Quarto numero oblò sul cortile

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Aprile 2015 | L'Oblo' sul Cortile

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L’editoriale di Beatrice Sacco

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he mattina, Carducciani! La primavera si fa sentire, finalmente! Il sole splende, i fiori sbocciano, gli uccellini cantano… e tante altre bellissime cose, al di fuori dalla scuola… ma con le vacanze di Pasqua ci siamo ripresi tutti, non è vero? Perché è da ora che inizia la partita: fino ad oggi è stato un semplice e tranquillo riscaldamento. Ridendo e scherzando, il periodo più odiato da ogni studente su questa Terra, quel periodo cosiddetto “Maggio: studente fatti coraggio” è alle porte… alcuni non ci pensano ancora, tra un uovo di cioccolato e una versione di greco, e si godono spensierati queste splendide giornate di Aprile; altri (ahivoi) come gli eroici maturandi si sono già rimboccati le maniche, pronti a sudare almeno sette camicie al giorno, pur di passare l’esame. Ma parliamo di altro, che sta salendo l’ansia persino a me. La cogestione è andata bene ed ha funzionato grazie al duro lavoro di alcuni (veramente pochi) studenti, di cui parlo apposta per ringraziare caldamente,

e le gite di classe si sono quasi tutte concluse. Ma il Carducci non si ferma qui con i progetti, ne ha in serbo tanti altri: l’amatissimo torneo di calcio, il Trofeo Perrone, ha finalmente inizio, come i vari certamina e gli emozionanti spettacoli teatrali del gruppo di teatro della scuola. Ma tra tutte queste interessanti iniziative ce n’è una che non vedo l’ora di raccontarvi: dal 15 al 18 aprile cinque dei vostri bellissimi e simpaticissimi redattori dell’Oblò sul Cortile hanno fatto tappa a Perugia per il CISS, Convegno Italiano della Stampa Studentesca. “Ma cos’è il CISS?” si chiederanno molti di voi lettori. Il CISS è un Convegno ospitato ogni anno dall'International Journalism Festival a Perugia, dove i giornalini più importanti di tutta Italia si incontrano per scambiarsi idee, opinioni, esperienze. Il nostro caro e amato Oblò è stato rappresentato da me e da Letizia, Alice, Bianca e Julia, che con il bagaglio ricchissimo di idee e spunti riempito a Perugia porteranno nuove correnti d’aria all’Oblò. Ed ora, vi prego, prendetevi una pausa dallo studio assiduo, e godetevi queste quaranta (!!!) pagine.

La redazione dell’oblò

redattori | Cleo Bissong IIIB, Alice De Gennaro IIB, Bianca Carnesale IIIA, Giulio Castelli IIID, Letizia Foschi IIB, Margherita Ghiglioni IC, Giorgia Mulè IE, Alice de Kormotzij IIIA, Martina Locatelli VA, Beatrice Penzo IIIE, Francesca Petrella VC, Rebecca Daniotti IIF, Cristina Isgrò IIIA, Valeria Galli IIIA, Federica Del Percio IIIB, Julia Cavana IIID, Marta Piseri IIIE, Giulia Casiraghi IVC, Tatiana Ebner IF, Davide Recalcati IB, Olivia Manara IF, Filippo Lagomaggiore VA, Giulia Pasquon VA, Linda Del Rosso IIC, Isabella Marenghi IF, Emma Cassese IB, Maria Chiara D’Agruma IC, Elena Scloza IIID, Sara Monaco IIID, Greta Anastasio IIIB, Giuliano Toja IIIA DISEGNI DI | Olivia Manara, Beatrice Penzo DIRETTRICE | Alessandra Venezia VB Capo redattore | Beatrice Sacco IVD Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Emanuele Caporale IVD, Leonardo Zoia IVD, Alessandro Matone IIIC, Giovanni Bettani IIID, Francesca De Luca IB impaginatori | Beatrice Sacco, Rebecca Daniotti, Bianca Carnesale 2

L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° IV

Pag

sommario

4-5

identità e confronto tra islam e occidente a chi non ha letto

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fine della storia

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il giorno più bello della storia

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wame: energia sostenibile per tutti

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contro la barbarie

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ro dei lughi comuni

libertà: oltre il mu

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13

il giro de

debunkers’ report

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liber#azione

report from the usa

16-17 18-19

20 don luigi giussani

21

vanni padovani

i l mondo in 25 giorn

cogesta 2015

vivavoce tour

22 re lear: una riflessione sul poter e

23 2425

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a tavola: si mangia!... ma chi mangia?

l’ignoranza dei carducciani

in the flesh

27

birdman

28

50 sfumature di grigio

29

30

mad sounds

2 cellos

30 31 fausto e iaio

anni dopo

te

32 il cavaliere inesisten 33 shadowhunters: città di ossa 3435

36 37 38

39

red roses

l’oroscopo ostriche senza perla

bacheca

giochi

40 retro copertina


Attualità

trauma di Giulia Pasquon

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n aereo è caduto. Si è schiantato su una montagna alla velocità di circa 600km/h. Delle persone sono cadute a una velocità di 600km/h su una parete rocciosa. Non amo il chiacchiericcio morboso che si forma di solito attorno alle stragi, non mi interessano le foto dei genitori in lacrime delle vittime, ma mi chiedo, come credo chiunque, cosa si provi a sopravvivere a questo nei panni di chi piange i morti. Cosa voglia dire potarsi sullo stomaco il carico di una morte così violenta e terrificante di una persona amata. Io posso solo immaginarlo e mi chiedo come si possa venire a patti con un'esperienza del genere. Giusto a gennaio, è uscito un articolo sulla rivista scientifica Link riguardo ai traumi psicologici, alla loro natura e a un nuovo metodo di cura. In giro serpeggia ancora molta sfiducia nei confronti della psicanalisi, perché si tende a pensare che il corpo sia qualcosa di assolutamente indipendente dalla psiche. Ma soprattutto perché la psiche non si vede, non si tocca, e questo, agli occhi di molti, è un indice di inferiorità, rispetto al rassicurante corpo tutto materia, o addirittura prova di inesistenza. Ma la realtà è complicata, la psiche esiste ed è insolubilmente legata al corpo. Ho sintetizzato e reso più digeribile, spero, l'articolo per coloro che si sono posti la mia stessa domanda sui traumi e che magari hanno il dubbio che le patologie psichiche siano più legate alla stregoneria che alla medicina. Ecco a voi i traumi psicologici e il loro nuovissimo metodo di cura. Le persone che, dopo essere state vittime di un'esperienza traumatica, hanno iniziato a far gravitare la propria vita intorno ad essa, sono detti affetti da disturbo post traumatico da stress (PTSD). Esse presentano il riemergere intrusivo di ricordi correlati al trauma, ciò permette ai soggetti di elaborare, quindi modificare, le emozioni derivanti dal ricordo del trauma per renderle sopportabili, in modo che si integrino con la vita della persona. È possibile dunque considerare

l'intrusività dei ricordi (flashback, incubi, emozioni, sensazioni somatiche vissute come se il trauma si presentasse per la prima volta) come uno strumento per apprendere dall'esperienza vissuta, a partire dal quale si arriva ad accettare l'esperienza traumatica (elabo-

razione) come un evento negativo appartenente al passato e non al presente. Nel soggetto affetto da PTSD, il processo di elaborazione del ricordo non viene attuato, lasciando invece il posto a diversi meccanismi di difesa che permettono al soggetto di fronteggiare la situazione patologica. Dunque avviene che il trauma viene riattualizzato in modo ripetitivo in quanto non è stato assimilato nell'esperienza passata e ciò modifica il modo in cui verranno elaborate tutte le informazioni future: il soggetto mantiene il vissuto traumatico come esperienza del presente. A livello neurale, questa stasi anomala del ricordo si ritiene sia determinata dall' isolamento in cui si trova la rete di neuroni in cui è racchiuso il ricordo. In una situazione normale infatti, il

ricordo viene elaborato grazie alle comunicazioni tra la rete neurale in cui è racchiuso e le altre; si ritiene dunque che la mancata elaborazione di un ricordo equivalga all'isolamento della sua rete neurale. Dato ciò, per l'impossibilità di creare collegamenti con il ricordo isolato, non è possibile immagazzinare nuove informazioni che possano modificare il ricordo traumatico. Dunque per risolvere la situazione bisogna rimuovere il blocco per poi poter elaborare l'informazione. L'EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione attraverso i Movimenti Oculari) è un metodo terapeutico che attiva la rete neuronale in questione tramite la rievocazione del ricordo centrale, dal quale dipendono gli altri ricordi del trauma, mentre vengono effettuati i movimenti oculari che andranno ad attivare il meccanismo di elaborazione(che corrisponde all'accettazione del ricordo nel passato)in modo che permettano l'assimilazione di nuove informazioni. L'assimilazione di nuove informazioni legate al ricordo hanno come scopo il distacco tra il trauma del passato e il presente, insistendo sul contrasto(ad esempio, in una donna che rievoca una sensazione di pericolo, viene innestata la cognizione positiva attuale di situazione sicura). Siccome si riscontrano specifiche modificazioni celebrali per conseguenza del trauma psicologico, è possibile verificare empiricamente l'efficacia delle terapie tramite il confronto delle neuro immagini pre e post trattamento. I risultati ottenuti sia dalle immagini celebrali sia dalla percezione soggettiva riportata dal paziente sono positivi: il soggetto esaminato, al termine della settima seduta, ha ripreso l'attività che la paura ,originata dal trauma non superato, le impediva di svolgere e dalle neuro immagini risultano rientrate le modificazioni celebrali da trauma psicologico.

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Attualità

identità e confronto tra islam e occidente: il caso tunisia

di Giulia Casiraghi

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o scorso 23 febbraio sono andata insieme alla Professoressa Proietto a casa del Professor Franco Sarcinelli, docente di storia e filosofia presso il nostro Liceo fino al 2010, per partecipare ad un incontro intitolato: “Identità culturale e religiosa del mondo arabo al confronto con l’identità cristiana della cultura occidentale”. Il tema è stato sviluppato in particolare da Ouejdane Mejri (scrittrice tunisina, presidente dell’associazione Pontes dei tunisini in Italia, informatica presso il Politecnico di Milano) e Giampiero Comolli (scrittore, filosofo, membro del Forum delle religioni di Milano, aderente alla Chiesa valdese). Benché tutti gli interventi siano stati parimenti interessanti, vorrei concentrarmi sul primo in particolare, cominciando a delineare i caratteri di questo personaggio straordinario. Ouejdane Mejri ha vissuto in Tunisia, dove ha studiato e conseguito una laurea in Informatica, fino all’età di 21 anni. Ora vive in Italia con la sua famiglia. Ha pubblicato nel 2013, per

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la casa editrice “Mesogea”, il libro “La rivolta dei dittatoriati”, scritto in collaborazione con Afef Hagi (ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze della Formazione e Psicologia dell’Università degli Studi di Firenze e esponente dell’Associazione Pontes dei tunisini in Italia). Come è possibile essere liberi pensatori islamici in Paesi che non permettono la libertà d’espressione? Cosa pensa l’Islam dell’Islam? Queste sono le questioni fondamentali cui la Mejri ha cercato di dare una risposta durante il suo intervento. In primo luogo, i “liberi pensatori islamici” non possono consultare libri sull’Islam al di fuori di quelli francesi o italiani perché non ve ne sono altri: il pensiero islamico si è fermato al Medioevo Musulmano e la storia moderna dei Paesi arabi (e, nello specifico della Mejri, della Tunisia) è ancora tutta da scrivere, perché, fondamentalmente, manca l’elemento principale: la libertà. Riguardo la seconda domanda, ancora oggi dare una risposta definitiva è difficile, poiché è raro che gli islamici

parlino apertamente di Islam. E proprio la condizione di “dittatoriati” (neologismo coniato da Mejri e Hagi nel loro libro per indicare chi era oppresso dalle dittature in Tunisia) è una prima risposta a “chi siamo noi, come arabi, come musulmani, come persone che si stanno liberando dalla realtà di una dittatura” (Mejri). Nonostante ciò, la religione non è mai stata ridiscussa, è monolitica. Oggi, tuttavia, qualcosa si sta muovendo in relazione alla realtà culturale e religiosa islamica; sta inoltre cessando quella tradizione orale, fino a poco fa prevalente, in favore di una tradizione scritta. Riprendendo le questioni legate al tema dell’identità sollevate dalla Mejri, Comolli sostiene che noi, in quanto uomini, non avendo identità sicure e definite, siamo portati a tornare alle nostre radici, che riteniamo essere la nostra vera identità. Ma le radici sono immobili nel passato e determinano una condizione di incertezza per gli uomini, tanto da indurli a porsi una domanda cruciale, “chi sono io?”, e a dare a tale domanda una risposta deleteria, un’illusione immobilizzante: “io so bene chi sono”. Così facendo, però, si è portati a definire chi sono gli altri, attribuendo loro un’identità sulla base di preconoscenze supposte che noi possediamo. Questo crea una barriera tra noi e l’altro che facilmente porta a una guerra, in cui noi ci attribuiamo il ruolo di portatori di vera identità, e l’altro agisce nel medesimo modo. Queste sono le dinamiche in atto all’interno del mondo musulmano in cui, prima ancora che una guerra contro l’Occidente, si sta combattendo una vera e propria guerra civile. Dunque, secondo Comolli, l’unica via d’uscita è imparare a porsi in ascolto, capire veramente chi è l’altro. L’esegesi del testo sacro islamico,


ricorda la Mejri, si è bloccata nel 1200 e questo rispecchia la realtà storica: l’ermeneutica, la scienza che interpreta i testi sacri e che nasce nel 1500 con il Protestantesimo, è completamente estranea all’Islam, a causa sia delle difficili e svariate interpretazioni del Corano, sia della presunzione per cui quella islamica debba essere l’unica religione valida per tutti. Questa presunta superiorità religiosa non coincide con la realtà storica araba: l’inferiorità storica è un dato reale, vero, che deriva da una permanente condizione di povertà e dalla colonizzazione europea. Tutto questo porta all’affermarsi del radicalismo, che si esplica con l’uso di armi e di guerre con l’obiettivo di affermare una superiorità storica che non esiste. “I musulmani sono stati chiamati ad entrare nella sfera pubblica dopo l’11 settembre – sostiene la Mejri - e ora sentono il dovere di discutere e di prendere posizione”. Le primavere arabe nascono come desiderio di libertà particolarmente sentito dai giovani: la democrazia viene loro negata a causa di una religione che si crede superiore alle altre. La dittatura che era in vigore in Tunisia era appoggiata dalla Francia, simbolo degli ideali della Rivoluzione francese (libertè, egalitè, fraternitè): i dittatoriati tunisini si sono battuti per ottenere una costituzione unica nel mondo arabo che garantisse pienamente i diritti dell’uomo di cui sopra. Le domande che Comolli pone sono proprio su l’eccezione tunisina rispetto alle altre primavere arabe e sulle possibili interpretazioni del testo sacro. Queste le risposte di Ouejdane Mejri: tramite lo scontro tra religiosità e laicizzazione si troverà il coraggio di mettere in discussione il testo sacro, anche grazie alla contaminazione con Occidente e modernità. Solo ora il mondo musulmano sta riguadagnando i secoli persi. L’ISIS, infatti, nasce dove manca la libertà e dove l’Islam moderato non ha libertà di parlare. Arriviamo, allora, all’eccezione tunisina: durante i 60 anni di regime, prima con Bourguiba e poi con Ben Ali, l’educazione ha avuto un ruolo importante: Bourguiba aveva esteso l’obbligo scolastico anche alle donne, che ora hanno ottenuto quasi la stessa uguaglianza di diritti degli uomini. È

stato proprio un dittatore a dare a Ouejdane la possibilità di scrivere, la libertà vissuta nella propria testa. Concludendo, il tema fondamentale del dibattito, come suggeriva lo stesso titolo, è stato quello dell’identità, su cui si sono fronteggiati Mejri e Comolli per arrivare ad una conclusione comune: l’ISIS afferma una radicalità immobile e pericolosa, in primis per gli stessi musulmani, e poi anche per noi occidentali. In realtà, l’identità musulmana si sta costruendo con uno sguardo critico sulla tradizione: anche i musulmani necessitano di

definirsi e, dunque, sono favorevoli al dialogo con l’Occidente, la cui cultura costituisce uno stimolo all’amore per la democrazia e per la libertà. Poco prima di dare alle stampe questo articolo, una grave strage ha colpito la città di Tunisi e alcuni nostri concittadini. Undici giorni dopo, la marcia internazionale contro il terrorismo ha dimostrato ancora una volta la volontà di non cedere alle minacce e andare avanti verso un processo di democratizzazione ormai tanto inarrestabile, quanto inevitabile.

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Attualità

a chi non ha letto

di Giulio Castelli e Alessandro Matone

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he l’articolo “contro i falsi miti di progresso” avrebbe creato un po’ di dibattito rivitalizzando per un momento il clima carducciano era prevedibile, che bisognasse aspettarsi il pieno della propaganda lgbt anche; potrebbero stupire invece certe scene o reazioni di intolleranza compiute da chi dice di voler un mondo più aperto e rispettoso di tutti salvo poi attribuire una “chiusura mentale” e una “ottusa ignoranza” a chi si discosta dalle loro idee. Ma neanche l’ipocrisia dei “je suis Charlie” ci colpisce, piuttosto il fatto che molti, a giudicare dalle reazioni, probabilmente l’articolo non l’hanno letto o forse l’hanno letto male. È apparso evidente quando siamo stati accusati di aver descritto l’omosessualità come causa di aborto e eutanasia e (cosa ancora più grave) di non averlo spiegato; sì è vero non lo abbiamo spiegato non solo perché riteniamo che sia una scemenza ma perché non l’abbiamo mai scritto. A sfogliare poi le altre sette pagine di indignazione generale (pubblicate sullo scorso numero) sembra che l’articolo sia un trattato su gay e teorie riparative, anche se le righe che toccano l’omosessualità sono tredici su duecentoventiquattro e di tali teorie non si faccia menzione. È evidente a chiunque abbia letto l’articolo e le relative reazioni, di come l’ideologia possa manipolare e falsificare la realtà, in questo caso chiare parole scritte che non si prestavano ad interpretazioni. A chi giudica senza aver letto rispondiamo che laicità vuol dire rispetto e dialogo, per questo ce ne freghiamo degli insulti e consigliamo di andarsi a vedere i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che registrano 43,8 milioni di interruzioni di gravidanza in tutto il mondo nel 2008, 2/3 della popolazione italiana, milioni di vite negate. Era nell’antica Roma che il bambino era in tutto sottomesso al padre che poteva decidere della vita o della morte dei nascituri soprattutto se malformati o femmine; è soprattutto nel Medioevo cristiano che il bambino acquisisce un valore, non ancora intrinseco, ma che gli è riconosciuto nella misura in cui si realizza con l’età adulta; ed è solo col Rinascimento che viene riconosciuto al bambino un valore in quanto essere umano ad un certo stadio della vita. Oggi la scienza ci 6

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dice che in seguito alla fecondazione, dall’integrazione dei patrimoni genetici del papà e della mamma, viene generato un nuovo DNA cioè il codice genetico unico e irripetibile che contiene la descrizione esatta di ognuno di noi, tutto il programma di sviluppo del nuovo essere umano. Ogni cosa è già definita fin da questo momento ed è da qui che inizia il processo di sviluppo della persona che non si arresterà più fino alla sua morte. Dunque oggi la mentalità secondo cui l’embrione non sarebbe degno di vivere è la stessa che portò gli antichi a credere di poter decidere della vita umana solo perché più indifesa, meno sviluppata, quando è semplicemente vita umana ad un certo stadio di sviluppo: quella del bambino così come quella del feto, dell’embrione, di un adulto o di un anziano. A queste logiche considerazioni aggiungiamo i dati di uno dei numerosi studi scientifici che mostrano le conseguenze drammatiche che l’interruzione volontaria di gravidanza può avere sulle donne. Nel settembre 2011, sul “British Journal of Psychiatry” è apparsa una ricerca basata su 877.000 donne, nella quale si è rilevato che coloro che si sottopongono all’interruzione di gravidanza presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale rispetto a chi decide di partorire. Per quanto riguarda invece le cause che spingono le donne ad abortire esse sono per la maggior parte affrontabili con iniziative di sostegno e solidarietà sociali e politiche, come dimostra uno studio realizzato nel 2000 da The Alan Guttmacher Institute, l’istituto legato a Planned Parenthood (l’ente abortista più grande del mondo), secondo il quale solo l’1% di aborti legali realizzati in quell’anno era motivato da stupro. Le donne hanno dato motivazioni che ricondurrebbero la scelta di abortire principalmente a problemi economici, di relazione con il partner, di lavoro, o al sentimento di inadeguatezza diffuso soprattutto nelle donne più giovani. Considerata la drammaticità dell’aborto, come atto che distrugge un essere umano e che colpisce gravemente in negativo la donna, non sarebbe più ragionevole nonché umano aiutare la madre a far nascere e a crescere il proprio figlio, invece che promuovere e annoverare tale pratica tra i diritti fondamentali della donna?

A chi insulta senza aver letto consigliamo di leggere la legge approvata lo scorso 13 febbraio in Belgio che estende l’eutanasia ai minori senza limiti di età, perché ci si renda conto di quanto possa essere pericolosa e distruttiva una cultura della morte che ha consentito ieri l’uccisione degli embrioni con l’aborto, oggi quella di malati e bambini sofferenti con l’eutanasia e domani forse permetterà l’eliminazione dei malati di Alzheimer o di altre malattie neurodegenerative. È infatti in questa direzione che sembra andare la proposta di un gruppo di parlamentari belgi che vorrebbero “estendere l’eutanasia anche ai dementi”. Ci fermiamo qui sperando di aver dato qualche argomentazione in più a chi aveva giudicato lo scorso articolo “un’indigesta mescolanza di sentenze prive di fondamento empirico”, e questa volta consigliamo di leggere fino infondo mettendo per un attimo da parte ideologie e insulti. Dopo aver letto potrete anche considerarci reazionari, ignoranti, medioevali o metterci qualsiasi altra etichetta addosso, noi per risposta chiediamo se a voi piace un mondo così; se per voi è bello e degno dell’uomo, della sua ragione e grandezza, un mondo così. Un mondo in cui si è barattata la dignità e il rispetto della vita umana con una libertà vuota e distruttiva che ha schiacciato e relativizzato i valori fondanti di una società e con essi la vita stessa, contraddicendo l’articolo 3 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona.” Infatti calpestato il diritto alla vita viene meno ogni presupposto per qualsiasi altro diritto, perché se la vita umana non viene riconosciuta nella sua unicità e quindi inviolabilità, che senso ha parlare di diritti? Diritti di cosa? Per riconoscere o tutelare cosa? Purtroppo il malessere di questa Europa sta emergendo in tutta la sua gravità, è il malessere di un’Europa vecchia, la cui forma demografica è sempre meno tendente a quella piramidale, un’Europa che ha perso la voglia di vivere e con essa il senso di solidarietà verso le persone più deboli e indifese, un’Europa che ha seppellito i suoi valori fondanti e con essi il suo futuro. La nostra è un’Europa che ha smesso di ragionare e dunque di essere umana.


fine della storia

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di Alessandra Venezia

’arrivo della primavera è il momento perfetto per mettere da parte il freddo e le questioni rimaste in sospeso durante l’inverno. Rientra nei compiti e nelle responsabilità (perlomeno morali) di chi dirige mettere il punto ad una storia che si trascina da mesi. Eccomi qui, allora, a porre il punto definitivo alla diatriba nata a dicembre con l’articolo “Contro i falsi miti del progresso”. Non è dunque solo a causa della mia personale non condivisione delle idee esposte anche in questo secondo articolo da Giulio e Alessandro che scelgo di rispondere, ma soprattutto per la volontà di evitare ulteriori polemiche, nella speranza che quanto scritto da me sia sufficiente a sedare tutte le animosità residue. Più che sui contenuti, rispetto ai quali ciascuno può avere una propria opinione, è sul modo di esporre che intendo fare il mio primo appunto. Infatti, sia nel primo articolo che nel secondo si riscontra una dose non indifferente di presunzione. Nell’ultimo in particolare, si presume infatti che le persone che hanno sollevato delle critiche o non abbiano letto o non abbiano capito. Un tale atteggiamento risulta scorretto e inadeguato all’interno di un giornale rivolto ad un pubblico. Chi scrive, infatti, deve mettere in conto che non tutti i lettori si troveranno d’accordo con lui e deve avere il coraggio di accettare le loro critiche e non scansarle accusandoli di superficialità e incomprensione. Per quanto riguarda invece i grossi e fondamentali temi affrontati, tengo a dare dei chiarimenti. Il diritto all’aborto, sancito in Italia dalla legge 194, prevede la possibilità e non l’obbligo della donna di applicarlo. È una scelta che spetta solo alla donna, non al governo né ad esterni. Solitamente, nessuno più di una madre ha a cuore il destino del proprio bambino e dunque l’eventuale scelta di abortire va, se non condivisa, almeno rispettata. Una volta fissato e compreso il significato di questo diritto bisogna ovviamente considerare che l’aborto non può essere ritenuto un anticon-

cezionale. La via maestra deve essere la prevenzione, bisogna fare in modo di non trovarsi in una situazione così delicata e dolorosa. Difendere il diritto all’aborto non significa essere cinici e avere una scarsa considerazione della vita umana. Dietro una decisione così

drammatica, infatti, non c’è necessariamente una scelta egoistica ma più spesso vissuti personali e motivazioni profonde che una posizione preconcetta e ideologica non è in grado di sviscerare. Sull’eutanasia ritengo presuntuosa la definizione “cultura della morte” come se dietro a una tale decisione vi fosse tanta leggerezza. Anche in questo caso non si tratta di un’imposizione ma di un diritto, che deve riguardare solamente la persona ed eventualmente i suoi parenti più prossimi. Definire uc-

cisioni le scelte prese per esempio nei reparti di cure palliative, dove il livello di sofferenza è disumano, mi sembra irrispettoso e fuori luogo. Non si tratta di ammazzare qualcuno, bensì di concedergli –peraltro su sua richiestauna vita e una morte più dignitosa. Infine, il tema scottante dell’omosessualità. Ammetto che fra le risposte dello scorso numero ve ne fossero alcune impulsive e poco approfondite, ma ve n’era almeno una impeccabile, rispetto alla quale era impossibile controbattere. E così è stato: la risposta ha solamente sfiorato il tema omosessuale nonostante fosse quello che aveva destato più scalpore. Forse perché non esistono parole di disappunto davanti alla correttezza e all’umanità anche di un solo articolo. E allora è il caso di scusarsi, perché se nel nostro liceo non ci sono persone che hanno avuto un contatto diretto con l’aborto o l’eutanasia, a causa della nostra giovane età, sicuramente ci sono ragazzi e ragazze omosessuali che si sono sentiti feriti e umiliati direttamente. Il rischio dello scrivere è proprio la possibilità di dimenticarsi che dietro al foglio bianco ci sono degli esseri umani. Si scrive di uomini e ci si rivolge a uomini, bisogna mantenere un piede ben piantato nel mondo reale e non partire ciascuno per il proprio mondo ideale. Siamo qui e ora e le nostre parole hanno il potere di divertire, intrattenere ma anche ferire chi legge. Un giornale non può essere solo di chi scrive, deve essere soprattutto di chi legge. Come giornalisti (seppur in erba) abbiamo il dovere di rispettare i nostri lettori e non avere la presunzione di possedere la verità assoluta a diciassette anni. Il mondo che temo io è il mondo fatto di dogmi, numeri e casi universali, dove veramente l’individuo perde la propria dignità e il proprio rispetto. Asteniamoci dal giudizio davanti a situazioni che non conosciamo, lasciamo che a stabilire il livello di umanità di un uomo sia il diretto interessato, o al massimo il vostro Dio.

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Attualità

il giorno più bello della storia di Margherita Ghiglioni

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L GIORNO PIU’ BELLO DELLA STORIA S’io fossi un fornaio vorrei cuocere un pane così grande da sfamare tutta, tutta la gente che non ha da mangiare

Un pane più grande del sole dorato profumato come le viole Un pane così verrebbero a mangiarlo dall’India dal Chilì i poveri, i bambini i vecchietti e gli uccellini Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia! Così scrive Gianni Rodari in una curiosa poesia degli anni sessanta. Quando l’ho letta, ho subito pensato al giorno che tutta Milano aspetta trepidante: l’inizio dell’EXPO. Manca circa un mese all’inaugurazione e sembra quasi che questa poesia sia stata scritta in onore del grande evento. Ogni verso va a comporre il nostro biglietto da visita che stila i grandi argomenti e obiettivi che tutto il mondo si pone di fronte al grande tema dell’alimentazione. “Pane“ è la parola chiave della prima strofa, anche se appare quasi banale agli occhi di chi ne può avere in 8

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gran quantità ogni giorno. Il pane è l’alimento per eccellenza, la componente base della maggior parte dei pasti, un prodotto semplice ed essenziale, che culturalmente ha sempre rivestito una grande importanza. Inoltre è facilmente condivisibile: spezzando una pagnotta ognuno di noi ottiene almeno una briciola, ognuno viene sfamato. “Nutrire il pianeta” è lo slogan con cui EXPO tende a foderarci le palpebre e le orecchie, un grande slogan creato per sensibilizzare tutto il mondo sul problema della malnutrizione che, a leggere il parere del poeta, anche a quei tempi si cercava di eliminare. E’ arrivato il momento di ‘dare i numeri’: si stima che all’interno della popolazione mondiale siano presenti due milioni di individui soggetti a obesità e, dall’altra parte, un miliardo di affamati. Chi è affamato non si limita a soffrire per la mancanza di cibo: oltre al brontolio fastidioso dello stomaco, prova lo stesso lamento a livello morale. Le occasioni in cui si consumano degli alimenti sono spesso associate alla compagnia e alla discussione, ogni piatto racconta la storia di una nazione oppure un nostro ricordo speciale. La pietanza preferita è in grado di strapparci un sorriso nei momenti più tristi, cucinare è un vero e proprio atto d’amore. In questi ultimi tempi più che mai, le competizioni televisive di culinaria hanno cominciato a coloniz-

zare le reti, sempre più giudici si soffermano a esaminare la vivacità del gusto delle pietanze e la qualità della presentazione del piatto: la cucina è così diventata una vera e propria arte. Ma torniamo a ‘dare i numeri’: un terzo della produzione mondiale di cibo non arriva in tavola, tuttavia l’80% di questo cibo buttato sarebbe commestibile; in denaro questo spreco in Italia si traduce in 8,1 miliardi di euro l’anno andati in fumo, con un peso per ogni famiglia pari a 6,5 euro alla settimana. La problematica è limitante e molto provocatoria: nasce spontaneo il senso di colpa e la domanda “Perché lasciamo che tutto questo accada?”, la quale fa eco alla frustrazione del poeta che, nella terza strofa, parla anche di povertà. Fortunatamente non siamo così impotenti di fronte al problema, infatti a Milano sono già state mobilitate diverse iniziative anti spreco particolarmente efficaci, in grado di farci sentire tutti quanti cittadini più responsabili: ad esempio molte panetterie espongono in vetrina cartelli che invitano le persone più bisognose a ritirare dopo le ore 18.00 i prodotti avanzati e rimasti invenduti; oppure l’iniziativa “Puliamo il Mondo” che ha appositamente ideato un sacchetto chiamato “good food bag” da distribuire alle mense scolastiche e a quelle aziendali per il trasporto e la conservazione del cibo non consumato a pranzo. Così siamo giunti all’ultima strofa della poesia, l’ultima portata del nostro pasto, l’ultima riflessione della nostra conversazione. “Un giorno senza fame”, Gianni Rodari esprime il suo grande desiderio che appare quasi infantile, di quei “ vorrei tanto…” che sospiravamo da bambini. EXPO ha come obiettivo quello di organizzare la distribuzione di cibo a livello globale, ci riusciremo? Quello di Gianni Rodari è un sogno o un desiderio? Il cibo è vita perché grazie al cibo nutriamo il nostro corpo e le nostre conversazioni, la nostra curiosità. È necessario riflettere su questo concetto: senza avere fame mangeremmo? Lo desideriamo davvero un giorno senza fame? Il desiderio può coesistere con la sazietà? Nutrite la vostra mente di stimoli e la fame non vi divorerà. Questo pensiero era solamente l’antipasto: un buon appetito a tutti i lettori.


wame: energia sostenibile a cura di Marta Piseri

E

per tutti!

XPO è alle porte, e si prepara all'evento anche World Access to Modern Energy (accesso mondiale all'energia moderna). Non essendo abbastanza qualificata per scriverne io stessa, ho chiesto aiuto al suo direttore, Pippo Ranci. Ci parli un po' di WAME... Il progetto promuove la conoscenza di iniziative che si occupano di portare energia moderna nei Paesi in cui questa manca. EXPO passa una volta al secolo (se va bene), e i milanesi devono cogliere il più possibile l'occasione per portare all'attenzione mondiale i temi che stanno loro più a cuore. Il titolo “Nutrire il pianeta” si riferisce al cibo, ma anche alla solidarietà mondiale: l'iniziativa nasce quindi dall'idea del mondo dell'energia di dare il suo contributo alla parte umanitaria di EXPO. È un'organizzazione molto piccola, anche se grandi nomi hanno aiutato a metterla in piedi. Quello che riusciamo a fare è raccogliere informazioni, renderle comprensibili e metterle a disposizione sull'omonimo sito web. Cos'è l'energia moderna? Il termine è stato coniato per riassumere due diversi servizi, che al momento mancano quasi al 40% dell'umanità (soprattutto a sud del

Sahara e nell'Asia sud-orientale): uno è l'elettricità, mentre il secondo è un modo più “pulito” di cucinare e riscaldare la casa. In vaste zone del mondo, l'abitudine più diffusa consiste infatti nel bruciare legna o carbonella senza stufa, cosa che comporta grossi danni per la salute e l'ambiente. In inglese esiste il termine “clean cooking facilities”, strumenti per cucinare in modo pulito; infatti, per limitare i danni prodotti dal fuoco libero, non è necessario che sia il combustibile a cambiare, ma piuttosto la modalità. Non è un problema particolarmente difficile da superare, a livello tecnico (basta una stufa con un tubo che porta all'esterno), tuttavia impone uno sforzo organizzativo. Che dire dei progetti raccolti? Sono generalmente realizzati da organizzazioni non governative (ONG) spesso in collaborazione con aziende o programmi governativi. L'innovazione che portano è principalmente sociale ed economica, ovvero un'organizzazione del lavoro che incentivi a fare qualcosa di utile alla comunità. Come, ad esempio, l'idea di fondare una cooperativa per produrre energia elettrica all'interno del villaggio, che faccia pagare solo quel tanto che le permette di andare avanti. Spesso, per l'introduzione di nuove tecniche è necessaria una persuasione: il fuoco libero

è usato da millenni, e, oltre alla forza della tradizione, ha un valore religioso. Ma il bello di molti progetti è che riescono a spostare in loco la produzione (ad esempio, delle stufe), passando dalla consegna di un dono alla costruzione di piccole imprese locali. C'è quindi un adattamento della tecnica, e un coinvolgimento delle persone in attività che possono anche innovare cultura e mentalità. Da noi ci sono tanti giovani volenterosi che hanno voglia di fare qualcosa di utile, e gli abitanti di questi Paesi agirebbero volentieri, se l'attività desse loro da vivere; di mezzo ci sono grandi imprese energetiche che possono metterli in contatto, fornire le conoscenze tecniche e gli strumenti. WAME nasce per dare una spinta a svolgere questo servizio, riunendo esempi che si possono replicare anche più in grande. WAME finisce con EXPO 2015? Sarebbe bello lasciare in eredità il patrimonio di progetti, conoscenze e relazioni ad altre iniziative. Per arrivare ad avere “energia sostenibile per tutti entro il 2030”, come preannuncia l'ONU, c'è bisogno di una spinta forte, che può essere in parte data dalla diffusione dell'idea. Per ora ci stiamo organizzando per la piccola EXPO proprio sull'energia in Kazakistan nel 2017, e per quella negli Emirati Arabi Uniti nel 2020, dove si parlerà di comunicazioni, argomento che ha comunque un legame molto stretto con l'elettricità e con WAME. Il quale è fondato sull'informazione... Il progetto si occupa di “raising awareness”, che significa aumentare la consapevolezza. L'informazione di per sé può girare senza che nessuno se ne preoccupi; se chi la fa è bravo, può suscitare consapevolezza. L'awareness sta alla base di molti percorsi di avanzamento sociale, ma è soltanto un punto di partenza. Di certo possiamo imparare molto da modelli che vengono non dai centri mondiali della scienza e del progresso tecnico, ma dall'esperienza sul campo di chi ha cercato di superare le condizioni di miseria della gente.

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Attualità

contro la barbarie di Bianca Carnesale

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icebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes: siamo nani sulle spalle di giganti, diceva Giovanni di Salisbury, attribuendo la frase al suo maestro Bernardo di Chartres. Siamo nani, piccole creature, ma abbiamo la possibilità di vedere più lontano, con maggiore lucidità e acume, grazie a chi ci ha preceduto: per Bernardo di Chartres i classici e i Padri della Chiesa, per noi l’universalità del sapere che l’uomo ha costruito in tutta la sua storia. A volte le spalle dei giganti si ingobbiscono, cedono, si abbassano: vediamo meno, il nostro orizzonte si chiude, un piccolo pezzetto alla volta. L’uomo è la propria storia individuale e collettiva: ogni distruzione o negazione della storia toglie qualcosa ad ognuno di noi, ci rende meno umani, accecati da pregiudizi, ignoranza, odio. Tra febbraio e marzo 2015 sono state abbattute le statue nel museo di Mosul (Iraq) da parte dell’Isis, distrutti con le ruspe i resti della città Assira di Nimrud 30 Km a sudest di Mosul, il sito di Hatra (patrimonio dell’Unesco), l’area di Khorsabad - detta fortezza di Sargon -, bruciati antichi manoscritti, santuari e chiese, sempre nell’area di Mosul. La storia recente ha già visto atti simili da parte di chi confonde la religione con l’oscurantismo e il fanatismo: nel 2001 vi è stata la distruzione dei Buddha di Bayman, due grandi statue scolpite nella roccia, a 25o km da Kabul, da parte dei Talebani. Nel 2003 con la caduta di Baghdad il Museo Nazionale è stato saccheggiato e numerosi reperti sono andati perduti. Guardate i video sulla distruzione dei siti, sull’abbattimento di statue millenarie che l’Isis stesso ha diffuso. Piccoli uomini coi volti coperti che si avventano su opere che non potremo più ammirare: si avventano con rabbia, con la convinzione di essere nel giusto distruggendo luoghi e simboli di sapienza tramandata, per loro solo falsi idoli che distolgono dall’unica Verità. Con la stessa rabbia, la stessa convinzione, la stessa fede, 10

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i fanatici hanno ucciso, decapitando i nemici, mitragliando chi faceva satira contro di loro, sparando anche su chi visitava il Museo Nazionale di Tunisi. Con la stessa rabbia, la stessa fede, hanno imposto leggi militari che nulla hanno di religioso alle popolazioni dei territori da loro conquistati: bambini trasformati in guerriglieri, donne velate, lapidate o vendute. L’estremista fanatico è già cieco, gli occhi velati dalla propria Verità. Non ha giganti che lo sostengano: ha solo la forza del fanatismo e delle armi per commettere crimini contro l’umanità. Nella sua cecità, non si fa scrupolo di usare tecnologie moderne, senza chiedersi da dove provengano, come abbia fatto l’essere umano a dotarsene: baratta i reperti che possono essere venduti per acquistare armi, moderne, sofisticate, frutto anch’esse di un sapere che si è costruito nei secoli. Non è la prima volta nella storia che assistiamo alla distruzione di opere importanti: penso alla distruzione di monumenti dell’antica Roma, dopo la condanna del paganesimo, al saccheggio di Costantinopoli (1204), agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, come il bombardamento dell’Abbazia di Montecassino o l’incendio e saccheggio delle Flekturn Friedrichshain a Berlino. Ma, in tutti questi casi, pur all’interno del fronte

che distruggeva si levavano voci contrarie: l’evento non era inserito in un’ideologia che giustificasse tale distruzione, ma anzi veniva condannato. Il che nulla toglie al fatto che città siano state bombardate, monumenti distrutti, civili uccisi: ma resta un barlume di umanità che invece nelle file dell’Isis è totalmente assente. L’Isis non è l’Islam, così come il saccheggio di Costantinopoli non è la parola di Gesù. “La cultura,” afferma la scrittrice egiziana Nawal El Saadawi, condannata a morte dagli integralisti “in ogni sua forma di espressione, è il migliore antidoto contro la demonizzazione dell’altro da sé, una demonizzazione che è spesso figlia dell’ignoranza”. L’attacco al Museo del Bardo di Tunisi, simbolo di integrazione culturale e di dialogo, con reperti della civiltà cartaginese, romana, paleocristiana e araba, è ancora una volta il segno della volontà di distruggere la storia per distruggere l’uomo. Ogni volta scendiamo un gradino della nostra storia, diventiamo più piccoli, più ciechi. Usiamo la forza dei giganti sui quali siamo issati per difenderci: la tolleranza, la liberta, l’uguaglianza ci fanno più forti di qualsiasi forma di ignoranza e fanatismo.


libertà: oltre il muro dei luoghi comuni di Francesca De Luca

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iritti e libertà sono state le parole che ho sentito di più in questi ultimi mesi: diritto e libertà di parola, diritto e libertà di essere chi e ciò che si vuole, diritto e libertà di non considerare chi ci sta attorno. Ogni giorno, ognuno di noi compie una moltitudine di azioni e pronuncia un altrettanto numero di parole, lo facciamo per noi, per affermare noi stessi, ma anche per gli altri ed è per questo che ogni giorno condividiamo almeno un discorso, un pensiero, un gesto. Ora, proprio perché abbiamo proclamato tutte queste libertà, viene naturale pensare che in un qualsiasi confronto, nato da un momento di condivisione, vi sia il rispetto sia reciproco e soprattutto la disponibilità all’ascolto; purtroppo raramente accade questo e spesso si creano tensioni e antipatie tra persone che semplicemente la pensano in modo differente. Il limite in queste occasioni è sempre lo stesso: gli stereotipi, i luoghi comuni, sui quali si arroccano anche le persone più aperte e sostenitrici della libertà; così quando ci si trova a parlare con una persona diversa da noi, alla

quale attribuiamo un determinato pensiero solo per la sua identità culturale o religiosa, ci attacchiamo ancora di più alle nostre convinzioni, chiudendo completamente ogni via di comunicazione e comprensione con l’altro. Il nostro interlocutore parlerà e noi lo sentiremo, ma non lo ascolteremo, perché non faremo alcuno sforzo per metterci nei suoi panni, per capire perché la pensa in quel modo e continueremo a ripeterci che la ragione si trova dalla nostra parte. La libertà in un confronto del genere, se così lo si può chiamare, è inesistente, poiché non diamo nemmeno una possibilità all’altra persona, essendo noi già sicuri di quel che dirà; in questa maniera non solo la libertà di esprimersi è annullata ma anche quella di pensare: che senso ha formulare un pensiero se ogni qualvolta venga esposto in un quotidiano dialogo viene subito messo a tacere, perché diverso da quello dei nostri interlocutori? Non si può costringere l’uomo a non pensare, in quanto è proprio questo che lo contraddistingue da tutti gli altri esseri e se un pensiero che nasce è sbagliato, scorretto, immorale, poco importa perché può essere mutato,

ma solo attraverso un confronto vero. Vorrei, in questo modo, non accusare qualcuno, ma far notare atteggiamenti che la maggior parte di noi assume anche senza volerlo; così la prossima volta che vi troverete a dibattere, ad esempio sull’argomento omosessualità o aborto, con una persona cristiana proverete ad ascoltarla e a capire veramente in cosa crede, ma soprattutto perché ci crede, scoprendo probabilmente un profilo diverso di quella sua posizione; oppure, se sarete a fare la spesa al mercato e il venditore sarà un uomo del Sud o uno straniero, potreste riuscire a non stare tutto il tempo sull’attenti per cercare di capire se sta cercando di imbrogliarvi, ma riuscirete a godervi una bella storia e farvi un po’ di risate assieme a lui. In entrambi i casi potrete rimanere della vostra idea, pensare che i cristiani siano tutti bigotti e credenti e che i meridionali e gli extracomunitari siano tutti ladri, però sicuramente il confronto vi lascerà qualcosa, in quanto vi sarete messi in gioco dando la possibilità agli altri di spiegarsi ed esprimersi e a voi di cambiare idea.

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Attualità

vanni padovani (2) gS L’uomo che ha creato e (quasi) distrutto

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ello scorso numero Vanni Padovani ci ha raccontato gli inizi del movimento. Questa volta parleremo dei turbolenti anni ’60 e andremo un po’ più a fondo dal punto di vista culturale e politico. Parliamo degli anni dal ’60 al ’67, detti del “consolidamento”, ma soprattutto dell’inizio delle battaglie politiche con le associazioni studentesche, che peraltro in parte dura anche adesso. Innanzitutto, che impatto ebbe GS sulla cultura e sulla società nelle scuole? C’erano due tesi che allora dibattevano all’interno di ogni scuola superiore: quella portata avanti da Don Giussani era che tutte le iniziative che coinvolgono i ragazzi di una certa età servivano loro a rendersi conto della propria identità, del proprio patrimonio culturale, nel caso di GS della propria fede, e questo concetto doveva essere favorito da una separazione tra studenti di ideologie diverse; l’altra tesi invece affermava con chiarezza che il riconoscimento di questa identità sarebbe stato più facile e completo nel confronto e nel dibattito. Queste erano le associazioni studentesche, che per fare ciò svolgevano dei parlamentini aperti a tutti. Insomma, Don Giussani nel ’61 è uscito dalle associazioni studentesche come il Collettivo Carducci perché avevano una concezione diversa di come i giovani avrebbero dovuto prendere coscienza della propria

identità culturale e politica. Ma questo ha chiuso il movimento rispetto al resto del mondo scolastico? In quel periodo non solo Don Giussani, ma anche gran parte del mondo Cattolico Italiano, non ha fatto un passo indietro verso il dialogo. Tuttavia non lo fecero tutti i Cattolici… Allora le posizioni nella Chiesa erano molto differenziate, come del resto lo sono anche adesso: basti guardare il papato di Benedetto XVI e di Papa Francesco: c’è una bella differenza! C’è modo e modo di essere Cattolici, e certamente GS e CL appartengono all’ala più conservatrice e più chiusa del Cattolicesimo. La battaglia delle associazioni studentesche infuriò per tutti gli anni ’60 con episodi come quello del Teatro Piccolo, in cui fu incendiata un’aula del Carducci. Secondo lei è stato giusto dare tutta questa importanza alla polemica politica e coinvolgere dei ragazzi del liceo in queste battaglie così accanite? Questa è stata una delle cause della incapacità o non volontà di comunicazione che si è vista nei decenni a seguire: se la battaglia politica, il dibattito politico, la concorrenza politica, viene vista soltanto dal punto di vista tuo, della tua fede, delle tue certezze in realtà alla fine perde di ogni valore, di ogni interesse vero, perché quello che interessa sei tu, e il resto è del tutto secondario, subordinato e qualche volta strumentalizzato, perché tutto ciò che serve a portare avanti la

a cura di Giuliano Toja

tua idea e la tua identità è permesso, come dimostrato dalla storia di CL. Don Giussani ha sempre insistito perché voi foste il suo alter ego: considerando anche quello che è successo, perché vi ha dato tutta questa fiducia? Perché all’inizio eravamo effettivamente molto vicini. Poi, nel ’67, soprattutto per una questione di tipo politico, sono maturate due correnti di pensiero. Non era un dibattito personale tra me e lui, ma tra due posizioni della Chiesa, che erano d’altra parte ampiamente rappresentate anche nel mondo Cattolico al di fuori di GS. La questione era stabilire le priorità nel comportamento Cristiano. Gli anni ’66 e ’67 erano il periodo in cui padre Turoldo predicava dal pulpito che i Cattolici potevano votare per il PCI, che l’unità politica dei Cattolici non c’era più e che la politica è un fatto personale, che non coinvolge più di tanto la fede. E queste spaccature si allargarono fino al ’68: che cosa successe allora esattamente? Moltissimi Giessini aderirono alla protesta davanti all’Università Cattolica del Movimento Studentesco di ispirazione Marxista di Mario Capanna, cosa che Don Giussani non approvava affatto. Nei mesi seguenti di fatto GS è lentamente “morta”, cioè si è svuotata, per aderire al Movimento Studentesco; questo però non vuol dire che tutti i Giessini sono diventati atei e hanno perso la fede, non è questo… La maggior parte ha semplicemente abbandonato quel modo lì di essere Cattolici. Dopo mi hanno cacciato da GS e il Vescovo mi ha nominato parroco in una parrocchia di periferia. Secondo lei la crisi del ’68 era evitabile? È difficile da dire… Il ’68 rese evidente quanto era già chiaro prima, che le società attuali non possono più essere definite in base alla fede che uno ha, ma sono società laiche, che devono essere fondate su principi che funzionano per i Cattolici, i non-Cattolici, gli atei, i musulmani… Il principio della società, possiamo chiamarlo democrazia, tolleranza, è altro da un principio religioso. Quindi secondo lei CL è un movimento inadeguato? Secondo me as-

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solutamente inadeguato, perché il loro punto di partenza è ancora una società tra virgolette “Cristiana”. Basta prendere un tema come quello dell’aborto: capisco che per un Cristiano sia inconcepibile, ma nell’epoca attuale non puoi pensare che tutti abbiano questa idea, e così vale per le cure di fine vita o l’eutanasia. Capisco anche che per un Cattolico siano tabù scelte di questo tipo, ma non capisco quando le idee religiose vogliono essere imposte a tutti. Quindi secondo lei CLdovrebbe provare quantomeno a essere più tollerante? Avere un’idea della società diversa da quella che ha. La differenza tra Benedetto XVI e Papa Francesco va in questa direzione, cioè nella comprensione. Il Papa sta dicendo alla Chiesa di fare quel passo indietro di cui parlavamo prima. Racconti brevemente come si è arrivati dalle ceneri di GS a CL. Ritengo che in questo ha avuto un ruolo

fondamentale la problematica di natura politica, la chiusura definitiva causata dal ’68 tra le due grandi culture della Chiesa Cattolica da una parte e del PCI dall’altra. In GS ci si teneva abbastanza lontani dalla politica, mentre certamente CL ha avuto un’esposizione e un impegno politico a difesa di una società il più possibile “Cristiana” molto maggiore e che ha anche dei nomi e cognomi. Ma l’obbiettivo di un impegno politico oggi non può essere questo: una società tollerante, fatta per tutti, il più possibile giusta, ma non “Cristiana”. Secondo lei col tempo il movimento si è snaturato o la CL attuale è ciò che aveva in mente Don Giussani nel ’54? Penso che la seconda affermazione sia quella giusta: all’inizio sono stati gettati i semi di quello che poi è maturato. Non c’è stata una deviazione, c’è stata una crescita. Dopo GS lei ha fatto delle scelte par-

ticolari… Sì, prima ho deposto l’abito clericale e dopo, leggendo e studiando, mi sono trovato su posizioni laiche. Queste cose che adesso dico da laico spero di dirle senza offendere la storia passata, rispettandola, però non mi sento più parte della cultura Cattolica. A sentirlo parlare ora sembra più verosimile che sia stato la spalla di Marco Pannella piuttosto che di Don Giussani. Che cosa porti un uomo di mezz’età a cambiare idea e ideologia così radicalmente resta una mistero affascinante. Per quel che riguarda i suoi giudizi su CL mi chiedo se non giungano da un punto di vista ormai troppo esterno e da una visione solo parziale, in particolare troppo “politica” delle cose… Di sicuro Vanni resta un uomo singolare con opinioni notevoli degne di essere ascoltate da tutti; dopotutto, non può non avere nulla di interessante da dire l’uomo che ha creato e quasi distrutto GS.

il giro del mondo in 25 giorni

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di Greta Anastasio l 9 Marzo è iniziato il sogno di due grandi piloti svizzeri: volare intorno alla Terra utilizzando solo l’energia del sole. I due piloti, Bertrand Piccard ( primo uomo ad aver compiuto il giro del mondo su una mongolfiera) e André Borschberg, sono decollati da Abu Dhabi con un aereo chiamato Solar Impulse 2 che, oltre ad avere la particolarità di essere alimentato esclusivamente da energia solare, grazie alle 17 mila celle solari sulle ali, ha un peso di 2,300 tonnellate, che apparentemente può sembrare molto, ma in realtà corrisponde all’1 % di un Airbus. L’aereo, con il quale si punta a compiere il giro del mondo in soli 25 giorni di volo effettivi, compirà 12 tappe sparse in tutto il mondo dagli Emirati arabi, all’India, Cina, Oceano Pacifico e Oceano Atlantico, con anche uno scalo nel Mediterraneo, per tornare poi al punto di partenza. I due piloti svizzeri sono molto ottimisti riguardo al loro progetto ma sono anche consapevoli dei rischi che corrono, dato che si basano essenzialmente sulle condizioni atmosferiche, che oltre

ad essere variabili rendono difficile la convivenza all’interno dell’abitacolo, in quanto devono affrontare temperature estreme (per esempio quando sorvo- lano le montagne birmane o il deserto

dell’Arabia, come lo stesso Piccard ha affermato in una conferenza). Il giro del mondo con Solar Impulse 2 è frutto di 12 anni di ricerche condotte

da Borschberg insieme al secondo pilota Bertrand Piccard; un progetto che vuole provare che è possibile volare su lunghe distanze senza inquinare. "Vogliamo condividere la nostra visione di un futuro pulito che è possibile perché il cambiamento climatico offre una fantastica opportunità di portare sul mercato delle nuove tecnologie verdi che aiuteranno a tutelare le risorse naturali del nostro pianeta, creare posti di lavoro e sostenere la crescita economica." Ha dichiarato Piccard. Infatti l’obiettivo dei due svizzeri non è solo quello di stabilire un record e di vedere tanti e bei posti, ma dimostrare la fattibilità dello sviluppo di tecnologie che utilizzano fonti di energia pulita. Il loro viaggio serve quindi a lanciare un messaggio universale che provi la modernità di queste tecnologie in grado di affrontare sfide ambiziose come la loro. Il loro progetto, considerato da molti come un sogno irrealizzabile, è ora reso possibile ed è segno di un importante cambiamento per le tecnologie rinnovabili che si spera portino grandi risultati.

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Attualità

DEBUNKERS’ REPORT

di Elena Scloza e Sara Monaco

Le scie chimiche inizialmente sembrano normali scie, ma sono più spesse e si estendono per il cielo in forma di X, griglia o in linea parallela. Invece di dissiparsi rapidamente, si allargano e si diramano. In meno di 30 minuti si aprono in formazioni che si uniscono tra loro formando un sottile velo di finte nuvole simili a cirri che rimangono per ore”. Secondo Jeff Rence, un radio speaker americano noto per aver condiviso, e condividere tuttora, nel suo programma radiofonico numerose teorie complottiste, tra cui il pianificato controllo delle torri gemelle e le irrefrenabili scie chimiche, queste sono le caratteristiche che determinano la presenza di particolari sostanze, talvolta anche biologiche, nelle scie degli aerei che volano liberi sopra le nostre teste. Le cospirazioni riguardo le scie chimiche, però, nascono già nella seconda metà degli anni novanta, quando nel 1996 l'Air Force, l'aeronautica militare statunitense, venne accusata di infestare l'atmosfera con sostanze pericolose non ben identificate per mezzo di aerei che rilasciavano delle scie fuori dal normale. Ci troviamo dunque davanti ad un complotto molto organizzato ricco di teorie verificate da prove “scientifiche”, analisi da laboratorio e tantissime testimonianze; stranamente però nessuna di queste, né nella prima accusa né nelle successive, ha mai trovato alcun credito nell'ambito della comunità scientifica e non si è mai espresso nessun testimone. Prima di analizzare meglio alcune tra le più originali argomentazioni dei complottisti, togliamoci un dubbio: cosa contengono le tanto discusse scie chimiche? Sostanze chimiche nebulizzate nell'aria tramite sistemi di irrorazione montati su aeroplani che non appartengono al normale traffico aereo. Queste sostanze vengono irrorate a diverse altezze a seconda degli scopi per cui vengono utilizzate. In tanti anni, quindi, i malefici cospiratori sem14

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bra non siano stati in grado di trovare un modo per rendere le loro scie a occhio nudo identiche a quelle “normali”, né è loro venuto in mente di lavorare solo di notte, se non altro per rendere la vita un po’ più difficile all’esercito degli armati di fotocamera pronti a riversare in rete i propri avvistamenti. Gli sciachimisti sono poi così furbi che hanno già individuato come queste sostanze vengono disperse: “Non si tratta né di aerei di linea né commerciali; sono stati fotografati sia in volo sia in aeroporti, sono spesso aerei bianchi senza insegne, cisterne dei cieli normalmente usate per rifornire di carburante i caccia da guerra in quota, ma che a quanto pare possono essere adibite ad altro scopo”. In realtà, c o m e

potrebbe spiegarci qualsiasi scienziato o chiunque in grado di intendersi un poco di meteorologia, le scie chimiche e anomale sono un fenomeno completamente naturale, perché lo spessore e la durata di una scia di condensa di un aereo varia dall'umidità dell'aria e dall'altezza in cui si trova, e in base all'intensità del traffico aereo possono assumere aspetti inconsueti. Ma ora cerchiamo di capire quali spiegazioni gli sciachimisti danno riguardo ai mandanti di questo oscuro complotto. La più diffusa é che queste scie chimiche siano usate per il controllo del clima terrestre, e che quindi degli sconosciuti utilizzino delle sostanze rilasciate nell'atmosfera,

principalmente composte da bario e alluminio, per cambiare il clima in certe regioni e modificare così l'economia di interi paesi. Gli Americani sono associati a questo complotto e la sede dei loro piani sarebbe H.A.A.R.P., che in realtà é un centro per gli studi meteorologici, chiuso nel 2013, anche se questo piccolo particolare non interessa molto ai complottisti, che lo considerano ancora la macchina artefice di questo enorme complotto. Un'operazione del genere è pressoché impossibile da gestire, perché vi sarebbe un enorme quantità di dati da falsificare, per di più in modo che questi risultino perfettamente compatibili e concordi tra di loro. Inoltre, aumentando il numero di persone a conoscenza di un'operazione segreta, aumenta anche il rischio che tale operazione possa essere scoperta. Un'altra spiegazione é quella che queste scie contengano anche arsenico, ferro e manganese, il cui effetto sui processi mentali, psicologici ed emotivi, è devastante. Ci dice Alfred Lambremont Webre: “Un potente e globale programma di controllo mentale è in corso contro la popolazione, attraverso le attività chimico-biologiche”. Tra gli effetti che le scie chimiche provocherebbero ci sono: molte malattie psicologiche quali schizofrenia, insonnia, allucinazioni, aumento delle persone affette di autismo, tanto che lui parla di “epidemia di autismo”, e un generale cambiamento dei comportamenti umani, la gente é più nervosa e insofferente. Secondo i sostenitori della teoria delle "scie chimiche" i servizi segreti starebbero tentando di screditare il lavoro degli auto-proclamatisi “ricercatori indipendenti”, con presunte minacce e azioni di sabotaggio, perché ovviamente hanno paura che l'inquinate verità venga a galla. Altre teorie sostengono che dietro tutto ciò ci siano la NASA, Google, la CIA, il Vaticano o spesso anche governi di paesi interi, che usano le scie chimiche come arma di distruzione di massa.


cronache carducciane

liber#azione

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di Marta Piseri

anni, 4 comuni, 7 scuole e oltre 150 studenti; è questo il bilancio della “Trilogia della resistenza”, un progetto teatrale ideato da Andrea Facciocchi nel lontano 2012, e a cui la nostra scuola ha subito preso parte. I giovani interpreti si sono susseguiti, nel corso di questi tre anni, in altrettanti spettacoli, ciascuno incentrato su un particolare della situazione italiana nel periodo travagliato della seconda guerra mondiale; l'8 Aprile scorso, ospitato dal teatro Elfo Puccini, è stato presentato l'atto conclusivo, “Liber#Azione”, uno spettacolo che racconta il crescente desiderio popolare di una pace stabile, persistente, contrapposta all'angoscia e alla brutalità della dittatura. Alternando scene violentemente pregne di guerra, di miseria e impotenza, allo sguardo esterno di un gruppo di ragazzi nati mezzo secolo dopo, la regia di Michela Blasi crea, tra passato e presente, un ponte soprattutto emotivo, basato sull'intuizione che la resistenza non è solo un capitolo del libro di storia, ma il frutto del coraggio di persone reali, di ragionamenti tali e quali a quelli che potremmo fare oggi, e di una naturale tendenza a reagire, in favore di un valore forte e irrinunciabile come la libertà. Mentre gli Italiani degli anni '40, pur partendo da una assoluta fiducia nel governo fascista (che ha saputo rimettere in piedi un paese sfiancato dal primo grande conflitto mondiale),

prendono gradualmente coscienza e iniziano a passare all'azione, parallelamente i loro compatrioti del XXI secolo subiscono a loro volta un processo di cambiamento, trovandosi a riflettere più a fondo sulla storia, e identificando le affinità con la propria vita quotidiana; proseguendo, dunque, la lotta per la libertà di cui sono figli (o meglio, nipoti), e che tuttavia risulta loro tanto facile dimenticare o dare per scontata. Il contesto di risveglio ideologico è però frenato da due incombenti presenze: quella pesante, minacciosa delle camicie nere, e quella sfuggente dei cosiddetti “ragazzi poeti”, figure simili a spiriti che interrompono più volte l'azione per fornire rappresentazioni idealizzate della guerra, senza sbilanciarsi, senza scendere nella realtà tragica dei fatti, ma rimanendo sempre inafferrabilmente super partes. Considerato il copione impegnativo, oltre alle difficoltà economiche, e a quelle logistiche causate dalla necessità di mettere in relazione tre scuole tanto lontane fra loro, il risultato è davvero notevole: ricco di interventi dello stesso Facciocchi e di un'èlite di acclamatissimi professori-attori Carducciani, estremamente curato, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche di gruppo, e chiaramente vissuto con grande partecipazione dagli attori. Anche il livello di recitazione è complessivamente ottimo; dunque, una rappresentazione pienamente all'altezza delle aspettative, già molto elevate

per via dei due precedenti lavori, e accresciute dalla ricorrenza importante del 70° anniversario della liberazione. In molti hanno riconosciuto allo spettacolo (e a tutti coloro che vi hanno lavorato) il merito di aver segnato profondamente gli spettatori, pur senza proporre temi nuovi, né chiavi di lettura innovative. Il prodotto è effettivamente piuttosto forte; evidenziando il dolore e la paura, la speranza e il coraggio, permettendoci di spiare il dialogo angosciato tra due fratelli, o semplicemente mostrando l'attaccamento ad un oggetto caro tra le macerie, “Liber#azione” trasmette un messaggio che non ha bisogno di parole, un messaggio di umanità, che sembra implorare, con l'impatto inimitabile della recitazione, di non lasciare che qualcosa del genere accada nuovamente. Particolarmente significativa la scena conclusiva, in cui la creazione di un nuovo sistema di leggi per l'Italia finalmente liberata viene rappresentata come una corsa, iniziata dagli eroi della resistenza ma proseguita da tutti i loro discendenti, e in atto ancora oggi; tradotta in diverse lingue, recitata a turno da diversi ragazzi, la nostra costituzione riunisce e ordina le personalità, e, soprattutto oggi, nazionalità più disparate, nel tentativo di tutelarle e garantire a tutte quella stessa libertà che è stato tanto difficile riconquistare. E così il testimone passa di mano in mano, e la corsa continua: “verso un futuro migliore”.

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cronache carducciane

Report from the USA

la scuola

di Leonardo Zoia

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d eccoci di nuovo al nostro appuntamento con gli USA! Oggi Leo ci parlerà della tanto ammirata scuola americana. Ma non perdiamci in chiacchiere: la parola al nostro inviato...

Gran Parte della mia esperienza negli Stati Uniti è ormai volata e mancano pochi mesi al mio rientro in Italia. Il momento in cui saluterò l’inglese per dare nuovamente il benvenuto al greco...yupppyyy... Dal momento che mi sembra uno degli argomenti più controversi, discussi e che più possono interessare, voglio parlare della scuola americana, che ho frequentato in questi mesi e che, essendo sempre stata presa di mira da noi europei, mi sembra il caso di difendere almeno un pochino. La scuola americana funziona così. Innanzitutto, sì: non sono i prof che vengono nelle classi, ma gli studenti che girano per la scuola. E questa è una cosa che amo, poichè nell’arredamento di ogni aula si rispecchia la materia che vi viene studiata: la classe di fisica, per esempio, è stipata di batterie, motori, elettrodi e attrezzi per la misurazione magnetica, la classe di arte, di pennelli, plastico per sculture, tempere, pennini, fornaci per la cottura della creta, le classi di inglese sono piene di libri e Lim, quella di musica di strumenti e leggii, quella di biologia di acquari e microscopi, quella di educazione tecnica è una vera e propria officina con seghe circolari, trapani a muro, robot in costruzione, computer smontati, frese e persino lance termiche e fornaci per il raggiungimento del calore rosso. Ogni istituto offre un certo numero di materie di studio e ogni materia presenta differenti livelli di difficoltà ed una certa durata del corso. Ad esempio la materia algebra è divisa in algebra 1 ed algebra 2, entrambe della durata di un anno: non si può studiare algebra 2 se non si supera l’esame di fine anno di algebra 1. I livelli assegnati ad ogni materia, in ordine di difficoltà dal più facile, sono: 1, 2, 3, 4, Advanced, Honors ed AP(Advanced Placement) (Honors è il livello più alto 16

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nelle scuole superiori, AP è un livello preuniversitario). Quando si completa un corso si riceve un credito legato alla sezione delle materie di cui fa parte la classe passata: per esempio, al termine di un anno di algebra 1 si ottiene un credito di matematica, finito un anno di biologia, un credito di scienze, etc... Alcune materie sono obbligatorie. Queste, dette Mandatory Subjects, sono richieste dal governo degli Stati Uniti, in modo che tutti i cittadini, una volta terminate le superiori, abbiano almeno alcune conoscenze comuni assicurate; senza i crediti dati da quelle materie non si può ricevere il Diploma Superiore di High School. Queste sono: algebra 2, humanities (un insieme di letteratura inglese e storia degli USA), almeno un credito di spagnolo, uno di scienze, di informatica, di arte (a scelta tra coro, banda o un’arte figurativa) ed uno di orientamento post diploma (una materia richiesta agli studenti dell’ultimo anno per scegliere cosa studiare al College). Tutti gli alunni di una scuola, alla fine dei quattro anni di liceo, devono aver preso parte ad almeno questi corsi che, ci tengo a ricordare, possono essere divisi nei quattro anni: non importa se sei all’ultimo e stai studiando una materia pensata per il primo, l’importante è inserirla nel tuo Curriculum scolastico entro la fine del quarto anno. A ciò, però, vanno aggiunte 40 ore all’anno di Servizio Comunitario: tutti gli studenti, sono tenuti a donare 40 ore del loro tempo libero, ogni anno, per compiere attività extrascolastiche che beneficino la comunità cittadina, come pulire la strada, aiutare i Vigili del Fuoco, fare volontariato in una casa di cura o in una mensa dei poveri, aiutare nell’organizzazione di eventi scolastici, etc... Se si supera il limite di 40 ore si ottengono dei premi sotto forma di voti positivi o riconoscimenti scolastici. Ora la cosa si fa complicata. La settimana è di 5 giorni, divisi in due giorni che si alternano, solitamente associati ai colori della scuola (per esempio nella mia scuola, i cui colori sono oro e blu, i giorni si alternano, oro e blu):

Lun

Mar

Mer

Gio

Ven

Sab

Blu

Oro

Blu

Oro

Blu

Dom Lun

Mar

Mer

Gio

Ven

Oro

Blu

Oro

Blu

Oro

e si ricomincia da capo. Ogni giorno è diviso in quattro ore, ciascuna dura un’ora e venti; la scuola inizia alle 7.20 e finisce alle 2.05, con un’ interruzione per il pranzo che, a seconda del giorno, può essere alle 10.50, 11.30 o 11.50. Da questo si può dedurre che ogni studente può studiare, potenzialmente, 8 diverse materie, una per ogni ora di ogni giorno (blu e oro). Detto questo, si capisce che, se uno studente ha voglia di impegnarsi, può tranquillamente scegliere otto materie diverse e anche raggiungere livelli decisamente avanzati, vivendo una scuola che è più o meno comparabile, per difficoltà ed impegno, alla media delle scuole europee. E qui sta il vero problema: la “Freedom”, della quale gli Americani straparlano tanto. Dal momento che, eccetto per le materie mandatarie, gli studenti non sono tenuti a seguire nessun altro corso, la maggior parte di questi, essendo dei normali teenager e non degli scienziati, si chiede perché si debba rovinare la vita cercando di barcollare dietro ad otto materie e sceglie di non studiare alcunché all’infuori di quelle obbligatorie. Così i ragazzi tendono a frequentare il minimo richiesto, cioè tre materie in due giorni (totale di 15 ore di studio settimanali) e sguazzano nella loro felicissima e disimpegnata ignoranza. Nella mia classe di fisica, per esempio, siamo in sei perché nessuno la vuole studiare. Tanto più che, in tutte le ore in cui uno studente non ha lezione, è semplicemente tenuto ad andare nella classe di un insegnante designato, che in quel momento non sta spiegando, e stare lì, facendo quello che vuole. Si suppone che studi, ma in molti giocano al computer. Io, per esempio, seguo questa tabella oraria (block significa ora):


Blu

Oro

1 block

Studio Libero

Matematica economica e statistica avanzata

2 block

Fisica AP

Biologia Honors

3 block

Studio Libero

Inglese avanzato

4 block

Coro

Spagnolo 2

Il pranzo cade a metà del terzo block. La scuola, per chi ha voglia di studiare, offre una quantità notevole di bonus e benefici. Innanzitutto gli studenti che eccellono in tutte le materie che studiano vengono raggruppati nel Gruppo d’Onore scolastico: il gruppo è diviso in tre fasce, Alto Onore, Onore e Distinzioni. Per entrare a far parte dell’Alto Onore bisogna avere almeno 93 in tutte le materie (i voti vengono assegnati in centesimi), per l’Onore almeno 86 e per le Distinzioni più di 86 in tutte le materie tranne una. Chi fa parte del Gruppo d’Onore viene premiato in vari modi: a pranzo può uscire dalla scuola ed andare a pranzare a casa o al fast food e nelle ore di Studio Libero non è tenuto a rimanere nell’edificio scolastico. Per esempio io, che nei giorni blu ho Studio Libero alla prima ora, entro semplicemente a scuola un’ora e mezza dopo: l’importante è non arrivare in ritardo per l’ora successiva o il beneficio d’onore viene annullato. Se uno studente rimane nel Gruppo d’Onore a lungo viene invitato a far parte del Club d’Onore scolastico, un ristretto gruppo delle eccellenze degli studenti, che viene ulteriormente beneficiato dalla scuola e a cui vengono offerte borse di studio universitarie. In compenso, agli appartenenti del Club d’Onore, essendo considerati fiori all’occhiello dell’intera comunità cittadina, viene richiesto di mantenere una rigidissima compostezza morale. Per esempio, non hanno il permesso di avere rapporti sessuali o di bere alcolici fino alla fine del ciclo universitario. Riguardo invece alle attrezzature, la scuola si può spesso permettere di comprare articoli il cui prezzo sarebbe del tutto fuori discussione per gli studenti: non solo le normali attrezzature scolastiche come le LIM o ogni genere di materiali da laboratorio per le scienze, ma anche portatili o programmi per il computer, strumenti musicali o attrezzature sportive. Per esempio ogni

studente della mia scuola è dotato di un Mac book Air per il quale viene solo pagata una caparra di 70$, e che può essere utilizzato anche fuori da scuola. Si può andare dal tecnico della scuola e chiedergli di scaricare sul tuo laptop un qualunque programma, anche non scolastico: io ho ottenuto senza problemi Adobe Flash 5.5, Gimp 2.0, Photoshop e Comic Life, il cui prezzo complessivo supera i 2000 euro ed a me sono stati ceduti gratuitamente dalla scuola; così come blocchi di creta per scolpire, tele per dipingere, un vecchio computer da smontare per studiare tecnologia per conto mio, oltre all’accesso alla classe di musica in ogni momento in cui è libera, per suonare uno dei pianoforti della scuola (ce ne sono due, più un organo jazz ed un paio di tastiere elettriche), dal momento che non ne ho uno a casa.In più ci sono diversi gruppi di lavoro extrascolastici: club di robotica, sport di ogni tipo, dall’hockey

al football, dal basket al calcio, dal baseball al wrestling, club di teatro, club di arte, specializzazione in fisica ed una palestra con attrezzature militari aperta a chiunque voglia farne uso. La scuola è aperta tutto il giorno e i ragazzi ne possono usufruire come e quando lo desiderano. Ed è una scuola statale, non privata, ma va sempre tenuto da conto che sto vivendo in Maine, uno stato particolarmente ricco, dove i cittadini pagano tasse piuttosto alte. In sintesi, si direbbe che piove sempre sul bagnato o che si danno un po’ le perle ai porci (odio parlare per proverbi, ma qui ci stanno): in una scuola, con milioni da spendere, solo il 5% degli studenti utilizza in modo ottimale tutto ciò che l’istituto ha da offrire e noi, in Italia, abbiamo a malapena i soldi per tenere la carta igienica nei bagni quando, se avessimo la disponibilità delle attrezzature che c’è qui, se non altro saremmo in grado di garantire

un ottimo servizio scolastico a tutti. Tutto questo per dire: non è per la scuola americana che gli americani sono ignoranti, in media, ma perché vien data loro la possibilità di non studiare e loro scelgono di non farlo. E non sto dicendo che noi ci comporteremmo diversamente se ci fosse data la possibilità, ma siamo forzati a studiare e non ci rendiamo conto (e qui mi odieranno tutti) che siamo fortunati: nella vita vera, quella in cui se non corri sei direttamente eliminato dalla gara, saremo costretti più e più volte a compiere azioni che non ci va di fare, ma che sono necessarie, e in questo modo ci siamo abituati fin dal tempo della scuola. Qui i ragazzi fanno poco per tutte le superiori e nel momento in cui arrivano all’università si accorgono di cosa significhi studiare e si rifugiano nell’alcool (lo sviluppo di alcolismo nella società americana avviene quasi sempre tra l’ultimo anno di liceo ed i primi due di università) o abbandonano direttamente gli studi: mentre ho personalmente sentito adulti italiani affermare che il peggior esame per cui abbiano mai dovuto prepararsi sia stata la maturità. Per concludere: non c’è scuola migliore o peggiore, sono solo diverse. Di certo però posso affermare: magari la scuola americana non darà la nascita ad un enorme quantità di geni, ma offre una grande possibilità a tutti e quelli che la sfruttano arrivano lontano; quella italiana cresce chiunque, ma poi non ha i fondi necessari per implementare l’offerta per il nostro apprendimento, che troppo spesso rimane affidato ad ore di studio individuale e fuori dalla giornata scolastica (dati, dei quali purtroppo non ho trovato la fonte ufficiale, affermano che gli studenti italiani sono tra i più stressati e sottoposti a studio a casa nel mondo, poco dopo i giapponesi, i cinesi, gli indiani e certe scuole francesi). Noi siamo affamati ed abbiamo solo una carota cruda, loro si circondano di cibo, ma fanno gli schizzinosi. Quindi si ottiene un Paese con poche persone colte, ma adeguatamente riconosciute, ed uno con una cultura media molto più alta, ma scarsissimo riconoscimento, soprattutto professionale. Invece di stazionare nel limbo del precariato, dei sottopagati e della disoccupazione, potremmo reclamare il nostro posto in quell’Olimpo di dei pigri. Non sia mai che, questa volta, siano i titani a prendere il potere...

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cronache carducciane

COGESTA2015 di Alice de Gennaro

C

omincio questo commento elogiando I membri del comitato cogestione: vi dobbiamo il costo dei caffè che avete bevuto per non andare fuori di testa. Quest’anno la cogestione è diventata un diritto scolastico e, nonostante i fogli con le proposte siano arrivati a meno di una settimana dall’inizio, gli organizzatori hanno dimostrato nervi saldi di fronte alle centinaia di nomi da distribuire tra oltre novanta proposte. Credo di poter affermare che ha presentato un controllo decisamente più efficace dei turni rispetto all’anno scorso, specialmente per quanto riguarda l’Aula Magna. Le proposte si sono rivelate molto soddisfacenti e interessanti, con vari

picchi di partecipazione. Come al solito la partecipazione dei professori si è dimostrata decisamente gradita e coinvolgente, nonché quella di attori, musicisti e molti altri professionisti provenienti da svariati settori. Dulcis in fundo: neanch’io sono riuscita a vedere Poretti, ma credo che egli debba la sua attuale incolumità ai martiri che si occupavano dell’Aula Magna durante il turno. Alcune persone hanno tuttavia avuto a che fare con qualche disagio, essendosi ritrovate in un gruppo che non rispecchiava né la prima né la seconda scelta. Faccio inoltre un piccolo appello agli studenti rispetto a situazioni che spero non si verifichino più: gli organizzatori hanno passato due notti in bianco per scrivere le liste e permettere all’iniziativa

di decollare in modo ottimale, e mi dispiace venire a sapere che alcune persone hanno buttato al vento il loro lavoro, abusando dei locali scolastici e suscitando così disagio per gli altri studenti. Nonostante ciò, la cogestione è riuscita comunque a rivelarsi semplicemente per quello che è e dovrebbe essere: tre giorni durante i quali la dimensione scolastica si fonde con quella del mondo esterno, creando un ambiente confortevole per gli studenti, nel quale questi si possono perdere per ritrovare se stessi; la cogestione è un’opportunità che coinvolge il rispetto e l’impegno reciproci degli studenti. Questa è stata la Cogestione a.s. 2014/2015.

Quest'anno sono stati proposti incontri di ogni genere, ma cosa hanno da dire i primini in merito alla loro prima cogestione?

Alice Tresca Fabrizio Rusconi mi e' piaciuto molto il laboratorio su George Best, i relatori sono stati abili nel cercare video e citazioni sul calciatore.

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il laboratorio che mi e' piaciuto di piu' e' stato quello di autodifesa: l'attivita' e' stata utile perche' nella vita e' importante sapersi difendere da possibili aggressioni, inoltre gli insegnanti sono stati molto bravi e disponibili, simulando diversi modi di reagire di fronte ai malintenzionati e ricordando a tutti noi che,di fronte ad un attacco, la difesa e' piu' che legittima.


Arzumanov Artem

COGESTIAMOCI!

Andrea Mauri, Jacopo Rossi e Pietro Cantoni a noi ha colpito molto l'incontro Storie di sport, storie di vita con il giornalista sportivo Nando Sanvito: abbiamo notato la passione che ha per il suo lavoro e apprezzato l'impegno che ci ha messo per organizzare quest'incontro con noi studenti. Abbiamo imparato molto sul mondo dello sport e allo stesso tempo ci siamo divertiti.

Emma Giannini l'incontro che trattava della ricerca sulla materia oscura e' stato sicuramente molto interessante e ben organizzato, mi ha permesso di imparare come funziona il cosmo e ho trovato l'argomento coinvolgente e spiegato in maniera chiara.

Mattia Rossetti l'attivita' proposta in cani sciolti mi ha molto colpito: dopo l'ascolto di cinque brani rap, ne abbiamo tranquillamente discusso, parlando e ascoltandoci l'un l'altro senza battibecchi. L'argomento trattato univa ragazzi di diverse classi ed eta' sembrava facessimo parte di una stessa famiglia. Il clima che si e' instaurato e' stato molto accogliente. Aprile 2015 | L'Oblo' sul Cortile

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cronache carducciane

don luigi giussani: il pensiero, i discorsi, la fede

impressioni sul documentario del corriere della sera proiettato nell’aula magna del carducci di Giuliano Toja

Parsifal, Parsifal non ti fermare e lascia sempre che sia/La Voce unica dell’ideale ad indicarti la via,/Sarò con te, Io ti ho messo una mano sul cuore,/Sempre con te, come un fuoco che dentro non muore”. È strano ascoltare in silenzio questa canzone mentre mi rendo conto di essere l’unico a non conoscerla in tutta l’aula magna. La cantano tutti insieme come se fosse normale incominciare un cineforum intonando un canto su re Artù! Questo è un inno alla fede, all’ideologia, all’abnegazione e all’altruismo: parla di CL nella sua forma più pura, senza tutto il logoramento, i preconcetti, le contraddizioni, le polemiche, la corruzione. Non c’è da stupirsi che si sentissero orgogliosi di cantarla, mentre il sottoscritto non ha potuto fare altro che ascoltarla con ammirazione. Un momento di raccoglimento e comunione: per chi vuole conoscere veramente CL non c’è modo più facile ed efficace che ascoltare le parole dirette del suo padre, ideatore, fondatore e guida fisica e spirituale don Giussani. Egli non parla come un retore, non legge mai i suoi discorsi, usa parole semplici, spesso sempre le stesse, con una parlata biascicata da anziano milanese bisbetico, ma nell’intonazione ci mette una convinzione, una drammaticità e a volte persino una rabbia tali che non possono non farti stare almeno moralmente un po’ dalla sua parte, anche quando non sei d’accordo. Sebbene ascoltare un’ora di discorsi di don Giussani due volte di fila potrebbe far diventare ciellino chiunque, posso dire di aver superato la prova, raccogliendo ottimi spunti di riflessione. Cominciamo dalla fede di don Giussani, base del suo pensiero e del suo operato. Egli ha detto che il problema fondamentale della vita che accomuna tutti gli uomini è se credere o no in Cristo; già si comprende la profonda componente ideologica di CL: intorno alla Fede e al proprio rapporto con essa ruota la vita intera, in qualunque ambito, e tramite essa ci si educa a migliorarsi, a completarsi e a realizzarsi come uomini in quanto tali. Interessante è anche il concetto di pluralismo di don Giussani: “Tutta l’essenza, la dignità, la passione 20

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dell’uomo si svela quando l’io si scopre a dire ‘tu’; è quando l’uomo di fronte a una persona che non conosceva si trova a dire ‘tu’ riflessamente. Il ‘tu’ significa un’altra cosa: tu non sei me: non posso abusare di te, non posso usare di te, non posso appropriarmi di te, non posso rubarti, non posso finalizzarti a me! Allora uno si accorge di cosa vuol dire rispetto, venerazione, adorazione”. Da questi due primi concetti nasce CL come movimento educativo e di comunione, con il bisogno e il dovere morale di condividere la propria fede. Io non ho mai amato i profeti: ho sempre pensato che il fatto che Dio voglia che noi divulghiamo agli altri la Sua illuminazione per Suo conto fosse un atto di arroganza, o ingenuità, se non di vigliaccheria e opportunismo nel caso in cui la religione venisse strumentalizzata per opprimere i più deboli, come spesso continua ad accadere (La religione non andrebbe vissuta individualmente?). Ma nell’ottica di don Giussani questo è completamente diverso: “Mi è stato fatto il dono della Fede perché io lo dia ad altri, lo comunichi. Ci è stato fatto il dono della Fede perché noi lo andiamo a comunicare e da questo sarà giudicata la nostra vita”. Così fondò GS perché riteneva che i ragazzi cattolici fossero troppo abbandonati a se stessi, e infatti lo fece con un intento educativo, secondo la sua fede totalizzante e “ideologizzata”, portatrice dei veri valori del ‘68. Ed è di educazione che parla in questa frase: “A noi, all’adulto, è dato di amare, cioè proporre e accompagnare per una verifica, affinché la persona a cui si è proposto possa cogliere le ragioni che abbiamo colto noi. L’amore è questo, non può essere la pretesa di un’obbedienza, che deve conseguire a una persuasione, a una convinzione non ancora formata. Il rapporto con il ragazzo è rapporto libero con il destino, con l’infinito, con Dio, con la verità e con il bene”. Tutto bello, anche se qua avrei qualcosa da dire. Si dà il caso, per motivi a me ancora in gran parte ignoti, che io abbia frequentato le elementari alle scuole cielline, al Sacro Cuore. Ecco, dove sia questo rapporto libero con il destino nell’educazione sacrocuorina proprio non lo so: mi è parso più

un inculcamento di ideologia e una preclusione totale al mondo esterno per plasmare le menti infantili. Questo non è educare, ma creare dei cloni, a partire dall’asilo fino alla maturità, per poi fornir loro la strada spianata attraverso un’enorme rete di agganci e conoscenze all’interno del mondo dell’università, dell’economia, dell’industria, della politica… un sistema più degno di una lobby di potenti che di un movimento cattolico. Potere e denaro! Questo sì è settarismo! Mi dispiace caro don, ma qui avete toppato: questo è il male di CL, sebbene questa sia solo la mia modesta opinione. La vera educazione di cui parla don Giussani penso si possa riscontrare di più in GS, che è pensata per i giovani, anche se non ne ho avuto esperienza diretta ma solo ottime testimonianze. Tutto sommato il video mi è parso completo ed esplicativo, e contiene molti spunti di riflessione per comprendere meglio la figura di don Giussani: per questo lo consiglio, soprattutto a chi è estraneo a CL. È affascinante ascoltare la voce di quest’uomo di cui alcuni parlano molto bene, altri molto male, ma sul quale è giusto farsi un’opinione propria. Ovviamente non sta al mio meschino giudizio reputare se fosse un santo o no, fatto sta che egli ha realizzato il sogno della sua vita: creare una comunità di persone che, condividendo gli aspetti della realtà sotto un ideale comune, guidati da valori morali sani e con un fortissimo senso di fratellanza, riescono a vivere insieme ed essere felici, e ciò non può essere in alcun modo biasimato.


Cultura

VIVAVOCE TOUR di Beatrice Sacco

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i guardavo intorno. Davanti a me due o tre giovani coppie, ai miei fianchi una signora con suo marito e dall’altra parte dei ragazzi sui vent’anni. Alle mie spalle un infinito mare di persone, di memorie, di nostalgie. E’ tutt’un’altra cosa assistere in piedi ad un concerto, nel parterre: hai lo spazio per ondeggiare sulle note di una canzone dolce, o per saltare sulle note di un brano più rock; hai lo spazio per andare a tempo con il corpo; hai lo spazio per muoverti e scioglierti da ogni turbamento; hai il tuo spazio. E’ la prima volta che partecipo ad un concerto da in piedi. Lo ammetto: un po’ stancante, ma è il miglior modo per lasciarsi coinvolgere dal cantante. L’artista di cui vi voglio parlare è il cantautore romano dalla barba bianca e cappello in testa, che Milano ha avuto l’onore di ospitare al Forum d’Assago la sera del 23 marzo 2015. “E la vita Caterina, lo sai, non è comoda per nessuno, quando vuoi gustare fino in fondo tutto il suo profumo” cantava Francesco De Gregori nel 1982. E oggi la canta ancora, in modo diverso, riarrangiata, ma la canta ancora, e come Caterina, Francesco ha deciso di riscrivere tante altre delle sue canzoni, da quelle meno conosciute alle più classiche, famose in tutto il mondo. E’ così che nasce il suo ultimo disco, VivaVoce, uscito il 10 novembre 2014. E’ l’artista stesso a definirlo “il disco che avevo in mente da una vita”, album che rivisita con cambiamenti e nuovi arrangiamenti ventotto tra tutti i brani del repertorio de gregoriano. Nel discorso di presentazione di VivaVoce si era chiesto, quando qualche anno fa aveva cominciato a pensare a questo nuovo disco, se il suo pubblico l’avrebbe presa in modo positivo o negativo, dal momento che molti, me compresa, sono affezionati

alle “versioni originali” delle canzoni, perfette e intoccabili. La risposta che si è dato è stata che questo nuovo album non toglie nulla al passato e ai ricordi delle persone, ma “è solo musica in più”. Ed è proprio così. Me ne sono resa conto quando ero lì, sotto il palco, con le orecchie tese ad ascoltare e gli occhi che brillavano dall’emozione. Se devo essere sincera, la maggior parte dei brani che ha eseguito non

li conoscevo, alcuni mai sentiti prima, altri ascoltati di sfuggita, come Un Guanto, Vai in Africa Celestino!, Il canto delle Sirene, Finestre rotte. Mi sentivo un po’ a disagio, vedendo che la gente intorno a me cantava insieme a Francesco, mentre io facevo quasi finta di inventarmi le parole... però mi divertivo. Tra un Viva l’Italia, un Titanic e un Generale coi fiocchi la serata procedeva a gonfie vele: Francesco, che prima sembrava un po’ teso, quasi imbarazzato, lì, immobile davanti al microfono e con la chitarra in mano, ora si era sciolto e camminava avanti e indietro per il palco, tra il batterista

e la violinista. Ma a destare lo stupore di tutti è stato l’arrivo inaspettato dello special guest, Luciano Ligabue. Nel riarrangiare i suoi brani De Gregori aveva chiesto al “Liga” di cantare insieme una canzone tra le top 10 del suo repertorio, Alice non lo sa: “L’incontro e lo scontro tra le nostre due voci riporta questa canzone alla contemporaneità, la tira fuori dalla nostalgia” spiega il cantautore romano, che grazie all’idea di suonarla in 3/4 invece che in 4/4 ne ha fatto un brano totalmente nuovo, più leggero rispetto alla versione originale. Devo dire di essere stata un po’ scettica quando ho saputo che De Gregori avrebbe cantato Alice insieme a Ligabue… pensavo si sarebbe “rovinata” la canzone. In realtà mi sbagliavo, e di molto: attacca Francesco e già la melodia è leggermente diversa, soprattutto in certi punti; quando entra Luciano dalla seconda strofa la canzone si trasforma del tutto, diventa un misto di note più calde e più basse, con particolari graffi vocali qua e là. Le grandi interpretazioni insieme di Atlantide, Il muro del suono e Non dovete badare al cantante mi hanno dato la possibilità di giudicare questo duetto un binomio molto interessante. Il concerto si stava già avviando verso la conclusione, ma i classici, quelli che conoscevo io, non si erano ancora sentiti, però sapevo anche che Francesco non mi avrebbe delusa. E infatti a chiudere la serata sono state delle versioni di Rimmel, Buonanotte fiorellino e La donna cannone fuori da ogni schema: strane e diverse, ma semplicemente eccezionali ed emozionanti. E tutti, sorridendo, cantavano con le mani al cielo sul ritornello de La donna cannone “E con le mani, amore, con le mani ti prenderò, e senza dire parole nel mio cuore ti porterò”.

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Cultura

RE LEAR: UNA RIFLESSIONE SUL POTERE

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di Bianca Carnesale

ichele Placido ha messo in scena dal 24 febbraio all’8 marzo al Piccolo Teatro di Milano, interpretandone anche il ruolo principale, il Re Lear, rivisitando la tragedia in chiave moderna, e confermando la contemporaneità dei testi shakespeariani. La scenografia, fissa per tutta la rappresentazione, è scarna, desolante, apocalittica: al centro del palco c’è una gigantesca corona spezzata, decorata con immagini di uomini e simboli del ‘900, a rappresentare il tema del potere, delle sue manifestazioni e soprattutto della sua autodistruzione. La storia, rappresentatata come atemporale - i costumi e gli atteggiamenti degli attori si trasformano da elisabettiani a nostri contemporanei - si svolge in un crescendo di distruzione fino al monologo di Edgard sulle macerie di un mondo distrutto. La trama del Re Lear non è semplice, articolata in due storie parallele e complementari, che rendono per alcuni il testo antiteatrale. Nella rappresentazione di Placido le due storie scorrono parallele, fedeli al testo. Lear, vecchio e stanco, decide di abdicare e di dividere il regno tra le figlie, ma è cieco di fronte alla falsa adulazione dei sudditi: Regan e Goneril non riconoscono l’autorità del padre-re, ma lo adulano in quanto detentore del potere, pronte a cacciarlo non appena non sarà più re. Cordelia, l’unica figlia non adulatrice, viene cacciata: la correttezza e la trasparenza non fanno parte dei giochi di potere. A nulla valgono le parole di Kent, fedele servitore di Lear, che cerca di metterlo in guardia: il potere è già minato al suo interno, perchè cieco, bisognoso come un bambino di servi adulanti e non di consiglieri partecipi. L’unico modo di dire la verità sul potere è quella di essere o fingersi folle: le uniche parole veritiere provengono dalle figure dei folli, per 22

L'Oblo' sul Cortile | Anno IX, n° IV

scelta o per ruolo. Il Folle, giullare di corte, si ritrova ad improvvisare un rap per indicare la verità a Lear, che non comprende la realtà. A complicare la trama si aggiunge la vicenda parallela di Gloucester, fedele amico di Lear: Edmund, figlio illegittimo, lo inganna, facendogli credere che Edgar, figlio legittimo, stia tramando contro di lui. Edgar fugge, in una scena mirabile, al cui termine si trasfoma in Tom di Bedlam, il folle per definizione. Anche qui il potere è cieco, pronto a farsi ingannare dalla figura forte di Edmund contrapposta a quella debole di Edgar. La cecità, inizialmente solo metaforica, diventa reale nella seconda parte. Edgar guida il padre tradito e accecato verso il luogo in cui avrebbe voluto morire: nella scena immobile, attraverso le parole e i gesti di Edgar, a cui dà voce e corpo Francesco Bonomo (a mio avviso il migliore della compagnia, insieme a Edmund, interpretato da Giulio Forges Davanzati), vediamo il paesaggio delle scogliere di Dover, la finta caduta di Gloucester, la premonizione di una possibile salvezza. Shakespeare crea un mondo con le parole, in un momento che è tra i più belli della storia teatrale: le parole, e dunque lo scrittore, trionfano perchè sono in grado di ribaltare la realtà e dunque di influire anche sulla storia. Nel finale di morte, in cui amore, sesso,

potere si intrecciano, Regan e Goneril si uccidono a vicenda, ingannate da Edmund, che desidera il potere come possesso assoluto ed egocentrico, un potere che non prevede spazio per altri e nega persino se stesso. Lear è ormai un vecchio mendicante: non esiste più il potere come forma organizzatrice e il regno è destinato alla distruzione. Nelle scene di uccisione, già violente nel testo originario, Placido inserisce come sottofondo voci e suoni della caduta delle Torri Gemelle, a segnare come sia arduo fermare il processo di distruzione una volta innescato. Ad Edgard, infine, resta lo spazio scenico e verbale per riflettere sulla degenerazione del potere e per indicare un futuro possibile. Un potere senza controllo è cieco e folle, destinato a perdere autorità (i vestiti di Lear da rosso intenso, colore del potere, ma anche della follia, sbiadiscono fino al bianco), dilaniato da adulatori che a loro volta finiranno ingannati: ma non è il potere soltanto a finire in macerie, è l’umanità intera che si distrugge in guerre fratricide. La riflessione sulla storia e sul potere, accentrato, manipolato, gestito senza controllo e partecipazione è l’unica strada verso la salvezza. Per l’umanità, per ogni essere umano la consapevolezza della propria storia è fondamentale: la maturità è tutto.


A TAVOLA: SI MANGIA!... MA CHI MANGIA?

SPETTACOLO PRELUDIO ALL’ULTIMA CENA: LA CENA DEGLI ULTIMI

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di Cristina Isgrò

e vi è mai capitato di fare due passi intorno alla fermata della M1 Gorla, avrete sicuramente notato un Viale Monza trafficato, una manciata di bar e tabaccherie, un autolavaggio e un imponente complesso di case popolari color grigio-beige, ma sono quasi sicura che nessuno di voi ha mai fatto caso ad uno stendardo rosso che spicca proprio di fronte al cancello grigiastro di quelle case e che recita il nome di “Teatro Officina”. Ed è proprio da qui che partiamo: in una città sempre più caotica, frenetica e ricca di individualismo, il Teatro Officina, da più di 40 anni, offre attraverso i suoi spettacoli un punto di vista differente, quello dei più deboli, quello degli ultimi. Mi è capitato di assistere ad una specie di anteprima dello spettacolo “A TAVOLA: SI MANGIA!... MA CHI MANGIA?”: era la festa di Via Padova e lo spettacolo era allestito all’interno della Biblioteca Crescenzago. Il pubblico era seduto su delle seggiole, e di fronte ad esso gli attori, che a coppie si dividevano i

leggii. L’atmosfera era un’atmosfera di festa popolare, nella quale i recitanti giravano fra il pubblico attirandone così sempre più l’attenzione. Gli attori, a turno, recitavano poesie, testi in prosa e frammenti presi da libri, con un unico tema in comune: il cibo! Un menù variegato, composto da grandi poeti come Neruda, Szymborska, Prévert, che si incontrano con autori della letteratura popolare contemporanea, quali Camilleri, Campanile, D’Orta e con realtà come quelle degli educatori di strada, il tutto accompagnato dalla comicità di Totò. Lo spettacolo ha una struttura spezzata in due parti, non soltanto a causa del contrasto fra letteratura classica e letteratura popolare, ma anche per il contesto nella quale viene rappresentato; il Teatro Officina, infatti, è un teatro sociale e porta in giro questo spettacolo mettendolo in scena sia in contesti formali, in teatro, sia informali, come in cortili, biblioteche, al mercato comunale, insomma: dove ci sono feste popolari! I testi scelti da Maurizio Meschia, uniti

all’abile regia di Massimo De Vita, danno vita ad uno spettacolo molto coinvolgente, capace di strappare più di una risata e di rendere omaggio alla tavola povera, quella fatta di cibi genuini (non nego perciò che durante lo spettacolo vi verrà un certo languorino!). Allo stesso tempo però, è in grado di far ragionare lo spettatore sulla tematica del cibo che è, oltre che una tematica molto delicata, anche il tema principale di EXPO Milano 2015. Lo spettacolo andrà in scena il 15 e il 16 maggio 2015, alle ore 21.00 al Teatro Officina, a Gorla, ed è stato inserito nel palinsesto “Expo in città 2015”. Quindi se mai vi capitasse di fare due passi intorno nei paraggi della fermata M1 Gorla, non limitatevi a guardare il trafficato Viale Monza, la manciata di bar e tabaccherie, l’autolavaggio o quell’imponente complesso di case popolari! Aprite il cancello grigiastro dove vedete spiccare lo stendardo rosso del Teatro Officina e andate in avanscoperta, magari proprio il 15 o il 16 maggio 2015, alle 21.00, sono sicura che non ve ne pentirete.

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Cultura

L’IGNORANZA dei CARDUCCIANI

TEST DI CULTURA GENERALE di Linda Del Rosso

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siste un solo bene, la conoscenza, e un solo male, l’ignoranza.
(Socrate).

Saremo pur diversi l’uno dall’altro, ma noi classicisti abbiamo tutti una cosa in comune: trascorriamo ore e ore curvati sui libri di scuola, tra versioni di greco e latino; pomeriggi chiusi in casa a studiare, invece di uscire a respirare un po’ d’aria pulita (meglio tralasciare lo smog milanese…). Sappiamo coniugare perfettamente un aoristo greco (o almeno dovremmo), ma quanti di noi sono informati sull’attualità? Quanti leggono abitualmente i quotidiani? Io stessa sono la prima che si limita a sfogliare di tanto in tanto “Il Metro” e gran 24

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parte delle notizie del telegiornale mi entrano da un orecchio ed escono dall’altro. Eppure la vera conoscenza va al di là dei compiti in classe ed è la consapevolezza di ciò che accade nel mondo intorno a noi. Per questo ho deciso di lanciare una sfida, un “sondaggio sull’ignoranza” del Liceo Carducci, e devo dire che, nonostante le domande fossero piuttosto semplici, i risultati non sono stati disastrosi come mi aspettavo. Sottoponendo trenta studenti, cinque per ogni anno presi a caso durante l’intervallo, a sette domande, ho ottenuto i seguenti risultati: (Se non conosci ancora le risposte, copri la soluzione e mettiti alla prova!)

1. MUSICA: Freddie Mercury era il Leader di quale gruppo musicale? A) The Beatles (0%) B) The Doors (3%) C) Queen (94%) D) ABBA (3%) Risposta esatta: C Ovvio! Freddie era il Leader dei Queen, nonché voce solista, pianoforte, tastiera e chitarra.


2. STORIA: Quali etnie furono protagoniste del genocidio in Ruanda del 1994? A) Tutsi e curdi (20%) B) Tutsi e hutu (50%) C) Birmani e curdi (27%) D) Birmani e mandarini (3%) Risposta esatta: B In effetti nel ’94 nessuno di noi era ancora nato ma è difficile non aver mai sentito parlare di uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Il genocidio in Ruanda vide come protagonisti Tutsi (conosciuti anche come Watussi) e Hutu. Nel 1994 i Tutsi furono vittime del genocidio da parte degli Hutu.

5. SCIENZE: ANATOMIA: In quale parte del corpo si trova il menisco? A) Ginocchio (90%) B) Cervello (0%) C) Bacino (7%) D) Tallone (3 %)

eruzione nel 2010 paralizzò il traffico aereo dalla Scandinavia fino all’Italia del Nord? A) Stromboli (7%) B) Bardarbunga (3%) C) Ontake (30%) D) Eyjafjallajokull (60%)

Risposta esatta: A In ciascun ginocchio sono presenti due menischi (mediale e laterale). Composti di cartilagine, fanno parte dell’articolazione e fungono da cuscinetti ammortizzatori.

Risposta esatta: D Oltre che a mettere in crisi gli aeroporti, il vulcano islandese è stato l’incubo dei giornalisti che non riuscivano a pronunciare il suo nome assurdo. E’ proprio l’Eyjafjallajokull che, eruttato nel 2010, ha causato la cancellazione di numerosi voli aerei in Europa. Il nome in islandese significa Ghiacciaio dei Monti delle Isole.

3. POLITICA: Chi è il ministro degli interni italiano? A) Mariastella Gelmini (0%) B) Angelino Alfano (70%) C) Enrico Letta (10%) D) Dario Franceschini (20%) Risposta esatta: B In Italia il ministro degli interni, cioè il responsabile dell’Ordine Interno Nazionale (Polizia di Stato, Corpo nazionale dei vigili del fuoco e prefetti), è Angelino Alfano.

4. GRAMMATICA: Qual è la terza persona singolare del passato remoto del verbo cuocere? A) Egli cuocesse (0%) B) Essi cuocettero (0%) C) Egli cosse (94%) D) Egli cuocette (6%) Risposta esatta: C Ebbene si, anche al Liceo Classico a qualcuno la risposta può non sembrare scontata… La coniugazione del passato remoto di cuocere è la seguente: Io cossi, tu c(u)ocesti, egli cosse, noi c(u) ocemmo, voi c(u)oceste, essi cossero.

6. CRONACA NERA: Chi è accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio? A) Il figlio di un macellaio (3%) B) Una ginnasta (3%) C) Un gelataio (7%) D) Un muratore (87%) Risposta esatta: D Chi è Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate scomparsa nel 2010? Di certo non una ginnasta. Il suo mestiere è il muratore.

Dal sondaggio è emerso inoltre che il livello di informazione non è una questione d’età. Ecco infatti la classifica delle classi:

Posizione 1° 2° 3° 4° 5°

Classi IV V I II III

Punti 39 su 42 37 su 42 32 su 42 30 su 42 25 su 42

Complimenti ai primini che superano seconde e terze aggiudicandosi la medaglia di bronzo! Dopo tutto i carducciani intervistati se la sono cavata piuttosto bene, con un 78% di risposte esatte. Ma c’è chi mi dice che le domande erano troppo facili… Voi che ne pensate? Aspettiamo le vostre opinioni alla mail del giornalino: oblo.cortile.carducci@gmail.com.

7. GEOGRAFIA: Qual è il nome del vulcano la cui

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CINEMA

IN THE FLeSH di Cleo Bissong

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ei film di apocalisse zombie è raro che vengano illustrate le conseguenze di questo tipo di conflitto. Che vincano gli uomini o i non-morti, qualcosa deve succedere, e questo vuoto nella trama è stato raramente colmato. Per questo è stata una sorpresa scoprire l’esistenza di una serie televisiva dedicata solo a questa visione dei fatti. La situazione è vista da vari punti di vista, ma la narrazione si concentra su Kieren Walker, un diciottenne morto nel 2009 e tornato in vita come zombi. Insieme a lui migliaia di persone morte nello stesso suo anno sono destinate alla stessa vita post-mortem. I rianimati in quel periodo, chiamato Il Risveglio, vengono ricercati e abbattuti da milizie armate, finché non si trova un farmaco che li riporta nello stato di coscienza della prima vita. Dopo una lunga riabilitazione a Kieren è possibile così essere reintegrato nella società. Una società diversa da quella in cui era vissuto, che ora lo teme, lo discrimina e gli impedisce di tornare alla propria vita. Ma non è solo la società ad allontanarlo, perché al ragazzo tornano continuamente sotto forma di flashback i ricordi delle azioni compiute durante il suo periodo da attivo portatore di PDS, sindrome di parziale decesso, termine politicamente corretto per indicare i morti-viventi. Così gli viene di continuo ricordato chi è stato ma, dal suo punto di vista, non è più, e soprattutto chi è per gli altri. Cerca allora di mascherarsi, di negare la 26

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propria identità a favore di una più popolare. All’uscita dalla clinica di riabilitazione gli vengono date lenti a contatto e fondotinta per apparire più “normale”. I risvegliati vengono rigettati e perseguitati per essere qualcuno che non hanno deciso di essere e che dovrebbero accettare, e anche le ragioni di questo rifiuto diventano incomprensibili. Sono migliaia le persone che si ritrovano in questa condizione, divenuta ormai comune, ma ciononostante non ancora accettata perché lontana dalla visione di ciò che è normale; non è però possibile definire la normalità, valore in continua mutazione e soprattutto non misurabile. La normalità in una società è quell’insieme di caratteristiche generiche che accomuna tutti coloro che appartengono ad una maggioranza. Noi possiamo sapere a cosa assomiglia quella maggioranza, ma non ciò che realmente è, perché se lo sapessimo -discorso antico- ci renderemmo conto dell’inesistenza di due individui con tutte le ideali caratteristiche. Nella serie è presente il terrore del diverso, ammissibile perché derivato da una giusta paura di qualcosa che però non esiste più e di cui i soggetti coinvolti non hanno memoria. Questa paura è presente e si diffonde nella città di Kieren, popolata da conservatori traumatizzati dalla guerra, della quale ci sono conseguenze che hanno troppa paura di affrontare e conoscere per guardare coerentemente. Cercano di eliminarle, per tornare allo stato di comfort precedente al risveglio, a ciò che è conosciuto e in cui si

trovano a proprio agio. Ma non tutti gli abitanti della città sono così timorosi, e alcuni soggetti, analizzati più dettagliatamente, si ritrovano in situazioni diverse ad entrare in contatto con i morti-viventi, ad esempio con il ritrovamento della moglie risvegliata che si rivela essere la stessa persona che era stata in vita e che si amava. La xenofobia in una comunità traumatizzata dalla guerra e che ne deve affrontare le conseguenze è solo uno dei numerosi temi di In the Flesh. È presente l’argomento della ricerca della propria identità in una comunità che la repelle: la soluzione individuata nell’allontanarsi da essa è nell’unirsi ad altre persone in situazioni simili. Da qui può nascere un’ossessione identitaria, con la necessità di affermare all’estremo la propria persona, attraverso atti violenti, portati dal bisogno anche di far notare la presenza di un problema che si cerca di liquidare. Ci si chiede che cosa sia malattia e cosa no, e si evidenzia quanto grande sia il potere e l’influenza della comunità biomedica nella vita delle persone. Numerosi spunti di riflessione ci vengono dati da questa splendida serie tv, che, però, pur essendo stata apprezzati dall’audience, non lo è stata abbastanza da portare alla quantità di incassi necessaria per un prosieguo. In the Flesh si interrompe bruscamente in medias res, ma ciononostante è una buona idea vederlo, perché è raro trovare una tale quantità di temi coerenti tra loro trattati in modo così attento e interessante.


BIRDMAN di Francesca Petrella

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reud individua nella psiche umana 3 livelli: l’ES, il super ego e l’ego. L’ES equivale al subconscio, sede delle paure e traumi che si manifestano anche attraverso i sogni; il super ego è il luogo in cui risiedono gli insegnamenti e divieti inculcati dalla società fin dalla nascita nell’individuo, ma è l’ego il motore delle nostre azioni. È l’ego che permette di coltivare e raggiungere le nostre ambizioni,ma che alimenta nel cuore dell’uomo anche un timore ancestrale: essere dimenticati. L’idea di essere trascinati nell’oblio annienta gli uomini, ricchi o poveri, sani o malati. Viene risucchiato in questo vortice senza via di uscita il protagonista del film, Riggan Thompson, interpretato da Michael Keaton, che incarna perfettamente la classica celebrità hollywoodiana decaduta. Riggan è un attore che deve la notorietà all’eroe di un suo film molto acclamato: Birdman, che sulla superficie equivale al nome di un personaggio, ma se si analizza uno strato più interno si intuisce che Birdman è l’ego e alter ego di Riggan. È uno specchio in cui il protagonista continua a veder riflesso non tanto se stesso, quanto la sua voglia di rivalsa, dimostrare di essere un ottimo attore agli occhi degli altri, ma soprattutto a se stesso. La sua vita sembra un perenne inanellamento di delusioni e fallimenti dopo il ruolo ricoperto per Birdman. Anche se il destino sembra ormai segnato, tenta di intraprendere una nuova carriera artistica nel mondo del teatro, che si rivela essere solo peggiore della realtà: affiorano invidie tra attori rimaste sopite per lungo tempo, emergono problemi economici e sentimentali e non tutti riescono ad esprimere il proprio potenziale artistico in scena. Tra questi Riggan, che osserva con sguardo amaro quell’ambiente pieno di ipocrisie che ha sempre avuto sotto i suoi occhi, ma non è mai stato capace di accettare. La voglia di affermazione personale si distingue anche nei suoi frequenti soliloqui, di fatto dialoghi fittizi con

Birdman. Riggan è costantemente combattuto tra il tentativo di replicare l’antico successo correndo rischi non indifferenti in termini fisici ed economici o rinunciare al suo sogno velleitario godendosi però la sua famiglia, che in nome del culto della fama ha sacrificato ripetutamente. Le incertezze lo fanno apparire un novello Amleto: come Amleto era indeciso se uccidere lo zio, evento che alla fine è avvenuto per un caso fortuito, cosi Riggan è indeciso se rinnovare la sua popolarità, decisione che prende con l’intervento di Birdman. Questa figura, che nel corso del film appare più come un’ombra che come soggetto attivo, è a primo sguardo l’eroe della storia, ma in realtà incarna un ruolo ambiguo più che dai contorni ben definiti. Le sue parole hanno un peso determinante nelle scelte che Riggan compie, ma non sempre sono buoni suggerimenti. Birdman sembra essere una sorta di anti-Grillo parlante, una coscienza che esorta al rischio e al brivido dell’ignoto piuttosto che alla prudenza. Con questo personaggio il regista Inarritu inserisce un tocco noir nel film, che sembra sempre più virare verso il genere tragicodrammatico. Se da un lato nel corso del film le incertezze e i rischi aumentano, ben percepiti grazie al

ritmo incalzante della colonna sonora, dall’altro si abbassa la soglia razionale di Riggan. Prima egli era in grado di “camminare” con le proprie gambe, ora è in balìa non solo di Birdman, ma anche della prevalenza fagocitante dei social media, che sembra far credere a Riggan che i contatti online equivalgano ad attestati di stima, come si può notare quando si lascia influenzare dal video in cui lui gira in mutande. Dopo un ulteriore tentativo di mettersi in discussione, nel protagonista si fa spazio l’idea di suicidarsi e cambia la pistola di scena con una vera. La conclusione non è una conclusione: Riggan si trova in un letto di ospedale accudito amorevolmente dalla figlia. Quando questa si assenta per pochi minuti, Thompson compie l’azione estrema: buttarsi dalla finestra. Eppure, non appena avviene il folle gesto viene fatto, lo spettatore rimane stupefatto: infatti Riggan sembra essersi innalzato in volo, ma noi possiamo solo intuirlo, perché l’attore non viene inquadrato direttamente, noi immaginiamo il finale solo perché la figlia si affaccia alla finestra, guarda il cielo e sorride. Dunque, film fatto di mezze allusioni, che sembra alimentare dubbi nell’animo dello spettatore, anziché risolverli.

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CINEMA

CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO di Alice De Kormotzij

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oche volte ho riso così tanto guardando un film e poche volte mi sono resa conto di aver buttato al vento nove euro di biglietto. Questa è stata una di quelle. Già da tempo avevo progettato di vedere questo film con le mie amiche, che, a differenza mia, avevano letto anche la trilogia, e naturalmente non mi aspettavo un capolavoro. Quello che però ho visto è stato, per così dire, non solo un brutto film, bensì un noioso, brutto e inutile film, intervallato da qualche esclamazione sulla bellezza mummificata di Jamie Dornan. La storia è ormai celebre: Anastasia Steel (Dakota Johnson), goffa e timida studentessa di Letteratura inglese prossima alla laurea, per sostituire l’amica ammalata, intervista l’affascinante e ricco uomo d’affari Christian Grey (Jamie Dornan), di cui s’innamora a prima vista. Christian, colpito a sua volta dalla ragazza, inizia a corteggiarla, manifestandole ben presto i suoi singolari gusti erotici. A partire già dalla trama, dunque, fedele all’omonimo libro, si comprende che si tratta di una storia banale e vista più volte, ma non si riesce ad 28

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intravedere nemmeno un tentativo di rendere la visione più interessante. In primo luogo, gli attori indossano una maschera facciale per tutta la durata della pellicola: stesse espressioni, stessi sguardi. In particolare Jamie Dornan, fotomodello nei panni del perverso dominatore, è una statua (greca) nel vero senso del termine, privo di quel carisma e fascino, che ci si aspetterebbe di trovare o perlomeno di percepire in un uomo del calibro di Christian Grey. Dakota Johnson, invece, modella anch’essa, dovrebbe vestire i panni di una studentessa poco carina, attaccata ai libri, molto impacciata e insicura. Il problema è evidente: l’attrice stona nelle vesti dell’universitaria e appare come la classica bella ragazza vestita male e pettinata peggio. La combinazione dei due rasenta così il ridicolo: lei cade prima di entrare nello studio del grande uomo d’affari e lui la affascina con il suo sguardo mummificato. I dialoghi tra i due sono infatti assurdi quanto lunghi e non portano mai assolutamente a nulla; non c’è intesa, non c’è neanche passione. In secondo luogo, il fatto di edulcorare la pratica di sadomaso, al fine di non vietare il

film a gran parte del pubblico, rende le poche scene esplicite assolutamente deludenti e piatte. Non mi sembravano pratiche di sadomaso, bensì i desideri di un uomo molto perverso, o con le sue parole, contenente “50 sfumature di perversione”, che per corteggiare una ragazza la tiranneggia e le vieta di andare a trovare la madre che non vede da mesi. Mi sono indignata nel vedere questi soprusi rappresentati sul grande schermo, indignata perché un uomo come Christian Grey, che fa di tutto per farle firmare un fantomatico contratto di pratiche perverse, viene rappresentato come affascinante e interessante. Una mia amica ha notato, inoltre, che ci sono molte analogie con la storia di Edward e Bella di “Twilight”. Così come Anastasia infatti, anche Bella è impacciata, goffa e cade in continuazione; dall’altra parte, come Edward, anche Christian è tenebroso e suona il pianoforte. Apparentemente anche una copia, dunque, oltre che noioso e pesante. Il mio consiglio è di non andare a vederlo al cinema, a meno che non vogliate ridere molto, riso amaro, però, che non sazia.


musica Mad Sounds di Federica Del Percio

Titolo: The End Artista: Pearl Jam Album: Backspacer Anno di pubblicazione: 2009

di Julia Cavana

Titolo: Street Spirit (Fade Out) Artista: Radiohead Album: The Bends Anno di pubblicazione: 1995

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a ormai nota grunge band americana capitanata da Eddie Vedder esce nel 2009 con un nuovo album “Backspacer” riguardo il quale le opinioni dei fans sono tra le più svariate, tuttavia su “The End”, singolo che conclude l’ep, nessuno ha alcun dubbio. Il brano, inserito nella colonna sonora del film “Into the wild”, si presenta al pubblico in tutto il suo candore, senza troppi fronzoli e con sublime semplicità riesce ad incantarlo. “What were all those dreams we shared / those many years ago? / What were all those plans we made now / left beside the road? / Behind us in the road“ il testo è poesia allo stato puro e Vedder con la sua voce dolce-amara è l’interprete migliore, infatti egli magistralmente e senza troppe difficoltà riesce a dipingere tutte le sfumature di esso e grazie a

Street Spirit è la nostra canzone più pura... ma non l’ho scritta io... si è scritta da sola. Noi siamo semplicemente stati i suoi messaggeri. La sua anima è un enorme mistero per me. Tutte le nostre canzoni più tristi hanno da qualche parte dentro di loro almeno un accenno di soluzione. Street Spirit non ha soluzione. E’ il tunnel buio senza alcuna luce alla fine”. Thom Yorke diceva così a proposito di Street Spirit (Fade Out), pubblicata come ultima traccia dell’album The Bends e successivamente come singolo nel 1996. La melodia lineare e quasi inquietante, la voce di Yorke, a tratti scura e raccolta, ad altri invece acuta e straziante, e il testo confuso, le cui parole evocano immagini di morte e distruzione (“I can feel death, can see its beady eyes”), rendono Street Spirit un brano tragico, che

quel suo tono graffiante penetra ogni poro dell’ascoltatore lasciandolo in uno spazio smarrito e senza tempo. “People change, as does everything / I wanted to grow old / I just want to grow old”. Così il pezzo continua e sulle dolci e atmosferiche note create dalla buon vecchia, ma mai troppo scontata, chitarra acustica, a cui poi si uniscono gli archi,si viene trasportati dritti al cuore del tutto “It’s hell.../ I yell... / But no one hears before I disappear”. E, sulla scia ipnotica di tale miscela perfetta, si giunge alla fine del singolo con una frase che disillude, che riporta violentemente alla realtà di ogni giorno e che di colpo sveglia dal sogno in cui si è precipitati involontariamente: “My dear... / The end comes near... / I’m here... / But not much longer. “.

“prosciuga, scuote e fa male”. Yorke si diceva incapace di affrontare la canzone e restìo a cantarla in pubblico, in quanto considerava l’averci a che fare esattamente come “guardare il demonio dritto negli occhi e sapere che, qualsiasi cosa tu faccia, lui vincerà”. Dall’atmosfera generale, che fa di Street Spirit una delle canzoni più misteriose e controverse del repertorio dei Radiohead, scaturisce un notevole fascino, che l’ha portata a riscuotere un discreto successo tra il pubblico. “Vorrei che quella canzone non ci avesse scelto come portavoci. E’ chiedere troppo… Io non ho scritto quella canzone”.

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musica

2 cellos:

due violoncelli alla conquista del mondo di Giovanni Bettani e Alessandro Matone

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a storia che vi proponiamo riguarda uno dei più grandi fenomeni della musica internazionale degli ultimissimi anni: il duo di violoncellisti Hauser/Šulić, meglio conosciuto come 2Cellos. Divisi dalle nazionalità e dalle scuole di provenienza, Stjepan Hauser e Luka Šulić percorrono due vite parallele, intraprendendo fin dall’infanzia lo studio di uno degli strumenti classici per eccellenza: il violoncello. Stjepan, nato a Pola, in Croazia, nel 1986, è apprezzato studente dello scomparso maestro Rostropovich, considerato il miglior violoncellista del suo tempo. Luka, nato a Maribor, in Slovenia, un anno dopo, frequenta l'Accademia Reale delle Arti a Londra dopo aver studiato violoncello a Zagabria e a Vienna. Entrambi diventano grandi interpreti dello strumento, ottenendo grandi successi in ogni esibizione (Stjepan riceve l'onore di esibirsi per il principe di Galles Carlo a Buckingham Palace), e possono vantare una sfilza di premi ottenuti in competizioni prestigiose, come il Concorso internazionale di violoncello Lutoslawski e la European Broadcasting Union New Talent Competition. I due si incontrano per la prima volta nel 2001, in Croazia, poco più che ragazzi; ed è sempre in Croazia – a Pola – che, dieci anni dopo, le loro strade si legano indissolubilmente. Entrambi infatti hanno problemi finanziari, e, quasi casualmente, decidono di riarrangiare (chiaramente per solo violoncello) SmoothCriminal, grande successo del 1987 di Michael Jackson; pubblicano quindi l’esibizione del loro lavoro su YouTube. Il video diventa virale in pochissimo tempo, e la Sony Masterworks li mette immediatamente sotto contratto. I due diventano “abili criminali” – come recita il titolo della canzone che li ha portati al successo –, “colpevoli” di adattare al loro strumento molti grandi successi rock e non solo. SmoothCriminal è infatti solo la prima delle loro ormai 30

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celebri “riconversioni” di grandi pezzi “moderni”, reinterpretati in chiave classica. Il loro repertorio comprende brani di diversi e opposti artisti: AC/ DC e Mumford&Sons, U2 e Avicii, Iron Maiden e Johnny Cash, Nirvana e Coldplay. «Suoniamo canzoni che ci piacciono, che mandino un messaggio e che siano adattabili al violoncello», dice Stjepan, esplicitando la vena “rock” del duo. «Siamo rocker dentro, lungi da noi l'idea di essere schedati come artisti “crossover”. Siamo musicisti, punto. E la musica è una sola. Lo dico senza vergogna: il nostro obiettivo è riempire gli stadi. Per prenderci una rivincita sui compagni delle elementari che ridevano di noi perché snobbavamo il pallone per la scuola di musica». Ma ci sono dei limiti, interviene Luka: «Sarebbe bello se “Man in the Mirror” di Michael Jackson fosse adattabile al violoncello». Dopo i successi di 2Cellos nel 2011 e di In2ition nel 2013, lo scorso gennaio i due violoncellisti hanno pubblicato il loro terzo lavoro, Celloverse, di cui stavolta sono anche produttori. Vedendo su Youtube i videoclip di SmoothCriminal e Welcome to the Jungle (cover di un grande successo dei Guns N’ Roses sempre del 1987), Elton John è rimasto così colpito dalla

bravura dei 2CELLOS da chiedere loro di accompagnarlo nel suo tour mondiale del 2011: non come "gruppo spalla", ma come parte integrante dello spettacolo. «La nostra non è una tipica vita da violoncellisti. Le nostre vite si sono capovolte in un istante. Prima di questo, suonavamo Bach per le vecchiette in chiesa», spiega Luka. E continua Stjepan: «Ora siamo una boy band. Più o meno tutti ci ascoltano, a parte i metallari». Lo stesso Elton John li descrive in questo modo: «La cosa più emozionante vista dal vivo dai tempi del concerto londinese di Jimi Hendrix al Marquee Club negli anni Sessanta». Esperienza dal vivo che sarà possibile fare in Italia dal prossimo 29 luglio al 2 agosto, nelle cinque date del “2Cellos Italian Tour 2015” a Grugliasco, Ferrara, Roma, Molfetta e Tarvisio. Perché vedere due ragazzi innamorati del proprio strumento a tal punto da condurlo all’esplorazione di nuovi generi e suoni, pur mantenendo vive le proprie origini musicali – vedi The Trooper (Ouverture), pezzo originale che mixa The Trooper degli Iron Maiden con l'ouverture del Guglielmo Tell di Gioachino Rossini) – è emozionante, specie se unito alla passione di questi due giovani.


Libri

In libro libertas Fausto e Iaio trent’anni dopo

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di Letizia Foschi

ggi non vi parlerò, stranamente, di un libro vero e proprio, ma vi racconterò una storia. La sera del 18 marzo 1978, nel bel mezzo degli anni di piombo, due ragazzi camminano a passo svelto lungo via Mancinelli, nel quartiere di Lambrate. Si chiamano Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, e quelli saranno i loro ultimi minuti di vita. Sono due diciottenni, frequentano l’allora molto famoso Centro Sociale Leoncavallo e fanno politica, come la maggior parte dei giovani, del resto. Vengono attirati in quella buia via Mancinelli da tre persone sconosciute che, dopo un brevissimo scambio di battute, aprono il fuoco e li uccidono a sangue freddo. La strada in meno di un’ora si riempie di persone tra parenti, amici, polizia, giornalisti. In una notte, il marciapiede si ricopre di bigliettini, pensieri, poesie, fiori e frasi scritte di getto su fogli d’agenda, pagine di libri, pezzi di carta. La loro vita finisce e i giovani cominciano ad urlare ancora più forte di prima, manifestando. Tutte le scritte e i biglietti fatti in loro onore nella settimana che seguì la morte furono diligentemente raccolti in un libro edito dal Leoncavallo dal titolo “Che idea, morire di marzo”, con una tiratura di sole millecinquecento copie, ormai introvabili. Il 18 marzo di quest’anno, tornando a casa, mi ritrovai davanti a via Mancinelli e vidi una signora che sistemava alcuni cartelli e delle foto lungo i muri per la commemorazione annuale per Fausto e Iaio. Qualcosa mi spinse ad andare a chiedere se potevo aiutare e non mi sono mai

sentita meglio: la aiutai ad appendere dei poster, dei manifesti e delle foto e lei in cambio mi regalò un libro che uscirà in libreria a settembre, dal titolo “Fausto e Iaio trent’anni dopo”. Me lo dedicò e, in prima pagina, scrisse: “Per Letizia, con affetto, Iaia”. Devo ammettere che quando ho letto il nome sono rimasta un po’ interdetta (non mi aspettavo proprio di trovarmi faccia a faccia con la sorella di Iaio in una situazione del genere), ma poi ho sorriso. Il libro che mi ha dedicato quel giorno raccoglie testimonianze, pensieri scritti da

amici e parenti di altre vittime giovani come loro (per dire qualche nome: Federico Aldrovandi, Dax, Carlo Giuliani), e contiene persino alcuni dei vecchi bigliettini di cui ho parlato prima. Nel marzo 1978 tutta Milano e dintorni si smosse per Fausto e Iaio: arrivarono messaggi dai compagni di Brugherio, dal centro, e poi dai quartieri vicini di Lambrate e Feltre, insieme a tanti altri. In un libro di 236 pagine si legge la fredda realtà di chi c’era ai loro funerali, di chi li conosceva, di chi è venuto da lontano solo per parte-

cipare al corteo in loro onore. Un libro scritto letteralmente per non dimenticare cosa accadde trentasette anni orsono. “NO! È ASSURDO! DIPINGERE L’ASFALTO COL SANGUE” si legge su un biglietto, “Non vi ho conosciuti e non potrò farlo mai” su un altro. In questa raccolta parlano anche Gad Lerner, Vittorio Agnoletto, Leonardo Coen e tanti altri più o meno famosi di loro. Il libro è diviso in varie sezioni: I fatti, a cura di Daniele Biacchessi, in cui si raccontano le vicende seguenti all’omicidio; Testimoni, dove sono raccolti ricordi di ciò che accadde a Fausto e Iaio; Gli occhi della memoria; Messaggi, ripresa di alcuni bigliettini lasciati in via Mancinelli nel 1978; La memoria del futuro, contenente le testimonianze di amici e parenti delle altre vittime sopra citate. Un testo intriso di ricordi, di vita, di desideri, che vale la pena leggere, almeno per sapere qualcosa a proposito di questi due giovani. Alla fine, quanti di noi ragazzi li conoscono? Magari qualcuno li ha sentiti nominare, ha visto un murales a loro dedicato, ha letto dell’anniversario su Facebook, ma quanti sanno veramente cosa è successo, chi fu accusato per il loro omicidio? Ve lo dico io, pochi. Una porzione misera di tutti i giovani di Milano, figuriamoci d’Italia. Il libro di cui vi ho parlato è stato scritto e riscritto in varie edizioni per non dimenticare Fausto e Iaio, che avevano la nostra età ed i nostri stessi sogni, anche se la vita negli anni settanta era completamente diversa, facevano politica come la fa la maggior parte di noi oggi: in pratica, siamo uguali a loro, cambia solo il periodo.

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Libri

Il cavaliere inesistente di Maria Chiara D’Agruma

I

l cavaliere inesistente è un romanzo fantastico di Italo Calvino, pubblicato nel 1959 da Einaudi. È il terzo capitolo della “Trilogia araldica”, dopo il Visconte dimezzato e Il barone rampante, raccolta in un unico volume nel 1960. Il protagonista della vicenda, ambientata in un Medioevo privo di ogni verosimiglianza storica e geografica, è Agilulfo, nobile e coraggioso paladino privo, però, di corpo: si presenta, di fatto, come un’armatura dentro la quale non c’è nulla. Durante un banchetto dei paladini, un ragazzo di nome Torrismondo sostiene di essere figlio di Sofronia, una donna che Agilulfo aveva salvato quindici anni prima dalla violenza di due briganti. Il codice di comportamento allora vigente prescriveva che, se si fosse dimostrata la non purezza di una fanciulla salvata da un cavaliere, i nomi, lo status e i predicati a lui legati non sarebbero più stati riconosciuti come validi. Così, Agilulfo parte alla ricerca della verità: è in questo momento che subentra nella narrazione un personaggio fondamentale, il povero contadino Gurdulù, assegnato dall’imperatore Carlo Magno al cavaliere come scudiero personale. Questi si presenta, sin da principio, come un personaggio molto stravagante: egli, 32

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infatti, s’immedesima completamente in tutto ciò che lo circonda, parlando e comportandosi in relazione alla nuova natura da lui ogni volta acquisita. Il tema che più vistosamente emerge dalla lettura del romanzo è quello dell’eterna contrapposizione fra la componente cosciente e quella istintiva proprie dell’uomo. Infatti, le vite dei due protagonisti, Agilulfo e Gurdulù, sono le perfette metafore dei due sopracitati aspetti dell’esistenza di ogni persona. L’iridescente cimiero di Agilulfo è vuoto e il cavaliere esiste solo grazie ad una tenace forza di volontà; in altri termini, tutto il personaggio, da ultimo, s’identifica nelle sue sole virtù cavalleresche e nella sua sola componente cosciente. Dalle righe del romanzo emerge, inoltre, come questi non viva appieno la propria esistenza. Infatti, agli occhi del lettore, egli appare come un personaggio in un certo senso vuoto, poiché la sua eccessiva adesione ai doveri cavallereschi, ai quali, per quanto nobili, vi può aderire chiunque vi si impegni tenacemente, gli impedisce che a questi sia affiancata una sincera espressione di un proprio particolare, unico ed irripetibile io interiore. Il rispetto dei propri impegni, essendo nel suo caso perseguito in maniera ossequiosa, smette di essere una dote. Esso diviene, piuttosto, un fattore limitante per una piena esistenza, che, in quanto tale, prevede anche qualcosa che vada oltre la mera e cieca adesione ad un qualsivoglia codice di comportamento. Si prenda come esempio un episodio della narrazione, nell’VIII capitolo del romanzo, in cui Agilulfo spreca la possibilità di passare una notte con l’assai affascinante Priscilla. Egli, poiché preso da un’irrefrenabile anelito di ostentata perfezione formale, spende moltissimo tempo per acconciare i capelli della donna con diademi e veli, e ne spende altrettanto per aggiustare piccoli sbuffi delle lenzuola troppo tesi o troppo rilassati. Perdendo quindi, di fatto, la possibilità di trascorrere una notte volta all’amore, giunge la mattina, che sancisce la definita separazione fra i due. Da parte sua, Gurdulù, personaggio

per svariati aspetti opposto al protagonista, crede di essere tutto ciò che vede o tocca: si comporta talora come un’anatra in mezzo ad un branco, talora come se una zuppa dovesse mangiarlo (e non viceversa) e talora, scavata la fossa per un cadavere, come fosse lui stesso il morto. Significativo, in tal senso, il modo in cui un ortolano lo descrive presentandolo ad Agilulfo: «Per lui, tanto, comunque lo si chiami è lo stesso. Chiamate lui e lui crede che chiamiate una capra; dite ‘formaggio’ o ‘torrente’ e lui risponde: ‘Sono qui’». Insomma, Gurdulù è sì dotato di corpo, ma non ha autocoscienza: egli, insomma, preso dalla sua sola componente istintiva, non sa chi sia realmente e, quindi, non riesce a capire il suo pur piccolo ruolo nel mondo. Oltre a quella della contrapposizione fra componente cosciente e istintiva proprie dell’uomo, fra le righe del romanzo emergono altre interessanti tematiche, che possono di certo prestarsi a numerosissime possibilità interpretative. In conclusione, non posso quindi che consigliarvi la lettura di quest’opera di Calvino, che, pur nella sua sostanziale scorrevolezza e linearità degli eventi narrati, tratta in maniera profonda ed interessante alcuni eterni e fondamentali aspetti legati all’esistenza umana.


Shadowhunters Città di ossa di Isabella Marenghi

E

’ambientato a New York, che sembra una città normale, ma, in realtà, la maggior parte della gente è “mondana”, e non riesce a vedere davvero il mondo in cui vive. Esso, infatti è popolato da demoni e Nascosti (lupi mannari, vampiri e fate): solo i Cacciatori, gli Shadowhunters, riescono a vederlo e a combattere i demoni per mantenere la pace. Clary è una ragazza di 15 anni. La sera in cui va al Pandemonium con il migliore amico Simon la sua vita cambia: segue un ragazzo dai capelli blu nel magazzino del locale e vede tre sconosciuti coperti di rune circondarlo e trafiggerlo con una spada. Vorrebbe chiamare aiuto, ma il cadavere scompare e non c’è nessuno da accusare perché i tre ragazzi sono Shadowhunters, e nessuno, tranne Clary, può vederli. Sconvolta, torna a casa. Lì c’è sua madre Jocelyn con Luke, che per lei è come un padre, ma nessuno dei due bada al suo racconto. Il giorno dopo, uscendo, incontra uno dei tre cacciatori della sera precedente. Rendendosi conto che egli è reale, lo segue. Lui si chiama Jace Wayland e non riesce a spiegarsi come sia possibile che, anche se ha tatuate le rune dell’invisibilità, una “mondana” lo possa vedere. Il cellulare squilla: è Jocelyn, con voce agitata. Clary si preoccupa, torna a casa e la trova distrutta: di sua madre non c’è traccia. Al suo posto c’è un demone che la attacca, ma lei riesce ad ucciderlo rimanendo ferita e, poco prima di perdere i sensi, rivede il cacciatore. Si sveglia in un letto: Jace l’ha portata all’Istituto, dove egli vive e si allena con altri due cacciatori, Alec e Isabelle, e il tutore Hodge. Intanto Clary scopre molte verità che le erano state nascoste: sua madre era una cacciatrice, ed era stata la moglie di un cacciatore,

Valentine, che ora l’ha rapita. Egli voleva uccidere tutti i Nascosti per purificare il pianeta, anche se il Conclave aveva fatto degli accordi di pace con loro. Per ucciderli tutti sta cercando la Coppa Mortale, che Jocelyn aveva nascosto, con cui vuole trasformare tutti i bambini in cacciatori. Per far sì che Clary non vedesse il mondo “invisibile”, Jocelyn la portava da uno stregone, Magnus Bane. Quindi i due fratelli Alec e Isabelle Lightwood, Jace e Clary (che si stanno innamorando), e Simon vanno dallo stregone. Magnus dice che era da un po’ che la madre della ragazza non andava da lui, e non sapeva più nulla. Uscendo dal locale, Clary scopre che Simon è stato trasformato in un topo e che un vampiro lo ha portato via. Allora lei e Jace vanno nel covo dei vampiri e lo salvano. Lei, parlando con Jace, viene a sapere che il padre del cacciatore era morto, ucciso da uomini di Valentine. Inoltre scopre che anche Luke era un cacciatore, e che, come i Lightwood, Hodge e i Wayland, aveva fatto parte della cerchia di Valentine. Quella sera, Clary e Jace fanno un picnic di mezzanotte e si baciano. Simon li scopre e si arrabbia molto con la ragazza, le rivela infatti che è innamorato di lei. Turbata, Clary, comincia a disegnare. Disegna una tazza e delle rune: il disegno prende vita, allunga la mano e afferra la tazza. Stupita, riferisce tutto: ha capito dove si trova la Coppa. (Jocelyn aveva disegnato un mazzo di carte per la loro vicina, Dorothea, sull’asso di coppe c’era disegnata la Coppa Mortale). Quindi vanno da Dorothea. Lei li accoglie e Clary recupera la Coppa. Ma Dorothea apre un portale e fa entrare un Demone Superiore che prende possesso di lei e cerca di uccidere i ragazzi. Alec si scaglia contro il mostro e si ferisce,

ma per fortuna entra Simon, che, con una freccia, uccide il demone. Tutti tornano all’Istituto e Hodge consegna la Coppa a Valentine. Clary lo insegue e lui tenta di ucciderla. A difenderla arriva un lupo mannaro, che si scoprirà essere Luke. Lui le rivela che suo padre è Valentine e che aveva un fratello che Valentine ha finto di uccidere insieme a lui. Decidono di andare da suo padre: Clary trova sua madre, in coma, e Jace, che non è prigioniero. Infatti questi le dice che suo padre è Valentine. Allora Clary si rende conto che il “J.C.” sullo scrigno che sua madre teneva sempre con sè rappresentava le iniziali di “Jonathan Christopher” e che “Jace” è solo un diminutivo. Clary non crede a Valentine e cerca di convincere Jace che è solo una bugia. Così Valentine rivela al ragazzo che lei è sua sorella e che è sconvolta perché è innamorata di lui. Luke arriva nella stanza e si scontra con Valentine mentre Clary cerca di convincere Jace ad intervenire facendogli capire che la sua famiglia sono i Lightwood. Così, prima che Valentine sferri il colpo mortale, Jace lo blocca e minaccia di morte, ma Valentine, con la Coppa in mano, entra nel portale e lo distrugge. Clary è molto confusa, ma Jace le dice che non è il mondo ad essere diverso, ma lei. Tutto è diverso da come appare.

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Racconti

Red Roses di Olivia Manara

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:30 di mattina, 15 Settembre 2014. Nell’aria risuonava, già da alcuni minuti, il motivetto di un messaggio vocale di Whatsapp: “Happy birthday to you, happy birthday to you, happy birthday to Clary, happy birthday to you”. Se fosse stato un giorno qualunque e quella voce fosse appartenuta a qualcun altro, Clary avrebbe passato i trenta minuti successivi a maledire quello stupido che aveva avuto la brillante idea di inviarle un messaggio così presto; ma quella Domenica era il suo compleanno... e quella era la voce del suo ragazzo. Si rigirò tra le coperte, stringendo in un grande abbraccio il suo cuscino; dormire era sempre stata la sua grande passione, ma quel giorno poteva fare un’eccezione. Così scese dal letto e spalancò la finestra che dava sulla strada; la fresca brezza mattutina le scompigliò i ricci capelli bruni e un brivido le percorse la schiena. - Finalmente un po’ di sole - pensò Clary - è da giorni che piove a dirotto -. Ma stava per chiudere le ante e iniziare a prepararsi quando un piccolo cuore di peluche le sbatté sul viso “Auguri C!” le gridò Terry dalla strada. Il suo ragazzo reggeva un mazzo di rose rosse e le sorrideva con aria furba. Sapeva benissimo che Clary odiava le rose ma, nonostante ciò, si ostinava a portargliele tutti gli anni. “Scemo” gli gridò la ragazza ridendo, e chiuse le ante della finestra. 34

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Dopo alcuni minuti, Clary era lì, sulla soglia della porta di casa. Indossava i suoi soliti jeans con le bretelle e una maglietta con la scritta “Guns n’ roses”. Terry si era sempre chiesto il motivo per cui Clary adorasse quei jeans; avevano le bretelle, eppure, lei non le indossava mai: le lasciava sempre ricadere sui fianchi. M a

doveva a m mettere che la rendevano ancora più speciale. Nessuna ragazza della sua scuola avrebbe mai osato mettere i suoi vestiti: per quelle oche giulive esisteva solo Abercrombie (marca che, tra l’altro, Terry odiava). La ragazza rimase per un attimo a fis-

sarlo, senza muovere un dito. Poi, all’improvviso, scattò come una molla e, dopo aver ricoperto il tratto che li separava, gli saltò al collo. - Questa atletica mi ucciderà - pensò Terry - da quando pratica questo sport, Clary corre talmente veloce che non ho più neanche il tempo di prepararmi a reggere il suo salto -. Il ragazzo, infatti, perse l’equilibrio e i due caddero nel prato retrostante. Clary rise, indenne dalla caduta “Vedo che mi hai portato delle rose” disse. “Certo C: puntuale come ogni anno” e le passò un fiore sotto il naso, facendola starnutire. “Sei pronta per la sorpresa di compleanno?”. Clary era sempre riuscita a decifrare i pensieri di Terry: intuiva i suoi sentimenti, i suoi problemi, persino quello che pensava degli altri. Tra loro due c’era un legame speciale e Clary lo sapeva. In quel momento, però, non riusciva nemmeno a immaginare dove Terry avesse intenzione di condurla: quel suo sorriso beffardo non lasciava trapelare nessun indizio. - Forse mi porterà in discoteca - pensò; ma subito si rispose - No... troppo banale per quel pazzo del mio ragazzo -. Pochi minuti dopo la casa di Clary sparì dietro l’angolo della strada e i due ragazzi si ritrovarono in Central Park. Gli alberi si ergevano alti sopra le loro teste, lasciando spazio solo a qualche


scorcio dei grattacieli di New York, mentre sul lastricato le prime foglie dorate, cadute per il freddo, scricchiolavano sotto la suola delle scarpe. Dopo un’oretta di camminata, finalmente, i due ragazzi raggiunsero il confine opposto del parco e arrivarono a destinazione. Ora solo una strada trafficata li sparava dal luogo che Clary amava di più al mondo: il teatro. Una locandina all’entrata riportava la scritta: “Solo per oggi la tragedia di Euripide: Medea”. “Buon compleanno C” gli sussurò Terry all’orecchio, “Ecco il mio regalo per te”. La ragazza non stava più nella pelle per l’eccitazione: il tempo si fermò e i rumori della strada si attenuarono - Andrò a vedere una tragedia greca! É da tempo che lo desideravo! - gridava una voce nella sua testa. Così, allo scattare del semaforo, Clary si precipitò sulle strisce pedonali seguita da Terry. Ma solo in seguito si ricordò che qualcuno le aveva detto: “Mai attraversare la strada senza guardare”. Lo strombazzare di un clacson le devastò i timpani e due fasci di luce gialla si piantarono su di lei; Clary perse la presa della mano di Terry e le rose rosse volarono in alto. Vide il suo ragazzo mimare con la bocca il suo nome; gli occhi atterriti. Qualcuno gridò. Poi tutto fu nero. 7:30 di mattina, 15 Settembre 2014. Nell’aria risuonava, già da alcuni minuti, il motivetto di un messaggio vocale di Whatsapp: “Happy birthday to you, happy birthday to you, happy birthday to Clary, happy birthday to you”. Clary si svegliò di soprassalto, la fronte grondante sudore e il corpo scosso da brividi. - Eravamo riversi a terra, io e Terry, immobili. Una botta pazzesca, urla, vetri infranti... - i pensieri si affollavano confusi nella sua testa. Ma era stato solo un incubo. La ragazza spalancò la finestra e un piccolo cuoricino le sbatté sul viso: Terry era dall’altra parte della strada e le sorrideva spensierato. “Terry, hai intenzione di portarmi a teatro oggi?” gli gridò Clary. “Sì, ma come fai a saperlo?! Doveva essere una sorpre...”, “Alt! Non dire altro. Credo che una serata in discoteca andrà benissimo lo stesso... ti devo raccontare un sogno”.

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varie ARIETE (21 marzo - 20 aprile)

bisogna vittima,

La Luna si trova in una posizione a voi ostile: guai in vista! Qualcuno inizierà a nutrire un odio profondo nei vostri confronti e tenterà di costruirsi una bambolina voodoo per infliggervi pene e castighi. Secondo i riti animisti per farlo impadronirsi di una ciocca di capelli della quindi custodite bene le vostre chiome!

TORO (21 aprile - 21 maggio) Venere sta seguendo un’orbita distante dalle altre. Siete dei tipi introversi che amano stare da soli o semplicemente non sapete dominare la timidezza. In entrambi i casi avete bisogno di passare più tempo con gli altri: spesso il consiglio sincero di un amico è l’unico modo per uscire dallo sconforto.

GEMELLI (22 maggio - 21 giugno) Bisogna sempre dire quello che si pensa? A volte è meglio di no. Attenzione alle battute spiritose: anche senza volerlo (ma in qualche caso, potreste volerlo eccome!) rischiate di offendere un amico permaloso.

CANCRO (22 giugno - 22 luglio) Il vostro colore porta fortuna è l’arancio. Indossandolo durante le verifiche i vostri voti miglioreranno rapidamente. Non accostatelo però al blu scuro altrimenti otterrete l’effetto opposto.

LEONE (23 luglio - 23 agosto) Siete dello stesso segno zodiacale di Giosuè Carducci (nato il 27 luglio 1835): andatene orgogliosi! Se non sapete come manifestare la vostra “vena poetica” iniziate ad allietare i vostri compagni scrivendo piacevoli dediche sui diari.

VERGINE (24 agosto – 23 settembre) Ultimamente lo studio e gli impegni vi hanno fatto trascurare la famiglia e la mancanza di calore e affetto vi ha resi più freddi e cupi. Secondo lo Zodiaco se non rimedierete presto al problema il Sole subirà un drastico calo di temperatura: potrebbe verificarsi una nuova Era Glaciale per colpa vostra. 36

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BILANCIA (24 settembre - 23 ottobre) Cucinare non è il vostro forte e soprattutto vi manca la pazienza. Se pensavate che fosse meglio abbuffarsi di surgelati o affidarsi all’alta cucina della mamma, è ora di mettervi ai fornelli e imparare a cavarvela da soli. Badate solo a non far esplodere la casa

SCORPIONE (24 ottobre - 23 novembre) La primavera è alle porte e la voglia di stare chiusi in casa a studiare va diminuendo. Perché non approfittare della bella stagione per organizzare pomeriggi studio al parco sdraiati sull’erba? Attenzione però alle cacche di cane!

SAGITTARIO (24 novembre - 22 dicembre) Spesso fantasticate sul futuro senza godervi i piaceri della vita quotidiana. “C’è un detto: ieri è storia, domani è un mistero, ma oggi... è un dono. Per questo si chiama presente” (dal film Kung Fu Panda).

CAPRICORNO (23 dicembre - 20 gennaio) Per le donne, buone notizie in amore! Il ragazzo καλòς και αγαθóς che da tempo aspettavate si farà avanti. Marte consiglia invece ai maschi di prendere una pausa di riflessione, per fare il punto della situazione sentimentale.

ACQUARIO (21 gennaio – 19 febbraio) Quest’anno il coniglio pasquale è stato generoso e dopo le scorpacciate di cioccolato ecco spuntare i primi brufoli! Non allarmatevi: con una maschera per il viso all’ananas e tamarindo risolverete al volo la situazione.

PESCI (20 febbraio – 20 marzo) Ultimamente vi lasciate troppo condizionare dall’opinione degli altri. Ma come disse Albert Einstein “Ognuno di noi è un genio. Ma se giudichi un pesce in base alla sua capacità di arrampicarsi su un albero, passerà tutta la sua vita credendo di essere uno stupido.” Coraggio, credete nelle vostre potenzialità!


OSTRICHE SENZ A PERL A

QUANTO SPESSO QUEI SIGNORI CHE VOGLIONO PARIRE DOTTI E INECCEPIBILI AI VOSTRI OCCHI SI TRADISCONO NEL MODO PIÙ BRUTALE ED ESILARANTE? INVIACI ANCHE TU LE PEGGIORI FRASI DEI TUOI PROF... RESTITUZIONE DELLE VERSIONI DI LATINO PROF: E poi mi deprimo quando vedo che qualcuno ha tradotto “re cognita” con “conosciuta dal re”... INTERROGAZIONE DI GRECO PROF: X, paradigma di fèèerw? X: Fero fers tuli latum ferre. DURANTE L’INTERROGAZIONE DI STORIA PROF: X, come morì Cassio? X: Cassio chiese ad uno schiavo di ucciderlo, quindi con il suicidio assistito. DURANTE GRECO PROF: Come hai tradotto, X? X: Non è il caso, mi creda... PROF: Prova dai. X: “Aristotele scrisse che aveva visto due coccodrilli con due piedi uguali a quelli dei serpenti” SPIEGANDO GRECO PROF: Omero barcollante poichè cieco andava a palpare le tombe di Ettore e Achille. X: ?!?! SPIEGANDO SCIENZE PROF ad una ragazza: Nelle ovaie, che hai anche tu che sei una donna, mica un ippopotamo!, ... DURANTE STORIA X: Prof, lei è mai stata hippie? PROF: Va bene che non sono giovane, ma neanche così vecchia... X: A quattro anni con i capelli lunghi e la canna in bocca. L’ALUNNO X TORNA DA UNA VACANZA IN GALLES PROF: Allora X, come è andata in Galles? X: Bene bene, ero in un campeggio con altri ragazzi e c’erano un sacco di pecore. PROF: Ah sì? E di che razza erano? X: Beh uno era di Londra, uno di Dublino... PROF: Intendevo le pecore...

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varie

BACHECA -6-7 giugno 5 8 maggio !A TWIST AND SHOUIGT HT MIAMI festival 50'S AND 60'S N lia o n g a M a lo li o o c n ir g C a M lo o c ir C

11 maggio

Trofeo Lange' - salti in lung in alto, a destra e a si o, nis corse, staffette, ostacoli e tra, la del peso. Preparatevi, sp nci ortivi carducciani. Centro sportivo Giuriati

31 maggio / 2 giugno

ONIRO PROJECT Via Luosi 19

29/31 maggio STREEAT FOOD-LTRUCK FESTIVA Festival Cibo da Strada Milano | Carroponte

PREMIO M Concorso ARCELLO FE randi de di tesine di ma RRANTI tu ll'a

della tesi nno scolastico rita' aperto ai somma d na migliore sara' 2014/15. Il vincmatuessere in i 600,00 euro. premiato con l'in itore ranti.it enviati alla mail inf Gli elaborati dov gente Sito: www tro e non oltre o@premiomarcel ranno lo i .premiom arcellofe l 15 settembre 2 ferrranti.it. 015. 38

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: o n g iu g 15 / e il r p 15 a o d r a n o e L u s a tr s Mo Palazzo Reale

21-24 maggio Wired Next Fest - Tre gi orni in cui vivere l'innovazione nell' economia, nella scienza, nella politica, nell'intrattenimento, nella cultura. Milano si trasforma per un fine settimana nel luna park della scienza e della tecnologia. Giardini pubblici Indro M ontanelli


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