NUOVE DONNE N'1

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NUOVE DONNE

N 1 o

Rivista di storia e cultura femminile


Indice 4

EDITORIALE

di Alessandra Nitti

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SAGGEZZA D’ORIENTE IN OCCIDENTE

Yoga e ciclo mestruale – di Fabiola Falcone

18 Hanami: la fioritura dei ciliegi in 28 Impermanenza IN VIAGGIO CON IL MIO ZAINO

FOTO REPORTAGE

giappone – di Alessandra Nitti

– di Elisa Rapisarda

10 La prima donna sul tetto

RITRATTI – STORIE DI DONNE PER DONNE

del mondo – di Alessia Knulp

32 Pulizia dei 5 corpi per lo yoga LA SCIENZA DELLA VITA: AYURVEDA

e l'ayurveda – di Fabiola Falcone

36 Le forbici molecolari e l'ingegneria 40 Cos’è il minimalismo e come SCOPERTE E SAPERE

NEW LIFE STYLE – UNA VITA DA SOGNO

del DNA – di Chiara Benedetto

può cambiarci la vita – di Alessandra Nitti

44 I segreti della felicità

NEW LIFE STYLE – UNA VITA DA SOGNO

– di Fabiola Falcone

52 Chiacchiere con Penelope STORIE DI CAMBIAMENTO

è partita – di Emilia Cuzzocrea

60 Numeri dispari PAROLE IN FILA

– di Alessandra Nitti

48 Recensione di Un inutile REGALATI UN LIBRO

delitto – di Alice Chimera

56 Collage della collezione ARTE

Mis Mujeres – di Flor Rajo

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CREDITI E BIOGRAFIE


Editoriale C

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on l’equinozio di primavera coincide il Nowruz, il Capodanno persiano, considerata la festa più antica del mondo. Si festeggia da più di tremila anni nelle zone che un tempo appartenevano all’Impero Persiano. Era la celebrazione zoroastriana per accogliere l’avvento della bella stagione e il suo significato è di rinnovamento, come per la terra così per gli uomini. Le celebrazioni durano per tredici giorni a partire dal momento dell’equinozio, che quest’anno è caduto alle ore 10:37 del 20 marzo. Le qualità della primavera vengono espresse simbolicamente in tutte le case su un tavolo apparecchiato con le “sette saggezze”, in farsi le Haft Sin. Ci sono gli sabzeh, i germogli di lenticchie che indicano rinascita e crescita; il sir, l’aglio, cioè la salute, il sib, la mela rossa, ovvero la bellezza; il serkè, l’aceto che indica la pazienza; il samanù, un dolce di grano che è l’abbondanza. E ancora il somaq, il sommaco, una spezia rossa che è il sorgere del sole e allontana le tenebre; il sekkè, ovvero le monete che naturalmente indicano la ricchezza. In aggiunta vi sono il sonbol, il giacinto, cioè la primavera stessa;

e ancora uno specchio per guardarsi negli occhi e diventare persone migliori, un pesce rosso, ovvero la vita, le uova colorate per la felicità e le candele accese per illuminare il cammino delle vite. Si aspetta il momento preciso dell’equinozio e si festeggia con i propri cari il nuovo anno. Mi è sempre parso romantico far iniziare l’anno nuovo con la stagione della rinascita. Oserei dire che mi sembra più “appropriato”. Dopo l’inverno, durante il quale come alberi abbiamo perso le foglie e ci siamo richiuse per proteggerci dal freddo, adesso siamo pronte a ripartire. È una frase scontata, un cliché, quello di rinascere in primavera. Eppure sono convinta che anche noi umani dovremmo seguire le stagioni: facciamo parte della natura, siamo ancora soggetti alle sue leggi nonostante possiamo avere la luce quando vogliamo, riscaldarci quando fa freddo e sovvertiamo i suoi ritmi. In inverno abbiamo meno energie, complice il buio e il meteo: è il momento degli affetti, delle coperte di pile, dei tè bollenti e delle attività rilassanti. Lasciamo riposare il nostro humus interiore per seminarlo a primavera.

Ora ci siamo svegliate dal letargo affamate: le giornate sono lunghe, la natura si è risvegliata, tornano i colori e la temperatura è dolce. È arrivata l’ora di stiracchiarci e di ricominciare a vivere. È il momento della semina, delle pioggerelle corroboranti, di esplorare il mondo, noi stesse, le nostre infinite possibilità. Ma è anche il momento della pulizia interiore ed esteriore. Gettare via il vecchio per far nascere il nuovo. Prendiamo in mano le cesoie e diamoci alla potatura: tagliamo via i rami vecchi, le relazioni atrofizzate, i progetti fallimentari, gli oggetti inutili, le antiche delusioni. Strappiamo via le erbacce, spruzziamo un po’ di insetticida, scolliamoci di dosso il torpore dell’inverno. Questo numero è dedicato alla primavera, alla pulizia, alla freschezza. La copertina di Elisa Rapisarda esprime appieno la voglia di cambiamento e di nuovo che la bella stagione porta con sé. All’interno della rivista parleremo delle cesoie: ovvero del minimalismo e di come ci aiuta ad eliminare il superfluo e a vivere con più semplicità e più gioia. Tratteremo di come pulire i cinque corpi grazie all’ayurveda e dei segreti della felicità..

Scopriremo come riequilibrare il ciclo mestruale con lo yoga in questa stagione di transizione. Andremo in Kansai in Giappone a fare hanami, cioè a “guardare i fiori”, facendo un picnic sotto i sakura e scoprendo le radici di questa bella tradizione. E ancora, tratteremo di scienza, con la storia di Emmanuelle Charpentier,

premio Nobel per la chimica 2020, e viaggeremo nel tempo e nello spazio con Madame Tibet, Alexandra David Nèel, la prima donna occidentale ad aver raggiunto Lhasa. Con la recensione di “Un inutile delitto” ricorderemo una tragedia del passato che coinvolge tutte le donne. Infine conosceremo il progetto Penelope è partita,

che supporta tutte le donne italiane emigrate. Oltre a ciò, le pagine della rivista si riempiono di arte. Dal reportage fotografico “Impermanenza” al collage surrealista “Mis mujeres” per finire con il racconto breve “Numeri dispari”, il tutto da gustarsi in un giardino sotto un albero in fiore.

Alessandra Nitti

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saggezza d'oriente in occidente

Yoga e ciclo mestruale

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o yoga è una disciplina olistica. Le asana, i pranayama, i mantra, la meditazione, i mudra, agiscono su tutti i sistemi corporei, persino sull’apparato genitale dal punto di vista endocrino e del sistema nervoso. Il tema è vasto e complesso e molteplici sono le cause dei disturbi legati al ciclo, talvolta uno stile di vita salutare non basta per mantenere un giusto equilibrio, ma senz’altro

aiuta a ridurre sintomi o disturbi. Tutte le donne hanno sofferto almeno una volta di disfunzioni come amenorrea (cessazione delle mestruazioni), sanguinamento vaginale anormale o dismenorrea (mestruazioni dolorose). Numerosi studi hanno comprovato come lo yoga possa aiutare ad alleviare i dolori e riequilibrare le disfunzioni.

POSSO PRATICARE YOGA DURANTE IL CICLO? Quello che rispondo io è sempre di ascoltare il proprio corpo, anche se, durante il primo e il secondo giorno, è sconsigliato fare qualsiasi tipo di attività. Sarebbe il caso di riposare; dal punto di vista ayurvedico non si dovrebbe fare assolutamente nulla. In India la donna i primi giorni di mestruazioni rimane a letto tutto il giorno e l’uomo si occupa delle faccende domestiche. Purtroppo nel contesto europeo in cui siamo sempre tutti di corsa è quasi inimmaginabile, ma potrebbe essere una nuova tendenza per riconnetterci di più con la nostra energia femminile che ogni tanto sembra che si stia perdendo. Tuttavia, se possibile, i primi giorni bisognerebbe prendersi del tempo per se stesse, praticare un po’ di meditazione, passeggiare nella natura ed eseguire alcuni esercizi di respirazione. Impariamo a consacrare il nostro corpo. Durante il ciclo, magari dal terzo giorno, si può praticare uno yoga lento e rigenerativo, con asana che comportanto apertura delle anche, movimenti delicati e circolari e sarebbe meglio evitare tutte le posizioni invertite per non bloccare il flusso sanguigno. Scopriamo insieme alcune asana (posture) che possono essere praticate durante il ciclo, e altre che aiutano a regolare gli ormoni responsabili delle mestruazioni e ad alleviare i dolori. VARJASANA ( posizione del fulmine) Anche se è una posizione semplice, porta tantissimi benefici. In ginocchio, con le gambe unite, avvicinate gli alluci, separate i talloni, e sedetevi sulla pianta dei piedi. Mantenete la schiena eretta, le spalle rilassate e lontane dalle orecchie, le mani appoggiate sulle rotule in anjali mudra (i palmi delle mani si toccano nel segno della preghiera).

Rimanete per almeno una decina di minuti con gli occhi chiusi. Questa posizione è ideale durante il ciclo perché fortifica l’energia apana e la connette alla terra. Riduce il flusso sanguigno nei genitali, massaggia le fibre nervose che li alimentano e modifica gli impulsi nervosi nella regione pelvica. Rinforza i muscoli pelvici e allevia i dolori mestruali. Inoltre canalizza l’energia sessuale nel cervello (varja nadi). Tra gli altri benefici, aiuta a mantenere la colonna eretta ed è ideale praticarla dopo i pasti poiché facilita la digestione. Sconsigliata a chi soffre problemi di ginocchia. SUPTA BADDHA KONASANA Sdraiati sulla schiena, unisci le piante dei piedi e lascia cadere la gamba destra a destra e la gamba sinistra a sinistra. Le braccia restano al lato del corpo con i palmi all’insù oppure potete posizionare una mano sul cuore e una sulla pancia per connettervi ancora di più con i battiti cardiaci e con il respiro. Mantenetela almeno 5-10 minuti. Questa posizione rilassa i fianchi e li rende più forti e flessibili, con effetti positivi sul pavimento pelvico e sugli organi del basso addome. Le anche sono un importante giuntura per i vasi sanguigni, i nervi e le ghiandole linfatiche del pavimento pelvico. Stare seduti per molte ore o in piedi in maniera asimmetrica insieme allo stress creano pressione in questa area. Per quello è importante praticare posture con apertura delle anche. Supta Baddha Konasana potrebbe essere praticata anche tutti i giorni perché ha molteplici effetti positivi durante tutte le fasi del ciclo. Inoltre rilassa la zona lombare e allevia il mal di schiena. Sconsigliata a chi ha problemi di ginocchia e anche

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SHASHANKASANA (posizione della lepre o della luna) In ginocchio sedetevi sui talloni e flettete il corpo in avanti, appoggiando la fronte a terra. Le braccia sono davanti alla testa, i palmi delle mani al suolo e tutto il corpo è rilassato. Mantenetela per quanto tempo lo ritenete necessario. Le braccia possono essere posizionate anche al lato del corpo (in questo caso la posizione si chiama balasana). Questa asana rilassa il sistema nervoso dando un senso di introspezione e di contatto con la terra. Tonifica i muscoli pelvici, lavora sul nervo sciatico ed è benefica per gli organi riproduttivi, in quanto viene trasportato più sangue ossigenato in questa area. “Shank” significa luna e deriva da “shash” lepre e “ank” grembo. Rimanda alla posizione che adottano i conigli o, da un punto di vista più profondo, alla connessione tra la luna e la femminilità, a un senso di pace e calma e all’introspezione. sconsigliata: a chi soffre di ipertensione grave, ernia del disco o vertigini. KANDHARASANA (posizione del ponte) Sdraiatevi con la schiena a terra, piegate le ginocchia e assicuratevi che potete toccare i talloni con le punta delle dita. Partendo dalle vertebre lombari, sollevate la colonna vertebra per vertebra. Mantenete la posizione per almeno un paio di minuti. Le mani possono rimanere sulla parte bassa della schiena, si possono unire tra loro in modo da aprire un po’ di più il petto o si può valutare anche di mettere un mattoncino sulla zona lombare e lasciar riposare la schiena. Questa asana tonifica gli organi riproduttivi, è consigliata alle donne propense all’aborto e come terapia di disordini mestruali. Aumenta il flusso sanguigno nella zona

bassa dell’addome e negli organi pelvici, rafforza il sistema nervoso, in quanto in quest'area c’è una forte densità di fibre e fortifica il sistema parasimpatico grazie al movimento del diaframma. Praticando la posizione del ponte migliorano le funzioni del sistema linfatico, si regolarizzano il sistema ormonale e la connessione tra l’ipotalamo e la regione pelvica. Kandharasa allevia il mal di schiena e corregge le spalle curve, allunga il colon e gli organi addominali. Sconsigliata a chi soffre di ulcera peptica o duodenale, ernia addominale e alle donne in gravidanza. la posizione più avanzata, chakrasana( ruota), ha il beneficio di influenzare tutte le secrezioni ormonali e allieva diversi disturbi ginecologici. Sconsigliata a chi soffre di problemi alla schiena, polsi, durante la gravidanza. USTRASANA (posizione del cammello) Appoggiate le ginocchia a terra ed elevate il corpo. Mettete le mani sulla zona lombare e cercate di raggiungere con la mano destra il tallone destro e con la sinistra il piede sinistro. Spingete il bacino in avanti e piegate la testa all’indietro senza forzare: il peso corporeo deve essere distribuito in maniera uniforme tra braccia e gambe. Mantenete per almeno 3 respirazioni. Per uscire dalla postura evitare qualsiasi tipo di movimento brusco. Ustrasana è considerata una posizione avanzata e deve essere praticata in seguito a una serie di riscaldamento per la colonna e non da principianti. Si può tuttavia iniziare con la versione più semplice, appoggiando le mani sulla zona lombare e inarcando leggermente il petto all’indietro.

Questa posizione è ottima per il sistema riproduttivo. Mobilitando le vertebre, vengono stimolati i nervi spinali e, allungando il collo, vengono regolate le funzioni della tiroide. Tra gli altri benefici, questa asana agisce sul sistema digestivo e allevia il mal di schiena. Sconsigliata a chi soffre di gravi disturbi alla schiena (meglio eseguirla sotto la guida di un insegnante). Fabiola Falcone

9 Ricordo che uno stile di vita sano è alla base di qualsiasi disturbo o malattia, le posizioni qui elencate possono favorire la stimolazione degli ormoni e il corretto funzionamento dell’apparato riproduttivo. Consiglio inoltre di consultare un medico prima di intraprendere qualsiasi tipologia di attività fisica.


ritratti

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storie di donne per donne

La prima donna sul Tetto del Mondo


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“Esploratrice, antropologa e orientalista, Alexandra David Néel è stata la prima donna a raggiungere di nascosto la citta proibita di Lhasa in Tibet. ”

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i chiamo Alexandra David Néel e sono nata il 24 ottobre del 1868 in un piccolo paese dell’Île-de-France. Fin da piccola ero un’appassionata lettrice: mi piacevano particolarmente i libri d'avventura di Jules Verne e i testi filosofici che trovavo nella grande biblioteca di mio padre, un libero pensatore che mi ripeteva sempre di vivere la vita a pieno. Mia madre invece era bigotta, molto religiosa e chiusa nella sua rigida educazione borghese. Io ero uno spirito inquieto. Sognavo spazi infiniti e così, a 18 anni, me ne andai di casa e visitai l’Europa in bicicletta. Nel frattempo mi dedicai allo studio delle lingua inglese e all’appro-

fondimento delle filosofie orientali, del sanscrito, della teosofia, dell’occultismo. Provai una forte crisi di coscienza e d’identità: cercavo disperatamente la mia strada e la trovai visitando il Musée Guimet, dove ebbi una folgorazione davanti all’enorme statua del Buddha con gli occhi socchiusi. L’espressione di pace assoluta che esprimeva il distacco da tutte le cose m'incantò per sempre. Avevo trovato ciò che stavo cercando: fu quella scultura a indicarmi il cammino, e così iniziai a sognare l'India. Il mio sogno divenne presto realtà: avevo 22 anni e grazie all'eredità di mia nonna potei partire alla volta di Ceylon. Qui ogni mese,

con la luna piena, si celebrava il culto del Buddha, a cui ero devota. Anche se li avevo amministrati saggiamente, i soldi dell'eredità durarono solo un anno. Mi vennero in aiuto gli studi di canto lirico compiuti da giovane; mi esercitai intensamente seguendo corsi al conservatorio e nel 1985 entrai nella Compagnia operistica del Teatro di Hanoi, in Indocina. Scrissi anche un dramma lirico, musicato dal mio amante Jean, con il quale avevo un’unione libera. Viaggiai così in tournée come stella del bel canto, dal lontano Oriente alla Grecia, fino ad approdare a Tunisi. Fu lì che incontrai l'ingegnere Philippe Néel: bello, occhi azzurri, affascinante. Lavorava per

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conto del governo francese a un grande progetto di costruzioni ferroviarie. Per 4 anni vivemmo come amanti e nel frattempo lasciai il palcoscenico per dedicarmi allo studio e alla scrittura. Mettendo ordine nei miei taccuini scrissi articoli sugli argomenti più disparati, come la coscienza del Buddha, le ingiustizie, il miglioramento della condizione femminile. Mi firmavo spesso con lo pseudonimo di Mitra o di Alexandra Myrial (come uno dei miei personaggi preferiti de I miserabili di Victor Hugo). Approfondii le teorie del filosofo Meh-Ti e la filosofia giapponese; scrissi alcune opere, frutto di innumerevoli ore di lavoro, ma grazie alle quali mi conquistai la stima dei circoli intellettuali. Alla fine Philippe mi chiese di sposarlo. Come potevo io, spirito libero e femminista, smaniosa di viaggi e conoscenze, innamorata dell'Oriente, diventare la tranquilla

moglie di un borghese? Misi subito le cose in chiaro con lui, ma non sentì ragioni e il 4 agosto 1904 ci sposammo al Consolato di Tunisi. Come previsto, nei panni della brava moglie caddi in depressione. I viaggi che Philippe organizzava nel deserto o a bordo del suo veliero non mi bastavano. La vita matrimoniale non mi bastava. Se ne fece una ragione e il 9 agosto del 1911 partii sul piroscafo La città di Napoli per un viaggio di studio in India, finanziato dal ministero della Pubblica Istruzione francese. Sarei dovuta rimanere 18 mesi, tornai dopo 14 anni. A Calcutta venni accolta negli ambienti universitari come una petite altesse; la mia fama di orientalista conquistò anche il principe ereditario del Sikkim che mi mise a disposizione una guida, un interprete e un insegnante di tibetano. Fu proprio nella città di Darjeeling che vidi per la prima volta in

lontananza le vette dell'Himalaya,”il paese delle nevi”, come lo chiamavano i tibetani. Anche in Nepal, nella città di Kathmandu, ricevetti una calorosa accoglienza: il marajà mi regalò una carovana di elefanti per poter viaggiare all'interno del paese. Sul dorso di uno degli animali ritornai nel Sikkim, dove conobbi il lama Aphur Yongden. Era la reincarnazione di un capo tibetano. Suo nonno era un Lama-stregone conosciuto per il potere di provocare e arrestare pioggia e grandine. Yongden divenne la mia anima compagna, la mia guida, il mio traduttore, la mia chiave d’accesso a un altro mondo. Lui aveva 14 anni, io 46. Il paese delle nevi continuava ad essere la mia ossessione. Venni a sapere che il tredicesimo sovrano del Tibet, il Dalai Lama, era in esilio nell’Himalaya, fuggito dal suo paese in guerra contro la Cina. Volevo incontrarlo, ma il Lama si rifiutava ostinatamente di ricevere donne straniere. Alla fine riuscii nel mio intento: gli portai una kata, la sciarpa bianca tibetana di buon augurio. Mentre lo ascoltavo parlare del Tibet sentivo che dietro quelle cime nevose esisteva un paese come nessun altro e il desiderio di raggiungerlo s'impossessò di me ancora di più. In quel momento stabilii qual era il “Grande Progetto” della mia vita: raggiungere Lhasa.

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A maggio di quell’anno entrai in un monastero buddhista sulle montagne al confine con il Tibet, a 3.500 metri di altitudine. Dormivo dentro una caverna, non possedevo nulla, vivevo della carità degli altri monaci. Sulla nuda roccia meditavo: così conobbi la vera natura degli elementi e mi addentrai sempre più profondamente nella dottrina religiosa. Studiavo anche la lingua, la grammatica e le vite dei mistici tibetani, le credenze, i riti magici e le pratiche esoteriche della Terra delle Nevi. Dopo due anni e mezzo di permanenza nel monastero, i monaci mi diedero il nome di “Lampada di Saggezza”. Yongden fu chiamato “Oceano di Pace”. Era il 1916, avevo 48 anni e i mesi previsti per il mio viaggio di studio erano trascorsi da un pezzo, ma non volevo tornare a casa. Senza chiedere il permesso alle autorità, entrai in Tibet per la prima volta. Fui scoperta e mi rimandarono in India dal governatore inglese, che aveva minacciato di espellermi con la forza. Stavo per perdere la speranza di poter raggiungere Lhasa: vagai allora per l’Impero celeste cinese, tra templi e monasteri, evitando gli orrori della peste polmonare e ignorando lo spettro di una guerra civile. Fui arrestata nuovamente nel tentativo di aggirare le frontiere e mi ammalai. Non mi concedevano i permessi necessari:

non si passa, mi ripetevano! Il Tibet era un regno proibito agli stranieri. Errai per quasi tre anni per deserti d’erba e di neve nel Gobi, scrutando i popoli, le loro usanze, i loro abiti, i loro suoni. Ero scoraggiata. Ma poi, quasi all’improvviso, mi ricordai che un filosofo conosciuto in Giappone mi aveva raccontato che, per sfuggire alla sorveglianza degli inglesi e raggiungere Lhasa, si era finto monaco cinese. Decisi che avrei fatto come lui: mi sarei travestita. Era l'ottobre del 1923 e per non attirare l'attenzione io e Yongden raccontammo a tutti che partivamo per una gita in montagna alla ricerca di erbe medicinali. Mi camuffai da pellegrina mendicante; Yongden sarebbe stato mio figlio, un giovane lama che io seguivo a Lhasa. Colorai la pelle del mio viso e delle mie mani con la cenere e la polvere di cacao; per simulare le lunghe trecce che portavano le donne tibetane, usai dei peli di yak che tinsi con inchiostro di china nero. Un paio di orecchini completavano l'opera: ero una vedova di un Lama-stregone. Il “Grande Progetto” era iniziato! Ci rendemmo subito conto che il viaggio da soli era un'impresa quasi impossibile. Il fiume Mekong ci faceva da guida, il monte Kha Karpo si ergeva davanti a noi. Erano tanti i pericoli che potevamo incontrare: ban-

diti, posti di blocco, terreni impervi, fiumi in piena, la neve, il gelo, il cibo che non sempre riuscivamo a procurarci. Percorrevamo itinerari non consueti per non essere riconosciuti e viaggiavamo soprattutto di notte, per evitare di essere scoperti. Dovevamo muoverci come fantasmi, invisibili agli occhi degli altri. Sbagliammo strada diverse volte.. Molti però furono i momenti di beatitudine: il cielo terso della montagna, la neve candida illuminata da un sole gentile, i piccoli villaggi vicino ai boschi, o anche bere una tazza di tè caldo con il burro di yak. Basta poco per essere felici in viaggio. Qualche volta riuscimmo a cucinare una minestra di erbe che trovavamo lungo il cammino. Per me il viaggio è approfondimento, esperienza fisica, intellettuale e mentale. Il viaggio è anche improvvisazione: alle volte, infatti, disperati per l’assenza di cibo, ci preparavamo una zuppa bollendo dei pezzi di cuoio tagliati dai nostri stivali. Attraverso le montagne il gelo era insopportabile tanto che fui sul punto di morire assiderata. Praticai la tecnica tummo, particolare respirazione in grado di riaccendere il fuoco interiore, e così il mio corpo riprese calore. Il nostro pellegrinaggio sembrava interminabile, eppure Lhasa si avvicinava sempre di più a noi. Gli ultimi momenti furono i più drammatici perché Yongden si ruppe una caviglia e dovemmo fermarci. Era impossibile proseguire la marcia sul ghiaccio in quelle condizioni. Non mangiamo né dormimmo per 6 giorni, prima di ripartire. Dopo 8 mesi di cammino, il palazzo sacro dei Dalai Lama comparve davanti a noi, come una visione. Eravamo allo stremo delle forze, ma ce l'avevamo fatta. Io, unica donna occidentale, ero arrivata nella città santa vietata agli stranieri. Il mio scopo era stato raggiunto. Lasciai Lhasa dopo 4 mesi per far ritorno in Europa. Il 10 maggio del 1925 sbarcai al porto di Le Havre: mi festeggiarono come un’eroina nazionale e il mio viso raggiante andò sulla copertine di tutti i giornali, dove fui ribattezzata come “la

donna sul Tetto del Mondo”, “la conquistatrice della città proibita”. Pubblicai libri, saggi, romanzi, ero richiesta ovunque ad incontri e conferenze in sale stracolme di folle deliranti. Ripartii per altre mete, il Marocco, e di nuovo la Cina, e all’età di 100 anni chiesi e ottenni che mi venisse rinnovato il passaporto. Morii l'anno dopo, l’8 settembre del 1969, ma mi aspettava un ultimo viaggio: le mie ceneri vennero sparse insieme a quelle del mio amato Yongden nel fiume Gange, in India. Tutto ciò che doveva essere fatto era stato realizzato.

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Alessia Knulp


in viaggio con il mio zaino

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Hanami: la fioritura dei ciliegi in Giappone Un viaggio nelle tradizioni giapponesi a Kyoto e Nara

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Come splendente corolla in fiori Splendente fiorisce Nara la capitale. (Ono no Oyu, Manyoshum III, 328)

HANAMI: GUARDARE I FIORI periodi migliori per visitare il Paese del Sol Levante sono indubbiamente l’autunno, quando i paesaggi si infuocano grazie al foliage dei momiji, gli aceri giapponesi, e in primavera, nel periodo di fioritura dei sakura, ovvero dei fiori di ciliegio. Con l’arrivo della bella stagione, strade, parchi, giardini, si colorano di rosa pastello e la gente, dopo mesi di freddo, torna a godersi l’aria aperta. C’è un’attività molto apprezzata in Giappone a cavallo tra fine marzo e inizio aprile: hanami, cioè “hana” fiori e “mi” guardare. Consiste nell’andare ad ammirare, appunto, la fioritura dei ciliegi, mentre si fa un picnic con la famiglia in un parco, immersi nel rosa e nella natura, bevendo sakè e gustando il sakura mochi, un dolce di anko, pasta di fagioli, e riso pressato e avvolto in una foglia di ciliegio salata. Sushi, matcha e hanami dango (polpettone di riso) sono tra gli altri piatti tipici da gustare all’ombra dei sakura.

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LE ORIGINI E LA LEGGENDA L’usanza dell’hanami sarebbe nata nel periodo Nara (710-784), durante il quale il Giappone subiva la forte influenza della dinastia cinese Tang, una delle più ricche culturalmente dell’Impero di Mezzo, nonché quella che accettò e diffuse il Buddhismo indiano. All’epoca l’hanami faceva riferimento all’ammirazione dei fiori di ume, cioè di pruno, che sbocciano quando a terra c’è ancora la neve e simboleggiano la tenacia ma anche la delicatezza. Più tardi, nel periodo Heinan, dopo secoli di influenza mandarina e di rapporti commerciali e culturali con la Cina, il Giappone decise di interrompere gli scambi e di concentrarsi su tutto ciò che era prettamente locale. L’attenzione dell’hanami fu quindi spostata sui fiori di ciliegio, i sakura. Secondo la superstizione locale in questi alberi si nascondevano delle divinità, kami, che indicavano il momento propizio per la semina del riso con lo sbocciare dei sakura, due eventi naturali che cadono nello stesso momento. La leggenda vuole che i petali caduti a terra si trasformino in chicchi di riso. Nacque così l’usanza di osservare i fiori per prevedere l’andamento del raccolto, che veniva propiziato con offerte ai kami ai piedi degli alberi.

All’epoca l’hanami simboleggiava la prosperità, mentre oggi il significato ricade sulla rinascita. L’hanami era apprezzato non solo dagli agricoltori, ma anche nella corte degli imperatori da poeti, musicisti e artisti; i sakura venivano venerati mischiando vita e arte durante uno dei regni culturalmente più fecondi del Giappone. Avvenne grazie all’imperatore Saga (786842): dopo che ebbe piantato un ciliegio nel giardino del palazzo imperiale al posto del pruno, invitò i cortigiani ad ammirare la fioritura bevendo sakè e declamando haiku, componimenti poetici. Oltre al significato della rinascita improvvisa e della caducità della vita incarnata dalla caduta precoce dei petali, i sakura hanno anche un’importanza religiosa secondo il buddhismo. I cinque petali indicano i cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria, etere) e i cinque orienti (nord, sud, est, ovest, centro) Nel periodo Edo (XVII-XIX secolo) l’evento venne aperto a tutti i nipponici e divenne festa nazionale grazie allo shogun Tokugawa Yoshimune. Migliaia di sakura vennero piantati in tutto l’arcipelago e oggi allietano la primavera non solo dei giapponesi ma dei turisti provenienti da tutto il mondo.

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VIAGGIO NELLA STORIA GIAPPONESE: KYOTO E NARA L’hanami si può svolgere in qualsiasi luogo del Paese del Sol Levante, tanto è diffusa questa tradizione. Tokyo, nonostante sia una delle metropoli più grandi del mondo, è costellata di parchi nei quali è possibile sedersi a fare un picnic in puro stile giapponese. Oggi però mi soffermerò a parlare della regione centrale del Giappone, il Kansai, che include due delle città più importanti del Paese: Osaka e Kyoto. Ci sono inoltre l’antica città dei cervi e dei templi, Nara, il castello di Kobe, il lago sacro Biwa e il cammino per pellegrini nella penisola di Wakayama. Osaka è una città moderna che conserva ancora il bellissimo castello risalente al XVI secolo e costruito su ordine di Toyotomi Hideyoshi. A pochi anni dalla sua morte la fortezza fu assediata e conquistata dalle truppe dei Tokugawa. Tuttavia nel parco all’interno delle mura rimane un altare dedicato al primo costruttore e circondato da ciliegi che in primavera fioriscono in una nuvola rosa. Il castello è un palazzo bianco con i tetti verdi e le rifiniture dorate oggi adibito a museo, con annessa terrazza panoramica sull’irregolare squallore di Osaka, tagliata qui e lì da vie commerciali coperte e bettoline fumose e colorate, dove brindare con un bicchiere di sakè caldo prima di visitare la vicina Kyoto. KYOTO - LA CAPITALE STORICA Kyoto fu la capitale del Giappone per più di un millennio. Venne risparmiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e, per questo, è una tappa imprescindibile se si amano storia e tradizioni nipponiche. È anche conosciuta come “la città dei mille templi” per un giusto motivo. Ogni tempio, inoltre, ha un parco nel quale ammirare la fioritura degli alberi in primavera o immergersi nel vermiglio delle foglie d’acero in autunno. A Gion, il quartiere più famoso di Kyoto, tra casette in stile tradizionale e templi rossi,

si aggirano le geika (le geishe) e le maiko sui loro altissimi zoccoli di legno. È forse il primo luogo da visitare in città: le vie storiche che da qui si inerpicano fino al tempio di Kiyomizu (Kiyomizu-dera) sono costellate di casette di legno e finestre in carta di riso, al centro di un giardino di ghiaia dietro un cancello di legno, ognuna con il suo cespuglio e l’acero nodoso tipico del Giappone. Un tempo vi viveva l’elitè del Paese, mentre oggi sono adibite a ristoranti e hotel per turisti abbienti. Il Kiyomizu-dera è sulla sommità di una collina dalla quale si può ammirare il panorama di Kyoto. Resta impressa la sua pagoda vermiglia e il tempio emananti una forte spiritualità, con i fedeli che venerano spiriti e antenati cantilenando mantra. Scalzi e silenziosi, tutti i visitatori si inchinano ai Buddha dorati e ai monaci con gli zoccoli di legno, qualcuno fa suonare un’immensa campana tibetana dal gong penetrante. Non importa a quale religione si appartenga, chiunque sotto il suo tetto sente, senza bisogno di ordini, di rispettare quel posto antico di secoli scampato a vari incendi e ad altre calamità. Ancora più pittoresco, sebbene meno intenso da un punto di vista spirituale, nella zona sud-est di Kyoto sorge il Fushimi Inari, famosissimo luogo il cui sentiero è coperto di tori (i portali rossi dello shitoismo). Visitarlo significa camminare nei boschi su e giù per la collina disseminata di statue di volpi con il bavaglio rosso e innumerevoli santuari formati da lastre con iscrizioni. Da alcuni punti è possibile osservare tutta Kyoto dall’alto. L’inizio del sentiero è affollato come una via commerciale, ma più si sale, meno gente si incontra e i pochi che arrivano in cima si fermano a pregare. A un chilometro dall’entrata del Fushimi Inari c’è il tempio Zen Tokufu-ji, il “tempio della fortuna dell’est”, famoso per i ciliegi e gli aceri rossi, così da rendere il parco indimenticabile nelle due mezze stagioni: in primavera sembra di entrare in una nuvola pastello, mentre in inverno il burrone dinanzi

al tempio si infiamma. Insieme ai colori della natura si alternano grigi giardini zen, celebri per la loro essenzialità: ghiaia, sette massi, un acero nodoso, il tutto da contemplare con una sensazione di vuoto. Un altro tempio che vale la pena visitare è il Kodai-ji, che venne costruito su ordine della monaca Kodai, vedova di Toyotomi Hideyoshi dopo la morte in battaglia del marito. Un piccolo centro di costruzioni in legno dalle ante scorrevoli, tra cui il tempio che ospita i resti del monaco fondatore, il soffitto del quale è tappezzato è stato ricavano dal tettuccio della carrozza di Kodai e dal telaio della nave dello Shogun; più oltre due casette per la cerimonia zen del tè, ora vuote eccenzion fatta per le stuoie a terra, abbracciate da un lato da una piccola foresta di bambù. Alla cinque il tempio chiude, lo si capisce da un monaco lontano che con un tronco batte una campana di bronzo a intervalli regolari, lunghi, in una serie di cupi gong, mentre il sole scende oltre Kyoto ancora una volta. Il Palazzo dello Shogun è nel centro di Kyoto: è un enorme edificio di legno in mezzo a un parco di vialetti di ghiaia dai quali, nei secoli, i cortigiani prima e i turisti poi hanno ammirato la fioritura di susini e pruni che sbocciano a fine inverno in uno scenario fangoso fino all’arrivo della primavera e dei sakura. Il palazzo è visitabile anche all’interno ed è un must se si vuole vedere come viveva il personaggio più potente dell’arcipelago. Ciò che si immagina del Giappone è racchiuso qui: le pareti sono formate da telai in legno e spessa carta di riso, contro gli spifferi di vento gelido. Si cammina scalzi sulle stuoie di bambù mentre si osservano le spoglie stanze dove lo shogun accoglieva gli ospiti, le pareti rivestite di foglie d’oro con dipinti diversi per ogni stanza: tigri in quella d’attesa per intimidire gli ospiti, paesaggi dei laghi in tutte le stagioni, ciliegi in fiori, aceri, falchi come simbolo del potere e altre migliaia di elementi naturali, in un rapporto armonico e

continuo tra uomo e natura. A Kyoto c’è molto altro da visitare, oppure basta perdersi per le vie artistiche o quelle del cibo. Persino nelle strade residenziali si nascondono altari e templi e davanti a ogni casa, la statua di un procione, personaggio del folklore giapponese, saluta i passanti. La sera ci si può perdere per le vie attorno a Shiyoji, entrare nei vicoli secondari e farsi sedurre dalla lanterna che più si preferisce, scostare la tenda e ordinare del sakè, mentre giapponesi alticci ti offrono cibo e ti riempiono di domande e foto. Pochi giorno a Kyoto non bastano: è come se sotto la fredda armonia di questa città, si potesse sentire ribollire la passione. Non per nulla è stata per secoli la capitale del mondo fluttuante, il mondo del piacere. Il mio viaggio a Kyoto si conclude al Nishiki Market, dove è possibile assaggiare di tutto: yakitori (palline di polpo), spiedini di polipetti o di pollo, il sushi e il sashimi più buoni del mondo con riso e pesce che si sciolgono in bocca (per soli 6/7 euro), frutta secca, dolci al matcha (tè verde giapponese), il velenoso fugu (pesce palla), ostriche, castagne. A dir la verità tutta Kyoto è il paradiso del cibo: attorno a Shijoji e a Gion è pieno di ristoranti che vanno dall’economico al lussuoso, dove mangiare di tutto: ramen, udon, soba, sushi, otonoyaki (frittatona alla piastra con dentro quello che vuoi), e per le strade intorno alle attrazioni turistiche si possono provare gli spiedini di passerotto, i mochi (dolcetti di farina di riso) frutta candita, torte al matcha, gelato al matcha, snack al matcha, biscotti al matcha, latte al matcha, matcha al matcha…

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NARA - LA CITTÀ DEI CERVI Dal 710 al 794 Nara fu capitale dell’impero giapponese per ordine dell’imperatrice Gemmei, che durante il suo regno fece fiorire molte scuole buddhiste con la conseguente costruzione di innumerevoli templi, molti dei quali ancora in piedi o ricostruiti nei secoli posteriori. Nel periodo Nara si succedettero sovrani che professavano il buddhismo e la città ne è tutt’oggi un nucleo importante, sebbene la maggior parte degli edifici storici, come nel resto del Giappone, sia stata rasa al suolo dagli incendi. La capitale fu spostata a Kyoto quando le varie sette buddhiste raggiunsero un livello di potere troppo influente per essere accettato dalla corte e nei secoli seguenti rimase soltanto un polo religioso senza più autorevolezza sulla corona. Uscendo dalla stazione di Nara, basta seguire il flusso di gente per andare verso il famoso Nara Koen, il parco, uno degli spot migliori di tutto il Giappone per l’hanami. Vale la pena visitarlo in qualsiasi momento dell’anno, per immergersi nella storia nipponica e per godersi la compagnia dei suoi abitanti: i piccoli cervi che mendicano deer biscuits e altro cibo dai turisti in cambio di foto. Il parco è una riserva protetta di questi animali i quali, si dice, un tempo occupavano tutti i monti circostanti. Oggi possono essere trovati solo nell’immenso parco cittadino. Il tempio più noto di Nara è il Todai-ji (Grande Tempio dell’Est) costruito nell’VIII secolo. Fu vittima di incendi tre volte e tutte e tre le volte venne ricostruito in una versione più piccola. La costruzione attuale risale al XVIII secolo. Le due pagode che un tempo stavano ai lati non sono state ricostruite. Una guida gratuita che parla inglese è in attesa di turisti incuriositi dalla storia del tempio, a cui racconterà come il sito sia una commistione di stili. Non sorprendono le decorazioni cinesi, soprattutto in virtù del fatto che nel periodo Nara il punto di riferimento religioso e culturale era la Cina della dinastia Tang, ma trovare i bassorilievi di leoni persiani sugli in-

censieri all’esterno del tempo lascia a bocca aperta. All’interno, su un grande piedistallo a forma di fiore di loto con incisi mantra, c’è un Buddha di sedici metri. Una delle colonne portanti sulla destra ha un foro della stessa dimensione di una narice della statua. Si dice che chi riesca a passarvi dentro raggiungerà il Nirvana velocemente. Per gli adulti è un po’ faticoso, ma qualcuno vi riesce. Il Museo Nazionale di Nara, sebbene abbastanza piccolo, espone statue religiose vecchie di un millennio e contiene anche una bellissima collezione della Bodhisattva Kannon (la dea Guangyin in cinese ovvero l’Avalokitesvara degli indiani e dei tibetani), che con le sue migliaia di braccia e le innumerevoli teste, ha fatto voto di rimanere sulla terra sino a che l’ultimo essere umano non abbia raggiunto la liberazione. Insieme a questa esposizione, è possibile osservare le tecniche di lavorazione delle varie sculture dal bronzo, al legno, alla lacca. I visitatori preferiscono dedicare a Nara un solo giorno, mentre si passa da Kyoto a Osaka (collegate da un treno veloce che copre i chilometri in meno di un’ora), ma se si decide di rimanervi più a lungo ci sono abbastanza siti da visitare, nonché le rovine dell’antico palazzo imperiale subito fuori città. Inoltre, grazie alla vicinanza a Osaka, è in una posizione di privilegio per visitare il Kansai o prendere uno shinkansen, un treno “proiettile”, e visitare il resto del Giappone. Alessandra Nitti

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mpermanenza è una riflessione sulla transitorietà delle situazioni e fa riferimento a un particolare periodo di transizione in cui sono tornata a vivere nel luogo delle mie origini, l’Alto Adige, dopo una lunga assenza. Il cambiamento causa sofferenza ed ansia ed è ciò che ho provato nei mesi scorsi. A stretto contatto con la natura, predominante nella mia regione, ho sentito l’esigenza di trovare un nuova dimensione nei luoghi dell'infanzia. Il continuo abbandonarsi del mio corpo sulle cose che mi circondano mostra il forte senso di impotenza avvertito di fronte a questo cambiamento. Elisa Rapisarda

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IMPERMANENZA

foto reportage

La transitorietà è l’unica costante


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la scienza della vita: ayurveda

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Pulizia dei 5 corpi per lo yoga e l’ayurveda

Secondo lo yoga e l’ayurveda siamo composti da cinque corpi, chiamati Kosha, e oggi scopriremo come applicare “Saucha” a ciascuno di questi. Saucha è uno dei Niyama e letteralmente significa pulizia e purezza di mente e corpo. Perché è così importante?

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ominciamo ad osservare cosa siamo: siamo un corpo, una mente, siamo energia, intelletto e siamo un'anima. INFATTI SECONDO LA FILOSOFIA YOGA I 5 KOSHA SONO:

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Anamaya kosha

corpo fisico

2 Pranamaya kosha

corpo energetico

3 Manamaya kosha

corpo della mente

4 Vijunamya kosha

corpo dell'intelletto

5 Anandamaya kosha corpo dell'anima

L'obiettivo finale è raggiungiungere purezza nell’anima ma, prima di tutto, dobbiamo pulire i quattro kosha più superficiali per raggiungere uno stato di felicità, concentrazione e calma, per essere padroni dei nostri sensi e avere la capacità di essere testimoni di noi stessi. "Saucha" è menzionato negli Yoga Sutra di Patajali 2.40 e 2.41. Sutra 2.40: saucha sva-anga jugupsa parai asamsarg “Attraverso saucha, si sviluppa un atteggiamento di distacco o disinteresse verso il proprio corpo e quello degli altri.” Sutra 2.41 Sattva Shuddhi Saumanasya Ekagra Indriya-jaya Atma Darshana Yogyatvani Cha “Attraverso saucha anche la sottile essenza mentale (sattva) viene purificata, si acqui-

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sisce beatitudine, piacere, gioia di vivere, si acquisisce concentrazione, si padroneggiano i sensi e si ottiene la capacità di auto-comprensione e realizzazione.” Quindi, leggendo questi due sutra, possiamo comprendere l'importanza della pulizia del corpo e della mente. Consegue che si smette di essere ossessionati per il proprio corpo e per quello degli altri. Ci dissociamo da esso e ci dirigiamo verso la purificazione dell'anima. Analizziamo insieme come poter purificare e mantenere puliti tutti i kosha. ANAMAYA KOSHA Anamaya kosha è il corpo fisico, chiamato anche "corpo del cibo". “Siamo ciò che mangiamo” Quante volte abbiamo sentito questa frase?

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Cibo È molto importante nutrire il nostro corpo con la giusta quantità di cibo sano. Senza una corretta alimentazione avremo una mancanza di energia e saremo soggetti ad ammalarci. Tutto ciò rischia di fermarci nel nostro progresso. Quindi mangiare sano è essenziale: ci sono molti consigli nell'Ayurveda per costruire una dieta personale, basata sul nostro dosha. È essenziale introdurre una routine quotidiana ricca di cibi sattvici. Consiglio di parlarne con un esperto e trovare la dieta che si adatta di più alla tua costituzione. Tratto digestivo L'apparato digerente gioca un ruolo cruciale nel processo di purificazione. Dobbiamo introdurre cibi sani e il tratto digestivo deve funzionare correttamente. Per stimolarlo, possiamo fare alcune asana o pulire il colon e l'intestino attraverso alcuni “Kriya”, tecniche di pulizia.

Pulizia del corpo Fare la doccia e lavarsi i denti non basta, secondo la tradizione ayurvedica sono tante le tecniche di pulizia che ancora non sono note a tutti ma che hanno un grande impatto sulla salute. Pulire il naso e la lingua, per esempio. Per la bocca possiamo fare degli sciacqui con dell’olio (come fosse colluttorio) al mattino appena svegli e tenerlo per 10-15 minuti senza deglutire. Così facendo si eliminano i batteri che si formano di notte. In seguito spazzolare la lingua con un “gratta lingua”. Per le narici possiamo mettere un po' di ghee all'interno e applicare la tecnica Jala Neti (acqua tiepida e salata attraverso il naso). PRANAMAYA KOSHA Pranamaya kosha è il corpo energetico. Esercizi di respirazione (Pranayama) La tecnica del pranayama permette al prana (flusso di energia vitale) di entrare nel nostro corpo. Molto efficace è il Nadi Shodana, respirazione per narici alterne, perché agisce sui canali energetici e permette che l’energia kundalini fluisca senza intoppi. Sistema chakrale I chakra sono ruote d’energia e, per mantenerli puliti e permettere alla kundalini di salire, devono essere sempre sbloccati. Esistono svariate tecniche per ogni chakra, con alcune asana e pranayama specifici. MANAMAYA KOSHA Manamaya kosha è il corpo della mente. L’importanza di un buon ambiente È importante, prima di tutto, evitare gli stimoli negativi, le vibrazioni negative e le persone "tossiche" che non aggiungono nulla alla nostra vita e cercano di portare via la nostra energia. Anche l'ambiente che ci circonda va tenuto pulito: la casa e il mondo in

generale. Quindi mantieni la tua casa in ordine e non creare rifiuti in eccesso, cerchiamo di avere rispetto per ciò che Madre Terra ci dona. Paranayama Il pranayama agisce sul sistema nervoso e una tecnica molto potente è il Kapalabhati, respirazione di fuoco; "kapal" significa lobo frontale del cervello e "bhati" significa illuminare. Una pratica efficace per schiarire la mente.

che di pulizia e la tua vita cambierà. E se hai voglia di introdurre l’Ayurveda nella tua vita, contattami via mail fabsfreehappysoul@gmail.com. Fabiola Falcone

Sistema nervoso Non solo i pranayama agiscono sul sistema nervoso ma anche molte asana, cioè le posizioni yoga. Per esempio, quando manteniamo una posizione alleniamo il nostro corpo a gestire lo stress, attraverso la respirazione e la concentrazione. È un allenamento per vivere meglio e ci aiuta a gestire le situazioni più difficili. VIJNANAMAYA KOSHA Vijnanamaya kosha è il corpo dell'intuizione. Mentre per i primi tre kosha la purificazione avviene attivamente, per gli ultimi due è passiva, è una conseguenza. Ora che il corpo, la mente e l’energia sono puliti, possiamo sederci e permetterci di meditare. Avviene naturalmente e attraverso la meditazione possiamo raggiungere uno stato di purezza, in cui tutto viene cancellato e ci si trasforma in ​​un diamante. ANANDAMAYA KOSHA Anandamaya kosha è il corpo dell'anima. Quando siamo in questo stato al pari di diamanti raggiungiamo beatitudine e felicità, saggezza e libertà. La nostra anima è pulita, chiara e riflette la realtà. Ora che sai come pulire tutti i tuoi kosha, inizia oggi stesso a introdurre queste tecni-

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scoperte e sapere

Le forbici molecolari e l’ingegneria del DNA 36

La scoperta di Emmanuelle Charpentier, premio Nobel 2020

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Autore: Eva-Maria Diehl © Emmanuelle Charpentier "Picture by Hallbauer & Fioretti", Braunschweig

Nel 2020 il premio Nobel per la chimica va a una scienziata francese: Emmanuelle Marie Charpentier, grazie alla scoperta delle CRISPR/Cas9.


mmanuelle Marie Charpentier è nata in Francia nel 1968. Biochimica, genetista e microbiologa, dopo il suo dottorato a Parigi gira il mondo in camice bianco: prima negli Stati Uniti, poi in Austria e infine in Svezia, dove è professoressa presso l’Università di Umeå. Lì incontra un’altra scienziata, Jennifer Doudna, con la quale inizierà una proficua collaborazione destinata a rivoluzionare la biologia moderna. Dall’ingegno di due grandi donne di scienza nasce infatti una tecnica innovativa di ingegneria genetica, oggi ampiamente usata in tutti i laboratori del mondo. Si tratta delle “forbici molecolari” CRISPR-Cas9.

munitaria risulta così in un taglio della sezione di DNA virale ad opera di una “forbice molecolare”: la proteina Cas9, che significa appunto proteina associata alle CRISPR.

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CRISPR-CAS9: IL SISTEMA IMMUNITARIO DEI BATTERI A SERVIZIO DELLA SCIENZA Come spesso accade nel mondo della ricerca, Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna si incontrano ad una conferenza nel 2011 e da allora iniziano a lavorare insieme, studiando in particolare il sistema immunitario batterico. I batteri e virus, come gli esseri umani, necessitano di un sistema di difesa idoneo per proteggersi da agenti esterni e che hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione. Quando un batterio viene attaccato da un virus, il suo sistema immunitario incorpora frammenti del DNA virale all’interno del DNA batterico, generando così dei segmenti di DNA noti come CRISPR. CRISPR è un acronimo per brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari. Queste corte ripetizioni sono sfruttate in seguito dai batteri per riconoscere il materiale genetico di altri virus simili a quelli che hanno originato le CRISPR. In qualche modo, è come se i batteri acquisissero una “memoria” dell’attacco virale. Se il batterio viene nuovamente attaccato dallo stesso virus, il DNA virale rilevato lo aiuterà a riconoscere e neutralizzare l’intruso, trovando una compatibilità tra le due sequenze. La risposta im-

Meccanismo d'azione del sistema CRISPR-Cs9 (Fonti: Science Daily, Berkeley Lab)

Come gli anticorpi riconoscono e neutralizzano agenti patogeni, allo stesso modo il sistema CRISPR-Cas9 difende i batteri da ulteriori attacchi virali, costituendo così una forma di immunità acquisita. Nel 2012, le ricercatrici Charpentier e Doudna hanno ingegnerizzato ad hoc la proteina Cas9 in modo tale che possa riconoscere e tagliare qualsiasi sequenza di DNA. Sfruttando la precisione di taglio delle forbici molecolari, è oggi possibile, grazie al lavoro delle due scienziate, cambiare facilmente il codice della vita a scopo investigativo e terapeutico. Una metodica rivoluzionaria che ha visto esplodere il suo utilizzo in pochissimo tempo, con risultati e prospettive sempre più promettenti. 2020: IL PREMIO NOBEL E L’INIZIO DI UNA NUOVA ERA Per la scoperta delle forbici molecolari, Emmanuelle Charpentier è stata insignita, insieme a Jennifer Doudna, del premio Nobel per la chimica nel 2020. L’accademia reale svedese delle Scienze ha affer-

mato che le CRISPR/Cas9 “hanno portato le scienze della vita in una nuova epoca e, per molti versi, hanno apportato il massimo beneficio”. Viste le molteplici applicazioni, non possiamo che condividere a gran voce tale affermazione. Ricercatori di tutto il mondo hanno già usato le forbici molecolari per modificare sequenze di DNA in piante, animali e linee cellulari, in modo da poterne studiare il ruolo fisiologico e patologico. La più grande speranza per la medicina moderna è che CRISPR/Cas9 possa aprire le porte a nuove strategie terapeutiche sempre più sicure ed efficaci. Nonostante il Nobel e altri numerosi premi, il lavoro della Charpentier non si è mai fermato. Dal 2013, infatti, la scienziata francese è co-fondatrice di "CRISPR Therapeutics" ed "ERS Genomics", società biotecnologiche che studiano le applicazioni di CRISPR-Cas9 in campo biomedico e biotecnologico. Nel frattempo ha continuato a viaggiare, assumendo incarichi di insegnamento e ricerca ad Hannover e Brunswick e dividendo il suo tempo tra ben tre istituti in Svezia e Germania. Dal 2015 Emmanuelle Charpentier dirige l’Istitu-

to di Biologia delle Infezioni della società Max Planck a Berlino, città in cui è anche professore onorario presso l’Università Humboldt. Nel 2018, sempre a Berlino, fonda un istituto di ricerca indipendente, il Max Planck Unit for the Science of Pathogens, dove è direttore scientifico; nel 2020 le viene insignito il meritatissimo Nobel: il tutto a soli 52 anni. Mille parole non basterebbero per riassumere l’operato encomiabile di questa straordinaria donna di scienza. Guidata dalla passione e della perseveranza, ha abbattuto la concorrenza, affrontato numerosi espatri e compiuto una scoperta destinata a cambiare il futuro delle scienze biologiche. Come scienziata, expat e giovane donna, mi auguro che il suo operato possa essere d’ispirazione a molteplici ricercatrici in erba, in particolare a coloro che sono emigrate all’estero in cerca di prospettive migliori, facendo del viaggio e della scoperta continua la propria ragione di vita. Chiara Benedetto

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Cos’è il minimalismo e come può cambiarci la vita Guida pratica allo stile di vita del nuovo decennio

A chi non è mai capitato di sentirsi sopraffatto dal milione di cose da fare, dalle notifiche del cellulare, dai mille oggetti che ci ritroviamo dentro casa? Nella società odierna benessere e ricchezza hanno portato “troppo” nella nostra vita. Ciò che dovrebbe rendercela più comoda ce la sta invece complicando. Una soluzione c’è: il minimalismo, ovvero la semplificazione.

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l paradosso è che, nonostante il comfort e le opportunità di essere liberi e felici, ci sentiamo sempre più oppressi. Non a caso tra le malattie odierne più diffuse ci sono ansia e depressione. Inoltre, più possediamo cose e più vogliamo accumularne, più abbiamo impegni e più ne aggiungiamo. Corriamo sempre tesi verso una meta che non sappiano quale sia esattamente, immaginiamo un futuro roseo in cui tutto sarà calmo e tranquillo e, intanto, ci affanniamo dimenticandoci di vivere il presente. Eccediamo in tutto: negli impegni, negli stimoli, negli oggetti da accumulare, come se avessimo paura del vuoto e di rimanere anche solo un secondo con noi stessi. MENO OGGETTI PIÙ VITA Avere tanto ordine e spazio fuori aiuta ad avere più ordine e spazio dentro la testa. Meno oggetti significa avere meno preoccupazioni e meno cose di cui prendersi cura, ma non solo. Bisognerebbe essere minimalisti anche negli impegni: anziché dedicarsi a mille cose prosciuga-tempo, anziché dire di sì a tutto e a tutti, perché non dare la priorità a ciò che è davvero importante senza sprecare energia con attività che non ci portano da nessuna parte? Lo stesso vale per le

relazioni: invece di perdere tempo con quella persona che non ci piace più di tanto o stare ad ascoltare i ripetitivi lamenti altrui, potremmo tagliare i rapporti che non ci danno più nulla e curare di più quelli positivi e importanti per noi. Proprio come fanno gli alberi, che fanno cadere i rami secchi per nutrire quelli vitali. IL MINIMALISMO: LA STRADA VERSO LA RICCHEZZA Un altro vantaggio del minimalismo è che comprando meno oggetti si spendono meno soldi, quindi ci si può permettere il lusso di lavorare meno e di vivere di più. Pensaci un attimo: passi 40 ore al giorno a fare un lavoro che magari non ti piace, 5 ore in media di viaggio per e dall’ufficio e alla fine del mese, quando ricevi lo stipendio, cosa fai? Lo spendi in oggetti o ciarpame che non faranno altro che ostacolarti la vita. Ogni volta che fai acquisti non guardare il prezzo in euro, ma calcolalo in tempo. Quanti minuti della tua vita hai speso per comprare quella cosa che una volta utilizzata un paio di volte non ti soddisferà più e metterai in un angolo? Con quel tempo e quei soldi avresti potuto trascorrere un weekend avventuroso, tanto per fare un esempio. I grandi viaggiatori sono sempre dei minimalisti: per

loro il tempo vale più dei soldi e gli oggetti sono solo d’intralcio. Quando vedi persone che viaggiano full time, non pensare che siano figli di buona famiglia, pensa solo che hanno fatto delle scelte di vita. Sono ricchi, sì, ma di tempo. LA DIPENDENZA DA COSE Comprare oggetti costosi può essere controproducente. Un cellulare da 1000 euro può trasformarsi in dipendenza: cosa succederebbe se lo perdessi o lo rompessi? Hai impiegato quasi un mese della tua vita per comprarlo e ora non fai che assillarti con queste preoccupazioni. Ne vale davvero la pena? E la macchina o il mutuo? Diventano legami soffocanti vita natural durante, specie quest’ultimo. Comprarsi una macchina costosa o accendere un mutuo di quarant’anni significa dargli la priorità su tutto il resto. Passare il resto della vita a ripagare un prestito in banca ci costringe a quel lavoro di 40 + 5 ore e a veder passare l’esistenza davanti agli occhi senza davvero viverla, solo per avere un appartamento che non ci porteremo nella tomba. A questo punto sono le cose che possiedono noi e non viceversa. Naturalmente sono scelte personali: c’è chi il minimalismo gli ha cambiato la

vita, li fa sentire più leggeri sia nello spazio fisico che nelle scelte. Il possedere poco, il non avere grosse dipendenze esterne, gli consente di camminare liberi, di poter mollare tutto e di partire quando gli va. Avere meno oggetti significa avere più tempo per concentrarsi e per osservare a mente lucida la propria vita. Inizia il tuo viaggio verso il minimalismo seguendo questi semplici passaggi:

Il minimalismo è applicabile anche alle azioni quotidiane, non solo agli oggetti. Forse al momento ti sarà difficile disfarti di tante cose, ma vedrai che presto inizierai ad apprezzare questa libertà. Ora che è primavera e ci prepariamo alla rinascita è il momento perfetto per iniziare un nuovo stile di vita e fare una bella pulizia. Alessandra Nitti

1) Passa in rassegna tutte le cose che hai: vestiti, libri, oggettistica varia. 2) Metti in uno scatolone le cose che non usi da almeno sei mesi, in futuro potrai regalarle a chi ne ha davvero bisogno. 3) Getta via le cose rotte o inutilizzabili. 4) Elimina tutte le app inutili dal tuo cellulare e silenzia le notifiche, così da non essere distratta in continuazione. Non ce ne accorgiamo, ma ogni notifica ci distrae e ci riempie la testa di spazzatura. 5) Fai una lista delle tue abitudini quotidiane e cerca di eliminare quelle inutili e dannose, come dare ascolto a gente di cui non ti interessa davvero, scrollare la home dei social senza pietà e quant’altro.

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I segreti della felicità

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olto tempo fa ho scoperto i segreti della felicità e sai una cosa? Voglio condividerli con chi vuole ascoltarli, perché la felicità non è "qualcosa" di cui essere gelosa e invidiosa che qualcuno possa averne di più. Più felicità si crea attorno a te e più la qualità della vita migliora. Questi segreti sono molti, ma più semplici di quanto potresti pensare. Li scopriremo poco a poco. Sei pronta? "Sì, sono felice" e non è un segreto. Pochissime persone lo dicono, come se fosse un’emozione di cui avere paura, ma credimi, quando lo sei davvero non smetteresti mai di ripetertelo.

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SEGRETO NUMERO UNO: LA FELICITÀ È UNA CONQUISTA Prima di iniziare, ti sei mai chiesta cos’è la felicità? Io la identifico come la vita stessa: essere viva è un grande successo. Non è così? Qual è il prezzo da pagare? Non c’è un costo: forse bisognerebbe semplicemente cambiare prospettiva e iniziare a vedere la vita non come un sacrificio, ma piuttosto come una conquista. SEGRETO NUMERO DUE: LA FELICITÀ RISIEDE NEL CUORE Se cerchi la felicità, posso dirti che non la troverai. Non voglio scoraggiarti e ti invito a proseguire la lettura. Se sei abituata a pensare che la felicità sia "qualcosa" da cercare, allora inizierai a vedere se la trovi negli oggetti, nel lavoro, in un appartamento, in un partner, in un'altra persona. Tutto questo ti porta a condurre una vita in continua ricerca, attribuendo "qualcosa" alla felicità. Quando non ottieni quella cosa, ti assale un senso di insoddisfazione e dici che la felicità è un’invenzione La felicità, però, esiste ed è più vicina di quanto possa immaginare. Ascoltami, è lì, dentro di te. Non ci credi? Osservati bene. Invece di cercarla continuamente tirala fuori.

SEGRETO NUMERO TRE: LA FELICITÀ È ESSERE GRATI ED È NASCOSTA NELLE PICCOLE COSE. Corri e corri, vuoi sempre di più e pensi “quando otterrò quello sarò felice”, ma quando raggiungi quella meta, vuoi altro e ti spingi in una ruota continua senza essere mai contenta. Sii grata per quello che hai, osserva attorno a te: le persone a cui vuoi bene, il posto in cui vivi, il sole la mattina, il semplice battito cardiaco o la strada che hai percorso. Qualsiasi cosa che possa farti dire: “esisto”. Essere vivi non significa solo respirare, ma vuol dire essere grati delle piccole cose. Conquista la tua felicità assaporando il piacere di poter esserci, anche oggi, di aver potuto riempire questo regalo prezioso di momenti unici e inimitabili. Per essere felici spesso non c’è bisogno di molto, né di spendere soldi. Se ci pensi bene i momenti più belli della tua vita sono i ricordi più banali. Sono sicura che se chiudi gli occhi puoi sentire ancora il profumo del mare di qualche estate lontana o il sapore dei biscotti natalizi. SEGRETO NUMERO QUATTRO: È UNA COSTANTE E NEL MOMENTO PRESENTE Hai così tanto la testa nel futuro che dimentichi di vivere oggi e spesso pure il passato condiziona le tue scelte odierne: non è che se non hai mai fatto qualcosa, allora non puoi farla. Ogni giorno è un buon momento per ricominciare da zero. Hai a disposizione una vita in miniatura ogni volta che apri gli occhi alle prime luci, fanne buon uso. Immergiti nel “qui e ora” Il futuro usalo per sognare nel momento presente; se il domani è elemento d’ansia, perché perdere tempo? Se il passato è elemento di sofferenza, perché tornare con la mente fino a lì?

SEGRETO NUMERO CINQUE: LA FELICITÀ È UNA MENTE PULITA Ogni mattina puoi svegliarti con l’idea che hai un regalo tutto per te e la sera andare a letto con il sorriso sulle labbra, contenta di quello che hai fatto. Imparare a controllare la mente è fondamentale in questo processo, per far sì che non sia proprio lei a soffocare la felicità: la maggior parte delle volte che soffri è perché decidi di stare male. Davanti a qualsiasi situazione hai la possibilità di preoccuparti o di reagire, di colpevolizzarti o di accettare, di farti prendere dal panico o di cercare soluzioni. SEGRETO NUMERO SEI: LA FELICITÀ È SALUTE Ultimo segreto ma forse il più importante di tutti: la salute. E’ la base di ogni successo, senza di essa non puoi andare da nessuna parte. Se ti alimenti bene, mantieni uno stile di vita salutare, avrai più energia per godere di ogni piccola cosa della vita. Inoltre sorridere fa bene al cuore, alla mente e all’anima.

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Ti accorgerai che se ora ti dici:“sono felice” lo sei davvero. Sei viva. Puoi sorridere. E cosa conta di più? La felicità è la benzina delle emozioni, è un sentimento incondizionato, puro e proviene dritto dal cuore; è una conquista che facciamo, scavando dentro e tirandola fuori, nel momento presente, è nelle cose semplici, nella natura. Quando la vita è mossa dalla felicità, diventa magica. Mantienila sempre con te e lascia che ti accompagni nella più grande conquista di sempre: la tua meravigliosa vita. E adesso che conosci i suoi segreti, illumina ogni giorno con il sorriso, la tua luce. Perché te lo meriti. Perché ti meriti felicità incondizionata. Sempre. Fabiola Falcone


regalati un libro

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Recensione di Un inutile delitto di Jill Dawson

Per la rubrica regalati un libro, Alice Chimera ci porta nella Londra degli anni Settanta attraverso le parole di Jill Dawson. Una storia vera, una vita negata a una giovane donna vittima, ieri come oggi, della violenza della società patriarcale.

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C

i sono tanti libri che trattano storie realmente accadute. Ce ne sono altrettanti che parlano di donne assassinate senza che venga fatta giustizia. Uno solo però è stato scritto da Jill Dawson e questo lo rende unico. Oggi voglio parlarvi di una donna, che racconta un’altra donna, attraverso un libro approdato magistralmente alle nostre librerie italiane grazie a Carbonio Editore. “Un Inutile delitto” porta infatti alla ribalta una vicenda che tutti vorrebbero solo lasciare sepolta tra il gossip e i ricordi fluorescenti degli anni ’70.

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Seppur con qualche leggera libertà, l’autrice, ripercorre il tremendo omicidio di Sandra Rivett, uno scabroso evento che sconvolse Londra nel 1974: il rispettabile Lord Lucan, che l’aveva assunta come bambinaia, la percosse a morte per poi scomparire nel nulla, senza mai scontare una pena. Per quella storia, ancora oggi, i tabloid inglesi versano inchiostro, curiosi di poter trovare il nobile che la fece franca; nessuno però aveva finora dato voce alla vittima. In questo libro, finalmente, possiamo conoscere molti aspetti di Sandra e dei suoi ultimi giorni felici. Le storie di femminicidio per il 90% sono evidenziate

come evento di cronaca nera tralasciando, non solo l’orrore del gesto, bensì anche l’obbligo di fare giustizia. È raro poter leggerla o vederla raccontata attraverso “gli occhi” della vittima. Quanti casi di donne uccise da mariti vengono spesso proposti dai media attraverso i problemi della coppia? Scandagliando le vite di queste innocenti per trovare un perché, una colpa, o anche solo un fatto che attiri l’attenzione di un pubblico annoiato? Un voyeurismo moderno, dove “i panni sporchi” vengono mostrati in prima serata, accanto a scheletri dei loro armadi, che non mostra la parte umana della vittima, bensì presunti e imperdonabili errori. Quante donne riposano associate all’immagine di caso umano o di stereotipo che la tv e i giornalisti hanno trasposto a loro piacimento? Questo libro invece non lo fa. Sarebbe facile puntare il dito come gli altri, ma Jill Dawson non è quel genere di scrittrice. Lo si capisce dal tatto con cui viene trasposta Sandra nella suo alter ego. Mandy non viene infatti raccontata come protagonista assoluta della vicenda, anzi viene affiancata da Rosemary. La co-protagonista, oltre a raccontarci Mandy attraverso i suoi occhi, ha anche il delicato compito di

portarci in un’Inghilterra di donne emancipate che vorrebbero l’indipendenza, ma si devono ancora scontrare con un mondo fatto di uomini. Sono gli anni in cui violenze e soprusi restano un passaggio obbligato per troppe donne che amano con il cuore e che puntualmente si trovano usate da uomini che cercano solo sesso senza essere ricambiate. La vicenda è ambientata a Londra, la stessa patria di Mary Poppins. Anche Mandy è una bambinaia, figura fondamentale per le famiglie dell’alta società inglese che ancora non abbandona la tradizione per cui i bambini, per crescere meglio, necessitano di specifiche figure esterne. Non è una famiglia felice quella che aspetta Mandy. Lady Morven (che nella realtà sarebbe la moglie del conte Lucan) è succube del marito, imprigionata in una relazione tossica. Insomma la vita non è facile nemmeno se si ha un lussuoso tetto sopra la testa. Il romanzo non lascia troppo spazio all’omicidio e, come vi ho anticipato, oltre a raccontare le donne, dona voce a Sandra. Eppure grazie a lei fa eco a tutte quelle rimaste mute per sempre, anche quando era loro diritto gridare “Giustizia!”. Mandy è una ragazza

semplice, con un passato complesso che le ha fatto assaggiare l’avanzo amaro di un pasto altrui. Nella ricerca del riscatto, inizia una nuova vita lavorando come bambinaia. Il lettore che ascolta la sua voglia di vivere non è quindi pronto a vederla scendere quelle dannate scale da cui non emergerà più. Un libro potente che si può leggere pian piano o anche tutto d’un soffio. Ma a prescindere, una volta divorata l’ultima pagina, resta solo la foto in bianco e nero di una donna che oggi sarebbe potuta essere una nonna orgogliosa. Invece riposa sotto terra, mentre là fuori nel mondo, Lord Lucan forse continua a vivere sotto la luce di un sole che ha negato a Sandra. Una lettura che spinge anche i lettori che (come me) non conoscevano questa storia a informarsi, a guardarsi intorno, perché il colpevole potrebbe davvero essere ovunque. Ed è anche innegabile che, in fondo, tutti vorremmo che a questa storia ne seguisse un lieto fine. Ideale per chi cerca un libro capace di scagliarlo nelle atmosfere dei fluorescenti anni Settanta, dove si sentono cantare gli Abba e Diana Ross, dove vorremmo che fosse tutto bello come i ricordi, ma che è tristemente macchiato di sangue e omertà.

TITOLO: Un inutile delitto AUTORE: Jill Dawson EDITORE: Carbonio editore PAGINE: 298 PREZZO: 17€ (cartaceo) oppure 8.99€ (e-book)

Alice Chimera

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storie di cambiamento

Chiacchiere con Penelope è partita 52

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Migrazione e femminilità sono due dei temi più importanti dei giorni nostri. Le tre ragazze di “Penelope è partita” vi dedicano anima e corpo con il loro progetto, dando il loro supporto alle donne italiane emigrate.


1. CIAO RAGAZZE E BENVENUTE. RACCONTATECI DI COME NASCE “PENELOPE È PARTITA” E QUALI SONO I SUOI OBIETTIVI. Penelope è partita nasce nel 2019 da un’idea di Lorena e Francesca, un anno dopo si unisce Hanan. Dopo diversi anni vissuti lontano da Bologna, decidiamo di unire le passioni per la scrittura e la ricerca in campo migratorio per parlare del principale problema dei giovani italiani in questi decenni: l’esodo all’estero. Vogliamo creare una voce nuova sull’emigrazione italiana, una narrativa che non parli solo di sbarchi e che ci ricordi che gli italiani non hanno mai smesso di andarsene, ma soprattutto, un racconto che veda le donne emigrate come protagoniste e narratrici. In questi ultimi cinquant’anni il ruolo delle donne nella società è cambiato moltissimo e Penelope è partita si propone di inserire l’esperienza delle donne italiane emigrate sul cammino dell’Italia che cambia.

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2. Che tipo di tematiche trattate? Le donne che intervistiamo ci parlano di tante esperienze diverse tutte legate alla loro migrazione. Il rapporto con la famiglia e il posto di origine, il senso di straniamento all’estero, come creare una casa lontano da casa, come si mantengono i legami, come si reinventa un progetto di vita giorno dopo giorno. Tutte le storie che raccontiamo e pubblichiamo sono fili diversi che si intrecciano sullo stesso telaio, sono tutte particolari, uniche, ma anche facilmente condivisibili. Ritroviamo sempre un po’ di noi in quello che le altre raccontano e speriamo che possa essere così per molte persone. 3. Su quali valori si poggia il vostro blog? Penelope è partita si ispira a valori femministi e antirazzisti. Per molti decenni il ruolo della donna e delle persone migranti nella società italiana è stato oggetto di una rappresentazione distorta che rafforza lo status quo. Il nostro obiettivo è sfidare questa narrazione, proponendo un’alternativa pratica,

una storia diversa, che informi, generi tante domande e metta in questione quello che diamo per scontato.

l’Italia contemporanea e la figura femminile servono storie diverse di donne diverse: Penelope è partita è uno spazio per ascoltarle.

4. COME AVETE INIZIATO? AVETE PROGETTI FUTURI? Penelope è partita è un progetto in divenire. Abbiamo deciso di iniziare aprendo un blog e pubblicando le storie delle persone che si vogliono raccontare. Le donne ci contattano, chiacchieriamo, scriviamo le interviste e le pubblichiamo. Dopo alcune interviste abbiamo notato dei temi ricorrenti nelle esperienze di tutte. Sul sito internet c’è anche una sezione di racconti brevi che riprende questi temi, sono scritti in prima persona dalle donne stesse senza intermediazioni. È una sezione dove si dà voce direttamente all’intervistata ed è interessante notare come persone diverse sviluppino gli stessi temi in maniere completamente distinte. In futuro ci piacerebbe che questi racconti possano diventare parte di un’antologia, un po’ sul genere di Donne dagli occhi grandi di Angeles Mastretta.

6. COME POSSONO LE LETTRICI CONTATTARVI PER RACCONTARE LE PROPRIE STORIE? Non abbiamo solo un blog, siamo anche su Spotify, Instagram, Facebook e Twitter. Ci potete contattare in inbox su uno di questi canali o scriverci direttamente a info@penelopepartita.it o visitare il sito: www.penelopepartita.it

5. LA FIGURA FEMMINILE STA CERTAMENTE CAMBIANDO. PENSATE CHE PENELOPE È PARTITA ABBIA CONTRIBUITO A QUESTA RIVOLUZIONE IN ATTO? I cambiamenti della partecipazione e della percezione della figura femminile negli ultimi decenni sono stati enormi, ma c’è ancora molto da fare. Cominciando dalla definizione stessa di femminile, per esempio. Penelope è partita si inserisce in questi cambiamenti e ci piace pensare che, dando voce a esperienze diverse, stiamo anche decostruendo una narrazione stereotipata e piatta delle donne. Per allontanarci dagli stereotipi e comprendere i fenomeni complessi abbiamo bisogno di storie diverse, di narrazioni che partano da più punti di vista. Chimamanda Adichie mette in guardia dai pericoli della narrazione della storia unica, terreno fertile per qualsiasi tipo di razzismo. Per comprendere meglio

Emilia Cuzzocrea

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arte

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Collage della collezione Mis Mujeres Q

uattro collage della collezione Mis Mujeres, che rappresentano donne nelle quali ognuna di noi potrebbe riconoscersi. Flor Rajo, fotografa a Palma di Maiorca, ci propone quattro pezzi della sua collezione “Mis Mujeres” tra oltre 50 collage fatti a mano e realizzati tra il 2014 e il 2017. Da quando ha iniziato gli studi in fotografia, si interessa di raffigurazioni surreali

e della loro creazione. Dopo aver praticato a lungo esposizioni multiple e fotomontaggio, quasi senza rendersene conto si è ritrovata a tagliare e incollare riviste, sovrapponendo le immagini. L’idea alla base del progetto è che ci sia sempre una donna che si possa rispecchiare o identificare con una di queste rappresentazioni femminili. Flor Rajo

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Mujer con gafas (donna con gli occhiali) Una visione astratta di una figura muliebre che si lascia tutto alle spalle per poter proseguire e andare avanti.


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Ella esconde el reflejo del alma (Lei nasconde il riflesso dell’anima) Molto spesso si dice che gli occhi sono il riflesso dell’anima: questa ragazza è timida e si nasconde, sarà difficile conoscerla a fondo.

Ella deja escapar sensaciones (lei lascia scappare le sensazioni) Rappresenta la donna che non esita a vivere quel tipo di piacere che molte volte reprimiamo.

Transformación (trasformazione) Una rappresentazione di una donna che valorizza la natura tanto da mimetizzarsi con essa stessa.

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parole in fila

Numeri dispari 60


L

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e tende, schiuma di risacca, avanzavano e retrocedevano secondo il capriccio della brezza, oltre gli stipiti bianchi appariva a tratti il mare. Petros, disteso sul letto, le dita tra i capelli di lei, osservava lo spettacolo intorno e dentro quel rettangolo e pensava che la sua vita potesse riassumersi lì. Veniva dal mare, cresciuto su una striscia di terra arsa dal sale e dal sole. Non v’erano che capre, cedri e ulivi, persone antiche come l’isola stessa, sulla quale erano nate e dalla quale non erano mai andate via. Era stato l’unico ad avere avuto il coraggio di lasciarla. Ora non ci sarebbe più potuto tornare perché nessuno conosce il segreto dell’isola, se mai ne ha uno. Né chi vi nasce né chi vi arriva può abbandonarla, ma chi riesce nell’intento non sarà più in grado di trovare la via del ritorno. Erano in quattrocento sull’isola, un numero pari per esser certi che ognuno avesse la propria metà. Fino a che lei morì, portata via dalle onde mentre raccoglieva conchiglie. Allora Petros divenne un numero dispari e per la prima volta conobbe la solitudine. Forse, però, qualcuno lo aspettava dall’altro lato del mare dove c’era così tanta gente che non si poteva più contare. Sperò che fossero dispari così da poter trovare il numero solitario. Costruì una zattera con le proprie mani, legno di cedro e legno d’ulivo. I compaesani cercarono di dissuaderlo: «non sai cosa c’è oltre il mare né conosci la via per tornare», gli ripetevano. Lui spinse la zattera con un piede, vi saltò su e scomparve dalla memoria dell’isola. Navigò giorni e notti in un deserto umido che prendeva il colore del cielo: poteva essere nero o verde o plumbeo o navy, a volte persino arancio o rosa. Lui stava lì, misero numero dispari su una tavolozza increspata. Aveva fame e aveva sete, eppure non erano nulla in confronto alla solitudine. Cercava un amico sulle sponde del continente o forse in cima alla montagna. Qualcuno che gli tendesse la mano e dicesse: «sei arrivato.» Hester, sin da piccola, era stata capace di far levitare gli oggetti con la forza dello sguardo. Puntava gli occhi su una cosa e la convinceva a spostarsi. A cena all’improvviso lasciava il cucchiaio galleggiare a mezz’aria e fissava la zupperia fino a che questa, sedotta, non sgusciava via dalle mani del malcapitato commensale e correva da lei, sbrodolandosi tutt’intorno sulla tovaglia. Sua madre odiava quel comportamento, ma era nella natura di Hester tanto quanto lo erano il colore degli occhi o la forma del naso. Impossibile rinunciarci. Inoltre quella peculiarità faceva comodo a tutti quando bisognava spostare un mobile o prendere l’ultimo pacco di pasta dallo scaffale più in alto. Come persuadeva gli oggetti così le persone, bastava scambiare quattro chiacchiere con lei per rimanerne ammaliati. Un po’ per gioco un po’ seriamente sfruttò questa sua qualità durante l’adolescenza per scoprire il mondo intimo dei compagni. Fu in quel periodo che cominciò a vedere il futuro. O meglio, capì di poterlo fare. Da piccola confondeva le visioni con i sogni e i cartoni animati e nessuno le credeva - non le avevano dato retta neanche quando aveva predetto al nonno che una bufera si sarebbe abbattuta su di lui. Poi venne fuori lo scandalo sul suo

rapporto con la moglie del governatore, ma nessuno si ricordava più del vaticinio della piccola Hester. Il nonno si perse nella tormenta di accuse e denunce e nessuno lo vide mai più. Da adulta era ormai in grado di discernere la realtà dalla fantasia e dalle premonizioni. Per questo quando seppe che l’uomo dal mare stava cercando l’altro numero dispari andò ad attenderlo al faro di San Niccolò. Poteva arrivare solo da lì, spinto dalla corrente che fa accartocciare l’acqua in quella grande curvatura del continente. Si sedette su una roccia e fissò l’orizzonte per giorni e notti, facendo levitare i sassolini e poi sprofondare lontano. Infine arrivò, con il sale e il sole incrostati tra i capelli di pece. L’uomo dispari al di là del mare alla ricerca dell’altro numero dispari al di qua. Hester allungò una mano, Petros l’afferrò, salì sulle rocce e la zattera prese il largo. Si domandarono se sarebbe mai tornata a quell’isola che nessuno sapeva come raggiungere. Forse no. «Nessuno dovrebbe essere così solitario, tutti noi ci meritiamo un numero pari al nostro fianco» disse lui. Hester strinse le dita dell'amico venuto dal mare. «Tu hai affrontato il mare e la sete per essere qui con me.» La zattera fluttuava sul fruscio del riflusso. «Cosa sono il mare e la sete, quando sai che alla fine del viaggio c’è qualcuno che ti aspetta?» Hester gli fece strada e gli mostrò lo spazio che aveva preparato per lui, una finestra dei colori della risacca, per non dimenticare da dove era venuto. Alessandra Nitti

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biografie autrici

FABIOLA FALCONE

CHIARA BENEDETTO

Fabiola Falcone è un’insegnante certificata di yoga, life coach e consulente di Ayurveda. Scrive per blogs, ha pubblicato alcuni racconti ed è fondatrice della pagina web www.freehappysoul.com.

Chiara Benedetto, biologa a Parigi. Appassionata di viaggi, musica e scrittura, collabora con due blog e ha di recente creato un sito web a tema viaggi e espatrio. – www.chiarainprogress.com

ALESSANDRA NITTI

ALICE CHIMERA

Alessandra è una nomade digitale, scrittrice di narrativa e di articoli di viaggio. Con Arpeggio Libero Editore ha pubblicato la trilogia “L’amuleto di giada” e la novella “Faust-Cenere alla Cenere.” I suoi articoli sono comparsi su Latitudes Magazine, Turisti per Caso e Gli scrittori della Porta accanto.

Nata a Brescia nel 1986, vive nella provincia monzese. Ha iniziato a leggere e scrivere per affrontare la sua dislessia quando aveva sedici anni, ora non può fare a meno di libri e fogli bianchi su cui dare forma alle sue storie. Lavora a tempo pieno, scrive nella pausa pranzo e nelle notti che passa insonni, cerca l’ispirazione camminando per i cimiteri o le gallerie dei musei. Si dedica anche al suo blog “I libri della Chimera” in cui racconta le sue letture e la sua visione del mondo letterario. Ha esordito nel 2016 con la raccolta di racconti horror ora edita Segreti in Gialllo con il titolo “Il giorno dopo il lieto fine”. “L’equilibrio delle emozioni” è il suo primo romanzo a cui spera facciano seguito molti altri.

ALESSIA KNULP Alessia Knulp vive tra Venezia e la Cina dove insegna lingue. È una sinologa ma ha svariate passioni, tra cui l’antropologia, la storia e lo slow travel.

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EMILIA CUZZOCREA Studiosa di lingue, frequenta triennale e specialistica, studia cinese, coreano e inglese. Ha vissuto in Cina quasi 5 anni, il suo bagaglio di conoscenza è aumentato così come le sue esperienze di viaggiatrice in solitaria. Ora è in Italia, supporta le aziende italiane a vendere prodotti made in Italy in Cina, si occupa della relazione con i clienti e la mediazione con lo staff cinese.

ELISA RAPISARDA Elisa Rapisarda è nata a Bolzano, in Alto Adige, il 20 gennaio 1990. Si laurea in fotografia contemporanea nel 2019 allo IUAV di Venezia; la sua ricerca fotografica si concentra sulla ritrattistica, con particolare attenzione all'autoritratto, sugli spazi e sulle architetture: coglie le emozioni dei volti e il movimento dei corpi, inserendo armonicamente entrambe le cose nell'ambiente circostante. – IG @elisarapisardaphotography

FLOR RAJO Fotografa a Palma di Maiorca, creatrice della collezione “MIS MUJERES”, oltre 50 collage fatti a mano realizzati tra il 2014 e il 2017. Studia fotografia, si interessa di immagini surreali e alla loro creazione. – IG @florrajo_photographer

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crediti fotografici

FABIOLA FALCONE

Foto copertina Elisa Rapisarda – @elisarapisardaphotograph (Make up artist: Maria Toniolo – @mariatoniolomakeup, Model: Elena Trovò) Foto p. 7–8 Agata Rożeńska – @agata.quieora Foto p. 11–15 Giampaolo Nitti – @giampaolo_nitti, Alessandra Nitti Foto p. 16–17 www.alexandra-david-neel.com / maison alexandra-david-neel Foto p. 20, 24–26 Giampaolo Nitti – @giampaolo_nitti, Alessandra Nitti Foto p. 30–31 Elisa Rapisarda – @elisarapisardaphotograph Foto p. 33–35 Elisa Lavera – @elisa.lavera, Fabiola Falcone Foto p. 45–47 Fabiola Falcone Foto p. 50–51 Sandra Rivett: ©sconosciuto, fonte Daily Mail. Lord e Lady Lucan: ©photoshot.com Foto p. 55 Penelopo è partita Foto p. 57–59 Flor Rajo Foto p. 61 Carlo Possamai – @carlopossa93 biografie staff

ALESSANDRA NITTI Co-founder di Nuove Donne

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Classe 1991, Alessandra Nitti è cresciuta un po’ qui e un po’ lì, in mezzo a luoghi, culture e lingue diverse: Tunisia, Germania, Malta, Cina, Austria... È laureata magistrale in Lingue e Letterature straniere presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia; parla inglese, cinese, tedesco e ora è alle prese con l’apprendimento del russo. La sua vita, però, è fatta di parole scritte: ha quattro romanzi all’attivo pubblicati con Arpeggio Libero Editore: la trilogia time-travel che comprende “L’amuleto di giada” (2014), Esilio (2017) e Memorie-La Serenissima tradita (2019) e la novella “Faust-Cenere alla cenere” (2016), finalista del premio Giovane Holden dello stesso anno. Scrive di viaggi per varie riviste, come “Latitudes Magazine” e “Turisti per caso”, e di libri per “Gli scrittori della Porta accanto”. Ha anche un suo sito dove tratta di tecniche di scrittura e narra di viaggi in tutto ciò che è a est: www.alessandranitti.com Ha vissuto in Cina per diversi anni, facendo volontariato, come borsista alla prestigiosa Ren Min University di Pechino e come insegnante di italiano a Guangzhou, senza perdere l’occasione di viaggiare per tutta l’Asia e di scriverne. Al momento vive a Kiev, per amore, ma anche per la sensazione di scoperta dell’Est Europa. Casa sua, Venezia, è in realtà una Porta d’Oriente: è da lì che parte sempre per i suoi incredibili giri ed è lì che ritorna per riposarsi con le gambe penzoloni sui canali, tra un viaggio e l’altro, tra una parola e l’altra. FABRIZIO FALCONE Designer e Art director di Nuove Donne Fabrizio Falcone, classe 1992, è un designer milanese, si occupa di progettare spazi, disegnare libri e sviluppare identità visive utilizzando la tipografia come linguaggio principale. Nel 2020 ha ricevuto il riconoscimento di eccellenza tipografica dal Type Direction Club di New York. Insegna storia e cultura tipografica al CFP Bauer di Milano. Ha fondato il collettivo editoriale “Tazi Zine” e cura l’archivio digitale “lettere urbane”.

Co-founder di Nuove Donne Nata sul lago di Garda nel 1991, Fabiola Falcone cresce e si forma a Milano. Fin da bambina preferisce rifugiarsi nel suo “io” e lavorare di immaginazione. Studia presso il liceo scientifico, durante il quale si inizia a interessare all’alimentazione ma, nonostante questa passione, sceglie come percorso universitario un indirizzo economico. A diciannove anni trova un lavoro nel mercato immobiliare che la porta ad abbandonare gli studi universitari ma si forma come mediatrice in Camera di commercio. Durante questi anni partecipa a corsi di formazione motivazionale e inizia a interessarsi al coaching. L’ambizione e la determinazione la portano ad ottenere un posto di lavoro presso un importante e prestigiosa agenzia internazionale che si occupa della compravendita di immobili di lusso. Il carattere internazionale della nuova impresa la spinge verso l’estero e decide di partire per Londra, in cerca di un cambio di vita e con l’obiettivo di fare carriera. Parte senza casa e senza lavoro e si costruisce, da zero, una vita in Inghilterra, che però decide di lasciare dopo un anno per la Spagna. Nell’isola di Mallorca inizia a scoprire nuove passioni, a cui si dedica nel tempo libero. Il trasferimento all’estero segna per lei un percorso interiore che la cambia radicalmente. Inizia a dedicarsi allo studio della vita, riporta su carta le sue riflessioni e le pubblica in blog, frequenta corsi di scrittura creativa, partecipa a concorsi di racconti e contribuisce ad alcune raccolte. Inizia a viaggiare in solitaria, cresce e apre le sue prospettive: questa interiorizzazione la avvicina al suo lato “spirituale” e alla filosofia dello yoga. Questa disciplina la aiuta a incanalare le sue passioni di scrittura, benessere e viaggi; così decide di diplomarsi nell’insegnamento dello yoga, del life coaching e dell’ayurveda, raccogliendo tutto nella sua pagina web: www.freehappysoul.com Fabiola è una sognatrice che della felicità e della libertà ne ha fatto uno stile di vita. MATTEO SABATINO Social Media Manager di Nuove Donne Mediatore linguistico e Digital e Social Media Marketer, nasce a Roma nel ‘95. Ha sempre avuto un amore spassionato per l’arte, affacciandosi al mondo della danza sin da piccolo e portando avanti questa passione è arrivato a lavorare come ballerino per programmi televisivi e per gente dello spettacolo del calibro di Laura Pausini. Da sempre grande viaggiatore, grazie ai genitori e allo zio ha avuto la possibilità di visitare molti posti nel mondo, entrando in contatto con nuove culture, ampliando così il suo bagaglio culturale. Decide di iscriversi alla facoltà di Mediazione Linguistica con l’obiettivo di laurearsi e di iniziare a girare il mondo, non riuscì però ad aspettare la laurea che, al terzo anno di università, decide di trasferirsi a Dublino e iniziare una nuova vita lì, portando sempre avanti gli studi. Tornato in Italia, a causa della pandemia, dopo essersi laureato decide di aprire un sito internet, con annesso e-commerce, qui scopre un amore spassionato per il Digital e Social Media Marketing, così decide di intraprendere un master per ampliare le sue conoscenze e poter un giorno diventare un Nomade Digitale.

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