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“nel nome di chi non può parlare” Anno V | Rivista Mensile N. 40 - Aprile 2016
naturalmente
FAMIGLIA
Nuove “famiglie”: dietro l’arcobaleno, il buio
E se la maternità porta la felicità…?
Notizie
- Sommario Editoriale: Naturalmente... famiglia!
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“nel nome di chi non può parlare” RIVISTA MENSILE
Lo sapevi che...
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Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182
Attualità “Un gancio in mezzo al cielo”
N. 40 - APRILE 2016
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Giampaolo Scquizzato
Redazione
Antonio Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi
Tutti a Roma, l’8 maggio, alla Marcia per la Vita! 8 Daniele Sebastianelli
Piazza Municipio 3 - 39040 Salorno (BZ)
www.notizieprovita.it/contatti - Tel. 329 0349089
Direttore responsabile Antonio Brandi
Primo piano
Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi
Nuove “famiglie”: dietro l’arcobaleno, il buio 10
Impaginazione grafica Francesca Gottardi
Giuliano Guzzo
Una generazione ad alto rischio
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Tipografia
Benedetta Frigerio
Sposarsi ha ancora senso?
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Massimiliano Fiorin
E se la maternità porta la felicità…?
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Distribuzione MOPAK SRL, via Prima Strada 66 - 35129 Padova
Costanza Miriano
L’adulterio in provetta - parte prima
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Francesco Agnoli
Scienza e Morale Dalla bio-poietica alla bioetica
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Aldo Vitale
Il sonno della ragione genera mostri Ferdinando Costantino
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Hanno collaborato alla realizzazione di questo numero: Francesco Agnoli, Ferdinando Costantino, Massimiliano Fiorin, Benedetta Frigerio, Giuliano Guzzo, Costanza Miriano, Giampaolo Scquizzato, Daniele Sebastianelli, Aldo Vitale.
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Editoriale
Editoriale
Foto: sathyatripodi
‘Naturalmente’, cioè ‘secondo natura’: mai come in questo momento il concetto di natura è stato tanto stravolto. Direi del tutto lacerato. Da un lato s’invoca, giustamente, il rispetto dell’ecosistema, la tutela del mondo animale e vegetale, la salvaguardia dell’atmosfera terrestre e quant’altro; dall’altro si perde completamente di vista la natura dell’essere umano: si pretende – anzi – che venga riconosciuto il ‘diritto’ di violentarla, mutilandosi per ‘cambiare sesso’, fabbricando e distruggendo bambini in laboratorio, cancellando la maternità e la paternità (i concetti più naturali che possiamo immaginare) e sostituendoli con una serie numerata di ‘genitori-acquirenti’ imprecisati, spesso senza alcun legame naturale con i piccoli. C’è chi fa approvare leggi per vietare di togliere troppo presto i cuccioli agli animali domestici e nello stesso tempo è favorevole a strappare i bambini neonati alle madri con l’aberrante pratica dell’utero in affitto. Questa lacerazione della natura umana è forse la principale contraddizione del relativismo etico, del pensiero unico dominante, della cultura della morte. Una cultura che – appunto – mira alla distruzione delle persone, attuando una rivoluzione antropologica radicale che presuppone anzitutto la distruzione della famiglia: del luogo, cioè, dove la persona nasce, cresce e si fortifica preparandosi ad affrontare la vita nella società.
Notizie
Naturalmente... famiglia!
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Di famiglia naturale, quindi, si parla in questo numero di Notizie ProVita: si mette in luce il lato oscuro di violenza e sopraffazione che è celato dai colori dell’arcobaleno. Oltre ai dati forniti dalla scienza statistica sulla violenza che alberga all’interno delle coppie omosessuali, parla a ProVita un testimone diretto, quale il professor Robert Oscar Lopez, cresciuto con ‘due mamme’. Francesco Agnoli ci illustra poi le conseguenze che la fecondazione artificiale eterologa provoca nel rapporto di coppia, mentre la giornalista Costanza Miriano ribadisce come, invece, seguire la natura umana gratifichi e renda felici, le donne innanzitutto. Potrete inoltre leggere una testimonianza che è un inno alla vita e due interessanti riflessioni sulla bioetica e sulla ‘biopoietica’. Quello che conta è comunque non perdere la speranza. I due ultimi Family Day, che hanno visto milioni di persone scendere in piazza, dimostrano che, se da un lato la cultura della morte avanza, dall’altro gli uomini di buona volontà – che sanno vivere e testimoniare per la vita e la famiglia secondo le leggi di natura e la ragione naturale – sono tanti. “Le porte degli Inferi non prevarranno!”. Antonio Brandi
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N. 40 - APRILE 2016
Lo sapevi che... Il dottor Pascal Gagneux della University of California sostiene che gli effetti a lungo termine della fecondazione in vitro sono ancora in massima parte da chiarire: “[…] Stiamo facendo un esperimento evolutivo. [...] Lo paragonerei al ‘cibo spazzatura’ inventato dai fast food americani e allo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio: ora, dopo 50 anni, negli Stati Uniti i giovani sono più bassi, obesi, con tutte le patologie connesse, e muoiono prima. Ma ci sono voluti 50 anni per capirlo”, mentre le prime persone concepite in provetta oggi non hanno ancora quarant’anni. Secondo Gagneux, alcuni possibili effetti collaterali a lungo termine della fecondazione artificiale sono il diabete, l’ipertensione e in genere una morte prematura. Un certo numero di specialisti della fecondazione in vitro hanno risposto alle osservazioni del dott. Gagneux, dicendo che non aveva prove sufficienti per suffragare queste affermazioni. Secondo loro le patologie riscontrabili nei bambini ‘artificiali’ sono dovute a difetti genetici contenuti negli spermatozoi (chissà: magari in ambiente naturale quegli spermatozoi ‘difettosi’ non avrebbero mai raggiunto l’ovulo...). Costoro sostengono che ‘il principio di precauzione’ non si può sempre seguire. Anche quando ci vanno di mezzo la salute e la vita umana? Dicono che è perché altrimenti si ferma il progresso. Forse. Sicuramente si fermerebbero i loro lauti guadagni. Il Journal of Cryobiology ha dato una notizia importante per chi è interessato alla ‘crioconservazione’ del cervello. L’équipe di Robert McIntyre, della società 21st Century Medicine, è riuscito a congelare e a scongelare il cervello di un coniglio senza arrecargli alcun danno. Dopo cinque anni di tentativi hanno vinto un premio della Brain Preservation Foundation, perché sono riusciti ad evitare che l’acqua naturalmente contenuta nei tessuti ghiacciasse danneggiandoli, attraverso la vitrificazione, e usando sostanze crioprotettrici, come il glutaraldeide. È stato certamente un passo avanti, ma le sostanze in questione sono velenose, quindi ancora la strada per trovare una soluzione praticabile è lunga. Certamente queste notizie fanno fantasticare gli uomini di sempre e di ogni luogo. Il bagno nello Stige del piccolo Achille, l’elisir di lunga vita, Il ritratto di Dorian Gray... da sempre la creatura, che la natura porta ad anelare all’infinito, è spinta a valicare il limite, a sconfiggere la morte. Il problema è risolto, già da un paio di migliaia di anni, da coloro che credono che la morte sia solo un passaggio e che la Vita Vera, quella Eterna, comincerà dopo. Per gli altri resta la speranza del surgelatore.
Il traffico mondiale degli ovociti fermenta. Un’agenzia sudafricana che vende ovuli ha iniziato a spedire le donne anche in Australia: per le ‘uova fresche’ i clienti hanno pagato $13.600 all’agenzia (compreso il biglietto aereo per le ‘donatrici’). Ma il traffico degli ovociti è estremamente pericoloso, sia per chi dà gli ovuli, sia per chi li riceve, e anche per il bambino che nasce quasi sempre prematuro e con maggiori possibilità di disturbi fisici e psichici. Ne ha parlato nel febbraio scorso in Senato il professor Pino Noia. E l’argomento si può approfondire guardando il documentario Eggsploitation. Ma siccome dietro a tutto questo c’è un business miliardario, che fa valere i suoi interessi nei vari Parlamenti, i mass media di regime tutte queste cose non le dicono. Il Parlamento canadese ha recentemente approvato una legge sull’eutanasia. E subito qualcuno si è impegnato per cercare di delimitare in modo efficiente le fattispecie in cui si possono eliminare i malati. In particolare c’è una senatrice che si batte per la tutela delle persone malate di mente da quando suo marito (un ex deputato) si è suicidato, nel 2009: Denise Batters sostiene che le sofferenze psichiche devono essere escluse dal novero delle ragioni che giustificano l’eutanasia. Ha vissuto in prima persona l’impatto tremendo che ha il disagio psicoesistenziale, non solo sul soggetto interessato, ma anche sui suoi familiari ed amici. È necessario salvaguardare coloro che attraversano periodi di ansia e depressione: costoro meritano assistenza medica e psicologica, non un’iniezione letale. La Batters ha perfettamente ragione, ma è difficile “rimettere il genio nella bottiglia” dopo che lo si è fatto uscire. Questa espressione è stata usata dal medico olandese Theo Boer che – inizialmente favorevole alla regolamentazione del suicidio assistito – si è reso conto che la deriva eutanasica è inarrestabile. E ora si appella agli altri Paesi che meditano sulla legalizzazione dell’eutanasia invitandoli a non commettere lo stesso errore che è stato commesso in Olanda e in Belgio: la situazione è degenerata in pochissimo tempo, la morte sta diventando un optional a richiesta, senza limiti e anche senza il consenso del paziente o dei suoi parenti. Molti parlano, come per esempio la Senatrice Fedeli, di rivedere la legge attuale sulle adozioni, consentendole anche ai single e ai gay: ciò servirebbe a dare una casa alle decine di migliaia di ‘bambini senza famiglia’ che sembrerebbe languano negli orfanotrofi, tipo Oliver Twist.
Lo sapevi che...
Notizie
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La vignetta del mese di Francesca Gottardi
La Senatrice, però, non nomina espressamente gli orfanotrofi, perché sa che la legge 149 del 28 marzo 2001 ha decretato per il 31 dicembre 2006 la chiusura degli orfanotrofi, trasferendo i minori in case-famiglia e, dove possibile, presso famiglie affidatarie. Insomma, salvo episodi di cronaca incresciosi – tipo il Forteto, che è stato coperto e protetto per anni da esponenti politici dello stesso partito della Fedeli e di Renzi – la casa-famiglia è certamente meglio che l’orfanotrofio. La Senatrice, poi, forse non conosce bene la situazione reale dei bambini ‘fuori dalla famiglia’: infatti le coppie eterosessuali in lista d’attesa per l’adozione sono di gran lunga molte di più dei bambini in stato di adottabilità. Per fare un figlio servono un uomo e una donna. Un semino e un ovulino, scrivono nei moderni libretti per bambini. Ebbene, se si è carenti di uno dei due elementi è possibile diventare co-genitori o, per dirla all’inglese, ricorrere al co-parenting. Il coparenting è un fenomeno nato in Gran Bretagna, che consente a persone slegate da qualsiasi vincolo affettivo di ‘collaborare’ per realizzare il comune desiderio di avere un figlio. Oggi ‘finalmente’ si può fare anche qui da noi. Come si può leggere nell’home page del sito italiano, la co-genitorialità consisterebbe in “una divisione dei diritti e delle responsabilità dei genitori single, sposati, divorziati, o dello stesso sesso”. Co-Genitori.it collega i genitori o futuri genitori che desiderano crescere un bambino. Con buona pace dei bambini che ne nasceranno e che verranno palleggiati con turni più o meno predefiniti tra le due case dove vivono i due genitori biologici. Molto raramente, infatti, nel contratto di ‘multiproprietà’ è previsto di vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto. Sarà interessante capire se sarà poi possibile che il bambino sia adottato dai rispettivi compagni dei genitori biologici e se per legge potrà, quindi, essere considerato figlio di quattro o più genitori... Quest’anno la Commissione Europea ha annunciato che sfilerà su una sua barca, la Europese Commissie, al Gay Pride di Amsterdam, che si svolgerà da sabato 23 luglio a domenica 7 agosto. La parata delle barche lungo il canale Prinsengracht e il fiume Amstel si terrà il 6 agosto. Se la cosa sarà confermata, non deporrà certo a favore della equidistanza dalle parti e dalle fazioni che dovrebbe contraddistinguere un organo istituzionale altamente rappresentativo di tutti gli europei.
Risuona nei media di regime l’ennesima bufala: “L’utero in affitto è usato prevalentemente dagli etero”. Anche ammettendo fosse vero, questo non toglierebbe nulla alla turpitudine di una pratica che viola la dignità di donne e di bambini e che, in quanto tale, va vietata in ogni caso. Ma, per analizzare i dati su coloro che ne fruiscono, parlare in numeri assoluti non ha senso: le coppie eterosessuali stabili sono assai di più (non c’è paragone: si parla di una dozzina abbondante di milioni) di quelle omosessuali (forse diecimila in tutto?). La stima corretta va fatta in proporzione: quante coppie eterosessuali fanno figli con l’utero in affitto? E quante coppie omosessuali? Quindi si confrontano le rispettive percentuali. Risultato: lo 0.0006% (cioè 6 coppie su 1.000.000), delle coppie etero ricorre all’utero in affitto, contro lo 0.3% (3 su 1000, circa 1 su 330) delle coppie omosessuali. Queste ultime, quindi, praticano il turpe mercimonio 500 volte di più. Sarebbe anche da rilevare, ancora una volta, che solo la minoranza degli omosessuali (che in sé sono già una minoranza, se no il mondo si sarebbe estinto da un pezzo) è concretamente interessata a matrimonio e figli. È prevalentemente una questione ideologica e lo dimostrano i numeri – bassissimi e che restano bassissimi – dei matrimoni gay nei Paesi dove sono consentiti. Quindi è ovvio che solo lo zero virgola ricorra all’utero in affitto (considerando anche il costo).
N. 40 - APRILE 2016
Foto: giografiche
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Un gancio in mezzo al cielo
Giulia Gabrieli, Un gancio in mezzo al cielo, edito dalle Paoline nel 2012, è un vero e proprio inno alla Vita. Il ricavato del libro finanzia l’AIRC, la ricerca sul cancro di Giampaolo Scquizzato La storia di Giulia Gabrieli non può lasciare indifferenti. Quattordici anni, malata di tumore: “Sappiate fin da subito che Giulia ce l’ha fatta. È vero, non è guarita: è morta la sera del 19 agosto 2011, a casa sua, proprio mentre alla Gmg di Madrid si concludeva la Via Crucis dei giovani. Eppure ce l’ha fatta. Ha trasformato i suoi due anni di malattia in un inno alla vita”. È una scintilla di speranza, di amore, di fede e di coraggio che tocca il cuore e ci indica la strada per affrontare la sofferenza, i dolori, le fatiche della vita con gioia, determinazione e fiducia. Giulia, con la sua famiglia, già da cinque anni ha cambiato la vita di molte persone, ha scombussolato molte tiepide coscienze, ha risvegliato nell’anima di tanti il proposito di cercare sempre un appiglio, Un gancio in mezzo al cielo (come dice Strada Facendo, di Claudio Baglioni, che era la sua canzone preferita), per vivere la sofferenza come dono di amore, come testimonianza di fede. E Giulia era davvero una ragazza speciale; speciale ma anche normale, come tanti ragazzi e ragazze della sua età.
Giulia Gabrieli
Aveva il talento della scrittura. Inventava storie fantastiche e avventure, così come lo è stata la sua malattia: “La malattia è un’avventura e Dio non abbandona mai… Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura! Se gli altri ci stanno vicino, ci vengono accanto, ci mettono una mano sulla spalla e ci dicono ‘Dai che ce la fai!’, è quello che ci dà la forza di andare avanti”.
“Il fatto è che la gente ha paura della malattia, della sofferenza. Ci sono molti malati che restano soli, tutti i loro amici spariscono, spaventati. Non bisogna avere paura!” Giulia conosceva la gravità della sua malattia, ma aveva sempre per sé e per le persone che erano al suo fianco – anche il personale dell’oncologia pediatrica di Bergamo – una parola di coraggio e speranza: “Se trovi la forza per pensare: eh va be’, vado in ospedale, faccio una chemio e poi torno a casa, è tutta un’altra cosa. Certo anch’io quando sto male mi chiedo: perché è successo proprio a me? Poi però quando sto meglio dico: ‘Massì, dai, è passato’. Ci rido anche sopra…”. E per i medici aveva sempre una parola di ammirazione e ringraziamento. “Se ci fate caso – scrive – non c’è molta differenza tra un supereroe e un medico. I supereroi salvano tutti i giorni la vita a delle persone, anche sconosciute. E lo stesso si può dire dei medici: solo che anziché usare le tele di ragno come Spiderman o le ali come Batman, usano le medicine. E poi, dal punto di vista umano, sono davvero imbattibili”.
Attualità
Così, nel giorno in cui i suoi supereroi le dovettero comunicare la recidiva del tumore, Giulia aveva già capito tutto e disse: “Ce l’ho fatta una volta ad affrontare la chemio, posso farcela anche la seconda. Forza, ripartiamo da capo”. Per parlare di Giulia bisogna raccontare la sua fede, anche prima della malattia: “La fede è la cosa che mi sta aiutando più di tutto ad andare avanti. Il pensiero che c’è un Dio che mi protegge e che fa di tutto perché le cose vadano al meglio, mi carica, mi dà questa grandissima forza… E in questo mi sta aiutando molto una ragazza, la beata Chiara Luce Badano: anche lei ha avuto vent’anni fa un tumore e purtroppo vent’anni fa non c’erano ancora i mezzi adeguati per curare. Lei è morta, però ha saputo vivere questa esperienza in modo così luminoso e solare, abbandonandosi alla volontà del Signore, che per me è un grande esempio. Voglio imparare a seguirla, a fare quello che lei è riuscita a fare nonostante la malattia. La malattia non è stato un modo per allontanarsi dal Signore, ma per avvicinarsi a Lui e al Suo grande amore. La sera, quando magari sto male e ho tutti i miei problemi dati dalle terapie, il pensiero che è accanto a me, che c’è Lui ogni giorno, che ci guida sulla nostra strada, sul nostro cammino, passo dopo passo insieme alla Madonna, la nostra mamma, il pensiero che Lui è accanto a me, che mi starà sicuramente coccolando, mi fa venire un sorriso e mi aiuta a stare meglio…”. Anche Giulia ha avuto momenti difficili, momenti di tenebra e scoraggiamento, momenti in cui ha gridato a Dio la sua rabbia e le sue domande: “Continuavo a dire ai miei genitori: ma Dio dov’è? Adesso che sto malissimo, ho addosso di tutto, Dio dov’è? Lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori perché non me li leva? Dov’è?”.
E Giulia era davvero una ragazza speciale; speciale ma anche normale, come tanti ragazzi e ragazze della sua età In uno di questi momenti, a Padova, dove Giulia era andata per la radioterapia, è passata nella basilica di Sant’Antonio. Lì ha posato la mano sulla tomba del Santo ed è cambiato tutto. Scrive: “Sono entrata arrabbiata, in lacrime, proprio in uno stato pietoso; sono uscita dalla basilica con il sorriso, con la gioia che Dio non mi ha mai abbandonata. Ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirLo vicino, ma in realtà penso che Lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più…”.
Copertina libro: “Un gancio in mezzo al cielo”
Notizie
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La storia di Giulia è un inno coraggioso alla vita, una splendida luce che ci indica la strada per difenderla e amarla anche nella sofferenza e nelle difficoltà E Giulia lascia anche un incoraggiamento per i suoi coetanei, un testamento per tanti ragazzi, perché facciano diventare la loro vita una testimonianza di gioia e fede. Ecco le sue parole: “La prima cosa da guarire è dentro, è il cuore… ogni giorno le mie sofferenze e anche le mie gioie le affido tutte al Signore, perché so che lì sono nelle mani giuste e le offro per tante persone. Un giorno le offro per le persone che stanno con me, un altro giorno per tutti i non credenti, perché tutti abbiamo bisogno di preghiere, di sostegno. Ognuno ha un Dio, Dio c’è per tutti. Potete farlo anche voi, ragazzi! Offrite le vostre giornate a tanti altri ragazzi che soffrono perché non hanno la fede, hanno un grande vuoto. Dio ci dà questa grandissima forza: potete costruire grattacieli, scalare le montagne. Molti ragazzi, ne conosco tanti anch’io, pensano che non andare più a Messa sia un modo per essere più grandi, che andare a Messa sia una barba. Pensano di essere autonomi, di non avere più bisogno di Dio. No, no. State facendo una caccia al tesoro senza il tesoro... Ma come, lui ci mette un tappeto rosso sotto i piedi e ci guida, ci tratta come delle star, e noi poi lo snobbiamo? Questi ragazzi non sanno quello che si perdono: il fatto che Gesù ci ospita nella sua casa, ogni domenica. AndarLo a trovare, a riceverLo nel nostro corpo attraverso l’Eucarestia, è proprio una cosa speciale per me. Si stanno perdendo veramente tanto…”. La storia di Giulia è un inno coraggioso alla vita, una splendida luce che ci indica la strada per difenderla e amarla anche nella sofferenza e nelle difficoltà. Grazie Giulia di tutto cuore perché ci offri un altro ‘gancio’ cui aggrapparci per amare la vita. Come dice tuo fratello Davide: “Chi si dispera è perché non ha conosciuto Giulia”.
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Daniele Daniele Sebastianelli Sebastianelli
Laureato ininComunicazione Istituzionale Laureato Comunicazione Istituzionale alla Pontificia Croce, alla Pontificia Università Universitàdella dellaSanta Santa Croce, collabora con collaborato concon la la collabora con HLI HLIe ehaha collaborato Sala Stampa della Santa Sala Santa Sede Sedeeecon conl’Ufficio l’Ufficio Nazionale ComunicazioniSociali Socialidella della Nazionale per le Comunicazioni Conferenza Italiana. Conferenza Episcopale Episcopale Italiana.
Marcia per la Vita!
Tutti a Roma, l’8 maggio, alla Marcia per la Vita! Il Direttore di Vita Umana Internazionale (Human Life International) ci ha parlato della prossima Marcia Nazionale per la Vita: un momento di testimonianza sempre più necessario, di fronte all’insistente propaganda della cultura della morte di Daniele Sebastianelli Da quasi quarant’anni una legge dello Stato (la 194/1978) permette l’uccisione deliberata dell’innocente nel grembo materno. Finora ha procurato come minimo sei milioni di morti. Nel frattempo, gli attacchi alla vita umana innocente si sono moltiplicati. Vengono sferrati sulle persone più deboli, laddove non sono più produttive (anziani e malati per cui si cerca di far passare l’eutanasia come un gesto d’amore!) e sui bambini con tecniche sempre nuove e più letali: Ru486, EllaOne, pillola del giorno dopo ecc. “La Marcia per la Vita – dice il sito dedicato – è il segno dell’esistenza di un popolo che non si arrende e vuole far prevalere i diritti di chi non ha voce sulla logica dell’utilitarismo e dell’individualismo esasperato, sulla legge del più forte”. La Marcia per la Vita serve ad affermare la sacralità della vita umana e perciò la sua assoluta intangibilità dal concepimento alla morte naturale, senza alcuna eccezione, alcuna condizione, alcun compromesso. Perciò chiama a raccolta tutti gli uomini di buona volontà per difendere il diritto alla vita come primo dei principi non negoziabili, iscritti nel cuore e nella ragione di ogni essere umano e – per i cattolici – derivanti anche dalla fede in Dio Creatore. Si tratta di una ‘marcia’ e non una processione religiosa, perciò è aperta anche ai pro-life non credenti e a tutti i gruppi che potranno partecipare con i loro simboli, ad esclusione di quelli politici.
La Marcia per la Vita esprime la volontà di ribadire il proprio sì convinto e incondizionato alla difesa della vita umana innocente Anche la sesta edizione della Marcia, il prossimo 8 maggio, sarà a Roma, centro della cristianità e del potere politico. Le strade della capitale sono state attraversate, anche recentemente, da numerosi cortei indecorosi e blasfemi; il nostro corteo vuole invece affermare il valore universale del diritto alla Vita e il primato del bene comune sul male e sull’egoismo. La partenza è prevista alle 9.30 dal Colosseo. Ne abbiamo parlato con Don Francesco Giordano, direttore dell’ufficio romano di Vita Umana Internazionale. Don Francesco, il prossimo 8 maggio 2016 si svolgerà a Roma la sesta edizione della Marcia per la Vita. Può spiegarci in poche parole di cosa si tratta e perché, secondo lei, è importante partecipare? La Marcia per la Vita è la più grande manifestazione pro-life italiana. Si tratta della volontà di ribadire il proprio sì convinto e incondizionato alla difesa della vita umana innocente. Rappresenta un atto di cittadinanza attiva rivolto alle istituzioni per abrogare leggi ingiuste e inique come quella sull’aborto. La Marcia quest’anno sarà anche preceduta da un convegno organizzato da Vita Umana Internazionale alla Lumsa sabato 7 maggio alle 14.30, con ingresso gratuito.
Attualità È importante partecipare perché nessuno può restare indifferente alle sorti di bimbi soppressi nel seno materno o di anziani e malati eliminati perché considerati ‘inutili’, o un peso per i conti sanitari nazionali. È importante riaffermare la cultura della vita per assicurare nuove generazioni al Paese, per ritrovare la speranza nel futuro, per ridare dignità alla maternità e significato all’insostituibile e meraviglioso ruolo della donna nella società.
La Marcia per la Vita rappresenta un atto di cittadinanza attiva rivolto alle istituzioni per abrogare leggi ingiuste e inique come quella sull’aborto La Marcia per la Vita, in Italia, ha una storia molto recente. Eppure è riuscita in breve tempo ad affermarsi nel panorama sociale e mediatico come un appuntamento ‘irrinunciabile’ per tutti i pro-life. Come si spiega questo successo, tenendo conto che, ancora oggi parlare di aborto resta pressoché un tabù? La ragione è semplice: le persone non vogliono vivere nella menzogna e nell’inganno. Vogliono la verità. Per decenni ci hanno convinto che la libertà fosse il poter decidere della propria vita come meglio ci piaceva senza dover rendere conto a nessuno delle nostre scelte, senza proibizioni o limiti di sorta. Sei incinta e non vuoi il bambino? Abortisci. Non vorrai mica rovinarti la vita… Questa mentalità dove ci ha portato? All’infelicità. Oggi, grazie a Dio, esiste una forza intergenerazionale che ha capito che occorre liberarsi da quel tipo di libertà spacciata dai mercanti di morte. Le persone vogliono vivere nella verità e in essa trovare la felicità. Costi quel che costi. Le pressioni, gli ostacoli, le intimidazioni sono forti, ma oggi c’è una coscienza nuova che vuole combattere e cambiare le regole del gioco.
Le persone vogliono vivere nella verità e in essa trovare la felicità!
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Pur non essendo un appuntamento ecclesiale e non avendo l’imprimatur della Chiesa cattolica, la Marcia per la Vita vede ogni anno la crescente adesione di prelati, vescovi, cardinali e addirittura Diocesi che incoraggiano i fedeli a partecipare. Si tratta di una marcia confessionale? Da un lato, la Marcia è un’iniziativa di laici impegnati per migliorare la società. Come tale non ha bisogno di imprimatur o, come direbbe Papa Francesco, di ‘vescovi pilota’. Da un altro lato, trattandosi del contesto italiano, trovo normale che la maggioranza dei partecipanti sia cattolica. Anche se la presenza di atei o di esponenti di altre religioni è una risorsa per la buona riuscita dell’iniziativa perché sottolinea la ragionevolezza della posizione e la sua naturalità, ritengo che la ragionevolezza stessa si arricchisca con la Fede in Cristo. Il Signore – la Via, la Verità e la Vita – ci ricorda che ogni pensiero retto, ogni legge naturale, ogni legge giusta si fonda sulla Legge Divina ed Eterna. Perciò, Dio e la religione da Lui fondata non possono che avere il diritto di farsi sentire in piazza. Il fenomeno ‘Marcia per la Vita’ sta esplodendo in tutto il mondo occidentale con un dato interessante: la massiccia presenza delle nuove generazioni, la cosiddetta ‘generazione pro-life’. Perché dei giovani cresciuti in una società individualista che li spinge a ‘vivere’ per se stessi, spesso senza freni morali, decidono di marciare per la vita? Ritengo che molti giovani si rendano conto del nichilismo che li circonda, e se gli presentiamo la Verità con la sua profonda chiarezza e bellezza non può che attirarli. Ci deve essere un’alternativa al nichilismo prodotto dal relativismo. Il Vangelo della Vita è l’unica vera alternativa alla cultura della morte. Forse negli anni Sessanta la cultura della morte era attraente, però oggi abbiamo i risultati sotto i nostri occhi. Abbiamo i risultati devastanti della morte e la Fede ci spinge verso la vita, portandoci a rifiutare la cultura della morte e a cercare di costruire la cultura della Vita.
La Marcia vuole affermare l’intangibilità della vita umana innocente, dal concepimento alla fine naturale. Di fatto, chi marcia, chiede che venga abrogata la legge 194. Non le sembra un traguardo inarrivabile? Non crede che un Paese civile debba dare la possibilità a una donna di decidere sul suo corpo? Credo che un Paese civile debba rispettare e amare i suoi cittadini, soprattutto i più deboli, come i bimbi nel grembo materno. Questo è forse il più grande segno di civiltà. Credo che una donna debba essere aiutata a scoprire il dono che è in lei e la grande responsabilità che ha nel dare la vita. Il bimbo non è ‘parte del suo corpo’, ma vive nel luogo dove si forma e impara a relazionarsi con la mamma.
Marcia per la Vita!
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