L'OblòSulCortile_NumeroEx

Page 1

NOME SOCIE TÀ

A NN O V I — N UME R O V S P E C IA L E E X - C AR D U CC I A NI A PR I LE 2 0 1 2

Gennaio 2012

Giornalino del Liceo Ginnasio Statale G. Carducci

Scusate il ritardo epocale!

Eeedizione straordinariaa! di Jacopo Malatesta al ‘92, quelli che noi, piccoli, vedevamo ed Eleonora Sacco come “i grandi”, quelli che hanno migliorato qualcosa a scuola e lasciato on sarà un editoriale, né un inevitabilmente un segno, più o meno sermone ciceroniano sull’im- profondo. All’inizio quasi tutti hanno portanza della voce di chi ha aderito, con molto entusiasmo. Alla calpestato queste piastrelle fine solo 17 hanno davvero scritto per prima di noi. voi, ma con grande interesse e passioQuesto numero è un esperimento. È la ne — con nostro enorme dispiacere versione anomala di un Oblò con pro- hanno rinunciato Merola, Damon, Steblemi di alimentazione: se due anni fa fano Grasso, Toso, Spino, ma ce la siarischiava l’anoressia, ora ha tendenze mo cavata lo stesso. all’obesità e alla pigrizia. Questo nume- Ad inaugurare questa nuova idea non ro è il frutto della folle idea di Jacopo: poteva che essere, però, proprio chi ci gli è venuto in mente di cedere qualche ha permesso, con il suo solerte lavoro, pagina agli “ex”, per sentire cosa avesse- di scrivere su questo giornale in questo ro da dire oggi, dopo cinque anni di momento. Elettra Capisani, nel lontamassacrante ma soddisfacente Carducci. no 2005, ha recuperato le ossa de “La Senza troppe esitazioni ci ha resi parte- Finestra sul Cortile” e le ha rimesse cipi dell’idea, e con il nostro “sei un fot- insieme, cucendo, amputando e tratutissimo genio” è nato il progetto piantando organi e tessuti, dando vita “Numero degli Ex”. alla creatura madre del vostro Oblò. Abbiamo contattato ragazzi nati dall’87 Questo numero è, come al solito, dedicato al lettore; eppure, da quando ab-

N

Il nostro liceo, 1976. Foto di Giovanni Tagliavini

biamo “conosciuto” — dal vivo o dalla carta —, lei e gli altri “ex” che hanno cresciuto e sono cresciuti con il giornalino scolastico, un po’ di riconoscimento va per obbligo morale anche a loro. E i redattori? — chiederete voi. Non sono stati scavalcati, ma hanno “presentato” gli “ex”, scrivendo una piccola introduzione prima del loro articolo con i dati essenziali alla comprensione degli scritti. I “Ma a me non me ne frega niente” saranno soddisfatti: gli “ex” ci hanno parlato di un po’ di tutto; alcuni si sono lasciati trascinare dalle melanconiche — eppur poeticissime — memorie carducciane, altri ci hanno scritto delle loro passioni o dei loro studi, altri hanno trattato, sempre in memoria dei bei vecchi tempi dell’Oblò, semplicemente di attualità. Buona lettura!


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 2

Juvenilia Nel 2005 risollevasti dalla polvere la Finestra; oggi l’Oblò riscopre te, Elettra, e ti celebra. Quando dei tuoi occhi inquieti sarà appassito anche il ricordo e il Carducci non potrà che dimenticare, verrai a trovarmi, Elettra? – Jacopo Malatesta di Elettra Capisani (netto) nel compitino di chimica, le litier superare la crisi da pagina gate con il compagno di banco, il figo bianca mi costringo a un rapido della classe accanto che nemmeno saperiepilogo dei miei anni carduc- va della tua esistenza – meglio relegarli ciani, e in ordine sparso mi ven- in un oscuro antro della nostra memogono in mente: le verifiche scritte, i bagni ria. Ebbene, vorrei sfilarmi da questa spartani, i corridoi all’intervallo, le lotte dimensione di anziana che sospira per aggiudicarsi un panino al bar, le cola- “com’ero giovane” e pensare a quel che zioni con le amiche prima di entrare alla non mi manca, di quell’epoca dolceaseconda ora, le uscite alla sesta e i conse- mara. Non mi manca alzarmi tutte le guenti morsi della fame, lo shopping del mattine alle sette, dover uscire con la sabato pomeriggio (che finiva regolar- pioggia e con il sole, passare mezz’ora mente in una delle librerie di corso Bue- in un autobus-scatola-di-sardine. Non nos Aires), i bigliettini scambiati furtiva- mi manca salire i gradini a due a due, mente durante le lezioni, la distribuzione arrivare trafelata al terzo piano e prima del giornalino, le manifestazioni studen- della seconda campana avere ancora tesche del venerdì, con vocabolario di un’intera versione da copiare. Non mi mancano le urla belluine del Settembrigreco al seguito. ni che entrano dalle finestre a primaveVarcando la soglia del mio liceo, dopo sei ra, i dibattiti di classe “apriamo la fineanni di assenza, mi accorgo di come i stra, chiudiamo ché fa freddo”. Non mi ricordi siano vividi. Tutto è diverso, ma manca educazione fisica, né l’odore che tutto è rimasto uguale (e non me ne vo- aleggiava nell’aula quando i maschi glia Tancredi). tornavano dalla palestra. Non mi manMa se la dimensione memoriale è rassi- cano i pomeriggi passati a guardare il curante e, in certo senso, catartica, indie- muro, ma coi libri aperti davanti, le tro non tornerei. In fondo, chi ricorda simulazioni di terze prove, gli orali o le altrettanto intensamente i momenti peg- risposte in dodici-quindici righe. Non giori della propria adolescenza? Il tre mi mancano le giustificazioni, gli im-

P

preparati (mai capito se equivalessero a due, tre, quattro?), gli scrutini, le assemblee di classe, le elezioni scolastiche (ricordo un’audace scheda nulla: “Tanto siete tutti =!”). Non mi mancano le discussioni pseudo-politiche con acerbi pidiellini, le tanto infinite quanto inutili riunioni del collettivo, le assemblee plenarie colme di studenti disinteressati. Non mi manca inseguire i redattori all’intervallo per far loro rispettare la deadline, scrivere mail per sollecitare gli articoli, i dibattiti sulle denominazioni (acceso e interminabile quello sulla “REDazione collettiva” del colophon). Mi mancano un po’, lo ammetto, gli incontri pomeridiani di giornalisti in erba, l’ideazione del timone, discutere di cosa scrivere e perché, magari addentando uno Special crudo. Ma, soprattutto, non mi mancano, di quegli anni, l’incertezza, l’insicurezza, il senso di inadeguatezza. Il sentirsi piccoli, ininfluenti, trasparenti, dipendenti. E, nel contempo, ingenuamente fiduciosi, impetuosi, energici. Con “dubbi amletici tipici dei sedici: essere o non essere patetici”.

Il Carducci tra crisi e cambiamenti Martin Nicastro (classe ’92, sezione H) si è diplomato al Carducci nel 2011. Oggi studia Violino al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e Lettere Moderne presso l’Università Statale di Milano. Nel 2009 ha fondato al Carducci l’Orchestra Scolastica con l’aiuto di Riccardo Toso e di altri orchestranti; alla Consulta ha fondato l’Orchestra Provinciale, attiva e fruttifera ancora oggi. – Ines Chillemi e Martina Calcaterra

di Martin Nicastro quanto colpisca vedere il vuoto delle ifficile non rimanere legati a aule del seminterrato, accorgersi nitidaquesta scuola, al grigio chiaro mente di come all’uscita da scuola si del muro esterno − chissà sentano meno risate, schiamazzi, il bruquante mani di colore nascon- sio delle chiacchierate più lieve, e non de, allo sbuffo bianco che si spande dal certo perché gli studenti di oggi sono tetto nelle limpide giornate d’inverno, tristi di aver finito la giornata.

D

quando l’aria di vetro ti penetra nei polmoni, rimanere legati all’albero i cui rami da un giorno all’altro si tingevano di verde: in punta di piedi era arrivata la primavera, tanto attesa, senza che te ne accorgessi. Certe pareti sono come amici persi di vista che quando incontri eviti di salutare, pur sapendo bene di chi si tratta, e le pareti del Carducci sono state compagne di tante vite, impresse, indelebili nel profondo o sulla superficie, per gioia o per dolore non importa; tante persone sono arrivate, sono cresciute sfiorando queste pareti, le hanno abbandonate quando è giunto il momento, ma da pochi anni questo ciclo, apparentemente immutabile, quasi fosse un meccanismo della natura, ha incominciato a incrinarsi: i nuovi arrivati non possono rendersi conto di

Gli iscritti continuano, infatti, a diminuire, da nove sezioni si è passati a cinque quarte ginnasio, di nuovo il prossimo anno il numero dei nuovi arrivati non riuscirà a raggiungere quello degli uscenti e di questo passo il totale degli studenti sarà vicino al dimezzamento: il Carducci si spopola, i professori se ne vanno, alcuni volontariamente, altri, storici, rischiano il trasferimento. Non è mia intenzione illustrare le cause di tutto ciò, anche perché sono sicuro che ogni persona di buon senso e informata dei fatti saprà individuarle. Quello che vorrei è farvi soffermare su questo punto: il Liceo Carducci per come lo conosciamo non è dovuto, intoccabile e immune ai cambiamenti, il professore che si commuove ogni anno quando arriva a spiegare un determinato passo non è dovuto, così come quello che ti offre il

caffè quando ti vede assonnato, i personaggi, gli aneddoti che ci fanno ridere anche quando li ascoltiamo per l’ennesima volta non sono dovuti, non è dovuto chi custodisce la scuola con amore da decenni. Tutto ciò che per generazioni ci ha fatto innamorare di questa scuola (non voglio negare i momenti di odio, sarebbe ipocrita il contrario) non è dato spontaneamente, conseguenza del caso o della normalità, ma è frutto della passione di chi crede nel valore di ciò che fa, nonostante sia difficile, nonostante lo scoramento sia sempre dietro l’angolo: se questo impegno venisse meno le crepe diventerebbero voragini, tutto crollerebbe come un castello di carte. Credo che, ora, nel momento della sua crisi più che mai, il Carducci abbia bisogno di essere difeso da tutte le sue energie, nessuna esclusa, contro i pericoli che ne mettono a repentaglio la buona salute o, addirittura, la sopravvivenza, perché ciò che è storico oggi domani potrebbe non esserlo più. Alla responsabilità di ognuno di noi toccherà trovare i modi e i mezzi per custodire ciò a cui teniamo.


G E NNAIO 2 0 1 2

P AGIN A 3

Zuckerberg e Jobs son passati di qua Andrea ha frequentato il corso D, diplomandosi nel 2011. Studia ingegneria meccanica al Politecnico di Milano; si interessa di chitarra, vecchie auto, “roba elettronica usata” e fotografia (un preziosissimo aiuto per le foto di classe dell’anno scorso).— Eleonora Sacco di Andrea Patrucco Accendevi il computer e ti rassegnavi uando mi hanno offerto di scri- all’idea che qualcosa non avrebbe funvere sull’Oblò sul Cortile in qua- zionato: capivi nello specifico cosa non lità di ex carducciano, ho pensa- filava, cercavi da solo una soluzione, to che finalmente avrei avuto non la trovavi, chiamavi il tecnico ed anch’io la possibilità di scrivere di attua- assistevi all’imbarazzante spettacolo di lità, entrando nel vivo del dibattito come quell’uomo che sparava terminologia a avevo preventivato anni fa, senza del caso nel disperato tentativo di darti resto vincere la mia pigrizia. Ho pensato l'idea che ci stesse capendo qualcosa, ad un bell'articolo polemico contro la tal del tipo “Qui... il... protocollo... LPT... legge o il tal leader, ma in fondo per http... le stampanti” quando dovevi scrivere queste cose in modo più serio e aprire un testo da una chiavetta: alla più preparato c'è la redazione ordinaria. fine, alzavi bandiera bianca e tornavi In breve, ho dovuto scrivere un articolo in classe sconfitto. Questa era l'inforda ex-carducciano, parlando dell'unica matizzazione del Carducci a metà dello cosa che mi accomuna con i probabili scorso decennio. Non c’era Facebook, ve lo immaginate? lettori, vale a dire Significa che non del nostro amato avevi la minima istituto. idea di quando le Che vi devo raccose sarebbero contare del Carsuccesse, che ti ducci? Non è campoteva capitare biato niente da di arrivare a quando ci sono scuola e di scoentrato a quando prire che non l'ho visto l’ultima avevi fatto tre volta, qualcosa versioni per quel come dieci giorni giorno, che se fa. Ci vanno ancora dei quasi coetanei, avevi bisogno dei compiti non c’era il che hanno visto le stesse cose, la stessa gruppo chiuso della tal classe, ma una scuola. Hanno aggiunto una rampa per lista ingiallita, stampata in IV ginnasio, disabili in un cortile, hanno messo in con su tutti i nomi dei tuoi compagni sicurezza le scale antincendio, insomma, ed i loro numeri: prendevi e ne chianiente che stravolga una grande istitu- mavi uno. A casa. zione di eccellenza come la nostra. Non c’era Facebook, e non potevi mai Ma ci sono cose, più nascoste ma nean- avvertire tutti se volevi indire un’asche troppo, che forse in molti non han- semblea, chiedere di spostare una verino visto cambiare in questa scuola, e che fica, fare qualsiasi cosa. Dovevi andare sono enormi, per quanto avvolte dal di email, e allora le silenzio. Dal 2006 ad oggi, su questa inoltravi alle cinscuola è passato Zuckerberg, è passato que persone di cui Steve Jobs, è passata una grande rivolu- avevi l'indirizzo zione informatica. Ma siccome in astrat- pregandole di farlo to è dura spiegarlo, provo ad addentrar- a loro volta, ed ami nella questione con qualche esempio. spettavi trepidante Noi del ’92, entrando nel Carducci, tro- la risposta – non vavamo meno roba informatica di quan- esistevano le notifito vi immaginereste. Non c’era il wire- che – per poi apriless, tanto per cominciare, ma in com- re la casella della penso non c’erano neanche gli iPhone posta in arrivo e per sfruttarlo. Non c’era Facebook, non trovarci solo la c’era Twitter, c’era solo MSN hotmail, e mail portafortuna non fremevi dalla voglia di controllarla del tipo “Mandala a 30 persone e doogni dieci minuti, perché le probabilità mani vincerai trenta milioni senza gioche qualcosa cambiasse in 10 minuti care la schedina…” erano minime. Se per tua disgrazia veni- Non c’era Facebook, e quando ti piacevi colto da questo malsano desiderio, va quella di tre classi più in là non pol’unica era andare in aula computer, che tevi cercarla tra gli amici degli amici ed non era quella di adesso, pulita, bella, aggiungerla forte di 97 amicizie comuefficiente, ma assomigliava di più ad ni, ma dovevi scoprirne il nome per una fiera di antiquariato elettronico per- caso e poi farti dare il suo indirizzo manentemente installata di fianco alla hotmail: da lì la aggiungevi su messandefunta infermeria. ger (che all’epoca era visto come la

Q

nuova frontiera della perdizione telematica) e, se – Dioscampi! - ti chiedeva come l’avevi avuto, dicevi che l’avevi trovato nelle catene di Sant'Antonio, tipo quelle “Mandala a 30 persone e…”. Non c’erano Temple Run, Angry Birds, Cliff Diving e se volevi giocare ad un videogioco il massimo a cui potevi ambire era Snake sul Nokia scrauso, che ti avevano passato con un'infinita catena di invii/ricezioni in bluetooth e che provocava danni irreversibili a svariate zone del cervello dopo tre minuti di partita. Non c’era Twitter, e se ti veniva in mente una citazione oppure un pensiero interessante con cui fare l’intellettualoide non potevi scriverlo lì, ma lo mettevi come frase del profilo in msn, e se era troppo lungo aprivi un blog, uno spaces, in gergo, e ce lo scrivevi dentro, e lo leggevano solo i pochi intimi a cui l'avevi già detto tornando a casa in metro. Io non voglio fare il nostalgico, perché vi assicuro che non c’era niente di tanto romantico nel modo di vivere la scuola ieri, che vada rimpianto rispetto all’equivalente odierno. Voglio solo farvi pensare: è vero, stessi professori, stesso edificio, stesso tutto, ma com’era diverso andare a scuola, avere quindici anni solo cinque anni fa. Davvero, io non voglio fare il nostalgico, e dirvi che ai miei tempi si citofonava a casa degli amici e ci si faceva una pizza insieme al posto di chattare su facebook, ci si vedeva di più e si cresceva forti e sani. Però, pensate a questo. Quando avevo quattordici anni, entravo su MSN e mi sembrava che chi l’aveva inventato avesse pensato a tutto. Io vedevo MSN con la posta, i blog, la chat e non credevo che qualcosa l’avrebbe superato, anzi, ero perfettamente sicuro che niente avrebbe spinto oltre i confini di internet. A guardarlo oggi, cadente e superato, mi chiedo come potessi pensarlo. E voi che siete ora al Carducci, e che potete accedere al meraviglioso mondo del web con due ditate su uno schermo lucido, voi che potete scattare foto, condividerle, commentare in tempo reale mentre qualcuno declama trimetri giambici, ve lo assicuro, vi sentirete vecchi quando, tra qualche anno, parlerete a qualcuno di queste cose.


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 4

In vodka relativismus Del perché gli studenti di antropologia non sono capaci di chiacchierare, e bevono troppo Martina si è diplomata nel 2009, dopo aver frequentato il corso A. Studia Comunicazione Interculturale in Bicocca, ma ha trascorso un anno in Erasmus a Saragozza. Farà la laurea specialistica in lingue orientali (arabo) per poi lavorare nell’immigrazione. È stata cofondatrice e caporedattrice dell’autofinanziato Satura Lanx, nonché ideatrice e promotrice della rubrica “Il Dottor Sesso”.— Eleonora Sacco

di Martina La Stella e ero sicura. Sapevo, lo sapevo benissimo, che l'antropologia mi avrebbe rovinata. Non so quando l'ho capito. Forse è stato quando in classe, al primo anno di università, i miei insegnanti ci spiegarono che non si dice “in quel paese vivono come noi negli anni '60”. Non si fa, è un giudizio evoluzionista. Evoluzionista significa che concepisce tutta la storia dell'umanità come destinata a seguire le orme dello sviluppo occidentale. E invece, chi lo dice che tutti debbano attraversare le stesse fasi storiche toccate a noi? D'accordo, lo capivo, forse avevano ragione. Ci spiegarono anche che bisogna osservare le altre culture in un'ottica relativista, che non significa, com'è opinione di parte della chiesa cattolica, portatrice di tutti i mali, ma piuttosto un'ottica che cerca di guardare dall'interno. Come a dire: “se una comunità agisce così, avrà le sue ragioni, per quanto zozze ci sembrino”. E infatti ce le ha, ce le ha sempre. E non è detto, bisognava ricordarsi anche questo, che siano peggiori delle nostre. Né più stupide, né meno nobili. Non so, sul momento mi sembravano tutte delle ottime argomentazioni. Le accettai, le feci mie, e cominciai a osservare la realtà seguendo questi principi. A cercare addirittura di agire, e formulare giudizi, secondo i nuovi principi che avevo adottato durante quelle poche lezioni in università. Inutile dirlo, fu una tragedia. L'antropologia vi rovina la vita. Credere che tutte le culture abbiano un senso, e che questo senso sia in qualche modo difendibile, rende le relazioni sociali assai ostiche. Trascorrerete la vostra breve esistenza nell'ingrato ruolo di avvocato del diavolo. Persino uscire a bere una birra con gli amici non sarà più facile come era prima. Non potrete infarcire la vostra conversazione di tutti quei piacevoli luoghi comuni che, lo insegna anche l'antropologia, fanno gruppo, creano solidarietà, costituiscono un “collante sociale”. Al diavolo l'antropologia. Sono finiti i

N

tempi in cui potevate commentare che “anche il libero stato di Bananas, sotto la spinta dell'Occidente, si sta finalmente evolvendo”. Finiti i tempi in cui vi sentivate di giudicare a cuor leggero il maschilismo, l'integralismo islamico, le dittature, i sacrifici umani.

che non significa che non sia importante). Che alcuni popoli ritengono primario, ad esempio, rispettare la natura e l'ecosistema in cui vivono rispetto allo sfamarsi in abbondanza. Capii tutto. Capii che era solo una questione di scale di valori, e che in quest'ottica si potevano comprendere davvero le altre culture. E che comprendere le altre culture non era solo quel dire: “sì, si comportano così, ma poverini: è perché sono poveri” che avevo adottato per anni. Era un po' come dire: “sì, si comportano così, ma a te sembra sbagliato perché lo giudichi in base al tuo sistema valoriale”. Riuscite a immaginare una frase del genere pronunciata al tavolo di un pub e senza aver prima tracannato svariate vodka? No, chiaro.

Bisogna capire. Capire, scavare, interpretare. Non emettere giudizi facili e, soprattutto, pensare sempre, sempre che potrebbero avere ragione loro. Perché è questo che renderà la vostra una vitaccia, se vi iscrivete a un corso di antropologia: il fatto di non poter più dire semplicemente che “gli abitanti del paese di ramengo vivono come dei trogloditi, però hanno un buon cuore”. No. Dovrete dire, e soprattutto ci crederete davvero, che gli abitanti del paese di ramengo vivono come dei Così, in conclusione, mi sento di dirvi: non studiate antropologia. Non fate neanche l'Erasmus. Conoscerete turchi che non fumano, polacche che non reggono l'alcool, spagnoli scontrosi e mattinieri, francesi non snob, milanesi sempre in ritardo, sardi capaci di pronunciare le vocali aperte.

trogloditi, ma forse hanno ragione loro. O, quantomeno, nella loro ottica quel modo di vivere ha perfettamente senso, e sta in piedi tanto quanto il nostro. Ha lo stesso diritto di esistere del nostro. Terribile, no? Ammetto, all'inizio non capivo. Mi ricordo che un giorno sottoposi al mio povero insegnante olandese una domanda da ragazza ingenua che non ha mai studiato antropologia. Era un questione del genere “come fa a a non essere giusta una gestione dell'agricoltura che permette di produrre di più, di sfamare più persone, che insomma è più utile al sostentamento del gruppo?”. La risposta che ricevetti quel giorno cambiò completamente il mio modo di concepire l'esistenza. Il mio insegnante olandese mi spiegò infatti che non per tutte le comunità è prioritaria una produzione agricola massiccia che permetta il sostentamento (il

I vostri stereotipi, che pure erano un ottimo sistema di categorizzazione, semplificazione e, appunto, coesione sociale, cadranno come i tasselli di un domino. Ogni giudizio etnocentrico, così li chiama l'antropologia, sarà una ferita nel vostro giovane cuore. Un attacco a quello che studiate, a quello in cui credete e, cosa più grave ancora, a quelli che per un anno sono stati i vostri compagni di bevute. Lasciate l'antropologia, ascoltate un buon consiglio. E io? anche io farò così. Lascio i miei studi da antropologa. Come si dice in questi i casi, è stato bello finché è durato, e non mi pento di niente, ma una vita del genere non la reggerei. Credo che non riuscirò mai, proprio mai, a pronunciare la parola alterità senza che qualcosa mi vada per traverso. Perciò ho deciso: appena finita la triennale, continuo con l'arabo. Studierò lingua araba, e da grande, come ogni arabo che si rispetti, farò la terrorista.


P AGIN A 5

G E NNAIO 2 0 1 2

Il caso Green Hill Quando l’animalismo cieco sfocia in politiche demagogiche Il celebre "Tozzo", corso D, si diploma del nostro liceo nel 2009, dopo cinque anni in cui partecipa attivamente alla vita scolastica: è infatti cofondatore del "The Fool", ideatore della celebre rubrica “Il seme cattivo” e organizzatore della cogestione del 2008/2009. A distanza di tre anni dalla dipartita, la sua testa - ormai pelata - abita ancora i corridoi e l'entrata. Attualmente è al terzo anno di psicologia in Bicocca e, tra una lezione e l'altra, si esercita nella capoeira e lotta contro i vegani. — Alessandra Venezia

di Andrea Tosini olti di voi avranno sicuramente sentito parlare del caso Green Hill. Il problema è il come ne avete sentito parlare: purtroppo quando si parla di diritti degli animali è estremamente difficile trovare fonti che presentino i fatti in modo imparziale, o quantomeno fonti che non facciano disinformazione o propaganda. Vi sarà giunta voce che a Green Hill si allevano beagle in condizioni orribili, e che una volta usciti di lì il loro destino sarà di essere torturati e vivisezionati. No, non è così. Tutte cazzate, ma andiamo con ordine. Verso la fine del 2011, Edoardo Stoppa, inviato animalista di Striscia la Notizia, trasmette un servizio con immagini riprese di nascosto all’interno del canile miste a foto di vivisezione scattate in laboratori clandestini negli anni ’50, sostenendo che i cani vengono maltrattati (falso), vivisezionati (falso, visto che è solo un allevamento), che i cani abbaiano (ma no?), che vengono tenuti al buio (le luci accese di notte non sarebbero peggio?) e che ci sia qualcosa da nascondere visto il custode non lo fa entrare a controllare (anche il mio vicino non mi lascia entrare in casa sua, ma questo non fa di lui un pluriomicida). Stoppa denuncia il canile all’ASL locale, che attua immediatamente un’ispezione. Le uniche irregolarità che trova, sanziona e corregge, sono solo piccole eccedenze nel numero di cani in alcune gabbie. Stoppa non è contento e crea il caso mediatico: manda in onda altri servizi simili al primo e incita all’organizzazione di manifestazioni, fiaccolate, raccolte firme e petizioni. Il popolo animalista obbedisce pecorescamente e a Montichiari si radunano centinaia di persone per protestare contro il canile, si creano addirittura vere e proprie associazioni di protesta. Queste persone, dall’alto della loro ignoranza, indirizzano le loro richieste al sindaco del paesino, Elena Zanola, che in realtà non può nulla. Green Hill, infatti, non è un canile pubblico, bensì appartiene all’azienda farmaceutica Marshall, sulla quale il sindaco non esercita alcun potere. Tuttavia, quello che gli animalisti capiscono, fomentati sempre dallo stesso Stoppa, è che la Zanola non vuole chiudere il canile perché ne percepisce una parte dei guadagni. Così, da manifestazioni e raccolte firme i protestanti passano a lettere minatorie, insulti e

M

istigazioni alla morte del sindaco. Giusto un piccolo inciso per sottolineare quanto la sorte si prenda gioco degli idioti: uno dei manifestanti, durante una protesta ha avuto un attacco di cuore. È stato salvato solo grazie al tempestivo uso di farmaci cardiovascolari, che, guarda caso, sono proprio quelli che vengono maggiormente testati sui cani. Intanto, la cosa ha attirato l’attenzione dei politici, che da bravi oclocrati cercano di cavalcare l’onda della protesta schierandosi dalla parte dei manifestanti. Il primo è Andrea Zanoni, deputato europeo dell’IdV, che manda una lettera ai piani alti dell’UE esigendo la chiusura di Green Hill. La risposta che gli arriva è una lettera in cui ci metto-

no due pagine per dirgli di non rompere le palle. La questione, infatti, è materia di competenza dell’autorità nazionale, ma Zanoni la celebra come una vittoria, pur non avendo fatto niente nel concreto. Altro alfiere della causa dei manifestanti è Michela Vittoria Brambilla (PdL), ministro del turismo durante l’ultimo governo Berlusconi. Costei, dimenticandosi che la sua tinta color carota è stata sicuramente testata su animali (e quella si che è sperimentazione inutile), ha proposto di inserire nella Legge Comunitaria l’articolo 16, per emendare ancor più severamente la normativa europea in materia di sperimentazione, già fortemente regolamentata - checché ne dicano gli animalisti - dalla recente Direttiva 10/63/UE. L’articolo 16 è stato approvato dalla Camera qualche settimana fa, e si attende la decisione del Senato. Nel caso la legge non dovesse passare, Formigoni ha già dichiarato che intende promulgare una legge regionale ad hoc per costringere il canile alla chiusura.

Frattanto i nomi dei venti politici che hanno votato contro l’articolo 16 sono stati pubblicati su tutti i siti animalisti con istigazioni a commettere crimini di ogni genere nei loro confronti. Ora, immaginiamo per un momento che Green Hill - e quindi anche tutti gli altri allevamenti simili - chiudano. Poiché le sperimentazioni vanno comunque svolte, i cani si dovranno acquistare (a costi maggiori) all’estero, probabilmente dalla Cina o dall’Est Europa, dove non ci sono leggi che ne regolino il trattamento. Più costi uguale meno mezzi, e meno mezzi uguale meno risultati. Con meno risultati le ricerche perderanno di valore e quindi riceveranno ancor meno finanziamenti statali di adesso. Con meno finanziamenti, i nostri ricercatori, piuttosto che fare la fame, se ne andranno all’estero; con meno ricercatori, si alzeranno ancora di più i costi, e così via. Bella prospettiva, eh? Il tutto perché qualche animalista completamente ignorante in materia di ricerca e sperimentazione ha deciso che la vita di un bambino vale quanto quella di un cane. La sperimentazione animale, allo stato scientifico attuale, è necessaria perché possano effettuarsi nuove scoperte; i metodi alternativi esistono, ma non possono sostituire del tutto la sperimentazione. Il giorno in cui si potrà abolire del tutto senza perdite scientifiche saremo tutti più contenti, ma fino a quel giorno è inutile farsi convincere da un propagandista a prendere parte a proteste idiote per salvare cani che non corrono nessun pericolo. Soprattutto, se quando cadi vittima di un malore assumi farmaci sviluppati grazie alla ricerca scientifica. Ma la domanda ora è: Green Hill rischia davvero di chiudere? Per fortuna, no. Il già citato articolo 16 sembra fatto apposta per salvarlo dalla chiusura: nei punti b e c vengono vietati gli allevamenti e gli esperimenti su cani, gatti e scimmie, a meno che non si tratti di esperimenti finalizzati a migliorare la salute umana o animale. Inoltre gli stessi punti proteggono anche il canile da leggi regionali di sorta, rimandando la decisione finale al Ministero della Salute. Tutto come prima, insomma. Ma allora che utilità ha l’articolo 16? Far credere agli animalisti (Brambilla inclusa) che il mondo vada come vogliono loro, e mentre sono impegnati a gongolare, agire nel modo migliore per tutti. Insomma, una grandissima utilità.


P AGIN A 6

A NNO VI — N UM E R O I

Bandiera bianca L'inutilità della lotta alla pirateria Lorenzo Rossi (classe ‘91, corso D) si diploma nel 2010. Fino all'ultimo è indeciso sulla facoltà: fisica o lingue? Opta per fisica: il primo anno in Statale, però, si rivela un flop. L'anno successivo Lorenzo si iscrive ad informatica e finalmente fra i due è amore a prima vista. Ciò che lo appassiona di questa disciplina è la programmazione dei computer, che egli impara ad “addestrare”. Per dialogare con la macchina usa un linguaggio specifico, formato da 7 sole istruzioni con le quali, disponendole nel modo e nella sequenza corretta (algoritmo), comunica tutte le operazioni che sceglie di fargli eseguire. È un lavoro affascinante e minuzioso, nel quale indispensabile è la capacità di astrazione. Naturalmente, dice Lorenzo, non è una passeggiata, ma i ritmi del classico preparano bene a qualunque facoltà! — Martina Brandi

di Lorenzo Rossi 'argomento pirateria informatica riemerge di tanto in tanto agli onori della cronaca, vuoi per l'ennesimo conto dei danni presentato dalle major, vuoi per un altro tentativo di porre un argine al fenomeno. Confermare o smentire i conti delle major è abbastanza al di sopra delle mie competenze e richiede quasi di sicuro ben più spazio di quello a disposizione per questo articolo, ma analizzare le speranze di successo dei provvedimenti è per fortuna più semplice. Escludendo i tentativi delle singole major (i cosiddetti DRM, o filigrana digitale) che sono per lo più ammassi informi di codice mal scritto, spesso irritante e di tanto in tanto persino dannoso per gli utenti, i tentativi di bloccare i download (o gli streaming) illegali si possono dividere in tre tipologie: oscurazione dei siti (The Pirate Bay), chiusura diretta degli stessi (Megaupload) o cause ai singoli utenti. Penso di poter affermare, senza timore di smentita, che nessuno di questi provvedimenti sia davvero efficace. Certo, alcuni di questi possono avere un forte impatto psicologico su coloro che scaricano, creare disagi (ad esempio per chi utilizzava i sistemi di condivisione in modo legittimo, e ce ne sono) e scoraggiare un pirata o due, ma non si avvicineranno mai, neanche minimamente, all'obiettivo che si propongono. Prendiamo ad esempio il caso Megaupload: il sito è stato chiuso, i suoi conti sequestrati (di conseguenza non verrà pagato l'affitto dei server e i dati andranno persi) e il fondatore arrestato. Dispiace per qualcuno che, è evidente, farà la fine del capro espiatorio, ma in concreto cosa è stato ottenuto? Una notevole quantità di Terabyte di dati, tra cui parecchi files legittimi, condivisi anche da professionisti per motivi di lavoro, non sono più accessibili, destinati presubilmente all’eliminazione: chi aveva acquistato un account a pagamento - magari per motivi legittimi - ha sprecato non pochi soldi. Un gran danno, in termini economici e di informazione, ma nulla di fatto

L

per la pirateria e un bel po' di pubblicità negativa per l'FBI (difficilmente chi ci ha rimesso files legittimi a causa dell'operazione sarà accomodante e collaborativo in futuro). In compenso i files scaricati sono ancora sui pc dove si trovavano all'inizio dell'operazione, possono essere condivisi quasi come prima (se parlo di Torrent, o di chiavette USB vi si accende una lampadina in testa? Ecco) e passati i primi giorni di “panico” il traffico si è solo spostato da Megaupload ad altri sistemi, come Torrent o eMule. E la chiusura dei siti è classificabile come il metodo migliore fra quelli adottati! Vi porto un altro esempio: The Pirate Bay. Il sito, per chi non lo sapesse, è un tracker per il protocollo di trasmissione peer-to-peer Torrent: in sintesi raccoglie le informazioni che vi permettono di scaricare files attraverso una rete costituita dagli utenti stessi. Il sito è stato obiettivo di diverse azioni legali, i suoi fondatori trascorrono molto tempo in tribunale e di tanto in tanto dietro le sbarre, senza che possa essere definitivamente chiuso. Qualche tempo fa la magistratura italiana ne ha ordinato l'oscurazione, ovvero ha ordinato ai nostri ISP (Telecom, Fastweb...) di bloccare gli accessi al sito: se digitate l'indirizzo nel vostro browser non otterrete risultati. Ma, siccome la decisione non tocca i server, i dati sono ancora presenti e, siccome nessun computer può essere reso davvero inaccessibile finché è connesso a Internet, The Pirate Bay è raggiungibile quasi come prima, con buona pace della magistratura italiana. Direi che non servono altri esempi per mostrare l'inutilità di questi provvedimenti: come già detto prima, nessun computer può essere reso davvero inaccessibile senza tagliare i fili e nessun file è davvero inaccessibile una volta dentro al computer,

quindi qualsiasi tentativo di blocco è inutile. Certo, qualcuno ha accennato all'ipotesi di controllare e filtrare il traffico di internet, per impedire che passino files non legittimi. Non intendo spendere troppo tempo dietro a questa pia (o empia e in odore di censura) illusione, mi limiterò a seppellirla sotto a qualche cifra: il traffico di internet oramai si può misurare in Petabyte (1024 Terabyte, ognuno dei quali equivale a 1024 Gigabyte), supponendo che tutti i file protetti da copyright rientrino in un Terabyte (e non è così da un paio di millenni) è necessario effettuare un controllo, un bit alla volta, con processori che eseguono operazioni su 64 bit, ovvero 8 byte, alla volta. Una stima approssimativa e ottimistica, che considera l'uso di un processore parecchio più potente di ciò che è ritenuto realizzabile ad oggi, considera che l'analisi di un singolo file richieda circa 49 anni e 6 mesi. Fate voi. Sono certo che esistano o saranno tentati altri metodi per fermare i download illegali, ma sono anche altrettanto certo che tutti, da qualche parte, presentino le stesse falle di quelli esposti sopra. Per quel che può valere un parere prettamente tecnico, il mercato dovrebbe cercare di convivere con questo scomodo ed ineliminabile concorrente, visto che qualcuno c'è riuscito (Steam, Netfix e Pandora sono tutte piattaforme che, su scala più o meno piccola, riescono a competere degnamente con il download illegale). Potrà anche essere uno scaricabarile, dal mondo dell'informatica a quello del marketing, o magari dipende dal fatto che, alla fin fine, tutti gli informatici sono almeno un po' pirati e quindi non si può chieder loro di combatterli, ma l'unico modo di contrastare il download illegale è rendere più appetibile il prodotto legale.


G E NNAIO 2 0 1 2

P AGIN A 7

Carceri sovraffollate: quando l’arte salva “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni” (Fedor Dostoevskij) Xhestina Myftaraj si è diplomata l'anno scorso nella sezione A. Ai bei tempi Carducciani, oltre ad essere stata redattrice di questo giornalino, ha seguito il corso di teatro e ha promosso il ciclo di incontri interdisciplinari “Cultura del '900”. Ora studia Scienze Internazionali ed Istituzioni Europee alla facoltà di Scienze Politiche alla Statale. — Carlo Simone

di Xhestina Myftaraj isale al febbraio scorso l’ ultimo caso di suicidio in carcere. Si tratta di un giovane incensurato di 22 anni, detenuto a San Vittore (Milano), che aveva evidenziato un disturbo della personalità. In carcere da 4 mesi, era ancora in attesa di giudizio. Dall’ inizio dell’ anno il numero dei detenuti morti in carcere ha raggiunto quota 30, di cui 13 suicidi. Cifre preoccupanti così come le 186 morti registrate l’ anno scorso, di cui 66 suicidi. Secondo i rapporti ufficiali la frequenza dei suicidi, che spesso avvengono per impiccagione, soffocamento, avvelenamento o inalazione del gas della bomboletta usata per cucinare, arriva a triplicare in condizioni di sovraffollamento. In questo l’ Italia vanta un record europeo. Nel 2009 infatti, il nostro tasso di sovraffollamento era del 150% (con circa 68.000 detenuti a fronte di 45.000 posti letto), tanto che in alcuni casi le persone sono costrette a vivere in celle in cui si può stare in piedi uno alla volta e a dormire in letti a castello di quattro piani. Interessante anche considerare la popolazione carceraria. I detenuti imputati o condannati per associazione a delinquere di stampo mafioso sono 5797, mentre i detenuti che hanno commesso violazioni della legge sulle droghe sono ben 28.154. Insomma, il 38,2% dei carcerati sono tossicodipendenti (media europea del 16%) tanto che, sebbene i costi di gestione delle misure alternative siano molto inferiori a quelli del sistema penitenziario, è molto più facile trovare tossicodipendenti in carcere piuttosto che in comunità. Secondo Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, un periodico che informa sulle condizioni di vita in cella, “ le carceri sono diventate delle discariche sociali per persone che creano problemi (drogati, malati mentali, immigrati ndr) e, invece di dar loro gli strumenti per riabilitarsi e reiserirsi, queste vengono parcheggiate nelle celle”. Grave è anche il fatto che nel 2011 in Italia i detenuti senza sentenza definitiva, che quindi si presume siano innocenti, siano stati il 51% dei reclusi, mentre in Germania costituivano il 16,2% e in Francia il 23,5%. Secondo Donato Capece, segretario generale del Sappe (sindacato autonomo di

R

polizia penitenziaria): “Va riformato il sistema sanzionatorio, il che significa meno carcere e più territorio. I reati di lieve entità vanno infatti tenuti sul terriotorio attraverso misure alternative alla detenzione, quali lavori di pubblica utilità, semidetenzione, domiciliari o applicazione del braccialetto elettronico”. Altro problema cronico è la carenza di personale connessa alla mancanza di risorse economiche. Ad esempio, i magistrati di sorveglianza sono 193 anzichè 208 e ogni psicologo può dedicare a ciascun paziente 10 minuti all’ anno. Il peso di questa situazione è quindi quotidianamente portato anche dalle stesse persone che lavorano in carcere. Secondo i dati del Sappe infatti, 100 agenti e

un direttore di istituto si sono tolti la vita negli ultimi 12 anni . Anche la fatiscenza delle strutture contribuisce a incrementare i disagi. Durante l’ ondata di freddo che ha colpito Roma lo scorso febbraio, il direttore del carcere Regina Coeli ha dovuto distribuire 150 coperte e cappellini ai reclusi del sesto braccio che, con dieci gradi sotto zero e senza riscaldamento, rischiavano di congelare. Nel 2010 una delegazione delle associazioni A buon diritto e Antigone ha visitato alcuni degli istituti penitenziari più affollati d’ Italia che, in base a determinati indicatori (mq a disposizione per detenuto, luminosità delle celle, frequenza di accesso alle docce in comune, numero di ore trascorse fuori dalle celle), sono risultati fuorilegge. Ecco spiegati i motivi per cui i Radicali, da sempre sensibili al tema delle condizioni di detenzione in Italia, e alcune associazioni che si occupano di carcere, hanno

presentato ricorsi alla Corte europea dei diritti dell' uomo di Strasburgo contro il sovraffollamento delle carceri, citando in giudizio lo Stato italiano per la violazione dell' art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell' Uomo, che proibisce di sottoporre a trattamenti inumani e degradanti. Importante per il riconoscimento dei diritti dei detenuti è stata anche la sentenza emessa dal Tribunale di sorveglianza di Lecce che a febbraio ha condannato lo Stato e l’ amministrazione penitenziaria a risarcire quattro detenuti del carcere di Borgo San Nicola. Motivazione: il sovraffollamento della casa circondariale che comporta una violazione dell’ art. 27 della Costituzione, nella parte in cui recita che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Uno dei reclusi aveva infatti trascorso 19 ore in una cella, utilizzando uno spazio vitale pari a 3,39 mq al lordo degli arredi e dormendo su di un letto a castello posto a 50 cm dal soffitto della stanza. Non aveva inoltre fruito di un programma trattamentale che alternasse attività finalizzate alla rieducazione con quelle all’aperto. In base a dati statistici e studi universitari indipendenti infatti, il ricorso alle misure alternative e a politiche di serio reinserimento, per le quali l’ opera dei volontari risulta molto preziosa, sono l’unico strumento efficace ed economicamente vantaggioso per attuare una buona volta l’ art 27 della Costituzione. Ne è una dimostrazione il carcere di Verona che, nonostante un affollamento del 162%, ha registrato la minore frequenza di suicidi, grazie alle numerose attività lavorative, culturali e sportive che vi si svolgono. Anche l’ultima pellicola dei fratelli Taviani “Cesare deve morire” propone il tema della valorizzazione e del reinserimento sociale dei detenuti. Il docu-fiction, vincitore dell’ Orso d’Oro all’ ultimo festival di Berlino, è stato interamente girato nel carcere romano di Rebibbia e vede alcuni detenuti cimentarsi nella rappresentazione del ”Giulio Cesare” di Shakespeare. Della serie “l’ arte salva”.


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 8

Il default del paroliberismo Claudio Fatti (classe ’92, sezione F) si è diplomato al Carducci nel 2011 e oggi studia Giurisprudenza presso la facoltà dell’Università Statale di Milano. Durante gli ultimi anni al Carducci ha scritto per “L’Oblò sul Cortile” pezzi di grande spessore politico e rivolti particolarmente al tema della giustizia. – Martina Brandi

di Claudio Fatti nella credibilità zero della capacità del seguente domanda. Il dibattito sulle libegoverno Berlusconi di far fronte a detta 'è un che di commovente, nel situazione. Tutto ciò ha ingenerato nedibattito che si è sviluppato atgli investitori un'aspettativa di default. torno alla crisi del debito italiaSic et simpliciter. na, nelle tesi promanate dall'uQuesto per quanto riguarda la favola niverso comunitarista* riguardo le cause della "speculazione". Ma, al netto delle della crisi e i suoi sviluppi più o meno dietrologie da due soldi e delle ciance recenti, trattandosi di fanfaluche assoluun tanto al chilo su presunti (nonché tamente svincolate da qualsiasi riscontro com i ci ) comp lo tt i d em o-p lut o fattuale che, nella mente di questi cialgiudaico-massonici - che tanto ricordatroni da osteria, dimostrerebbero il fallino gli sproloqui di quel tale da Predapmento del capitalismo liberista. I luoghi pio -, ha ripreso vigore un altro dei comuni molto in voga in questi circoli principali luoghi comuni che affollano il sono principalmente due (senza contare dibattito politico nostrano. Un argola follia della svalutazione). Il primo può mento diffuso specialmente negli amessere riassunto nell'affermazione seconbienti della sinistra che si suole definire do la quale la crisi odierna è dovuta agli "indignata" (anche se probabilmente attacchi della c.d. "speculazione interna"sciocca" sarebbe un termine più adezionale". Non di rado questa teoria naguato) e, più in generale, statalisti (o sconde un substrato di pregiudizi comsocial-bananisti, che dir si voglia). plottisti. Insomma, la tragica posizione C'est-à-dire il mantra per cui il nostro del debito pubblico italiano sui mercati Paese sia reduce da un predominio ulfinanziari, sarebbe traventennale di dovuta agli "liberismo selvag“L'unico liberismo che si è "speculatori" brutti gio". E' un'opinioe cattivi, che lucrano visto negli ultimi vent'anni ne che, alla luce sullo spread tra i dei fatti, lascia è quello delle parole” titoli di Stato italiani basiti. Innanzitute quelli tedeschi e to, non serve certo essere economisti sul crollo dei titoli del settore finanziario. per rendersi conto che, in Italia, l'unico Prima di discutere della bontà di questa liberismo che si è visto negli ultimi venipotesi, occorre una precisazione. Tecnit'anni è quello delle parole. Basta infatti camente, speculatore è qualsiasi investidare una rapida occhiata a pochi dati di tore operi sul mercato finanziario al fine finanza pubblica per rendersi conto - normalissimo, per chi sia sano di mente dell'assurdità risibile della tesi enuncia- di trarre profitto dalle proprie operaziota poc'anzi. Come si fa a definire ni. Quasi sicuramente, i sostenitori della "liberista" un sistema economico in cui tesi della "speculazione internazionale", la spesa pubblica supera il 50% del Pil, vogliono in realtà riferirsi, con questo con una pressione fiscale al 45 - con un termine, alle operazioni allo scoperto. carico fiscale complessivo sulle imprese Ma, innanzitutto, le operazioni allo scoattorno al 68% - e un debito pubblico perto incidono per un epsilon sull'andache sfiora il 120? Follia! E ancora. La mento dei titoli del settore finanziario. partitocrazia, l'onnipresenza dello Stato Lo dimostra il fatto che a) da quando e dei partiti nell'economia ci costa, Consob a settembre ha vietato la vendita stando ai dati della Corte dei Conti, 60 allo scoperto di questi titoli, non è cammiliardi l'anno di corruzione, sprechi, biato nulla nell'andamento generale; b) inefficienze del sistema. Non a caso, da quanto risulta dai monitoraggi Coninfatti, lo studio Heritage sulla libertà sob, l'attività di vendita allo scoperto di economica nel mondo colloca il nostro titoli del debito sovrano non ha registrato paese al 92° posto, a metà fra Azerbaiaumenti significativi nel periodo critico jan e Honduras. Quello che si suole dire di luglio-agosto. Tanto che "sembra che un vero e proprio paradiso (pardon, le vendite allo scoperto abbiano avuto un inferno!) liberista, insomma. Né si poruolo marginale" (luglio 2011). In più, trebbe tacciare di faziosità lo studio, l'aumento dello spread è dato dall'affidaaffermando - ma andrebbe ovviamente bilità o meno dei titoli del debito pubblidimostrato - che il centro studi Heritaco italiani, ossia nelle probabilità che uno ge sia un covo di selvaggi liberisti affaStato rifonda o meno il credito ricevuto matori di popoli, dal momento che, dagl'investitori. Il motivo per cui nel lunella stessa classifica, la Danimarca, glio-agosto si era giunti a livelli tragici di quella che è unanimemente riconosciuspread risiedeva a) nel fatto che la situata come l'esponente principe delle dezione dei conti pubblici era disastrosa, mocrazie welfariste, è collocata all'11° essendo il debito pubblico giunto a livelli posto. insostenibili dall'economia italiana; e b) Non bastasse tutto ciò, ci si ponesse la

C

ralizzazioni è o non è storia di questi ultimi giorni? E che dire di monopoli, sussidi statali, corporazioni e colossi e carrozzoni pubblici? Oh, bella! Forse che voglia dire che ci troviamo in presenza di una strana e inedita forma di "liberismo selvaggio": il liberismo senza concorrenza? Nessuna persona in buona fede e di minimo buon senso potrebbe arrivare a tanto. E allora... Che d'è questo "liberismo selvaggio"? Sono palesemente balle. Pertanto, per favore, diamoci un taglio. A questo punto ci sarebbe da chiedersi perché queste idiozie trovino così ampio accreditamento da parte della politica, della stampa e della classe dirigente in generale. La risposta è, con ogni probabilità, che esse sono funzionali al mantenimento dello status quo, dal quale i suddetti ambienti traggono sussistenza. Additare il liberismo come causa di ogni male nostrano consente alla politica di continuare imperterrita sulla strada del craxismo: spendere e spandere in allegria il danaro pubblico, finanziando la spesa con debito e tasse, per creare e mantenere clientele sempre più vaste a suon di poltrone, sussidi e prebende d'ogni tipo. Per concludere, tornando a bomba, un'ulteriore precisazione. La causa della crisi italiana non è lo spread. Lo spread è una conseguenza, un sintomo di una situazione patologica ultratrentennale. Le cause della crisi vanno ricercate nella politica economica folle inaugurata da Craxi e sodali (il tristemente celebre Caf) e perfezionata dai suoi epigoni della c.d. seconda Repubblica, che ha portato l'Italia all'assurdità di uno stock di debito pubblico di circa 1.900.000.000.000 €; e che ci ha trascinato, per ben due volte negli ultimi vent'anni, ad un passo dal tracollo. Mettiamoci bene in testa, allora, una volta per tutte, che per uscire dalla crisi c'è bisogno di riprendere a crescere e di tagliare drasticamente la spesa pubblica. Limitarsi al pareggio di bilancio può curare momentaneamente lo spread. Ma, se non si risolvono i nodi della crescita e della spesa, il rischio (per meglio dire, la certezza) è di ritrovarci nuovamente, tra dieci o vent'anni, ad un passo dal default. *Con questo termine si vuole racchiudere tutte le congreghe che vanno dai vetero-comunisti ai neo-fascisti, passando per cattolico-sociali e social-buonisti in genere: ossia tutte le fazioni ideologiche convinte dell'esistenza di un "bene comune" - che, ovviamente, è dato conoscere solamente ai depositari della dottrina - per l'attuazione del quale si finisce inevitabilmente per cadere o nel totalitarismo o nel solidarismo ipocrita e d'accatto.


G E NNAIO 2 0 1 2

P AGIN A 9

Non ho nulla contro Dio: è il suo fan club che mi spaventa! Mauro Muscio, classe ’90 sezione F, laureando in Lettere Moderne alla Statale, è stato per lungo tempo la figura di punta del Collettivo, guidandolo come carismatico e trascinante rappresentante d’Istituto (dal 2007 al 2009) tra proteste, riforme e occupazioni. Militante universitario membro del Collettivo lgbt Tabù e di Sinistra aCritica, si è sempre battuto per la difesa dei diritti degli omosessuali.— Federico Regonesi

di Mauro Muscio permettere! Poi Roberto, parliamoci Buongiorno car* carduccian*, inizio chiaro, sai quanto ti divertiresti tu al ringraziandovi per l’opportunità che mi Pride? Sei molto affascinante, secondo è stata concessa di scrivere sull’ormai me cuccheresti un sacco! Nelle chat o storico “Oblò Sul Cortile”. Premetto che nei locali gay ho conosciuto molti padri di famiglia, alcuni di loro anche tessequest’articolo ha un contenuto forte, eretico, non adatto a lettori e lettrici da rati Pdl, altri vicini a CL e con alcuni ho avuto modo di approfondire la couna sensibilità troppo accentuata nei confronti della Chiesa Cattolica; per noscenza molto da vicino. Roberto, se finanziassi il Pride lo faresti anche per questi motivi durante la lettura è consigliata la presenza in classe o di un/una loro: le collant e i perizoma delle mogli razionalista, o di un ateo/un’atea, o di li potrebbero indossare pubblicamente un omosessuale/di una lesbica, o di un/ lungo Corso Buenos Aires durante un una miscredente, o di un laico/una lai- caldo giorno di Giugno, e non più nascosti nelle fredde camere dei motel! A ca. questi padri repressi serve solo un po’ Non so se tutt* lo sapete, ma dal 29 di coraggio, e tu, Roberto, potresti aiumaggio al 3 giugno si terrà a Milano il tarli! VII Incontro Mondiale delle Famiglie, evento organizzato dall’Arcidiocesi di Ma veniamo al punto centrale: viene il Milano e dal Pontificio Consiglio della Papa a Milano! A pochi passi da casa Famiglia in collaborazione con la Regio- nostra tra qualche mese arriverà Lui, il Santo Papà. Monarca assoluto di uno ne Lombardia. La prima parte della manifestazione si svolgerà alla Fiera Milano City, mentre la seconda al Parco Nord di Bresso, con l’attesissimo arrivo dell’ospite d’onore, Papa Benedetto XVI. Insomma, a fine maggio, per l’Incontro Mondiale delle famiglie (eterosessuali!) avremo una vera e propria invasione di ciellini, di ultracattolici, di preti, di fondamentalisti, di vescovi, di suore e di bigotti ipocriti: si salvi chi può! Ora provate a risalire di qualche riga, leggete di nuovo i nomi degli organizzatori dell’evento; c’è qualcosa che non quadra, vero? Arcidiocesi… Pontificio… in collaborazione con la Regione Lombardia. Ci risiamo! C’è sempre lui di mezzo! Formigoni, Formigoni… non che io voglia rovinarti la festa, ma sai meglio di me che così non va bene! No! No! No! Non va bene! Se con i fondi pubblici, se con i nostri soldi, finanzi, o meglio, “collabori”, per la realizzazione di questo evento allora dovresti “collaborare” anche per la realizzazione del Gay Pride. Tu rappresenti tutt* i/le cittadin* della Lombardia, non solo i cattolici. Se la tua regione con i miei soldi finanzia l’incontro dei fedelissimi, con alcuni tra i più omofobi personaggi della Chiesa Cattolica, sfruttando i loro soldi dovresti finanziarmi anche l’incontro dei frocissimi! Perché altrimenti “sembra” che tu sia schierato, “sembra” tu difenda solo gli interessi di alcuni, e un Governatore questo non se lo può

dei paesi più ricchi al Mondo, capo spirituale della fede in assoluto più professata, nonché nostra religione di Stato, filosofo, teologo abile poliglotta. Dobbiamo accoglierlo come merita! Perché, se non lo facessimo, saremmo solo degli/delle ipocriti/e, o almeno io mi sentirei tale. Qualcuno ha preferito dimenticarlo, ma nel 2011 la Santa Sede, di fronte alla proposta all’Onu di un provvedimento per la depenalizzazione mondiale per l’omosessualità e il lesbismo, votò contro. Il Papa e tutto il suo consiglio di amministrazione si è reso complice di quelle leggi che ancora, purtroppo, sanzionano, puniscono, torturano e condannano a morte gay e lesbiche in alcuni paesi sanguinari. Di fronte alle molte polemiche sollevate all’epoca, il Vaticano non fece nessun tipo di retromarcia. Questa presa di

posizione della Chiesa Cattolica nei confronti dell’omosessualità è stata forse una delle più pesanti e denigratorie, ma rappresenta solo la punta di un grosso iceberg. Senza fare riferimento al Papa precedente, Giovanni Paolo II, che spacciato, ricordato e compianto come il Papa buono, fu uno dei più agguerriti nemici dei diritti dei soggetti lgbt e dell’autodeterminazione delle donne; proviamo a ripensare a quante dichiarazioni omofobe questa Chiesa di Ratzinger ha fatto negli anni, senza dimenticare i continui attacchi alla dignità delle donne e alle conquiste del movimento femminile e femminista sulla tematica dell’aborto e della pillola RU-486. Il potere psicologico, economico e culturale che detiene il Vaticano è qualcosa di dannoso per tutt*, un potere che riesce a controllare la sfera pubblica attraverso CL, che nella nostra regione controlla la Sanità Pubblica, i finanziamenti alle scuole pubbliche, attraverso partiti e personaggi politici bigotti (faccio un esempio ma dovete promettere di non scoppiare a ridere, anche se è difficile: Giovanardi!) ma anche attraverso i mass media, e i favoritismi dello Stato. Le affermazioni sui diritti dei gay e sulla libertà delle donne, sui contraccettivi, sull’eutanasia o la fecondazione assistita sono un’offesa e un attacco alla nostra civiltà, alla nostra laicità, alla nostra democrazia! Festeggeranno il loro incontro della famiglia eterosessuale, incasseranno migliaia di euro con sponsor (come al meeting di CL, sponsor ufficiale Intesa San Paolo, la banca che più di tutte finanzia aziende belliche) e commercio vario, faranno ipocrite discussioni sulle “sfide” che il tempo ha messo loro di fronte, (quando fissare il prossimo Family Day senza accavallarlo alla settimana del Pride così che in viale Zara le trans che si prostituiscono siano tutte presenti? Come spacciare gli Alberghi di proprietà della Chiesa come luoghi no-profit così da aggirare il Fisco e non pagare l’Ici?). Noi risponderemo, ci faremo sentire, daremo un caldo benvenuto al Papa e ai suoi vescovi, ci armeremo di preservativi, lubrificanti, sex toys e grideremo che noi ci siamo, (r)esistiamo e sempre ci saremo! Per info accoglienza Papa: collettivotabu@hotmail.it


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 1 0

Arguzie e facezie della musica contemporanea Valentina Curcio (classe ‘92, sezione I) si è diplomata al Carducci nel 2011 e attualmente studia Fisica presso la facoltà dell’Università Statale di Milano. Frequenta il sesto anno del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Studia sassofono classico e ha suonato, durante la sua permanenza al Carducci, nell’Orchestra Scolastica.— Chiara Compagnoni

di Valentina Curcio vete mai sentito qualcuno dire: “Quel pianista suona proprio coi piedi”? Solitamente non è un complimento ma, se quel qualcuno aveva appena assistito ad un concerto di musica contemporanea, il pianista in questione potrebbe non avere nulla di cui offendersi. Può darsi che in programma fosse prevista l’esecuzione del brano 3 shells, composizione del musicista giapponese Hikari Kiyama. Per riuscire a suonarla ci sono varie possibilità: avere un numero di braccia superiore a due, essere nati con mani di 10 dita, oppure usare un piede, il sinistro, per raggiungere le note gravi. Anche se non siete musicisti potete provare a cimentarvi nello studio del brano, è un ottimo esercizio di stretching (il piede destro naturalmente deve poter usare il pedale). Un essere umano però, per quanto fornito di doti da contorsionista, non è in grado di soddisfare la sete di originalità dei compositori contemporanei: le macchine possono fare di meglio. Gli autori si sono sbizzarriti a partire da generi della tradizione come il poema

A

sinfonico, opera tipicamente per orchestra molto in voga tra i romantici. Per avere un’idea di quale sia il genere potete pensare a Così parlò Zarathustra di Richard Strauss, il famosissimo brano che fa da colonna sonora a 2001: Odissea nello Spazio. Un autore novecentesco come György Ligeti (è sua, tra l’altro, gran parte delle rimanenti musiche di 2001: Odissea nello spazio) ha composto il Poema sinfonico per 100 metronomi. Sì, metronomi. Quei diabolici aggeggi verso i quali ogni musicista prova un sentimento di infastidita gratitudine. Tutto questo, però, vale in fase di studio. Chi avrebbe mai pensato di poterli far “suonare” in pubblico? L’opera consiste in una serie di metronomi meccanici, di quelli a carica manuale, impostati a velocità diverse, che vengono fatti partire tutti insieme. Una foresta di ticchettii intrecciati in maniera caotica si evolve in curiose figurazioni ritmiche che tendono a scemare al finire della carica, finché non rimane un ultimo, solenne, toc. Ma che dico, metronomi? No, serve di più: elicotteri! Karlheinz Sto-

ckhausen, compositore tedesco, dice di aver sognato un quartetto d’archi la cui celestiale sonorità si amalgamava perfettamente con i timbri e i ritmi prodotti dalle pale del rotore di un elicottero. Nel suo caso il sogno si è avverato e ne è nato l’Helicopter string quartet, che è stato eseguito a Roma nel 2009 e fa parte dell’opera Licht, della durata di sole 29 ore. Nessuno, infatti, ha mai avuto il coraggio di eseguirla per intero. Ma l’opera capitale della musica classica contemporanea, quella che non si può ignorare (almeno per potersi vantare con gli amici di saper suonare qualcosa anche se di musica non si capisce nulla), è 4’33’’ di John Cage. Non l’avete mai sentita? Effettivamente credo che nessuno l’abbia mai sentita. Lo spartito chiede al musicista di salire sul palco con il proprio strumento e di non suonarlo per esattamente 4 minuti e 33 secondi. Paradossale? Sì, ma serve a dimostrare una profonda convinzione di Cage: il silenzio non esiste. (Se volete farvi qualche risata potete trovare su youtube i video di tutte le opere in questione)


G E NNAIO 2 0 1 2

P AGIN A 1 1

Pane quotidiano Ottavia Amato (classe ‘91, sezione G) si è diplomata al Carducci nel 2010 e attualmente studia Medicina in lingua inglese presso la facoltà dell’Università Statale di Milano. Durante gli studi liceali si è dilettata scrivendo per il Giornale Scolastico ed è stata candidata alle elezioni 2009/2010 del Consiglio d’Istituto per il Collettivo.— Chiara Compagnoni

di Ottavia Amato C’è chi ha il pane dolce, la sua fetta di torta, c’è chi il pane lo ruba e il pane cresce di prezzo c’è chi lo lavora, c’è chi fa fatica, e c’è il sapore amaro del suo pane quotidiano. (Alberto Camerini – Pane Quotidiano)

A

dieci anni vinsi un premio per un mio disegno che ritraeva alle prese con una difficile digestione Topo Ciccio, la mascotte del corso sulla corretta alimentazione. Per noi nati negli anni ’90, alle elementari il problema dell’abuso di cibo era già alla ribalta. Periodicamente il medico scolastico ci pesava e misurava e dovevamo portare a casa il verdetto, normopeso o sovrappeso. Tempo dopo al Carducci seguimmo una lezione precisa e scientifica, tenuta da un medico dell’Istituto Nazionale dei Tumori; ci fecero addirittura assaggiare un pranzo cucinato secondo i loro dettami. Eppure oggi non direi di avere le idee chiare. Il problema di ciò che mangiamo è di ampio respiro e comprende in sé questioni non solo nutrizionali e sanitarie, ma anche sociali, culturali, ecologiche, etiche. Queste ultime forse le più sentite, se guardiamo alle tendenze diffusesi negli ultimi decenni: da vegetarianesimo e veganesimo, che proibiscono - con diversi livelli di selettività - il consumo di prodotti animali, al fruttarianesimo, che prescrive il consumo dei soli vegetali naturalmente caduti dall’albero, al freeganesimo, che consiste nel raccogliere dalla spazzatura tutto quanto scartato benché ancora commestibile. La tendenza più recente è il flexitarianesimo, cioè il «mangiare sempre meno proteine animali pur non diventando strettamente vegetariani» (Luigi Ripamonti, la Lettura, inserto del Corriere della Sera, 26 febbraio 2012). Tutti questi regimi alimentari contengono una sostanziale componente ideologica ed etica, e si propongono tutti di uscire in qualche modo dall’attuale “rete del cibo”: l’emanazione a livello alimentare del capitalismo, ovvero un sistema in cui il cibo viene trattato come ogni altra merce e prodotto per il solo fine di fare profitto. Ma quanto sono fitte le maglie di questa rete? Libertà è libertà di scegliere? Sabato 11 febbraio 2012, LA7, Le Invasioni Barbariche. Si discute della proposta del Ministero della Sanità di porre una tassa sul “cibo-spazzatura”. Un ragazzo intervistato in un fast-food: «Se devo essere guidato, pilotato su quello che devo mangiare, veramente non trovo più nessuna libertà, allora qual è la libertà, che cosa posso scegliere?»

Il sistema capitalista ci porta a vedere nell’atto della scelta tra un prodotto e un altro la massima espressione della nostra libertà individuale, quando invece il momento della scelta è per noi quello di massima schiavitù, ciò che il mercato ci costringe a fare per alimentare se stesso. Come scrive lucidamente Margareth Atwood nel suo romanzo del 1969 La Donna da mangiare: «Nei prodotti, le cose in sé, non c’era alcuna reale differenza. Allora in che modo si sceglieva? (…) Si lasciava che quella parte di una persona che avrebbe dovuto reagire alle etichette semplicemente reagisse, quale che essa fosse. (…) Quale detersivo aveva il miglior simbolo di potere? Quale barattolo di succo di pomodoro portava sull’etichetta il pomodoro dall’aspetto più erotico, e a lei importava? Qualcosa a lei doveva importare; dopotutto, alla fine sceglieva, facendo precisamente ciò che qualche ideatore in un ufficio ampio aveva sperato e predetto che lei avrebbe fatto.» Più di quarant’anni dopo, l’anima del sistema è sempre quella. Si tratta della base su cui, ad esempio, ogni I like che clicchiamo su Facebook fa alzare le quotazioni in borsa del sito, che sempre più diventa una miniera di informazioni su ciò che ci piace, preferiamo e perciò sceglieremo, compreremo. Ma siamo certi di poter scegliere? Buono come il pane Nella stessa serata, alle Invasioni Barbariche, è presente in studio il professor Franco Berrino, epidemiologo e direttore del Dipartimento di medicina preventiva e predittiva all’Istituto Nazionale Tumori di Milano. Dichiara: «Il bianco è il principale veleno nella nostra alimentazione:» il processo di raffinazione industriale. In un’intervista al Fatto Quotidiano (9 febbraio 2012), Berrino spiega: «La farina 00 ha avuto successo, nonostante non sia buona e non sappia di niente, perché si conserva indefinitamente: nessuna farfallina sarebbe così stupida da andare a deporre le uova in una farina 00, non potrebbe vivere senza nutrienti.» La soluzione, tuttavia, non è quella di scegliere cibi etichettati come integrali, a quanto pare: la grande maggioranza dei prodotti integrali sarebbe infatti prodotta con farina 00, cioè raffinata industrialmente, a cui viene poi riaggiunta una crusca finemente tritata, recuperata dal materiale di scarto della raffinazione. Secondo Berrino questa finta farina integrale sarebbe il peggio del peggio, assommando in sé le proprietà negative di farina bianca e crusca.

Il fatto che prodotti meno raffinati costino oggi di più è il paradosso di un sistema produttivo che ha portato all’estremo la filosofia del prodotto standardizzato. Essendo la farina il prodotto di una lavorazione, ma anche una materia prima, all’industria serve che sia di un unico tipo e del più facile da lavorare, in modo che da un’unica farina, prodotta senza diverisificazioni e nel modo più economico, si possano ottenere tutti i prodotti reperibili sul mercato, dai biscotti cioccolatosi alla pasta integrale. Si tratta di una lavorazione secondo uno schema “a clessidra”. Prima vediamo la riduzione di tutto il frumento ad un’unica farina standard, ottenuta attraverso un’unica lavorazione: da una potenziale molteplicità si passa ad un unico prodotto. Quindi quello stesso prodotto viene lavorato per ottenere una sterminata varietà di nuove merci, producendo da una stessa materia prima un’infinità di prodotti. Per quanto poi noi consumatori studieremo le etichette di questi prodotti, cercando di evitare colesterolo, conservanti o grassi idrogenati, essi avranno comunque tutti alla base quella stessa farina bianca. L’obeso aumenta di peso In un momento storico in cui l’attuale crisi ha acceso sui giornali un ampio dibattito su un’ipotizzata fine del capitalismo, la questione della farina bianca è particolarmente interessante non per i problemi sanitari che solleva, ma come emblema di un sistema che ha preso possesso di ogni aspetto della nostra vita, che taglia le possibilità di evasione alla base. Tra le strategie di evasione dal sistema capitalista ipotizzate è ultimamente nota la “Filosofia della decrescita”, proposta dal filosofo ed economista francese Serge Latouche, basata sul rigetto dell'obiettivo di crescita infinita del PIL e opposta al concetto di “sviluppo”. Tuttavia l’esempio della “manomissione” della farina porta a chiedersi se basti decrescere, per aprire la strada ad un sistema realmente diverso. Esso mostra come non sia sufficiente solo uno snellimento dell’attuale menàge, ma serva una reinvenzione di tutta la catena di produzione dei beni, che impronti la lavorazione ad un totem diverso da quello del profitto. La questione della farina mostra quanto dovrà essere radicale il cambiamento, per uscire da un sistema in cui a tal punto tutto è contraffatto, che non è più possibile fidarsi nemmeno del pane.


P AGIN A 1 2

A NNO VI — N UM E R O I

Uno che voleva avere un bel mazzo di chiavi Matteo ha lasciato il Carducci nel 2009, diplomandosi nel corso D. Sta per conseguire la laurea breve in Filosofia alla Statale. Oltre alle cogestioni e alle assemblee sulla massoneria in autogestione, scriveva sul giornalino firmandosi proprio “Uno che vorrebbe avere un bel mazzo di chiavi”. È molto attivo nell’ambito dell’ecologia (celebri i suoi “Join cause” e i link ecologisti su facebook).— Anna Quattrocchi

di Matteo Sapienza una parte (men) chi ha frequentato il primi due anni trascorsi al Car- liceo di via Commenda ha in media otducci li ho passati a voler andare time capacità critiche e nella gestione dello studio, ma un approccio accadevia dal Carducci. mico al reale, d’altra parte (dé) gli ex I responsabili di questa insicurez- studenti del Manzoni possiedono una za, oltre a me medesimo? Ebbene non buona cultura politica, nonché una furono tanto i professori, quanto, piut- spiccata self-confidence nella mondanitosto, gli studenti, i miei compagni, di tà milanese. Infine i ragazzi del Virgilio, classe e di liceo. Ma non ebbi il coraggio capaci di godersi l’adolescenza, forse di cambiare. L’atmosfera domestica di perché, beati loro, salvi da ansie prestaquell’edificio grigio-apocalisse mi dice- zionali e da neo-darwinistiche lotte per va di aspettare. Così mi sono spinto la supremazia. sulle rive del Virgilio, del Berchet, del Manzoni alla ricerca di un qualcosa che Un attributo però mi sembra sia venuto potremmo chiamare “appagamento a mancare negli altri licei classici milasociale”. A distanza di otto anni, guar- nesi, almeno negli anni in cui ho fredandomi indietro, posso dire di essere quentato, e che al Carducci era abboncontento della mia scelta, soprattutto d a n t e . Gl i a l t r i l a c h i a m a n o dopo che, in università, mi sono potuto “sfigataggine”, io la chiamo semplicità. rendere conto delle diverse eredità cul- Io il carducciano tipo me lo ricordo coturali lasciate dai milieux liceali. Si suol sì: perennemente sulla metrò verde dire che tutto cambi da sezione a sezio- (perché spesso proveniente dalla sterne, tuttavia non ho potuto fare a meno minata periferia meneghina), abbastandi notare alcune peculiarità. E se da za studioso, vestito in maniera non ec-

I

centrica, incapace di sostare nel cortile esterno perché smanioso di tornare a casa. Certo a volte essere semplici vuol dire essere sempliciotti, ma quell’ingenuità svogliata non era sintomo di mancanza di capacità. Sono bastate poche persone -tra cui un omosessuale dotato di una spiccata propensione alla leadership- e un sano confronto di idee con la folta colonia ciellina. Risultato: tre cogestioni, una mini (per fortuna) occupazione e soprattutto il merito di aver stimolato la fauna studentesca e di aver dato il buon esempio. Tornando velocemente sull'oggi il Carducci, visto da fuori, mi sembra ancora sulla buona strada. Tante iniziative e un bel numero di teste pensanti e vogliose. Ma davvero non posso esimermi dal dare un consiglio: tener bassa la cresta, perché la prima cosa che in ogni caso s'impara al primo anno di università è che non si sa davvero nulla del mondo!

Assemblea in Aula Studenti (“Auletta”), 1977 Fotografia di Giovanni Tagliavini. L’Associazione Ex-Carducciani ha raccolto numerosi scatti carducciani, dagli anni ‘40 a (quasi) oggi, reperibili su www.flickr.com/photos/carducciani.


G E NNAIO 2 0 1 2

P AGIN A 1 3

Percolato - Un racconto Dario Elio Pierri, classe 1992, è stato fino allo scorso anno studente della sezione B. La sua passione per la materia l'ha portato a iscriversi alla facoltà di filosofia dell'università Cattolica. La sua specialità all'interno dell'Oblò erano articoli perlopiù "comici", leggeri, adatti a chiunque volesse prendersi una momentanea pausa. Cosa lo rende speciale (oltre al magnifico nome)? È un grande fan dei System of a Down.

di Dario Elio Pierri uanto vorrei che tutto tornasse come prima! Allora non è che andasse tutto bene, ma almeno non era adesso. Prima, l’unico collegamento dal nostro paese al capoluogo era una strada piena di buche, stretta e sempre trafficata. In auto, l’unico mezzo con cui quella strada era percorribile, per arrivare al capoluogo ci voleva un’ora e mezza se andava tutto liscio. Non erano, infatti, per nulla rari tamponamenti o incidenti, che creavano code interminabili. Si dice poi che lungo quella strada i livelli d’inquinamento fossero altissimi. Insomma, ogni giorno andare al lavoro, per centinaia di noi, era un’odissea. Tutto ciò fino a quando la nuova amministrazione regionale, in collaborazione col Governo, decise di costruire la SSIR (SuperStrada Interrata Regionale), un lunghissimo tunnel sotterraneo che avrebbe collegato al capoluogo molti paesi, tra cui il nostro. Fu una benedizione: dopo soli tre anni di lavori, la durata del viaggio dei nostri lavoratori si sarebbe ridotta a 30 minuti e l’inquinamento dell’aria sarebbe diminuito notevolmente. Inoltre, il cantiere della SSIR avrebbe offerto posti di lavoro, anche se solo per un tempo limitato. Un altro nostro problema era, infatti, la disoccupazione giovanile. Fino a qualche anno fa, chi non trovava lavoro in paese lo trovava nel capoluogo. Ora i posti scarseggiavano anche lì e i giovani, finite le scuole, rimanevano nullafacenti. Per contrastare questo fenomeno, la nuova amministrazione regionale e il Governo, visto anche il sovraccarico della discarica del capoluogo, decisero di costruire una discarica, la GDAO (Grande Discarica Area Ovest) in prossimità del nostro paese. Vi sarebbero finiti i rifiuti del circondario, per essere lavorati e interrati dai nostri ragazzi. Inizialmente però, l’idea di ospitare un cimitero di rifiuti non lontano dalle nostre case non ci piacque affatto. Anche il sindaco contrastò il progetto, fino a quando arrivò un’equipe di ingegneri, mandati dalla regione, a spiegargli come, grazie a tecnologie all’avanguardia e frutto dei più recenti studi, l’impatto ambientale e il pericolo per la salute sarebbero stati minimi, mentre la capacità occupazionale alta. Assolutamente convinto della bontà dell’opera, dunque, il sindaco convinse anche noi e il proget-

Q

to ebbe il via libera. I tempi di realizza- ti, le malattie e le morti alla discarica, zione erano di un anno e mezzo. ma pure la prova che avevamo avuto I cantieri partirono quasi contempora- torto a volere quest’opera. Ed era anche neamente e, dopo il tempo prestabilito, la prova che tutti noi eravamo ormai i giovani del paese erano quasi tutti contaminati. sistemati alla GDAO. Dopo un altro Fu sospesa ogni protesta e imploramanno e mezzo arrivò l’atteso momento mo i paesi limitrofi di aiutarci, riforanche per i pendolari: con la SSIR il nendoci d’acqua per il tempo necessacapoluogo era raggiungibile anche in rio affinché tutti facessimo le valigie e meno di quanto fosse stato inizialmente ce ne andassimo altrove. stimato, cioè in 20 minuti al posto di Ma non saremmo andati lontano. 30. Quanto successe la sera di quel giorno, Non si poteva negare che il paese stesse beh, era forse la cosa più naturale che meglio. potesse succedere, sebbene fosse una A partire da due mesi fa (ovvero circa catastrofe che nessuno si aspettava o due anni dopo la realizzazione della aveva mai ipotizzato: la collina che sodiscarica) la verità di questa proposizio- vrastava il paese, quella sotto cui era ne fu prima messa in dubbio e poi stata scavata la SSIR, franò rovinosamente su di esso, smentita del tutto. travolgendone I dubbi sorsero quando “Se solo qualcuno, oltre più della metà. si verificarono due adal tuna questi pochi mori- Trafitta borti spontanei di feti nel, la collina si con gravi deformità e bondi, mi potesse senti- era vendicata. un aumento vertiginoso delle malattie dell’- re, glielo urlerei in fac- E a questo punto apparato digerente e cia di starci attento.” siamo all’adesso. della tiroide. Poteva Sono passati 2 trattarsi di un puro giorni dalla fracaso? na, siamo in una ventina di sopravvisLa smentita arrivò quando, un mese fa, suti, in totale isolamento, senza alcun due ragazzi, entrambi dipendenti della mezzo di comunicazione funzionante, GDAO, furono colpiti da una malattia impossibilitati a raggiungere neanche il fulminante, e da questa stroncati. Fu un paese più vicino, poiché i connotati colpo al cuore e una scoperta orribile: a geologici del territorio che ci circonda, differenza di quanto ci avevano fatto essendo stravolti, non ce lo permettocredere, la discarica era pericolosa per no. la nostra salute e per la nostra vita. Era Adesso stiamo morendo, anzi, siamo mortale. già morti. Sorse una protesta infuocata per farla Se tutto tornasse come prima potremchiudere immediatamente. Le autorità mo opporci alla SSIR e alla GDAO, a si opposero, invitando alla cautela, so- questi due gioielli dell’innovazione, a stenendo che quei tragici fatti potevano questi due mostri, dai nomi terribili, essere stati causati da molti altri fattori. che ci hanno ucciso. O forse non avremMa la protesta andò avanti giorno dopo mo comunque abbastanza lungimirangiorno, non si affievolì. Aumentò, anzi, za da considerare non solo i loro vanall’accadere di un evento ancora più taggi nell’immediato, ma pure i loro sconvolgente: la comparsa, fuori dai svantaggi, su cui, e sulla cui portata, confini della GDAO e all’interno dei siamo stati colpevolmente superficiali. confini del paese, di alcune pozze di D’altronde, quante volte nella vita capiscuro e maleodorante percolato, il li- ta di non avere la lungimiranza suffiquido prodotto dalla decomposizione ciente a considerare gli svantaggi e i danni, soprattutto quelli a lungo termidei rifiuti. ne, a volte devastanti, che alcune cose E questo non era niente rispetto a ciò arrecheranno! Se solo qualcuno, oltre a che accadde il giorno seguente: dai ru- questi pochi moribondi, mi potesse binetti l’acqua scendeva nera, mista al sentire, glielo urlerei in faccia di starci percolato. Molto probabilmente, perché attento. si fosse arrivati a ciò, le infiltrazioni nelle tubature dovevano già essere in Ma tanto ormai nessun vivo mi sente, e atto da molto tempo. Era la prova che forse è giusto che moriamo così, abbanavevamo ragione a ricondurre gli abor- donati, contaminati e senza speranza.


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 1 4

Archeologia moderna: ritrovamento al Carducci Pubblichiamo con molto piacere questa inchiesta, già comparsa su L’Oblò nel 2008, poiché si rivela utile e valida anche oggi. di Annarita Avenia e Mattia Serranò Savi” sarebbero state riproposte innu- L’imbrattamento «Al confine tra la vita solare e la vita oscura, i filosofi sono lì a meditare e ogni tanto danno una voce verso il buio, affinano l’udito per ascoltare inavvertiti echi. Risponde la poesia.»

(F. Melotti)

V

erso la fine del mese di Novembre del 2007, il professor Viola, (ex, ndr) docente di lettere del liceo classico G. Carducci, è protagonista di un ritrovamento eccezionale: sette statue di Fausto Melotti, i “Sette Savi”, dormono in un box del Carducci, dimenticate, nonostante si sapesse della loro collocazione nella scuola e si conoscesse il loro valore. L’immediata mobilitazione, dopo il ritrovamento, dell’Associazione degli ex-Carducciani, di alcuni insegnanti e della scuola tutta, ha reso possibile il rinnovarsi dell’attenzione delle istituzioni, e finanche della cronaca, nei confronti di un capolavoro dell’arte moderna italiana. L’inizio della storia Siamo intorno al 1940, quando l’artista Fausto Melotti elabora dodici sculture in gesso per la sala “Coerenza d’uomo” della VI Triennale di Milano, alla cui sagoma, poi, ispirerà una lunga serie di altre opere, tra cui anche i “Sette Savi”. La prima versione di questi ultimi compare più o meno nello stesso periodo: alcuni libri di arte moderna, infatti, datano una prima collezione, ora appartenente a privati, al 1936. Le versioni dei “Sette I Sette Savi di Grecia nel cortile del Liceo, 1962.

merevoli volte. Le creazioni, nel corso del tempo, sono state smarrite o collocate negli studi e nelle case di architetti e artisti milanesi. La più antica copia dei savi oggi conservata si troverebbe proprio nei sotterranei del liceo Carducci di Milano.

I “Sette Savi” di Melotti del Carducci, dopo un periodo di due anni, vengono, però, danneggiati dalle imbrattature di alcuni studenti e trasportate, secondo le fonti, in un “deposito comunale” nei pressi della scuola, in realtà collocate in un garage all’interno dell’istituto stesso. Altre fonti, di cui sarebbe prova una foto di classe scattata nel 1962, Altro che regalo: una legge! dichiarano che il danneggiamento e il Ma come ci successivo spoFoto di classe con i Sette Savi, 1962 sono finiti stamento sarebsette capolabero avvenuti vori nei sotternel 1964. La ranei di un data del dannegliceo? La loro giamento riporvicenda cotata, invece, dal mincia, seconcatalogo di Cedo il “Catalogo lant, è il 1962, Ufficiale Meanche se le crolotti” di Cenache giornalilant, nel 1960, stiche, che parquando, su lano della vicencommissione del Comune di Milano, da, risalgono tutte al 1963. Melotti realizza una copia in pietra dei La notizia del danneggiamento, infatti, “Sette Savi” per il liceo. Pare che il Coviene riportata dal mensile “La Martimune di Milano avesse commissionato nella di Milano” e dalla rivista di archia quattro artisti delle opere, da collocatettura “Domus”. re nelle arcate delle logge di Piazza Duomo. Le statue, in realtà, vennero poste in quattro istituti superiori di L’oblio Milano, in base alla legge n° 717 del 1949, anche nota con il nome di “legge Dopo questi avvenimenti, fonti ufficiali del 2 per cento”. Questa legge stabiliva e non considerano le opere “disperse”. che “una quota non inferiore al 2 per Persino al Carducci, la loro memoria cento della spesa statale prevista nel rimane viva solo fino all’inizio degli progetto [dell’edificio] dovesse essere anni Ottanta, quando, sebbene già ridestinata all’abbellimento di edifici poste nei sotterranei e non più esposte da circa vent’anni, tra gli studenti perpubblici con opere d’arte”. mane ancora il ricordo dei capolavori. Il professor Noja dell’Associazione exCarducciani, che ha dedicato la sua attenzione alla vicenda, ricorda una rappresentazione in costume, realizzata dagli studenti agli inizi degli anni Ottanta (la data precisa sembra essere il 1983), avente come tema proprio i Sette Savi greci. Sempre negli anni Ottanta, il preside Diotti del Carducci si mette in contatto con Melotti per un restauro. L’artista, però, si rifiuta: egli, infatti, ha già realizzato nuove copie dei Savi per il PAC di Milano e la Galleria d’Arte Moderna di Roma. La morte di Melotti, avvenuta nel 1986, porrà fine alla questione.

Com’era piccola la Magnolia!

Il tempo, intanto, passa e delle statue non si sa più nulla. Per essere più precisi, qualcuno è a conoscenza della loro collocazione, ma, per disinteresse o per qualche altro motivo, non ne sollecita la rimozione dal garage né si adopera per una valorizzazione delle stesse.


G E NNAIO 2 0 1 2

Il ritrovamento Per un caso fortuito, il professor Giovanni Scirocco, presidente dell’Associazione degli ex-Carducciani, cui dobbiamo tanta parte del ritrovamento, recandosi in visita al MART (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto), troverà un’interessante informazione riguardante i “Sette Savi”. Sulla targhetta didascalica del Museo, infatti, è riportato che una copia delle statue era stata realizzata, nel 1960, per il liceo Carducci di Milano. Incuriosito da questa notizia e memore di parziali informazioni sulle opere di Melotti, il professor Scirocco comincia un’interessante ricerca sulla collocazione delle statue, insieme al professor Diego Noja, al professor Viola, docente del Carducci, e ad altri membri dell’Associazione ex-Carducciani. La ricerca inizialmente non produce grandi risultati; fortunatamente, però, un giorno il Professor Viola, insieme alla signora Elena Battagliese, custode della scuola, ritrova i sette capolavori, sepolti sotto vecchi attrezzi di educazione fisica, banchi e sedie in disuso. Il loro stato si può immaginare: dopo più di quarant’anni di oblio, sono segnate dalla ruggine di bulloni, appoggiati con noncuranza su di esse, fratturate in molti punti, sporche e rovinate. Il giallo La storia, però, quasi un giallo dell’arte, non si ferma, suscitando l’interesse di molti Carducciani, che iniziano un’indagine sul loro iter storico al Carducci. Il fatto che incuriosisce subito tutti è che le statue non presentino segni evidenti di imbrattature, forse a causa di un restauro, che, però, l’artista, come sappiamo, aveva rifiutato di fare. I segni di un primo restauro sono anche evidenti, secondo esperti del campo, sul collo delle statue, che non risulta ombrato dalle intemperie e che, quindi, potrebbe non essere mai stato esposto all’aperto dopo la pulitura. Queste rimangono, però, solo teorie che, senza l’accesso a documenti ufficiali, risultano inverificabili. Altre notizie continuano a pervenire all’Associazione degli ex-Carducciani, ma sono assai sporadiche e spesso risultano infondate, come quella del seppellimento all’Aprica di una delle teste dei Savi da parte di studenti-sciatori, informazione

P AGIN A 1 5 confutata dalla presenza di tutte le te- per permettere agli studenti di vedere all’opera degli esperti di arte. ste, vicino ai rispettivi corpi. L’ultima occasione, in ordine di tempo, in cui si è parlato della collocazione I media e il ritrovamento delle statue di La notizia, Le statue nel garage del Liceo, 2008. Foto di M. Serranò Melotti è il congresso infine, è perdell’Associavenuta anche zione Nazioagli studenti nale Insee persino a gnanti di Stodiversi quotiria dell’Arte diani nazio(ANISA), tenali, che nutosi a Milahanno pubno il 7 maggio. blicato foto e In questa ocnotizie sui casione, i nuSette Savi e merosi docenche hanno ti intervenuti verificato di persona le informazioni, visitando il hanno sottolineato come i giovani stugarage delle statue. L’inter- denti delle scuole superiori abbiano vento delle istituzioni è sta- poche occasioni per ammirare da vicito, poi, tempestivo: si sono no le bellezze che l’arte offre. La collorecati a scuola, per un so- cazione de “I Sette Savi” all’interno pralluogo, l’Assessore alla della scuola sarebbe, perciò, un’occaCultura Vittorio Sgarbi, il sione per riportare l’arte al centro deldirettore scolastico regionale l’attenzione dei giovani. Anna Maria Dominici e Anche noi pensiamo che un’opera coGiansandro Barzaghi della me quella di Melotti non sia un semprovincia di Milano. L’atten- plice ornamento o, peggio, un onere da zione si è presto rivolta alla mantenere, ma che, al contrario, sia nuova collocazione delle un’occasione per educare gli studenti statue. La provincia, insieme al godimento del Bello e per riconsea buona parte dei Carduccia- gnare alla scuola una funzione educatini di oggi e di ieri, docenti e va e didattica fondamentale. Tale comstudenti, vorrebbe le statue pito viene troppo spesso affidato alla nella scuola, lì dove lo scul- pubblicità, che propone un’idea di tore le aveva volute; la DS “bello” consumistica ed effimera, legapropone la Triennale per “il ta alle mode. Per questo crediamo che bene dell’opera”; l’assessore sia proprio al Carducci che le statue Sgarbi, con il suo solito pi- debbano rimanere: perché anche agli glio, ha dichiarato che l’Arengario sa- studenti di oggi sia data la possibilità rebbe la soluzione ideale per i capolavo- di ascoltare le voci dei Sette Savi, che ri oppure una piazza di Milano o un hanno ancora molto da dire, in converaltro importante museo sul territorio sazione nel cortile della nostra scuola. cittadino. Dopo una mobilitazione di queL’imbrattamento, 1963-1964 sto tipo, insieme al diffondersi di notizie sempre più certe, un finanziatore del restauro, ormai necessario, si è fatto avanti. Si tratta di Virginio Scotti, in arte G e r r y , e x Carducciano, che si è dichiarato disposto a donare venticinquemila euro, a condizione che le statue rimangano al liceo e siano lì esposte. Un’altra proposta, che si deve probabilmente a un collaboratore di Sgarbi, è quella di eseguire un restauro intra moenia, direttamente al Carducci,


A NNO VI — N UM E R O I

P AGIN A 1 6

Poesie

Classe ‘92 sezione B, nel 2009 si trasferisce al Parini, dove sta per maturarsi. Rappresentante alla Consulta, membro attivo del Collettivo, amato segretamente da tutto il Carducci, quello che non dice lo scrive. — Beatrice Sacco

di Paolo Cerruto

Come i nomi che dimentico Come i nomi che dimentico gli autobus che perdo ti ammiro sfuggire come le sigarette che ho in tasca. Milano ti è gemella adesso: non dà nulla, e quello che vuoi te lo devi prendere, quindi adesso esco e mi butto da te come quando alla luce del buio i tuoi contorni erano onde e la brezza di maggio rendeva giusto tiepide le nostre temperature. Ma un’àncora mi lega alla mia branda di sudore con sopra il soffitto e le tue parole incrostate.

Eravamo uccelli, anime inquiete di un altrove, restie al domicilio, dovemmo trattenerci in un’attesa di camerette — saluti ai genitori — orgasmi silenziosi e sigarette, sporti fuori dalla finestra. Studiavamo vie di fuga, discutevamo itinerari, minimo comun denominatore l’emisfero australe confondendo luce elettrica e luce solare albe e tramonti Eravamo in marcia nel deserto Senz’acqua e autoradio Giocammo a nascondino tra le dune, finita la sabbia della nostra clessidra.

Sono quasi le cinque e nuova forza cresce dentro come l’alba a Milano, che il sole improvviso dietro i palazzi.

Cos’è il passo inquieto che spezza il dormiveglia? Amore è silenzio, e rimestare con gli occhi, viaggiare guardando il soffitto umido che trasudamerica. Eppure avevi le valigie pronte, i soldi da parte, avresti vissuto e scritto cartoline a chi ti mancava.

Beatrice Gioia effimera come un gelato Buona e polposa come un’amarena scura Mi delizi e poi scompari con la tua valigia Ma ti stanerò tra i vicoli di un quartiere Dove non abito più Lontano Quanto l’infanzia Che si poteva giocare a calcio per strada Rompere un vetro e scappare Mangiare i ghiaccioli al limone più dolci di sempre. Dissonanze Dove catalogarti, come comprenderti, attraverso il caleidoscopio delle tue mille contraddizioni? Sei il bellissimo fungo che nessuno coglie per timore d’esserne avvelenato mi hai abbagliato, la luce di un bosco che brucia di notte. Sei armonia dei miei contrasti, la terra dopo la pioggia, il tuo sorriso il cemento di cui gli dèi si servono per tenerci insieme. Quasi un’idea, ti affacci al sole rosso dei miei diciott’anni, fiore insperato, raccolto non so dove, so perché. Mistero la tua provenienza, coincide con il mio arrivo a questa notte di completezza, ora che sono grande, oggi che sono uomo.

Per me sei morta, questa notte insieme all’enigma dei tuoi indecifrabili occhi. Oggi è domani, un’altra alba, un’altra sfumatura. Godo del mio successo. Ero stufo di provare a spingere una palla sott’acqua.

1917

Il mattino ti ha trovata Così immagino il tuo ritorno l’abbracciarsi sfrenato di minuscole molecole, Il mattino ti ha trovata distesa tra onde e sabbia gli atomi che vibrano più forte, la bocca tra le alghe le labbra che trovano il secolare incastro tra due massi immobili, dipinta, in viso, rabbia. verdi di muschio e di rabbia. Hai tentato il tuo destino E tu, forse immaginavi la mia sagoma scendere dal vagone ora che è giugno e la guerra è finita? Sarà una sorpresa migliore, verrò a trovarti in sogno, anche se avrei voluto rivedere un’ultima volta il paese.

Il mio dono Apparse le stelle cala il velo sulle cose tieni, le ho rubate una ad una, queste rose. Nei giardini, dai balconi sui cancelli, attento ai suoni! Le ho sottratte così effimere appassiranno senza poter ridere. Ma una ad una le strapperai dividendo petali e spine E pentita le cercherai invano le mattine.

Alessandra Ceraudo 3B Chiara Checchetto 1D Silena Bertoncelli 3C Claudia Chendi 2B Martina Brandi 3E Martina Calcaterra 1E Ines Chillemi 1E Chiara Conselvan 3E Maria Calvano 2B

Elisabetta Festa 4F Jacopo Malatesta 3C Chiara Mazzola 2B Federico Regonesi 4A Anna Quattrocchi 4F

Il mare l’ha voluto assieme alla tua speranza ci hai provato, ma ciò che resta è un po’ di terra e una croce bianca.

Direttore: Chiara Compagnoni 5G Capo Redattore: Eleonora Sacco 4F Vignettisti:

Capo Vignettista:

Silena Bertoncelli 3C

Silena Bertoncelli 3C

Federico Regonesi 4A Docente Referente: Impaginatrice: Eleonora Sacco 4F Correttrice di bozze: Chiara Compagnoni 5G Responsabile Internet: Jacopo Malatesta 3C

La Redazione dell’Oblò Redattori:

in troppi su una barca hai perso il tuo bambino niente sangue, solo acqua.

Beatrice Sacco 1D Beatrice Servadio 3B Carlo Simone 4D Alessandra Venezia 2B Dario Zaramella 4A

Giorgio Giovannetti


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.