POSTE ITALIANE S.P.A. — SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE — D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN
Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -
ANNO VII LUGLIO - AGOSTO 2019 RIVISTA MENSILE N. 76
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Alessandro Fiore
Luca Marcolivio
Silvana De Mari
Eutanasia in Italia: il 24 settembre si avvicina
Intervista a Nicola Legrottaglie
La volontà di morte e la Marcia per la Vita
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Notizie Pro Vita & Famiglia
PerchĂŠ nella vita i valori non devono essere messi in secondo piano, neanche sotto i riflettori abbaglianti degli stadi di serie A.
luglio - agosto 2019
Editoriale
Toni Brandi
Oggi come oggi,le icone di questa società sono
importanti come la Juventus, ora allenatore,
spesso modelli negativi, soprattutto per i giovani:
che invece non teme di parlare di disciplina e
impazzano brutti cantanti, che neanche cantano
di valori. Perché nella vita i valori non devono
nel senso proprio del termine, e che predicano
essere messi in secondo piano, neanche sotto i
sesso,droga, violenza e disperazione; oppure
riflettori abbaglianti degli stadi di serie A. Leggete
attori bellissimi, dotati di una perfezione estetica
l’intervista che ci ha rilasciato: per me è stata
del tutto artificiale e quindi irraggiungibile, che
un’iniezione di speranza.
conducono una vita sregolata, nel lusso più
La positività del messaggio che trasmette, cari
sfrenato. Tra gli sportivi, sono mitici i calciatori,
Lettori, vi accompagni per tutto questo tempo
tra i quali spessosi idolatrano personaggi di
di estate e — ci auguriamo — di sano e meritato
discutibile moralità, ricchi fino all’inverosimile,
riposo. Corroboratevi dopo un anno di lavoro e di
che tramite i social e il gossip non trasmettono
fatica, perché a settembre, quando ci rivedremo,
davvero messaggi e valori positivi. Gli sportivi
il Parlamento dovrà esprimersi a proposito di
che conducono una vita sobria e che magari
eutanasia e di suicidio assistito: state in sintonia
credono nei principi non negoziabili preferiscono
con Pro Vita & Famiglia, perché non lasceremo
non mettersi in mostra: sarebbero vulnerabili al
al partito della morte il campo aperto e avremo
tritacarne mediatico che facilmente si mette in
bisogno di tutti voi per contrastare la deriva
moto verso i personaggi controcorrente.
eutanasica che sembra aver gioco facile in questo
Poi ci sono le eccezioni. S iincontrano uomini
nostro amatoemeravigliosoPaese.
come Nicola Legrottaglie, già difensore in squadre
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Sommario 3
Editoriale
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Lo sapevi che...
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Dillo @ Pro Vita & Famiglia
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Versi per la vita Silvio Ghielmi
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Eutanasia in Italia: il 24 settembre si avvicina pag. 13
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luglio - agosto 2019
PRIMO PIANO Fine vita Eutanasia in Italia: il 24 settembre si avvicina
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Primo Piano Nicola Legrottaglie: giocare in difesa… dei valori
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Alessandro Fiore
Luca Marcolivio
La volontà di morte e la Marcia per la Vita
RIVISTA MENSILE N. 76 — Anno VII Luglio - Agosto 2019
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Silvana De Mari
Aborto Nuove tecnologie al servizio della vita
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Prevenire l’aborto
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Il diritto di non abortire
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Marie Philippe
Alfredo Mantovano
Amedeo Rossetti
Famiglia e società Il post-secolarismo e il futuro della famiglia
Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ) www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
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Steve Turley
Gender Trans-specismo
Editore Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182
Progetto e impaginazione grafica Co.Art s.r.l. Tipografia
Francesca Romana Poleggi
Distribuzione Caliari Legatoria
La cineteca
Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Silvana De Mari, Alessandro Fiore,
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Red Land
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In biblioteca
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Giulia Tanel
Immagine di copertina: Nicola Legrottaglie
Silvio Ghielmi, Alfredo Mantovano, Luca Marcolivio, Marie Philippe, Francesca Romana Poleggi, Amedeo Rossetti, Giulia Tanel, Steve Turley.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Lo sapevi che... Dato per morto si risveglia e parla Lorenzo Mori, 17 anni, dichiarato cerebralmente morto, si è svegliato improvvisamente e miracolosamente mentre i medici stavano per sottoporlo al prelievo degli organi. Il ragazzo era ridotto in condizioni gravissime a causa di un terribile incidente avvenuto lo scorso 20 dicembre mentre stava andando a scuola in sella al suo scooter:
aveva riportato danni cerebrali e respiratori gravissimi, tanto da escludere ogni possibilità di guarigione. Ora, invece, è tornato di nuovo a scuola. Questo è uno degli innumerevoli episodi che dovrebbero far riflettere sulla cosiddetta “morte cerebrale”, e sulla tentazione di eutanasizzare chi sembra sia irrimediabilmente perduto.
Una guarigione insperata Alessandro Maria Montresor, di due anni, affetto da linfoistiocitosi emofagocitica, ce l’ha fatta grazie ai medici dell’Ospedale Bambino Gesù, nonostante nessuno dei tantissimi donatori di midollo che gli si erano offerti si fosse rivelato compatibile. Gli sono state trapiantate le cellule staminali prelevate dal papà. Ora Alessandro è un bambino vivacissimo, mentre durante la fase acuta della malattia era totalmente inerte, con febbre oltre i 40 gradi.
Cultura a 5 Stelle Il cardiochirurgo Alessandro Murenu, in corsa con il Movimento 5 Stelle per il ruolo di sindaco a Cagliari, ha espresso vicinanza alle posizioni del Congresso di Verona, dichiarandosi contro le unioni civili e l’aborto. Per questo è stato cacciato dal partito: «Chi condivide le idee medievali del Congresso di Verona non avrà il simbolo del Movimento». C’è poco da fare: Di Maio e i suoi insistono con il “medievale” usato del tutto a sproposito, come un’offesa… non c’è verso di far loro aprire un libro di storia. E dove non c’è spazio per la cultura, non c’è spazio né per la tolleranza, né per il confronto democratico. L’ha ben capito il dottor Murenu.
C’è di più: il midollo dei tanti donatori incompatibili con il piccolo ha aiutato molti altri bambini malati di leucemia o di tumore. Quando non si applicano i protocolli di morte, dettati da una visione della vita senza speranza, la vita umana, così fragile e così complessa, può riservare, anche nei momenti che sembrano più cupi, inaspettate e meravigliose sorprese.
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La mamma salva il figlio e il figlio salva la mamma In Brasile, Simone Marquesine, con il marito, ha deciso di portare a termine una gravidanza, nonostante tutti le consigliassero l’aborto: al bambino erano state diagnosticate calotta cranica non chiusa, anagesia renale, spina bifida e microcefalia. Ma tra la 35a e la 36a settimana, Simone accusa forti dolori a una gamba, gonfia in modo anomalo. È una trombosi e bisogna intervenire con urgenza. Alla gestante vengono applicati anticoagulanti vicino
all’inguine e in un’arteria molto vicina al cuore. In quella drammatica circostanza è avvenuto il miracolo: «Il suo bambino l’ha salvata, perché ha esercitato una pressione che ha impedito al coagulo di muoversi», ha spiegato il ginecologo. Se Simone avesse abortito, il coagulo si sarebbe spostato, risultandole fatale. Quando è nato, Lucas era bello, perfetto: visibilmente non aveva malformazioni, ma purtroppo è sopravvissuto solo 26 minuti.
Ci sono sindaci e Sindaci... A fronte di sindaci (Appendino, Merola, Raggi e molti altri) che hanno fatto trascrivere all’anagrafe bambini come figli di coppie dello stesso sesso, Mimma Spinelli, Sindaco di Coriano (RN), eletta nel 2012 e confermata nel 2017, in una lista civica, si è rifiutata di trascrivere all’anagrafe due bambini acquistati tramite utero in affitto da una coppia di uomini. «L’utero in affitto è
reato per la legge italiana, quindi è il legislatore che deve spiegare a noi sindaci cosa fare». Poi la coppia ha revocato la richiesta ed è andata in un Comune limitrofo, dove il sindaco si è fatto una gran pubblicità dicendo che la recente pronuncia della Cassazione, che vieta la trascrizione, in fondo, «è solo una sentenza».
Curare gli anziani costa, meglio evitare Una deputata della sinistra verde olandese, Corinne Ellemeet, ha proposto di limitare le cure mediche per le persone che abbiano superato i settant’anni. Ai pazienti più anziani verrà praticamente tolta la possibilità di decidere se e come curarsi, facoltà che sarà affidata esclusivamente ai medici. Insomma, chi lo vorrà dovrà rivolgersi alla sanità privata, tutti gli altri potranno tranquillamente morire. La Ellemeet assicura che non c’è una motivazione
economica dietro questa idea, ma che si tratta solo di evitare “trattamenti eccessivi”, che rischierebbero di “stressare” troppo il paziente. Quindi, gli interventi al cuore, il trattamento del cancro, la dialisi renale e simili non potranno più essere chiesti dal paziente, ma saranno a discrezione del medico. Questo servirebbe a «migliorare la qualità della vita del paziente», secondo Hanna Willem, presidente dell’associazione olandese di geriatria clinica.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Dillo @ Pro Vita & Famiglia
Non so se avete avuto l’occasione di vedere una puntata di “Forum”, condotto dalla Palombelli, poco dopo che Rita Dalla Chiesa abbandonò quella trasmissione. Quel giorno si disputava una causa di cui non ricordo la ragione, ma dovendo approfondire il tema, la conduttrice fece entrare una donna con i suoi attrezzi e tuta da lavoro, la quale descrisse quali fossero le sue prestazioni. Esse consistevano nel frustare i clienti maschi che godono nel sentirsi dominati, picchiati, maltrattati e offesi… fece anche una lista delle tipologie dei clienti. Uno dei presenti si rese disponibile a una dimostrazione mimica di detta “professione“. Non potete immaginare come mi sono sentito offeso, umiliato e mortificato come uomo, e come essere umano. Anche mia moglie si è sentita in qualche modo offesa. La figura maschile, a mio avviso, è stata ridicolizzata in modo devastante di fronte a una platea vasta come quella della televisione. Possibile che a questo mondo non esista più il senso del limite? Non esiste più la vergogna?
Gino
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Versi per la vita BECCAMORTO Il vecchio promotore dell’aborto adesso è diventato un beccamorto. Con sue proposte stolide e contorte manovra a procurar la dolce morte. Fronteggia irrimediabile fastidio con certa cosiddetta opera pia: somministrar per legge il suicidio. Nuova conquista civica che allieta. Ecco raggiunta un’ulteriore meta chiamata, volgarmente, eutanasia.
MATTANZA Eppur dovrà finir questa mattanza che scorre in rassegnata tolleranza. Dopo il glorioso Evento di Verona, c’è un nuovo sentimento che s’intona e scopre necessaria la famiglia, eterna e prodigiosa meraviglia, avendo percepito denatalità, non mero effetto di fatalità, ma chiaro conseguente risultato di avere macellato in ospedale, perfino sei milioni di innocenti dicendo che era solo un minor male, nel prevalere di nefasti eventi.
SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano, Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Eutanasia in Italia: il 24 settembre si avvicina Alessandro Fiore
A settembre scade l’ultimatum che la Corte Costituzionale ha lanciato al Parlamento: regolamentare il suicidio assistito. Torna oggi sul tema l’avvocato Fiore, che già ne ha parlato a Verona durante il workshop dedicato alla tutela della vita nella sua fase terminale.
I nostri Lettori sanno bene che la legge sulle Dat e sul consenso informato, la n. 219 del 2017, aveva già aperto a una certa forma di eutanasia che è quella omissiva, includendo anche la nutrizione e l’idratazione artificiali tra i “trattamenti sanitari” ai quali il paziente può rinunciare in modo incondizionato. Ciò anche “in anticipo”, con le Dat, e senza prevedere una possibilità di obiezione di coscienza del medico. Ma mancano i decreti attuativi di questa legge, e conseguentemente il registro nazionale/banca dati delle Dat non è stato istituito, per cui risultano difficilmente conoscibili i testamenti biologici già depositati nei Comuni e presso i notai.
La Corte costituzionale, pur non affermando l’incostituzionalità tout court del delitto di istigazione o aiuto al suicidio, sicuramente delinea i contorni dell’eutanasia attiva legale.
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Conoscete tutti la vicenda di Dj Fabo, tetraplegico e cieco, che è stato accompagnato in Svizzera da Marco Cappato per praticare il cosiddetto suicidio assistito. Cappato si era auto-denunciato, dal momento che il codice penale prevede come reato all’art. 580 la Istigazione o aiuto al suicidio. Rinviato a giudizio, la Corte d’assise di Milano ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di detto articolo, sotto diversi profili. La Corte costituzionale è intervenuta con una pronuncia abbastanza atipica di «incostituzionalità differita»: pur non convenendo in toto con le tesi della Corte d’assise di Milano, ha riconosciuto (senza dichiararlo con sentenza) una parziale incostituzionalità del reato di istigazione o aiuto al suicidio (e in realtà anche dell’omicidio del consenziente). Essa ha sospeso il procedimento fino al 24 settembre 2019, dando una sorta di ultimatum al Parlamento affinché questo possa modificare la normativa in vigore. Diverse proposte di legge sono state poste all’attenzione delle commissioni parlamentari. In particolare, una proposta di legge di iniziativa popolare, già presentata nel 2013, è stata — da un paio di mesi — assegnata per la discussione alle Commissioni giustizia e affari sociali della Camera dei deputati. Ammesso e non concesso che Dj Fabo sia morto davvero per sua libera scelta, con la legalizzazione dell’eutanasia, per ogni Dj Fabo quante Eluana Englaro, quanti Alfie Evans dovranno morire per decisione altrui?
L’abbiamo illustrata nel numero di aprile di questa Rivista, ma appare qui opportuno ricordarne il testo e riepilogarne brevemente le criticità. L’art. 1 di questa proposta prevede che «Ogni cittadino può rifiutare l’inizio o la prosecuzione di trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento di sostegno vitale o
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Notizie Pro Vita & Famiglia
di terapia nutrizionale». In modo simile a quanto viene previsto dalla legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella quale si contempla già la possibilità di una eutanasia omissiva, ad esempio per disidratazione.
condizioni. Tra queste, la condizione centrale nella proposta di legge è quella che prevede che la richiesta di eutanasia sia motivata dal fatto che il paziente, testualmente, sia «affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi».
L’art. 2 prevede che «Il personale medico e sanitario che non rispetta la volontà manifestata [...] è tenuto, in aggiunta ad ogni altra conseguenza penale o civile ravvisabile nei fatti, al risarcimento del danno, morale e materiale, provocato dal suo comportamento». Non sarebbe dunque possibile l’obiezione di coscienza almeno nei casi di richieste di eutanasia omissiva, come già (anche se meno chiaramente) nella legge 219/2017.
Infine, secondo l’art. 4, questa richiesta di eutanasia potrebbe anche essere fatta in anticipo, cioè in previsione di una situazione di incapacità di intendere o di volere o di una incapacità di manifestare la propria volontà.
L’art. 3 prevede che non si applichino i reati di omicidio, anche del consenziente, o di istigazione e aiuto al suicidio al medico che pratica l’eutanasia, provocando la morte del paziente in certe
La condizione principale che giustificherebbe la richiesta di eutanasia attiva consisterebbe nella presenza di una malattia anche solo produttiva di gravi sofferenze. Si rimane colpiti da quanto sia soggettiva questa condizione. Quand’è che le sofferenze sono gravi? Un paziente potrebbe percepire come “gravi” sofferenze che per una persona media non lo sono affatto.
La scelta dell’eutanasia impedisce concretamente qualsiasi altra scelta. Edoardo Bonelli, paralisi quasi completa, condannato a una sedia a rotelle. Testimonia la sua gioia di vivere nonostante tutto.
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Nick Vuijcic, nato senza gambe e braccia, con la sua famiglia.
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È agevole constatare come una formulazione del genere spalancherebbe le porte a una deriva eutanasica sempre più ampia. Qualcuno ha parlato — con una espressione forte — di una potenziale strage di persone depresse, se dovesse entrare in vigore una una tale legge. In effetti, una condizione così soggettiva potrebbe essere riscontrata da migliaia di persone, le quali, in una fase di scoraggiamento, potrebbero ottenere la morte nonostante valide alternative. Inoltre, in soggetti vulnerabili come i depressi il confine tra aiuto al suicidio e istigazione al suicidio è molto labile. È emblematico il caso di Alessandra Giordano, la donna siciliana di 42 anni che è volata in Svizzera a morire la scorsa primavera; la procura di Catania ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio: i fratelli sono fortemente convinti che qualcuno vicino alle associazioni pro-eutanasia che si fanno ampia pubblicità sul web abbia influenzato la poverina, che soffriva di una grave depressione e di una nevralgia cronica (il cui dolore però — secondo la documentazione medica presentata in giudizio — pare fosse controllabile con le dovute cure). Ha detto il fratello a Panorama: «Mia sorella non si trovava nelle facoltà mentali per prendere una simile decisione».
Il pericolo è moltiplicato se pensiamo che la richiesta eutanasica potrebbe essere realizzata con molto anticipo (prima ancora di sperimentare la condizione di malattia). Qui il problema della mancanza di consenso pieno e informato del paziente è ancora più lampante, in quanto il cambiamento di prospettiva di fronte alla malattia — o anche in stati di minima coscienza — è ricorrente. Pensiamo al milanese Max Tresoldi, che è stato per dieci anni in stato vegetativo. Egli aveva espresso precedentemente la volontà di non voler vivere, se si fosse trovato in uno stato di grave menomazione psicofisica. Tuttavia, quando si ritrova realmente in quella situazione, la sua prospettiva cambia radicalmente. Max, immobile in ospedale, incapace di comunicare, sentiva gli altri parlare della sua morte, senza poter intervenire, senza poter avvisare che voleva vivere. È stata la madre a salvarlo e a farlo invece curare e assistere per ben dieci anni. Oggi Max dice di essere sempre stato felice di vivere e ritiene assurda la sua precedente dichiarazione di voler morire. La deriva eutanasica che si prospettava con le Dat era chiara da tempo. Non mi piace dire «L’avevamo detto», ma... l’avevamo detto.
Marco Pedde, malato di SLA. Testimonial contro l’eutanasia.
Sylvie Menard il 16 febbraio 2018, durante una Conferenza Stampa alla Camera, con Toni Brandi e Sara Virgilio. Ricercatrice oncologica ed ex allieva del prof. Veronesi, era favorevole all’eutanasia e aveva persino redatto il suo testamento biologico. Ma quando ha scoperto di avere un cancro inguaribile al midollo osseo, la sua prospettiva sulla vita e la morte è cambiata radicalmente: vuole vivere la sua vita fino in fondo ed è diventata una ferma oppositrice dell’eutanasia e del testamento biologico, sostenendo che nessuno può sapere come reagirà di fronte alla malattia.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Già in sede di discussione della legge sul testamento biologico approvata nel 2017, alcuni, tra cui il sottoscritto, avevano affermato che, se fosse diventata legale la possibilità di richiedere l’eutanasia omissiva per disidratazione (una morte lunga e dolorosa), si sarebbe presto arrivati a considerare “irragionevole” e contrario al principio di non discriminazione l’impossibilità di richiedere l’eutanasia attiva, sicuramente più rapida (non sappiamo e non sapremo mai, in realtà, quanto indolore…). E, infatti, cosa afferma la Corte costituzionale nella suddetta “ordinanza-ultimatum”? «La legislazione oggi in vigore non consente al medico che ne sia richiesto di mettere a disposizione del paziente che versa nelle condizioni sopra descritte trattamenti diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte. In tal modo, si costringe il paziente a subire un processo più lento, in ipotesi meno corrispondente alla propria visione della dignità nel morire e più carico di sofferenze per le persone che gli sono care [...]. Il divieto assoluto di aiuto al
suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita [...], con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive (art. 3 Cost.)». La Corte costituzionale, pur non affermando l’incostituzionalità tout court del delitto di istigazione o aiuto al suicidio, però sicuramente delinea i contorni dell’eutanasia attiva legale. E questo attraverso dei ragionamenti che sembrano molto parziali. La Corte sembra infatti sostenere che la ratio, praticamente l’unica, del reato di istigazione o aiuto al suicidio sarebbe l’esigenza di tutela di categorie di persone vulnerabili, anche contro il loro stesso desiderio. Per la stessa ragione, sostiene la Corte, si dovrebbero però riconoscere situazioni in cui questa esigenza di tutela non c’è, in quanto il paziente, pienamente
Una volta riconosciuto un “diritto a morire”, viene a cadere uno dei principi fondanti di tutto l’ordine sociale: non uccidere.
Rita Coruzzi, affetta da tetraparesi. Anche lei si batte contro l'eutranasia.
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informato, chiede aiuto nella realizzazione del suicidio in adesione a una sua maturata concezione di dignità umana. Così però la Corte dimentica una questione fondamentale che è quella della indisponibilità del diritto alla vita. L’ordinamento infatti non punisce l’aiuto al suicidio o l’omicidio del consenziente solo per tutelare la formazione della volontà di alcuni soggetti vulnerabili, ma soprattutto perché il bene “vita” non è ritenuto, per profonde ragioni sia antropologiche che di filosofia del diritto, un bene di cui il titolare stesso possa disporre. Anche perché la vita è il fondamento stesso della capacità di autodeterminarsi, e quindi una autodeterminazione distruttrice della vita è sostanzialmente la negazione di se stessa. Non si tratta solo di un problema teorico: la scelta eutanasica impedisce concretamente qualsiasi scelta successiva alla sua messa in atto. Il ripensamento e la speranza di recupero — la cui possibilità non è mai nulla — vengono soffocati con la morte. Inoltre, la stessa Costituzione sembra far prevalere il diritto alla vita su tutti gli altri, anche sulla libertà personale e sull’autodeterminazione alla salute, tant’è che questi ultimi due diritti possono essere limitati dalla legge, mentre il diritto alla vita non può essere limitato nemmeno dalla legge (ad esempio, non viene ammessa in nessun caso la pena di morte). Su questa problematica e su molte altre, tuttavia, non viene detta una parola. Come anche sul fatto che, riconosciuto un “diritto a morire” — anche se condizionato — cade uno dei principi fondanti di tutto l’ordine sociale: non uccidere (in particolare: l’innocente). Le conseguenze della negazione di questo principio potrebbero essere incalcolabili. Il diritto a morire, anche se condizionato, implica un dovere correlativo di provocare la morte.
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Tutti gli studenti di diritto sanno che ogni diritto implica un dovere in capo ad altri. Non ci sono diritti “gratis”... Non a caso, né la proposta di legge sull’eutanasia, né la legge sul testamento biologico prevedono l’obiezione di coscienza (contrariamente alle indicazioni della stessa Corte costituzionale). Il presidente nazionale dell’Ordine dei medici, Filippo Anelli, ha scritto ai colleghi che «ove il legislatore ritenga di modificare l’art. 580 c.p. e, quindi, di non ritenere più sussistente la punibilità del medico che agevoli “in qualsiasi modo l’esecuzione” del suicidio, restano valide e applicabili le regole deontologiche attualmente previste dal Codice». Anelli si riferisce in particolare all’art. 17 del Codice di deontologia medica, il quale dice che: «Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti finalizzati a provocarne la morte». Non possiamo qui aprire un capitolo a parte, difficile da trattare in poche parole, sul diritto inviolabile dell’uomo all’obiezione di coscienza. Diritto che è anche un dovere, e che non dovrebbe essere messo in discussione, in uno Stato veramente democratico. La proposta di legge popolare, invece, sancisce la responsabilità civile e penale del medico che si rifiutasse di uccidere il paziente con l’eutanasia. Ricordiamo soltanto che già in epoca precristiana, filosofi e giuristi del rango di Cicerone spiegavano che la legge dello Stato che viola la legge di natura non è legge. E, per chi viola le leggi naturali, le conseguenze sono tremende: in Belgio, Olanda, Canada e in taluni Stati federati degli Usa, dove è stata legalizzata l’eutanasia, la morte dilaga senza sosta, gli abusi si perpetrano quotidianamente... inesorabilmente la cultura della morte fa sprofondare la mente umana nell’ineluttabilità del dover morire quando la vita non dà le gratificazioni attese. In Italia, siamo entrati in queste sabbie mobili dal dicembre 2017: oggi, e qui ci appelliamo al Parlamento, abbiamo ancora un’occasione per uscirne. Forse l’ultima.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
«La famiglia è il miglior luogo per sviluppare l’educazione dei propri talenti».
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Giocare in difesa… dei valori Luca Marcolivio
Dice Nicola Legrottaglie: «Ogni squadra di calcio dovrebbe essere come una famiglia». Sono tanti i campioni di calcio cresciuti in oratorio. Pochi, però, quelli che hanno portato alla luce la loro testimonianza di fede, anche a costo dell’incomprensione e di etichette facili e superficiali. Nicola Legrottaglie è uno di questi. Dieci anni fa, quando era difensore della Juventus, fece “outing” pubblicando il libro Ho fatto una promessa, cui è seguito poco dopo il secondo: Cento volte tanto. Con la fede vivo meglio. Per Legrottaglie, che oggi a 42 anni è allenatore (ha da poco conseguito l’abilitazione come allenatore di prima categoria), l’essere cristiano non è un aspetto puramente confessionale, ma si declina in scelte molto concrete e controcorrente: suscitò sorpresa la sua opzione per la castità prematrimoniale, come pure la sua posizione contro l’aborto. Profondamente cristiana è anche la sua concezione di famiglia. Sposato dal 2013 con Erika Cerboni, l’ex calciatore è papà di Pietro, 4 anni. Di come la sua famiglia gli abbia profondamente insegnato a vivere, rendendolo un uomo migliore, Legrottaglie ha parlato nel suo intervento al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona. Su questo aspetto si è raccontato anche a Pro Vita & Famiglia, confidando anche il suo sogno: che il mondo del calcio diventi sempre più simile proprio a una famiglia. Tanti ragazzi aspirano a diventare calciatori: come si diventa un campione fuori e dentro il campo? Per diventare di un certo livello in qualsiasi settore, in primo luogo bisogna avere del talento, qualcosa che ti contraddistingua rispetto alla media. Nel mio caso, a otto-nove anni, già si intravedeva che con il pallone avevo una marcia in più. Non basta, però, avere del talento: devi imparare anche a educarlo, coltivarlo e “innaffiarlo”, perché poi porti frutto. La sua famiglia d’origine l’ha appoggiata nella sua passione sportiva? Assolutamente sì, mio padre amava il calcio ed è stato per me una guida anche in questo. Mi ha sempre indicato la direzione da seguire, come dovrebbe fare ogni padre. I figli maschi in particolare prendono spunto dall’identità paterna e così è stato per me.
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Notizie Pro Vita & Famiglia
Come dicevo, nello sport il requisito basilare è il talento ma questo talento ha bisogno di essere educato, di disciplina: la famiglia è il miglior luogo per sviluppare l’educazione dei propri talenti. Nella mia famiglia ho appreso tanto e ho assorbito tutti i valori in cui credo, è stata fondamentale per mettere a frutto il mio talento. L’amore che ho ricevuto e, in particolare, l’incoraggiamento di mio padre mi hanno portato a raggiungere un sogno.
era lei che chiamavo… Dove papà non arrivava, ecco che interveniva mamma. Io sono riuscito a trarre il meglio dai miei genitori, sono loro che mi hanno aiutato a diventare quello che sono. Credo molto nella complementarietà tra uomo e donna, è così che Dio li ha creati. Nel maschio e nella femmina vedo la perfetta unità, l’idea della squadra, dove tutti hanno uguale dignità, pur con caratteristiche diverse che, messe insieme, diventano vincenti.
Che ruolo ha avuto, invece, sua madre?
Ha sempre creduto così tanto nella famiglia?
A mia madre, come a tutte le madri, è sempre riuscito ciò che per gli uomini è più difficile: manifestare l’affetto, la tenerezza, le coccole. Ricordo che quando stavo male o giocavo male e tornavo a casa triste, mamma mi diceva: «Non ti preoccupare, passerà». Quando avevo la febbre
Alcuni valori li ho interiorizzati e approfonditi grazie al mio percorso di fede e ai principi che mi ha insegnato la Parola di Dio. Credere nella famiglia non significa certo ignorare i problemi ad essa connessi, le situazioni difficili o anche dolorose che potrai viverci. C’è chi non crede più nella famiglia perché ha vissuto determinate problematiche affettive. Se nella tua vita di coppia hai vissuto dei problemi e hai dato tutto te stesso per risolverli ma non ci sei riuscito, nessuno ti può condannare. Credere nella famiglia è credere nelle sue finalità. Come costruirla implica un processo che dovremmo essere bravi a interiorizzare, perché, a volte, c’è chi arriva al matrimonio senza sapere a cosa sta andando incontro. Dovremmo insistere di più nel formare i giovani alla bellezza della famiglia e del matrimonio, ricordare loro che arriveranno delle tempeste e insegnare come superarle. Bisogna invece evitare di giudicare chi ha fallito, incoraggiandolo piuttosto a crederci ancora e a trarre ispirazione nei principi giusti, per non fallire di nuovo.
Certi valori ci mettono sulla strada per diventare “perfetti”.
Nicola Legrottaglie con sua moglie.
Nel maschio e nella femmina vedo la perfetta unità, l’idea della squadra, dove tutti hanno uguale dignità, pur con caratteristiche diverse che, messe insieme, diventano vincenti.
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Il suo percorso di fede è stato determinante nella sua realizzazione come uomo e come sportivo? Mia madre è stata fondamentale in questo. Come spesso dico, costruire una famiglia è come costruire un palazzo: più alto lo vuoi fare, più profonde e solide devono essere le fondamenta. In questo senso, mia madre è andata “in basso”, alle fondamenta, essendo stata lei a portarmi in chiesa e a trasmettermi i principi e i valori cristiani. Con tutte le difficoltà che ho vissuto, mi rendo conto che quel seme, alla lunga, ha dato frutto. Se i miei genitori non avessero investito su di me e su mia sorella, non parlerei come parlo adesso. Se ci impegnassimo tutti fino in fondo per la famiglia, la maggior parte dei problemi della società di oggi sarebbero risolti. Voi sportivi avete spesso un’immagine pubblica e tutto questo comporta la responsabilità di dare un buon esempio, in particolare ai giovani… Sì, più la gente ti guarda, più hai responsabilità. Ho imparato, tuttavia, a non viverlo come un peso, come una pressione addosso. Mi rendo conto che, commettendo io degli errori, in molti mi punterebbero il dito, dicendo: «Ecco, anche Legrottaglie ha sbagliato…». Questo peso, però, non lo sento perché so che la Verità rende liberi. A partire dalla verità, essendo onesti e trasparenti, possiamo costruire la nostra libertà. So di non essere perfetto e non predico certo la mia perfezione, però, credo in determinati valori che ci mettono sulla strada per diventare “perfetti”. C’è gente che, invece, non si espone affatto su ciò in cui crede, perché pensa che, prima di parlare, debba essere assolutamente coerente con tutto quello che dice. Io credo di aver raggiunto un equilibrio, quando ho capito che perfetto è soltanto Colui in cui credo. Se poi riesco anche a dare una buona testimonianza, tanto meglio. Quello che mi è piaciuto del Congresso di Verona è che lì ho visto molte persone ammettere di aver fallito ma, nonostante tutto, di credere ancora nella famiglia. Se molta gente si allontana dalla Chiesa e dalla fede, è perché forse gli viene inculcata l’idea di dover essere meritevole. Molti si vedono lontani dall’ideale perfetto che viene loro proposto e si rassegnano. Nella Chiesa, come in famiglia, invece, non sei lì per meritare qualcosa ma per ricevere.
Se ci impegnassimo tutti fino in fondo per la famiglia, la maggior parte dei problemi della società di oggi sarebbero risolti.
Lei ha un figlio di quattro anni: che valori gli vuole trasmettere e da cosa lo vorrebbe difendere? Siamo in un’epoca particolare in cui i più giovani e i più piccoli ricevono una quantità enorme di messaggi. La comunicazione, i media e i social influenzano tantissimo la vita delle persone. Mentre noi dovevamo scoprire le cose, i ragazzi di oggi hanno tutto pronto a portata di clic. Allora noi adulti dovremmo avere la saggezza di capire il loro linguaggio, non possiamo pretendere che loro parlino come noi. Dobbiamo imparare a usare il loro linguaggio, mantenendo fermi i nostri principi. Cambiano le forme ma non l’essenza delle cose. È anche importante dare l’esempio: se non faccio io quello che chiedo a mio a figlio, nemmeno lui lo farà. Quello che cerco di fare con mio figlio è insegnargli attraverso le azioni che cosa significa vivere così. È fondamentale poi imparare la gratitudine, verso gli uomini e verso Dio. A mio figlio, voglio insegnare l’importanza del “fare famiglia” intesa anche in senso spirituale e di comunità, dove imparare a stare insieme agli altri, a perdonarli quando ti offendono. Una comunità dove si piange, si ride, si è in lutto e si è nella gioia, sempre tutti insieme: quella è la famiglia. Questa è la mia idea di famiglia, che io difenderò sempre, nonostante le difficoltà e i miei difetti. Il calcio stesso ne paga le conseguenze, quando non si muove come una famiglia. Una squadra è come una famiglia, ha gli stessi principi: lavoriamo insieme per un obiettivo comune, dove non arriva uno, arriva l’altro. Chi sa fare una cosa, chi ne sa fare un’altra. Ecco perché bisogna tornare alla famiglia come l’ha voluta Dio: l’uomo e la donna non li ha creati per caso ma perché, insieme, diventassero una grande risorsa.
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La volontà di morte e la Marcia per la Vita Silvana De Mari
In una società liquida, dove tutto è mutevole e fluido, l’unica volontà che si prende sul serio e si considera immutabile è la volontà di morte: bisogna combattere questa deriva.
Sabato 18 maggio, con grandissima gioia, ho partecipato a Roma alla Marcia per la Vita. Molte mie dichiarazioni sono state raccolte e, ovviamente, un po’ distorte: non molto, ma quel tanto che basta per cambiarne il significato. La frase che l’aborto è un assassinio e le donne assassinano i loro figli non l’ho mai detta. Quello che ho detto, e di cui mi assumo la responsabilità, e che l’aborto è un suicidio differito. La donna uccide una parte di se stessa, uccide la propria progenie, uccide la propria proiezione nell’eternità. L’aborto è un crimine di assassinio, e l’assassino è la società. La nostra è una società nichilista, una cultura di morte. Noi siamo una cultura di morte. Molte donne nella prima fase della gravidanza credono di non volere il bambino. La volontà umana non è un monolite in mezzo a una pianura, bensì è un riflesso di luce sull’acqua.
L’aborto è un suicidio differito. La donna uccide una parte di se stessa, uccide la propria progenie, uccide la propria proiezione nell’eternità.
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Cambia in continuazione. Ci iscriviamo a una facoltà e poi la lasciamo per andarcene in un’altra; giuriamo a qualcuno che lo ameremo fino alla fine dei nostri giorni e dopo quattro minuti siamo già da un’altra parte. Il matrimonio — purtroppo — può essere rotto in qualsiasi istante perché tutti sappiamo che la volontà umana cambia. Ci spiegano persino che il genere è fluido: oggi femmina, domani maschio, dopodomani chissà. L’unica volontà presa sul serio è la volontà di morte. Durante gli anni in cui ho lavorato al Pronto Soccorso, come ogni medico, ho fatto lavande gastriche a persone che si erano avvelenate per propria volontà, ricucito ferite volontariamente autoinferte ed evitato la morte per dissanguamento di innumerevoli proprietari di vene tagliate. Tutti gesti terapeutici fatti su persone recalcitranti. Il 95% degli aspiranti suicidi, però, non ripete il gesto: dopo pochissimo tempo sono molto contenti di essere stati salvati. Ora, la legge del suicidio assistito costringere i medici a prendere sul serio gli aspiranti suicidi, anche se sappiamo che il 95% di loro cambierebbe idea se gliene dessimo il tempo. Invece, con la legge sulle Dat e con le leggi che hanno messo in cantiere, la volontà di morte diventa irreversibile, irrevocabile. Una delle pochissime cose certe in un mondo tutto incerto. Fluido. Anche la volontà di morte della madre incinta che non sa di volere il proprio bambino deve essere presa sul serio, eppure sappiamo che, dove l’aborto non sia possibile, oppure dove l’aborto sia stato eseguito con tecnica errata o incompleta, con sopravvivenza del feto, dopo solo poche settimane la volontà della madre è già cambiata e lei è felice di tenersi il suo bimbetto. Facciamo prevalere la cultura della vita.
Il 95% degli aspiranti suicidi non ripete il gesto: dopo pochissimo tempo sono molto contenti di essere stati salvati.
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Facciamo tutto il possibile perché le madri si rendano conto della enormità del gesto che stanno per commettere, diamo aiuti economici veri e importanti, riempiamo le cliniche e le sale d’aspetto di cartelloni con il faccino di un neonato e la scritta: «Signora, ci ha pensato bene?». Se la donna trova dolorosa questa scritta è perché non ha nessuna voglia di abortire, e allora diamole la possibilità di non farlo. Innumerevoli donne che hanno abortito, mi hanno raccontato il loro atroce rimpianto e mi hanno detto la stessa frase: «Se in quell’ospedale avessi trovato una parola buona, mi sarei fermata». Per molte persone la parola aborto è un fonema, per molte persone l’aborto è una mestruazione mancata. L’aborto è orribile: un faccino pieno di sangue sconvolto dall’orrore e dal dolore, gambine e braccine smembrate. Facciamo vincere la vita, perché la vita è più carina della morte. Un bimbo che nasce è più bellino di un feto che finisce smembrato nel bidone delle garze sporche. La mamma non è un’assassina, è una vittima anche lei. Quello che ho detto alla Marcia per la Vita è questo: l’aborto è un suicidio differito. A commetterlo è una società intera che è diventata una cultura di morte. Le vittime sono due: il bimbo che finisce nel bidone delle garze sporche e la sua mamma. Ci vediamo l’anno prossimo alla prossima Marcia per la Vita. Per combattere a favore della vita esistono associazioni di giuristi, di universitari, di medici. Ora, grazie a un’idea della giornalista Laura Borgognoni e mia, nasce “Giornalisti per la vita”. In realtà l’idea è di Laura, io mi sono aggregata. La nostra mail è: giornalistiperlavita@gmail.com. Aspettiamo iscrizioni. Combattete con noi. Combattiamo per la cosa più carina che esista al mondo: un bimbetto con i suoi occhioni e le manine chiuse a pugno. Combattiamo per la cosa più carina che esista al mondo: una mamma con il suo bimbo in braccio. Combattete con noi.
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Grazie a un’idea della giornalista Laura Borgognoni e mia, nasce “Giornalisti per la vita”. In realtà l’idea è di Laura, io mi sono aggregata. La nostra mail è giornalistiperlavita@gmail.com
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Nuove tecnologie al servizio della vita Marie Philippe Promuovere la vita in Francia
Reduce dal Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, una testimonianza francese che infonde forza e speranza per la promozione della vita e della salute delle donne, in barba alle censure del moderno totalitarismo travestito da democrazia.
Non possiamo negare l’evidenza, né illuderci: la situazione della cultura della vita in Francia oggi è catastrofica. È il risultato dell’azione politica e propagandistica dei nostri governi fin dal 1975, quando è stato depenalizzato l’aborto, con la legge Veil. Nel corso degli anni la cultura della morte ha ottenuto il rimborso totale del costo di tutti gli aborti da parte del Servizio sanitario nazionale; l’abbattimento di tutti i paletti all’aborto, anche per le minorenni che non hanno più bisogno dell’autorizzazione dei genitori; e l’eliminazione del periodo di riflessione di otto giorni che era obbligatorio prima di poter eseguire l’intervento. La difesa della vita è sotto costante attacco da parte dei media e del governo. Da ultimo, nel 2018, è stata introdotta una legge speciale che mira specificamente a ostacolare la nostra azione: è stato creato il Délit d’entrave à l’IVG, ossia il “crimine di ostacolo all’aborto” che comporta due
Il piccolo sostegno che diamo alle donne che chiedono di abortire restituisce loro ciò che non dovrebbe mai essere minacciato: la loro libertà di essere madre, di amare e di essere amate.
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Marie Philippe, madre di sette figli e nonna di 35 nipoti, per più di vent’anni insieme al marito ha lavorato per promuovere il metodo dell’ovulazione Billings in Francia, nella convinzione che la contraccezione artificiale non sia un rimedio per prevenire l’aborto. Dieci anni fa hanno lasciato la presidenza di Billings France a coppie più giovani e hanno intrapreso un nuovo tipo di lavoro per promuovere il rispetto della vita umana.
anni di prigione e una multa di 30 mila euro per chi fa propaganda pro vita online: abbiamo trovato il modo di eluderla, ma corriamo costantemente il rischio di denunce e condanne. In questo contesto ostile alla vita, l’aborto è considerato oggi dalla maggioranza dei francesi come una “scelta” valida, o addirittura encomiabile... allora noi salviamo i bambini! Negli ultimi dieci anni ne abbiamo salvati circa 1.500 ogni anno.
L’aborto è un gesto profondamente disumano: la donna, anche quando sceglie di abortire, sa — nel suo intimo — che sta commettendo un atto contrario alla sua natura più profonda e ancestrale.
Siamo riusciti a instaurare un contatto diretto con le donne che vogliono abortire, per incoraggiarle a scegliere la vita attraverso il dialogo e una vicinanza molto concreta. Per evitare problemi legali, dovuti alla legge suddetta, non possiamo però presentarci come pro life, né come Cristiani.
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Tre premesse Per poter intraprendere questo percorso teso a salvare vite umane (i bambini, certo, ma anche le madri), bisogna aver chiare alcune premesse: 1. La contraccezione non è un rimedio per evitare l’aborto: il 90% delle donne che ci contattano sono rimaste incinte per la fallacia dei metodi contraccettivi chimici o meccanici. 2. Non bisogna aver paura di annunciare la verità con “fermezza e amore”. Nella sua Evangelium Vitae del 1995, Papa Giovanni Paolo II invoca Maria, Alba del nuovo mondo, e le chiede: «Fa’ che tutti quelli che credono nel tuo Figlio possano proclamare il Vangelo della vita con fermezza e amore per le persone del nostro tempo». 3. Non è complicato dissuadere una donna dall’aborto, bisogna solo fare appello al suo cuore, a ciò che abita profondamente in lei, e insistere sul fatto che l’aborto, atto contro natura per eccellenza, non è la soluzione dei suoi problemi. Un sito web Nel 2008 abbiamo creato il sito web www.ivg.net per rispondere alle domande delle donne che vogliono abortire. Ivg, come in Italiano, è l’acronimo usato per indicare l’aborto legale, ed è una parola chiave di ricerca importante su Internet. Quindi, il primo passo vincente è stato acquistare questo dominio che corrisponde esattamente alla parola chiave digitata sui motori di ricerca come Google e che ci ha rapidamente dato un’ottima posizione (anche il primo posto) nelle pagine dei risultati delle ricerche.
Il sito non pone questioni politiche, religiose o morali. L’obiettivo principale è fornire informazioni reali, veritiere e concrete, in particolare sugli studi scientifici che segnalano i rischi connessi all’aborto. E, soprattutto, il sito incoraggia le donne a contattarci telefonicamente tramite un numero verde. Il call center Spesso l’argomento della telefonata è molto diretto: «Dove posso abortire? Come faccio?». Naturalmente non indirizziamo alle cliniche abortiste ed evitiamo di fornire informazioni che potrebbero essere un incentivo all’aborto, bensì apriamo un dialogo per aiutare le donne a scegliere davvero liberamente, a scorgere la speranza, e spieghiamo i rischi psicologici e fisici dell’aborto.
Negli ultimi dieci anni abbiamo salvato circa 1.200 bambini ogni anno.
luglio - agosto 2019
Le donne che si trovano a dover gestire una gravidanza indesiderata normalmente sono sottoposte a pressioni esterne da parenti, conoscenti, amici, tutori. Da questo deriva spesso una vera e propria violenza psichica e anche fisica, il che è inaccettabile. Ogni giorno il dilemma è lo stesso: «Mia madre, il mio ragazzo, mio padre… non vogliono che che tenga il bambino». Ogni giorno la lotta è la stessa: ridare libertà di scelta a queste donne, che non dicono: «Ho un embrione, un ammasso di cellule», ma dicono «Aspetto un bambino», «Non posso tenere questo bambino». Ciò che fa vincere la vita, a volte, è una piccola cosa. Spesso basta una semplice frase che apre il cuore e ripristina la speranza, come: «Ma certo che sei capace di essere mamma», oppure «Credimi: il tuo fidanzato (o tua madre, o tuo padre) quando vedrà il tuo bambino, ne sarà orgoglioso!». A volte basta una promessa di aiuto materiale a trovare un alloggio, o un aiuto in denaro.
Anche in Italia abbiamo il numero verde e il sito web di Sos Vita, curato dal Movimento per la Vita. Marie Phillippe, parlando con noi a Verona, sottolineava che Ivg.net è diverso perché si presenta come sportello di consulenza per chi vuole abortire, mentre chi telefona a Sos Vita ha già nel cuore il dubbio, già cerca in sé un motivo per scegliere la vita.
Di fronte allo shock di una gravidanza non pianificata, queste donne che ci contattano sono sempre sole e impotenti. Il piccolo sostegno che offriamo restituisce loro ciò che non dovrebbe mai essere minacciato: la loro libertà di essere madri, di amare e di essere amate. La donna è di fronte a dover fare un gesto assolutamente innaturale e, sebbene stia pensando di abortire, lo sa più o meno consapevolmente che sta andando contro la sua natura più profonda e ancestrale. Sono donne spesso ferite negli affetti... Personalmente ho ricevuto fino a 1.200 chiamate in un anno. Il call center riceve tra le cinque e le quindici chiamate al giorno (circa 5.000 chiamate all’anno). Siamo circa una ventina a rispondere e facciamo turni 365 giorni all’anno (comprese domeniche e festività), dalle 8 del mattino alle 10 o alle 11 di sera. Siamo sempre molto ferme circa la gravità dell’aborto. Le donne che ci chiamano cercano spesso giustificazioni. Ma, nel profondo della loro coscienza, sanno cosa stanno per fare. Non scusiamo mai l’aborto. Cerchiamo di offrire parole forti nei confronti dell’atto, ma amorevoli nei confronti delle persone, che cambino il cuore e che siano liberatorie. La pagina Facebook Sei anni fa, abbiamo creato una pagina Facebook che integra il sito. Siamo molto attivi su Facebook, al punto che oggi abbiamo 85mila “Mi piace”. Questo ha anche un costo perché dobbiamo spendere più di 80mila euro all’anno in “boost” (pubblicità) per essere visibili. Il nostro è un lavoro di squadra.
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Quando una donna incinta ci contatta tramite messaggio privato sulla pagina di Facebook, una consulente “di primo livello” le risponde immediatamente e inizia un dialogo personale con lei. Cerca di capire quali difficoltà incontra e si offre di metterla in contatto con una consulente "di secondo livello" al telefono o via Messenger, se la donna si sente più a suo agio nel discutere la sua situazione per iscritto. Infine, molto spesso offriamo un sostegno diretto: un “buon samaritano” (cioè una persona caritatevole) che risieda nella zona dove vive la madre che ha chiamato e che andrà a incontrarla di persona. A volte le giovani donne vogliono rimanere anonime, non vogliono un incontro diretto, ma più spesso l’aiuto viene accettato, e grazie alla perseveranza e alla preghiera di tutta la squadra, molti bambini vengono al mondo!
È un lavoro a volte estenuante, ma sempre gratificante. Proprio la scorsa settimana abbiamo ricevuto questo messaggio: «Grazie per esserci state, grazie a questa pagina per avermi supportato e aiutato. È con immenso piacere che tornerò per darvi notizie del mio bambino. Grazie mille ancora!». Anche di fronte a situazioni drammatiche, brilla la luce della speranza. Abbiamo avuto casi di stupro di ragazze di diciotto anni, e anche più giovani. Abbiamo affrontato situazioni sordide. Ma anche in questi casi le gravidanze sono state portate a termine. Una giovane donna che ricordo tra tante è Aurora, ventotto anni, che voleva abortire in Olanda a ventuno settimane di gravidanza, aveva grossi problemi con il padre dei suoi figli. Era molto decisa: l’associazione l’ha aiutata e 1.000 euro sono bastati per darle la possibilità di tenere il suo bambino.
«Grazie per esserci state, grazie a questa pagina per averci supportato e aiutato. È con immenso piacere che tornerò per darvi notizie del mio bambino. Grazie mille ancora!».
Anche di fronte a situazioni drammatiche brilla la luce della speranza.
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Ecco il messaggio che abbiamo ricevuto da lei, alcune settimane dopo: «Ciao Marie, ti mando questa email oggi per ringraziarti dal profondo del mio cuore per quello che hai fatto per me, perché davvero non mi aspettavo questo gesto. Voglio sinceramente dirti grazie a nome dei miei figli e di me stessa! Grazie ancora mille volte, per tutto! È quasi incredibile che persone come te esistano in questo mondo... Con sincera amicizia». Solo compassione Mi preme sottolineare che con il nostro sito web e la pagina Facebook esprimiamo solo compassione (cioè “con-passione”) nei confronti delle donne che ci contattano. Non cerchiamo di discutere sullo status dell’embrione. Sono le donne stesse che testimoniano, dopo un aborto: «Ho ucciso il mio bambino!». Ci accusano di voler far sentire le donne colpevoli, di violare i loro diritti e la loro libertà, di influenzarle usando la pressione psicologica, ecc.. Planned Parenthood è furiosa nel vedere il nostro sito web così prominente su Google. Al punto che il governo ha lanciato il proprio sito ivg.gouv.fr soprattutto per contrastare noi. E perché la nostra umile azione fa uscire dai gangheri così tante persone appartenenti ad alti livelli delle strutture statali, politiche e dei media? Con la nostra presenza digitale aiutiamo a salvare dalla morte circa 1.200 bambini ogni anno, contro i 250mila che vengono abortiti in Francia: solo 1 su 250! Eppure, questo è già troppo per i cultori della morte: troppi bambini sfuggono al sacrificio! A troppe donne abbiamo detto con convinzione, fermezza e amore: «Sì,
puoi cambiare idea e dare il benvenuto alla Vita». Un’azione efficace ed “esportabile” Ogni giorno abbiamo la prova che qualsiasi sia la situazione delle donne, da qualunque Paese provengano, da qualsiasi cultura, a qualsiasi religione appartengano, l’aborto è sempre un atto contro natura. Questo è un punto fondamentale per essere ascoltati, soprattutto dai media. Il professor Lejeune spesso diceva: «Dio perdona sempre, l’uomo a volte, ma la natura mai!». Ogni giorno ci troviamo anche a dover ascoltare le grida di disperazione di donne che hanno scelto l’aborto: quando glielo chiediamo, molto spesso dicono di non avere religione. Pertanto, non è una questione di senso di colpa che deriva da un’educazione rigida o da credenze religiose. No! Queste donne dicono in modo molto semplice e doloroso: «Ho ucciso il mio bambino». Il nostro lavoro sul campo è un modello facile da implementare anche fuori dalla Francia. Siamo convinti che il contatto diretto con le donne, con un approccio assolutamente “laico”, sia efficace: davvero salva i bambini. Facciamo così poco e questo “così poco” ha conseguenze così grandi! Siamo a disposizione di tutti quelli che ci vogliono contattare per offrire tutto il nostro know-how, la nostra esperienza. Anche voi, a casa, potete salvare i bambini, uno a uno, giorno dopo giorno: questa è la nostra grande speranza.
La contraccezione non è un rimedio per evitare l’aborto: il 90% delle donne che ci contattano sono rimaste incinte per la fallacia dei metodi contraccettivi chimici o meccanici.
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Prevenire l’aborto Alfredo Mantovano
Una proposta normativa per prevenire l’aborto: l’Autore, insigne magistrato, ne ha parlato durante un workshop del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.
Uno dei capi di imputazione più pesanti rivolti al Congresso Mondiale delle Famiglie e a chi vi ha partecipato è stato quello di voler limitare il “diritto” di aborto. L’accusa è contenuta nei documenti di gruppi femministi, di Commissioni pari opportunità di ordini forensi, e di larga parte dei media. È stata contestata, fra gli altri, anche a me: ho osato affermare, in una intervista rilasciata nel maggio del 2018, in occasione del 40° anniversario dell’approvazione della legge n. 194 che ha legalizzato l’aborto in Italia, che il bilancio di questa legge coincide con l’eliminazione fisica, seppur “legale”, di sei milioni di esseri umani per la sola ragione di non aver oltrepassato la soglia dei nove mesi dal concepimento. Il bilancio pesa non soltanto su chi non è stato fatto nascere, bensì pure sull’esistenza delle donne che hanno subito il dramma di un intervento abortivo, e su un corpo sociale il cui problema più significativo è oggi costituito dal decremento demografico: sei milioni di vite che mancano all’appello incidono, eccome! Non so che cosa ci sia di così scandaloso nel dire questo. Bollare questa semplice esposizione di dati obiettivi come “medievale” e “ostile alle donne” è un modo aggressivo per sottrarsi al confronto: non tanto con noi, ma con la realtà
della protezione della vita e della donna che quella vita porta con sé. La rivendicazione oggi è quella dell’aborto in termini di “diritto”. E ha come corollario improprio l’intangibilità della legge 194/1978. Perché “improprio”? Perché, se restiamo alla lettera della legge, la 194 non identifica in modo formale l’aborto come “diritto”. Anzi, all’art. 1 arriva a dichiarare che lo Stato «tutela la vita umana dal suo inizio». Sappiamo bene che poi gli articoli successivi contraddicono questa espressione iniziale, giacché nei primi novanta giorni della gravidanza l’aborto è di fatto a richiesta: è sufficiente entro quel limite temporale la certificazione della condizione di gestante. Però quel che dice l’art. 1 al comma 1 andrebbe considerato in sede applicativa nella parte in cui offre possibilità per l’effettiva tutela della vita. Per fondare il diritto all’aborto bisognerà attendere non una legge, ma recenti sentenze della Corte costituzionale italiana. Penso per tutte alla n. 162 del 9 aprile 2014, che ha reso possibile la fecondazione artificiale di tipo eterologo. Con questa pronuncia la Consulta afferma il principio in base al quale la scelta di una coppia sterile o infertile di utilizzare la tecnica di procreazione medicalmente assistita eterologa coincide con la
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scelta «di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli». Questa scelta è qualificata «espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi»: una “libertà”, secondo la Consulta, costituzionalmente fondata, «concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana». Spiega la Corte che è vero che «la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli», ma — aggiunge — la «formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico (…)». Il riconoscimento costituzionale alla “libertà di autodeterminarsi” in ordine alla formazione di una famiglia con figli svela una identità di logica fra la fecondazione artificiale e l’aborto: se la “libertà di autodeterminarsi”, unita alla nozione lata di “salute”, ha un peso tale da avere la meglio sulla vita di un figlio che già esiste e che ha il solo limite di essere troppo giovane e di stare ancora nella pancia della mamma, è ovvio che lo stesso diritto all’autodeterminazione incida parallelamente sulla possibilità di avere un figlio con gameti estranei alla coppia. Qual è il paradosso? Che coloro per i quali «La 194 non si tocca» poi restano indifferenti di fronte alla proposta di dare piena applicazione a quei passaggi
L-Jus è la rivista giuridica on line del Centro Studi Rosario Livatino, di cui Alfredo Mantovano è vicepresidente.
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della legge che in oltre quarant’anni sono rimasti inattuati: in particolare, quelli che fanno precedere l’eventuale intervento di aborto da una fase preventiva-dissuasiva. Rileggiamo l’art. 5 comma 1 della 194: «Il consultorio e la struttura socio-sanitaria (…) hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, (…) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto». L’art. 2 della stessa legge aveva peraltro inserito fra i compiti dei consultori di assistere «la donna in stato di gravidanza: a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a); d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». Chiedo a chi ci contesta: la legge 194 vale intera o vale a pezzi? Coloro che la ritengono intangibile, in realtà da quarant’anni la smontano e “accantonano” le parti che non interessano. Se intendiamo fare qualche passo concreto verso la prevenzione dell’aborto, può giovare qualche ritocco agli artt. 2 e 5 della 194. Mi soffermo in particolare sulla lettera d) del comma 1 dell’art. 2, che — come si è detto — prevede che i consultori assistano la donna incinta «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».
La “libertà di autodeterminarsi”, unita alla nozione lata di “salute”, ha un peso tale da avere la meglio sulla vita di un figlio che già esiste e che ha il solo limite di essere troppo giovane e di stare ancora nella pancia della mamma.
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È quindi incontestabile la funzione preventiva dei consultori a tutela della maternità, come era già nella legge 29 luglio 1975, n. 405, che li aveva istituiti, incentrata espressamente sulla tutela della donna e del “prodotto del concepimento”. Perché queste norme sono state disapplicate? Certamente per ragioni ideologiche. Ma anche per un dato strutturale: la funzione di prevenzione dei consultori è stata penalizzata dalla stessa 194, che prevede all’art. 5, commi 4 e 5, che il medesimo medico del consultorio partecipi alla procedura dell’interruzione della gravidanza. Questo è giuridicamente contraddittorio: il consultorio, se ha una funzione preventiva, non deve entrare in alcun modo nella procedura diretta all’esecuzione dell’intervento. Sul piano logico e pratico l’accentramento di due funzioni in contrasto fra loro nello stesso organo fa prevalere l’aspetto più strettamente legato all’interesse per cui la donna si è recata nel consultorio, cioè di richiedere il certificato per praticare l’interruzione: ed è quello che è avvenuto nella prassi. Il ricorso al consultorio peraltro è meramente eventuale, in quanto la donna può avvalersi per abortire del medico di fiducia, abilitato a rilasciare il certificato attestante la sua intenzione di eseguire l’intervento. La proposta va nel senso di sostituire il meccanismo previsto dagli artt. 2 e 5, che in apparenza dovevano svolgere una funzione preventiva, con disposizioni che assegnano alla consultazione una funzione realmente preventiva. Non sarebbe una cosa strana, additabile come frutto di spirito retrogrado o reazionario. È evidente che dovranno essere previsti degli interventi speciali a favore della donna che, durante la gravidanza, sia afflitta da serie difficoltà ricollegabili alla gestazione. A seconda del tipo di difficoltà gli interventi
Il consultorio, se ha una funzione preventiva, non deve entrare in alcun modo nella procedura diretta all’esecuzione dell’intervento.
potranno essere di natura sanitaria, socioassistenziale ovvero economica e familiare. Quel che si spende su questo fronte non è una spesa, va considerato un investimento. Come si è detto, l’aborto è ancora particolarmente diffuso all’interno dei gruppi sociali disgregati o delle convivenze in via di dissoluzione, ovvero tra le giovani italiane, che si prostituiscono per acquistare droga, o tra le giovani immigrate, che si prostituiscono per soddisfare gli sfruttatori. L’opera di prevenzione dell’aborto, se compiuta con la dovuta serietà dai consultori, sarebbe utile anche per contenere le cause di degrado che affliggono la nostra società. La prevenzione dell’aborto è parte integrante di una politica sociale che, munita di consistenti risorse economiche, dia inizio a un risanamento sociale. Non trascuriamo inoltre quanto dispone l’art. 2 comma 2: «I consultori, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni, possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita». L’esperienza — anch’essa quarantennale — dei Cav (Centri di Aiuto alla Vita) è fatta di decine di migliaia di soluzioni prospettate in concreto che, senza forzature, hanno permesso alla donna di evitare il trauma di un aborto.
Se intendiamo fare qualche passo concreto verso la prevenzione dell’aborto, può giovare qualche ritocco agli artt. 2 e 5 della 194.
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I Cav sono stati spesso osteggiati: per questo è opportuno fornire una base meno volontaristica e occasionale alla collaborazione di questo prezioso volontariato. Proporre questo non vuol dire reintrodurre penalizzazioni o forzare le scelte di vita. Ancor di meno significa fare eco a imposizioni confessionali. Immagino che molti di voi abbiano visto quella splendida commedia di Eduardo De’ Filippo intitolata Filumena Marturano. Chi è Filomena? È una prostituta che resta incinta — per ben tre volte — e che decide di tenere con sé tutti e tre i figli: avrebbe potuto disfarsene, come oggi le verrebbe raccomandato, evocando il “diritto” all’aborto. Invece li fa nascere, li mantiene e li fa crescere con dignità, pur nel dolore di tenerli lontani da sé per non comprometterne la riuscita. «Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: “Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo”…», ricorda Filumena, che poi fa il contrario rispetto a quanto consigliatole. Lei spiega anche come mai questi figli se li è tenuti: la prima volta aveva deciso di dare ascolto alle amiche, poi, «per combinazione, camminando camminando, mi ritrovai nel mio vicolo, davanti all’altarino della Madonna delle rose. L’affrontai così: “Cosa devo fare? Tu sai
Eduardo e Titina De Filippo nella trasposizione televisiva di Filumena Marturano, uscita a teatro per la prima volta nel 1932.
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tutto… sai pure perché ho peccato. Cosa devo fare?”. Ma Lei zitta, non rispondeva. “Tu fai così, è vero? Più non parli e più la gente ti crede?... Sto parlando con te! Rispondi!ˮ. “E figlie so’ ffiglie!” Mi bloccai. Rimasi così, ferma. Forse se mi giravo avrei visto o capito da dove veniva la voce: da una casa con un balcone lasciato aperto, dal vicolo vicino, da una finestra… Ma pensai: “E perché proprio in questo momento? Che ne sa la gente dei miei problemi?” È stata Lei, allora… è stata la Madonna!». Non il Papa o un Vescovo, ma l’ateo Eduardo, certamente lontano da chiese e da preti, compone un inno alla vita e all’amore materno, e lega l’uno e l’altro all’amore della Madre. Vuol dire che è vero: ed è sulla verità della vita che va costruita la sua protezione.
L’opera di prevenzione dell’aborto, se compiuta con la dovuta serietà dai consultori, sarebbe utile anche per contenere le cause di degrado che affliggono la nostra società.
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Il diritto di non abortire Solo con la corretta informazione si può scegliere davvero liberamente. Solo con una corretta e completa informazione le donne sono davvero libere di scegliere di… non abortire. «L’aborto è un diritto!» è il grido delle moderne femministe, che lottano per promuovere e difendere la loro emancipazione usando il “diritto ad abortire” quale bandiera della propria autodeterminazione. È una tematica molto sentita quella dell’aborto, che si divide su due fronti distinti ed opposti: quello dei pro life e quello degli abortisti. «L’utero è mio e lo gestisco io», urlano le abortiste da una parte, «Non uccidere!», invoca il fronte opposto. Sì, perché dal momento del concepimento quell’embrione è un essere umano, anche se molti, come volessero farsi sicurezza su una posizione che forse non convince nemmeno loro stessi, sostengono che un embrione non lo sia, andando a costituire solo un informe grumo di cellule. Quello che colpisce è che, a sentire le donne, la quasi totalità percepisce in sé un cambiamento già nei primi attimi successivi all’avvenuto concepimento. I due fronti apparentemente non hanno nulla da condividere, eppure qualcosa in comune ce l’hanno: nessuno dei due reclama il “diritto a non abortire”. Non si tratta solo di prevenire l’aborto elargendo assegni o mezzi materiali di sostentamento,
Amedeo Rossetti
certamente un aiuto, ma non la soluzione. Il “diritto a non abortire” si può e si dovrebbe promuovere in tante maniere, innanzitutto partendo dalla corretta informazione. A sentire e leggere tante donne abortiste, emerge sempre che nessuna di quelle che ha abortito lo ha fatto col sorriso e senza dolore interiore. Evidentemente questa scelta è stata indotta da una qualche difficoltà e, altrettanto evidentemente, queste donne non hanno ricevuto sufficiente sostegno e, forse, sufficienti informazioni. La nostra società è sempre più radicalmente orientata all’egocentrismo, dove l’io è superiore al noi; del voi nemmeno parlarne. Ma se l’io è così forte, perché non considerare questo aspetto anche nella lotta per la difesa della vita? La battaglia delle abortiste vede la donna come unico soggetto interessato ai suoi diritti, ignorando l’esistenza ed il coinvolgimento di un’altra persona, che è la creatura nel grembo destinata ad essere abortita. Ormai tutto fa paura, e la paura maggiore che ciascuno di noi ha è quella della sofferenza fisica.
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Porto un esempio banalissimo: c’è la poltrona del dentista che aspetta; se aspetta te, mi viene facile da dirti che non farà niente e che in pochi minuti tutto sarà finito; se però a doverci andare sono io, diventa più facile far accomodare un gatto nel trasportino che me su quella poltrona. È sulla naturale paura del dolore che fanno facile leva anche i sostenitori dell’eutanasia: scegli la dolce morte, così eviti sofferenze; se non opti per questa, per farti cambiare idea ti tolgo le cure palliative. La pratica della medicina ha inventato un bellissimo sistema per responsabilizzare il paziente, renderlo partecipe delle scelte e magari dargli pure, non sia mai, un pochino di responsabilità: il “consenso informato”.
Perché a oggi l’aborto viene spiegato come l’eliminazione di un problema, che potrebbe avere qualche temporaneo fisico effetto collaterale per un periodo limitato: avrai qualche disagio per qualche giorno, ma a te non accadrà nulla. Che impatto avrebbe invece dire la verità anche sul dopo, anni dopo? Tu, proprio tu, potrai essere ad alto rischio di profonde crisi depressive, potrai con queste mettere a rischio la relazione con i tuoi cari, con altri figli, fino ad essere spinta a non voler più vivere. Anche questo è un rischio di cui la donna dovrebbe essere informata.
Anche per l’aborto, “interruzione di gravidanza” per i cultori della neolingua, è previsto. Tra tanti moduli di consenso informato lacunosi, superficiali, incomprensibili, ho avuto modo di leggerne uno un po’ più completo, ovvero quello che viene dato per l’aborto con metodo farmacologico mediante RU486 in una delle aziende sanitarie della Liguria: tanti avvertimenti e spiegazioni su effetti fisici durante il trattamento e nei giorni successivi; viene spiegata ogni possibilità, dal sanguinamento alla nausea, al possibile giramento di testa; si accenna solo di sfuggita anche al rischio di morte. Ma nemmeno una parola, benché il minimo remoto accenno, sull’elevata possibilità che la donna nel corso degli anni possa venir colpita da diverse profonde crisi di natura psichica, definite sindrome post aborto. Nulla, come se non esistesse. Eppure c’è, eccome c’è. Se si informasse la donna che sta per abortire anche di questo rischio, conteremmo un uguale numero di aborti?
Il 19 marzo scorso la nostra direttrice editoriale ha consegnato al ministro della salute la petizione firmata da più di 115 mila persone che chiede una corretta, completa e veritiera informazione per le donne che vogliono abortire. Fino al momento di andare in stampa, dal ministero nessuna risposta.
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La statua di Cristo Re (in polacco: Pomnik Chrystusa Króla) è un colossale monumento di Świebodzin, in Polonia, la cui costruzione è stata completata il 6 novembre 2010. Ha un’altezza complessiva di 52,5 metri e pesa 440 tonnellate. Il progetto è stato concepito e realizzato da Sylwester Zawadzki, un sacerdote in pensione. Nel 2017 il Parlamento polacco ha approvato una mozione sostenuta dalla Lega delle famiglie, dal partito Diritto e Giustizia e dal Partito Popolare che ha eletto Gesù Cristo come re e protettore della Polonia. Già 350 anni fa re Casimiro aveva eletto come protettrice e regina la Vergine Maria.
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Il post-secolarismo e il futuro della famiglia Steve Turley
Stiamo assistendo alla rinascita della civiltà cristiana? Per decenni, il mondo globalizzato e secolarizzato ha subito l’instaurazione di un sistema economico e politico che scavalca ed erode le tradizioni, i costumi, le religioni e la cultura, per opera di una élite di tecnocrati che pretende di controllare ogni aspetto della vita sociale ed economica. Fino ad ora.
Capisco perché il Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona è stato definito di estrema destra. È stato definito un raduno dei principali “anti” del mondo: anti-gay, anti-aborto, anti-femministi... Lo capisco e vi spiego perché. Ovunque guardiamo oggi, i campioni del libertarismo radicale e del secolarismo [quelli che in inglese si chiamano i liberals. Poiché il termine “liberale” da noi ha un altro significato, traduciamo con “radicale”, ndT] si sentono padroni della scena: hanno ottenuto il matrimonio omosessuale, le decine (settanta?) diverse opzioni di “genere” su Facebook, la repressione della libertà di coscienza e di religione in molti contesti (pseudo) democratici, e così ogni giorno ci ricordano che il mondo sta cambiando in modo sempre più “laicista”. Eppure, tutti gli insulti indignati e le calunnie che si sono scatenate contro il Congresso di Verona dimostrano che i radicali, i progressisti, i “laicisti” hanno un’enorme paura. Hanno paura del vento del cambiamento che spira da una decina di anni e che sta trasformando politicamente e culturalmente il mondo, anche l’Europa (visto anche il risultato delle elezioni del 26 maggio scorso), in un modo che i progressisti radicali libertari e laicisti non avrebbero mai immaginato neanche nei loro peggiori incubi. Voglio quindi introdurvi in un campo di studi che in realtà ha predetto questo cambiamento di tendenza molto prima che si verificasse, e che a sua volta ci offrirà un’opportunità di affacciarci su quello che dovremmo aspettarci per il futuro.
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È stato diversi anni fa: stavo facendo delle ricerche per il mio dottorato e mi sono imbattuto negli studi chiamati “post-secolari”. E devo ammettere che quel termine mi ha scioccato: post-secolare? Ovunque guardiamo, il mondo sta diventando sempre più secolarizzato, non post-secolare. E invece ci sono molti, moltissimi studiosi che sostengono che stiamo entrando in un’era post-secolare. E per post-secolare intendono molto semplicemente che il nostro mondo sta attraversando un periodo di massiccio rinnovamento religioso. Oggi, secondo il World Values Survey, quattro persone su cinque, nel mondo, ovvero l’80% della popolazione mondiale, si dichiarano fedeli di una delle principali religioni. Nell’Africa subsahariana, il Cristianesimo sta crescendo più velocemente della crescita demografica del continente. In Medio Oriente, mai nella storia dell’Islam tanti musulmani hanno frequentato assiduamente
la moschea. La Cina sta vivendo il più grande risveglio cristiano mai registrato nella storia della chiesa. Il governo ungherese ha dichiarato pubblicamente il suo impegno per la rivitalizzazione della civiltà cristiana, mentre la Polonia ha formalmente dichiarato Gesù Cristo come Signore e Re della nazione. L’India sta attualmente vivendo una massiccia rinascita nazionalista indù guidata dal partito Baharatiya Janata, che è il più grande partito democratico del pianeta. Nella Federazione Russa, la Chiesa ortodossa ha assunto un rilievo che non si vedeva dai tempi degli zar. E in America Latina, da un lato sta fiorendo il Pentecostalismo, dall’altro mai fino ad ora si era registrato un così alto numero di cattolici che partecipano regolarmente alla Messa. Ecco perché alcuni studiosi ritengono che attualmente stiamo vivendo una grande ondata di rinascita religiosa, la più grande che il mondo abbia mai visto. Eppure, inizialmente ho pensato che qualcosa non quadrasse: come poteva esserci una ripresa religiosa se il mondo ai nostri occhi appare sempre più secolarizzato? Come è possibile la compresenza di queste due dinamiche opposte? Queste due tendenze si contemperano in quel fenomeno che comunemente chiamiamo globalizzazione. Sappiamo tutti fondamentalmente cosa sia la globalizzazione, almeno intuitivamente: Coca-Cola, McDonalds, Amazon, il Fondo Monetario Internazionale...
Steve Turley, ricercatore presso la facoltà di filosofia della Durham University in Inghilterra, insegna Teologia e Retorica presso la Tall Oaks Classical School di Newark, nel Delaware, ed è professore di Belle Arti presso la Eastern University della Pennsylvania. Ha gentilmente inviato ai nostri Lettori un suo scritto che riassume la relazione che ha tenuto al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.
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Oggi viviamo tutti con le stesse catene di fast food, gli stessi motori di ricerca su Internet, gli stessi processori per computer. Questa è la globalizzazione: un sistema politico ed economico universale che trasforma sostanzialmente il mondo intero in una versione gigante di Orlando, in Florida. Ma questi studiosi del post-secolarismo hanno rilevato un’intrinseca vanità nella globalizzazione. Essa è basata su un concetto filosofico noto come modernità; e la modernità, in poche parole, è l’intronizzazione del razionalismo scientifico come l’unico vero modo di conoscere il mondo; una forma unica di conoscenza per tutti i popoli, i tempi e i luoghi. Ma ciò che gli studiosi del post-secolarismo hanno notato è che le popolazioni del mondo semplicemente non ci credono più. In effetti, le culture occidentali in particolare sono diventate culture post-moderne, in quanto stanno progressivamente sempre più rifiutando la modernità in favore di una pluralità di approcci culturali di conoscere e di essere nel mondo non necessariamente “scientifici”. Tuttavia, ed ecco il punto, anche se le persone hanno rifiutato la modernità, ciò non ha impedito alle élite occidentali, alle nostre élite politiche, economiche e mediatiche di continuare a esportare la modernità sotto forma di globalizzazione.
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In altre parole, le nostre élite stanno cercando di esportare il frutto della modernità anche se le sue radici si sono deteriorate. Ma se le popolazioni hanno rifiutato un sistema filosofico valido per tutti, allora inevitabilmente rifiuteranno un sistema politico ed economico universale. E così, quello che stiamo vedendo oggi è una forte reazione negativa in tutto il mondo contro la globalizzazione: le popolazioni stanno nuovamente riaffermando le culture, i costumi e le tradizioni della loro nazione, e in particolare le loro religioni. In particolare le tradizioni religiose sono meccanismi di resistenza contro i processi anti-culturali della globalizzazione e della sua aristocrazia secolarista. Ecco perché questa rinascita della religione è globale quanto la stessa globalizzazione! Tutto questo solleva certamente una domanda: stiamo per assistere a uno scontro perpetuo tra globalismo secolarista e nazionalismo tradizionalista che si protrarrà in futuro in modo indefinito? La risposta a questa domanda è un clamoroso: «No!». E questo perché, al centro di questa rinascita religiosa post-secolare c’è la rinascita della famiglia naturale. Studiosi come Eric Kaufmann dell’Università di Londra dicono che siamo di fatto agli albori di una rivoluzione demografica, una rivoluzione in cui i post-secolaristi sono in cammino, e queste sono le sue parole, «per conquistare il mondo».
Perché i campioni del “progressismo” si sono scatenati in ogni modo contro un evento come il Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona? Perché hanno paura.
Un segno del secolarismo che spadroneggia in Italia: al Comune di Pieve di Cento (Bo) negli scorsi mesi la giunta uscente aveva proposto di coprire le croci e le immagini sacre nella cappella del cimitero per non offendere gli atei e i credenti in altre religioni.
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Molti studiosi sostengono che stiamo entrando in un’era post-secolare, cioè il nostro mondo sta vivendo un massiccio rinnovamento religioso. Altri rilevano che esiste una netta differenza demografica tra laicisti progressisti e — diciamo — tradizionalisti. Ad esempio, negli Stati Uniti, gli evangelici (conservatori) sono più fertili, almeno del 30%, rispetto ai “liberal”. Questo deficit demografico ha effetti importanti nel tempo. In una popolazione equamente divisa tra tradizionalisti e radicali, un differenziale di fertilità del 30% significa che in una generazione, quel rapporto 50/50 si trasformerà in un rapporto 60/40; in due generazioni il divario sale a 75/25, e nel corso di 200 anni diverrebbe 99 a 1. Già, i demografi calcolano che ci saranno oltre 300 milioni di Mormoni negli Stati Uniti entro la fine del secolo, ed entro la fine del prossimo secolo ci saranno oltre 300 milioni di Amish! Quindi l’America sarà popolata fondamentalmente da Evangelici, Mormoni e Amish! E questo non vale solo per gli Stati Uniti. In Francia, il 30%
delle donne sono responsabili di più del 50% di tutte le nascite. Ungheria, Polonia e Russia hanno attuato politiche a favore della famiglia che stanno effettivamente invertendo i rispettivi cali di fertilità. E la Chiesa ortodossa in Georgia ha sostenuto la nazione nel passare da uno dei più bassi tassi di fertilità dell’Europa orientale a uno dei più alti. Al contrario, i laicisti sono caratterizzati costantemente da un basso tasso di fertilità, di circa 1,5 bambini per coppia, che è significativamente inferiore al livello di sostituzione di 2,1. Di conseguenza, a partire dal 2030, Kaufmann e altri stanno valutando che la popolazione secolarista rappresenterà poco più del 10-15% delle popolazioni nazionali. Questa è la fine del secolarismo: una “contraddizione demografica”, l’individualismo radicale è l’agente che produrrà l’implosione della loro intera ideologia. Ma soprattutto: se il rinnovamento della famiglia è al centro di questa rinascita religiosa, significa che il Congresso Mondiale delle Famiglie si è trovato proprio nell’epicentro di questo fenomeno. Non un raduno di “sfigati”, non un gruppo di “medievali”: noi siamo il futuro, un futuro pro vita, pro bambini, pro famiglia (“per”, non “contro”), e non c’è niente che possano fare per fermarci. Benvenuti nella nuova era post-secolare!
Joseph Smith ha fondato nel 1830 la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni, i cui membri sono noti come Mormoni. Non possono considerarsi Cristiani (non credono nella Trinità e in altri dogmi fondamentali per il Cristianesimo) e alcune sette derivate da questa Chiesa praticano tuttora la poligamia.
Le popolazioni del mondo non credono più alla “modernità”, cioè che il razionalismo scientifico sia l’unico modo per approcciarsi alla conoscenza.
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Trans-specismo Francesca Romana Poleggi
Quando si “è” come ci si “sente”...
In questi ultimi anni la deriva dell’ideologia gender ha — logicamente! — comportato un aumento di persone che decidono di essere quello che “si sentono”, a prescindere da quello che sono e pretendono di essere assecondate in questa follia. Sì, follia. Absit iniuria verbis: lungi da noi l’intenzione di offendere chicchessia. È necessario, però, chiamare le cose con il proprio nome, per amor di verità e — in ultima analisi — per rispetto dell’intelligenza e della dignità delle persone coinvolte. Assecondare, in questi casi, vuol dire mentire, illudere e ignorare il bisogno di aiuto, di cura e di amore di una persona che evidentemente soffre di una qualche ferita profonda. Del resto nessuno si sognerebbe di assecondare un anoressico che si percepisce grasso: o no? Non è solo una questione che riguarda i maschi che si sentono femmine e viceversa (trans-gender). Sono sempre di più coloro che si identificano come membri di diverse specie: quelli che si sentono cane, gatto, alieni e persino creature mitiche. Le foto e le didascalie contenute in queste pagine sono abbastanza eloquenti. Vedete che ci sono anche quelli che si sentono un’età diversa da quella che hanno all’anagrafe (trans-age).
Assecondare, in certi casi, vuol dire mentire, illudere e ignorare il bisogno di aiuto, di cura e di amore di una persona che evidentemente soffre di una qualche ferita profonda.
La statua della Sirenetta, un bronzo di Edvard Eriksen realizzato nel 1913, si trova all’ingresso del porto di Copenaghen, di cui è uno dei simboli. Raffigura la protagonista di una delle più celebri fiabe di Hans Christian Andersen.
Oltre al tipo nella foto a pag.49, c’è l’olandese Emile Ratelband, 69 anni, che ha perso la causa che aveva intentato contro lo Stato cui chiedeva di modificare la sua data di nascita sui documenti: lui si sente vent’anni di meno. Sul Journal of Medical Ethics, Joona Räsänen, una bioeticista finlandese, ha criticato la decisione dei giudici: bisognerebbe consentire — almeno in determinate circostanze — il cambio di età legale. Vietarlo è discriminante nei confronti di chi si sente che non sta invecchiando e che invece viene considerato anziano “solo” per la data di nascita.
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Quanto al trans-specismo, la Cnn ha recentemente pubblicato un servizio sulle moderne “sirenette”: uomini e donne che indossano una coda da pesce sulle gambe e la sfoggiano in raduni, servizi fotografici, corsi di nuoto e persino convegni. Le code possono essere in lycra, più o meno su misura. Ci sono anche quelli che spendono centinaia o migliaia di dollari per farsele in neoprene o in silicone. La moda della sirena è globale: in Israele Shir Katzenell, laureata in sociologia e madre di due figli, ha iniziato un’attività di “sirena
Un giovane argentino di 25 anni, Luis Padron, ha speso più di 30.000 dollari per farsi una serie di operazioni plastiche che l’hanno trasformato in… elfo.
professionale”: ospita feste, servizi fotografici e corsi di nuoto per sirene. Quest’estate, in California ci sarà la quinta convention annuale delle sirene, con sessioni di nuoto, laboratori di modellistica, conferenze, cacce al tesoro, servizi fotografici e spettacoli musicali dedicati. Non manca un risvolto ecologistaambientalista: alcuni dicono che le personesirene mostrano una connessione simbiotica tra uomo e animale e la gente può scoprire che ci si può avvicinare all’oceano in un modo completamente diverso: senza paura. Jareth Nebula è una giovane di 33 anni che a 29 ha “cambiato” sesso perché si sentiva maschio. Ora, insoddisfatta, si è trasformata in un alieno “a-gender”
Molti di questi appassionati di sirene vivono la cosa come una specie di hobby, un gioco di ruolo. Ma molti ne parlano usando la retorica tipica dell’ideologia gender: credono che la percezione di sé dovrebbe superare la realtà fisica.
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Non poteva mancare l’uomo-tigre. Denis Avner si è sottoposto a decine di interventi chirurgici per essere così come lo vedete. Si è anche fatto limare i denti. Ed è stato ospitato e premiato al Guiness World Record. Trovate su You Tube l’intervista che gli ha fatto la compiacente Barbara D’Urso.
Stefonknee Wolscht, nato Paul, di anni 56, si sente una bambina di otto anni, chiusa in un corpo di uomo di mezza età. Circa dieci anni fa ha lasciato sua moglie e i suoi figli per vivere la sua “vera” vita.
Molti di questi appassionati di sirene vivono la cosa come una specie di hobby, una mascherata, un gioco di ruolo. Ma molti ne parlano usando la retorica tipica dell’ideologia gender: credono che la percezione di sé dovrebbe superare la realtà fisica.
Yuval Avrami ha detto che ha imparato dagli amici “transgender” che lo hanno affascinato e gli hanno offerto la possibilità di «passare da una specie all’altra, la capacità di abitare una nuova, magica identità».
«È il mio genere, è unico, è quello che sono», ha detto ad Associated Press Udi Frige, che ha paragonato il suo coming out come sirena a quello degli omosessuali: «Certamente è molto difficile da spiegare, specialmente se le persone non mi conoscono».
«Sento la mia coda come una parte di me», ha detto tempo fa al Daily Mail Caitlin Nielsen. «A volte penso che indosso una protesi perché sono nata con un terribile difetto alla nascita: le gambe. E poiché sono una sirena, non voglio nascondere nulla: così mi sento davvero me stessa».
Uomini e donne indossano una coda da pesce sulle gambe e la sfoggiano in raduni, servizi fotografici, corsi di nuoto e persino convegni (foto da You Tube).
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In Cineteca Giulia Tanel
Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.
Red Land (Rosso Istria) Titolo: Red Land Produzione: Italia — 2018 Regia: Maximiliano Hernando Bruno Durata: 150 min Genere: drammatico, storico, guerra
Le persecuzioni, gli orrori e le tragedie subite dagli Italiani in Istria e in Dalmazia alla fine della seconda guerra mondiale sono una pagina di storia che pochi conoscono e molti non vogliono conoscere, nonostante il fatto che il 10 febbraio di ogni anno, dal 2004, si celebri (o meglio: si dovrebbe celebrare) la “Giornata del ricordo delle vittime delle foibe”. Il film di cui parliamo, quindi, ha l’indiscusso merito di rendere omaggio a un genocidio dimenticato. Red Land — Rosso Istria, opera prima di Maximiliano Hernando Bruno, ha impiegato ben sette anni a venire alla luce. Poi è uscito il 15 novembre scorso in un numero limitatissimo di sale cinematografiche e ha subito un evidente boicottaggio. Ma alla fine è stato trasmesso, in seconda serata, su Rai 3. Vi si narra la storia di Norma Cossetto (interpretata da un’ottima Selene Gandini), giovane istriana, torturata, violentata e gettata viva insieme a tanti altri nella foiba di Villa Surani il 5 ottobre del 1943. Come scrive Il Timone, la sorella, Licia Cossetto,
ha raccontato che, per essere figlia di un fascista ed essersi rifiutata di diventare croata, «la portarono ad Antignana, la legarono a un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi e alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola ed usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà. … Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi». Solamente nel 2006, infatti, Ciampi concesse a Norma la Medaglia d’Oro al Valore. Prosegue Licia, dicendo che bisogna sfatare il mito che del martirio degli Istriani fossero responsabili solo i Titini: «In realtà [… ]furono i partigiani locali — nostri concittadini italiani! — a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare e a sparare sopra i letti, e anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno persino la pensione dell’Inps, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato e infoibato Norma».
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In biblioteca Propagande. Segreti e peccati dei mass media Giuliano Guzzo La Vela
Non facciamoci imbavagliare La mia battaglia contro l’omologazione della dittatura gay Silvana De Mari Fede & Cultura
Un libro che svela i meccanismi e le strategie con cui, all’oscuro dei più, la stampa, la televisione, il cinema e la stessa Rete hanno condotto — e tutt’ora conducono — campagne propagandistiche raffinate, talvolta quasi impercettibili, subdole, ma sempre molto efficaci. Ad esempio in materia di aborto o di eutanasia, di immigrazione o di rivendicazioni Lgbt, di terrorismo islamico o di fake news. L’autore smaschera la narrativa politicamente corretta dei media e offre al lettore degli antidoti per resistere ai tentativi di manipolazione, che certamente ancora non mancheranno. Perché la verità esiste e, nonostante tutto, resiste. Ma non deve essere mai data per scontata.
«Diceva la buonanima di George Orwell: nell’ora dell’inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario. E anche pericoloso, mi permetto di aggiungere. Combattere per l’ovvio comporta spese e rischi, ma ne vale la pena. Anzi: chi si batte per l’ovvio, si sta battendo per la verità. L’ovvio è che gli organi sessuali servano per la sessualità e il tubo digerente per digerire. Usare il tubo digerente per altri fini è un comportamento, non una maniera di essere, ma un comportamento fisiologicamente disfunzionale e biologicamente perdente. L’uso disfunzionale e patologico del tubo digerente viene pubblicizzato come sano e raccomandabile. Per questo sono in guerra. Battetevi insieme a me: l’ovvio deve tornare di moda. Vale la pena di battersi per l’ovvio». (Silvana De Mari)
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