La spessa coltre dell'omertà - Notizie Pro Vita & Famiglia

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(AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE:BZ N6/03DELL'11/04/2003)

POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTOPOSTALE - DL353/2003 (CONV.INL27/02/2004 N. 46) ART.1 COMMA1 NE/TN

Organo informativo ufficiale dell’associazione Pro Vita & Famiglia Onlus - Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale -

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LA SPESSA COLTRE DELL’OMERTÀ

ANNO IX LUGLIO - AGOSTO 2021 RIVISTA MENSILE N. 98

p. 12

p. 19

p. 44

Francesca Romana Poleggi

Lorenza Perfori

Mirko Ciminiello

Una spessa coltre di silenzio. Intervista al professor Noia

Altro che salute delle donne!

Il suono del silenzio


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Notizie Pro Vita & Famiglia

luglio - agosto 2021

Editoriale

L’aborto è davvero un argomento tabù, di cui è vietato parlare. Ogni volta che solleviamo il dibattito (recentemente abbiamo per esempio patrocinato la stesura del primo rapporto scientifico su I costi di applicazione della legge 194) subito scatta la “risposta automatica”, di solito urlata e piuttosto violenta, che, con i soliti slogan, vieta il confronto in nome del “diritto alla salute” delle donne. Gli abortisti non si rendono conto che il nostro scopo è proprio quello di salvaguardare il diritto alla salute delle donne (oltre che - ovviamente - la vita del figlio che portano in grembo): molti sono accecati dall’ideologia, che, per accecare altri, nasconde sotto una spessa coltre di silenzio omertoso la verità. Per esempio,

Con questo numero, diamo ai nostri Lettori appuntamento a settembre e auguriamo a tutti buone vacanze

come si può affermare «il corpo è mio e me lo gestisco io»? Il bambino nel grembo della mamma non è parte del suo corpo come un rene o il fegato. Infatti l’ideologia cancella la verità sull’umanità del concepito (ricordate il numero di maggio dedicato alla piccola vittima dimenticata della “cancel culture”?); e la verità sulle implicazioni pratiche e reali che ha l’aborto per la salute fisica e psichica delle donne. In questo numero, poi, oltre ai vari spunti di riflessione e di approfondimento su questioni bioetiche, offriamo un altro racconto breve (di fantasia… ma non troppo) del nostro Mirko Ciminiello, per darvi appuntamento a settembre e augurare a tutti buone vacanze. 

Toni Brandi

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Notizie Pro Vita & Famiglia

luglio - agosto 2021

Sommario 3

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Editoriale

Uno spessa coltre di silenzio

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Lo sapevi che...

Altro che salute delle donne!

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Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Francesca Romana Poleggi

Lorenza Perfori

Abortire è un tuo diritto

Una mamma pro-life

La tragica farsa dell’ideologia gender 9

Versi per la vita Silvio Ghielmi

Graham Linehan

Conciliazione tra famiglia e professione Gianfranco Vanzini

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La cultura della vita e della famiglia in azione Mirko Ciminiello

Famiglia con figli e figli con famiglia Clemente Sparaco

Sacrifici umani Azzurra Bellini

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RIVISTA MENSILE N. 98 — Anno IX LUGLIO - AGOSTO 2021 Editore

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Pro Vita & Famiglia Onlus Sede legale: via Manzoni, 28C 00185 Roma (RM) Codice ROC 24182

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Redazione Lorenza Perfori, Alessandro Fiore, Francesca Romana Poleggi,

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Giulia Tanel Piazza Municipio 3 39040 Salorno (BZ)

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www.provitaefamiglia.it Cell. 377.4606227 Direttore responsabile Toni Brandi

A lezione di genetica: ibridi uomo-animale Giandomenico Palka

Vuoi ricevere anche tu, comodamente a casa, Notizie Pro Vita & Famiglia (11 numeri) e contribuire così a sostenere la cultura della vita e della famiglia?

Il suono del silenzio Mirko Ciminiello

Direttore editoriale

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Famiglia con figli e figli con famiglia p. 33

Tipografia

Distribuzione Caliari Legatoria

€ 20,00 studente/disoccupato € 30,00 ordinario € 60,00 sostenitore € 100,00 benefattore € 250,00 patrocinatore

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PRO VITA E FAMIGLIA ONLUS: c/c postale n. 1018409464 oppure bonifico bancario presso la Cassa Rurale Alta Vallagarina

Francesca Romana Poleggi

Hanno collaborato alla realizzazione di

In cineteca

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questo numero: Azzurra Bellini, Mirko Ciminiello, Silvio Ghielmi, Graham Linehan, Giandomenico Palka,

In biblioteca

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Lorenza Perfori, Francesca Romana Poleggi, Clemente Sparaco, Gianfranco Vanzini.

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luglio - agosto 2021

Lo sapevi che...

Sempre più allarmi sui farmaci bloccanti la pubertà L’Economist (che non è certo un giornale conservatore) lancia e ribadisce l’allarme sulla “medicina gender” e gli abusi commessi nel somministrare farmaci bloccanti la pubertà ai bambini: «Crescono i dubbi sulle terapie per i ragazzini con disforia di genere». La Finlandia, infatti, ha rivisto le sue linee guida in materia e ha affermato la priorità del trattamento psicologico. A dicembre scorso l’Alta Corte di Inghilterra e Galles ha stabilito che i minori di 16 anni non sono in grado di acconsentire in modo consapevole all’assunzione di bloccanti della pubertà; e lo scorso aprile l’Arkansas ha approvato una legge che rende illegale la prescrizione di bloccanti della pubertà e di ormoni cross-sex ai bambini. Sempre a fine aprile, inoltre, l’Astrid Lindgren Children’s Hospital di Stoccolma,

I Cristiani sono i veri discriminati A una famiglia canadese è stata negata l’adozione a causa dei valori cristiani in cui crede, inconciliabili con l’ideologia gender. L’agenzia per le adozioni Muskoka Family Connections ha scritto chiaramente a una coppia che, anche se in loro «ha visto molti punti di forza, sia individualmente che come coppia», «le [loro] opi-

nioni [sull’identità di genere] non sono in linea con i valori e gli scopi che sono parte integrante della SAFE, dell’Agenzia e del mandato del Child Welfare dell’Ontario e del Youth and Family Service Act». La coppia, cioè, a causa dei suoi valori cristiani non è in grado di provvedere «al miglior interesse, protezione e benessere dei bambini».

13,5 milioni di bambine uccise in aborti sesso-selettivi in India In India 13,5 milioni di bambine (almeno) sono state abortite per il sesso tra il 1987 e il 2016. Nonostante la legge l’abbia bandita nel 1994, è rimasta una pratica comune. I ricercatori hanno anche ammesso di aver sottovalutato la “reale

entità” delle bambine mancanti, che potrebbe superare i 22 milioni. Davanti a questi dati viene da chiedersi perché nessun movimento femminista abbia mai protestato per questa strage silenziosa.

Drag Queen che educano i bambini La “Rai” canadese, la CBC, trasmette contenuti iper-sessualizzati sulla piattaforma “CBC Kids”, incluso un documentario intitolato “Drag Kids”. Mary Margaret Olohan del Daily Caller ha pubblicato un video in cui un appariscente travestito, “Little Miss Hot Mess” (“Piccola signorina pasticcio caldo”), canta «The Hips On the Drag Queen Go Swish Swish Swish» («I fianchi del travestito fanno

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swish swish swish», sulle note di una filastrocca) a un pubblico di bambini. È stato prodotto con la società di media Wnet e, naturalmente, con il New York City Department of Education. «Essere drag queen significa essere audaci, brillare e mostrare coraggio, essere disposti a uscire dagli schemi e ballare a ritmo», dice il tipo a un pubblico che va dai tre anni in su.

facente parte del Karolinska Institute, ha annunciato che smetterà di prescrivere bloccanti della pubertà e ormoni intersessuali ai minori di 18 anni e il sistema sanitario svedese ha seguito le indicazioni del prestigioso centro di ricerca. Le autorità sanitarie svedesi hanno rilevato la scarsa qualità delle ricerche che giustificano l’uso dei medicinali bloccanti. Il National Institute for Health and Care Excellence della Gran Bretagna, invece, ha preso atto che i bloccanti della pubertà non servono a migliorare la salute mentale dei pazienti. Michael Biggs dell’Università di Oxford ha rilevato i danni sulla densità ossea provocati dai bloccanti della pubertà, che possono causare anche danni cognitivi, malattie cardiache, ictus e sterilità. La realtà comincia a farsi strada sulle ideologie, per fortuna. 

Se un professore osa chiedere se ci sono solo due sessi... Negli Stati Uniti un professore di psicologia e neuroscienze della Duke University è stato rimosso da una chat dell’American Psychological Association (Apa) per aver chiesto se ci sono solo due sessi. John Staddon faceva parte della Society for Behavioral Neuroscience and Comparative Psychology Division e ha detto che la domanda

incriminata è stata questa: «Hmm... la visione binaria del sesso è falsa? Quali sono le prove? Esiste un cromosoma Z?». Il professore è stato informato della sua rimozione da un’e-mail della presidenza dell’Apa, che ha affermato di aver ricevuto lamentele contro di lui. 

Maestri di hate speech, discorsi d’odio Luigi Carollo è un pastore protestante che ha “osato” condividere su Facebook una foto che lo ritraeva insieme a sua moglie e alla sua bambina nell’atto di mostrare la mano (così come tanti vip hanno fatto per il motivo opposto) su cui c’era la scritta “mamma”, “papà” e “no ddl Zan”. Questo ha scatenato una vera e propria gara di “hate speech” da parte di chi si riempie la bocca di slogan che inneggiano alla tolleranza. I commenti pubblici sono stati del tipo: «Ho più parolacce che parole», «Se il loro bambino sarà gay, verrà cacciato da casa… ridicoli!», «Povera bimba, spero che ve la tolgano perché non merita di cresce-

re con due esseri come voi», «Il ritardo mentale fatto carne» e anche bestemmie. Tra i commenti privati ci sono state anche delle minacce. «Poi è successo che qualcuno è entrato nel mio profilo e ha fatto in modo che venisse cancellato il post. E Facebook mi ha mandato un messaggio dicendo che avrebbero cancellato il post in quanto considerato offensivo verso le minoranze, io ho risposto con una contestazione e Facebook mi ha chiesto scusa dicendo che avevo ragione e sarebbe stato ripubblicato e così è accaduto. Questo nella pagina privata. Invece, sul mio profilo pubblico è stato tolto», ha detto il pastore.


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luglio - agosto 2021

Dillo @ Pro Vita & Famiglia

Versi per la vita DISTRAZIONE Cara Redazione, vi prego di inoltrare questa lettera ai sostenitori delle leggi (liberticide) contro l’omotransfobia. «Mi chiamo Ermete Brambilla e vivo nella periferia di Milano, nelle vicinanze di un parco dove vi è una bellissima statua. Davanti a questa statua ho sostato per ore ed ore: rappresenta una donna ad altezza naturale molto bella. Ci parlo confidandole tutte le mie pene e furtivamente, a volte, attendo che il parco sia deserto e allora la abbraccio. Insomma, mi sono innamorato di lei. I vicini se ne sono accorti e hanno cominciato a prendermi in giro per le mie esternazioni di affetto verso questa statua. La situazione è diventata insostenibile perché tutto il quartiere mi prende in giro, ridono e mi chiamano, dileggiandomi, “L’amante della statua!”. Vi chiedo per favore di inserire nella legge Zan un articolo per criminalizzare anche la “statuafobia”, così mi sentirei difeso e tutelato e non più esposto al pubblico ludibrio. Sono certo che possedete la necessaria intelligenza per comprendere la mia istanza. Grazie». Ermete Brambilla

La peste malthusiana è grande pandemia. Pontifica sovrana, eppure c’è chi nega il semplice diritto di dire che ci sia. Eppure c’è! Non è nozione vaga. Pontifica e dilaga, ma, non si sa perché, dev’essere nascosta e proprio tanto costa. Si tratta di un miliardo di vittime innocenti, ma non ci son commenti e un mondo alla malora soggetto ed infingardo tranquillamente ignora. La voce del padrone intenta a modellare la pubblica opinione gestisce il losco affare. Adesso è imperativo distogliere lo sguardo. Il Mondo progressivo lo capirà in ritardo.

SILVIO GHIELMI classe 1926, laureato in chimica a Milano,

Master alla Harvard Business School, lunga esperienza nella produzione di materie plastiche, è il meno giovane di una famiglia numerosa (85 membri). Già cofondatore e presidente di Mani Tese, nel 1978 è stato uno dei fondatori del Movimento per la Vita. Poi, insieme a Giuseppe Garrone, mons. Michel Schooyans, Mario Paolo Rocchi e Francesco Migliori [nella foto], nel 1994 ha dato avvio al Progetto Gemma, la nota “adozione prenatale a distanza”, per sottrarre all’aborto le mamme incinte in difficoltà (le donazioni arrivano specificamente e direttamente alla persona prescelta, non si tratta di una generica questua). Diffonde queste meditazioni in versi come strumento di legame con chi resiste in difesa della verità e della vita. Lui ci ringrazia per questa pagina mensile dedicata ai suoi versi pro vita: noi ringraziamo lui e siamo onorati di ospitare il suo contributo.

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luglio - agosto 2021

La cultura della vita e della famiglia in azione #AttiviamociPerIlBeneComune a cura di Mirko Ciminiello

Come di consueto presentiamo ai nostri Lettori un resoconto delle principali attività svolte dai nostri circoli territoriali. Come sempre, il nostro grazie giunga a tutti i volontari che in tutta Italia hanno reso possibile trasformare la cultura della vita e della famiglia in azione. 1° maggio - A Genova, il nostro volontario Carlo ha partecipato a un Rosario per la vita e per i bimbi non nati. 1 e 2 maggio - A Palazzago (BG), la nostra volontaria Elena ha allestito dei banchetti per la Vita e la Famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. 3 maggio - A Reggio Calabria, comunicato stampa del nostro volontario Giorgio per denunciare che la locale commissione “Pari Opportunità” è stata convocata d’urgenza per discutere del ddl Zan senza contraddittorio. La nostra volontaria Manuela ha rilasciato un’intervista su “La rivoluzione antropologica del gender”, in diretta sul sito e sulla pagina Facebook de L’informazione.info. 4 maggio - Jacopo Coghe ha partecipato su Byoblu24 a un dibattito su ddl Zan e caso Fedez. 5 maggio - La nostra volontaria Maria Teresa ha partecipato al convegno “Ddl Zan: perché opporsi”, in diretta Facebook sulla pagina di Gioventù Nazionale Provincia di Pistoia. . 6 maggio - A Roma, PVF ha firmato, assieme a circa 70 associazioni no profit, un appello ai leader dei partiti politici e dei gruppi

rappresentati in Parlamento perché venga varata urgentemente una legge contro l’utero in affitto e lo sfruttamento della maternità, e a tutela dei minori; sempre a Roma, si è tenuta una nuova edizione del progetto “Un Dono per la Vita”, con cui PVF consegna passeggini, culle, pannolini, ciucci e biberon a famiglie e mamme che stanno affrontando o hanno affrontato una gravidanza e che versano in difficoltà, non solo economiche. 7 maggio - È iniziata la campagna fatta di camion vela, banchetti, eventi e annunci sui giornali contro il ddl Zan a Milano, e in tutta Italia. Jacopo Coghe ha partecipato via Zoom all’approfondimento “La dittatura ideologica del ddl Zan”, organizzato da Radio Notting Hill e Community for Young, e alla diretta Facebook del Coordinamento Provinciale di Fratelli d’Italia di Pescara, per la rubrica settimanale “Facciamoci a Capire”, grazie alla nostra volontaria Carola. 8 maggio - A Pontedera (PI), in occasione della Festa della Mamma, la nostra volontaria Donatella ha organizzato un banchetto con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni; a Pescia (PT), fa altrettanto la nostra volontaria Maria Teresa con il Cav locale; a Genova, il nostro volontario Carlo ha partecipato a una veglia di preghiera per la vita davanti a un ospedale.

8 e 9 maggio - A Fidenza (PR) e Soragna (PR), in occasione della Festa della Mamma, il banchetto è stato organizzato dal nostro volontario Domenico; a Roma da Barbara. 9 maggio - Maria Rachele Ruiu ha partecipato, su Radio Maria, alla rubrica sulla scuola a cura di suor Anna Monia Alfieri, con oggetto “Il Diritto di Apprendere”. A Prato, Paperino (PO), Dicomano (FI), San Godenzo (FI), Siena, Staggia Senese (SI) e Badesse (SI), in occasione della Festa della Mamma, i nostri volontari Tamara, Gloria, Roberto, Marcella e Giovanna distribuiscono i volantini e le locandine approntati da PVF; a Palermo, Trapani, Caltanissetta, San Cataldo (CL), Scicli (RG), Modica (RG), Sciacca (AG), Ribera (AG), Marsala (TP), Alcamo (TP), Mazara del Vallo (TP), Salemi (TP), Castelvetrano (TP), Castellammare del Golfo (TP), Custonaci (TP), Paceco (TP), Campobello (TP), Valderice (TP), Partanna (TP), San Vito Lo Capo (TP), la cosa è stata organizzata dal nostro volontario padre Bruno. A Scicli (RG), la nostra volontaria Maria ha avviato un’iniziativa di distribuzione di pacchiaiuto con prodotti di prima necessità per bambini e materiale di PVF, destinata a durare per tutto il mese di maggio. 11 maggio - Jacopo Coghe ha partecipato alla puntata di DiMartedì, su La7, con focus sul ddl Zan. 12 maggio - A Reggio Calabria, i volontari del Circolo locale sono intervenuti in Commissione Pari Opportunità del Comune di Reggio Calabria sul ddl Zan. 15 maggio - A Milano, PVF ha co-organizzato la grande manifestazione di piazza #restiamoliberi contro il ddl Zan sull’omotransfobia; a Castelfranco Veneto (TV), la nostra volontaria Katiuscia ha allestito un banchetto per la Vita e la Famiglia, con distribuzione di materiale e raccolta firme per varie petizioni. 17 maggio - Francesca Romana Poleggi ha partecipato all’incontro su Google meet organizzato dal Cenacolo Culturale “Leggiamo insieme la proposta di legge Zan”. 17 maggio - A Roma, PVF (tramite il suo braccio

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operativo nella scuola, Generazione Famiglia) e Articolo 26 ha firmato un comunicato stampa congiunto per denunciare l’imposizione di linee guida gender per le scuole pubbliche della Regione Lazio, poi ritirate dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio. 18 maggio - A Bergamo, i volontari del locale Circolo territoriale hanno firmato un comunicato stampa per stigmatizzare la concessione, da parte del Comune, di una panchina arcobaleno al Bergamo Pride; Maria Rachele Ruiu ha organizzato una diretta Facebook sulla pagina di PVF per analizzare il caso delle linee guida gender nel Lazio insieme a Elisabetta Mazzeschi, di Articolo 26. 19 maggio - Jacopo Coghe ha partecipato al dibattito “Ddl Zan: lotta alla discriminazione o reato di opinione?”, in diretta streaming sulla pagina Facebook di The Freak a Palermo, patrocinio e logo di PVF all’evento “Ddl Zan. Soluzione o trappola?”, trasmesso online sul canale YouTube di Christians for Italy. 20 maggio - Francesca Romana Poleggi è intervenuta su Radio Buon Consiglio sul tema del ddl Zan. 21 maggio - A Genova, il nostro volontario Carlo ha partecipato a un’Adorazione eucaristica meditata per la Vita e la Famiglia. 22 maggio - A Roma, PVF ha partecipato all’annuale Marcia per la Vita, quest’anno in forma statica a causa della normativa anti-Covid. 22 maggio - Francesca Romana Poleggi ha partecipato via Zoom al webinar “La bioetica al tempo della pandemia”, organizzato dalla Società Italiana per la Bioetica e i Comitati Etici. Altri relatori: il prof. Francesco Bellino, Presidente della SIBCE; il prof. Filippo Maria Boscia, Presidente onorario della SIBCE; la prof.ssa Benedetta Saponaro, vice Presidente della SIBCE. Moderatore il dott. Giuseppe Battimelli, vice Presidente della SIBCE. Intanto, a Fiumicino, è stato allestito un banchetto per il volantinaggio contro la pdl Zan dai giovani della Lega e di Fratelli d’Italia.


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Una spessa coltre di silenzio Francesca Romana Poleggi

Il professor Giuseppe Noia è ben noto ai nostri Lettori: direttore dell’Hospice perinatale Centro per le Cure Palliative Prenatali “Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico Gemelli; docente di medicina età prenatale all’Università Cattolica del Sacro Cuore; presidente dell’Associazione italiana ginecologi e ostetrici cattolici (Aigoc) e della Fondazione “Il Cuore in una goccia” (www.ilcuoreinunagoccia.org/). Con lui abbiamo dialogato a proposito della grande coltre di silenzio omertoso che l’ideologia dominante politicamente corretta ha calato da decenni sull’aborto e sulle questioni ad esso connesse, soprattutto quelle relative all’umanità del concepito e alla salute delle donne. Una coltre che siamo ben decisi a sollevare. Professor Noia, grazie ai suoi scritti, con cui ha contribuito alla stesura del numero speciale di questa rivista sulla Ru486 (dicembre 2020) e al rapporto su I costi dell’applicazione della l. 194/78, abbiamo avuto modo di capire bene quali sono le possibili conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto. Possiamo riassumere molto in breve le principali? «Quanto alle conseguenze fisiche a breve termine, le infezioni, le emorragie, le complicazioni legate all’anestesia, i traumi del canale cervicale, le perforazioni dell’utero sono le più frequenti complicazioni derivanti dall’aborto chirurgico; per l’aborto farmacologico, invece, le complicazioni più frequenti sono l’aborto incompleto, con conseguente necessità di revisione della cavità uterina, le emorragie e le infezioni. Da sottolineare che l’aborto farmacologico è mediamente quattro volte più rischioso dell’aborto chirurgico. Nel lungo termine la donna che ha abortito volontariamente va incontro a complicazioni

in eventuali gravidanze successive con aumento del rischio di parti pretermine e molto pretermine, placenta previa e, come conseguenza di quest’ultima, corre anche il rischio di un’isterectomia post-partum. Inoltre, c’è un aumento del rischio di infertilità e, per quanto riguarda il rischio di neoplasie mammarie, la particolare recettività istologica delle cellule della ghiandola mammaria fino a 32 settimane, favorirebbe, con l’interruzione prima di quest’epoca gestazionale, una aumentata propensione verso l’evoluzione neoplastica. In più, ci sono i problemi psichici e relazionali derivanti dall’aborto indotto come per esempio l’abuso di farmaci, alcol o droghe; fenomeni depressivi come pool di manifestazioni della sindrome post abortiva alla base della quale c’è spesso la negazione del lutto. Inoltre, la letteratura riferisce anche disturbi del sonno, sviluppo di patologie psichiatriche, fino al suicidio. Come abbiamo evidenziato anche nel rapporto su I costi di applicazione della legge 194 recentemente pubblicato, l’aborto

può sconvolgere tutte le relazioni di una donna: la negazione del lutto, in particolare, può determinare difficoltà nel formare e mantenere futuri rapporti e legami. Ne risentono, purtroppo, anche i rapporti con gli altri figli, soprattutto con quelli nati dopo un aborto. Molto spesso dietro a tragiche storie di abusi e di violenze domestiche sui bambini si nasconde un aborto volontario “dimenticato”. Anche altri soggetti coinvolti indirettamente dall’aborto, come i fratelli del bambino abortito, i nonni e il personale sanitario subiscono conseguenze psicologiche. Anche i partners maschili possono esserne feriti, sia nel caso che siano stati favorevoli all’interruzione, sia quando avrebbero voluto il loro bambino: ma la legge, in Italia

Il 24 maggio scorso, a Roma, nella sala Giubileo dell’Università Lumsa, è stato presentato il primo rapporto su I costi di applicazione della legge 194 del 1978. Al tavolo dei relatori, oltre al prof. Noia, Benedetto Rocchi, professore di economia dell’Università di Firenze; Filippo Maria Boscia, già Direttore della Cattedra di Fisiopatologia della riproduzione umana all’Università di Bari e del Dipartimento materno-infantile dell’Asl di Bari, consulente di ostetricia e ginecologia presso l’Ospedale S. Maria - Gmv di Bari, presidente nazionale dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci) e presidente onorario della Sibce (Società italiana di bioetica e comitati etici); Francesca Romana Poleggi, direttore editoriale di questa Rivista; e Stefano Martinolli, dirigente medico presso la Clinica Chirurgica della Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina a Trieste

Ho avuto a che fare con migliaia di donne e di coppie che, accanto a una sofferenza psicologica di perdita del figlio, mostravano un’addizionale sofferenza psicologica da mancata informazione: «Se avessimo saputo quello a cui andavamo incontro, probabilmente non avremmo scelto di abortire»

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come nella maggior parte dei Paesi dove l’aborto è consentito, nega loro qualsiasi diritto alla paternità. Tutto questo quadro di problematiche psicologiche richiama la Sindrome da stress post traumatico (Sspt), ovvero quella che colpisce i reduci che hanno passato del tempo in prima linea ad uccidere». È calata da decenni una spessa coltre di silenzio sul disagio individuale e familiare causato dall’aborto volontario e dalle sue conseguenze. «È vero. Sembra che queste problematiche reali siano un argomento tabù e di cui non si può parlare. Personalmente, ho declinato in migliaia di consulenze il disagio individuale e familiare di tantissime coppie che hanno avuto un’esperienza drammatica di aborto volontario. Quello che emergeva dalla loro storia, non solo era l’incapacità di aprirsi alla vita e il desiderio di superare questa difficoltà ma, soprattutto, l’esperienza di non aver avuto una informazione esaustiva sul piano scientifico ed umano della scelta che erano andati ad affrontare. È indubbio che accanto a una sofferenza psicologica di perdita del figlio mostravano un’addizionale sofferenza psicologica da mancata informazione: «Se avessimo saputo quello a cui andavamo incontro, probabilmente non avremmo scelto di abortire».

Non sapremo mai in quanti casi l’aborto è stato davvero spontaneo e non indotto dall’assunzione di Cytotec o altre sostanze analoghe alla RU-486 reperite autonomamente dalla donna o dall’adolescente interessata

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P R OV I TA E FA M I G L I A . I T

Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) sull’incoerenza del pensiero abortista e sull’umanità del concepito. Questa grafica costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge.

Ne abbiamo parlato spesso e in particolare nel numero del maggio scorso: il bambino nel grembo è una persona umana fin dal momento del concepimento. Ma anche di questa verità è vietato parlare...

Mi chiedo perché si debba continuare a negare alle donne una corretta informazione su queste cose. La necessità di informazione completa veritiera e trasparente è prioritaria e prescinde dal dibattito pro o contro l’aborto. La più grande contraddizione di coloro che propongono l’interruzione volontaria è quella di dire che l’aborto legale è un diritto di libertà delle donne teso alla tutela della loro “salute riproduttiva”. Ma senza l’informazione completa su cosa è l’aborto e su quali rischi comporta, come si può esercitare una libera scelta? Come si fa a tutelare la salute senza informare sulle possibili conseguenze sulla salute che ha una certa “scelta”?». Ci pare anche di aver capito che la coltre di silenzio su questi temi è stata stesa non solo dai media, ma anche da buona parte della comunità scientifica. Abbiamo capito bene? «In effetti, se consideriamo le relazioni ministeriali, si evince molto bene che sono lacunose e non consentono un’analisi completa delle conseguenze dell’aborto. Lo stesso ministero richiama le regioni e le strutture sanitarie affinché siano più puntuali e complete nella raccolta e trasmissione dati (ancora nel 2018 i dati di Lombardia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia erano incompleti). L’Istituto superiore della sanità, dal suo canto "ritiene che non sempre a questo flusso dati venga prestata la giusta attenzione a livello locale e che ci siano margini di miglioramento per garantire la completezza delle informazioni e il rispetto della tempistica", dice la stessa Relazione del 2018 a p.12. L’Aigoc (Associazione italiana ginecologi e ostetrici cattolici) in un comunicato stampa del 4 giugno 2020 ha lamentato che “... nel 2020 una scheda D12/Istat o una SDO [scheda dimissioni ospedaliera, n.d.R.] possano

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PRENDERESTI MAI DEL VELENO?

1994 e del 35% rispetto al 1985, con punte del 67% tra le giovanissime (15-19 anni). Per le donne straniere la percentuale è aumentata dal 5% (1998) a oltre il 17% (2008)”. Va aggiunto che l’incidenza dell’aborto spontaneo nel primo trimestre è circa del 20% delle gravidanze. Non sapremo mai, però, in quanti di questi casi l’aborto è stato davvero spontaneo e non indotto dall’assunzione di Cytotec o altre sostanze analoghe alla Ru486 reperite autonomamente dalla donna o dall’adolescente interessata.

STOP ALLA PILLOLA ABORTIVA RU486: mette a rischio la salute e la vita della donna e uccide il figlio nel grembo.

Per quanto riguarda i tassi di abortività per grandi raggruppamenti di cittadinanza, l’anamnesi ostetrica, gli aborti precedenti e persino l’epoca gestazionale in cui avviene l’aborto oltre le 12 settimane, il Ministero della salute (2020) a p. 43 riporta: “Alcune regioni hanno anche riferito un numero elevato di casi con informazione non rilevata per questa variabile: Sardegna (18,5%), Puglia (16,3%), Basilicata (15,0%) e Liguria (8.8%)”».

#dallapartedelledonne

E in merito all’aborto farmacologico, si rileva anche qui un deficit informativo? Campagna di sensibilizzazione promossa da Pro Vita & Famiglia Onlus per la tutela del diritto fondamentale alla vita (art. 2 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.) sui rischi della somministrazione della pillola RU486. Questa affissione costituisce espressione del diritto alla manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) finalizzata a suscitare un dibattito plurale e la riflessione critica. Non è idonea a ledere diritti e libertà positivamente previsti dalla legge. foto © photo-fitness - stock.adobe.com

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essere chiuse ed inviate incomplete, cioè con caselle importanti quali la data di nascita, l’epoca gestazionale, il tipo di complicazione, … e che in 18 mesi i funzionari addetti al controllo di queste schede non sentano il dovere morale di chiedere al responsabile del reparto ed al compilatore delle schede i dati mancanti prima di offrirli per una relazione ministeriale. È ora che il ministro non si limiti a fare inviti ad essere più precisi ma prenda i provvedimenti necessari per evitare che nella prossima relazione sia ancora presente la voce ‘non rilevato’”. La Relazione del Ministero del 2018 relativa alla legge 194, a p. 8, ammette che “l’analisi dell’attività dei consultori familiari per l’Ivg nell’anno 2018 è stata effettuata in base ai dati raccolti per il 79%”; e per quanto riguarda i controlli dopo l’aborto «il colloquio post Ivg

viene registrato, in molti consultori, nei flussi informativi come generica visita di controllo e quindi alcune regioni hanno fornito un dato parziale». Mancano dati circa l’aborto delle minorenni. Tuttavia, come pubblicato nel nostro rapporto su I costi di applicazione della legge 194/1978, “l’Italia è uno dei pochi Paesi dove, con un’indagine annuale dell’Istat, viene sistematicamente rilevato il numero degli aborti spontanei, sebbene con riferimento ai soli aborti che hanno dato luogo ad un ricovero ospedaliero. Nel 2008 i dati Istat registravano 76.799 aborti spontanei (circa 74.000 nel 2012, 61.580 nel 2106) ossia il 1011% (tasso di abortività spontanea) del totale delle gravidanze (inteso come somma dei nati, degli aborti spontanei e degli aborti procurati). Tale dato è cresciuto del 22% rispetto al

«Per quanto riguarda l’aborto farmacologico, il rapporto del Ministero della salute intitolato “Interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine - anni 2010 2011” ammette che su 8.181 donne che in quei due anni hanno assunto la Ru486, nel 31,6% (2.590 donne) non si conosceva la durata della degenza. E nelle conclusioni viene riportato: “In alcuni casi è stato difficile risalire alle informazioni e per alcune variabili la percentuale di dati non noti è abbastanza elevata e variabile da regione a regione”. Le relazioni ministeriali, poi, parlano delle

“complicanze immediate dell’IVG”: ma non c’è alcun cenno alle complicazioni rilevate nel medio-lungo termine e c’è da notare la vaghezza della voce ‘altro’ rispetto ad infezioni ed emorragie. Il Sistema di sorveglianza sull’aborto, inoltre, “raccoglie solo le complicanze rilevate durante il ricovero”. Viene quindi da chiedersi: “E le complicanze manifestatesi al di fuori del regime di ricovero?”. Quanto alla “Interruzione volontaria di gravidanza con Mifepristone e prostaglandine - anni 2010 - 2011”, dal rapporto del Ministero sopra citato, risulta che per 2.666 donne (32,59% dei casi) presentatesi al controllo per complicazioni non viene riportata la patologia riscontrata. Alla luce di questi dati è quanto mai verosimile che medici e strutture sanitarie curino donne le quali presentano problemi fisici o psichici derivanti da un aborto volontario senza averne o darne contezza. Il fenomeno dei dati non riportati rispetto alle complicanze derivanti dall’aborto è diffuso su larga scala a livello internazionale». Nella sua esperienza ha vissuto dei pregiudizi di altri colleghi dettati da una pseudo conflittualità tra le evidenze scientifiche e le convinzioni personali? «Sì l’ho vissuto in diverse situazioni ed esperienze. In particolare, nel primo congresso mondiale della Sieog (Società Italiana di Ecografia Ostetrica e Ginecologica e Metodologie Biofisiche) tenutosi a Londra nel 1990, presentai i miei dati su 57 casi di bambini con idrocefalia da lieve a severa, evidenziando che la scelta dei genitori di

Le numerose conseguenze fisiche e psichiche dell’aborto volontario che possono essere anche gravi e che si manifestano sia a breve che a lungo termine sono ignorate dal pensiero unico, politicamente corretto, dominato dall’ideologia abortista

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Non è possibile parlare delle conseguenze fisiche e psichiche che ha l’aborto per la donna. Si viene tacitati ed emarginati proprio da quelli che dicono di voler tutelare la salute delle donne continuare la gravidanza aveva permesso di studiare la storia naturale di questa grave malformazione. Il lungo follow up dei bambini nati (media 9 anni) evidenziava che nel 72% dei casi l’anomalia strutturale corretta chirurgicamente dopo la nascita aveva un

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buon outcome neurocognitivo e psicomotorio. Tale percentuale fu fortemente contestata da ben 7 colleghi europei facendo una commistione dei dati scientifici riportati con la mia appartenenza all’Università Cattolica e invocando per questi bambini l’interruzione di gravidanza immediata dopo la diagnosi per l’alto costo personale, familiare e sociale. Mi stavo accingendo a rispondere quando il chairman della sessione prese la parola: “Cari colleghi il problema non è essere cattolici o meno ma è la metodologia scientifica che Noia ha usato sulla quale ci dobbiamo confrontare. Avete 57 casi con storia naturale di idrocefalia seguita dalla fase prenatale fino a nove anni e che riportano dati clinici diversi da quelli che ha esposto lui? Se questi dati voi non li possedete, non abbiamo la possibilità di fare un confronto sul piano scientifico: ‘Prima di strapparvi le vesti del pregiudizio, strappatevi le vesti della razionalità e dell’intelligenza’”».

Altro che salute delle donne! Lorenza Perfori

Da qualche settimana abbiamo il piacere di avere in Redazione una new entry: Lorenza Perfori. È nostra amica e condivide le nostre battaglie da anni. Probabilmente i Lettori conosceranno il suo prezioso libretto Per la salute delle donne, che - tra l’altro - è stato recentemente aggiornato. Ora collabora con noi in pianta stabile. E oggi ci spiega come si è addivenuti alla legalizzazione della Ru486 negli Stati Uniti (che poi sono stati imitati da tutti i Paesi abortisti) L’evoluzione dell’aborto da chirurgico a medico ci offre l’ennesima conferma del fatto che la tutela della salute della donna è servita solo come slogan per legalizzare l’aborto. Significativa al riguardo è la sintesi storica che ne fa il dott. Randall O’Bannon dell’organizzazione prolife National Right to Life Committee. Sotto la pressione dell’amministrazione uscente Clinton, il 28 settembre 2000 la Food and Drug Administration (FDA) approva la vendita negli Stati Uniti del farmaco abortivo mifepristone, aprendo la porta all’aborto chimico tramite la cosiddetta pillola Ru-486, con la motivazione ufficiale secondo la quale alle donne americane serviva una procedura per abortire più moderna e sicura. In realtà, il vero obiettivo era quello di rilanciare ed espandere ancora di più l’aborto il quale, negli ultimi anni, stava dando segnali di declino. Infatti, sebbene ogni anno più di un milione di donne americane accedevano all’aborto chirurgico, nelle cliniche gestite da “fornitori” privati come Planned Parenthood il numero degli aborti diminuiva, diverse cliniche erano costrette a chiudere e sempre più medici abortisti abbandonavano l’attività. Evidentemente - osserva O’Bannon - le donne non erano soddisfatte del “prodotto” offerto

loro: trovavano gli aborti chirurgici freddi, meccanici, sgradevoli; non amavano i ferri taglienti, il raschiamento e le pompe aspiranti che violavano i loro corpi, mentre sdraiate nude sul lettino operatorio, squarciavano e risucchiavano via la vita dal loro ventre. E forse anche i medici abortisti non ne potevano più di fare gli esecutori materiali e di violare sistematicamente il principio dell’etica medica che recita «primo, non nuocere» e la peculiare missione di custodire «la mia vita e la mia arte con innocenza e purezza», come recita il Giuramento di Ippocrate. Il mifepristone avrebbe ovviato a tutti questi problemi: i medici non avrebbero più fatto gli esecutori materiali, ma si sarebbero limitati a prescrivere i farmaci abortivi; nuove “clienti” sarebbero state reclutate ovunque e invogliate a scegliere il nuovo “prodotto” grazie alla possibilità di promuoverlo come un metodo più semplice, comodo, discreto e ugualmente sicuro. Ma già dai primi test sulla somministrazione dell’Ru486 si capì che l’aborto chimico non sarebbe stato né facile, né sicuro. Nonostante tutte le rassicurazioni, ogni aborto chimico “riuscito” comportava dolori molto forti e sanguinamenti prolungati nel tempo rispetto a quanto avveniva solitamente

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Per approfondire: Randall O’Bannon PH.D., Abortion Pill Has Killed Dozens of Women and Hospitalized Thousands, Where are the Feminists?, www.lifenews.com con l’aborto chirurgico. I dolori e i crampi erano intensi, tanto da richiedere spesso l’assunzione di analgesici o di oppioidi, e gli episodi di nausea e/o vomito non erano rari. L’emorragia era copiosa, spesso durava diversi giorni o addirittura settimane, ma tutti questi orribili effetti collaterali venivano taciuti. Come venivano taciuti i numeri delle donne ospedalizzate, di quelle che avevano avuto bisogno di trasfusioni di sangue e le oltre due dozzine di morti avvenute a causa di problemi come gravidanze ectopiche non diagnosticate, infezioni batteriche o dissanguamento. I promotori dell’aborto chimico (successivamente chiamato con l’espressione più rassicurante di aborto farmacologico o medico), insieme alla Fda, avevano visto i segnali di questi rischi già durante le sperimentazioni del farmaco, ma sono andati avanti lo stesso: la salute e la sicurezza delle donne non avrebbero ostacolato la causa pro-aborto di ampliarne l’accesso. Così, nonostante l’approvazione definitiva e il permesso di continuare a utilizzarlo anche dopo che le morti e i rischi erano venuti a galla, i sostenitori della pillola abortiva hanno alzato ulteriormente il tiro: grazie a un altro democratico alla Casa Bianca favorevole alla loro agenda, hanno fatto pressioni su Fda per allentare le già limitate restrizioni per l’uso dell’Ru486. Cedendo alle pressioni, la Fda ha abbassato i dosaggi dei farmaci per rendere gli aborti medici più economici, ha ridotto il numero

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di visite previste in clinica durante le quali la salute delle donne poteva essere monitorata e ha esteso l’assunzione dell’Ru-486 a gravidanza più avanzata. E lo ha fatto pur sapendo che tutto questo avrebbe significato per le donne un’efficacia ridotta, un’assistenza sanitaria più carente, complicazioni e rischi maggiori. Dopo il raggiungimento di questi traguardi, i sostenitori dell’aborto medico hanno rivelato infine le loro vere intenzioni: bypassare del tutto le cliniche abortive e permettere alle donne di ordinare le pillole online assumendole da sole a casa senza mai vedere un medico di persona. Hanno iniziato a parlare di aborto faida-te tramite telemedicina, grazie alla quale la donna può ottenere l’aborto tramite pc o smartphone, ricevere i farmaci per posta e abortire da sola nella propria abitazione. Questo permette ai fornitori dell’aborto di vendere il proprio “prodotto” ovunque, anche dove non vi siano medici abortisti e cliniche per l’aborto, poiché i farmaci saranno prescritti da dottori di livello inferiore. Ma questo significa per le donne ancora più rischi di quelli già più elevati (rispetto al metodo chirurgico) presenti

anche quando l’Ru486 è somministrata in ospedale sotto stretta supervisione medica. Con la telemedicina l’aborto viene rispedito nel privato, la donna torna a essere esecutrice del proprio aborto, è lasciata sola a gestirne gli effetti collaterali (dolore, nausea, vomito, sanguinamento persistente, vista del figlio abortito), è esposta a rischi potenzialmente mortali (rottura da gravidanza ectopica, emorragia massiva, infezione a causa di residui rimasti in utero) e senza la possibilità di ricevere cure adeguate e tempestive. Alla fine il cerchio si è chiuso e il disegno pro-aborto è stato pienamente svelato: non la tutela della salute della donna dagli aborti fai-da-te insicuri e pericolosi, come recitavano quarant’anni fa gli slogan pro legalizzazione, ma sempre più aborti per più donne in più luoghi che mai: aborti privati, fai-da-te, insicuri e pericolosi. Le femministe che hanno voluto la legalizzazione per far uscire l’aborto dal privato e per tutelare la salute delle donne, non hanno niente da dire?

Con la Ru486 il cerchio si è chiuso e il disegno pro-aborto è stato pienamente svelato: non la tutela della salute della donna dagli aborti fai-da-te insicuri e pericolosi, come recitavano quarant’anni fa gli slogan pro legalizzazione, ma sempre più aborti per più donne e in più luoghi che mai: aborti privati, fai-da-te, insicuri e pericolosi

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Abortire è tuo diritto Una mamma pro-life, alla seconda gravidanza, ha inviato in Redazione questa sua testimonianza, che mette bene in luce quanto venga nascosto alle donne rispetto alle conseguenze, fisiche e psicologiche, dell’avere un aborto L’aborto è un diritto, oramai il pensiero comune è allineato rispetto a questa affermazione. Ed è altrettanto allineato nel nascondere, o talvolta finanche negare, che l’aborto non è una scelta priva di conseguenze: non si parla mai delle sorti del bambino, in primis, alla luce del fatto che per i fautori della “libera autodeterminazione della donna” quella personcina nel grembo materno non è altro che un “grumo di cellule”; ma non si parla neanche mai delle conseguenze fisiche e psicologiche che l’aborto ha sulla donna, generando con questo un cortocircuito che le femministe e i loro sodali, omertosamente, non si sono ancora degnati di rilevare. Quanto affermato fino a qui è frutto, oltre che di una convinta militanza in difesa della vita, anche della mia esperienza personale. Quando aspettavo la mia prima figlia, nel 2018, io e mio marito incontrammo un’ostetrica del consultorio della nostra città. Per noi era tutto nuovo e navigavamo in un misto di gioia per la novità e di timore per la gravidanza, il parto e… il futuro a tre! Ebbene, al primo colloquio con l’ostetrica, sarò stata a 6-7 settimane di gestazione (non avevo ancora neanche fatto la prima ecografica), ecco che mentre ci illustrava tutte le possibili malformazioni e malattie che avrebbe potuto avere il bambino, inserisce una lunga

parentesi sull’aborto. Al che noi la stoppiamo, concordi e decisi: «Guardi, non è un’ipotesi che intendiamo prendere in considerazione, non serve che ci spieghi». E lei, in risposta: «Io sono tenuta a informarvi». Il discorso si è chiuso lì, ma a posteriori è evidente come il messaggio fosse incentrato sul “diritto” di abortire e omettesse completamente invece tutta la parte relativa ai danni, immediati e duraturi, che l’aborto porta con sé. Ora sono alla seconda gravidanza. Per scelta mi sto facendo seguire da un ginecologo privato: un anziano ex primario di neonatologia, molto competente, ma soprattutto a favore della vita. Parlando dell’aborto, nel corso di una recente visita, mi ha detto una frase che suonava più o meno così: «Mi fa specie pensare che anche i nostri genitori avrebbero potuto fare calcoli su noi: se andavamo loro bene, potevamo nascere, altrimenti no». Come dargli torto? In fondo, la maggior parte dei bambini che arrivano a vedere la luce del sole oggi in Italia, considerato il dilagare della mentalità abortista, possono a ragione considerarsi dei privilegiati, dei prescelti: andavano bene, quindi la scure eugenista non si è abbattuta sul loro capo. Ma torniamo al mio saggio ginecologo. Attorno alla decima settimana mi ha informato

della possibilità di eseguire il cosiddetto “bi-test” o “test combinato”, un esame non invasivo che si esegue tra la 11esima e la 13esima settimana per valutare il rischio che il nascituro sia portatore di sindromi cromosomiche, specialmente la sindrome di Down. Le tempistiche non sono date a caso, ma rispondono a una logica per cui, se il risultato fosse “infausto” (ovviamente il fatto che si tratti di un esame dal risultato fallibile poco conta per i novelli selezionatori della “razza pura”), si ha il tempo di ricorrere all’aborto. Con il mio ginecologo ci siamo trovati sulla stessa linea di pensiero nel

commentare questa che, oggettivamente, è una possibilità che ci ha regalato il progresso scientifico: è in sé un esame “neutro”, ma che purtroppo viene spesso utilizzato per fini sbagliati, eugenetici appunto, anziché per favorire una indagine volta, nel caso ve ne fosse bisogno, ad attuare interventi precoci, talvolta anche in utero, o ad approntare un piano di cure, oppure anche solo a consentire ai futuri genitori di avere davanti dei mesi per prepararsi ad amare al meglio anche quel figlio non “perfetto”, almeno secondo i canoni mondani. Una mamma pro-life

Nessuno parla mai delle sorti del bambino (un “grumo di cellule”), né si parla mai delle conseguenze fisiche e psicologiche che l’aborto ha sulla donna, generando così un cortocircuito che le femministe e i loro sodali, omertosamente, non si sono ancora degnati di rilevare

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La tragica farsa dell’ideologia gender

Assistiamo alla distruzione dei principi della democrazia, che ha portato al silenziamento di chiunque metta in dubbio l’ortodossia della moda ideologica dell’identità di genere

Graham Linehan

Graham Linehan è un irlandese, noto scrittore per la Tv, che è rimasto vittima della censura politicamente corretta dell’ideologia gender e delle leggi vigenti all’estero, analoghe a quella proposta da Alessandro Zan. Ateo dichiarato, certamente non può essere accusato di essere prolife, né “di destra”. Dopo essere stato bannato a tempo indeterminato da Twitter, ha esposto le sue ragioni davanti al “Comitato per le comunicazioni e il digitale” della House of Lords. Riportiamo ampi stralci del suo intervento pubblicato sul suo blog, in una traduzione con adattamenti a cura della Redazione, non rivista dall’autore «Il mio nome è Graham Linehan, sono uno scrittore. Ho scritto diverse cose comiche, ma oggi vorrei essere preso sul serio perché credo che la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Da anni vedo che le femministe vengono bullizzate, molestate e messe a tacere sui social quando difendono i loro diritti e i diritti dei loro figli. Ho deciso allora di utilizzare Twitter per attirare l’attenzione su quello che sembrava essere un assalto a tutto campo alle donne, alle loro parole, alla loro dignità e alla loro sicurezza. Ho visto anche minorenni vulnerabili indirizzati velocemente e superficialmente a un percorso medico che porta gravi conseguenze a lungo termine. La mia posizione, dunque, è molto semplice: credo che a tutti dovrebbe essere consentito di parlare di questi problemi. Credo che sia un imperativo morale farlo. Sto parlando di questioni come gli scandali che hanno coinvolto il Tavistock Centre [il centro per il “cambiamento” del sesso dei minori, nel Regno Unito, che procede alla somministrazione di ormoni e bloccanti la pubertà in modo dissennato e ideologico, n.d.T.], i consigli confusi e fuorvianti che Stonewall [organizzazione

portavoce delle lobby Lgbtqia+, n.d.T.] ha fornito alle istituzioni di tutto il Regno Unito riguardo alla legge sull’uguaglianza, la questione dei maschi negli sport femminili, nelle prigioni, e nei rifugi per le donne; la distruzione dei principi della democrazia che ha portato al silenziamento di femministe, medici, insegnanti, accademici e scrittori: di chiunque, cioè, metta in dubbio l’ortodossia della moda ideologica dell’identità di genere. Io stesso sono stato oggetto di molestie, azioni legali vessatorie, perquisizioni della polizia. I giornali hanno pubblicato articoli che travisano le mie posizioni, mi sono arrivate lettere minatorie consegnate a mano, e anche mia moglie ha subito minacce. Si è tentato di tutto e di più per zittirmi e impedire alle persone di ascoltare le ragionevoli paure che molte donne hanno sull’impatto di questa ideologia. Ho anche perso il lavoro e il mio matrimonio è stato sottoposto a una tensione così grave che alla fine io e mia moglie ci siamo separati. Preferirei scrivere una farsa piuttosto che viverla. Qui si gioca la salute e la felicità dei bambini

Graham Linehan

sulla base di un’ideologia che non ha senso, ma è promossa con zelo ossessivo da attivisti misogini sulle piattaforme informatiche che danno loro potere proprio come privano di potere le donne di cui essi abusano. Ma non sono solo i social o i loro utenti a impedire un confronto aperto su queste questioni. Circa tre anni fa, ero tra i primi firmatari di una lettera a Stonewall in cui si chiedeva di contribuire a ridurre la tossicità del dibattito su sesso e genere e di riconoscere la pluralità di opinioni sull’argomento. La lettera era stata scritta da Jonny Best, un uomo gay, attivista Lgbt di lunga data, e la maggior parte dei firmatari erano gay, lesbiche o trans. Chiedevamo che le donne finissero di ricevere minacce di morte e stupro per aver difeso i loro diritti basati sul sesso. A tal fine, abbiamo chiesto a Stonewall di impegnarsi a promuovere un’atmosfera di dibattito rispettoso, piuttosto che demonizzare come transfobici coloro che desideravano discutere o dissentire. Stonewall ha rifiutato categoricamente questo invito al dialogo e alla pacificazione. Il caso di J.K. Rowling, la creatrice di Harry Potter, è emblematico: il portale Pink News, in parte finanziato da Google, ha pubblicato 42 articoli contro di lei in una sola settimana, sei al giorno. Ma ci sono altre migliaia di donne, vittime di bullismo, calunnie e molestie costrette al silenzio. Queste donne non sono famose e quindi sono ancora più vulnerabili alle campagne diffamatorie e alle molestie di quanto

Joanne Kathleen Rowling

lo siamo io o J.K. Rowling. Sappiamo bene che la Rowling non ha detto nulla di transfobico. Come sopravvissuta ad abusi domestici, ha scritto in modo commovente sull’importanza degli spazi protetti per donne e bambini vulnerabili, si è lamentata della cancellazione della parola “donna” in molti settori della vita civile e ha sottolineato, correttamente, che stiamo vivendo il periodo più misogino che abbiamo mai vissuto. Non abbiamo prove della sua presunta

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Un mondo nel quale affermazioni come «Gli uomini non sono donne» sono incitamento all’odio, è un mondo sull’orlo del caos

Keira Bell ha vinto la causa contro il Tavistock Centre, nel Regno Unito, che le ha fatto “cambiare” sesso. Ora sta ”detransizionando” e si rende conto del danno grave, e per molti versi irreparabile, che ha fatto a se stessa. Come tutti i detransitioner denuncia il sistema di omertà e di intimidazione in cui si vive, per cui nessuno ha avuto il coraggio di metterla in guardia sul male che si stava facendo.

transfobia. Abbiamo, invece, centinaia se non migliaia voci, di star di YouTube, troll di Twitter, media mainstream inclusa la Bbc, che diffondono menzogne velenose tese a screditare il suo nome e a servire da monito alle altre donne affinché non trovino il coraggio di far eco alle sue preoccupazioni. Non potevo rimanere in silenzio di fronte a una misoginia così viziosa. Presumevo che quando altri avessero visto cosa stava succedendo, anch’essi avrebbero parlato e avremmo potuto forzare al dibattito i nostri avversari che fanno di tutto per evitarlo. Ora mi rendo conto che mi trovavo di fronte a una bestia molto più grande di quanto pensassi. Le piattaforme internet, sono loro a dar forma al dibattito e ti escludono se rifiuti di obbedire alle loro direttive. Il risultato è che molte persone presumono che io sia un bigotto. E presumono lo stesso di J.K. Rowling e di molte altre donne di sinistra, liberali e progressiste. Chi crede che J.K. Rowling sia transfobica, una donna che ha dedicato il suo lavoro e gran parte della sua fortuna a persone vulnerabili, vittime

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di bullismo, dimenticate e maltrattate, ha subito il lavaggio del cervello. Chi crede che gli uomini possano competere equamente contro le donne negli sport, inclusi gli sport di contatto, idem. Chi crede che gli uomini senza scrupoli non si approfitteranno della promiscuità con donne e bambini nei luoghi che dovrebbero essere a loro riservati, idem. Chi crede che bambini di appena tre anni possano essere sottoposti a una procedura medica che li rende dipendenti dai farmaci per tutta la vita, che arresta la loro pubertà naturale e che non ha alcuna prova scientifica di efficacia come trattamento per la disforia, idem. I social media hanno creato una realtà parallela che sta privando tutti della capacità di pensare. La mia dichiarazione finale su Twitter, la goccia che ha fatto traboccare il vaso, è stata semplicemente: “Gli uomini non sono donne”. Un mondo in cui affermazioni come “Gli uomini non sono donne” è incitamento all’odio, è un mondo sull’orlo del caos. Le femministe sono solo “il canarino nella miniera di carbone” in questo mondo

L’organizzazione Lgbt Stonewall ha rifiutato il dialogo con le migliaia di gay e trans che chiedevano, con una lettera firmata, la tutela della libertà di opinione sulle questioni di genere, sul rispetto dell’identità femminile e sul “cambiamento di sesso” dei minori

sottosopra dove la libertà di parola dipende dai capricci di un piccolo gruppo di potenti della Silicon Valley. L’ideologia di genere è nata nelle università americane, è stata diffusa acriticamente dai media popolari, ma le società che gestiscono i social media e i loro utenti sono quelli che la stanno realizzando in pratica. Le persone non capiscono fino a che punto sono state indottrinate da questa ideologia. Le donne che si oppongono cercano disperatamente di essere ascoltate. Ho sentito giovani lesbiche che sono spaventate dal fatto che la loro sessualità le possa etichettare come transfobiche, ho sentito terapisti incapaci di dire a bambini sconvolti che la loro scrittrice preferita non li vuole morti, ho sentito detransitioners raccontare di giovani donne bullizzate da uomini molto più grandi in chat di giovani trans. Il motivo per cui non si sentono dire le cose che ho sentito io è che gli attivisti per i diritti trans sono padroni del campo. Al posto di argomenti ragionati e discussioni democratiche, abbiamo mantra come “Nessun dibattito” e “Le donne trans sono donne”, abbiamo norme e regolamenti che vengono approvati e implementati di nascosto, abbiamo statistiche fasulle sugli omicidi di trans e assistiamo all’inconcepibile arma della minaccia di suicidio per fini politici.

Il dibattito è negato. I diritti delle donne vengono calpestati, i nostri figli non sono al sicuro e non ci è permesso parlarne».

I social media hanno creato una realtà parallela che sta privando tutti della capacità di pensare


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Conciliazione tra famiglia e professione Gianfranco Vanzini

Una lettera aperta rivolta a imprenditori, dirigenti, politici, sindacalisti, etc., per mettere in evidenza come il lavoro part-time per le mamme possa rivelarsi una scelta funzionale a tutti i livelli. Come bancario, padre di tre figli e con la moglie che insegnava, il problema di conciliare i nostri tempi di lavoro, familiare ed extra familiare, è presente da oltre 50 anni. Da quando poi, per scelta prettamente familiare (evitare ai miei figli i continui cambi di residenza che la carriera bancaria imponeva), ho cambiato mestiere e sono diventato direttore generale di una importante azienda manifatturiera che impiegava alcune centinaia di donne (Aeffe spa di San Giovanni in Marignano - produttrice dei marchi Alberta Ferretti, Moschino e altri) ho affrontato questo problema anche come dirigente, responsabile delle risorse umane, e quindi in un modo ancora più coinvolgente e responsabile. […] I figli nascono sempre piccoli e hanno sempre bisogno di una madre, la cui presenza è fondamentale, almeno nei loro primi anni di vita. Le madri conoscono bene questa esigenza dei loro figli e desidererebbero stare con loro tutto il tempo necessario per accudirli e seguirli al meglio. Qualsiasi seria indagine statistica su questo punto non potrà fare altro che confermarlo.

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Una volta stabilito che la presenza della madre in una famiglia dove ci sono figli piccoli è molto importante, non possiamo e non dobbiamo dimenticare che motivi di realizzazione personale, desiderio di svolgere una professione extra casalinga, condizioni economiche, ecc. possono portare la donna ad avere anche una sua attività esterna. Desiderio assolutamente legittimo e degno di essere tutelato, ma come? A mio avviso il lavoro part-time (lavoro parziale, a orario ridotto, ecc.) rappresenta la soluzione, se non proprio ideale, comunque molto vicina all’ideale. Un orario di lavoro modulato sulle esigenze e sugli orari della famiglia può consentire alle lavoratrici madri un adeguato e gratificante svolgimento delle due mansioni. Passare cioè da: questo o quello, ad un più giusto e auspicabile: questo e quello. Favorire e incentivare la possibilità per le mamme di lavorare part-time risolve il dilemma: «Lavoro il doppio (casa e professione) oppure

I figli nascono sempre piccoli e hanno sempre bisogno di una madre, la cui presenza è fondamentale, almeno nei loro primi anni di vita mi licenzio?». E nello stesso tempo evita all’azienda di perdere quelle professionalità, a volte preziose, che, nel dilemma, optano per il licenziamento. […] Allora cominciamo a fare delle proposte concrete. Come tutti sanno, le lavoratrici madri dopo la maternità hanno diritto ad alcuni congedi più o meno retribuiti con durate prestabilite. Dopodiché possono/devono tornare al lavoro. Oggi possono anche fare richiesta di lavorare part-time. L’azienda deve esaminare la richiesta, ma non ha nessun vincolo né obbligo di accoglierla, per cui molto spesso la domanda non viene accettata e la giovane madre si trova nel dilemma: sistemare il figlio da qualche parte, ammesso che ci riesca, oppure licenziarsi; perché la sua richiesta di riduzione di orario ha avuto esito negativo. Triste situazione nella quale si sono trovate, e si trovano spesso, moltissime mamme. Con un pizzico di orgoglio posso dire che, nell’azienda che ho avuto il piacere e l’onore di dirigere per una ventina di anni, la richiesta di lavorare part-time non solo poteva essere fatta, ma, entro una certa percentuale, l’azienda era obbligata ad accoglierla. Il tutto codificato nel Contratto integrativo aziendale. In questo modo in azienda arrivavano mamme serene e contente, grate per l’aiuto ricevuto e che, durante il loro orario ridotto, producevano quasi quanto quelle ad orario pieno. Entriamo ancora più nel vivo e nei dettagli operativi.

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Un solo contratto di lavoro “part-time” fa felici quattro persone: un figlio che può stare con sua madre, una madre che può dedicare più tempo a suo figlio, una disoccupata che potrebbe essere assunta per coprire lo spazio orario lasciato libero dal part time, un marito, che si trova a vivere con una moglie e un figlio più felici

1) Codificare per le madri il diritto di chiedere e di ottenere che il rientro al lavoro, dopo il parto, possa avvenire con un orario part-time (4/5/6 ore a seconda delle esigenze), fino a quando il figlio più piccolo non raggiunga almeno i 6 anni di età. Basterebbe approvare una breve legge che dica: «Le lavoratrici madri, a qualsiasi categoria appartengano, con contratto a tempo indeterminato, e con figli fino a 6 anni hanno diritto di richiedere la trasformazione del loro rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, con un minimo di almeno 4 ore lavorative giornaliere. Le aziende con oltre 15 dipendenti (non creiamo problemi alle aziende molto piccole, facciamo un passo alla volta) devono prendere in esame tutte le richieste e sono obbligate ad accoglierle almeno fino al raggiungimento del 20-25% della forza lavoro complessivamente occupata. Le lavoratrici richiedenti potranno mantenere le loro mansioni oppure accettare nuove mansioni proposte dall’azienda. Se le nuove mansioni proposte sono simili a quelle in essere, la lavoratrice deve accettarle per ottenere la riduzione dell’orario di lavoro». Se una legge richiede troppo tempo facciamo inserire un

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impegno chiaro nei contratti di lavoro. Erogare un “bonus” per chi concede, alle mamme, l’orario part-time. Sono sufficienti 1.000 euro all’anno per compensare quel po’ di burocrazia in più che comporta il fatto di avere due “buste paga” anziché una. Togliamo qualsiasi scusa economica agli imprenditori. Se poi la legge prevedesse anche un contributo (1.000 euro all’anno) per la madre che rinuncia a una parte del suo stipendio, per stare a casa con suo figlio sarebbe sicuramente una cosa buona. Come si vede non servono cifre eccezionali. Per quanto riguarda il finanziamento, esiste già la legge 53 del 2000 che però non ha funzionato, o ha funzionato poco, perché occorre passare attraverso il solito modo complicato di procedere: quello dei progetti speciali da preparare, presentare, approvare, finanziare, ecc. Non si sono neppure spese tutte le risorse stanziate. È tempo allora di approfondire e provvedere ad emettere un provvedimento semplice e chiaro, ma con effetti certi e a lunga scadenza (un provvedimento strutturale si direbbe oggi). 2) I sindacati, se lo volessero, potrebbero richiedere di inserire nei contratti integrativi aziendali clausole che obblighino gli imprenditori a concedere l’orario ridotto alle mamme, entro certi limiti. A volte nelle piattaforme contrattuali si fanno richieste anche poco utili; sostituiamole con una richiesta sicuramente utile per le mamme. 3) I Comuni potrebbero organizzare alcune sezioni di asilo nido, di scuola materna e anche elementare, con orario dalle 14.00 alle 19.00. Non ne servono molte, ma qualcuna occorre, per dare la possibilità alle mamme di lavorare durante il pomeriggio e non solo al mattino, come succede oggi. Con questi accorgimenti la madre potrebbe accudire i propri figli, restando inserita nel ciclo produttivo aziendale, pronta a rientrarvi, a tempo pieno, appena le condizioni glielo consentono.

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Ho tenuto per ultima la considerazione più importante, la più semplice e percorribile da subito, senza la necessità di alcun intervento dall’alto. È un appello rivolto direttamente agli imprenditori, e alle imprenditrici siano essi pubblici o privati. È bene sottolineare che gli imprenditori, le imprenditrici (queste ultime con ancora più consapevolezza in quanto spesso mamme) i dirigenti, (sia privati che pubblici), sensibili al problema di cui sopra, potrebbero, anzi dovrebbero, già di loro iniziativa favorire una seria politica aziendale di lavoro part-time per le loro “lavoratrici madri”. Già oggi non c’è nessun costo supplementare (due mamme che fanno 4 ore ciascuna costano come una che ne fa 8) c’è solo una busta paga in più da compilare. Gli imprenditori, le imprenditrici e i loro dirigenti sanno risolvere tutti i problemi che via via si presentano in azienda; cercare di risolverne uno molto importante per le famiglie delle loro collaboratrici mi pare altamente nobile. Da ultimo mi piace evidenziare che un solo contratto “part-time” fa felici quattro persone: un figlio che può stare con sua madre, che per lui è la persona più importante in assoluto; una madre che può dedicare più tempo a suo figlio, che è la cosa che certamente desidera di più; una disoccupata che potrebbe essere assunta, per coprire lo spazio lasciato libero dalla riduzione dell’orario di lavoro della lavoratrice madre; un marito, che rientrando a casa trova una moglie più

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serena (né delusa e arrabbiata perché ha dovuto licenziarsi per potere accudire come vuole suo figlio, né sovraffaticata perché lavorare 8 ore e tornare a casa di corsa è oltremodo stancante). Lavorerebbero più donne e sarebbero tutte più appagate. E, da ultimo, avremmo delle statistiche sull’occupazione femminile più veritiere e in linea con quelle europee. Oggi si parla molto di sussidiarietà, ma la si applica poco. Il part-time è la sussidiarietà all’opera. Diamo alle mamme la possibilità di scegliere come impiegare, al meglio, il loro tempo. In questo periodo di crisi si possono fare felici le mamme e i loro figli, creare posti di lavoro e/o evitare licenziamenti. Un’ultima considerazione. Spesso guardando le percentuali di occupazione femminile dei paesi nordici, ci si rammarica perché le nostre sono più basse. E l’Unione Europea ci sgrida. Guardiamo allora i dati. La percentuale di lavoratrici part-time nei paesi europei è enormemente più alta che in Italia. Perché? Perché in Italia il lavoro part-time non viene utilizzato, in quanto, anche se desiderato e richiesto, il più delle volte non viene concesso. E questa mancata concessione, purtroppo, non viene disincentivata in nessun modo. Buon lavoro a tutti.

Favorire e incentivare la possibilità per le mamme di lavorare part-time risolve il dilemma: «Lavoro il doppio (casa e professione) oppure mi licenzio?» E nello stesso tempo evita all’azienda di perdere quelle professionalità, a volte preziose, che, nel dilemma, optano per il licenziamento

Famiglia con figli e figli con famiglia Clemente Sparaco

Un’analisi di costume e mentalità che attiene a come è percepito oggi il matrimonio e a come è percepita la genitorialità La frase «Una famiglia senza figli non esiste», pronunciata dal numero due di Forza Italia, Antonio Tajani, durante un intervento pubblico, ha sollevato polemiche e reazioni anche scomposte. Ma c’è davvero da gridare allo scandalo? La frase è stata pronunciata in un contesto in cui il senatore esprimeva l’idea che lo Stato deve aiutare le donne che vogliono diventare mamme, perché la decrescita della popolazione rappresenta un impoverimento. «Aiutare le donne a poter aiutare i figli, pensiamo anche ai casi in cui ci siano figli disabili. Bisogna intervenire in maniera determinante», ha anche detto. Quindi, ha aggiunto che «non è facile, ma non bisogna assolutamente penalizzare chi fa molti figli» e che «lo Stato deve mettere a disposizione le strutture che aiutino le donne che vogliono mettere al mondo tutti questi figli». A parte il colore e la forza dell’intervento manifestato, comunque, su un problema reale, dove può essere il motivo dello scandalo e dello sdegno? C’è allora piuttosto da fare un’analisi di costume e mentalità che attiene a come è percepito oggi il matrimonio e a come è percepita la genitorialità.

Il matrimonio scoppiato Il fatto è che il matrimonio da sempre ha avuto proprio la funzione di preservare, trasmettere, custodire la riproduttività. Lo evidenzia il termine latino matrimonium, che è composto dalle parole mater (madre) e munus (compito), a dire che esso era compito della madre e, quindi, connesso alla maternità. Ed era, a sua volta, chiaro che discendeva dall’unione stabile, costituita, riconosciuta, tra un uomo e una donna, in quanto unica unione fertile ed unica unione in grado di garantire la riproduzione. Lo si riscontra anche nella nostra Costituzione che, dopo aver riconosciuto «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29), la mette in relazione con la procreazione e con «il dovere e diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» (art. 30). Su cosa poggi la famiglia è, poi, dichiarato con chiarezza: è «fondata sul matrimonio»; dunque, su un’istituzione ben precisa, collaudata, che può avere accezioni diverse, ma sempre si riconduce ad un fatto pubblico, celebrato,

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riconosciuto e naturalmente fecondo. Ma il matrimonio, oggi che l’emancipazione sessuale ha portato a separare le relazioni sessuali dalle coniugali, è stato ridotto a mero riconoscimento di un legame affettivo quasi disincarnato. È stato, poi, ulteriormente impoverito, quando il legame con la procreazione è stato allentato. Ci si unisce, infatti, dilazionando, allontanando o rifiutando la procreazione o si procrea, negli ambienti asettici della fecondazione artificiale, senza unirsi. Il nido familiare, già luogo di una relazione affettiva forte, densa di impegno e condivisione, è stato demolito. La legge sul divorzio lo ha sancito. Quella sul divorzio breve ha, infine, ridotto i tempi di scioglimento (da 3 anni a 6 mesi per le consensuali), connotando sempre più il matrimonio come istituto relativo.

Il diritto al figlio Quanto alla fecondità, già negli anni Sessanta e Settanta la decisione di avere o meno un figlio era stata attribuita all’esclusiva determinazione della donna («L’utero è mio e me lo gestisco io!»). Poi, in ragione delle nuove possibilità offerte dalla fecondazione artificiale, la fecondità è stata rinviata alla sfera del calcolo individuale («Il bambino quando lo voglio e come lo voglio!»). La Fivet ha reso possibile una fecondazione programmata e monitorata nei laboratori e «una genitorialità senza corpo, senza sesso e senza relazioni naturali» (Eugenia Roccella, Tempi del 7-7-2014). La fecondazione eterologa, in particolare, ha prodotto un ulteriore stravolgimento, non solo perché ha permesso a chi in passato ne era escluso

Le relazioni sessuali sono state separate dalle relazioni coniugali

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di accedere alla fecondazione, ma anche perché ha disgiunto il significato unitivo da quello procreativo. In tale contesto, è potuta avanzare l’idea innaturale di fare figli senza l’altro sesso. Contestualmente, la pretesa di avere figli ad ogni costo è assurta a diritto. Si è giudicata, quindi, discriminatoria non solo ogni distinzione fra coppie fertili e infertili, ma anche fra coppie eterosessuali ed omosessuali. Ma, equiparato il figlio all’oggetto di un bisogno, lo si è immesso nel punto di raccordo fra una logica economica, perché un bisogno ha un costo di soddisfazione, ed una logica giuridica, per cui, se esso è bisogno primario, sarebbe discriminatorio ammettere alcuni ed escludere altri dalla sua fruizione. Siamo così addivenuti al diritto al figlio, che sottintende una mostruosa cosificazione del bambino.

tutele più forti. Ed è a partire da quella difesa che avrà un senso anche la presenza dei cattolici in politica, chiamati a dare voce a chi non ha voce, a scuotere l’assuefazione che si è instaurata nelle coscienze di fronte alla miseria di una presunta civiltà e delle sue ordinarie crudeltà verso i più indifesi: gli embrioni, i nascituri, i bambini, gli anziani.

Il nido familiare è stato demolito dal divorzio prima, dal divorzio breve poi

La famiglia alternativa Con la coniazione di un modello alternativo di famiglia e di genitorialità si vanno oggi a creare situazioni non corrispondenti alla realtà naturale e biologica. Le difficoltà che hanno i legislatori nell’adeguare la terminologia a queste inconsuete pretese dimostrano l’innaturalezza, l’assurdità, per non dire la mostruosità, di queste rivendicazioni: non più padre e madre (o papà e mamma), ma “genitore 1 e genitore 2”. In tutto questo è il bambino a doversi adeguare alle scelte di vita affettiva dei genitori, e non, viceversa, i genitori a dover rispettare il diritto del bambino ad avere una mamma ed un papà. Ormai il potere degli adulti sui bambini non ha più regole e remore. «Non basta più che i bambini siano in balia delle fluttuazioni sentimentali degli adulti, che siano separati dalle loro madri o padri dal divorzio; adesso gli adulti vogliono falsificare la loro filiazione all’estremo per soddisfare i propri desideri», ha scritto Grégor Puppinck, direttore del Centro Europeo per la Legge e la Giustizia. La questione decisiva si gioca, quindi, sui diritti del bambino, che è la parte debole e, quindi, quella che attende dal legislatore le

Ci si unisce dilazionando, allontanando o rifiutando la procreazione e si procrea, negli ambienti asettici della fecondazione artificiale, senza unirsi

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Sacrifici umani Azzurra Bellini

Il Cristianesimo, e soprattutto la Chiesa, secondo il pensiero dominante, politicamente corretto sono le cause di regresso e oscurantismo. Mentre le religioni pagane vengono studiate, rivalutate, ammirate. Se ne offre qui un’ampia panoramica Al processo d’avanguardia alle sciagure del mondo vi è da tempo un unico imputato reo di tutte le bestialità esistenti: il Cattolicesimo o il suo nominativo caricaturale di vittima salata di sprezzo, il clericalismo. Sentiamo echeggiare da ogni tentacolo mediatico sino ai banchi di scuola che il Cerbero del male ha una sola origine: l’oscurantismo cristiano, che con le sue burrasche di insipienza, le sue bufere di superstizione, i suoi cicloni di schiavitù, rappresenta lo scioglimento umano in un vortice di abbruttimento dogmatico mai conosciuto prima. Il clericalismo sabotatore con la sua dose di immobili principi ha mozzato la coda rigogliosa dello smagliante progresso di cui erano serbatoio le encomiabili civiltà pagane. “Egitto, Grecia, Persia, Babilonia, squisitezze culturalmente progredite; morte al Cattolicesimo, padre della barbarie!”. Dovremmo però, prima di schiacciare l’infame, come incitò a fare Voltaire, immergerci fra le prelibatezze delle portate dei culti pagani. Il Signore degli Eserciti sgombrò la Terra Promessa per gli ebrei raminghi, dopo il tormentato soggiorno fra le catene dell’Egitto,

cacciando gli idolatri sanguinari di Canaan. Mosè, ispirato dall’Onnipotente, dichiarò rei di morte coloro che servono e sacrificano agli dèi stranieri. Finché rimasero nella terra del Nilo i discendenti di Abramo non contaminarono il loro saldo monoteismo con la zoolatria egiziana, ma, curiosamente, dopo che Jahvè li liberò dalla schiavitù corporale essi ne cercarono, con il vitello d’oro dell’indipendenza, una morale. Le molte sciagure che colpirono Gerusalemme e la Giudea, le stesse colpe che tolsero al saggio Salomone la predilezione di Dio, le ragioni che spinsero la divina spada di distruzione che si abbatté sui popoli, dipesero dall’adulterio di Israele che fu affascinata da Baal, Astarte e dagli innumerevoli demoni divinizzati delle popolazioni con cui erano a contatto. Quali delitti imperdonabili fecero queste genti? In Asia Minore si adorava soprattutto la natura gender fluid di Min, una divinità confusa fra maschio e femmina, provvista di barba maschile e seno femminile, avvolta in bende e provvista di doppia scure. Sosia androgini mostruosi dal sesso indefinito e dalle preferenze oscillanti furono innalzati ovunque nell’antichità, basti

L’uomo, orfano, precipitato nell’autarchia si sente sciolto, spigliato, progredito mentre è divenuto un boccone sprovveduto che si prostra a tutti i miti fuorché al solo vero Dio

pensare a Ermafrodito, Afrodito, Ganesh, ed alla ressa di ibridi della mitologia soprattutto greca, induista e mesoamericana. Non è nuovo il disprezzo per la distinzione dei sessi, ancorato alla predilezione per il demoniaco bisessuato. Nella Frigia padroneggiava la farneticazione per la madre terra, tornata attuale. Era una tale Cibele, promessa di fertilità ai popoli, come Demetra, Tanit, Ishtar, Inanna, Venere, in altre culture. In Bitinia, Licia, Licaonia i lidii, effeminati, adepti della dea, si mutilavano in nome suo. Si acclamava l’indeterminata Onfale, al confine fra donna e guerriero. Nel Ponto si omaggiava il fuoco, in Assiria si riverivano gli astri, a Biblo si rendeva onore a Dagone, pesce sormontato da una testa d’uomo o alla sirena Derketo. Serpenti, rettili, uccelli, ed ogni specie animale, repellente o meno era l’incarnazione degli spiriti in un totem animalista ante litteram squisitamente ambientalista che si può riscontrare soprattutto nei bishnoi indiani che allattano gazzelle come bimbi o dividono la loro acqua con le piante. La mista ambiguità era la sembianza della barbara divinità.

Innesti di incroci di generi mescolati erano gli idoli prediletti dalle masse popolari brille di sussurro sovrumano mefistofelico Innesti di incroci di generi mescolati erano gli idoli prediletti dalle masse popolari brille di sussurro sovrumano mefistofelico. Questi sono solo i più decantati degli infiniti vaneggiamenti politeisti che appagavano i pruriti sacrileghi dei demoni che vogliono farsi ossequiare come scimmie dell’Onnipotente. Le frequenti festività agli dèi erano permeate di scariche musicali babeliche, profluvi di danze insaziabili e scrosci di oscenità. Ritmi di risonanze martellanti, movimenti che mimano l’amplesso, gambe e braccia che dondolano come in trance, si possono ancora estrarre dalle etnie tribali, dai riti orisha-voodoo e dall’attuale Cerimonia sacrificale Maya

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Divinità Inca

nozione di svago sbrigliato dal riserbo. In Siria e Fenicia troneggiava Baal, dio del cielo, della luce e dei fuochi. Questi era patrono di Tiro, Sidone ed era venerato in tutta l’Asia. Ove l’idolo tiranneggiava veniva eretta una statua di bronzo che conteneva un braciere ardente. Baal era un vitello con larghe mani sopra le quali i genitori lasciavano a consumare le palpitanti offerte: i figli spesso primogeniti. I baccanali di musica frastornante eclissavano le disperate grida degli indifesi dilaniati dal credo utilitarista. Creature cotte nella dissoluzione in cambio di concessioni. Infanticidi, indecenza ed idolatria

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imbrattavano la fosca tela dello spietato mondo pagano che ci viene mostrato come lo scrigno della perfezione davanti alle brutture di un Dio che fermò la mano fedele di Abramo dinanzi all’immolazione della sua stessa carne all’oblazione della fede. A Babilonia si inneggiava a Bel, Militta e Astarte, il cui omaggio era per le donne la discinta disponibilità ai passanti. La prostituzione pubblica era il diadema nel regno dell’indecenza sfacciata. I Fenici diffusero colonie nel Mediterraneo come Cartagine, Tiro, Sidone, e con esse i loro innumerevoli culti sanguinari. Il demonio usò il corridoio del colonialismo per la diffusione delle sue cerimonie, come fece con il triangolo commerciale francese ed inglese che dall’Africa fece migrare gli schiavi, e con essi la loro stregoneria dai Caraibi all’Europa. Non mancavano la cornice di tatuaggi e intarsi di incisioni sui corpi in cui si imbatterono in epoca moderna i marinai di Cook in Polinesia. I tattoo pagani e polinesiani agghindavano l’aspetto e permettevano la precedenza nel consumo di polpa umana a chi primeggiasse nella quantità di disegni. Di sicuro, direte, gli esseri umani erano rispettati nel raffinato Egitto. Peccato che ad Eliopoli tre persone al giorno fossero bollate come bestie ed immolate ad Aton. Certo, sosterrete che ciò non sarebbe accaduto nell’inimitabile Grecia. Nessuno ci narra a lezione che ad Atene vi fossero individui vili mantenuti a spese dello stato, pronti da immolare, chiamati farmakos, considerati capri di espiazione. Nelle tragedie greche troviamo Agamennone che immola Ifigenia per il buon auspicio nella guerra e non si deve credere fosse un caso isolato. Spesso re e condottieri sacrificavano i figli per la riuscita bellica. In autunno i filosofi festeggiavano le Targelie, dedicate a Socrate e Platone, che culminavano in regali umani. A Rodi si sacrificava a Saturno. I Romani ricevettero dai Greci i Saturnali ed i sacrifici espiatori. Esseri umani “inutili” venivano prelevati ove vivevano per essere sgozzati o gettati legati tra le fauci del Tevere. Giano era ghiotto di sangue. Scrisse San Cipriano: «Il

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Infanticidi, indecenza e idolatria imbrattavano la fosca tela dello spietato mondo pagano che ci viene mostrato come lo scrigno della perfezione davanti alle brutture di un Dio che fermò la mano fedele di Abramo dinanzi all’immolazione della sua stessa carne all’oblazione della fede

Il santuario di Apollo a Delfi, in Grecia


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Tempio di Baal a Palmyra, in Siria

sacerdote scannava la vittima, ne raccoglieva il sangue caldo che gettava in faccia all’idolo». I giochi teatrali erano spesso olocausti donati a Giove. A Salamina un uomo veniva ferito da una lancia e bruciato. A Delfi l’oracolo comandava il sacrificio. Tutta la Grecia grondava sangue umano e Roma la imitava. Tito ringraziò gli dèi per la presa di Gerusalemme mandando al macello 5.000 coppie di Gladiatori. Ottaviano ne donò 300 per la caduta di Perugia. Cesare fece morire di fame i vinti di Vercingetorige. Gli eccidi dei martiri cristiani dei primi tre secoli dovevano fare a pezzi la dannosissima superstizione cristiana illecita. Nessuno degli antichi popoli si è esonerato dal tributo umano. I Galli, soggiogati dalla potente casta dei sacerdoti druidi, nelle foreste, appendevano o crocifiggevano alle querce, da loro idolatrate, vittime a Eso o a Beleno. Furono i Romani a far cessare gli oboli ai druidi che popolavano l’Inghilterra. In Tartaria s’immolava un cavaliere e tutti bagnavano le lance nel suo sangue. Ancora nell’India inglese fanciulli venivano usati per fertilizzare i terreni.

In Cina, Pegu, Giava, Tibet ed Indocina vigeva l’antropofagia sacra, come vige tuttora anche in Africa. A Sumatra il morente era soffocato e mangiato ed i teschi erano usati come moneta ed ammucchiati in casa. A Siam amavano arrostire i morti e seppellirli nel loro stomaco. Erodoto narra questi costumi orientali dovuti a pratiche religiose soprattutto per assimilare le qualità del defunto. Ancora Marco Polo, Nicolò de Conti, Odorico da Pordenone, Caboto, Ibn Battuta ne danno testimonianza nei loro racconti di viaggi. Nel Giappone dei samurai la vita valeva lo squarcio del seppuku del disonore. Pullulavano i demoni kami, soprattutto astri, volpi e dragoni. Si sotterravano i vivi al trapasso dei morti come in tutta l’Asia, Africa ed India. Di certo il “buon selvaggio” delle Americhe, inclinato a tutti i più bonari sentimenti d’innocenza avrebbe potuto fare a meno dell’intimazione di redenzione importata dagli invadenti missionari. Padre Montoya, frate Serra, frate Palou e innumerevoli gesuiti, domenicani, francescani e agostiniani, percorsero soli terre ostili per catechizzare contro la corruzione

dell’abbruttimento primitivo. Il tanto calunniato Cortés ebbe la sfrontatezza di liberare dal giogo azteco, uno dei più feroci mai esistiti, le genti delle popolazioni, vinte, di cui ogni anno erano immolate 20000 vittime agli dei Kukulcan, Ixchel, Yum Kaak, Ahpuch. Per inaugurare il tempio di Tenochitlàn furono trucidati 80.000 individui. Ad Haiti un mese era dedicato allo scorticamento. In America del nord i francescani raccontarono i ripetuti omicidi di padri e figli. In Africa la dimensione magica è totalizzante come ci riferisce padre Alvarez. Il missionario Barreira parla di fanciulli abbandonati a morire in una piroga. Ad Angoy, come in Asia, si lasciavano i vecchi nelle grinfie della morte, si uccidevano neri agonizzanti con il pretesto che le loro condizioni sarebbero migliorate dopo il passaggio, si facilitava l’effusione con la dipartita. Oggi la chiamano eutanasia. Feticci venivano placati con pezzi di massacri umani. Superfluo parlare dell’antropofagia in Oceania e fra le etnie di Papua Nuova Guinea fra cui era una vera moda ed era out chi non partecipava a tali conviti. San Agostino e San Tommaso hanno spiegato che i demoni hanno la sola ambizione di sottrarre il Cielo agli uomini per appestarli del Sulla splendida isola di Mozia (TP), in Sicilia, ci sono i resti di un tempio fenicio dove sono ancora visibili i luoghi in cui avvenivano i sacrifici umani.

loro stato di reprobi, randagi, ripudiati. I demoni suggellano le loro sconcezze nelle civiltà per usurpare l’adorazione dovuta al Signore. Dio chiese olocausti animali e la bertuccia malefica alza la posta: vuole l’uccisione degli esseri il cui piede è padrone del mondo, creati ad immagine e somiglianza di Dio, preparati per il Paradiso che a lui è stato proibito. L’uomo, orfano, precipitato nell’autarchia si sente sciolto, spigliato, progredito mentre è divenuto un boccone sprovveduto che si prostra a tutti i miti fuorché al solo vero Dio. Colui che muove guerra al Creatore lotta contro le creature. Proprio per risparmiare il sacrificio umano fu offerto l’Agnello divino. La sola cosa che separa la persona dalla bestia è il Cristianesimo, il divario fra San Francesco e Nerone è Cristo. Gridando come il folle Nietzsche «Dio è morto» non proveremo l’agognata doccia di liberazione ma solo la sauna nichilista della totale liquefazione. L’umanità arretra a quella che era prima di Cristo abbracciando infermità, istinti e iniquità. Il faro della Verità è il solo freno della ferinità. Tolta la siepe dei Comandamenti della Cristianità, chi arginerà il diluvio di empietà? Il popolo francese rivoluzionario brindò ebbro delle spoglie di un ordine divino ghigliottinato, il cui sangue sarebbe però esondato, asfissiando la sua esistenza.

Nessuno degli antichi popoli si è esonerato dal tributo umano

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A lezione di genetica: ibridi uomo-animale Giandomenico Palka

Il professor Palka, già Ordinario di Genetica Medica dell’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara, ci offre un’altra lezione, questa volta ci parla degli ibridi, delle chimere, dei tentativi dei ricercatori di incrociare il Dna umano con quello degli animali Nella mitologia greca la chimera era un animale inedito formato da diversi animali. Omero nell’Iliade descrive la chimera come un mostro orribile che vomita fuoco. Per noi genetisti il termine chimera indica invece esperimenti di inserimento di cellule umane in embrioni di animali nella speranza che le cellule umane crescano e generino organi da poter essere utilizzati per i trapianti. In teoria la tecnica è possibile, ma i risultati fino ad oggi conseguiti in circa 50 anni di esperimenti sono molto poco incoraggianti, per non dire insignificanti. Gli insuccessi si devono sia al forte contrasto che le persone hanno verso questi esperimenti perché vengono eseguiti sugli animali, sia per le difficoltà intrinseche che queste ricerche comportano, sia perché ci

sono molte restrizioni legislative che limitano questi esperimenti. Tuttavia in alcune nazioni e in particolare la Cina non ci sono forti restrizioni nella sperimentazione uomo-animale. Così di recente proprio in un laboratorio cinese alcuni ricercatori sono riusciti a produrre per la prima volta un ibrido uomo-scimmia. Ovviamente l’ibrido non ha la testa di uomo e il tronco di scimmia. L’esperimento, pubblicato sulla prestigiosa rivista Cell, ha riguardato la crescita di cellule umane riprogrammate in embrioni di scimmia. Tuttavia le cellule umane, introdotte dentro 132 embrioni di Macaco di Giava, in poco più di due settimane sono morte quasi tutte. Solo 3 chimere sono sopravvissute fino a 19 giorni. Questo basso tasso di successo conferma che intorno a questo argomento si

Il basso tasso di successo di questi esperimenti conferma che intorno a questo argomento si fa «much ado about nothing»

fa «much ado about nothing». D’altra parte non è facile programmare un cuore, un fegato, un pancreas umano in un embrione di scimmia, di maiale o di pecora perché bisogna innanzitutto privare le cellule embrionali di macaco di quei geni di cui si vuole realizzare l’organo; inoltre le cellule riprogrammate umane dentro l’embrione devono essere almeno l’1% per sperare in un possibile successo dell’esperimento mentre al momento siamo nell’ordine di una cellula umana su 100.000 nell’ibrido uomo-maiale e di una su 10 mila nell’ibrido uomo-pecora. A questo si deve anche aggiungere che in ogni specie le cellule embrionali corrono lungo binari precisi per raggiungere siti specifici dove generano organi, che svolgeranno specifiche funzioni e, assumendo forme particolari, consentono il mutuo contatto con le strutture vicine, dando così armonia all’organismo. Questo nell’ibrido uomo-animale, per mio conto, non è realizzabile. Purtroppo i ricercatori sono spesso spregiudicati, alterano i risultati, perseguono scopi e ricerche molto discutibili. Per esempio Nakauchi nel 2018 ha dichiarato che in un suo esperimento, in cui tentava di far crescere un pancreas umano in un embrione di pecora, il tutto si risolse nella produzione di poche cellule pancreatiche umane, senza il minimo indizio di formazione di un pancreas. Chi ci garantisce poi che le cellule riprogrammate non vadano in altre sedi e comincino a produrre altri tipi cellulari

I risultati fino ad oggi conseguiti in circa 50 anni di esperimenti sono molto poco incoraggianti, per non dire insignificanti

tra cui cellule nervose umane in un animale? Chi ci garantisce che le cellule riprogrammate siano normali e non provochino tumori? Da sempre l’uomo è ossessionato dall’impossibilità di dare una giustificazione alla vita e alla morte. Così Ulisse si spinse oltre le Colonne d’Ercole per cercar «virtute e canoscenza» e Icaro, per le stesse ragioni, si librò in cielo, ignaro che i raggi del sole avrebbero sciolto la cera. Anche nei laboratori c’è tanta spregiudicatezza perché vogliamo farci la vita come diciamo noi e non come ci è stata data e quindi cerchiamo combinazioni genetiche inedite con la scusa di risolvere problemi sociali. Infine: chi ci dà il diritto di sperimentare e distruggere tanti embrioni di animali? Tutto questo ritengo sia poco scientifico e anche immorale.

La Chimera di Arezzo, bronzo etrusco del 400 a. C. circa, conservato nel museo archeologico di Firenze.

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Il suono del silenzio Mirko Ciminiello

I nostri Lettori hanno già avuto occasione di gustare i racconti inediti scritti dal nostro valido collaboratore. Anche questo è del genere distopico che descrive un immaginario futuro piuttosto sgradevole in cui sono portate ad estreme conseguenze mode, scelte, ideologie che oggi conosciamo, tolleriamo e consideriamo relativamente innocue se non a la page «Il mio nome è…». L’uomo aveva appena finito di digitare l’incipit sulla sua tastiera, che subito si interruppe. Guardò in alto, verso il soffitto del suo appartamento, come se stesse cercando l’ispirazione. Sospirò. «… Uomo Saggio», proseguì poi. Ma se ne pentì immediatamente e, scuotendo vigorosamente la testa, cancellò le ultime parole. «Signor Ricordo…», scrisse quindi in sostituzione. Erano entrambi suoi soprannomi - e non erano nemmeno gli unici - ma, ancora una volta, nel momento stesso in cui le parole presero forma sul monitor l’uomo percepì una forte distonia, come se vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato. Come se si stesse nascondendo, come se non stesse realmente dicendo la verità. Di nuovo… Si passò una mano sugli occhi stanchi, chiedendosi per quale assurdo motivo fosse così difficile. Poi però, distogliendo lo sguardo, incontrò la propria immagine riflessa nello specchio addossato alla parete, gli occhi di un azzurro intenso che sembravano scrutargli le profondità dell’anima. E seppe all’istante di conoscere già la risposta: era solo molto dura da ammettere. Lo era sempre stato, in fondo, ma ultimamente era peggio. Forse perché sentiva approssimarsi il tramonto della propria esistenza, e aveva iniziato a guardare la realtà sotto una luce diversa. Una luce che smascherava qualsiasi ipocrisia - comprese le sue. «Il mio nome è Alfred Lanning», si risolse a scrivere alla fine. E subito provò una sensazione di leggerezza e di liberazione. Il primo tassello era andato a posto. E lui ora sentiva che la sua impresa poteva davvero cominciare. «Forse qualcuno avrà già sentito parlare di me, eppure sono certo che il mio nome non dirà niente a nessuno di voi. Ai miei tempi sarebbe sembrato paradossale, ma sono tempi molto remoti…

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tempi in cui c’erano cose che voi, Virtuali, non potreste immaginare… Perché io ho visto il mondo prima del Grande Cambiamento… ed era un mondo molto diverso da quello di oggi… un mondo che non aveva ancora, come sua unica voce, il suono del silenzio…». *** «Ventinove anni prima del Grande Cambiamento (nel 2020, secondo la datazione che si usava all’epoca), un virus scatenò il panico a livello planetario. Cov 19, lo chiamarono. Un esserino microscopico che mise sotto scacco Stati e Governi i quali, inizialmente, tentarono di arrestarne la rapida diffusione. Fu in quei giorni, per esempio, che venne imposto l’obbligo di indossare le mascherine, dal momento che il morbo si trasmetteva soprattutto per via aerea. Eppure, nonostante le precauzioni, la pandemia continuò ad avanzare, inesorabile come il destino. Allora i governanti, pressoché in tutto il mondo, presero la decisione di confinare persone e popoli all’interno delle proprie abitazioni. Dissero che era una misura a tutela della salute pubblica - e non v’è dubbio che lo fosse. Ma non tardarono a scoprirne le implicazioni, se anche prima non le avevano considerate. Salvador Dalì, Leone invisibile, cavallo donna dormiente, 1930.

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Compresero infatti che la paura è il mezzo più potente per dominare le masse, le quali, poste di fronte allo spettro del pericolo, diventano disposte ad accettare soprusi che mai, in condizioni normali, tollererebbero. Così, la libertà venne sacrificata sull’altare della sicurezza - una sicurezza che per di più, era solo illusoria. Vi erano comunque alcuni che, come uscendo dalla caverna platonica, intuivano la menzogna e provavano a portare ai compagni prigionieri la luce della verità. Costoro, però, venivano scherniti, vilipesi, banditi dalle pubbliche arene. Il Nuovo Ordine Mondiale che si stava delineando non ammetteva infatti deviazioni dal pensiero unico. E, in una società come quella di quel periodo, in cui contava solamente apparire, chi non aveva visibilità, semplicemente, non esisteva. Nacquero quindi i “silenziatori”, antenati dell’odierno reparto della Polizia delle Idee. Allora si trattava di figure che dovevano mettere a tacere le opinioni non allineate - incluse, ove venne ritenuto necessario, quelle delle autorità. Capi di Stato e di Governo vennero censurati, i risultati di libere elezioni vennero falsificati “per emendare gli errori della democrazia”, come si disse. A poco a poco, come una rana immersa in un recipiente di acqua fredda scaldato gradualmente rimane inerte fino alla sua stessa cottura, la collettività iniziò ad assuefarsi a questo stato di eccezionalità, che a poco a poco si fece nuova normalità. Quanti poi cercarono di gridare il proprio dissenso vennero accusati financo di farsi veicoli del contagio, biasimati, reietti, isolati. Da sola, però, la paura non può bastare a controllare a lungo le moltitudini: così, si cominciò ad alternarla sapientemente a una speranza altrettanto fallace. Vi fu il miraggio di un antidoto, poi giunsero le varianti della stessa patologia, e le limitazioni alla libertà si allentavano e si rinasprivano di concerto con la narrazione di volta in volta imposta. Salvador Dalì, Paesaggio con una ragazza che salta a corda, 1936.

René Magritte, Golconda, 1953.

Ci fu, in effetti, un momento in cui parve che l’emergenza fosse rientrata. Ma un’altra sindrome si diffuse poi a livello globale, una sindrome che, stavolta, colpiva gli occhi. Divennero quindi obbligatori gli occhiali da sole, gli individui vennero nuovamente reclusi, e ancora, e ancora nel successivo trentennio: quando si decise di rendere coattivo l’uso di tutti i dispositivi di protezione, adattando al contempo le mascherine con il piccolo foro da cui ora prendiamo abitualmente il cibo. Cibo che a sua volta venne alterato così da essere adattato alle nuove esigenze, assumendo la forma liquida e semisolida che oggi ben conosciamo. Il Grande Cambiamento era già in atto, eppure sbaglierebbe chi dicesse che le malattie ne furono il motore. La paura, infatti, era l’arma privilegiata del Potere. E, per esaltarla, occorreva spezzare i legami tra individui, poiché è sempre possibile trovare forza gli uni negli altri. Vennero dunque decretate nuove restrizioni, sempre con il pretesto del “superiore bene pubblico”. Le Nazioni raccomandarono di non uscire dalla propria abitazione, in quanto occorreva evitare contatti che favorissero la diffusione degli agenti patogeni. Con lo stesso obiettivo, favorirono nuove forme di lavoro che fosse possibile svolgere da casa. Infine, con la pretesa di contenere il più possibile la trasmissione dei microrganismi, vietarono l’uso della voce, creando contestualmente il corpo dei “silenziatori” - quelli che poi vennero argutamente ribattezzati “acchiappasuoni”. Era il nostro nuovo Anno Zero, l’anno del Grande Cambiamento, di cui ricorre oggi il trentaseiesimo anniversario. Gli uomini, che erano sempre stati animali sociali, si erano definitivamente trasformati in tante monadi solitarie. La nostra vita si era mutata in semplice esistenza. Non a caso,

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venne coniato in quei giorni il termine “Virtuali”, che oggi ci definisce tutti - in luogo di “esseri umani”. E, poiché a questa bella bugia si addicono gli alias, cessammo anche di utilizzare i nostri nomi reali. Io stesso non usavo il mio da decenni, celandomi dietro alle false identità con cui, forse, qualcuno di voi mi conosce. Signor Ricordo, Profeta, Uomo Saggio, per citarne solo alcune. In effetti, sulle mie spalle gravano molti inverni, essendo io venuto al mondo settantacinque anni or sono, una decade esatta prima del primo degli eventi appena descritti. E anche questo è un effetto del Grande Cambiamento. Gli uomini, infatti, non sono biologicamente predisposti a vivere come “isole”. La pressoché totale assenza di relazioni ha progressivamente e ineluttabilmente contratto la speranza di vita dei Virtuali. Per questo, la maggior parte di voi non potrà mai neppure aspirare a raggiungere la mia età, che pure, quando ero bambino, era usuale non solo toccare, ma superare di slancio. Anche la mia esistenza, comunque, volge ormai al crepuscolo. Forse è per questo che, dopo tanti dubbi, dopo tanta indecisione, finalmente ho trovato il coraggio per divulgare le mie memorie. Ma, soprattutto, il coraggio di fare quello che va fatto». *** Lanning restò sorpreso quando si rese conto di aver già spinto il tasto “Invio”. Pensava che, quando fosse giunto il momento, avrebbe esitato, che si sarebbe manifestata quella vocina che per tutta la vita gli aveva suggerito che non ne valeva la pena, che non gliene sarebbe tornato niente di buono. Ma forse, alla fine anch’essa era stata tacitata dagli acchiappasuoni. In effetti, l’uomo si soffermò per qualche istante a contemplare il suo post sulla Rete Unica, e si sentì stranamente leggero. Ora più che mai, era convinto di aver fatto la cosa giusta. Con la massima serenità, indossò la mascherina e gli occhiali da sole, si mise il soprabito e uscì di casa. Era una bella giornata, e lui non aveva fretta. Aveva calcolato che ci sarebbe voluto del tempo prima che l’eco della sua storia giungesse - magari in seguito a qualche segnalazione all’attenzione dei silenziatori. Camminando tranquillo, assaporando ogni momento, si avviò verso il centro della città. Era l’ora di punta, e non fu sorpreso di trovare per le vie una decina di Virtuali. Benché fossero tutti rigorosamente distanziati, chiunque l’avrebbe considerata una folla. Lanning provò una sorta di amara dolcezza al pensiero di quanto avrebbero riso i suoi defunti genitori, abituati a ben altri “assembramenti”. Il loro ricordo gli infuse nuova energia, nuovo coraggio. L’uomo annuì tra sé, poi si posizionò strategicamente in mezzo alla strada, in piena vista. Qui, sfidando l’indifferenza dei suoi concittadini, dapprima si tolse con studiata lentezza la mascherina, respirando a pieni polmoni l’aria tiepida del giorno; poi rimosse anche gli occhiali da sole, strabuzzando a lungo gli occhi non più avvezzi alla potente luce dorata dell’astro. A poco a poco, il biancore accecante si attenuò, e tornarono a materializzarsi le forme e i colori. Lanning si rese conto che alcuni Virtuali si erano fermati, i visi rivolti nella sua direzione. E seppe con certezza assoluta che il momento era giunto. E, di colpo, gridò. A pieni polmoni, come a voler liberare tutta la voce che aveva dovuto tenere prigioniera per decenni, infrangendo la tirannia del

silenzio. E poi rise, rise come non ricordava di aver mai fatto, neppure quando era un bambino, prima del Grande Cambiamento. Quando l’eco della sua felicità si spense, tutti gli occhiali da sole erano puntati su di lui. E non solo quelli dei Virtuali sui marciapiedi, anche dai balconi dei palazzi la gente si affacciava per osservare. E poi, all’improvviso, un ragazzo, uno di quelli che stavano a qualche metro da lui, si tolse gli occhiali da sole. E un altro si tolse la mascherina, e una donna si avvicinò a un uomo e gli rivolse, per la prima volta, una timida parola. E Lanning rise di nuovo, se possibile ancora più gioiosamente, in preda a un’emozione così violenta da fargli vacillare il cuore - quel suo cuore stanco e malato che presto lo avrebbe abbandonato. Ma lui era in pace, adesso. Alfred Lanning non aveva più nessuna paura. 

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In cineteca

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Guerrieri serafici. Racconti di pace e bene... e guerra

Nomadland Titolo originale: Nomadland Produzione: Stati Uniti d’America Anno: 2020 Durata: 107 min. Genere: drammatico Regia: Chloé Zhao Nomadland ha vinto un sacco di premi, compresi tre Oscar: al miglior film, alla miglior regia, alla miglior attrice protagonista (una grandiosa Frances Mc Dormand). Fren resta vedova e povera e comincia a vivere da nomade, nel suo furgone. Lo dice e lo fa capire bene: lei è una “houseless”, non “homeless” come un barbone. In inglese house è la casa di mattoni; home è il focolare domestico. Così attraversa e vive i grandiosi paesaggi dell’America del Nord, dal Nevada al Sud Dakota, dal Nebraska all’Arizona e alla California. Incontra persone nomadi come lei, incontra amici e parenti. Si ferma quindi. E nelle tappe fa il bucato (ci tiene alla sua dignità, si cura e cura la sua “casa” con amore). In ogni tappa cerca un lavoro (lei era un’insegnante) e svolge con estrema professionalità anche quelli più umili. Protagonista indiscusso del film è il viaggio, metafora della vita. Un viaggio che evidentemente continuerà anche dopo la morte, in cui si incontrano le persone che prima o poi si incontrano di nuovo. Un viaggio in cui ciascuno spontaneamente mette a disposizione degli altri ciò che ha e riceve sempre in cambio qualcosa di cui abbisogna. I

In biblioteca

Segnaliamo in questa pagina film che trasmettono almeno in parte messaggi valoriali positivi e stimolano il senso critico rispetto ai disvalori che vanno di moda. Questo non implica l’approvazione o la promozione globale da parte di Pro Vita & Famiglia di tutti i film recensiti.

Ambrogio Maria Canavesi Wawrzyniec Maria Waszkiewicz Tabula Fati

ricordi dei bei tempi che furono sono sempre vivi nel cuore di Fern. Ma il ricordo non è mai un alibi per fermarsi e piangersi addosso. I ricordi sono anch’essi compagni del viaggio che procede instancabile. La cosa straordinaria è che questo film abbia vinto tanti premi senza veicolare neanche uno dei (dis)valori del politicamente corretto: nessun personaggio gay, né nero perseguitato; la famiglia presentata come un dato positivo… Addirittura, quando Fern dice che forse avrebbe dovuto accorciare le sofferenze del marito malato, l’amica le risponde che no, lui voleva fino all’ultimo restare con lei. Insomma, un film da vedere. Un film particolare, senza retorica, che di fatto è un inno alla vita. 

Quando si pensa al francescanesimo, solitamente si associa ad esso la parola “pacifismo”. Ebbene, attraverso questo libro due giovani padri francescani dell’Immacolata intendono sfatare questo mito, e anzi dimostrare che ci può essere, e c’è stato nella storia, un “francescanesimo militante”, e anzi addirittura “militare”. Nel fare questo, vengono presentate dieci figure di guerrieri serafici, tra i quali spiccano anche dei santi e dei beati, a ennesima riprova che si può servire Dio con tutto se stessi anche abitando i campi di battaglia.

Legge omofobia, perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo a cura di Alfredo Mantovano Cantagalli

Si tratta di un libro scomodo, che infatti sta incontrando difficoltà nella distribuzione: un libro scritto da autori molto competenti che, leggi e razionalità alla mano, spiegano punto per punto tutte le criticità, innumerevoli, contenute nel ddl Zan, andando anche a illustrare le conseguenze che vi sarebbero nel caso di un’approvazione della legge. Un testo completo, complesso nella sua precisione, ma necessario per non subire in maniera disarmata l’ennesimo attacco ideologico portato avanti dal mondo arcobaleno.

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Dal 1962 approfondimenti, inchieste, notizie e molto altro. Scoprilo in edicola tutti i mercoledì Diretto da Maurizio Belpietro


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