ProVita Maggio 2018

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POSTE ITALIANE S.P.A. – SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE – D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N.46) ART. 1, COMMA 1 NE/TN

MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

Notizie

Trento CDM Restituzione

Anno VII| Maggio 2018 Rivista Mensile N. 63

“Nel nome di chi non può parlare” Organo informativo ufficiale dell’associazione ProVita Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

UNA STRAGE CHE DURA DA 40 ANNI contro la 194: un referendum contro la morte

resisterÀ L’irlanda pro-life?

andrea o matteo, forse ilaria

di francesco mario agnoli, p. 8

di angelo bottone, p. 11

di silvana de mari, p. 14


MEMBER OF THE WORLD CONGRESS OF FAMILIES

EDITORIALE

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NEWS

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ARTICOLI

Notizie

Anno VII | Maggio 2018 Rivista Mensile N. 63 Editore ProVita Onlus Sede legale: via della Cisterna, 29 38068 Rovereto (TN) Codice ROC 24182 Redazione Toni Brandi, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi, Giulia Tanel Piazza Municipio, 3 - 39040 Salorno (BZ) www.notizieprovita.it/contatti Cell. 329-0349089

PRIMO PIANO

Contro la 194: un referendum contro la morte 8 Francesco Mario Agnoli

Resiterà l’Irlanda pro-life? 11

Angelo Bottone

Andrea o Matteo, forse Ilaria

14

Silvana De Mari

I mass media e l’aborto

20

Giuliano Guzzo

Ricordando il Festival per la Vita e...

Direttore responsabile Antonio Brandi Direttore editoriale Francesca Romana Poleggi

Dillo a ProVita! 6

“il giardino del Re”

Giuseppe Noia

Cinzia Ceccaroli

Il diritto che obbedisce alla vita

Progetto e impaginazione grafica

I “gettatelli”

Tipografia

26 32 36

Francesco Agnoli

L’ibridazione umana: i nuovi Frankenstein

Distribuzione

Hanno collaborato a questo numero: Francesco Agnoli - Francesco Mario Agnoli - Marco Bertogna - Angelo Bottone - Cinzia Ceccaroli - Silvana De Mari - Paolo Gulisano - Giuliano Guzzo - Giuseppe Noia

Paolo Gulisano

FILM: La famiglia Bélier

39 42

Marco Bertogna

LIBRI

43

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Come – purtroppo – accade anche oggi, il mondo cattolico e il mondo pro-life furono divisi al loro interno. E, come sempre accade davanti alle divisioni, alle incertezze e alle tiepidezze dei “buoni”, il male prevale. C’è ancora chi discute se la 194 sia in “alcune parti” una buona legge: noi che non siamo “Azzeccagarbugli”, non ci proviamo neanche a metterci a ponderare i commi e gli incisi di quel testo normativo: giudichiamo l’albero dai frutti, giudichiamo la legge dalla sua portata effettiva. Quella legge ha consentito la moderna strage degli innocenti ancora in atto e ha distrutto la vita e la salute della stragrande maggioranza di donne che – quasi mai davvero libere di scegliere – sono state ingannate dalla propaganda abortista.

EDITORIALE

Mentre le Brigate Rosse rapivano e uccidevano Aldo Moro, il Parlamento italiano approvava la legge 194 che legalizzò l’aborto “libero, subito e gratuito”, a richiesta.

Oggi, però, consentitemi di non parlare dei danni fisici e psicologici che provoca l’aborto sulle madri, sugli altri familiari e sul personale sanitario. E neanche dei danni sociali, della denatalità, della banalizzazione di quello che è un vero e proprio omicidio nella testa di coloro che non ricevono la giusta e vera contro-informazione in materia. Oggi voglio rimettere al centro il bambino, la prima e più innocente e indifesa vittima di quella legge assassina.

32 L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, nonché per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle fonti e/o delle foto. La rivista Notizie ProVita non ti arriva con

Il bambino, la cui vita e morte viene ignorata e fatta ignorare dalla cultura mortifera che si è fatta strada in questi quarant’anni. Il bambino che viene chiamato con termini scientifici come “feto”, “embrione”, “zigote” (se non come “prodotto del concepimento” o “materiale abortivo”...) per farci dimenticare che si tratta proprio di un bambino.

regolarità? Contatta la nostra Redazione per e invia un reclamo online a www.posteitaliane.it Grazie per la collaborazione! Le immagini presenti in questo numero sono state scaricate legalmente da www.pixabay.it

Un bambino piccolo, che non si vede e che non può gridare «Non uccidermi!» e al quale quindi noi e voi, cari Lettori, abbiamo il dovere di prestare la nostra voce con perseveranza e pazienza, senza timore del Leviatano che ci sta di fronte, finché questa legge assassina non verrà cancellata. Toni Brandi

segnalare quali numeri non ti sono stati recapitati


NEWS SUICIDIO, OMICIDIO, MORTE ASSISTITA E NEOLINGUA

Compassion and Choices (C&C), la principale organizzazione mortifera internazionale, è profondamente preoccupata per il linguaggio. Nega con forza che il suicidio assistito sia “suicidio” e sostiene che l’espressione corretta sia «aiuto medico nella morte». C&C sa bene, infatti, che è molto più facile far passare leggi che usano termini ingannevoli: la neolingua l’hanno inventata a bella posta. E infatti nella legge nostrana sulle Dat (ossia sul testamento biologico) le parole eutanasia, suicidio etc. non sono proprio presenti. La stessa “morte” è nominata solo una volta, all’art. 2, comma 2 e di sfuggita. Inoltre C&C sostiene che quelli che si fanno eutanasizzare sono molto diversi dai suicidi, perché loro amano la vita (ma se si fanno eutanasizzare forse la vita non gli piace più! O no?). E allora – proprio in perfetto stile “neolinguesco” – i mortiferi si vogliono appropriare di un’espressione in uso con significato positivo cambiandole senso per coprire la nefandezza che loro propagandano: “aiutare a morire”. Vogliono farci dimenticare che “aiutare a morire” vuol dire assistere un morente nel trapasso, alleviargli il dolore e confortarlo. Non vuol dire abbreviargli la vita.

CONTRACCEZIONE MASCHILE O CASTRAZIONE CHIMICA?

La pillola ormonale dimethandrolone undecanoate, o DMAU, è stata proposta come nuova tecnica di contraccezione per gli uomini, ora in fase di sperimentazione.

La Endocrine Society di Chicago sostiene che la pillola agisca riducendo nei maschi adulti la presenza di testosterone a livelli riscontrabili solo nelle donne o nei maschi in età prepuberale. Tra gli effetti collaterali, alcuni soggetti del test hanno presentato una forte diminuzione della libido. Il testosterone nel sangue è sceso a livelli di castrazione, pari a 50 nanogrammi per decilitro, quando un normale maschio adulto ne possiede da 350 a 1.100. Il testosterone, che normalmente serve a rinforzare le ossa, l’acutezza mentale, a prevenire la depressione e che è la causa del desiderio sessuale maschile viene così sacrificato in nome della contraccezione.

I BAMBINI VANNO AL PARLAMENTO

“I bambini vanno al Parlamento” è una tradizionale manifestazione provita negli Stati Uniti. Una rappresentanza di madri che hanno superato una gravidanza imprevista o indesiderata e che sono felici di aver scelto la vita vanno al Congresso con i loro bambini e si presentano ai parlamentari. Da quest’anno Studenti pentru Viata (“Studenti per la Vita”) ha organizzato la prima edizione rumena di un evento simile: tre donne felici di aver scelto la vita per i loro bambini, nonostante le gravi difficoltà che si prospettavano, hanno ricevuto le congratulazioni e l’incoraggiamento da parte di Daniel Gheorghe, membro del Parlamento e ospite dell’evento. 4 N. 63


SUICIDIO ASSISTITO Se il transumanesimo sposa la cultura della morte, nasce la CON CERVELLO SURGELATO proposta di praticare il suicidio assistito (che è, in buona sostanza, l’omicidio di un consenziente) attraverso il congelamento del cervello: così, quando sarà possibile, quel cervello, quella persona, rivivrà in un supporto meccanico/informatico (sembra fantascienza, ma c’è gente che pensa sul serio che il cervello umano possa essere trasferito in un “cloud”) e avrà così guadagnato l’immortalità. I transumanisti materialisti – terrorizzati dalla morte – e la lobby eutanasista che invita a morire presto, prima che la “qualità della vita” possa in qualche modo decadere (terrorizzati dalla sofferenza), cooperano per far fare quattrini a chi promette di uccidere le persone con il surgelamento del cervello: la Nectome, un’azienda che produce una soluzione chimica che può mantenere intatto un corpo per centinaia di anni, forse migliaia, come una statua di vetro ghiacciato. L’azienda si propone di collegare le persone con malattie terminali a una macchina cuore-polmone per pompare il suo mix di sostanze per l’imbalsamazione chimica nelle grandi arterie del collo mentre sono ancora vive (anche se in anestesia generale). Ci sono già 25 persone che hanno pagato 10.000 dollari (totalmente rimborsabili se cambiano idea) per prenotare un posto… nel freezer. Il servizio di Nectome, infatti, non è ancora in vendita e potrebbe non esserlo per diversi anni. Fondamentalmente non sono ancora riusciti a ridare vita a cose morte surgelate e, inoltre, resta forte e fondato il dubbio che i ricordi possano essere conservati e recuperati dal cervello quand’anche fosse ancora vivo una volta scongelato.

Roger Foley ha la vita segnata da un’atassia cerebrale, una grave condizione neurologica degenerativa, e il sistema sanitario del suo Paese, il Canada, gli ha offerto la “morte assistita” (MAiD), ma non una “vita assistita”.

VOGLIO UNA “VITA ASSISTITA”, NON UNA “MORTE ASSISTITA”!

Fino ad ora, l’assistenza domiciliare organizzata dalla pubblica amministrazione si è dimostrata gravemente inefficiente: gli hanno causato danni alla salute (intossicazione alimentare, farmaci sbagliati...) e all’abitazione (un incendio). Da due anni, quindi, l’uomo è ricoverato in ospedale. Ora Roger vuole tornare a casa sua e ripristinare l’assistenza domiciliare, ma vorrebbe organizzarla e dirigerla da sé: l’Ontario, infatti, ha recentemente creato un’agenzia chiamata Self-Directed Personal Support Services Ontario (SDPSSO), che dovrebbe proprio rispondere alle esigenze di Roger. Tuttavia questa possibilità gli è stata negata: evidentemente la sua vita non è “degna” di quel servizio. Se non vuole tornare con gli assistenti di prima – che l’hanno quasi ammazzato –, l’unica cosa che gli offrono è la morte, il “suicidio assistito” (e ci vuole tutto il coraggio della neolingua orwelliana per chiamarlo “suicidio”).

5 N. 63


Dillo a ProVita

A

rrivano numerose le vostre lettere a questa Redazione, cari Lettori, e vi ringraziamo. Rispondiamo a tutte, ma non possiamo pubblicarle tutte, per ovvi motivi. Confidiamo però che questo non vi scoraggi: continuate a mandarci il vostro contributo a dillo@notizieprovita.it Per rispettare la privacy pubblicheremo solo il nome di Battesimo con cui firmate la vostra lettera, a meno che non ci diate esplicitamente altre indicazioni in merito.

e un anno fa hai ricevuto il In questi giorni compiresti 27 anni, Arturo. Sì, ti ho dato un nome Battesimo. “incidente di percorso”, sei I giorni del concepimento li ricordo benissimo, non sei stato un ia, toccavo il cielo con famigl una stato voluto. Almeno: io ti ho voluto. Innamoratissima, volevo one, senza capire, esitazi prima la un dito. Al primo colpo sei arrivato. “Lui” non volle più. Dopo ti voleva, però. cuore mio Il re. riflette pensai fosse un errore, mi convinsi che agimmo senza accettare potevo non io ed me, e Mi dissi che se lui non ti accettava non accettava neanch te. Scattò questo meccanismo. Senza comprendere. ammo del “problema”. Senza Il mio cuore era triste, ma non diedi spazio ai sentimenti. Ci occup tristi o rassegnate. Io, donne di Facce ala. sottosc dirlo a nessuno. 7/8/1990. L’ospedale, un tto di persone. gruppe un e, passar di loro tito lui. All’ingresso oltre il quale non era consen bisogno che c’era non me, a o accant era Lui . ascolto Cercavano di dissuadermi. Non diedi loro Poche «No». suo quel e legger per upato preocc o dicesse nulla. Era sufficiente il suo sguard esia l’anest , dolore il a, L’attes letti. pochi con piccola ore, in day ospital. Mi ricordo una stanza . l’anima e feto il ono aspirar Mi e. durant Cioè dopo. non fu sufficiente, me ne aggiunsero altra senza volto. Mi diedero la Mi ricordo, erano tre o quattro dottori. Le loro mascherine, erano ticare. Forse all’inizio, dimen di Pensai me. persi lui, “terapia”. Da quel momento persi te, persi continua di te, di ricerca una no seguiro che anni ma ora so che ti rimossi soltanto. Negli una profonda con o appres ho che za evolez me... ora la mera consolazione di una consap i... una vocina riavert di vo tentati Nel po’? un a Indovin conversione. Avvenuta qualche anno fa. ascoltata. sono mi a Stavolt le. artificia azione fecond mi disse di non farlo in quel modo, con la una. Avrei ucciso altre vite nel tentativo di averne re! Perché ucciderai anche Non ho figli e oggi sento il dovere di aiutarti, Donna. Non uccide consapevolezza... Mi sono te stessa, e se sei credente è ancora peggio perché avrai la farlo. Non ci sono riuscita del confessata, ho cercato di perdonarmi. Mi hanno detto che devo a. Senza sentimentalismi, tutto. Non posso tornare indietro, ma posso dare una testimonianz vo è dare la possibilità anche senza aggiungere più dolore di quello che è. Il mio unico obietti a una sola donna che vorrebbe abortire di abbracciare suo figlio.

La mamma di Arturo 6 N. 63


A DIFFONDERE LA CULTURA DELLA VITA! Per abortire fino a sei mesi (e oltre) bisogna trovare una “buona scusa” (per esempio? Il piede torto, o il labbro leporino, o la Trisomia 21!...). Ma fino a dodici settimane la legge italiana consente l’uccisione dei bambini a richiesta, senza troppe spiegazioni. La spilletta colore oro che vedete è la riproduzione esatta della grandezza dei

piedini di un bambino alla dodicesima settimana di gestazione: per alcuni è ancora un «grumo di cellule» o il «prodotto del concepimento». Il bambino in plastica è invece la riproduzione di com’è un bimbo nella pancia a 10 settimane. Il portachiavi, infine, è un utile accessorio per ricordare i cinque anni della nostra Notizie ProVita.

VUOI RICEVERE I PIEDINI, IL BAMBINO IN PLASTICA O IL PORTACHIAVI? Scrivi alla Redazione collegandoti a www.notizieprovita.it/contatti specificando il numero di pezzi che desideri ricevere (fino a esaurimento scorte). Offerta minima consigliata (più spese di spedizione): spillette 100 spillette – 100€ 50 spillette – 75€ 10 spillette – 20€ “Michelino” portachiavi 2€ 2€

7 N. 63


di Francesco Mario Agnoli

Contro la 194:

un referendum contro la morte L’allora presidente del Movimento per la Vita di Ravenna ci ha inviato la sua testimonianza sulla reazione alla 194, che portò al referendum pochi anni dopo la sua approvazione

In Italia la battaglia contro la legalizzazione dell’aborto risale indietro nel tempo, prima non solo dell’approvazione della legge 194/1978, ma anche della sentenza n. 127/1975 (la cosiddetta “sentenza Bonifacio”), con la quale la Corte costituzionale “legalizzò” l’aborto in caso di pericolosità della gravidanza per il benessere fisico o l’equilibrio psichico della gestante e nel 1976 aprì la strada all’aborto “libero” delle donne di Seveso che, terrorizzate dalla propaganda abortista, temevano di partorire figli menomati. Quindi una battaglia anzitutto culturale che, per chi vi ha partecipato militando nel Movimento per la Vita, cominciò (se proprio si vuole indicare una data) ad assumere valenza “politica” il 22 maggio 1975, quando, per iniziativa di un gruppo di cattolici, fra i quali Carlo Casini, all’epoca magistrato con funzioni di sostituto presso la Procura della Repubblica 8 N. 63

di Firenze, venne fondato il primo Centro di aiuto alla Vita (Cav). L’iniziativa aveva radici nell’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, nei dibattiti precedenti e seguenti, e ancora più indietro nella campagna referendaria del 1974 per l’abrogazione della legge sul divorzio. Una legge che preparava la strada all’aborto e a quanto sarebbe seguito (chi ha partecipato in prima persona a quei dibattiti e a quegli incontri nelle sale parrocchiali sa come già vi aleggiasse lo spettro del diritto di aborto, tanto che i sostenitori del divorzio, per togliere di mezzo un argomento pericoloso, si affrettavano a dire «L’aborto è un’altra cosa», che mai l’avrebbero sostenuto e che mai si sarebbe trovato un partito popolare – per loro significava il Pci – disposto a proporlo). Non è stato così. Comunque, ai cattolici non politicamente impegnati il disastroso esito del referendum antidivorzista non aveva insegnato nulla (lo dico con un certo orgoglio).

A differenza di molti sedicenti cattolici, Pasolini il 19 gennaio del 1975 scrisse sul Corriere della Sera un articolo dal titolo: «Sono contro l’aborto»

LA BATTAGLIA CONTRO LA LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO RISALE A PRIMA DELL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE 194/1978 E DELLA “SENTENZA BONIFACIO” (C. COST. N. 127/1975)

Primo piano


Dopo l’approvazione della 194, i Cav (nel frattempo ne erano sorti altri) si moltiplicarono ancora più rapidamente e il 15 gennaio 1980 gli ormai numerosi Movimenti per la Vita, in certo modo l’ala politica dei Cav, si unirono nella federazione del Movimento per la Vita nazionale, del quale fu primo presidente l’avvocato milanese Francesco Migliori. Fin dal principio, nei Movimenti era fortissima la spinta a tentare la strada del referendum alla 194, nella certezza che non c’era nulla da aspettarsi dal Parlamento e che di lì a poco sarebbero approdate le questioni di costituzionalità sollevate da alcuni tribunali. La Corte costituzionale tardava a decidere e in tutti era forte l’urgenza di fare il possibile per porre freno alla strage degli innocenti (un libro del giornalista Emilio Bonicelli, con prefazione di Carlo Casini, pubblicato come supplemento a Il Sabato del 21 marzo 1981, aveva per titolo Gli anni di Erode).

prospettiva di ripetere la disfatta del referendum sul divorzio. La spinta decisiva venne dalla parte più oltranzista dei “proaborto”, il Partito radicale di Marco Pannella, Emma Bonino e Adele Faccio. I radicali non soddisfatti, per motivi opposti ai nostri, della legge 194 – della quale non accettavano limiti e procedure, che desideravano eliminare per fare dell’aborto un fatto personale, lasciato alla libera scelta della donna – avevano proposto un referendum abrogativo da tenersi nella primavera del 1981. Il clima di quegli anni dava per scontato il loro successo nella raccolta delle firme e, quindi, un referendum che avrebbe messo in grave difficoltà

LA NASCITA DEI CAV AVEVA RADICI NELL’ENCICLICA HUMANAE VITAE DI PAOLO VI

gli antiabortisti, costretti a scegliere fra un’astensione che ne favoriva il successo, e un «No» che consolidava la legge, nei cui confronti, oltretutto, per cinque anni non si sarebbe potuto proporre un nuovo referendum. Se volevamo offrire un’alternativa “umana”, diveniva indispensabile proporre un nostro referendum, da svolgere in contemporanea con quello radicale. Se ne convinsero anche le autorità ecclesiastiche e politiche, che diedero il via libera, tuttavia non sempre seguito da un fattivo appoggio.

A livello federale si era più prudenti. Molto di più i politici della Democrazia Cristiana – ancora rappresentante politica ufficiale del mondo cattolico italiano –, terrorizzati dalla Primo piano

9 N. 63


Purtroppo anche i MpV si divisero. Da una parte quelli che proponevano l’abrogazione totale della legge. Dall’altra quelli che, un po’ per pressioni politiche, molto per timore di una dichiarazione di non ammissibilità della Corte costituzionale, già pronunciatasi a favore dell’aborto terapeutico, si accontentavano di miglioramenti. Quindi dibattiti sulla politica del “male minore”, una quasi rottura della Federazione e l’affacciarsi di nuovi gruppi (“clerico-fascisti”, nel linguaggio mediatico del tempo), critici nei confronti delle esitazioni dei Movimenti. Il MpV di Ravenna, di cui ero allora presidente, era per la totale abrogazione e a questo scopo collaborava con altri MpV, in primis con quello di Verona, particolarmente attivo sotto la guida dell’avv. Dante Spiazzi e di mons. Ilario Salvetti che, quale consulente del Consultorio familiare diocesano, ci dava la certezza dell’incoraggiante vicinanza del suo Vescovo. «SAPPIAMO TUTTI COME ANDÒ A FINIRE, MA CONTINUO A CREDERE CHE QUELLA DEL REFERENDUM FU UNA BUONA BATTAGLIA, DA NON ABBANDONARE»

10 N. 63

il “massimale” per l’abrogazione totale, e il “minimale” per un’abrogazione parziale. Il MpV di Ravenna, che aveva contribuito all’accordo, si adoperò per farli sottoscrivere entrambi e il suo (allora) presidente ricorda con commozione le code che, nei giorni fissati, si formavano nel corridoio e davanti al portone della piccola sede nei pressi del Duomo. Quasi tutti firmarono entrambe le proposte sulla fiducia. A chi si stupiva spiegavo che la politica del male minore non ci garbava, ma che la mia esperienza professionale suggeriva di non correre rischi. In effetti la Corte bocciò il “massimale” e ammise il “minimale”, così come il referendum radicale, con quella che credo ancora una decisione politica, perché la sostanza delle motivazioni per l’esclusione del “massimale” valeva anche per il radicale. Sappiamo tutti come andò a finire, ma continuo a credere che fu una buona battaglia, da non abbandonare.

Alla fine ci si accordò sulla presentazione di due quesiti:

Primo piano


Resisterà l’Irlanda di Angelo Bottone

pro-life?

Il 25 di questo mese il popolo irlandese voterà sull’Ottavo emendamento della Costituzione, che protegge la vita dei bambini non nati

Il 25 maggio i cittadini irlandesi sono chiamati a pronunciarsi sull’abrogazione di una norma costituzionale che vieta l’aborto. La consultazione ha un significato internazionale, visto che l’Irlanda è una delle pochissime nazioni occidentali che non permette l’aborto volontario. Nel 1983, quando in gran parte d’Europa erano già state adottate leggi che liberalizzavano l’aborto, gli irlandesi introdussero nella Costituzione, tramite referendum, un articolo che prevede l’eguale diritto alla vita per la madre e per il figlio, che viene definito “unborn”, ossia non nato. Quello che è ormai conosciuto come l’Ottavo emendamento in realtà non menziona esplicitamente l’aborto e tutela il non nato in tutti gli ambiti a rischio ma, di fatto, vieta l’interruzione della Primo piano

gravidanza, a parte nel caso di pericolo per la vita della madre. Con il tempo, le interpretazioni della Corte Suprema hanno in qualche misura limitato la portata dell’emendamento. Ad esempio, la Corte ha dichiarato che la protezione costituzionale non riguarda gli embrioni prima dell’impianto, e pertanto quelli creati in laboratorio tramite fecondazione artificiale non rientrano nella definizione di “unborn”, non nati. Nel 2015 è stata introdotta una legge che permette l’aborto non solo quando c’è un sostanziale pericolo per la vita della madre, ma anche nel caso ci sia rischio di suicidio. Nonostante questo, il numero di aborti in Irlanda è molto basso, circa 25 all’anno. Le irlandesi che desiderano abortire vanno nella vicina Inghilterra, o più raramente in altri Paesi. Il numero di casi

L’OTTAVO EMENDAMENTO DELLA COSTITUZIONE IRLANDESE PROTEGGE PARIMENTI IL DIRITTO ALLA VITA DELLA MADRE E DEL BAMBINO NON NATO: QUINDI, DI FATTO, VIETA L’ABORTO

tende a scendere ogni anno e al momento riguarda circa 3.500 donne con indirizzo irlandese. A queste si devono aggiungere quelle che hanno accesso alle pillole abortive tramite internet, che pare siano in crescita. Anche volendo ammettere molto generosamente che queste siano circa 2.000, basandosi su dati forniti dalle organizzazioni che spediscono pillole via posta, il tasso di abortività irlandese sarebbe intorno al 5,7 su mille donne d’età 19-44 anni: tra i 11 N. 63


più bassi d’Europa, e circa un terzo di quello inglese che è di 16 per mille. L’Inghilterra, essendo culturalmente la nazione più vicina, è spesso considerata come termine di paragone. Questo tasso prova che l’Ottavo emendamento ha funzionato: ha evitato che si diffondesse una cultura abortista. Pur non potendo vietare l’aborto all’estero, la legge esprime uno stigma sociale e la mancanza di cliniche locali in qualche modo rende più difficoltoso, e quindi disincentiva, il ricorso all’aborto. Le pressioni per un cambiamento della Costituzione sono cresciute nel corso degli anni, e sono arrivate non solo dagli attivisti locali ma anche da organizzazioni internazionali, inclusi alcuni comitati dell’ONU. Lo scorso anno si è scoperto che la Soros Foundations aveva sovvenzionato illegalmente tre organizzazioni irlandesi. I finanziamenti esteri per campagne politiche non sono ammessi e l’agenzia di L’OTTAVO EMENDAMENTO FINORA HA FUNZIONATO: HA EVITATO CHE SI DIFFONDESSE UNA CULTURA ABORTISTA 12 N. 63

controllo (SIPO) ha preteso la restituzione delle somme. Due organizzazioni hanno adempiuto alle richieste della SIPO, mentre Amnesty International ha aperto un contenzioso legale che non si è ancora concluso, sostenendo che i 137.000 euro erano stati utilizzati per campagne informative e non politiche. Questo è solo il più evidente esempio di pressione internazionale illecita. Una lunga e ben orchestrata campagna ha convinto questo governo a convocare un’assemblea di 100 cittadini, scelti con metodi ambigui, per valutare possibili proposte di cambiamento della Costituzione. La Citizens’ Assembly, per nulla statisticamente rappresentativa, ha raccomandato un referendum abrogativo e una serie di proposte così liberali da sorprendere lo stesso governo. A questa assemblea è succeduta una commissione parlamentare, anch’essa molto criticata per

IL TASSO DI ABORTIVITÀ IRLANDESE, ARROTONDATO PER ECCESSO, È INTORNO AL 5,7 SU MILLE DONNE D’ETÀ 19-44 ANNI: È TRA I PIÙ BASSI D’EUROPA, CIRCA UN TERZO DI QUELLO INGLESE CHE È DEL 16 PER MILLE

L’aborto è violenza contro madri e bambini. «Salva vite, salva l’Ottavo» (emendamento)

mancanza di equilibrio, che ha supportato la richiesta di referendum e ha leggermente ridimensionato le proposte precedenti.

A marzo, a Dublino, si è tenuta un’imponente manifestazione pro-life: più di centomila persone sono scese in piazza per “Salvare l’Ottavo” Primo piano


Quando in UK è stato legalizzato l’aborto, nel 1967, gli aborti sono aumentati del 563% in cinque anni. Non lasciare che questo accada in Irlanda: salva l’Ottavo emendamento. Ama entrambi (la madre e il bambino)!

La semplice abrogazione dell’Ottavo emendamento non sarebbe sufficiente a regolamentare l’aborto e pertanto il governo ha presentato una proposta di legge, da approvare eventualmente dopo il referendum, che prevede l’aborto su richiesta fino alla dodicesima settimana. Dopo la dodicesima settimana l’interruzione di gravidanza sarebbe ammessa per la salvaguardia delle salute fisica o mentale della madre, senza limiti gestazionali, ossia fino alla nascita. Si tratterebbe di una legge persino più permissiva di quella della vicina Inghilterra, dove una gravidanza su cinque finisce abortita. In realtà un esito favorevole del referendum non precluderebbe possibili variazioni in Parlamento alla proposta di legge. In qualche modo la differenza finale tra i due schieramenti e, in particolare Primo piano

una vittoria molto ristretta del «Sì», potrebbe comportare una legge meno permissiva. I partiti di sinistra, ossia dell’opposizione, sono tutti favorevoli alla rimozione dell’emendamento costituzionale e sostanzialmente contenti della proposta di legge. È un po’ più variegata, invece, la posizione del centro-destra. Il governo attuale è formato da una coalizione di indipendenti e dal partito centrista Fine Gael. Non avendo una maggioranza, sono sostenuti esternamente dal partito di centro-destra Fianna Fail. Il governo è unito a difesa del referendum, ma presenta divisioni riguardo la successiva legge. Il viceprimo ministro Simon Coveney è il più autorevole esponente del governo che ha espresso riserve sul limite delle dodici settimane. Altri membri sembrano condividere le stesse perplessità. I partiti di centro

destra hanno concesso libertà ai propri parlamentari e un buon numero di questi, in particolare nel Fianna Fail, ha preferito non esprimersi oppure sostiene apertamente l’Ottavo emendamento. Nel 2015, quando un referendum introdusse il matrimonio tra persone dello stesso sesso, i parlamentari che si opposero si contano sulle dita di una mano. Questa volta invece almeno un terzo si oppone alla revoca dell’Ottavo emendamento e ciò dà qualche speranza in più al mondo prolife. L’esito del referendum non è scontato, e se dovesse vincere l’opzione pro-life sarebbe un segno incoraggiante per il resto del mondo.

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di Silvana De Mari

Andrea o Matteo, forse Ilaria

Siamo molto lieti di proporre ai nostri Lettori l’anteprima di una breve novella della dottoressa De Mari, tratta da Nuovi racconti fantastici, che vedrà le stampe nel 2019

Alle sette e quindici la signora Camilla esce da casa sua, aspetta il bus, sale sul bus, impreca nella sua testa perché non ci sono posti a sedere per tre fermate, alla quarta fermata si siede e alla quinta scende: è davanti all’ospedale.

potrebbe starsene davanti agli ospedali a passare il tempo rompendo l’anima alla gente e in particolare a lei.

La signora Camilla traversa il piazzale, cerca di scansare un tizio enorme che distribuisce volantini, davanti a un cartellone con l’immagine molto edulcorata di un feto e sotto la scritta: «È il tuo bambino, avrà il tuo sorriso».

L’eclissi della ragione. Bella frase. Si vede che è uno che ha studiato. Lei, la signora Camilla, non ha studiato e porta a casa novecentocinquanta euro al mese di pulizie, che è una maniera per essere un libero professionista, ma se non lavori

«Signora!», insiste il tizio enorme, «L’aborto è l’eclissi della ragione».

non ti pagano, e menomale che i novecentocinquanta euro ci sono, perché suo marito è disoccupato e i suoi figli vanno a scuola, scuola pubblica, che in teoria è gratuita, ma che in realtà è un continuo stillicidio di quattrini.

Il tizio enorme non si lascia scansare e riesce a mettere in mano alla signora Camilla un volantino. La signora Camilla restituisce il volantino, pensa che dovrebbe esserci un limite a quanto la gente ti può rompere l’anima, e che se quello lì si guadagnasse da vivere lavorando, non 14 N. 63

(Foto di Francesca Visconti, Wikipedia) Primo piano


Il tizio dei volantini invece di stare davanti agli ospedali potrebbe lavorare, così magari guadagna qualcosa, ci paga le tasse, che sarebbe una cosa carina per tutti, e quindi anche per lei. Alle otto e zero zero la signora Rossi Camilla entra in ospedale, dà il suo nome all’infermiera, prima il cognome, Rossi Camilla, e si siede in sala d’aspetto, in attesa di essere chiamata. Si tratta di una sala d’aspetto rassicurante, con le pareti azzurro chiaro e il quadro con le due sedie sul mare, a sinistra la porta dello studio della dottoressa, quella con cui ha già fatto la visita, e sulla destra la porta che va poi ai reparti operatori, da cui verranno a chiamarla. La signora Rossi Camilla ha lo stomaco vuoto, niente colazione il giorno dell’intervento. Dopo essersi seduta prende un giornale dal tavolino, così che l’attesa passi via più lieve. È stanca, calma e determinata. È venuta a fare quella cosa, l’IVG. Sono errori che succedevano in ogni coppia e ora sarebbe andato tutto a posto. I bambini sono a scuola, li andrà a prendere la nonna, non si accorgeranno di nulla. Poi lei starà a letto un giorno, un po’ di influenza, poi c’è il week end e lunedì sarà di nuovo in pista, forse magari un po’ stanca, e tutto resterà uguale a come deve essere, uguale. Primo piano

Il giornale che ha preso sul tavolino di fianco a lei è un vecchissimo numero di Donna Moderna: a pagina 28 il solito articolo su come organizzare la festa per il compleanno del figlio con consigli diversi per l’età, 8 anni, 10 anni, 12 anni. Quello che avrebbero dovuto mettere era l’articolo su come organizzare la festa di compleanno secondo i soldi disponibili, un budget limitato come si diceva ora: 5 euro. Comprate 5 euro di gomme da masticare e distribuitele con parsimonia raccomandando di masticare molto. Come bibita acqua del rubinetto. Pagina 32: cosa fare con i jeans vecchi. La signora Rossi Camilla salta l’articolo. Sa già la risposta. Li piega alla sera e li mette sulla sedia e poi se li rimette al mattino. A pagina ottanta, la nuova moda: il giallo. La signora Camilla si guarda gli infradito: è a la page. Pagina 41 come fare la frittata di fiori di zucca e ricotta cuocendola in forno. Quello può essere interessante. La signora Camilla sta memorizzando i grammi di ricotta quando la segretaria la chiama. Deve andare al secondo piano per l’elettrocardiogramma.

LA SIGNORA CAMILLA NON HA STUDIATO, PORTA A CASA NOVECENTOCINQUANTA EURO AL MESE DI PULIZIE, SUO MARITO È DISOCCUPATO E HA DUE FIGLI CHE VANNO A SCUOLA

La signora Rossi Camilla molla Donna Moderna e si avvia all’ascensore. E lì schiaccia il bottone sbagliato. Quinto piano. Lo fa sempre, quando in un ascensore è stanca, quando è sovrappensiero, si sbaglia e 15 N. 63


preme il pulsante cinque. Da quando era bambina e andava dal nonno che stava al quinto piano della casa dove lei abitava al secondo. Per tutta la sua infanzia la casa del nonno era stata il rifugio, il porto sicuro. Quando i suoi litigavano, cioè sempre, sei volte al giorno, quando aveva preso un brutto voto a scuola, quando c’erano i cartoni che mamma non le faceva guardare e il nonno sì, allora schiacciava il bottone numero cinque e il nonno le faceva trovare il gelato che piaceva a lei, vaniglia e panna. Mamma litigava perché papà era sempre via, perché faceva i turni. Mamma litigava perché aveva paura, voleva un altro lavoro per papà. La signora Camilla si ricorda quando era tornata a casa da scuola e a casa sua era pieno di poliziotti, e aveva sentito dal pianerottolo che mamma piangeva e non

era entrata nemmeno a casa, era andata al quinto piano dal nonno, e il nonno la aspettava, la aveva stretta forte e poi tenendola per mano l’aveva riportata giù dalla mamma che le aveva detto quello che lei sapeva già. Papà era stato ucciso. Non c’era più. Capita ai poliziotti: per questo mamma litigava tanto. Capita. Una bara, la bandiera sopra e poi il quinto piano. Il quinto piano quando la mamma si è risposata con un tizio che non faceva i turni e questo era il suo unico pregio, il quinto piano quando a scuola la sfottevano. Il nonno è morto due mesi prima, anche il piccolo aiuto della sua pensione se ne è andato.

È STANCA, CALMA E DETERMINATA. È VENUTA A FARE QUELLA COSA, L’IVG. SONO ERRORI CHE SUCCEDEVANO IN OGNI COPPIA, MA ORA SAREBBE ANDATO TUTTO A POSTO

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Primo piano


L’ascensore si apre. Piano sbagliato. Niente di grave, deve solo schiacciare il piano giusto e andare a fare l’elettrocardiogramma, e invece la signora Camilla rimane immobile pietrificata a guardare. Il quinto piano è la nursery. Fiocchi rosa e azzurri. Nelle loro cullette dall’altra parte del vetro i bimbi e le bimbe dormono o piagnucolano piano. La signora Camilla pensa che se ne deve andare, andare subito, e invece oltrepassa la porta dell’ascensore e si avvicina al vetro della nursery. Rimane a guardare, immobile. Sul muro di fronte c’era un grande cartello con su una scritta terribile: «L’aborto è l’eclisse della ragione, fallo nascere, potrebbe avere il tuo sorriso». La signora fissa stupita il cartellone, non ne ha mai visti, non pensava che in ospedale ce ne fossero, le sembra stranissimo che siano permessi. Se è una campagna di sensibilizzazione, è fatta benissimo. Il cartellone è un pugno nello stomaco. Primo piano

In basso sotto la scritta c’è da una parte un corpicino coperto di sangue, dall’altra la faccina di un neonato. Chiunque la abbia ideata, la campagna di sensibilizzazione, deve essere uno che picchia duro. Però il lavoro lo sa fare. Il corpicino coperto di sangue è orribile. La signora Camilla si chiede come sia possibile che nessuno protesti per quell’orrore, poi lo guarda bene. Tutto quello che fino a qualche istante prima le era sembrato così logico – vado, abortisco e torno a casa in tempo per preparare la merenda dei bambini – ora le sembra un’assoluta follia. Suo marito non aveva avuto nessun dubbio. Non era che lui l’avesse spinta. Lo avevano scelto insieme: era l’unica scelta logica. Ora quell’unica scelta logica le sembra una follia. 17 N. 63


Le viene in mente che se non abortisce, nascerà qualcuno, qualcuno che prima o poi avrà il suo sorriso. O quello di suo marito. O quello di Tommaso, il fratellino maggiore. O quello di Bernardo, il minore, che adesso però potrebbe diventare quello di mezzo. Ripensa al visetto dei suoi bambini, li rivede quando erano nati. Li vide per un istante come corpicini pieni di sangue e l’orrore le traversa il cuore. Un bimbo nuovo. Andrea o Matteo. Se fosse stata una bambina? Ilaria. Una bimba. Mio Dio, era stata sul punto di uccidere Ilaria. Doveva essere impazzita. La signora Camilla si gira, torna all’ascensore, pigia il pulsante pianoterra, e una volta giù ricupera Donna Moderna, perché la ricetta della frittata di fiori di zucchine fatta nel forno ha un suo fascino, raggiunge la porta e se ne va. Quando è fuori dall’ospedale tira fuori il cellulare per telefonare al marito. La signora Camilla prima cerca di organizzarsi delle frasi nella testa. Preferisce parlargli da lì, perché se lui si arrabbia, se si mette a urlare, lei può chiudere il cellulare, o comunque cercare di discutere. Dirà del bambino, o della bambina, che forse avrà il sorriso di Tommaso di Bernardo, e poi dirà quella frase. «L’eclissi della ragione». Era una bella frase. «Non l’ho fatto», dice quando finalmente al driiin sordo si 18 N. 63

PER TUTTA LA SUA INFANZIA LA CASA DEL NONNO ERA STATA IL RIFUGIO, IL PORTO SICURO

sostituì la voce di lui, e poi tutte le frasi che le sono venute in mente, il sorriso, l’eclissi, è un bambino o una bambina, il nostro bambino, la nostra bambina, si fermano. «Non l’ho fatto», ripete senza riuscire a pronunciare altro, e poi resta imbambolata in silenzio ad aspettare che il marito le dica le cose logiche: lui era disoccupato, lei in cassa integrazione. Non possono. La signora Camilla aspetta a lungo la risposta. C’è un silenzio che le sembrò infinito. E poi lui dice: «Possiamo vendere il camper. In realtà ho già trovato un’offerta. Non avevo accettato perché mi era sembrata bassa, ma a pensarci non è così bassa. Possiamo vendere il camper e poi oggi Nicola mi ha detto che suo cognato ha bisogno Primo piano


di qualche ora in officina, una decina di ore la settimana, poco, ma è già qualcosa. In qualche maniera faremo, dove c’è posto per due, c’è posto per tre». La signora Camilla rimane lì, ad ascoltare la voce di lui, che non aveva neanche detto «Sì, va bene», o «No, non va bene». Era partito immediatamente a fare quello che aveva sempre fatto, risolvere i problemi. La signora Camilla si ricordò finalmente perché si era innamorata di lui dieci anni prima e per la prima volta in vita sua, si dice quanto è felice che Tommaso e Bernardo siano figli suoi e ora anche Matteo o Ilaria. Hanno lui come papà. In qualche maniera avrebbero fatto. Dove c’era posto per due, c’era posto per tre. Si chiede com’è stato possibile che loro due fino a poche ore prima avessero deciso di sterminare il loro bambino. Com’era stato possibile? Erano stati sotto incantesimo? Erano stati sotto ipnosi? Com’è possibile che un’idea così delirante, l’eclissi della ragione, fosse sembrata logica? L’eclissi della ragione, le piaceva. Ogni tanto continuava a ripeterselo, a mezza voce. Il suo bambino, o la sua bambina, chiunque ci fosse lì dentro, se lo riportava a casa. Cominciò a sentirsi contenta. Aveva dato via tutti i vestitini degli altri due, convinta Primo piano

che non ne avrebbe più avuti, ma non era difficile recuperarli, e magari recuperare anche qualcosa di più. Sua cugina e una collega avevano avuto un bimbo da poco. Comincia a sentirsi euforica e si rende conto che lei e suo marito si erano avvicinati un baratro: quando sei sul baratro basta un passino in una direzione che cadi giù, hai la scelta, tra cadere e non cadere. Ma a ogni passo che ci si allontanava dal baratro, il baratro sembrava un’idea sempre più… stupida. Insensata. Una follia. La signora Camilla si avvicina al tizio dei volantini. «Non l’ho fatto», dice al tizio. «L’aborto?», chiede lui. La signora Camilla annuisce. Il tizio è felice. «Adesso mi paghi la colazione», dice la signora Camilla, che si accorge di avere una fame insopportabile. E poi, quello lì, è contro l’aborto? Cominci a finanziare qualche caloria al suo bambino. Il tizio, sempre più euforico, annuisce, mentre raccoglie i suoi volantini per avviarsi con le verso il bar. «Il manifesto che ha messo

nell’ospedale è veramente un pugno nello stomaco. Come ha avuto il permesso?», dice la signora Camilla. «Signora, quale manifesto? Io nell’ospedale non ci posso nemmeno entrare e non ci posso nemmeno far entrare un volantino. E per stare qui ho bisogno del permesso della Digos, e se entro nell’ospedale faccio un reato». «C’è un manifesto enorme al quinto piano dove c’è la nursery», dice la signora Camilla e gira la testa per indicare e finalmente si accorse che di piani nella costruzione grigia ce ne erano solo quattro. Li conta a lungo, in un senso e nell’altro. Sono quattro. Sente il cuore batterle forte. Cerca di respirare lungo per calmarsi. «Guardi che non c’è un reparto maternità in questo ospedale», dice il tizio. Lei riesce ad annuire. Farfuglia che si è confusa. E improvvisamente si calma. Si avvia verso il bar, dove si mangerà un panino enorme, tanto paga il tizio, e poi se ne andrà a casa dal suo uomo. Ilaria oppure Matteo. Anzi no. Alberto, come il nonno.

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di Giuliano Guzzo

Giuliano Guzzo

I mass media e l’aborto

laureato in Sociologia e Ricerca Sociale, collabora con diverse riviste e portali web fra i quali Tempi.it, Libertaepersona.org, Campariedemaistre.com, Cogitoetvolo.it, Uccronline.it e Corrispondenzaromana.it. È membro dell’Equipe Nazionale Giovani del Movimento per la Vita italiano

Le campagne mediatiche menzognere che hanno fatto un’efficace propaganda alla legalizzazione dell’aborto

Se i mass media hanno giocato * giulianoguzzo@email.com @GiulianoGuzzo – e tutt’ora giocano – un ruolo : www.giulianoguzzo.com decisivo in favore dell’agenda progressista su molteplici versanti, l’attivismo in favore dell’aborto legale rappresenta un loro impegno antico e costante, a metà tra missione Anna Maria e ossessione, lungo quasi un Pacchiotti secolo. Quello che si può ritenere, nella storia, uno fra primi casi dipresidente promozione AnnaiMaria Pacchiotti, dell’associazione Vita onlus”. abortista “Onora risalelainfatti a : www.onoralavita.it quasi ottantacinque anni fa, e fu ad opera di una testata famigerata, guarda caso quella che in assoluto fa più rima con propaganda: la Pravda.

precisione quel che succederà: non avrò né fratelli, né sorelle. Mia madre, figli non ne desidera: non crede alla durata del matrimonio. Quanto a mio padre, quel bel tipo, ritiene che avere figli sia prova di spirito piccolo-borghese. Fra sei mesi, da persona che sa sbrigarsela, andrà all’ufficio di registrazione e si sbarazzerà di mia madre. Ama le donne giovani e si risposa volentieri. Dopo, ci vorranno le tenaglie per cavargli fuori gli alimenti cui ho diritto». Per la verità, la legalizzazione dell’aborto procurato, in Russia, risaliva a 15 anni prima,

Correva l’anno 1935, per l’esattezza era ilGiulia 7 giugno, quando l’organo ufficiale del Tanel Partito comunista dell’Unione Sovietica raccoglieva, o immaginava di raccogliere, Laureata in Filologia e Critica Letteraria. Scrive per passione. con dalle labbra Collabora di un ragazzo libertaepersona.org e con altri siti internet e comunista questa testimonianza: riviste; è inoltre autrice, con Francesco Agnoli, di Miracoli L’irruzione del soprannaturale «Compagni, sono nato per nella storia (Ed. Lindau). isbaglio. Mia madre non ha saputo farsi abortire in tempo. Se sono al mondo, lo debbo dunque alla stupidaggine dei miei genitori. So in anticipo con 20 N. 63

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precisamente al novembre 1920. Anno dopo il quale il fenomeno iniziò a spopolare, se si pensa che, nel giro di pochi anni, si passò si passò dai 3.3 aborti volontari ogni 1.000 nati del 1924, ai 58.8 aborti ogni 1.000 nati del 1934. Nel ’35 dunque non sussisteva più alcuna necessità di promuovere la pratica abortiva. Ciononostante la Pravda non si risparmiava, come si è visto, la pubblicazione di testimonianze antinataliste, che suonavano come macabre stigmatizzazioni della gravidanza. Una scelta forse finalizzata a celare gli effetti che l’aborto stava producendo nel Paese, davvero disastrosi. Tanto che nel 1936 fu il legislatore sovietico stesso, allarmato dallo scenario venutosi a creare, a tornare sui propri passi con una sorta di controriforma familiare, volta a porre un freno all’instabilità coniugale e, appunto, agli aborti.

volontario – a quel tempo ancora illegale – a comprendere l’importanza che avrebbe comportato stabilire contatti con il mondo del giornalismo. Ad ammetterlo apertamente fu il dottor Bernard Nathanson, un medico che prima di divenire militante pro life operò, per anni, come esponente di punta dell’abortismo americano: fu infatti il direttore del Centro per la salute sessuale e riproduttiva di New York, ove tra il febbraio 1972 e il settembre 1973 furono effettuati circa 60.000 aborti. Lo stesso Nathanson, che in gioventù arrivò a praticare un aborto su una donna che aveva messo incinta, effettuò

«L’INTERA INDUSTRIA DELL’ABORTO È BASATA SU UNA MENZOGNA. SONO STATA PERSUASA A MENTIRE DA LEGALI FEMMINISTE, A DIRE CHE ERO STATA STUPRATA E CHE AVEVO BISOGNO DI UN ABORTO, MA ERA TUTTA UNA BUGIA»

Quel che è certo è che il rapporto tra mass media e abortismo, albeggiato in Russia, era solo il principio di un’alleanza tra comunicazione e ideologia che sarebbe durata a lungo. Anzi, che non si sarebbe più interrotta, ripetendosi altrove. Negli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta, per esempio, furono i promotori dell’aborto Primo piano

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Il dottor Nathanson, ne Il Grido Silenzioso, mostra attraverso un’ecografia che il bambino nel grembo tenta di sfuggire alla macchina infernale che lo risucchia via

privatamente circa altri 15.000 aborti, dichiarandosi quindi «responsabile in tutto di circa 75.000 aborti». Un vero e proprio simbolo dell’abortismo a stelle e strisce, dunque. Ebbene, una volta mutata radicalmente idea sulla soppressione prenatale, il medico rivelò che lui e i promotori dell’aborto legale si avvalsero, per la loro battaglia, di numerose strategie. La prima e più importante fu proprio l’utilizzo dei media: «Cominciammo convincendo i mass media che quella per la liberalizzazione dell’aborto era una battaglia liberale, progressista e intellettualmente raffinata». Una scelta, dal loro punto di vista, estremamente intelligente ed efficace dato il ruolo decisivo che i mass media avrebbero potuto svolgere per l’agenda bioetica progressista. Un ruolo la cui rilevanza, sempre nei primi anni ’70, fu constatata da alcuni

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ricercatori americani i quali, esaminando gli esiti di campagne pubblicitarie multimediali costate 330.000 dollari e condotte in diverse città, dimostrarono come i messaggi televisivi, con effetti proporzionali alla quantità di denaro investita, potessero aumentare negli spettatori la consapevolezza della contraccezione, che insieme all’aborto rappresenta un’imprescindibile priorità politica di stampo liberal. Nathanson però, a quella degli spot, preferì un’altra strategia mediatica: quella della menzogna sistematica sugli aborti clandestini e sulle sue vittime. «Il numero delle donne morte per le conseguenze di aborti illegali», confessò, «si aggirava su 200-250 ogni anno. La cifra che costantemente indicammo ai media era 10.000. Questi falsi numeri penetrarono nelle coscienze degli americani, convincendo molti che era necessario eliminare la legge che proibiva l’aborto». Pesantemente segnata dalla falsità fu pure la vicenda di Norma Leah McCorvey, la protagonista principale dello storico processo americano (Roe vs. Wade) che, nel 1973, indusse la Corte suprema degli Stati Uniti d’America a stabilire

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l’incostituzionalità della legge del Texas, che vietava l’aborto. A dichiararlo, lei stessa: «L’intera industria dell’aborto è basata su una menzogna. Sono stata persuasa a mentire da legali femministe, a dire che ero stata stuprata e che avevo bisogno di un aborto, ma era tutta una bugia». Se in America la promozione dell’aborto fu strettamente intrecciata con la menzogna, in Italia le cose non andarono in modo diverso, anzi. Pure da noi, infatti, i mass media veicolarono sulle donne morte per aborto clandestino cifre esponenzialmente falsificate. Le prime proposte di legge socialiste per depenalizzare il fenomeno abortivo, nel 1971, parlavano di 25.000 donne vittime ogni anno di pratiche clandestine. Una stima subito ripresa, allora, dal Corriere della Sera e da rotocalchi come Panorama e Novella 2000. Peccato che si trattasse, anche in quel caso, di dati falsi. Dall’Annuario Statistico del 1974 risultava infatti che le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute nell’anno 1972, cioè prima della legge 194, furono in tutto 15.116. Anche ipotizzando che fossero morte tutte a causa di un aborto clandestino – ipotesi assurda –, non sarebbero comunque state 25.000. Primo piano

In verità, i dati ci dicono che furono 409 le donne morte per gravidanza o parto, ergo certamente molte meno (qualche decina) a causa di aborto clandestino. Ciononostante i media si resero spesso e volentieri megafoni di ben altri e infondati numeri. Non solo per quanto riguarda le quantificazioni dei decessi per aborto clandestino, ma anche con riguardo alla stima stessa del numero di questi interventi. Il Corriere della Sera del 10 settembre 1976, per esempio, li considerava essere da 1.5 a 3 milioni; in un numero dell’Espresso del 9 aprile 1967, si parlava addirittura di 4 milioni.

DOVE L’ABORTO È ANCORA ILLEGALE, I MEDIA CONTINUANO A PROPAGANDARE BUGIE; NEI PAESI INVECE DOVE L’ABORTO È LEGALE, I MEDIA, GUARDIANI DELLA CULTURA DOMINANTE, FANNO TUTTO IL POSSIBILE PER NON PARLARNE

La realtà? Secondo il professor Bernardo Colombo, demografo dell’Università di Padova, coautore di una ricerca elaborata con gli statistici Franco Bonarini e Fiorenzo Rossi, in Italia gli aborti clandestini erano – al massimo – 100.000. Significa che le stime degli aborti clandestini che campeggiavano sulle prime pagine dei giornali dell’epoca erano aumentate, rispetto a quelle più plausibili, anche del 3900%.

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Come se non bastasse, una volta legalizzato l’aborto è stato difeso e promosso dai mass media anche in occasione del referendum parzialmente abrogativo del 1981. La principale strategia utilizzata in quella occasione, come ricorda il giornalista Aldo Maria Valli nel suo libro La verità di carta, fu quella di dirottare il dibattito altrove: «Grazie all’instancabile opera di stravolgimento dovuta a solerti schiere di intellettuali, giornalisti e politici, lo scontro si spostò subito sull’incerto terreno dei massimi sistemi: la libertà, la democrazia, il progresso, la civiltà. Col risultato che, alla fin fine, dell’unico uomo davvero in questione, ovvero la persona concepita, si ricordarono in pochissimi».

parola d’ordine sull’aborto legale fu, a livello mediatico, una soltanto: silenzio. Totale. Con gogna garantita, per chi osasse infrangerlo.

La prova della faziosità dei media, in particolare dei giornali, fu evidente il giorno successivo alla consultazione referendaria, quando fioccarono prime pagine dai toni a dir poco trionfalistici, della serie: «L’Italia rimane un paese moderno», «L’Italia ha detto no alle pretese radicali», «L’Italia resta in Europa», «Ha vinto il buon senso», «Ha vinto il progresso», «Una vittoria della ragione». E da quel momento in poi, la

Se ne accorse, a sue spese, Enzo Biagi il quale l’8 marzo 1985, nel suo programma su Rai 1, Linea diretta, trasmise in versione integrale Il grido silenzioso, documentario sull’aborto realizzato, dopo la conversione alla causa prolife, dal già citato Nathanson. Fu il finimondo. Contro il giornalista che tanto aveva osato, per giunta in una giornata cara al femminismo, si scagliarono infatti in parecchi, anche in

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Terrore a Seveso (Fonte: Corriere.it). Il disastro di Seveso fu un’occasione mediatica abilmente sfruttata per sdoganare la legalizzazione dell’aborto. Un’altra menzogna propagandistica: dei bambini abortiti in quell’occasione nessuno risultò essere stato danneggiato dalla diossina. I sopravvissuti all’aborto eugenetico ingiustificato sono nati e cresciuti in buona salute.

politica; furono soprattutto i socialisti a chiederne la testa. Aver osato toccare un tema così scomodo nel corso di una trasmissione allora vista da un telespettatore su tre, in effetti, sotto un certo punto di vista era una provocazione bella e buona. Come andò a finire? Non risulta che Biagi abbia subito richiami dalla Rai ma Linea diretta, l’anno dopo, non era più nei palinsesti. Tu chiamale, se vuoi, coincidenze. Primo piano


L’alleanza tra mass media e abortismo neppure oggi si è estinta. Lo prova il fatto che, nei Paesi nei quali l’aborto non è ancora liberalizzato e dove il consenso popolare tarda a divenire maggioritario, come in Perù, sono le redazioni dei giornali gli ambiti in cui le posizioni abortiste trovano maggior spazio; significativo, al riguardo, uno studio della ricercatrice Camila Gianella, la quale ha messo in luce come, tra il 1994 e il 2014, i pro choice abbiano guadagnato enorme visibilità sulla stampa locale. Un altro caso è quello dell’Irlanda dove alcuni media, nel febbraio di quest’anno, hanno parlato di un sondaggio condotto dall’Irish Medical Times secondo cui il 75% sarebbe favorevole all’aborto entro le 12 settimane. Poi però si è scoperto che quel sondaggio, semplicemente, non esisteva: si trattava solo di domande poste sui social network, cui poteva rispondere chiunque disponesse di un account.

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Nei Paesi invece dove l’aborto è incardinato nell’ordinamento giuridico, i media, a mo’ di guardiani della cultura dominante, fanno tutto il possibile per non parlarne. E quando sono costretti a farlo tagliano corto, cavandosela col minimo sindacale. Un esempio clamoroso è stata la March for Life 2018, la più grande manifestazione antiabortista degli Stati Uniti alla quale, per la prima volta nei 45 anni della sua storia il Presidente, Donald Trump, ha inviato un messaggio. L’importanza dell’evento, curiosamente, non ha colpito ABC, CBS e NBC, le principali emittenti Usa le quali, il giorno che in cui si è svolto, gli hanno riservato – tutte e tre sommate – 2 minuti e 6 secondi di copertura. Alla marcia femminista del giorno dopo, casualmente, la visibilità assicurata è stata ben diversa: 6 minuti e 43 secondi. Tre volte tanto.

E meno male, viene da dire, che alla marcia pro life di quest’anno è intervenuto l’inquilino della Casa Bianca, perché durante i cinque anni precedenti la copertura delle tre emittenti è stata, nel complesso, di appena 21 minuti e 52 secondi. Il 2013, poi, era stato l’anno peggiore per i manifestanti, ai quali i grandi media avevano riservato meno di 20 secondi. Pochi istanti, in pratica. Il necessario per mostrare che i pro-life esistono e per far capire che vanno ignorati. Due piccioni con una fava. A suo modo, l’ennesimo capolavoro di propaganda.

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RICORDANDO IL FESTIVAL PER LA VITA E… “IL GIARDINO DEL RE” di Giuseppe Noia L’evento del febbraio scorso alla Gran Guardia è stato un momento importante: speriamo possa ripetersi anche l’anno prossimo Il 1° Festival per la Vita a Verona, nei giorni 16 e 17 febbraio 2018, è stato una vera e propria sinfonia di voci di un popolo che ha gridato alla cultura della morte la propria realtà di testimoni della preziosità della vita umana. Politici senza parlare di politica, imprenditori senza parlare di economia, medici senza parlare di tecnologie, famiglie e singoli con testimonianze vere e autentiche hanno infiammato la numerosa platea al Palazzo della Gran Guardia, ricevendone una eco altrettanto forte e appassionata, come quella della testimonianza di Xavier Dor, medico e Presidente dell’Associazione Cattolica “SOS Tout Petits”, una vera icona prolife francese che ha declinato tutte le forme di discriminazione sociale, politica e umana subite in tanti anni in Francia.

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Mentre parlava di tutte le occasioni di insuccesso e di mancata approvazione delle autorità politiche e di associazioni pubbliche francesi, saliva dalla platea l’applauso al suo coraggio, alla sua fede e soprattutto alla sua forza testimoniale, che diffondeva una grande carica di consapevolezza sul fatto che la battaglia per il dono prezioso della vita è un fatto inestimabile e che rimane, indipendentemente dai risultati. Bernard Gappmaier, Presidente della “Federazione Europea dei Medici per la tutela della Vita” ha testimoniato le procedure dittatoriali di vecchia memoria, che lo hanno portato a dover subire una consulenza psichiatrica dalle autorità locali per le sue idee sulla difesa della vita e della famiglia.

LA CULTURA DELLA MORTE NON DÀ ALTERNATIVE, MENTRE LA CULTURA DELLA VITA OFFRE ALTERNATIVE ALL’ABORTO EUGENETICO CON RISULTATI SORPRENDENTEMENTE POSITIVI

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La testimonianza di Gianna Jessen, sopravvissuta all’aborto salino effettuato su di lei al 7° mese, è stata una lancia di verità esistenziale e di sofferenza che la stessa ha piantato nei cuori di tutti, parlando con un linguaggio veritiero ma pieno di amore (ha incontrato e perdonato la madre che aveva voluto l’aborto). Prendendo spunto da questa testimonianza, la seconda sera, io ho parlato delle cure palliative prenatali e dell’analgesia da fare al feto prima di procedure invasive che attraversano il corpo fetale non solo per evitare il dolore della puntura che passa la sierosa, ma anche per distendere le sierose dal liquido patologico che si accumula e come ultimo obiettivo (ma non meno importante) evitare che il dolore possa avere conseguenze sullo sviluppo neuromotorio e psicointellettivo del bambino nel futuro.

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Tutto questo inoltre si traduce nell’asportare un liquido patologico che nel torace o nell’addome potrebbe, per compressione, ridurre il ritorno venoso e far scompensare il cuore di questi piccoli pazienti. Ecco un chiaro esempio di come una cura palliativa mirata a non far sentire dolore (palliazione analgesica) si trasforma in una vera e propria cura prenatale (palliazione clinica) con risultati inimmaginabili (dal 12.5% al 71% di sopravvivenza e buona qualità di vita sino a sei anni). Il dottor Cecchi ha magistralmente dimostrato l’importanza della formazione e della cultura del prenatale stressando anche il significato dei termini e della semantica usata nell’aborto volontario dopo le 12 settimane e dimostrando in modo lapalissiano che la cura, la terapia prenatale, non possa essere quella di eliminare il malato, bensì quella di

L’HOSPICE PERINATALE PRATICA CURE PALLIATIVE CHE MIRANO A LENIRE IL DOLORE DEL BAMBINO, ALL’ACCOMPAGNAMENTO E ALLA COMFORT CARE: QUANDO NON POSSIAMO “CURARE” I BAMBINI, “CE NE PRENDIAMO CURA”

Brandi con l’assessore Elena Donazzan

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eliminare la causa della malattia. Il termine “aborto terapeutico” è una menzogna concettuale e scientifica: non c’è terapia se il bambino muore e la madre va incontro a grave depressione e affezioni psicologiche. La sera precedente ho illustrato come la cultura della morte non dia alternative, mentre la cultura della vita offra alternative all’aborto eugenetico (aumentati in 35 anni i bambini nati, dallo 0.5 La Gran Guardia a Verona

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del 1981 al 5.3 % del 2016, con punte in Sardegna del 23.8%) con corrette informazioni, cure prenatali invasive e non invasive con percentuale di sopravvivenza dal 54 al 90% dei bambini trattati, cure palliative che mirano a lenire la sensazione dolorosa del feto e accompagnamento e comfort care: quando non possiamo curarli ce ne prendiamo cura. Questa è la filosofia dell’Hospice perinatale: luogo medico con punto nascita dove un team interdisciplinare di specialisti si mette vicino alle famiglie con gravi problemi malformativi

fetali o di bambini incompatibili con la vita extrauterina per sostenerli e affiancarli in questo tracciato di sofferenza sì ma anche di pace, nella consapevolezza di fare tutto il possibile per i loro figli fino alla fine. Ci hanno colpito e anche meravigliato tutte le notizie incredibili che il governo russo mette in opera per combattere l’aborto e la denatalità: l’on. Inga Yumasheva, deputato e responsabile per la Vita, la famiglia e i bambini presso la Duma, ha inondato la platea

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dei numeri ufficiali miranti a proteggere la vita e la famiglia e contenere il fenomeno degli aborti volontari che in Russia raggiungono cifre devastanti. Elena Donazzan, Assessore Regionale del Veneto, ha presentato una legge a difesa della dignità della vita nascente approvata a larga maggioranza, sul seppellimento dei bambini non nati al fine di evitare che vengano considerati come rifiuti ospedalieri. Infine le testimonianze delle persone, di un medico abortista, Antonio Oriente, che poi si è convertito e di una donna che ha effettuato un aborto e che combatte con la sindrome post abortiva, hanno mostrato come Dio si piega sul nostro male e, Primo piano

se vogliamo, attraverso sentieri impensati e di abbandono a Lui, il male diventa il seme per una fecondità testimoniale verso coloro che «non sanno quello che fanno», o se lo sanno, vivono nella disperazione e nel non senso, con patologie psichiatriche gravi. Il Sindaco di Verona, Federico Sboarina, e il Vicesindaco, Lorenzo Fontana, europarlamentare ed esperto di demografia, con l’imprenditore Roberto Brazzale, promotore d’innovative politiche familiari aziendali, hanno condiviso testimonianze personali di fede, di amore alla vita (il Sindaco e la moglie aspettano un bambino), di gestione dei rapporti con dipendenti e cittadini miranti al rispetto

Noia, Scandroglio e Cecchi

del lavoro e della fiducia che la gente dona a queste figure, con una trasparenza e uno spessore comunicativo talmente pervasivo che il bravissimo moderatore, docente di bioetica, Tommaso Scandroglio, ha esclamato: «Se la classe politica e imprenditoriale è questa, io sposto la mia residenza a Verona». Il Festival è stato chiuso da Massimo Gandolfini, neurochirurgo e presidente del Comitato Difendiamo i nostri Figli: lo spessore di uomo, di padre e di cristiano ha tuonato contro la politica ondivaga sui grandi valori della vita e della famiglia, sulla 29 N. 63


indifferenza culturale di queste trasformazioni antropologiche che vede nell’ideologia del gender e dell’utero in affitto le facce di una stessa medaglia diabolica: l’odio verso le creature umane (gloria di Dio, secondo S. Ireneo) da combattere con le armi della intelligenza e della fede per mostrare anche ai non credenti che i valori cristiani abbracciano tutti gli uomini e ogni uomo. Il moderatore della prima serata, Riccardo Cascioli, Direttore del quotidiano La Nuova Bussola Quotidiana e del mensile Il Timone ha tessuto mirabilmente testimonianze

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e scienza, cultura e disvalori, speranze e disperazioni con facete battute sul sottoscritto, affermando: «Conoscendo il Prof. Noia da tanti anni e la sua vena di cantautore per un momento ho pensato che Pino, vedendo tutti questi fiori ed equivocando il Festival, prendesse il microfono e, al posto della relazione, cantasse una canzone». Ho risposto che la tentazione l’ho avuta ma senza cantare ho recitato i versi, la sera dopo, di una canzone – “Il giardino del Re” – che ho scritto e musicato dopo l’enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium Vitae.

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“Il giardino del Re”: INO DEL RE SIAMO FILI D’ERBA NEL GIARD TO CHE È TENERA RISERVA DI UN INCAN NTINUER À QUESTA NOSTRA VITA CHE CO LSITÀ OLTRE LE MISERIE DELLA FA AI FIORI, SIAMO FILI D’ERBA NOI, VICINO ANDI AMORI FATTI DI INNOCENZA E DI GR L DOLORE E CI ILLUMINIAMO ANCHE NE AFIGGONO IL QUANDO NEL SILENZIO, TI TR CUORE VITA, VITA, TA

CATENA DI MERAVIGLIE INFINI CRESCE, POI SALE

E IL MALE

UN DESIDERIO DI PERDONAR

INO DEL RE SIAMO FILI D’ERBA NEL GIARD LIATI PERCHÉ SULLA NUDA TERR A GERMOG N CI SPEZZERÀ QUESTO GR ANDE ORRORE NO TERNITÀ PERCHÉ NOI VIVIAMO PER L’E MA AUDACE COME FILO D’ERBA FR AGILE SENZA PACE SFIDO LA SUPERBIA DI CHI È FOLLIA PICCOLO, MA FORTE, SFIDO LA VITA MIA PERCHÉ IN OGNI UOMO C’È LA VITA, VITA, INITA CATENA DI MERAVIGLIE INF CRESCE, POI SALE E IL MALE UN DESIDERIO DI PERDONAR

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IL DIRITTO CHE OBBEDISCE ALLA VITA di Cinzia Ceccaroli Dalla Regione Marche una legge a tutela della dignità dei bambini non nati

L’apertura dello sguardo del giurista a ciò che vive e a ciò che cambia, talora è sotto lo strato delle leggi e, come riporta il prof. Paolo Grossi presidente della Corte costituzionale nel suo recente libro L’invenzione del diritto, il diritto non piove dall’alto sulle teste dei cittadini, ma deve essere cercato negli strati profondi della società, tra i valori fondamentali che la animano. Ed è proprio dalla società civile che ha trovato ispirazione la proposta di una legge che la Regione Marche, agli albori della nuova legislatura, ha accolto, e con voto unanime approvato, dando esempio di politica attenta al valore della persona.

- IL REGOLAMENTO N. 7 DEL 16 NOVEMBRE 2015 DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE INTRODUCE NELL’ORDINAMENTO UN NUOVO DIRITTO ALLA SEPOLTURA, A TUTELA DELLA DIGNITÀ DEL CONCEPITO 32 N. 63

Con Regolamento n. 7 del 16 novembre 2015, il Consiglio regionale Marche introduce nel proprio ordinamento un nuovo diritto a tutela della dignità del concepito, in particolare per quei bambini che non hanno avuto la fortuna di nascere, a seguito di interruzione di gravidanza. Un caso doloroso della vita, purtroppo frequente, che ha richiamato l’intervento del diritto: nonostante dichiarazioni di buona volontà e civiltà, in Italia in caso di interruzione di

gravidanza sotto la ventesima settimana, qualora la famiglia non richieda all’istituzione sanitaria entro le successive 24 ore la consegna della piccola salma per la sepoltura, la normativa statale dispone che la natura giuridica dei bambini non nati è assimilata a “resti chirurgici” e per questo trattati, per lo più dalla comune prassi, come rifiuti speciali ospedalieri o, nella migliore delle ipotesi, come parti anatomiche, trasportate e raccolte nei cimiteri.

Il Giardino degli Angeli, al cimitero Laurentino di Roma, è lo spazio dedicato alla sepoltura dei bambini mai nati Primo piano


Ma cos’è la gravidanza se non la storia di una mamma e un bimbo che mai sarà possibile capire fino in fondo? Autorevoli riferimenti scientifici indicano che fin dai primi istanti parte un lavoro “a quattro mani” per garantire l’annidamento, per difendere mamma e bimbo dalle infezioni, e in questo lavoro il bambino è attivo e collabora fin dall’inizio con la mamma all’interno di sistemi via via sempre più complessi. Come non riconoscergli dunque piena dignità e soggettività, principio già più volte rimarcato da importanti sentenze della Corte Costituzionale? Anche la Corte di Strasburgo nel 2014 è intervenuta con una autorevole pronuncia a tutela del diritto alla vita privata e familiare (c.d. diritto all’intimità familiare) e ha condannato lo stato della Croazia per non aver assicurato idonea tutela ai genitori di un bambino nato senza vita, le cui spoglie furono trattate come rifiuto speciale dall’ospedale, senza il consenso di questi. L’esigenza sociale e umana, ma anche giuridica, alla luce della citata sentenza della Corte di Strasburgo, si è tradotta per la regione Marche in un intervento legislativo che, colmando un vuoto di tutela, inverte il dovere giuridico Primo piano

(prima a carico della famiglia) e riconosce giuridicamente il diritto dei genitori di essere informati, ad opera dei sanitari, sulla possibilità di dare sepoltura al bambino o in alternativa di conoscere il trattamento riservato dall’ospedale. Questo in tutti i casi di interruzione di gravidanza (spontanea o volontaria) sotto la ventottesima settimana, perché come noto, dalla ventottesima in avanti per i bambini natimorti vige l’obbligo di sepoltura e registrazione presso l’anagrafe. Nella regione Marche le Asur Locali e gli altri Enti ospedalieri hanno fin da subito disposto per l’applicazione del nuovo regolamento regionale contribuendo a promuovere un cambiamento culturale importante e crescente sensibilità. Ma soddisfazioni giungono anche da altre regioni italiane che si sono conformate

nella loro normazione al “modello legislativo Marche”: dalla Valle d’Aosta alla Sicilia e recentemente in Veneto. In altre regioni la collaborazione continua, ma soprattutto il progetto delle Marche è stato tradotto in una proposta di legge ordinaria al Parlamento (pdl 4570, “Disposizioni concernenti la sepoltura dei feti umani”), depositata presso la 12a commissione. Se l’esperienza del dolore del lutto prenatale può trasformarsi in un gesto di civiltà per tutti, ancora tanto il diritto può fare per ampliare la tutela dei diritti umani. PER LO STATO I RESTI DEI BAMBINI NON NATI SOTTO LE 20 SETTIMANE SONO “RIFIUTI OSPEDALIERI”

Il primo cimitero per bambini non nati delle Marche è stato a Barbara, in provincia di Ancona. 33 N. 63


IN SPAGNA, FRANCIA E GERMANIA IL DIRITTO ALLA SEPOLTURA E/O ALLA REGISTRAZIONE ALL’ANAGRAFE È RICONOSCIUTO ANCHE A BAMBINI CONCEPITI DA POCHE SETTIMANE Sempre sul tema della vita nascente preziosi contributi provengono dalla legislazione e giurisprudenza europea. Recentissima una sentenza del Tribunal Constitucional de España, che si esprime intorno alla possibilità della madre di ottenere, in seguito all’interruzione volontaria della gravidanza intervenuta al compimento della ventiduesima settimana di gestazione, i resti del bambino ai fini dello svolgimento di una cerimonia di carattere funebre o di “commiato”. La madre si vedeva negare questa possibilità poiché in Spagna il diritto alla sepoltura è subordinato all’iscrizione nel Registro civile, possibile solo per i bambini concepiti da 180 giorni e di 500 grammi di peso. Il Tribunale Costituzionale dopo aver richiamato la dottrina elaborata dalla Corte di Strasburgo afferma che anche i bambini concepiti da meno di 180 giorni possono essere iscritti all’anagrafe e quindi avere degna sepoltura. Con 34 N. 63

Il monumento a “Maria, madre dei bambini non nati” de L’Aquila realizzato dall’Armata Bianca, nonostante tante violente contestazioni da parte delle femministe. Una copia di questa statua è stata invita a Bratislava, a Iglesias, a Guayaquil, Torun, Varsavia, Quito, Padova, Adria, Rovigo e Sesto San Giovanni, dove c’è uno spazio sacro dedicato alla sepoltura dei piccoli innocenti. questa importante pronuncia, il Tribunale amplia i diritti protetti dalla Costituzione spagnola e introduce un “derecho de despedida”: il diritto della madre ad esprimere il desiderio di “dire addio”, di “accomiatarsi” dal figlio non nato, anche laddove quest’ultimo non abbia raggiunto l’entità minima per la registrazione. Anche in Germania il Parlamento tedesco ha approvato nel maggio del 2013 una norma importante che prevede la possibilità di dare legalmente un nome anche ai bambini non nati di peso inferiore ai 500 grammi. Prima chiamati “Sternenkinder” (bambini delle stelle) oggi hanno un’identità giuridica e una sepoltura ufficiale. In Francia già a partire dal 2008 a seguito di una sentenza

della Corte di Cassazione si è decretato che i bambini nati morti possano essere registrati indipendentemente dal peso e dalla durata della gestazione. In Italia, malgrado la crescente sensibilità della legislazione regionale in tema di sepoltura, non esiste ancora una norma precisa che parli dell’iscrizione di un bimbo nato morto sotto la ventottesima settimana all’anagrafe. Condivisibile, appare la posizione della più attenta dottrina, secondo la quale è ormai imprescindibile l’elaborazione di criteri unitari e condivisi dalle Corti nazionali e sovranazionali affinché si raggiunga effettività e coerenza nella protezione dei diritti umani fondamentali.

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I “GETTATELLI”

di Francesco Agnoli

In questo brano, tratto da La grande storia della carità (Cantagalli), l’Autore ci fa riflettere su quando e dove la comunità comincia a curarsi dei bambini abbandonati Questa attenzione per i “gettatelli”, o “esposti”, o “proietti”, che troviamo sin dall’origine all’ospedale Santa Maria di Siena, appartiene a tutta la storia del cristianesimo, sin dai primissimi secoli. Mentre nel mondo antico, anche romano e greco, oltre che germanico, era “normale” abbandonare i bambini alla morte o alla schiavitù, già i primi cristiani, adoratori di un Dio che si era fatto bambino, cercarono di porre rimedio a questa terribile usanza, e la Chiesa stimolò col tempo la creazione di orfanotrofi e di vasche, ruote, letti, nicchie,

La ruota degli esposti in Santo Spirito in Sassia a Roma, è la più antica ruota d’Europa. 36 N. 63

per far sì che i bambini non voluti, invece che essere uccisi, venissero abbandonati, senza conseguenze giuridiche per i genitori. Nel V secolo Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, accoglieva nel suo palazzo di Ravenna bambini abbandonati nelle strade e sui sagrati delle chiese. Nello stesso periodo, a Lione, tale Giberto apriva un asilo per bambini abbandonati. Nel 787, a Milano, l’arciprete Dateo accoglieva i bambini abbandonati in una sorta di conchiglia sulla porta della chiesa, e si dedicava ad allevare, con l’aiuto di balie, bambini raccolti «per cloacas et sterquilinia fluminaque». All’incirca negli stessi anni, nelle chiese di Tours e di Angers, «c’erano – come scrive Mollat – vasche di marmo destinate a ricevere bambini che venivano deposti lì dai loro genitori». La ruota vera e propria, che diverrà il metodo più diffuso per raccogliere gli esposti, risale invece, a quanto sembra, a Papa

Grazie all’amore e alla determinazione di Giuseppe Garrone, dal 1992 sono state ri-inventate le “ruote”, le “culle per la vita”, per salvare i bambini dall’abbandono tra i rifiuti e dall’infanticidio. Innocenzo III, il protettore dell’Ospedale di Santo Spirito a Roma (1214), che la inventò per salvare tanti bambini gettati nel Tevere o in mezzo al letame: essa veniva annessa a molti conventi e talora alle chiese e agli ospedali. Tra i più importanti orfanatrofi medievali italiani si possono ricordare l’Ospedale Rodolfo Tanzi, di Parma (1203); l’Ospizio dei Trovatelli, istituito a Pisa dal monaco camaldolese Domenico Vernagalli, prima del 1218; l’Ospizio dei Bastardelli, fondato a Vicenza, nel 1233,


NEL MONDO ANTICO ERA “NORMALE” ABBANDONARE I BAMBINI ALLA MORTE O ALLA SCHIAVITÙ, MA GIÀ I PRIMI CRISTIANI, ADORATORI DI UN DIO CHE SI ERA FATTO BAMBINO, CERCARONO DI PORRE RIMEDIO A QUESTA TERRIBILE USANZA

dalla famiglia Porto; il famoso “Pio Ospedale della Pietà”, o “Santa Maria della Pietà”, ideato dal frate francescano Petruccio d’Assisi, che accorgendosi dell’aumento dei fanciulli abbandonati prima prese in affitto, con i soldi delle elemosine che raccoglieva gridando «Pietà, pietà», diciassette casette per i suoi assistiti, poi ottenne l’aiuto di donatori privati e persino del senato della Serenissima Repubblica (1346).

instituimus», era la formula assai diffusa); di contributi pubblici (ottenuti tramite sanzioni penali, redditi di traghetti, di palchi di teatri…); di indulgenze ed esenzioni concesse dai pontefici.

Al Pio Ospedale gli abbandonati venivano inseriti nella “scafetta”, una sorta di piccola nicchia, che sarebbe poi divenuta, nel tempo, una classica ruota. L’istituto era governato da un medico direttore, mentre le Suore della Carità vegliavano sui bambini, procuravano e pagavano le balie. Il Pio Ospedale, come tanti istituti medievali, visse per anni di beneficenza; di donazioni private, spesso testamentarie («Pauperes Christi heredes nostros

Se usciamo dall’Italia queste istituzioni per trovatelli erano meno diffuse, ma comunque presenti, soprattutto a partire dal XIV secolo: ne troviamo a Vienna, Ulm, Cracovia, Parigi, Londra, Colonia, Augusta, Norimberga, Rouen, Poitiers, etc…

Nel 1703 il sacerdote e musicista Antonio Vivaldi incominciò a insegnare violino e viola all’inglese, proprio alle “putte” trovatelle dell’ospedale, che ricevevano una valentissima educazione musicale.

Lo “Spedale degli Innocenti” a Firenze

A Parigi, per esempio, nel 1363 una confraternita della città fondò il Saint-Esprit-en-Grève, «per raccogliere i bambini di nascita illegittima abbandonati o gli orfani di padre e madre, con meno di nove anni. Nel 1409 erano una cinquantina; duecento, tra ragazzi e ragazze, un secolo più tardi». Questi bambini, «misconosciuti dalla società civile, erano tradizionalmente a carico delle autorità ecclesiastiche. Un altare o un letto serviva, in certe chiese, da luogo di deposito di questi sfortunati neonati: a Parigi il “letto di Notre Dame” nell’omonima cattedrale, a Poitiers il “letto di Notre Dame de la Paille” al Saint-Cyprien», scrive Mollat. 37 N. 63


PAPA INNOCENZO III, IL PROTETTORE DELL’OSPEDALE DI SANTO SPIRITO A ROMA (1214), INVENTÒ LA RUOTA PER SALVARE TANTI BAMBINI GETTATI NEL TEVERE O IN MEZZO AL LETAME

L’imperatrice Galla Placidia Da questa tradizione, da questa attenzione secolare verso i bambini abbandonati, derivò poi la nascita del celeberrimo “Spedale degli Innocenti”, così chiamato in onore dei Santi Innocenti, fondato a Firenze nel 1419, col sostegno del Comune e della Corporazione della Seta, e progettato dal grande architetto rinascimentale Filippo Brunelleschi; oppure la struttura fondata da san Gerolamo Emiliani, figlio di un senatore veneziano, con l’appoggio del duca Francesco Sforza, nel 1528, presso l’oratorio di San Martino, a Milano e protetta poi dai cardinali Carlo e Federigo Borromeo. Mentre tra i bambini dello Spedale degli Innocenti, circa mezzo milione in oltre 500 anni, possiamo ricordare gli avi di coloro che portano ancora il cognome “Innocenti” o “degli Innocenti”, per quanto riguarda 38 N. 63

gli orfani di Milano, detti ancora, sino a pochi decenni fa, “martinitt”, se maschi, “stelline”, se femmine, si possono menzionare anche personaggi famosi piuttosto recenti come Edoardo Bianchi, fondatore della fabbrica di biciclette, Angelo Rizzoli, creatore dell’omonima casa editrice, e Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica. Quanto agli esposti che venivano portati all’Ospedale Maggiore di Milano, essi prendevano di solito il soprannome di “colombini” e il cognome “Colombo”, ancora oggi molto diffuso in Lombardia, in quanto l’ospedale aveva allora come simbolo una colomba. I neonati venivano abbandonati, spesso perché la famiglia non riusciva a mantenerli, oppure perché illegittimi, con qualche oggetto particolare, un nome, una moneta, una frase, un qualcosa che li rendesse

riconoscibili, nel caso in cui i genitori, passato un periodo difficile, soprattutto economico, avessero voluto riprenderli. Sulla ruota che di solito li accoglieva, annessa solitamente a un convento, vi erano delle iscrizioni, che alludevano, di norma, alla pietà e alla carità. Su quella di Senigallia, invece, si poteva leggere: “Empio come il cuculo il padre genera ed abbandona i figli che codesta ruota accoglie come illegittimi”. A Napoli queste creature, che prendevano spesso il cognome “Esposito” o “degli Esposti”, venivano anche chiamate “figli della Madonna” e godevano di particolari privilegi.


di Paolo Gulisano

L’ibridazione umana: i nuovi Frankenstein Duecento anni fa era già stato denunciato il rischio di certi avventurismi tecnologici, eppure…

L’IBRIDO È UN PASSO VERSO LA POSSIBILITÀ DI FAR CRESCERE ORGANI UMANI NEGLI ANIMALI

Recentemente è stata annunciata la realizzazione di un embrione ibrido pecora-uomo. L’annuncio arriva dagli scienziati della University of California, Davis, al meeting della American Association for the Advancement of Science tenuto ad Austin, in Texas. L’ibrido, spiegano i ricercatori, è un passo verso la possibilità di far crescere organi umani negli animali. L’ibrido è stato ottenuto introducendo cellule staminali adulte riprogrammate nell’embrione di pecora, che poi è stato lasciato crescere per 28 giorni, il massimo per cui l’esperimento aveva ottenuto l’autorizzazione, dei quali 21 nell’utero di un animale. Durante questo periodo le cellule umane si sono riprodotte, spiega Pablo Ross, uno degli autori, anche se per arrivare alla possibilità di avere un intero organo serve

un rapporto di uno a 100. Per la prima volta è stato creato in laboratorio un embrione ibrido uomo-pecora, in cui una cellula su 10.000 è umana. Un anno fa circa era stato realizzato dallo stesso gruppo di ricerca un embrione di uomo e maiale, dove le cellule umane erano una su 100.000. Nella stessa presentazione i ricercatori hanno spiegato di essere riusciti ad ottenere embrioni di pecora e maiale privi del pancreas grazie a una tecnica di “copia e incolla” del Dna, un passo ulteriore per far “ospitare” organi umani in animali. La soddisfazione dei ricercatori è motivata da ragioni cosiddette “umanitarie”: gli organi prodotti in queste chimere inter specie potrebbero un giorno costituire un modo per soddisfare la domanda di organi per trapianti.

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IL SAGGIO DI PAOLO GULISANO E ANNUNZIATA ANTONAZZO CI GUIDA ALLA SCOPERTA DI FRANKENSTEIN, ROMANZO PUBBLICATO DUECENTO ANNI FA, CHE HA INFLUENZATO LA LETTERATURA E IL CINEMA E CHE CONTINUA A INTERROGARCI SUL POTERE E I LIMITI DELLA SCIENZA.

D’altra parte le “ragioni” dell’avanzamento della scienza sono immancabilmente di tipo umanitario: nessuno dichiara apertamente che ci possa essere un grosso business nella produzione di questi pezzi di ricambio a pagamento. Gli scenari aperti da questo tipo di sperimentazioni scientifiche ci ricordano una delle più efficaci denunce di questi avventurismi tecnologici: un romanzo pubblicato esattamente duecento anni fa, nel marzo del 1818, da una ragazza inglese di soli 21 anni, Mary Shelley. Da duecento anni uno spettro si aggira tra la letteratura e la filosofia, tra la cultura scientifica, l’immaginario popolare e il dibattito sui temi della bioetica: si tratta di uno dei capolavori della letteratura inglese, Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo, un’opera in grado di suscitare da allora fino ad oggi delle riflessioni fondamentali sulla figura dell’uomo di scienza e sull’importanza del suo ruolo nel cammino del 40 N. 63

progresso per il miglioramento delle condizioni di vita della comunità umana. Un romanzo che rappresenta esso stesso un ibrido: rappresenta il precursore e il capostipite della letteratura di anticipazione, chiamata comunemente “fantascienza”, ma contiene anche quegli elementi gotici che avrebbero in seguito caratterizzato molta letteratura romantica e le opere di grandi autori come Edgar Allan Poe, Stevenson e Lovecraft, straordinari narratori delle paure più profonde dell’animo umano. Frankenstein di Mary Shelley non si può dunque inquadrare in un genere letterario particolare: è un unicum, un romanzo che costituisce una delle opere letterarie più singolari della Modernità. Il suo sottotitolo, Il nuovo Prometeo, faceva intravedere la grande portata del romanzo, gli echi delle grandi opere che lo avevano influenzato, le suggestioni delle scoperte nel campo della fisica e della

chimica e quella componente gotico-romantica che solo in un animo sensibile e appassionato poteva sintetizzare la pienezza del sublime. Mary era la giovane moglie di Percy Shelley, il grande poeta romantico, e figlia di due importanti intellettuali dell’Inghilterra della fine del XVIII secolo, un periodo di grandi rivolgimenti, storici, sociali e soprattutto scientifici. Un periodo dove già iniziava un dibattito etico derivato dalle nuove straordinarie NESSUNO DICHIARA APERTAMENTE CHE CI POSSA ESSERE UN GROSSO BUSINESS NELLA PRODUZIONE DI QUESTI PEZZI DI RICAMBIO A PAGAMENTO


scoperte che avevano suscitato molte domande sui confini tra la vita e la morte e il potere su di essi degli scienziati. Mary scelse di raccontare questi dubbi e queste angosce in un romanzo dove la riflessione si sviluppa non in un messaggio moralizzante, ma manifestando visibilmente l’impotenza dell’essere umano a comprendere il grande mistero della vita. Allo stesso tempo le questioni di tipo scientifico ed etico sollevate nel romanzo sembrano diventare sempre più attuali e urgenti. È possibile disporre totalmente della vita umana? Quali sono i limiti degli interventi delle

tecnologie biomediche? Il dibattito sulla fecondazione artificiale, se non addirittura la clonazione, è sempre vivo e vivace, così come il dibattito acceso sul tema dell’eutanasia, che non verte più sul diritto di dare la vita, ma su quello di toglierla, istanza figlia di una cultura liberale portata agli estremi e frutto dell’emotivismo etico. Si tratta di una concezione problematica e al tempo stesso incomprensibile nei suoi elementi essenziali; ciò che emerge infatti da questa visione culturale contemporanea è un radicale relativismo di fondo che investe ogni aspetto della vita umana: la conoscenza, la filosofia, la morale, la politica, la ricerca scientifica, vedono l’abbandono della concezione

La Chimera di Arezzo è una scultura etrusca datata intorno al 400 a.C. che raffigura il mostro mitologico, figlio di Echidna e Tifone, simbolo di una somma di vizi: la violenza del leone, la perfidia del serpente, e la lussuria della capra.

A DUECENTO ANNI DALLA SUA PUBBLICAZIONE, IL ROMANZO DELLA SHELLEY CONTINUA A INTERPELLARE LE COSCIENZE dell’uomo quale essere dotato di una natura specifica e indirizzato verso un fine. Rileggendo Frankestein con lo sguardo rivolto agli scenari contemporanei, emerge una realtà molto inquietante: c’è qualcuno che si diverte a giocare a fare Dio. L’espressione inglese “playing God” è ancora più pregnante: to play non significa solo giocare, ma anche “interpretare la parte”, nel linguaggio del teatro e del cinema. Quindi potremmo tradurre “giocare alla divinità” o “fare la parte di Dio”. È l’aspirazione di chi vuole destrutturare l’uomo, ridurlo a una macchina con pezzi interscambiabili, di chi vuole ibridizzarlo, magari con la segreta intenzione di mostrare che in fondo l’uomo è un animale come tutti gli altri, che si può ricostruirlo con “prestiti” genetici da maiali, pecore, o addirittura dal mondo vegetale, come le carote. Sembra uno scherzo, ma è invece una realtà inquietante, che va oltre gli incubi di duecento anni fa.

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di Marco Bertogna

FILM

La famiglia Bélier

fonte foto: www.mymovies.it

Titolo: La famiglia Bélier (La famille Bélier) Stato e Anno: Francia, 2014 Regia: Éric Lartigau Durata: 105 min. Genere: Commedia – Drammatico – Musicale

Nel panorama del cinema odierno segnaliamo alcuni film “controcorrente”, che trasmettano almeno in parte messaggi valoriali positivi e che stimolino il senso critico rispetto ai disvalori imperanti. Questo non implica la promozione, né l’approvazione globale delle opere recensite da parte di ProVita Onlus.

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Il momento in cui un figlio o una figlia adolescente decide di allontanarsi dalla famiglia per seguire un sogno, un’aspirazione è sempre delicato. Da parte dei genitori ci può essere la difficoltà di capire questo desiderio e si vive il distacco con sofferenza. Ci sono famiglie che lo vivono serenamente (penso a chi si trasferisce, ma va a vivere da parenti o amici). Ci sono famiglie in cui è prestabilito che il figlio o figlia vivano in una città diversa dalla propria per poter frequentare una scuola speciale. Esistono situazioni in cui la possibilità di accettare una proposta (che sia artistica, sportiva, etc.) viene negata al ragazzo o la ragazza da genitori possessivi o troppo apprensivi... Ma cosa succede se la famiglia in questione è una famiglia di sordomuti? O, meglio, papà, mamma e secondogenito di quattordici anni sordomuti e la primogenita sedicenne invece no? E se il sogno della sedicenne è cantare? E se i genitori hanno una intolleranza nei confronti di chi sente e parla? Cosa succede ad una ragazza adolescente, cresciuta assistendo costantemente i propri familiari, nel momento in cui si innamora di un ragazzo? Nelle domande e riflessioni qui sopra abbiamo alcuni dei contenuti portanti di questa originale commedia, ispirata al libro di Véronique Poulain (Les Mots qu’on

ne me dit pas). Il regista (Éric Lartigau) ha ben diretto un cast formidabile (François Damiens e Karin Viard, i genitori), con Louane Emera (ex concorrente del “The Voice” francese) a interpretare la protagonista Paula. Nella sregolatezza delle abitudini sessuali dei genitori, nell’uso della volgarità anche con i gesti del linguaggio dei sordomuti, nella mancanza di valori affettivi e sessuali della migliore amica di Paula il regista ha voluto sdoganare il film da una serie di potenziali stereotipi sugli handicap. Una nota di colore, e ingrediente da commedia, è la candidatura politica per le nuove elezioni del sindaco della cittadina francese del papà di Paula: le scene con buone e/o mancate traduzioni in campagna elettorale e il carattere prorompente del genitore sordomuto conferiscono al film un sapore brillante e divertente. Una sottolineatura infine la merita la colonna sonora puntellata dalle canzoni interpretate dai giovani protagonisti con il brano finale (“Je vole” di Sardou), che è la dichiarazione d’amore di Paula nei confronti della vita e della sua famiglia. Nonostante un linguaggio e atteggiamenti sessuali troppo disinibiti, comunque, ne La famiglia Bélier a essere al centro dell’attenzione e protagonista degli accadimenti è la famiglia.


Letture Pro-life Antonio Socci

TRADITI, SOTTOMESSI, INVASI L’estinzione di un popolo senza figli, senza lavoro, senza futuro Rizzoli

Un affascinante viaggio nella storia d’Italia dimostra che il popolo italiano è sempre stato capace di reagire alle crisi, alle dominazioni e alle invasioni, esprimendo la sua straordinaria genialità, che ha illuminato il mondo in tutti i campi del sapere, della vita e dell’arte (anche con i suoi santi). Riscoprendo le proprie radici culturali e spirituali, assieme alla propria identità nazionale, gli Italiani sapranno ancora una volta rimediare al pericolo di estinzione, a causa del crollo demografico senza precedenti e alla crisi economica e politica ingenerata dalla sudditanza ai mercati finanziari, dalla perdita di sovranità monetaria e dallo stato sociale.

Guido Marangoni

ANNA CHE SORRIDE ALLA PIOGGIA Storia di calzini spaiati e cromosomi rubati Sperling & Kupfer

Quando la dottoressa ci convocò e senza tanti preamboli ci disse «Si tratta della trisomia 21», capii un’altra cosa: Daniela era già pronta. «È maschio o femmina?», chiese, lasciandomi a bocca aperta ancora una volta. Perché adesso sì, l’unica cosa che contava era sapere chi sarebbe arrivato nella nostra famiglia. Era Anna, la buona notizia che stavamo aspettando.

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