collezione Cronaca Storica
i casi della memoria collettiva
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BeccoGiallo
Nella stessa collezione Il terremoto del Friuli Paolo Cossi Chernobyl Paolo Parisi La strage di Bologna Alex Boschetti / Anna Ciammitti
Claudio Calia
PORTO MARGHERA, LA LEGGE NON È UGUALE PER TUTTI cronaca a fumetti
Il sequestro Moro Paolo Parisi Marcinelle Igor Mavric / Davide Pascutti Ustica Leonora Sartori / Andrea Vivaldo
BeccoGiallo via Prof. Don Angelo Dalla Torre, 9 31047 Ponte di Piave (TV) Direttori editoriali: Guido Ostanel, Federico Zaghis tel: 0422 852167 fax: 0422 202470 www.beccogiallo.it info@beccogiallo.it ISBN 978-88-85832-27-5 © 2006 BeccoGiallo S.r.l. prima edizione aprile 2007
Be cc oGi a l lo
Il “giornalismo a fumetti”, racconto biopolitico di Claudio Calia
Gianfranco Bettin
Noi siamo quelli che sono morti per niente. Noi siamo il prezzo del progresso. Come si può rendere artisticamente una frase simile e, ancor più, la storia che riassume e interpreta, la storia dei morti di Porto Marghera? E come si può restituire, con la forza delle immagini, la congiura di manager e tycoon multinazionali che l’hanno prodotta? E, ancora, come denunciare le ambiguità e le ipocrisie di una giustizia che è stata a lungo niente affatto uguale per tutti, come ricorda il titolo del libro? Compito arduo, in cui si rischia sempre di incappare nella retorica, nel facile eccesso che sostituisce la riflessione radicale, il limpido e forte narrare. Sono rischi che non corre Claudio Calia, giovane graphic storyteller, accintosi con mano impavida e pulita al compito difficile - e quanto necessario! - di raccontare per immagini la grande tragedia (e il grande crimine) del Petrolchimico di Porto Marghera, delle centinaia di operai morti per l’esposizione al cloruro di vinile monomero (CVM) e dell’immane crimine ambientale perpetrato nella laguna di Venezia. Come potremmo definire la tecnica - e l’arte - di Calia, così come si presentano in questo nuovo libro della bella, innovativa collana Cronaca Storica di BeccoGiallo, un libro che ne conferma la raggiunta sicurezza e maturità espressiva (già intuibili nei suoi lavori precedenti e
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che, qui, acquistano ulteriore spessore e intensità)? Calia è certo consapevole della forza nuova raggiunta in questi anni dal graphic novel, il racconto o romanzo a fumetti dedicato sia alla pura fiction sia alla ricostruzione di eventi e storie reali, e sembra aver tenuto presente - soprattutto nella parte didascalica e di testo - tale importante lezione. Il suo libro, tuttavia, va oltre. Forse si potrebbe meglio definirlo come un esempio originale di quel “giornalismo a fumetti” - graphic journalism? - molto caro a BeccoGiallo e che lo stesso Calia aveva validamente sperimentato nei lavori precedenti, soprattutto in Fortezza Europa. Storie di mura e di migranti (2006) o, prima ancora, nelle cronache a strisce di Nuvole (2003), mettendo a frutto l’esempio magistrale di un Joe Sacco, soprattutto sul piano della scelta etica (come ha notato il poeta Lello Voce), e combinando la narrazione a flusso con quella iconica e sintetica delle nuove tag, evoluzione estrema, per intensità semantica e condensazione simbolica, dei graffiti. Certe tavole di Calia è come se a disegnarle fosse stato il gatto nero che è un po’ il suo logo: dev’essere uscito di casa e deve aver preso quelle tag dalle strade e dai muri e poi, con gli artigli, le deve avere reincise sulla carta insieme ai racconti e ai materiali raccolti da Calia stesso. Si può forse spiegare così il segno, insieme selvaggio e domestico, attraverso il quale l’autore si esprime. Domestico, cioè comprensibile e riconoscibile per tutti, comunicativo in parole e forme inequivocabili. Selvaggio, tuttavia, perché irriducibile all’universo ufficiale e tradizionale. Un gatto selvaggio capace di starsene in casa è un animale che nessuno potrà mai davvero addomesticare. Altrettanto si può dire di un segno, di un racconto, che sa parlare a tutti ma impone tuttavia una propria lingua, un proprio segno distinto. La tensione formale che rende vive le tavole di Calia sembra nascere da questa dialettica radicale tra esigenza di dire, di esprimere, e volontà, cioè scelta estetica ed etica insieme, di non banalizzare la forma dell’espressione. Nel caso del “giornalismo a fumetti” questa scelta è ancora più impegnativa che nel graphic novel, perché la libertà formale è pur sempre vincolata dalla “cosa” narrata, dal tema. La scelta di Calia, narrando di
Marghera, è quella di attribuire pari dignità ai materiali d’inchiesta selezionati e utilizzati (le voci degli operai e dei loro familiari, di Gabriele Bortolozzo, dei protagonisti del processo, i reperti scientifici, le note storiche) e al proprio racconto per immagini, integrandoli efficacemente. Ciò non sminuisce il peso e il ruolo del fumetto, della pura immagine, ma, anzi, paradossalmente, lo esalta. Le parole, le didascalie, vengono avvolte nel disegno e si trovano perfettamente a loro agio nelle forme e nelle sfumature, nel sobrio, elegante, incisivo bianco e nero che, infine, illustrano la pagina. Fare “giornalismo a fumetti” - e, certo, anche graphic novel - non significa, se non in una versione povera di valori artistici e conoscitivi, accostare un disegno esplicativo a un testo o viceversa. Il racconto di Calia potrebbe perfino non avere didascalie - provate a fare l’esperimento - e la sua forza non sarebbe affatto diminuita. Magari si perderebbe qualche specifica informazione, non traducibile in immagini, ma la sua forza espressiva, emotiva e, infine, conoscitiva, resterebbe intatta. Il disegno dice tutto l’essenziale: perciò questo libro è un ottimo contributo a un’arte capace di confrontarsi con un tempo in cui le parole devono essere salvate da se stesse, cioè dalla retorica e dall’ipocrisia che spesso le impregna e che, nel caso qui narrato, sono state profuse a piene mani per nascondere o sminuire veri e propri crimini. Claudio Calia, integrando parole e disegni, perizie mediche, analisi scientifiche, note storiche, considerazioni giuridiche e politiche e illustrazione originale della vicenda, restituisce a chi legge il senso profondo e duraturo di un dramma storico che neanche oggi, a sentenza passata in giudicato, può essere archiviato. Quel dramma continua, nel dolore e nell’assenza che patiscono i sopravvissuti, nell’eredità tossica lasciata all’aria, all’acqua e alla terra. Queste immagini lo fissano, e lo descrivono, per quello che infine davvero è: un dramma biopolitico, connesso con la vita reale e con le responsabilità del potere, prodotto da una certa storia, ma vivo tuttora. Biopolitico, dunque, ne sarà il racconto e questo, infatti, è il tratto ultimo e più marcato, il segno parlante del “giornalismo a fumetti” di Claudio Calia.
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CAPITOLO I
CVM Cloruro di Vinile Monomero
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