Provita Dicembre 2015 - Anteprima

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Notizie

“nel nome di chi non può parlare” Anno IV | Rivista Mensile N. 36 - Dicembre 2015

Intervista a Elvira Parravicini

I figli piccoli, da Cronos a Gesù Bambino

POSTE ITALIANE S.p.A. | Spedizione in AP - D.L. 353/2003 | (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) | art. 1, comma 1, NE/PD | Autorizzazione Tribunale: BZ N6/03 dell’11/04/2003 | Contributo suggerito € 3,00

Padova CMP Restituzione

“Se non ritornerete come bambini. .”

NOTIZIE PROVITA AUGURA un santo Natale a tutti i lettori


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- Sommario Editoriale: “Se non ritornerete come bambini…”

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“nel nome di chi non può parlare” RIVISTA MENSILE

Lo sapevi che...

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Primo Piano I figli piccoli: da Cronos ad Abramo, sino a Gesù Bambino 11 Francesco Agnoli

Restituiamo le fiabe ai bambini 14 Claudia Cirami

I bambini del XXI secolo davanti alla TV

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Maria Elisa Scarcello

N. 36 - DICEMBRE 2015 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Andrea Giovanazzi Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089 Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi Direttore ProVita Onlus Andrea Giovanazzi

Attualità

Il destino di Frankenstein

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Andrea Giovanazzi

Un giorno in ospedale 9 Clara Echelle

Distribuzione MOPAK SRL, Via Prima Strada 66 - 35129 Padova

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Gian Paolo Babini

Il coraggio e la felicità

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Federico Catani

Courage International, il coraggio della verità

Impaginazione Francesca Gottardi - Massimo Festini Tipografia

Scienza e Morale Vedere il Bello dove gli altri vedono solo sofferenza

Grafica Copertina Francesca Gottardi

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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Agnoli, Gian Paolo Babini , Federico Catani, Claudia Cirami, Clara Echelle, Vincenzo Franceschi, Andrea Giovanazzi, Maria Elisa Scarcello, Daniele Sebastianelli

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Daniele Sebastianelli

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Famiglia ed Economia Ludopatia: una malattia della società liquida Vincenzo Franceschi

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L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali, involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. Fonte immagini: Freepik.com


Editoriale

Editoriale

Andiamo costruendo una società sempre meno a misura di bambino. Qualcuno parla di “adultocentrismo”. Anzitutto, in Italia mancano incentivi e tutele adeguate a chi ha figli, in contrasto con l’art.31 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica dovrebbe sostenere la maternità, l’infanzia e la formazione della famiglia, con particolare riguardo a quella numerosa. Oggi, poi, si vorrebbe equiparare alla famiglia qualsiasi unione o gruppo di persone “perché basta l’amore”. Di conseguenza si pretenderebbe di far crescere “normalmente” i bambini in contesti “anormali”. Nella mentalità comune “fare” bambini (un tempo si diceva “avere” bambini…) è quasi una disgrazia, un impegno gravoso, la fine della vita libera e spensierata dei genitori, la fine dei viaggi, dei divertimenti e della carriera lavorativa. L’aria che respiriamo è infetta di egoismo e materialismo volto all’autodistruzione. Non a caso le donne hanno il primo figlio dopo i trent’anni, non a caso la crescita demografica nel nostro Paese è tra le più basse d’Europa. I bambini, del resto, sono le prime vittime della “cultura della morte”: uccisi dall’aborto, cosificati, selezionati, congelati con la fecondazione artificiale, sono i primi a soffrire per il divorzio, per le famiglie allargate e sfilacciate. Gli omosessualisti, poi, pretendono il “diritto” di deprivarli fin dalla nascita della mamma o del papà. Vengono corrotti e confusi da cattivi maestri (anche a scuola, ormai) e da spettacoli quotidiani intrisi di sesso e violenza: i contributi dell’AIART nelle pagine seguenti spiegano l’evidenza che è sotto gli occhi di tutti. L’ipersessualizzazione che caratterizza questa cultura mira a distruggere l’innocenza dei bambini, la loro dote più preziosa, con la quale essi, invece, sarebbero in grado di arricchire tutti noi, grandi e smaliziati. Sulla carta, anche a livello internazionale, si parla molto dei “diritti dei bambini”, ma poi la stessa ONU raccomanda “l’educazione” a preservativi e lubrificanti per i maschi… da 10 anni in su.

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“Se non ritornerete come bambini…”

Leggerete in queste pagine che il passaggio dalla barbarie alla civiltà è avvenuto di pari passo con la considerazione della dignità sociale dei piccoli. Oggi è invece in atto un’involuzione in senso contrario. La cultura della morte ha preso di mira i bambini: dobbiamo difenderli, tutti, siano essi oppure no legati a noi da vincoli di sangue. Bambini felici, bambini sani oggi, sono garanzia di una società sana e solida domani. La cultura “progressista”, viziata e contro natura che oggi domina l’Occidente, insegna che il senso della vita è il soddisfacimento degli istinti e dei desideri. In nome di questo, nulla è più inviolabile, i deboli soccombono, in primis i bambini. Questo accade perché si è perso il valore della sacralità della vita, senza se e senza ma. Eppure, non tutto è perduto: se il male fa notizia e - soprattutto - possiede la gestione dei canali d’informazione, nella realtà il Bene “resiste”: sia per la buona volontà dei singoli (leggete la testimonianza a pag.9), sia per l’attività di tante associazioni (oggi presentiamo Courage, a pag.25), sia per il lavoro di tanti che contemplano la bellezza della vita anche nel mistero del dolore (si veda a pag.20). Notizie ProVita non è una rivista per bambini. Ma in occasione del Santo Natale, vogliamo dedicare questo numero ai bambini. O meglio - copiando l’idea di Antoine de Saint-Exupéry - al bambino che è stato ciascuno dei nostri lettori. Perché “Tutti i grandi sono stati bambini, una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”. Con un augurio speciale per il Santo Natale e per un felice 2016. Antonio Brandi


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Lo sapevi che... Non accontentiamoci dei proclami e della propaganda della dittatura di Pechino: cerchiamo di non abbandonare le donne della Cina, che continuano ad affrontare aborti forzati, e le bambine della Cina, che continuano a essere soppresse prima e dopo la nascita. La dittatura post comunista cinese, in nome del materialismo più radicale, non fa politica per l’uomo e continua a calpestare i diritti umani impunemente. Hanno annunciato il passaggio a due figli: è imposto per motivi economici. Ma indipendentemente dal numero di figli consentiti, le donne che restano incinta senza permesso saranno ancora trascinate fuori dalle loro case, legate, e costrette ad abortire. I nati maschi, in Cina, sono dai 160 ai 190 ogni 100 femmine: per questo ci sono circa 37 milioni di uomini cinesi che non potranno mai sposarsi. Perciò fiorisce il traffico di donne e la schiavitù sessuale… La politica del figlio unico non ha bisogno di essere modificata. Ha bisogno di essere abolita.

Che queste persone abbiano necessità di essere curate sembra un fatto abbastanza chiaro, ma sorge spontanea una domanda: queste persone sono malate nel corpo o sono malate nella mente?

In Spagna, dopo quattro giorni senza cibo e acqua la dodicenne Andrea Lago è morta all’ospedale di Santiago de Compostela. La ragazza aveva una malattia neurodegenerativa che le ha bloccato progressivamente gli arti. I genitori hanno chiesto ai giudici il permesso di “lasciarla morire dignitosamente”, nonostante l’opposizione dei medici: la ragazzina non provava alcun dolore. Ma la nuova legge della Galizia ammette la “sedazione terminale” - che in realtà è un “terminare sotto sedazione”: lasciar morire di fame e di sete una persona che da sola non può provvedere al proprio sostentamento è un omicidio bello e buono. Molto “buono”: perché per non far soffrire troppo il condannato gli si somministra una bella dose di sonnifero.

Il sindaco di Napoli ha trascritto l’atto di nascita di Ruben, un bambino che risulta figlio di due mamme (sposatesi in Spagna). Si sa: gli amministratori progressisti possono violare spudoratamente la legge, perché evidentemente loro sono “superiori”. Però: possono scriverlo nei registri dell’anagrafe, nei codici civili, sui passaporti, sui muri… possono anche far finta di crederci, ma è e resta una menzogna. Una sola è la madre di Ruben. Quella che l’ha tenuto in pancia per 9 mesi. L’altra gli vorrà bene come una mamma, ma non è e non sarà mai un’altra mamma: due mamme non esistono. Nella realtà, nella verità, la mamma è una e una sola. E da qualche parte ci sarà anche un padre, qualcuno che ha dato o venduto il seme da cui è nato il bambino. Un padre di cui Ruben è stato scientemente e volontariamente deprivato. Possono scrivere pure che ha 100 mamme: ma 100 mamme non faranno mai un papà.

Pare che sia aumentato del 500% il numero degli adolescenti transgender in Inghilterra: non sanno se sono maschi o femmine o qualcosa nel mezzo. Dai 139 casi del 2010 si è passati ai 697 del 2014, un aumento del 500%. Come si vede basta avviare una campagna di propaganda - insinuare dubbi e incertezze fin dai banchi di scuola - per ottenere subito i risultati. E, naturalmente, il SSN dovrà stanziare adeguati finanziamenti alla bisogna.

Cinque giudici del Consiglio di Stato hanno dichiarato illegittime le trascrizioni dei matrimoni gay che i sindaci più “moderni” facevano in barba alla legge e ai principi basilari dello Stato di diritto. Uno dei cinque, il giudice Deodato, è stato esposto alla gogna mediatica per essere cattolico e perciò omofobo. Tra le tante accuse ingiuriose che gli sono costate l’aver semplicemente applicato la legge, c’è anche quella (di Repubblica) di aver rilanciato un post “anti-gender” di ProVita. Siamo andati a vedere di quale post si trattasse. Si trattava della foto di un bimbo Down sorridente col cartello: “Buona Pasqua. La vita è il dono più grande”. Un post davvero antigender! Magari anche omofobo?

L’utero in affitto uccide. Nell’Idaho, una donna di nome Brooke, che ha affittato il suo utero per ben tre volte, è morta l’8 ottobre scorso portando in grembo due gemelli per una coppia spagnola. Ma i mass media non lo dicono.


Lo sapevi che...

Non sapremo mai quante donne, tra le vittime dell’iperstimolazione ovarica e quelle delle gravidanze artificiali andate male, rischiano la vita o muoiono a causa di questa pratica barbara. Infatti, mentre tutti invocano l’aborto, non solo legale, ma addirittura “obbligatorio” in qualsiasi momento della gravidanza per “salvare la donna”, sappiamo bene che quando il “contenuto” vale parecchi quattrini, il “contenitore” si può anche buttar via. Già è accaduto in India, a Premila Vaghela. Oggi accade in America. E – ripetiamo – purtroppo non sapremo mai quante volte è accaduto e quante volte ancora accadrà: in questo caso i soldi importano molto di più delle preoccupazioni per il “femminicidio”.

Ma quanti sono gli omosessuali in Italia? E quante coppie stabili omosessuali sono tarpate nel desiderio di far riconoscere allo Stato la loro unione? E quanti bambini che vivono con coppie omosessuali non possono vantarsi davanti agli ufficiali di stato civile dell’anagrafe di avere due mamme o due papà (il che comunque non sarà mai vero, anche quando diventasse legale)? A sentire l’Arcigay, gli omosessuali italiani sarebbero cinque o sei milioni. Secondo l’Istat gli omosessuali sono circa un milione, meno del 2% della popolazione italiana. I figli che vivono con coppia omogenitoriale secondo Arcigay sono centomila, secondo Arcilesbica sono duecentomila. Secondo l’Istat, in Italia esistono circa 13.997.000 coppie stabili. Sono coppie con o senza figli. Tra queste, le coppie composte da un uomo e da una donna sono 13.990.000. Le coppie dello stesso sesso certificate dal censimento 2011 sono 7.591. Di queste 7.591, una su 14 si occupa di uno o più minori figli di uno dei partner: i bambini e ragazzi che vivono con queste 7.591 coppie sono in tutto 529. La stragrande maggioranza di questi 529 bambini o ragazzi sono figli di un normalissimo rapporto tra un uomo e una donna, hanno anagraficamente una madre e un padre (separati).

Il ” genere neutro ” non esiste.

Possono scriverlo su tutti i documenti del mondo, ma resta sempre e solo uno “sbaglio della mente umana”. In Francia un signore di 65 anni ha ottenuto il diritto di essere riconosciuto nei documenti ufficiali come “intersesso”, un qualcosa che sta a metà tra il maschio e la femmina, il mitico androgino che periodicamente affiora in superficie pur non trovando alcuna conferma nella “evidence based science”. Era stato registrato come maschio

alla nascita, in quanto presentava una vagina rudimentale e un micropene in assenza di testicoli: una condizione che nel corso della vita gli aveva procurato non poche sofferenze.

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Ma se si fosse recato da uno specialista del settore avrebbe saputo ben presto di essere, in realtà, una femmina affetta dalla sindrome definita come “iperplasia surrenalica congenita”. Questa anomalia congenita attualmente può essere curata addirittura in utero e la bambina nasce con un apparato sessuale perfettamente femminilizzato. Qualcuno avverta i giudici francesi, e preventivamente anche quelli italiani, del fatto che la loro è stata solo un’esibizione di ignoranza con l’obiettivo di trovare una scusa giuridica per scardinare “l’antiquata” divisione binaria in maschi e femmine.

Per giustificare il macabro commercio di organi e di feti che è stato dimostrato dal giornalismo investigativo del CMP (potete vedere i video denuncia sul nostro portale web), la Planned Parenthood ha tentato la scusa che “è per il bene del progresso scientifico”, “è per salvare molte vite, per curare bambini malati…”. I fatti dimostrano, invece, che la ricerca non ha nessuna necessità di organi e tessuto fetale, né è riscontrato alcun successo terapeutico, quando i ricercatori usano organi o tessuti di bambini abortiti. Sia nel campo dei trapianti, sia nel campo dei vaccini, sia nel campo della ricerca biologica in genere, studi decennali dimostrano che il tessuto fetale e le cellule embrionali non servono proprio a niente. I risultati semmai si ottengono con le staminali adulte. Solo a una cosa, oggettiva e documentata, sappiamo che sono servite le cellule fetali commerciate da Planned Parenthood, finora: a essere trapiantate nei topi, per fare i ratti molto intelligenti.

La vignetta del mese

di Francesca Gottardi


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N. 36 - DICEMBRE 2015

Andrea Giovanazzi

Prolife per passione e per indole, essendo tra gli ultimi nati in una famiglia di circa un centinaio di parenti tra zii e cugini! : www.notizieprovita.it

Il destino di Frankenstein: tra letteratura e utopie scientifiche

E’ uscito un libro che pone serie questioni di bioetica, sul confine tra la scienza e l’hybris e che mette in luce la drammatica attualità del mostro di Mary Shelley. Abbiamo intervistato l’autore. di Andrea Giovanazzi Paolo Gulisano è medico e scrittore. Nel corso degli anni ha dato alle stampe libri su figure della cultura cristiana inglese come J.R.R. Tolkien, Chesterton, il Beato Newman e tanti altri, ma anche testi di storia della Medicina. Nelle librerie è appena uscita la sua ultima fatica, realizzata a quattro mani con l’anglista Annunziata Antonazzo, Il destino di Frankenstein (Editrice Ancora).

Gulisano, perché questo libro? Duecento anni fa una ragazza inglese poco più che ventenne, Mary Shelley, diede alle stampe un romanzo destinato a diventare una delle opere letterarie più singolari della Modernità: Frankenstein di Mary Shelley è il capostipite della letteratura dell’immaginario, dell’horror e della Science Fiction, ma non si ferma lì. La Shelley visse in un periodo di grandi rivolgimenti, storici, sociali e soprattutto scientifici. Un periodo dove già iniziava un dibattito etico derivato dalle nuove straordinarie scoperte che avevano suscitato molte domande sui confini tra la vita e la morte e il potere su di esse degli scienziati. A duecento anni dalla pubblicazione tuttavia, le questioni di tipo scientifico ed etico sollevate da Frankenstein sembrano diventare sempre più attuali e urgenti: è possibile disporre totalmente della vita umana? Quali sono i limiti degli interventi delle tecnologie biomediche? Rileggendo il romanzo di Mary Shelley con lo sguardo rivolto agli scenari contemporanei, emerge una realtà molto inquietante: c’è qualcuno che si diverte a giocare a fare Dio.

Per la fine del 2017 un team di neurochirurghi italiani e cinesi ha in programma il primo trapianto di testa.

Che significa?

C’è una notizia, trapelata negli scorsi giorni, che ha dell’incredibile: per la fine del 2017 un team di neurochirurghi italiani e cinesi ha in programma il primo trapianto di testa. Lo hanno affermato sia il chirurgo cinese Ren Xiaoping, ideatore dell’operazione, sia il neurochirurgo italiano Sergio Canavero, operante presso l’ospedale torinese delle Molinette, già autore di alcuni studi sulla sostenibilità di tale intervento. Esiste già anche un volontario che ha accettato di sottoporsi all’esperimento, Valery Spiridonov, russo, affetto da una grave malattia incurabile che provoca una progressiva atrofizzazione dei muscoli chiamata Werding-Hoffman disease. L’operazione dovrebbe avvenire, secondo il progetto, nella Harbin Medical University, nel nordest della Cina. L’ipotesi di un trapianto di testa, che ha tra i suoi fautori appunto il neurochirurgo torinese Sergio Canavero, resta però estremamente controversa: secondo vari specialisti, infatti, questo tipo di trapianto dal punto di vista tecnico è al momento un traguardo «fantascientifico», poiché mancano a oggi le basi sperimentali e di conoscenza che possono permettere di affermarne la fattibilità. In Italia, inoltre, la legge sui trapianti vieta quelli di cervello e di organi genitali. Diversa però la posizione della Cina, che di recente ha acceso il dibattito per l’apertura a tecniche spregiudicate, come nel caso di un gruppo di ricercatori che ha scatenato le polemiche nella comunità scientifica per aver usato delle tecniche di “taglia e incolla” del DNA su un embrione. E’ piuttosto significativo che il professor Canavero abbia chiamato il suo progetto “Heaven”. Si tratta dell’acronimo di HEad Anastomosis VENture, anastomosi cerebrosomatica, ma in inglese significa “Paradiso”. E’ una sorta di scalata al Cielo, questo tipo di esperimento. Certamente non mancano le motivazioni “umani-


Attualità tarie”: salvare una mente prigioniera in un corpo malato, affetto da gravi patologie invalidanti come quelle neurologiche, o da tumori devastanti e inguaribili, ma l’ipotesi di spostare una testa - con il cervello e tutto il suo deposito di emozioni, sentimenti, ricordi - su un altro corpo apre delle prospettive assolutamente inquietanti. Sembra la realizzazione delle utopie di Frankenstein.

Frankenstein di Mary Shelley è il capostipite della letteratura dell’immaginario, dell’horror e della Science Fiction, ma non solo: le questioni di tipo scientifico ed etico sollevate da Frankenstein sembrano diventare sempre più attuali e urgenti. In che senso? Il capolavoro di Mary Shelley aveva un sottotitolo, Il moderno Prometeo, che era tutto un programma. Se è vero che il romanzo apparteneva a quella fiction di tipo gotico che ebbe pieno sviluppo e produzione durante l’800 romantico, tuttavia rappresentava anche una riflessione fondamentale sulla figura dell’uomo di scienza e sull’importanza del suo ruolo nel cammino del progresso per il miglioramento delle condizioni di vita della comunità umana. Rileggendo le pagine di questo romanzo viene alla mente l’espressione “playing God”, cioè “giocare alla divinità” o “fare la parte di Dio”, un’espressione ormai usata da molti professionisti nel campo della bioetica. Essa richiama sicuramente a quel dibattito ormai quotidiano sul vero significato della difesa della vita e della sua dignità. L’atto dell’interpretare Dio prendendone il posto rivela la piena coscienza della volontà, del voler essere al posto di Dio con tutto se stesso. Nel caso del Dottor Frankestein di Mary Shelley non si tratta di giocare a fare il creatore, ma di voler “essere” il creatore. Una sfida ambiziosa e inquietante… In una nota parodia cinematografica, il dottor Frankenstein, di fronte all’evidenza della fattibilità tecnica del suo progetto di realizzare una creatura a partire da pezzi di cadavere assemblati chirurgicamente e in cui viene trasmessa l’energia elettrica - ritenuta l’elemento vitale della materia - esclama: “Si può fare!”. E’ l’“imperativo tecnologico” cui deve rispondere la scienza moderna: se è tecnicamente possibile, perché non farlo? L’etica chiede invece che si diano le ragioni di questi atti, e pone una domanda cruciale: ciò che è tecnicamente fattibile, è anche moralmente, o almeno umanamente, lecito? Ci stiamo avvicinando all’Overreaching, all’eccesso. Frankenstein come l’antico Prometeo ambiva alla sete di conoscenza e a porsi come portatore di questa conoscenza per il bene e il progresso dell’umanità. Questa era la sua unica ambizione, ma al tempo stesso questa era l’origine della sua tracotanza, dell’overreaching, del suo andare oltre i limiti, recando

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dolore e disperazione a se stesso e a tutti coloro che amava invece di prosperità e progresso: «Tutte le mie indagini e le mie speranze si sono ridotte a nulla, e, come l’angelo che aspirava all’onnipotenza, io sono incatenato in un inferno perpetuo». Esplicito è il riferimento letterario al Paradiso Perduto di Milton. Quel Paradiso che si vorrebbe conquistare oggi con i mezzi della tecnologia più avanzata, senza tener conto delle possibili conseguenze del playing God. Lei nel suo libro parla di “delirio di onnipotenza” della scienza moderna. Quello che Mary Shelley aveva immaginato nel suo romanzo di duecento anni fa sembra diventare oggi una terribile realtà, quella di una scienza che non ha alcun rispetto verso la vita e rischia di procurare morte e distruzione e non benessere e armonia. La Shelley riteneva che la cosa più spaventosa del suo romanzo fosse, non il mostro uscito dalle mani di Victor Frankenstein, scienziato, ma il delirio di onnipotenza dello scienziato, che non sa porre alcun freno alla sua ambizione. Certo, le motivazioni che portano a questo tipo di sfide sembrano umanitarie: dare speranza a chi soffre di gravi malattie, ma la prospettiva di un simile “giocare” con la tecnica porterebbe inevitabilmente a solleticare il desiderio di eternarsi. Mettere il proprio cervello in un corpo nuovo, magari giovane e prestante, per riavere tanti anni a disposizione, conservando però la propria memoria e la propria identità. Ma sarebbe davvero così? Mary Shelley aveva cominciato a chiedersi quale futuro ci sarebbe potuto essere se i morti avessero avuto davvero la possibilità di ritornare in vita, come avrebbero vissuto e quali


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sarebbero state le conseguenze morali e psicologiche, nel momento in cui fosse stato messo in pericolo il confine tra la vita e la morte. Inoltre il potere che lo scienziato avrebbe ottenuto da questi esperimenti sembrava farlo diventare sempre più sicuro di sé fino al punto di pensare di poter davvero avere un potere sulla vita e sulla morte. Il dottor Frankenstein stesso affermava, come il più concreto scienziato illuminista, che superstizioni e credenze non lo toccavano minimamente. Egli si era concentrato sull’azione corruttrice della morte sui cadaveri e si diede totalmente allo studio e alla ricerca di una strada che conducesse alla scoperta del principio della vita. Forse è questa l’origine e al tempo stesso la causa del playing God.

Cosa ci insegna il Frankenstein? Victor Frankenstein pretendeva, come molti scienziati figli della cultura anti-cristiana dell’Illuminismo, di colmare le presunte lacune di Dio. La più grande di essa è la morte e tutto il mistero di lutto e di dolore che la circonda. Lo scienziato può svelare questo mistero e sconfiggere la morte completando, così, la grandezza della creazione. In fondo la sua intenzione è il cosiddetto bene dell’umanità. Il mondo gliene sarà grato. Ma è questo il vero scopo della Scienza? O non è forse mettersi in primo luogo in contemplazione della natura, per come essa realmente è? Ma la grandezza e la maestosità del creato sono lontane da Frankenstein. Egli sente la sua azione come una catena che lo tiene legato a se stesso, alla sua sete di onnipotenza e l’unico modo per liberarsene è portare a termine il suo lavoro. Qui risiede, come abbiamo già detto, il significato profondo della figura di un Prometeo moderno, la cui ambizione, e allo stesso tempo presunzione, è quella di voler acquisire la suprema conoscenza e impiegarla per il bene e il progresso dell’umanità. Questa era la sua unica ambizione, ma al tempo stesso questa era l’origine della sua tracotanza, del suo andare oltre i limiti, recando a se stesso e a tutti coloro che amava dolore e disperazione invece di prosperità e progresso. Quello che esce dalle sue mani non è una creatura, ma un mostro. Una costruzione. E come disse Chesterton: “Tutta la differenza fra costruzione e creazione è esattamente questa: una cosa costruita si può amare solo dopo che è stata costruita; ma una cosa creata si ama prima che esista.” ■

“Si può fare!” è l’ ”imperativo tecnologico” cui deve rispondere la scienza moderna: se è tecnicamente possibile, perché non farlo? L’etica chiede invece che si diano le ragioni di questi atti: ciò che è tecnicamente fattibile, è anche moralmente, o almeno umanamente, lecito?


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