Supplemento al n° 55 della rivista mensile Notizie ProVita “POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003(CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA1 NE/TN” | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003
CHARLIE
Nel nome di
Notizie
MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES Supplemento alla rivista mensile N. 55 È gradita un’offerta minima di 3 € per aiutarci a coprire i costi di produzione di questo libretto Contatti ProVita Onlus Centralino: 329 0349089 FAX: 0464 1983006 Sito: www.notizieprovita.it Facebook: ProVita Onlus Youtube: ProVita Twitter: @ProVita_Tweet Tutte le foto sono state prese dal web, per eventuali involontarie omissioni l’editore è a disposizione degli aventi diritto www.notizieprovita/contatti
Nel nome di
CHARLIE
Nel nome di Charlie 4
La patologia, il problema dell’accanimento terapeutico, l’infanticidio 11
Toni Brandi - Presidente di ProVita Onlus
Renzo Puccetti - Medico internista, ricercatore e bioeticista
Eutanasia di Stato 22
La via italiana all’eutanasia 28
Assuntina Morresi - Professore e Presidente del Corso di Studio Magistrale in Biotecnologie Molecolari e Industriali dell’Università di Perugia
Eugenia Roccella - Deputato del gruppo misto UDC- IDeA-Identità e Azione, membro della Commissione XII della Camera dei Deputati che ha analizzato e discusso il disegno di legge sulle DAT (testamento biologico)
Hanno ucciso Charlie, Charlie è vivo! 32
L’eugenetica, la cura, il pendio scivoloso 36
Emmanuele Di Leo - Presidente di Steadfast Onlus
Francesco Agnoli - Docente di storia e filosofia, scrittore, storico
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Nel nome di
CHARLIE
di Toni Brandi
Premessa
Questa pubblicazione è dedicata al piccolo Charlie Gard, il bambino che questa estate ha risvegliato la coscienza di milioni di persone. Ma è anche dedicata a tutti i bambini, i malati, i disabili che la nostra “civiltà” trova inutili, scomodi e tende ad eliminare. Era Charlie anche quella donna che nel gennaio scorso è stata uccisa in una casa di cura olandese, mediante iniezione letale, mentre lei stessa si opponeva; era Charlie pure Israel Stinson, a Los Angeles, un bambino che è stato ucciso privandolo di cibo ed acqua, perché i medici lo consideravano incurabile, erano Charlie anche Stephanie Packer, californiana e Barbara Wagner e Randy Stroup in Oregon: malate di cancro a cui l’assicurazione, varata la legge sull’eutanasia, ha sospeso l’assistenza per la chemioterapia offrendo loro, invece, le pillole per suicidarsi. Mentre andiamo in stampa, vengono alla ribalta tanti altri bambini come Charlie: Alfie Evans, di 14 mesi, a Liverpool, Dezmen Licea, in California, Russell Cruzan III, detto Bubby, di 4 mesi, nel Michigan... Tanti, troppi, sono i Charlie nel mondo che vengono uccisi perché la loro vita non è “degna di essere vissuta” e perché è considerata economicamente troppo onerosa. La nostra società si ostina a non raccogliere il messaggio sulla bellezza della vita che ci danno centinaia di persone come Nick Vuijcic, nato senza gambe e braccia, Max Tresoldi, uscito da stato vegetativo dopo 10 anni, Arturino a Baltimora e Emanuele a Lucca, ambedue con la stessa patologia di Charlie, il DJ Andrea Turnu che è nelle stesse condizioni di DJ Fabo; e poi Sara Virgilio, Roberto Panella e tanti, tanti altri di cui i TG non parlano mai. Perché? C’è un attaccamento primordiale alla vita che non è solo istinto di sopravvivenza, ma la certezza interiore che la vita è un bene. C’è un senso in ogni momento dell’esistere umano, un senso che nessuna circostanza per quanto
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avversa può distruggere. Anche Albert Einstein era convinto che «essere consci del lato misterioso e indisponibile della vita è il più bel sentimento che ci sia dato provare: sta alla radice di ogni arte e di ogni scienza vera». Invece, l’edonismo e il materialismo oggi imperanti hanno educato le persone a costruire la propria autostima su denaro, piacere e perfezione fisica. Se si accetta l’idea eugenetica che senza queste cose la vita “non è degna di essere vissuta”, chi - poi - avrà il potere di decidere quando una vita è senza valore? Abbiamo il dovere di opporci a questa mentalità eugenetica, altrimenti saremo corresponsabili della morte di tanti innocenti. Perciò ci siamo sempre battuti per i più deboli, per i piccoli e per tutti coloro che non possono far sentire la loro voce. Ora, rincuorati dal grande movimento di popolo che Charlie Gard ci ha regalato, continuiamo la lotta in nome di Charlie, perché Charlie vive e vivrà sempre nei nostri cuori.
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Addio, piccolo Charlie!
Neanche un anno di vita Il 4 agosto 2017 sarebbe stato il suo primo compleanno. Charlie Gard, il bambino, che ha mosso i cuori di mezzo mondo, invece è stato ucciso una settimana prima, per volontà dei medici e dei giudici del Regno Unito. Alla nascita, Charlie sembrava perfettamente in salute. Si sono accorti della rarissima malattia progressiva che lo indeboliva quando, a circa un mese, il bambino non si muoveva come avrebbe dovuto. A ottobre è stato necessario il ricovero: Charlie non riusciva più ad inspirare e a deglutire da solo.
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I suoi genitori, Chris e Connie, un postino lui e una badante lei, non si sono arresi, però, davanti alla diagnosi infausta ed ineluttabile che i medici del Great Ormond Street Hospital (Gosh) avevano stilato. Si sono informati e hanno saputo che esistevano altri bambini con la malattia di Charlie e che in alcuni casi certe terapie sperimentali usate in America avevano dato buoni risultati: i muscoli dei bambini curati hanno cominciato a rinforzarsi. E così, attraverso un crowd-funding su internet, iniziato a gennaio di quest’anno, 84.000 persone hanno donato un milione e trecentomila sterline per consentire a Charlie il viaggio della speranza negli Stati Uniti. Intanto, però, i medici del Gosh avevano prospettato l’eutanasia del piccolo: staccandolo dai macchinari che lo aiutavano a vivere, Charlie sarebbe morto soffocato. Chris e Connie, che non volevano accorciare la sua vita, per quanto si prospettasse breve, a marzo si sono appellati alla giustizia inglese. Ma questa, in primo grado l’11 aprile, il 25 maggio in appello, l’8 giugno alla Corte Suprema, ha ritenuto - d’accordo col Gosh, che il “miglior interesse” del bambino fosse morire, piuttosto che vivere “una vita non degna di essere vissuta”. I Gard si sono appellati allora alla CEDU, la Corte europea dei diritti umani, che con sentenza a dir poco pilatesca il 27
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giugno ha stabilito che l’ospedale poteva uccidere Charlie e che i tre gradi di processo svoltisi in Inghilterra avevano deciso nel “miglior interesse” del bambino. Non c’è da stupirsi: l’art.3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo sancisce che è lo Stato che deve curare l’interesse dei bambini “tenendo conto” dei diritti e dei doveri dei genitori. I diritti dei genitori sono derubricati a desideri e subordinati alla decisione dell’autorità; i desideri dei genitori di Charlie, infatti, sono stati “presi in considerazione”, ma non esauditi. Neanche quando si sono arresi e hanno chiesto solo di poter portare il bambino a morire a casa loro. Intanto, però, il mondo intero, grazie ai social media, si mobilitava per Charlie. Sicché, l’esecuzione della condanna a morte programmata per il 30 giugno è stata sospesa. Il bambino - di fatto in ostaggio delle autorità - non poteva lasciare l’ospedale, ma il Gosh ha preso in considerazione i messaggi
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inviati da alcuni luminari della neurologia internazionale: americani, come il prof.Hirano, spagnoli, e italiani, come il prof. Bertini dell’ospedale Bambin Gesù di Roma. Costoro si sono ritrovati a consulto al capezzale di Charlie. Purtroppo, però, il tempo - trattandosi di una malattia progressiva - ha giocato contro la speranza: il deterioramento dei muscoli di Charlie era ormai irreversibile. Forse qualcosa si poteva fare per il cervello, ma la morte sarebbe giunta presto inesorabilmente. Il 24 luglio, quando, la Corte Suprema doveva esprimere il suo verdetto finale, Chris e Connie hanno ritirato la richiesta di cure sperimentali: si sono arresi.
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Hanno tentato, però, per un’ultima volta, di portare finalmente il bambino a morire a casa sua. Con delle scuse davvero opinabili, i giudici gliel’hanno ancora una volta negato. L’unica concessione è stata quella di trasferire Charlie in un hospice, dove il 28 luglio, di venerdì, alle 3 del pomeriggio, alcuni giornali hanno scritto che il bambino è stato “estubato” ed è morto. Non è esatto: è stato ucciso. Quando gli hanno tolto il tubo che gli consentiva di inspirare, il bambino ha aperto gli occhi e ha guardato per l’ultima volta i suoi genitori. Ha impiegato 12 minuti per morire. Gli hanno negato l’amore dei suoi e l’abbraccio della mamma per i giorni che ancora gli sarebbero rimasti. Il denaro raccolto dai genitori di Charlie non è stato quasi toccato perché gli avvocati li hanno assistiti a titolo gratuito. Sicché Connie gestirà la “Fondazione Charlie Gard” per aiutare i bambini e le famiglie che si trovino nelle loro stesse condizioni. Chris, dicono, torna a lavorare alle poste.
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LA PATOLOGIA,
di Renzo Puccetti
IL PROBLEMA DELL’ ACCANIMENTO TERAPEUTICO,
L’INFANTICIDIO
I dati clinici Charles Gard nasce a termine e normopeso il 4 agosto 2016. Dopo alcune settimane i genitori notano una ridotta capacità di sollevare la testa e dal 2 ottobre una mancata crescita del peso nonostante venga alimentato ogni 2-3 ore. Dopo la prescrizione di allattamento con una formula ipercalorica somministrata mediante sondino nasogastrico, il peso riprende a crescere. L’11 ottobre Charlie viene però ricoverato al Great Ormond Street Hospital per difficoltà respiratoria e sottoposto a ventilazione meccanica. A metà novembre viene posta diagnosi di sindrome da deplezione del DNA mitocondriale encefalomiopatica, una patologia genetica rarissima causata dalla mutazione ereditata da entrambi i genitori del gene RRM2B necessario alla sintesi e riparazione del DNA dei mitocondri, le strutture cellulari deputate a fornire energia alle cellule del corpo. Le condizioni del bambino si caratterizzavano per profonda ipotonia muscolare generalizzata, grave encefalopatia epilettica e sordità neurosensoriale. Il comitato etico del Gosh, prevedendo la morte a breve, deliberò di non effettuare la tracheostomia.
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Alla fine di dicembre il dr. Michio Hirano, neurologo presso la Columbia University di New York ed esperto di malattie mitocondriali, fu contattato dai genitori di Charlie e ricevette da uno dei medici del Gosh le informazioni sanitarie su Charlie. Pur confermando che la terapia del by-pass nucleosidico (la terapia consiste nel somministrare le sostanze necessarie alla sintesi del DNA mitocondriale scavalcando a valle la tappa metabolica bloccata dall’assenza dell’enzima causata dal difetto genetico) non era mai stata tentata né su modelli animali, né sugli umani affetti da mutazione del gene RRM2B, il medico americano confermò al collega inglese che: - esisteva un razionale teorico che il trattamento potesse essere di beneficio, - che l’unico effetto tossico del trattamento rilevato era stata una diarrea dose-dipendente, - che c’era la possibilità che le sostanze raggiungessero il cervello superando la barriera emato-encefalica, come indicato dal fatto che i pazienti con deplezione del DNA mitocondriale per mutazione TK2 trattati non avevano sviluppato crisi epilettiche o encefalopatia come quelli non trattati. Il dr. Hirano chiese anche una risonanza magnetica cerebrale per escludere la presenza di danni irreversibili all’encefalo. Tale risonanza non rilevò danni strutturali, cosicché i medici del Gosh il 9 gennaio misero in calendario la richiesta al comitato etico dell’ospedale di sottoporre Charlie ad un ciclo di terapia nucleosidica ed in tale previsione, rendendosi necessaria una ventilazione meccanica per un periodo più prolungato, fu programmata la tracheostomia per il 16 gennaio. Per il sopraggiungere dal 9-10 gennaio fino al 27 gennaio di una serie di crisi epilettiche, il 13 gennaio, la riunione del comitato etico del Gosh saltò e il neurologo di Charlie insieme al consulente intensivista comunicarono ai genitori che il trattamento sarebbe stato futile ed avrebbe soltanto prolungato la sofferenza di Charlie. Da qui il dissidio legale tra i sanitari del Gosh e i genitori del bambino.
12 Supplemento al n°55 di Notizie ProVita
ANCHE SULLA COLLINA DELLE CROCI, A ŠIAULIAI IN LITUANIA, SI È PREGATO PER CHARLIE
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Charlie veniva trasformato in una cavia? No. Si trattava non di un trattamento nuovo, ma dell’uso di un trattamento già provato su una differente tipologia di difetto genetico mitocondriale. La somministrazione di trattamenti non approvati può avvenire mediante un processo che viene definito “uso compassionevole” che prevede standards approvati dal comitato etico e dalle agenzie nazionali del farmaco. Il 3 luglio Charlie era stato accettato dall’ospedale romano Bambin Gesù e il 6 luglio dal Presbyterian Hospital and Columbia University Irving Medical Center. In caso di malattie rarissime come quella di Charlie diventa praticamente impossibile instaurare protocolli sperimentali.
14 Supplemento al n°55 di Notizie ProVita
Il trattamento nucleosidico era proporzionato quando a gennaio fu richiesto dai Gard? Sì. Come riconosciuto persino da bioeticisti utilitaristi come Julian Savalescu e Peter Singer in un commento sul British Medical Journal del 2 agosto 20171, non è possibile stabilire quando una possibilità bassissima di miglioramento è troppo bassa per potere essere tentata. Il trattamento nucleosidico era proporzionato quando, a luglio, la richiesta dei Gard è stata presa in considerazione dai medici del GOSH e dal tribunale inglese? No. Sebbene nessuna RM cerebrale abbia dimostrato sostanziali danni irreversibili, la RM muscolare ha evidenziato la perdita pressoché totale di tessuto muscolare in alcuni distretti e la sostituzione avanzata da parte di tessuto adiposo in altri, rendendo futile il trattamento nucleosidico perché sarebbe stato l’equivalente di mettere benzina in un serbatoio senza avere più il motore.
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Julian Savulescu and Peter Singer: Unpicking what we mean by best interests in light of Charlie Gard. BMJ.com 2-8-2017. http://blogs.bmj.com/bmj/2017/08/02/unpicking-whatwe-mean-by-best-interests-in-light-of-charlie-gard/
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L’ostruzione da parte del GOSH alla richiesta dei genitori di Charlie ha precluso la tenuissima speranza di Charlie? Probabilmente sì. I medici inglesi hanno diagnosticato un danno cerebrale irreversibile. Il dottor Hirano e il prof. Enrico Silvio Bertini, esperto di malattie muscolari e neurodegenerative al Bambin Gesù, seppure concordando con l’estrema gravità del danno, non hanno però concordato, anche alla luce della più recente RM cerebrale, sulla totale irreversibilità del danno neurologico. È possibile, seppure non certo, che a gennaio l’atrofia muscolare non fosse così avanzata come a luglio, in tale caso la terapia glucosidica si sarebbe potuta tentare.
16 Supplemento al n°55 di Notizie ProVita
La ventilazione meccanica era di per sé un accanimento terapeutico? No. Come ogni trattamento, la ventilazione meccanica si trasforma in un cosiddetto accanimento terapeutico quando non ventila il paziente, oppure quando ventilare il paziente non assicura comunque gli scambi respiratori, oppure quando assicurare la respirazione è inutile a causa di altre patologie associate, oppure ancora quando per ventilare il paziente lo si sottopone ad un tormento per lui insopportabile. Sono esempi il danno acuto o cronico da ventilazione (ventilator induced lung injury), la presenza di una compromissione polmonare avanzata per precedenti o intercorsi processi infettivi, tumorali, infiammatori, o tossici che non consentono scambi respiratori efficaci quale risultato della ventilazione, oppure problemi a livello della tracheostomia (decubiti, fistole, emorragie, infezioni). Ventilare può inoltre essere futile in presenza di un grave scompenso cardiaco. Nessuna di queste condizioni era presente nel caso di Charlie. La ventilazione era un accanimento terapeutico perché Charlie provava dolore ed infatti riceveva oppiacei?2 No. La sedazione e la terapia antalgica sono routinariamente impiegati nei pazienti sottoposti a ventilazione invasiva. Peraltro gli stessi medici del Gosh hanno dovuto ammettere che, benché fosse possibile che Charlie percepisse dolore, non vi erano prove che ciò avvenisse.3 D’altra parte la maggioranza degli interventi, compresi quelli cronici, comportano l’accettazione di fastidi ed è per eliminarli o ridurli che vengono associati altri presidi medici. I bambini affetti da atrofia muscolo-spinale tipo 1 severa, se si vuole evitare che muoiano entro i 2 anni, sono sottoposti a ventilazione invasiva con tracheostomia diventando incapaci di parlare, ma non per questo li si considera soggetti ad accanimento terapeutico.
È una tesi sostenuta dal prof. Francesco D’Agostino durante la trasmissione Uno Mattina (Rai Uno) il 26 luglio 2017.
Great Ormond Street Hospital v Yates, Gard and Gard [2017] EWHC 972 (Fam). Royal Courts of Justice Tuesday, 11th April 2017. No. FD17P00103. N. 113.
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Charlie non aveva alcuna funzione organica attiva?4 No. Nella sentenza del giudice Francis si legge che cuore, fegato e reni sono colpiti “ma non in maniera severa”.5 Charlie era in morte cerebrale e dunque la ventilazione era un accanimento terapeutico?6 No. I sanitari di Charlie hanno espressamente negato che fosse in stato di morte cerebrale.7
È un’altra tesi sostenuta dal prof. Francesco D’Agostino durante la trasmissione Uno Mattina (Rai Uno) il 26 luglio 2017.
Great Ormond Street Hospital v Yates, Gard and Gard [2017] EWHC 972 (Fam). Royal Courts of Justice Tuesday, 11th April 2017. No. FD17P00103. N. 53.
Tesi sostenuta da un rianimatore in una conversazione con l’autore su Facebook.
Great Ormond Street Hospital v Yates, Gard and Gard [2017] EWHC 972 (Fam). Royal Courts of Justice Tuesday, 11th April 2017. No. FD17P00103. N. 58.
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Charlie era in uno stato di male epilettico e dunque la ventilazione era un trattamento futile?8 No. I sanitari del GOSH hanno posto diagnosi di “severa encefalopatia epilettica”,9 ma non da stato di male epilettico. Charlie è morto a causa della sua malattia? No. La deplezione del DNA mitocondriale è stata la causa remota, l’insufficienza ventilatoria la causa intermedia, ma la rimozione del sostegno vitale ventilatorio è stata la causa finale del decesso. Se un soldato privo di sensi trovasse riparo dalle pallottole nemiche rifugiandosi in una buca e voi, giudicando che non si può vivere tutta la vita in quella situazione, decideste di spingere il soldato fuori e questi venisse colpito a morte, direste che la morte è sopraggiunta soltanto a causa del nemico o vi sentireste corresponsabili? La qualità di vita di Charlie rendeva la morte il suo migliore interesse? No. Questa è la tesi principale dei medici del Gosh, accettata dal giudice Francis, da numerosi commentatori ed infine - forse - dagli stessi genitori del piccolo paziente, una volta che la terapia con by-pass nucleosidico si è dimostrata impraticabile. La misurazione della qualità della vita delle persone malate ha lo scopo di misurare l’efficacia dei trattamenti medici. La qualità di vita di Charles Gard era sicuramente bassissima, ma per avere anche un minimo di qualità è necessario che la vita sia presente, dunque è totalmente falso che indurre la morte abbia migliorato la sua qualità di vita. Per Charlie si è realizzato ciò che il bioeticista Paul Ramsey paventava: «Un approccio basato sulla qualità della vita sposta l’attenzione dal se i trattamenti sono di beneficio ai pazienti al se le vite dei pazienti sono di beneficio ad essi».10 Affermare che la morte è il migliore interesse di una persona che versi in determinate condizioni costituisce solo la variante educata, linguisticamente meno brutale dell’affermare l’esistenza di vite non meritevoli di vita.
Altra tesi sostenuta dallo stesso rianimatore.
Great Ormond Street Hospital v Yates, Gard and Gard [2017] EWHC 972 (Fam). Royal Courts of Justice Tuesday, 11th April 2017. No. FD17P00103. N. 65.
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Paul Ramsey. Ethics at the edges of life. New Haven; Yale University Press, 1978 p. 172. Supplemento al n°55 di Notizie ProVita 19
Assuefatti a premere il pulsante “off” del ventilatore, i medici non troveranno grande differenza a premere il pulsante “on” della macchina del dr. Jack Kevorkian, il tristemente noto “Dottor Morte” americano, se il paziente non sarà in grado di farlo da solo. Una volta che il principio sia stato accettato dalla morale e dalle leggi dello Stato, la soglia è semplicemente una questione stabilita dal giudizio del singolo (oggi per alcuni medici una non specificata capacità di autonomizzazione,11 per altri medici la terminalità,12 domani i criteri potranno essere le risorse assorbite), dalla maggioranza in un contesto democratico, o dal potere dispotico occulto o manifesto. Sul New England Journal of Medicine il dottor Leo Alexander, capo consulente dell’accusa nel processo ai medici nazisti a Norimberga, scrisse un ammonimento per i colleghi delle generazioni future: «Gli inizi sono stati dapprima solo un sottile cambiamento nell’atteggiamento di base dei medici. È cominciato con l’accettazione, alla base del movimento eugenetico, che esiste una cosa come una vita non meritevole di essere vissuta. Questo atteggiamento riguardava all’inizio solo i malati gravi e cronici […] È però importante rendersi conto che il cuneo infinitamente piccolo, che ha funzionato da leva perché questa intera linea di pensiero ricevesse impeto, è stato l’atteggiamento nei confronti del malato non recuperabile».13 11
Alessandra Rigoli. Un medico cattolico: «Trovare nuove risposte a domande inedite». vita.it, 1-7-2017.
12
Mattia Baldini. Per la vita e mai contro la realtà. Charlie, la testimonianza di un medico cattolico. Avvenire, 4-8-2017.
13
Leo Alexander. Medical science under dictatorship. New England Journal of Medicine, 1949; 241(2): 39-47.
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EUTANASIA
di STATO
di Assuntina Morresi
«Vedevo il Great Ormond Street come un grande pesce e Charlie, io e Chris come piccoli pesci. È stato terribilmente intimidatorio trovarci contro un ospedale così potente, un ospedale che, agli occhi di molti, non può sbagliare. Ed è stato altrettanto terrificante capire quanto facilmente i diritti dei genitori possano essere calpestati. Ora sappiamo che gli ospedali hanno avvocati che sono incredibilmente esperti nel vincere questi tipi di casi. Lo fanno tutto il tempo». È un passaggio della commovente intervista a Connie Yeat, la mamma di Charlie Gard, che racconta le ultime ore accanto a suo figlio, prima che
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nell’hospice scelto dal Gosh eseguissero la sentenza della corte e staccassero il respiratore, facendolo morire. Sono frasi che rendono bene l’idea dell’atteggiamento che l’ospedale ha sempre avuto in tutta questa vicenda, e che aiutano a dare una chiave di lettura dei fatti. Il Gosh è uno dei migliori ospedali pediatrici al mondo, il primo nel Regno Unito. Alcuni medici e infermieri, anche italiani, hanno preso le sue difese con toni anche estremamente aspri – usiamo un eufemismo – rivendicando la passione e la competenza di chi passa la vita nelle terapie intensive, dove si combatte quotidianamente la morte e si cerca di guarire, e di curare. Ma per Charlie Gard le cose sono andate diversamente. Ed è bene dirlo con chiarezza, ed è bene che tutti, a partire da quei dottori, riflettano bene su quel che è successo al piccolo inglese, e si chiedano come mai c’è stata una sollevazione planetaria. Tutti noi che ci siamo sentiti vicini ai Gard, abbracciando la loro battaglia, lo abbiamo fatto perché ci è sembrata gravissima e irragionevole, oltre che crudele, la certezza con cui il Gosh ha stabilito che per Charlie morire fosse il suo massimo interesse, e l’ostinazione con cui l’ospedale si è adoperato per raggiungere questo obiettivo quanto prima possibile, contro la volontà dei genitori, impedendo di trasferire il piccolo in un altro ospedale per tentare una cura, e ostacolando persino il suo ritorno a casa per morire. Ci ha scioccato la fretta con cui si è voluto staccare il respiratore, ignorando crudelmente le richieste dei genitori di restare qualche giorno in pace con loro figlio, a casa o in hospice, prima che la sentenza fosse eseguita. Ricorderemo quell’ultima mail di mamma Connie al giudice, la mattina presto del 28 luglio, per qualche ora in più con suo figlio, e quell’ultimo, ennesimo no, perché “il Gosh non è d’accordo”. Il tutto condito da scuse imbarazzanti e senza fondamento: resterà alla storia il problema del ventilatore che non passava dalla porta di casa, smentito Supplemento al n°55 di Notizie ProVita 23
dalla foto del passeggino in cui Charlie è stato portato per una breve passeggiata nel parco dell’hospice, poco prima di morire, con un piccolo ventilatore portatile in vista. Chi ha dato ai medici del Gosh l’autorità di disporre della vita altrui? I fatti mostrano che appena avuta la diagnosi il Gosh ha pressoché abbandonato Charlie dal punto di vista terapeutico e diagnostico, pur mantenendolo ricoverato in terapia intensiva e conservando un livello ottimo di accudimento da parte dello staff infermieristico, che più volte i Gard hanno ringraziato pubblicamente. Ma quello che doveva essere un ricovero ospedaliero protettivo è diventato una sorta di sequestro di persona da cui i Gard non sono riusciti a liberarsi. #ComuniBluXCharlie – Imperia
A novembre 2016, appena avuta la diagnosi della terribile malattia, il comitato etico del Gosh ha rifiutato la richiesta di tracheostomia per il neonato, cioè la modalità seguita per lunghi periodi di respirazione meccanica, e Charlie è restato sempre intubato, cioè con una ventilazione #ComuniBluXCharlie – Rio de Janeiro più stressante. Il motivo, riportato nella prima sentenza, è che «anche prima che Charlie iniziasse a soffrire di epilessia il 15 dicembre 2016, il consenso clinico era che la sua qualità di vita fosse così povera da non dover essere sottoposto alla ventilazione a lungo termine». Sempre dalla sentenza leggiamo uno
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scambio di mail avvenuto fra due dottori che avevano “in cura” Charlie, dove uno scrive all’altro che Chris e Connie “mettono i bastoni fra le ruote”, e che la terapia sperimentale non era il migliore interesse di Charlie. Scambio di mail letto anche dai genitori di Charlie, per errore, e che la dice lunga sul clima che si respirava nell’ospedale. C’è poi da ricordare che il trattamento americano è stato trovato dalla mamma di Charlie cercando in rete, alla fine di dicembre, nonostante la dottoressa che aveva “in cura” il bambino conoscesse bene Michio Hirano, il medico che avrebbe tentato di somministrarlo al piccolo. Un tentativo basato su dati esclusivamente di laborato#ComuniBluXCharlie – Torino rio, e con basse probabilità di riuscita. Ma d’altra parte nelle malattie ultra rare, dove i malati si contano sulle dita di una mano e spesso, come in questo caso, muoiono presto, la sperimentazione può essere solo su singola persona, dietro parere di un comitato etico. Come spiegato bene dal prof. Enrico Bertini dell’Ospedale Bambin Gesù, che ha fatto parte del team che ha visitato Charlie a luglio, il razionale scientifico su cui era basato il trattamento era forte, e d’altra parte non era particolarmente invasivo né rischioso: sostanze in polvere da mischiarsi nel latte, con la diarrea come unico effetto collaterale registrato fino a quel momento, su bambini con malattie simili ma con una mutazione genetica diversa. L’equipe medica del Gosh ha rinunciato anche a seguire lo sviluppo della patologia: sappiamo che quando il team internazionale è arrivato, a luglio, ha trovato la risonanza più recente di Charlie datata in gennaio, e mai ne era stata fatta o richiesta una per tutto il corpo. Il piccolo è stato tenuto sostanzialmente in palliazione per molti mesi perché, secondo i medici – sostenuti dai giudici, che hanno sempre dato loro ragione - la sua qualità
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di vita era tale da non valere non solo tentativi di cura, ma neppure un monitoraggio adeguato delle sue condizioni e, soprattutto, non valeva la pena che vivesse. Lo spiegano i medici del Gosh, in una loro dichiarazione ufficiale: «È stata e resta opinione unanime di tutti coloro che si sono presi cura di Charlie al Gosh che la sospensione della ventilazione e le cure palliative sono tutto ciò che l’ospedale può offrire adeguatamente al suo benessere. Questo perché nella visione del team che lo ha in cura e di tutti coloro che hanno dato la loro seconda opinione al Gosh, lui non ha qualità di vita e non ha alcuna reale prospettiva di qualunque qualità di vita». Per questo il respiratore andava staccato subito, addirittura a novembre, ed è stato il rifiuto dei genitori, prima ancora di “scoprire” la sperimentazione di Hirano, a dare inizio al contenzioso giudiziario, iniziato dal Gosh. Charlie è morto perché, molto malato, gli è stato staccato il respiratore che lo faceva vivere, abbreviando la sua vita. Lo si è fatto in nome della sua mancanza di “qualità di vita”. Lo si è fatto senza il consenso dei suoi genitori. Cos’è questa, se non eutanasia di Stato?
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PREGHIERA PER CHARLIE A SAN MARTINO AL TAGLIAMENTO (PN)
IL ROSARIO PER CHARLIE IN PIAZZA SAN PIETRO Supplemento al n°55 di Notizie ProVita 27
Sarebbe possibile, in Italia, un caso Charlie Gard?
di Eugenia Roccella
LA VIA ITALIANA
ALL’EUTANASIA
Sarebbe possibile, in Italia, un caso Charlie Gard? Sarebbe possibile far morire un bimbo staccandogli il ventilatore, o interrompendo idratazione e alimentazione, contro il volere dei genitori? È inevitabile oggi porsi questa domanda, in particolare dopo che tantissimi italiani si sono mobilitati, in modo generoso e spontaneo, perché al piccolo “prigioniero” del Gosh non fosse interrotta la ventilazione. Ricordo ancora che quando negli Usa la vicenda di Terri Schiavo arrivò alla sua tragica conclusione, molti erano convinti che nel nostro paese mai si sarebbe potuta verificare una situazione analoga. Bastarono pochi mesi, invece, perché con Eluana Englaro si sperimentasse anche in Italia quella via giudiziaria all’eutanasia che era stata praticata con successo in altri paesi, tra cui, appunto, l’America.
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Ormai i cosiddetti nuovi diritti (una definizione che ha l’amaro sapore del paradosso autolesionista) sono introdotti con gli stessi metodi in tutto il mondo occidentale, e il “caso” che si verifica in una nazione è sempre una specie di evento sentinella, che deve metterci in guardia, perché prima o poi capiterà anche altrove, anche da noi. #ComuniBluXCharlie – Terranova
È stato proprio un classico “caso”, quello di Dj Fabo, che ha suscitato un coro mediatico a favore dell’approvazione immediata della legge sulle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico). Eppure in teoria si trattava di questioni molto diverse: Fabo faceva una richiesta esplicita di eutanasia attiva, o più precisamente di suicidio assistito. La legge sulle Dat che si discuteva alla Camera dei deputati, invece, doveva occuparsi solo di regolamentare il consenso informato e le dichiarazioni (poi trasformate in “disposizioni”) anticipate di trattamento, cioè un consenso preventivo, rilasciato per quando non si è più in grado di farlo, a determinati trattamenti sanitari. Naturalmente il consenso implica anche il suo contrario, e le #ComuniBluXCharlie – Alatri Dat finiscono per tradursi facilmente in un rifiuto delle cure. Una intervista televisiva alla presidente dell’Associazione Coscioni, di area radicale, chiariva bene un punto cruciale: non c’era un vero bisogno che Fabo, per morire, lasciasse l’Italia, dichiarava candidamente Maria Antonietta Coscioni.
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Il viaggio in Svizzera era stata una scelta più che altro finalizzata a produrre un maggiore impatto politico e mediatico; sarebbe bastato applicare “la via italiana all’eutanasia” (definizione della stessa Coscioni) e interrompere la ventilazione, per poi praticare una sedazione profonda, come è avvenuto per Piergiorgio Welby. #ComuniBluXCharlie – Genova In realtà questa non è solo una soluzione italiana: in tutto il mondo ormai si evita di fare leggi sull’eutanasia, su cui è difficile trovare un ampio consenso. Molto più semplice arrivare allo stesso risultato grazie alla sospensione delle cure, mascherata il più possibile da scelta autonoma del paziente. Ma l’autodeterminazione c’entra poco, e la storia tragica del piccolo Charlie lo rivela con tremenda chiarezza: non sono i genitori ad aver chiesto di far morire il piccolo, così come per Eluana non c’era nessun consenso informato della ragazza, nemmeno una frase sul diario, una lettera, una qualunque traccia documentata. Non è il consenso del soggetto la chiave della questione, ma il criterio falsamente obiettivo (chi lo stabilisce?) della qualità della vita. I concetti utilizzati in campo #ComuniBluXCharlie – Novara medico e bioetico cambiano, e il rischio è che non ci sia più un territorio semantico e valoriale condiviso, in cui almeno sia possibile capirsi e dialogare anche da posizioni distanti. Basti pensare come è stato stravolto e manipolato il criterio del “best interest”, del miglior interesse del malato. Per il Gosh il miglior interesse
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di Charlie era la morte, perché, come si legge esplicitamente nei documenti dell’ospedale, “lui non ha qualità di vita”. Torniamo quindi alla domanda iniziale: se la legge sulle Dat fosse approvata, sarebbe possibile far morire un bimbo contro la volontà dei genitori, perché i medici ritengono che è il suo miglior interesse? Sì, sarebbe possibile. All’art. 3 la legge attualmente stabilisce che: «Nel caso in cui il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che siano appropriate e necessarie», si ricorre al giudice tutelare, su ricorso del rappresentante del minore o anche del medico. È evidente che si ricorrerà al giudice anche nel caso in cui il conflitto sia a parti rovesciate, cioè il genitore ritenga che certe cure siano appropriate e necessarie e il medico sia di parere contrario. E tutto questo è aggravato dall’art.4, in cui si introduce, come eccezione al rispetto delle Dat, la possibilità che il medico ritenga le volontà del paziente “palesemente incongrue”. Cosa vuol dire il termine incongruo, riferito alle terapie? E come verrà utilizzato questo insolito e innovativo criterio? La volontà di tentare una terapia sperimentale per un malato gravissimo come Charlie, sarebbe giudicata incongrua? Il problema che abbiamo di fronte è la distruzione della cultura del favor vitae, come terreno comune a tutti, credenti e non credenti, legislatori, medici, bioeticisti di qualunque orientamento. Muore, di conseguenza, anche il criterio dell’alleanza terapeutica, della medicina finalizzata al bene del paziente, della valutazione del medico “in scienza e coscienza”. E chi, anche tra i cattolici, ha creduto che per Charlie si trattasse di accanimento terapeutico, non ha capito che, una volta eliminato il favor vitae, una volta posta l’equivalenza tra tutte le scelte, quelle per far vivere e quelle per far morire, il concetto di accanimento terapeutico si dissolve automaticamente. O peggio, viene utilizzato come alibi, come la nuova maschera di una medicina che rischia di rinunciare a se stessa. one rappresentante concordano sulla sospensi In base al ddl sulle DAT, se il medico e il ensuale ice tutelare, si realizza l’eutanasia non cons dei sostegni vitali, o se lo decide il giud e casi simili deve passare: altrimenti potremmo aver del minore o incapace. Il ddl sulle DAT non e Renzi, Alfano e Grillo che hanno espresso a Charlie anche in Italia. Che i politici com chino il ddl sul testamento biologico! solidarietà a Charlie siano coerenti e bloc Supplemento al n°55 di Notizie ProVita 31
Hanno ucciso Charlie,
di Emmanuele Di Leo
CHARLIE È VIVO «Un tonfo al cuore mi fa arrancare. Le parole non escono. Gli occhi bruciano. Estraniandomi, solo un surreale silenzio riesce ad attutire il dolore e la rabbia. Ore 15:12, il nostro guerriero Charlie muore. Hanno ucciso il corpo ma non lo spirito, che con noi continuerà a lottare!» Queste sono state le poche parole che sono riuscito a esprimere sui social lo scorso 28 luglio, giorno della morte di Charlie. Sì, perché in questa triste storia i social sono stati uno strumento fondamentale. Strumento utilizzato dai genitori di Charlie, per comunicare con il mondo, per urlare al mondo la loro richiesta d’aiuto. Strumento per le tante organizzazioni che si sono mosse per dare a Charlie una possibilità di cura. Con Steadfast ci siamo subito mossi per far sentire la voce di Charlie. In poche ore mi sono ritrovato al centro di una mega operazione di salvataggio. Possiamo affermare oggi che la battaglia per il piccolo Charlie ha coinvolto tante persone di religioni, etnie e lingue diverse; distanti migliaia di chilometri l’una dall’altra; persone semplici e grandi personalità come il Santo Padre e il Presidente degli Stati Uniti. Il mondo voleva dargli una possibilità di cura, ma il Gosh ha fatto di tutto per ottenere l’esatto contrario. Charlie è morto e, dalle mie informazioni, mi sento di affermare che non ha avuto una “dolce morte”, bensì atroce. #CharliesArmy, così è denominato l’innumerevole gruppo di persone che a tutti i livelli ha collaborato in questi mesi per la salvezza del piccolo inglese. L’esercito di Charlie. Infatti, ad appena undici mesi, Charlie si è dimostrato un guerriero senza eguali. In pochissimo tempo è riuscito a fare molto di più di quanto una persona comune riuscirebbe in ottanta anni di vita. Charlie lascia una grande eredità al mondo prolife: «Il popolo che combatte per la difesa della vita sa essere, se vuole, un grande gruppo di pressione a livello internazionale,
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suscitando una rivoluzione dell’unità». Così ho affermato in un mio recente editoriale su una testata giornalistica. In tutto questo muoversi, indagare, pregare, agire e consigliare, ho avuto l’onore di stare a stretto contatto con i familiari di Charlie negli ultimi mesi. Ho vissuto questo tempo h24 in modalità operativa, senza sosta, con piccole vittorie, incomprensioni, problemi da risolvere e azioni da organizzare e poi attuare. Dai primi sit-in davanti l’Ambasciata inglese a Roma, organizzati da CitizenGo, alla campagna #ComuniBluPerCharlie ideata proprio da Steadfast e condivisa con CitizenGo, Provita Onlus e Universitari per la Vita, che ha visto l’adesione di molte città italiane e non, fino ad arrivare oltre oceano. Dal Brasile con il suo Cristo Redentore a ponti e palazzi in città americane, da Savona a Marcianise, da Trieste a Corigliano Calabro, dalla Regione Lombardia ad Assisi, passando per Venezia, Genova, Imperia, Todi, Casalboldrino, Tregnano, Cosenza, Perugia, Capodrise, Alatri, Terranuova, Monza, Lerici, Poirino, Arezzo, San Miniato, Montalbano di Elicona, Paola, Arosio, Luino, Terracina, Carloforte, Desenzano del Garda, Cascina, Montevarchi e tante altre città che compongono una lista innumerevole di monumenti e palazzi che nella notte si sono illuminati di blu mostrando piena solidarietà al piccolo Charlie.
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Azioni che hanno visto impegnate innumerevoli persone che nel loro piccolo si sono attivate. Azioni che hanno visto l’impegno di primi cittadini che, con un semplice gesto, hanno sostenuto la causa dei Gard. Innumerevoli le veglie di preghiera: la prima è partita proprio da piazza San Pietro. Ancora ricordo quel giorno quando vi arrivai con Toni Brandi, senza sapere minimamente quante persone avrebbero aderito. Fu una piacevole sorpresa. Decine e decine di persone armate di rosario, schierate come una falange oplitica, tutti in preghiera per Charlie. Da lì grazie all’adesione di altre associazioni, come le Sentinelle in Piedi, è partita l’iniziativa #Pray4Charlie. Veglie fatte in tutto il mondo e a tutte le ore, dall’Italia al Brasile, dal Pakistan alla Polonia, dalla Spagna al Messico, dalla Nigeria agli Stati Uniti… Centinaia di persone riunite sotto Buckingham Palace poi davanti al Colosseo, all’Ambasciata inglese di Milano, ovunque si potesse manifestare la disapprovazione per quanto stava succedendo al piccolo Charlie e alla sua famiglia. Grande successo ha anche avuto la campagna #CharlieGardARoma promossa da ProVita Onlus in seguito all’offerta del Bambin Gesù di ricoverare Charlie: centinaia di foto e video sono apparsi sui social con questo hashtag.
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Charlie è stato il figlio di tutti Dietro a tutto questo movimento comunicativo c’è stato poi un gruppo di persone che dalla mattina alla sera hanno lavorato per preparare documentazioni mediche e trovare vie legali per portare in Italia il bimbo inglese. Tra tanti, non posso dimenticare le nottate fatte con il Centro Studi Livatino che ha seguito dall’Italia tutta la questione legale elaborando piani… Forse una strada si sarebbe potuta percorrere… forse. Charlie doveva essere ucciso il 30 giugno, invece è stato ucciso il 28 luglio: tutti noi gli abbiamo regalato un mese di vita in più. Ora continua a vivere in ognuno di noi. E noi abbiamo ricevuto una nuova opportunità per affermare ciò che ormai non è più scontato: che la vita umana va rispettata e tutelata, sempre. Il caso Charlie Gard, sulla scorta di questa mobilitazione, ci lascia una grande eredità che è nostro dovere non disperdere. Da oggi in poi l’esperienza ci impone di non abbandonarci più al disfattismo, alla convinzione che l’avversario sia sempre più forte, che dunque sia inutile battersi per la tutela della vita. L’imperativo ora è strutturarci. Non è la fine, ma l’inizio di tutto.
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di Francesco Agnoli
L’EUGENETICA, LA CURA,
IL PENDIO SCIVOLOSO
Le vicende di Charlie possono portare ad innumerevoli riflessioni tra storia e filosofia. Ne proporrò solo tre, tra le tante possibili:
L’EUGENETICA In molti hanno ricordato che l’eutanasia sui bambini ha un famoso precedente storico, quello nazionalsocialista. È assolutamente vero. Infatti il celebre medico nazista Josef Mengele scriveva: «Il problema reale è definire quando la vita umana è vita di valore e quando deve essere sradicata». Nella Germania di Hitler venivano sradicate le vite dei bambini affetti da microcefalia, idrocefalia, paralisi e displegia spastica, in nome della definitiva condanna del V comandamento ebraico-cristiano: Non uccidere. Infatti il gerarca Reinhard Heydrich, coinvolto da protagonista sia nel programma eutanasico che nel genocidio ebraico, rivendicava un “diritto ad uccidere”, un “diritto al genocidio”, inteso come «il diritto di cancellare dalla coscienza tedesca ed europea il comandamento ‘Non uccidere’, l’ingiunzione centrale del decalogo, comune a ebrei e cristiani. L’ eutanasia era un elemento chiave della riconquista del ‘diritto ad uccidere’ contro duemila anni di civiltà giudeo-cristiana» (Edouard Husson, Heydrich e la soluzione finale. La decisione del genocidio, Einaudi, Torino, 2010). Ma c’è da aggiungere un’altra considerazione: la patria dell’eugenetica, prima della Germania, fu proprio l’Inghilterra. Fu Francis Galton (18221911), cugino di Charles Darwin, che nel 1883 coniò la parola “eugenics” (da eu: bene e ghignomai: nascere). Il criterio di discriminazione proposto da Galton per identificare “adatti” e “inadatti” fu l’integrazione sociale, o più in breve, il successo, con la conseguenza inevitabile di una visione “classista” per cui poveri, emarginati, alcolizzati, malati, spesso immigrati italiani o irlandesi o neri, vennero catalogati tra gli “inadatti”, tra le persone da isolare, da controllare, da sterilizzare, affinché il loro patrimonio genetico non si diffondesse. 36 Supplemento al n°55 di Notizie ProVita
Il fine di Galton era quello di “guidare attraverso l’eugenetica il corso dell’evoluzione al fine di raggiungere nessun altro scopo se non il bene dell’umanità intera”, sacrificando se necessario i singoli individui, e affiancando alla selezione naturale, incompleta, una selezione artificiale, guidata dagli uomini superiori. Galton, che sposava una filosofia atea, materialista e determinista, negò il peccato originale come categoria teologica, per riproporlo in chiave determinista, come una problematicità biologica, da eliminare in vista di una meritocrazia biologica (anche Hitler riprenderà questo concetto, affermando che l’unico “peccato originale”, cioè l’unica causa del male, fisico e morale, non è quello della teologia ebraico-cristiana ma è la degenerazione razziale). Galton vedeva nella Chiesa cattolica, che aveva condannato l’eugenetica e difendeva i deboli e i “malriusciti”, il grande nemico che voleva “imporre” una improponibile sacralità di ogni vita umana, e nell’eugenetica una sorta di religione laica, che avrebbe realizzato la razza pura, la razza felice, intelligente, bella, giusta e persino ricca del futuro. In questo, sia lui che molti altri eugenisti, come Ernst Haeckel (18341919), zoologo e medico tedesco, amavano rifarsi al mondo antico, pagano, in cui, prima dell’avvento di Cristo, erano ammirati solo gli uomini belli, forti, sani. Il riferimento era soprattutto a Sparta, città in cui i bambini malformati o deboli venivano eliminati, perché poco idonei all’arte della guerra. Furono i Galton, gli Haeckel e i loro seguaci a concepire la medicina non tanto come finalizzata a curare, ma anche e soprattutto, a selezionare, e quindi ad uccidere.
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LA CURA Per la seconda considerazione lascio la parola a Jerome Lejeune, medico, padre della citogenetica e servo di Dio. Nel suo Il messaggio della vita (Cantagalli, Siena, 2002) ricordava come ventun anni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo della Rivoluzione francese «un filosofo fece una proposta di legge per chiedere che ‘fosse finalmente proibito di asfissiare o comunque far morire dissanguati i malati di rabbia’. Questa proposta di legge non fu nemmeno discussa. Fu rimandata allo studio di una commissione, poi tutto finì in un cassetto e non se ne parlò più. Dodici anni dopo nacque un bambino di nome Louis Pasteur. La sua vita fu proprio la dimostrazione che a liberare l’umanità dalla rabbia e dalla peste non furono quelli che asfissiavano i malati di rabbia tra due materassi, o che bruciavano gli appestati nelle loro case, bensì quelli che hanno combattuto la malattia e rispettato il paziente». Chiediamoci: dove sarebbe oggi la medicina se davanti ad ogni malattia “difficile” i medici scegliessero la via intrapresa dai sanitari del Gosh? Da un punto di vista medico, il progresso nella medicina è impossibile quando si preferisce, alle cure sperimentali, la morte certa.
IL PENDIO SCIVOLOSO La terza ed ultima considerazione riguarda il cosiddetto pendio scivoloso cui sempre si giunge, pur gradualmente, nel momento in cui si abbandonano due fondamenti: l’oggettività e l’universalità della legge morale e la non disponibilità della vita umana. Il giudice inglese Francis ha deciso che “il miglior interesse” per il piccolo Charlie era la morte. La decisione è stata presa calpestando una vita umana innocente e indifesa, quella dello stesso Charlie, e il diritto dei genitori del bambino a cercare le cure possibili e ad accompagnare sino alla morte il loro bambino. Ma se Francis, e lo Stato che egli rappresenta, possono decidere della vita e della morte di un innocente, l’uomo è arbitro della vita di un altro uomo? L’uomo può decidere che è lecito uccidere un innocente? La condanna a morte di Charlie è l’affermazione perentoria, ancora una volta, di ciò che avevamo già visto con le terribili dittature del Novecento: l’uomo che non riconosce una Legge superiore, diventa egli stesso di volta in
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volta autore della legge, e come ieri uccideva gli ebrei, gli zingari, i malati, sotto il nazismo, o i cattolici, i borghesi, i piccoli contadini, sotto il comunismo, così oggi impone il suo volere sui piccoli bambini malati. Con l’esito paradossale, notato da Massimo Gandolfini sul quotidiano La Verità del 29 luglio 2017, per cui, in questa corsa alla distruzione del principio dell’indisponibilità della vita umana, «eravamo partiti dalla libera scelta eutanasica come somma cifra dell’autodeterminazione (ricordiamo il caso Piergiorgio Welby), siamo passati per la volontà eutanasica ‘ricostruita’ (Eluana Englaro) e con Charlie siamo approdati all’eutanasia di Stato, di tragica memoria».
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