché lei, femminista convinta, fa sesso soprattutto per far contenti gli uomini?
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Alcuni pro choice dell’industria cinematografica, come il regista Stephen Robert Morse (Amanda Knox, EuroTrump) e i produttori Jordan Peele e J.J. Abrams (Lovecraft Country) si sono sorprendentemente schierati contro il boicottaggio proposto da Netflix e Disney, facendo notare che esso, più che fermare la legge, danneggerà l’industria cinematografica locale dove lavorano molti Afroamericani e molte donne (sic.), e hanno proposto piuttosto che si combatta la legge “ingiusta” devolvendo parte dei proventi delle produzioni cinematografiche alla nota American Civil Liberties Union and Fair Fight Action (ACLU), affinché utilizzi i fondi per le sue battaglie legali pro choice. Nel frattempo, in diversi altri Stati federati americani sono state varate norme restrittive dell’aborto: in Alabama a maggio è stata approvata una delle leggi più severe degli Stati Uniti in materia, che oltre a proibire l’aborto in qualsiasi circostanza (tranne quando ci sia un serio e documentato rischio per la vita della madre) prevede pene severissime per chi tenti di praticarlo. In Ohio, in Kentucky, in Louisiana sono state approvate altre “heartbeat bills”, che proibiscono l’aborto dopo la sesta settimana; in Mississippi invece la proposta di legge, che doveva entrare in vigore nei primi giorni di luglio, è stata bloccata. In Missouri il ricorso all’aborto è stato proibito dopo che siano trascorse otto settimane di gravidanza e inoltre l’unica clinica abortista del territorio, appartenente alla Planned Parenthood, rischia di chiudere i battenti in
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seguito ad alcuni accertamenti giudiziari su casi di lesioni procurate alle donne durante l’aborto, per i quali lo Stato del Missouri potrebbe non rinnovare la licenza alla struttura. L’Arkansas e l’Utah, meno severi, permettono che si faccia ricorso all’aborto fino al quinto mese. E la lista di Stati dove l’ondata pro life si sta diffondendo sarebbe ancora lunga: secondo una statistica del Guttmacher Institute, dei cinquanta Stati americani, trenta sono molto ostili, o almeno alquanto ostili, alle politiche abortiste. Oltre a Netflix, alla Disney e alla Warner Media, una fetta consistente dello star system (tra cui le cantanti Lady Gaga e Rihanna o gli attori Chris Evans e Rheese Whiterspoon...) ha gridato allo scandalo e hanno invitato al boicottaggio di tutti gli Stati colpevoli di aver messo in discussione il diritto delle madri di uccidere i propri figli. Voce fuori dal coro, Clint Eastwood, che nonostante non si possa definire un pro life, ha tuttavia ignorato i suoi colleghi e girerà il suo prossimo film proprio in Georgia. Ma, almeno nel caso di Netflix, è valsa la regola del chi la fa, l’aspetti: la piattaforma di streaming ha perso una fetta consistente di abbonati (sembra circa 126.000) dopo le dichiarazioni sulla Georgia, un modo silenzioso ma efficace che gli utenti pro life hanno avuto di manifestare il proprio dissenso. Chi di boicottaggio ferisce, di boicottaggio perisce.
Il Magical Pride, un vero e proprio gaypride, è divenuto un evento ufficiale Disney (avete firmato la petizione di Pro Vita & Famiglia, vero?), i cartoni e i telefilm destinati ai nostri figli sono sempre più contaminati dalla propaganda Lgbt: già l’anno scorso la Disney aveva pubblicizzato le “orecchie arcobaleno di Topolino”... non stupisce che si sia schierata per il boicottaggio della Georgia e degli altri Stati americani pro life.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Capitano della mia anima Di recente è stato pubblicato un libro scritto dal nostro amico Gianmaria Spagnoletti, che per la prima volta ha voluto dare una testimonianza di vita attraverso questo mezzo.
Luca Scalise
La prima impresa della vita è nascere. La seconda è sopravvivere. Questa è in sintesi la storia di Peter, un “giovane dei nostri tempi” che, appena dopo esser venuto al mondo, ha il suo primo “incontro con la morte”: una circostanza fortuita imprime alla sua vita una svolta imprevista che la segnerà per sempre. E Peter si troverà per sempre a fare i conti con un corpo che a fatica gli ubbidisce: non può correre, non può saltare, ogni movimento gli costa uno sforzo incredibile. È un problema, quello del limite fisico, che inizialmente lo abbatte, ma poi diventa la sua sfida, educa la sua forza di volontà nella vita, nello sport, nell’amicizia e nell’amore. Senza farsi fermare dagli inevitabili fallimenti, Peter riesce nell’obiettivo di trasformare quell’ostacolo in una risorsa che lo rende più forte e determinato persino dei cosiddetti “normali”. Senza curarsi del giudizio degli altri, Peter cerca di trovare il suo limite per superarlo. E riesce a dare un senso anche al suo corpo “storto”, a quell’incidente senza un “perché” che lo ha reso imperfetto. «Non importa quanto sia stretta la porta, quanto impietosa la vita: io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima». (Dalla presentazione del libro sul sito dell’Editrice).
ottobre 2019
Di cosa tratta Capitano della mia anima? Lo abbiamo chiesto direttamente all’Autore... Gianmaria, chi è questo Peter? «Peter è il protagonista del romanzo, cui ho affidato pensieri e riflessioni in libertà. Sicuramente è un mio alter ego, ma volevo anche che fosse “uno qualunque”, in cui qualsiasi Lettore può riconoscersi». Come mai hai deciso di scrivere un libro? «Mi sono messo a scrivere perché da sempre sognavo che lo avrei fatto; perché ero convinto di avere una bella storia da raccontare; per dare una testimonianza di vita; e anche perché mi spaventa che si stia affermando una logica “pro-morte” per cui venga ritenuto più conveniente sopprimere il paziente piuttosto che curarlo. Che succederà se continueremo ad alzare l’asticella?». Che cosa porta una persona come te a cercare sempre qualche avventura?
Nolan, lo scrittore tetraplegico autore di Sotto l’occhio dell’orologio. Poi tanti altri meno conosciuti che ho avuto il piacere di incontrare. E in mezzo a tutte le mie avventure e disavventure c’è sempre stata la ricerca di senso della vita, che significa anche amore per la letteratura. Io sento di aver fatto una conquista importante accettando il mio stato e pensando che nonostante tutto nulla era impossibile: ho girato mezzo mondo, ho percorso difficili sentieri di montagna, sono stato sugli sci e persino su un aereo da acrobazia. Insomma, le avventure non mi sono mancate». Infine, quale messaggio vorresti lanciare ai genitori di bambini disabili? «Vorrei dire a chi è nelle stesse mie condizioni: “Non mollate”. E ai loro genitori: “Amate i vostri figli così come sono”. Non preoccupatevi troppo, vedrete che troveranno una strada nella vita».
«In soldoni ti posso dire che le motivazioni sono queste: mi dà fastidio che la gente comune, nel vedere uno che non cammina normalmente, dica «Poverino!», come se fossi un appestato! Ma in realtà io sto benissimo e non cambierei la mia vita con una diversa. Quello che mi ha aiutato a non abbattermi, a fronte di una prospettiva che non comprendeva una guarigione ma solo dei miglioramenti, è stato quel che segue: le amicizie, la fede, gli amori, il non tirarmi mai indietro. Inoltre, la coscienza di aver avuto una infanzia felice, accompagnata dall’affetto dei miei genitori e familiari: mai, proprio mai, mi hanno fatto sentire diverso o “sbagliato” per come ero. Poi ho avuto anche tanti esempi di persone messe peggio di me, che però sapevano e sanno vivere la propria condizione serenamente. Se devo citare dei famosi ti nomino Antonio Guidi, Alex Zanardi o Christopher
Capitano della mia anima, pubblicato dall’Editrice Massetti Rodella di Roccafranca (BS)
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Notizie Pro Vita & Famiglia
In cineteca Holodomor Raccolto amaro Titolo: Bitter Harvest (Raccolto amaro) Produzione: Canada - UK, 2017 Regia: George Mendeluk Durata: 103 min Genere: drammatico, storico
Tra le pagine di storia “dimenticate” che riguardano i crimini del comunismo ci sono quelle che descrivono l’Holodomor (carestia), la più grande tragedia nazionale del popolo ucraino, con i suoi dieci milioni di morti per fame. Lo sterminio dei kulaki, cioè dei contadini piccoli proprietari terrieri, era cominciato con Lenin negli anni Venti, con deportazioni nei Gulag e fucilazioni dei “nemici del popolo” che si opponevano alla collettivizzazione delle terre. Tra il 1932 e il 1933 Stalin impose la sistematica requisizione del grano e del bestiame e l’Ucraina, che era il “granaio d’Europa”, divenne presto un inferno. «La fame continua a menar strage così imponente fra la popolazione, che resta del tutto inspiegabile come il Mondo rimanga indifferente di fronte a simile catastrofe...»: così, già nel 1933, il
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Mr. Jones Titolo: Mr. Jones Produzione: Polonia - Ucraina - Regno Unito, 2019 Regia: Agnieszka Holland Durata: 141 min. Genere: drammatico, storico
console italiano a Kharkov, Sergio Gradenigo. Oggi, a distanza di 86 anni, ci sono due film che descrivono questa tragedia. Raccolto amaro narra le vicende di Yuri, un artista (al quale a un certo punto impongono la pittura surrealista perché «La realtà è il nemico») che cerca come tanti di fuggire dalla fame con sua moglie: l’impresa non è facile, perché l’Ucraina è divenuta una prigione a cielo aperto... Mr. Jones racconta invece la storia vera di Garreth Jones, un giornalista gallese che apre gli occhi sulla verità del regime sovietico ed è testimone della tragedia ucraina, ma che deve far i conti con la censura che incontra in Occidente, allorché scrive il suo reportagedenuncia.
ottobre 2019
In biblioteca Tolkien Il mito e la grazia Paolo Gulisano Edizioni Ancora
Il Sessantotto Macerie e speranza Giovanni Formicola Edizioni Cantagalli
Si tratta di una rilettura dei temi cristiani nell'opera di J. R. R. Tolkien, autore universalmente noto. L'elemento religioso, fortemente radicato nelle storie di Tolkien e nel loro simbolismo, nasce dal desiderio di comunicare la Verità. Con una trattazione piuttosto agile, il volume presenta una visuale ampia sugli aspetti biografici di Tolkien e fornisce un aiuto alla comprensione del mondo simbolico da lui creato.
Ci stiamo estinguendo. E ci stiamo suicidando: letteralmente. Solo in Italia abbiamo 4.000 suicidi all’anno. Anche non mettere al mondo figli è una forma di suicidio: un suicidio differito. Se vogliamo sapere come siamo arrivati a tutto questo, è necessario ripartire dal Sessantotto. È stato il Sessantotto che ha permesso a una società imperfetta – ma una società in grado di distinguere il bello dal brutto, quindi potente e vitale – di trasformarsi in una società che si sta suicidando immergendosi nel brutto, annegata negli antidepressivi e nella cannabis, con una tristezza, una desolazione che una generazione fa avremmo considerato inimmaginabili. (Silvana De Mari)
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