TERZO NUMERO, Gennaio/Febbraio, a.s. 2014/2015

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L’editoriale di Francesco Bonzanino

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uongiorno popolo carducciano alias studenti svegli e consapevoli, attivi all’interno della scuola e critici verso questa società che ci offre, senza imporci, così tante opportunità diverse. Buongiorno, perché, lo sapete bene, non può che essere tale una giornata iniziata in questo edificio. Su, non ti lamentare, lo sai che se pure sembra essere un ambiente grigio, cadente e opprimente, a tal punto da chiedersi come facciano a ispirare più fiducia scuole che, a differenza di questa, erano un tempo carceri, queste quattro mura offrono tanto. E vedrai che, andando avanti in questo percorso formativo e arricchente, di anno in anno ti piacerà sempre di più lo zelo con cui inizi una giornata, la risata isterica alle battute tristi dei compagni, lamentarsi del carico di compiti per tralasciare questioni serie, nasconderti per fumare una sigaretta di poco aiuto nella gestione dello stress, assieme alle solite facce che amerai sempre più. Tuttavia oggi scrivo per dirti, per dirvi che siete in tanti; là fuori, ormai da anni, si sta riempiendo di gente uguale a voi. Credete che ad accomunarvi siano le stesse speranze, le stesse paranoie, gli stessi dolori di crescita piccoli o grandi? Sbagliato.

Forse gli stessi cappellini, zaini, social network condivisi, la stessa merda pseudo americana nei piatti e sugli schermi? Forse, ma no, neanche tanto quello : è lo stesso modo di pensare, di ( non)comunicare, di relazionarsi alla realtà, di accettarla. Ma consolati : la suddetta scuola d’eccellenza ti fornirà i requisiti necessari per entrare a far parte della futura classe dirigente, perciò gioisci e pensa : guadagnerai tanto e in modo pulito rispetto alla maggior parte dei criminali e forse verrai addirittura stimato al prezzo di qualche piccola bugia per altro necessaria per le povere menti abbandonate che trufferai e nei panni delle quali attualmente ti trovi. Ecco, allora, che sarai sempre tra quelli che accettano, che non decidono, ma ricevono loro stessi direttive da piani ancora più alti. Ma, di questi tempi accettare è molto più bello e facile se hai qualche zero in più a fine mese nello stipendio.. che poi è l’unica cosa veramente importante : avere i soldi, spenderli, consumare, riposino davanti alla tele, consumare di nuovo, non fartelo dire da me. Avrai così imparato la lezione più importante : la cultura non è altro che puro strumento di prevaricazione, cosa buona e giusta e mai da rinnegare, amen. O almeno d’ora in poi saprai riconoscere un po’ di malsana ironia.

La redazione dell’oblò

redattori | Cleo Bissong, Francesco Bonzanino, Bianca Carnesale, Giulio Castelli, Julia Cavana, Rebecca Daniotti, Alice De Gennaro, Federica Del Percio, Letizia Foschi, Sofia Franchini, Alice de Kormotzij, Martina Locatelli, Edo Mazzi, Beatrice Penzo, Francesca Petrella, Carlo Polvara, Beatrice Sacco, Claudia Sangalli, Andrea Sarassi, Sara Sorbo, Alessia Tesio, Alessandra Venezia vignettisti | Leonardo Zoia, Silena Bertoncelli DIRETTRICE | Martina Brandi Capo redattore | Chiara Conselvan Docente referente | Giorgio Giovannetti Collaboratori esterni | Francesca Bassini, Bianca Brinza, Diego Errichetti, Vittorio Graziano, Simone Possenti, Daniele Tonon 2

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Pag

sommario

4-5 legge elettorale 6

start up

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start up

8-9 insultami 10

problema scolastico

11 1213 shale gas

problema scolastico

14 orientamento

orientamento

15 16

il genio di da vinci

17 richiamando in vita faber 1819 milano 2021

2223

professione: aiuto regista

cinema

audiophiles

24

25 jaco pastorius 26 27

alti e bassi

mia cara

28

vecchie conoscenze

29

angeli di carta

30 paura

l 31 nel rifugio de

silenzio

zero a zero

3233

34 fumetti macchie d’inchiostro 35 36

ostriche tweet anatomy

37

3839

giochi

40 concorso


doris lessing nata per scrivere

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di Simone Possenti

o scorso 17 novembre, a Londra, è morta Doris Lessing all’età di 94 anni. Oggi il suo nome è subito associato al premio Nobel per la letteratura che ha vinto nel 2007, ma esso non era che il culmine di numerosi riconoscimenti. Stiamo infatti parlando di una donna che è stata investita del titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico e, in Sudafrica, dell’Ordine di Mapungubwe in Oro “per l’eccezionale realizzazione in letteratura e per aver contribuito all’eliminazione del colonialismo e dell’Apartheid”. Doris May Taylo (questo era il suo nome di nascita) ha vissuto un’esistenza indubbiamente ricca, tanto di difficoltà e conflitti quanto di successi. Nata nel 1919 a Kermanshah, in Iran, ha vissuto fino a trent’anni nella Rhodesia meridionale (attuale Zimbabwe), studiando prima in un convento, poi in una scuola femminile, ma a soli 13 anni riesce a dare una svolta drastica alla sua vita: fugge e prosegue gli studi da autodidatta. Nel giro di due anni se ne va già di casa, a 19 è presto sposa e madre di due figli, poi divorziata. Comincia a frequentare circoli comunisti, dove conosce Gottfried Lessing: lo sposa e da lui ha un terzo figlio, e sebbene a 30 anni sia di nuovo single non vorrà mai abbandonare il cognome del secondo marito. La sua vita rhodesiana trova ampi echi nei romanzi Martha Quest e Un matrimonio per bene. Ma solamente dopo il 1949, anno in cui si è definitivamente trasferita a Londra, inizia la sua avventura da scrittrice. Il suo primo romanzo,

L’erba canta (1950), è dedicato all’Africa appena abbandonata e ricorda l’inquieta malinconia della Blixen “out of Africa”. La Lessing è un’autrice di ampio respiro, nel corso della sua carriera ha scritto romanzi di quasi ogni genere, spaziando da quello politico a quello di fantascienza distopica. Il taccuino d’oro (1962) è passato alla storia come una vera e propria Bibbia femminista, ma senza l’approvazione dell’autrice stessa: è la storia di Anna Wulf, una donna di cui la Lessing in un’intervista dirà che “voleva vivere come un uomo”. Anna scrive più diari in contemporanea: uno nero per l’opera letteraria, uno rosso per l’attività politica, blu per la ricerca della verità attraverso la psicanalisi, giallo per la vita privata e l’ultimo, d’oro, per l’impossibile sintesi di tutto quanto. Ma se Anna cercava in tutti i modi di uscire dal caos della sua generazione, la sua autrice giudicava superato “il femminismo di una volta, quando le donne non avevano neppure il diritto di voto”, mentre lamentava il fatto che “molte donne al potere assumono atteggiamenti molto maschili”. Il romanzo la fece entrare fra i possibili candidati al Nobel, ma i suoi successivi romanzi di fantascienza la screditarono. Doris Lessing non ama l’idea di essere considerata un’autrice femminista. Quando una volta le chiesero perché, rispose: “Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero che io dicessi è: - Sorelle,

starò al vostro fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più - . Veramente vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione”. Infatti, quando le chiedono quali dei suoi libri considera il più importante, sceglie proprio la serie fantascientifica di Canopus in Argos. Eppure è in qualità di “cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa” che le è stato conferito il Nobel, premio che la colse di sorpresa, tanto da affermare: “Ho 88 anni e non possono dare il Nobel a un morto, quindi penso che probabilmente abbiano pensato fosse meglio darmelo prima che io fossi fuori gioco”. La sua ultima opera Alfred e Emily - è del 2008. Tra le sue affermazioni più celebri: “Mi rendo conto di aver vissuto momenti della storia che sembravano immortali. Ho visto il nazismo di Hitler e il fascismo di Mussolini, che sembravano destinati a durare mille anni. E il comunismo dell›Unione Sovietica, che si credeva non sarebbe finito mai. Ebbene tutto questo oggi non esiste più. E allora perché mi dovrei fidare delle ideologie?”. Di sé diceva: “Sono nata per scrivere, geneticamente. Voglio raccontar storie”. Onore a te che ci sei riuscita, e lasci al mondo pagine straordinarie. D’altronde, nessuno, quando muore una poetessa, ritiene che di lei non resti nulla.

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Attualità

LEGGE ELETTORALE,

UNA SOLUZIONE SODDISFACENTE? di Carlo Polvara

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l dibattito sulla legge elettorale è una delle costanti più assillanti degli ultimi vent’anni nello scenario politico italiano. All’attenzione di giuristi, forze politiche e parlamentari si sono succeduti i modelli più disparati (inglese, francese, spagnolo, tedesco, di solito combinati in soluzioni elaborate), senza mai giungere ad una soluzione davvero soddisfacente. Particolarmente criticato è stato il cosiddetto “porcellum”: la legge elettorale con cui i cittadini italiani hanno votato nel 2006, nel 2008 e nel 2013, recentemente giudicato incostituzionale dalla Corte Costituzionale. Quali sono le pregiudiziali di incostituzionalità sottolineate dalla sentenza? Essenzialmente le liste bloccate e il premio di maggioranza. Il “porcellum”, infatti, è una legge elettorale di stampo proporzionale (in cui i seggi, cioè, sono distribuiti tra le varie forze politiche in proporzione ai voti ottenuti), con un fortissimo correttivo dato dalla presenza di un forte premio di maggioranza, cioè di una quota aggiuntiva di seggi attribuita alla coalizione o forza politica che conseg-

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ue la maggioranza relativa, anche solo la probabile vittoria della coalizione per un voto di differenza. La Corte ha di centro- sinistra nel 2006), di fatto sancito che un premio di maggioranza la situazione è rimasta bloccata fino del genere distorce in maniera inac- a tempi recentissimi in cui pare che cettabile la volontà degli elettori. si sia raggiunta un’intesa tra il segIl sistema non è comunque in grado retario del Partito Democratico Matdi garantire, come si teo Renzi e il leader L’“italicum” proporrebbe di fare, la della seconda forza si presenta governabilità. Infatti, il d’opposizione Silvio come una sorta Berlusconi. La soluzione premio di maggioranza è concesso con criteri di miglioramento attualmente proposta del “porcellum” è comunemente definidiversi per Camera dei Deputati e Senato (su ta come “italicum”. volta a base nazionale per la Sicuramente va riconsuperare le Camera, su base regionpregiudiziali di osciuto al segretario ale per il Senato) dando incostituzionalità. democratico il merito luogo, come in questa di aver sbloccato con Una specie, legislatura, a situazioni piglio decisionista un insomma, di di forte difformità tra dibattito stagnante maiale col i due rami del Parlariaprendo contempocerone. mento. Il “porcellum” raneamente il discorso prevede inoltre lunghe liste bloccate: su un’altra riforma sempre invocata gli elettori non possono scegliere il negli ultimi trent’anni ma mai attuaproprio candidato né tramite le pref- ta: il superamento del bicameralismo erenze né tramite collegi uninomi- perfetto. Bisogna anche riconoscere nali. L’ordine d’elezione è quello di quanto fosse difficile, se non imposcomparsa sulle liste elettorali, deciso sibile, approdare a una soluzione che dai vertici delle forze politiche. Ben- non fosse una sorta di “do ut des”, ché da sempre questa legge sia criti- apparendo come la migliore possibile cata (molti sostengono che sia stata e non come il meno peggio disponiformulata per limitare e contenere bile. Nel merito tuttavia, analizzando il contenuto della proposta di legge, si deve constatare di non essere di fronte ad alcuna rivoluzione o svolta epocale. L’“italicum” si presenta come una sorta di miglioramento del “porcellum” volta a superare le pregiudiziali di incostituzionalità. Una specie, insomma, di maiale col cerone. L’impianto di base è ancora lo stesso. Le uniche differenze sono: la presenza di una soglia minima da conseguire per accedere al premio di maggioranza, l’introduzione di una seconda tornata elettorale tra le prime due forze nel caso in cui nessuno riuscisse a raggiungere tale soglia e liste bloccate più corte. A ciò si aggiunge un ulteriore inasprimento delle soglie di sbarramento per accedere al Parlamento. Le varie trattative hanno attualmente portato al 37% la quota per


ottenere il premio di maggioranza, in nessun caso superiore al 15%, al 4.5% la soglia di sbarramento per i partiti in coalizione e all’8% per i partiti non in coalizione. Oltre al fatto che si potrebbe opinare anche della costituzionalità di questa legge, almeno per quanto riguarda i listini, permangono a mio avviso tutte le criticità che hanno permeato il dibattito sull’ argomento negli ultimi vent’anni. In primo luogo prosegue l’incapacità italiana di schierarsi per un sistema omogeneo: da quando abbiamo abbandonato il sistema proporzionale puro della “Prima Repubblica”, a mio avviso il più aderente al progetto istituzionale della Costituzione, abbiamo mescolato gli ingredienti più vari, proponendo di volta in volta maggioritari con correttivi proporzionali, proporzionali con correttivi maggioritari, doppi turni, miscele di sistema francese , australiano, bulgaro, buthanese senza mai schierarsi per un sistema uniforme, maggioritario o proporzionale che fosse. Permane poi la tendenza, solo italiana nel campo delle democrazie occidentali, a premiare le coalizioni e non le singole forze politiche. Questo aumenta il potere dei partiti minori, necessari per superare l’avversario

anche di un singolo voto, costringe L’elettorato in ogni caso potrà, come perennemente a grandi alleanze dif- oggi, tripolarizzarsi e non dare a nesficilmente gestibili, indebolisce i suna forza abbastanza voti per govpartiti, favorisce le liste “civetta”. ernare. E’ quindi opportuno smettere Le coalizioni pre-elettorali rendono di formulare leggi elettorali guaranche molto più rigido il quadro po- dando all’ultimo sondaggio di Paglitico in caso di assenza di una mag- noncelli: è evidente che se la legge gioranza. Esemplare è il caso delle elettorale diventa solo uno strumento ultime elezioni in cui la creazione di per favorire la mia forza politica in un maggioranze di governo ha compor- dato momento, in un’ altra occasione tato la rottura della coalizione pre- essa mi si potrà ritorcere contro. E’ elettorale tra PD e SEL provocando tempo quindi che i partiti cerchino di tensioni insanabili e infinite polem- garantire la governabilità non metiche in quanto proprio grazie a tale tendo in palio luculliani premi di coalizione SEL era entramaggioranza, cercando Nessuna ta in Parlamento e il PD imporre il bipolarlegge elettorale di aveva ottenuto il premio ismo fragile e artificioso potrà mai di maggioranza. Abitualdella Seconda Repubgarantire mente, anche in contesti blica, ma, come accade maggioritari come quello il bipolarismo. in qualunque democradel Regno Unito, eventuali coalizioni zia, attraverso in primo luogo il consono strette dopo il voto, qualora ciò seguimento del consenso popolare, sia necessario per formare un gover- ricorrendo se necessario ad accordi o no. L’errore più grave dell’“italicum” alleanze con le forze giunte in Parlaconsiste nel ritenere che sia possibile mento a seguito delle elezioni. A mio determinare lo scenario politico di un avviso il sistema migliore, quello che paese solo tramite una legge eletto- più tutela la rappresentanza e meglio rale. Nessuna legge elettorale potrà garantisce lo stesso peso elettorale a mai garantire il bipolarismo, nessuna ciascun cittadino, è il proporzionale legge elettorale potrà mai garantire puro, al limite con una soglia di sbarla governabilità se escludiamo il sis- ramento ragionevole per premiare i tema a partito unico, naturalmente. partiti con una reale rappresentanza.

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Attualità

acceleratori e incubatori

la nuova frontiera del lavoro

di Chiara Conselvan

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n tempo di crisi il lavoro si inven- tuito, in questo caso sono già state ta. Il primo passo è individuare sperimentate. i problemi e le mancanze della Alle aziende ancora giovani, non ben società in cui viviamo. Ma tra le organizzate, è stato assegnato un tante, qual è la più grave, di cui nome, ovviamente inglese, che fa tutti parlano? A parere di molti è pensare più al futuro che alle poche il lavoro. Ogni giorno una nuova agen- fondamenta del loro presente: “start zia diffonde le sue stime, sempre più up”. negative, sulla disoccuLe imprese stesse, Lasciamo pazione giovanile, sulla perché di imprese si quantità di persone ai nostri governanti tratta, che forniscono che ormai non cercano i gravosi impegni aiuti alle start up sono socio-economici state chiamate “accelneanche più lavoro e e scegliamo su tanti altri piccoli eratori di start up”. Si dettagli poco incoragtratta per lo più di prol’ambito gianti. Bene. Individu- più consono a noi, grammi di lavoro brevi, ato il problema, ora è di pochi mesi, a cui le che è anche necessario impegnarsi quello più di moda: start up devono sotper risolverlo, perché tostare seguendo obiil nuovo, tutti abbiamo interesse ettivi molto incalzanti il giovane. a inventarci un lavoro per giungere rafforzati che aiuti il lavoro. Lasciamo ai nos- alla fine del percorso ed essere in tri governanti i gravosi impegni socio- grado di incontrare gli investitori. La economici e scegliamo l’ambito più parte finale del progetto è la più imconsono a noi, che è anche quello più portante: è spesso chiamata “Demo di moda: il nuovo, il giovane. Invece day” e corrisponde alla “conquista” di tentare di risolvere i problemi delle degli investitori, che decidono del fugrandi società, già consolidate, ma turo dell’azienda. A vincere è quindi che hanno difficoltà a stare al passo l’idea, che l’acceleratore tenta solo coi tempi, concentriamoci sulle nuove di rendere più appetibile al mercato, realtà, che nascono piccole, senza ma che si scopre vincente solo alla esperienza, a cui riteniamo di avere fine, nel momento in cui entrano in molto da insegnare. Il discorso fila, scena gli investitori. chiaro e lineare, come tutte le buone Prima di questi programmi l’assistenza idee, che però, come avrete già in- alle start up era di un altro tipo e le

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imprese che se ne occupavano venivano chiamate “incubatori d’azienda”. L’idea nasceva dal bisogno di istituzionalizzare l’ambiente che avrebbe assistito nella crescita queste nuove aziende. Il primo incubatore, “Batavia Industrial Centre”, è nato nel 1959 a New York, ma solo negli anni ’80 il progetto ha cominciato a ottenere dei risultati, fino al 2006, quando ormai gli incubatori erano settemila sparsi per il mondo. Il processo di crescita era lungo, spesso durava alcuni anni, e si occupava di affidare all’azienda più che delle vere e proprie conoscenze, dei prerequisiti per lavorare, dagli spazi per gli uffici al reperimento del capitale. L’attenzione veniva concentrata su poche start up contemporaneamente e di solito non erano presenti limitazioni per le diverse tipologie di azienda. Ma nel 2005 un progetto più brillante attira l’attenzione degli imprenditori: Paul Graham lancia “Y Combinator” nella Silicon Valley. Con lo stesso obiettivo dell’incubatore, Graham propone un periodo di crescita non superiore ai tre mesi e inserisce un maggior contatto con la tecnologia. Poche ma significative modifiche al progetto originale rendono i costi inferiori e permettono di seguire più aziende contemporaneamente. Il successo è ampio e sulla sua scia si costruiscono


grandi colossi come TechStars e 500 casi non si è stati in grado di concluStartups, fino agli oltre 200 program- dere l’accelerazione con una crescita mi di accelerazione presenti oggi in di alto livello. I dati empirici però aptutto il mondo. paiono più rassicuranti. C’è, ormai, quasi l’imbarazzo della Guardando all’Europa, ad esempio, scelta per una piccola azienda che la Germania ci appare come un paese riconosca il bisogno di farsi aiutare. “start up friendly”, particolarmente Sicuramente, però, ciò che rende un attrattivo per gli investimenti straniacceleratore più valido eri nei confronti delle “Si tratta di neonate aziende, perché di un altro è il suo netrompere il work di contatti con gli le politiche a riguardo soffitto di vetro hanno semplificato il investitori, poiché è la visibilità il vero obiettivo che impedisce processo privandolo di alle nostre del programma. Inoltre barriere legislative e, è necessaria anche la soprattutto, rendendo il aziende focalizzazione su ambiti di sfondare, sistema fiscale particolarspecifici. Ciò che infatti diventare veri mente favorevole. Anche mancava agli incubatori campioni come la Francia si è avviata era la capacità di svilupverso una semplificazione Facebook pare un tipo di necessità dal 2008, soprattutto o Instagram” già esclusiva di un gruppo di nell’ambito giuridico, asaziende e valorizzarla: ad esempio un sai modernizzato. L’Italia si trova a insostegno pratico mirato alle start up vestire meno in questo settore rispetche offrono servizi a partire da un’app to alla media europea, come dimostra sul telefono. il fatto che la percentuale di giovani Nonostante il valore ormai riconosciu- imprese che registra un brevetto non to dell’idea, uno studio su 29 accel- fa che scendere dal 2007. Ma un passo eratori americani dimostra che il 45% in avanti l’ha fatto nel 2012 quando non è stato in grado di portare almeno è entrato in vigore il decreto svilupuna start up a raccogliere i capitali po 2.0 introdotto dal governo Monti, necessari per completare il proprio che ha ridotto gli oneri per l’avvio di percorso, e addirittura nel 93% dei un’impresa. Nonostante ciò, però, il

numero delle start up italiane resta basso, tra le 4 e le 8mila, forse perché da noi mancano ancora norme consolidate in USA come in altri Paesi europei: finanziamenti pubblici per le imprese, agevolazioni fiscali e programmi più specificatamente territoriali. Ma non è sempre tutto grigio come ce lo dipingono. E’ infatti tutta italiana la fondazione che guiderà il progetto europeo per le start up in tema di digitale. Si chiama “Mind the Bridge” ed è una no-profit nata nel 2010 per introdurre nella Silicon Valley le nuove aziende italiane. Il suo presidente, Alberto Onetti, parlando del progetto spiega: “Si tratta di rompere il soffitto di vetro che impedisce alle nostre aziende di sfondare, diventare veri campioni come Facebook o Instagram”. In questo caso l’Europa dovrà dare solo una spinta, stimolare gli imprenditori, per poi lasciarli al proprio lavoro con le aziende del cui sviluppo si renderanno promotori. Se sarà un buon acceleratore non per questo garantirà il successo: quello è nelle mani di ogni singola start up, nella volontà, nell’intraprendenza e anche, perché no, nella fortuna dei suoi responsabili.

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Attualità

insultami

tratto da una storia vera... di Letizia Foschi

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uesta è la storia della mia migliore amica, Lea. Beh, è la mia migliore amica solo da poco, all’epoca di questa storia appena ci parlavamo. Quello che sto per raccontarvi è successo la sera del 21 marzo 2013. In realtà, cominciò tutto molto prima, all’inizio di gennaio, quando esplose la mania di un nuovo social network: Ask.fm. Ero e sono tutt’ora iscritto, così come Lea: senza che ci sia nulla di male, è soltanto un modo per divertirsi. E’ un social network utilizzato per porre e ricevere domande principalmente anonime e tra gli utenti vi è anche una categoria di persone che si diverte a insultare. “Cyber bullismo”, dicevano sempre a scuola, “uscite da Facebook, da Ask, da Twitter”, “denunciate chi vi disturba”; essendo dei rimbambiti di terza media, tutti questi moniti ci entravano da un orecchio e uscivano dall’altro. Tuttavia, è bastata una sera per far cambiare idea a tutti. Lea era una ragazza un po’ in carne, ma nulla di eccessivo. Era solitaria, timida e secondo la gente si vestiva male; l’ingiustizia più grande, secondo gli altri, era che lei fosse riuscita ad avere un ragazzo per due settimane, a baciarlo, ad abbracciarlo, nonostante il suo corpo e la sua personalità; a differenza di altre ragazze più belle rimaste single. Dopo due settimane dal fidanzamento, nessuno sapeva come, si lasciarono. Posso quasi dire che nessuno sapeva che fossero stati insieme, perché lui volle tenere tutto segreto, temendo di essere visto con Lea. Io, invece, mi chiamo Federico, ed 8

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ero reputato (anche se non ci ho mai creduto) il ragazzo più bello della scuola. Non ero in classe con Lea, ma ero amico di una sua compagna, che, in seconda media, ci invitò entrambi alla sua festa di compleanno, e lì la conobbi. Mi era stata subito simpatica, nonostante la sua timidezza, nonostante il mio odio le ragazze timide. Comunque, torniamo a gennaio 2013 e alla moda di Ask. Tutti ricevevano insulti in anonimo, io compreso, ma credo di non averne mai visti tanti e così vari come sul profilo di Lea. Mi capitavano sulla homepage e devo dire che in un certo senso mi rendeva felice vedere come quella ragazza timida rispondesse con autorità. A tutti piaceva il coraggio delle sue risposte, eccetto a chi la insultava o derideva per il suo fisico. Sfigata, cessa, stupida, pazza. Tutti insulti che non le si addicevano. Mentre, tra gennaio e febbraio, rispondeva con una grande autostima a ogni insulto rendendo tutti noi invid-

iosi di come potesse sopportare quelle voci, dentro la sua mente infuriava una tempesta. Tutti i suoi compagni avevano notato

un taglio lungo e arrossato sul suo braccio, ma, pensando fosse stato il gatto, non ci avevano prestato molta attenzione. I professori comunicarono presto alla mia e alla sua classe che saremmo andati in gita a Vienna insieme. Così, il 20 marzo partimmo. Lea era quasi in cima al pullman, ad ascoltare musica dal suo iPod, senza che nessuno si curasse di lei, isolata dal mondo con le vecchie cuffiette bianche nelle orecchie. Io, come si addiceva al mio personaggio, stavo in fondo al pullman, circondato dai miei amici e dalle ragazze. Una in particolare, Priscilla, sembrava avere un certo interesse nei miei confronti: discorsi non proprio puliti, occhiatine ammiccanti, gesti e posizioni equivoche. Lea mi rivelò, in seguito alla gita, che ero molto gettonato come ragazzo. Dopo parecchie ore di viaggio con qualche sosta per strada a visitare paeselli vari, giungemmo a Vienna, giusto in tempo per la cena. Intorno alle nove, quando ci fummo sistemati e ripresi dalla lunga giornata, le professoresse ci portarono a fare un giro nel quartiere vicino all’hotel. Lea camminava da sola, con il suo k-way rosso e il telefono in tasca, così decisi di avvicinarmi e parlarle. Non ci dicemmo molto, sinceramente non ricordo bene neanche di cosa parlammo; so solo che le dissi: “ti voglio bene, e tu me ne vuoi?” senza neanche sapere davvero ciò che dicevo. Dopo quella sera l’ho vista sorridere per la prima volta, ma non so precisamente se fosse grazie a me. Quella ragazza, Priscilla, mi inseguiva.


Era sempre intorno a me in qualche modo, e si era anche presa una brutta sgridata dalle prof perché non si era portata neanche una giacca a vento, nonostante il gelo viennese. Mi resi conto quando me lo spiegò Lea che lo faceva solo per mostrarsi meglio (sì, ero alquanto rimbambito all’epoca). Quando siamo tornati all’hotel, le poche amiche di Lea la guardavano con un’aria di invidia, e sussurravano ridacchiando il mio nome; io sono andato in camera mia e mi sono messo il pigiama. Poco dopo arrivarono in camera altri ragazzi e ragazze anche dell’altra classe e partì una lunga chiacchierata che durò più o meno dalle dieci all’una del mattino. Lea, nel frattempo, era stata cacciata in camera sua dalle professoresse senza un motivo apparentemente valido mentre le amiche da cui era andata ridevano e scherzavano tra loro. Il giorno dopo visitammo Vienna, e vidi Lea triste in disparte dagli altri. Ma cosa potevo fare? Avevo come delle palpebre trasparenti calate sugli occhi, vedevo solo quello che mi interessava davvero vedere, e Lea non era importante, fino a quella sera. Tornammo all’albergo, e andammo ancora a fare una passeggiata lì intorno prima di dormire. Lea si avvicinava spesso a me, ad un certo punto mi aveva anche detto che le davano un po’ fastidio alcuni insulti su Ask, ma non le avevo dato troppo peso (avevo sempre quelle palpebre trasparenti che mi coprivano la vista). Anche quella sera ci preparammo per dormire, ma in camera mia venne solo Priscilla. Erano le undici e mezza quando, dopo vari discorsi sconci, lei si tolse la maglia del pigiama e mi spinse contro la finestra aperta della mia camera. Mentre cercavo di allontanare quella furia ormonale dal mio corpo alzai un filino il mio sguardo fuori dalla finestra: a sinistra, al quarto piano (tre sopra rispetto a quello in cui mi trovavo io) intravidi una figura scura su un balconcino. Cercai di tenere Priscilla lontana per guardare meglio e mi accorsi che quell’ombra era in piedi fuori dalle griglie del balconcino, che si reggeva attaccandosi alla ringhiera, guardando la strada di sotto. In quel momento mi si aprirono gli occhi. Priscilla, che ancora tentava un attentato alla mia bocca, mi saltò in braccio con fare sospetto e io la spinsi via facendole prendere una brutta

botta. Corsi fuori dalla stanza e incontrai il mio insegnante di alternativa. “Federico! Ma che fai? Torna in camera, subito!” “Non c’è tempo per spiegare!” Mi fiondai al terzo piano, dove c’era la camera di Claudia, una mia compagna, dove andavano quasi tutte le amiche di Lea, compresa la ragazza che stava in camera con lei. “Cosa vuoi, Fede?” “Claudia, chi è in camera con Lea?” “Io” si alzò una ragazza con i capelli biondi corti “perché?” “Dammi le chiavi, veloce” Mi lanciò un mazzo e mi rincorse su per le scale. “Dio, fa’ che siamo in tempo” dissi, pur essendo ateo. Infilai le chiavi nella serratura con le mani che tremavano dalla preoccupazione. La compagna di Lea mi chiese cosa

stessi facendo, ma non le risposi. Aprii la porta e mi fiondai in bagno, dove si trovava il balconcino. “Fermati Lea” dissi. “NO” “Lea ti prego, non farlo. Non c’è motivo, vieni, ti prego” “tutti quegli insulti… facile parlare per te, che vivi sugli allori” “No Lea, non buttarti, c’è tantissima gente che ti vuole bene” Lea si girò lentamente, come se si fosse resa conto in quel momento che stava per fare un grandissimo errore. “Vieni qui, Lea” Mise male il piede e scivolò. Quella notte Lea rischiò di morire per una stupidaggine, se non ci fossi stato io a reggerla. Gli insulti finirono con quella notte, e questo dimostra fino a quanto la gente sia disposta a tirare la corda prima che si spezzi. Io le ho salvato la vita e lei mi ha aperto gli occhi. Per questo oggi siamo a migliori amici.

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Attualità

PROBLEMA SCOLASTICO

di Giulio Castelli

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n momenti di crisi come questi sembra che l’unica ricetta per risparmiare sia il tagliare. Lo stanno facendo tutti: si taglia sulla sanità, sui comuni, si tassano le case e a Milano si taglia sulla scuola. La Giunta infatti ha previsto un taglio di 1,2 milioni, un terzo rispetto all’anno scorso, ai finanziamenti per le scuole paritarie milanesi, restringendo anche il contributo delle derrate alimentari, concesso solo a quelle famiglie con Isee inferiore ai 2.000 euro. A Bologna alcuni comitati hanno indetto un referendum per abolire i finanziamenti che il comune stanzia ogni anno alle scuole paritarie. A votare il referendum erano presenti 86.000 bolognesi (il 28% dei cittadini), e ben 50.000 (il 16% della cittadinanza) hanno votato per l’abrogazione del finanziamento. Ma la scelta politica del sindaco di Bologna sembra differente da quella presa a Milano, infatti così si esprime il primo cittadino bolognese “Se, grazie alla convenzione con le paritarie private, noi assicuriamo al costo di 1 milione un sostegno a più di 1700 bam-

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bini, a parità di spesa riusciremmo al che lo Stato non potrà mai intervenire massimo ad aprire quattro sezioni di a favore degli istituti privati, diciamo scuola dell’infanzia comunale, dando solo che nessun istituto privato potrà risposta ad appena 150 bambini”. sorgere con il diritto di aver aiuto da Quindi poiché il referendum è consul- parte dello Stato. E’ una cosa ben tivo e non decisionale, “Se cede una delle diversa: si tratta della privo cioè del potere di dare o di non due gambe cede facoltà di dettare l’agenda alla dare” e l’altro firmal’intero servizio. tario Codignola dichigiunta “il sottoscritto” Perché la scuola è ara: “Si stabilisce solo afferma il sindaco “si è pubblica. Tutta” che non esiste un diritto presentato alle elezioni ed è stato eletto direttamente dai cit- costituzionale a chiedere tale aiuto”. tadini sulla base anche della volontà Questo dunque non toglie che istituti di mantenere il sistema integrato; ed privati possano chiedere e ottenere è quello che intendo fare”. La bandi- finanziamenti dallo Stato. era dei comitati che come a Bologna Stando però al bilancio, è più oneroso combattono per l’abrogazione dei fi- per lo Stato fornire risorse alle scuole nanziamenti alle scuole paritarie, è paritarie o abrogare qualsiasi tipo di l’articolo 33 della Costituzione che finanziamento? Basta guardare la semafferma: “enti e privati hanno il di- plice realtà. In Italia ci sono 8 milioni ritto di istituire scuole ed istituti di di studenti che frequentano la scuola educazione, senza oneri per lo Sta- statale e 1 milione quella paritaria ed to”. Tuttavia molti costituzionalisti, ogni ragazzo della scuola statale cosin contrasto con quanto affermano i ta annualmente allo Stato circa 6.700 comitati, sostengono che il “senza euro, contro i 450 euro di contributo oneri per lo stato” non voglia dire per un alunno frequentante la scuola che tutto deve essere a carico delle paritaria; lo Stato stanzia alle scuole famiglie, rendendo così vano il conc- paritarie 500milioni, pari all’1,2% deletto di libertà di la spesa relativa delle scuole statali, educazione e il eppure usufruiscono del servizio pub“ t r a t t a m e n t o blico delle scuole paritarie il 12% scolastico equi- della popolazione scolastica. A conti pollente” per gli fatti se uno studente di una paritarstudenti delle sc- ia si dovesse spostare in una scuola uole che chiedo- statale costerebbe in più allo Stato no la parità (art. circa 6000 euro. Questo dato mostra 33). A questo come sia errata l’informazione secpunto sarebbe ondo la quale i finanziamenti che le interessante leg- scuole paritarie ricevono dallo Stato gere a pag. 3378 siano soldi sottratti alle statali. indegli Atti della fatti meno lo Stato sostiene le spese Costituente la delle scuole paritarie, più aumentano d i c h i a r a z i o n e le famiglie che, non essendo più in dell’onorevole grado di far fronte all’aumento delle Corbino che, rette, sono costrette a rivolgersi alle insieme con scuole statali. Pertanto lo Stato avrà l’on. Codignola, ancor meno risorse da investire per aveva proposto le scuole che gestisce direttamente, l’aggiunta di dovendo sostenere costi circa tredici quel “senza on- volte maggiori per i nuovi studenti. eri per lo Stato”. Infine lo Stato risparmia grazie al “Vorrei chiarire servizio reso dalle scuole paritarie 6,3 brevemente il miliardi. È dunque evidente che per mio pensiero. lo Stato sarebbe economicamente più Noi non diciamo oneroso assecondare i comitati e le


scelte della giunta milanese invece che prendere in considerazione il ragionamento del sindaco di Bologna. Tra le decisioni prese dalla Giunta di Milano, oltre ai tagli, stupisce molto il provvedimento sulla Tares, tassa che come prevede la legge di stabilità è di gestione comunale. Infatti a Milano le scuole statali, in quanto scuole, pagano la Tares in relazione al numero di studenti, cosa che non avviene per le paritarie che, esattamente come qualsiasi altro edificio milanese, devono pagare l’imposta a metro quadro della struttura, pagando così imposte circa dieci volte maggiori. Dobbiamo dunque dedurre che secondo la giunta milanese le scuole paritarie non sono scuole, ma semplici edifici privati, e che non svolgono un servizio pubblico alla pari delle statali. Questa evidente disparità (marcata ulteriormente dall’Imu, che secondo la legge di stabilità tocca anche le scuole paritarie) è in contraddizione con la legge 62 del 2000 che all’articolo 1 recita: “Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali”. Per scuola dunque si

intende sia quella gestita da privati che chiedono la parità (paritaria) sia quella statale: entrambe svolgono un servizio pubblico, e tale deve essere considerato il servizio reso da tutte le scuole, che siano paritarie o statali. Come afferma Toccafondi, sottosegretario di Stato al Ministero dell’Istruzione: “Stiamo parlando del sistema pubblico che si regge su due gambe: scuole pubbliche paritarie e pubbliche statali. Se cede una delle due gambe cede l’intero servizio. Perché la scuola è pubblica. Tutta”. Le scuole paritarie, essendo parte attiva del sistema pubblico, devono sottostare a regole ed oneri, alla pari dalle scuole statali, tuttavia la parità e l’effettivo riconoscimento pubblico non sembrano ricambiati. I contributi che lo Stato da alle scuole paritarie sono infatti molto bassi: 584 euro per un alunno della scuola dell’infanzia, 866 per uno della primaria, 106 della secondaria di primo grado fino a ridursi a 51 euro per gli studenti delle superiori; e di media uno studente di una scuola paritaria paga circa 4000 euro di retta all’anno. Non è così negli altri paesi europei, dove le scuole paritarie sono sovvenzionate in maniera sostanziale e in alcuni

casi totale dallo Stato. In Inghilterra le scuole sovvenzionate ricevono il rimborso degli stipendi del personale e le spese correnti (circa l’80% della spesa totale della scuola); in Olanda le scuole sovvenzionate sono finanziate al pari delle Statali per il 100%; in Danimarca invece le scuole private per l’istruzione obbligatoria ricevono sovvenzioni per l’85% delle spese, e in Spagna è lo Stato a farsi carico delle spese, permettendo alle famiglie di intervenire su base volontaria. Questi Stati probabilmente hanno capito il valore e l’importanza pubblica del servizio reso dalle scuole non statali. Anche in Italia credo sia necessario fare passi avanti per quanto riguarda il sovvenzionamento delle scuole paritarie, per il quale penso sia interesse dello Stato muoversi, seguendo il modello di altri paesi europei. In questo modo sarà l’intero sevizio scolastico a trarne beneficio. Infatti lo Stato avrà maggiori risorse da investire nelle scuole statali, e al contempo, riconoscendo il valore del servizio pubblico delle scuole paritarie, potrà dare piena libertà di scelta agli studenti e alle loro famiglie. Fonte: dati MIUR, elaborazione AGeSC

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Attualità

SHALE GAS

PRESENTE E FUTURO DELLA PRODUZIONE ENERGETICA MONDIALE

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di Vittorio Graziano

a diversi anni ormai è in atto su scala planetaria una rivoluzione energetica d’immane portata; motore di questo sconvolgimento è uno solo, lo shale gas. Enormi riserve di gas sono state trovate all’interno di formazioni rocciose, a una profondità compresa tra i 1500 e i 6000 metri. I giacimenti di Shale gas sono diffusissimi e abbracciano ampie zone del territorio, anche per la loro particolare forma (essendo banchi di rocce i giacimenti sono lunghi e stretti e non troppo profondi). Lo shale gas necessita di molto più lavoro per essere estratto; ciò nonostante il suo sfruttamento in grandi quantità è già cominciato da diverso tempo, e continuerà ad aumentare. I paesi in cui sono maggiormente presenti i giacimenti di gas sono tantissimi: si va dalla Cina alla Russia agli Stati Uniti all’Argentina, passando per Francia, Polonia, Ucraina, Arabia Saudita, Libia, Egitto. Potremmo continuare ancora a lungo con l’elenco ma sarebbe inutile; a voi basti sapere che lo shale gas è abbondantissimo e ben distribuito tra i vari stati. Ma cos’è esattamente lo shale gas? 12

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Alcune precisazioni al riguardo sono doverose, esso, infatti, non può essere definito esattamente una “nuova” fonte di energia, poiché, in effetti, non è altro che gas metano (esistono anche giacimenti di shale oil cioè di petrolio ma in quantità minore) intrappolato all’interno di formazioni rocciose. Il gas viene liberato dalle rocce tramite un processo chiamato fracking per poi essere immagazzinato e successivamente immesso sul mercato. Il fracking si divide in varie fasi ed è alquanto complesso; prevede prima una perforazione in verticale per raggiungere la profondità dei giacimenti rocciosi e poi una perforazione orizzontale per raggiungere i giacimenti veri e propri, al cui interno viene successivamente “sparato” un fluido ad alta pressione, solitamente acqua mista a solventi chimici, per frantumare le rocce e liberare il metano. Il metano infine viene catturato, portato in superficie e trasportato negli stabilimenti per essere stoccato e venduto. Nonostante la complessità del sistema di produzione diversi paesi già utilizzano questo metodo per ricavare energia, riuscendo anche a mantenere i costi relativamente bassi. Il vantaggio

insito nel gas è la sua provenienza. Vista la diffusione di giacimenti in tutto il mondo lo shale gas è in grado di far fronte ad uno dei problemi più assillanti per ogni paese, cioè l’indipendenza energetica. Ogni nazione ha bisogno di enormi quantità di energia per poter continuare a svolgere le proprie attività, e l’energia necessaria viene o prodotta in loco o importata dall’estero. I maggiori produttori di petrolio o gas dai quali ottenere energia sono Russia, Arabia Saudita, Libia, Iran, Venezuela, Canada. Tutto il mondo, esclusi i paesi appena citati, deve comprare energia da questi paesi. La reperibilità dell’energia e le sue variazioni di costo hanno da sempre dettato legge nel panorama internazionale ed agitato gli incubi di tutti i diplomatici e politici. Lo shale gas risolve entrambi i problemi poiché è presente in tantissimi stati ed ha un costo contenuto se venduto all’interno della stessa nazione produttrice. Ma non è tutto oro quello che luccica. Esportando infatti il gas prodotto con questo sistema la competitività viene meno e risulta essere non così conveniente, quindi la produzione


di shale gas può essere solo usata all’interno del paese. Inoltre il fracking, cioè il metodo di trivellazione utilizzato per liberare il gas è molto inquinante ed al contempo dispersivo. I solventi chimici liberati nel sottosuolo contaminano il terreno circostante, infiltrandosi anche nelle falde acquifere ( sul web si trovano video di persone che danno fuoco all’acqua che esce dai loro rubinetti); inoltre il totale del metano recuperato dal giacimento è solo del 30%, il resto va disperso. L’altra pesante critica al fracking è legata all’accusa di scatenare terremoti nelle zone di produzione. Fino a pochissimo tempo fa l’accusa di provocare fenomeni sismici era stata rifiutata da molti, ma il 10 dicembre di quest’anno è stato pubblicato un articolo sul Bulletin of the Seismological Society of America (il primo giornale di ricerca avanzata nello studio dei fenomeni sismici) con il quale si dimostrava la correlazione tra il fracking ed i terremoti che avevano colpito il Texas dal 2008 al 2010 (il Texas è stata una delle prime zone di produzione dello Shale gas ). Nonostante dunque i problemi derivanti dall’inquinamento la rivoluzione dello shale gas ha investito, e continuerà a farlo, l’economia mondiale. Più di tutti sono gli Stati Uniti a puntare su questa fonte di energia, il presidente Obama ha deciso di investire da diverso tempo nello sviluppo dello shale gas presente sul suolo americano. La produzione energetica americana è in continua ascesa ed è destinata ad aumentare. Le previsioni sono discordanti riguardo la data esatta, ma tutte concordano nell’affermare che gli Stati Uniti d’America diventeranno il primo esportatore mondiale di energia nei prossimi anni. La rivoluzione portata dal gas di scisto non è solamente legata alla bilancia energetica di un paese ma comprende tanti altri aspetti. Prima di tutto l’aspetto economico. Gli Stati Uniti, in grave affanno per via della recente crisi economica che ha duramente colpito la nazione e in diretta concorrenza con la straripante e mirabolante economia cinese in continua ascesa, hanno ritrovato una speranza. Lo shale gas è diventato un incredibile volano per lo sviluppo in grado di rivitalizzare l’economia americana e di renderla competitiva rispetto al gigante asiatico ed al resto

del mondo. I prezzi del gas crollati in vante dalla produzione americana è USA aiutano lo sviluppo industriale e la diminuzione della domanda di gas a permettono di abbassare i prezzi di livello mondiale, con la conseguenza produzione. Allo stesso tempo il mer- di un abbassamento dei prezzi anche cato dell’estrazione di Gas e della sua per l’Europa, dove viene dirottato tutproduzione (per produzione si intende to il gas prima venduto negli States. l’insieme di processi di raffinazione, Riguardo invece la produzione interna trasporto e vendita sul mercato del di gas sembra molto difficile che ci gas) si è espanso in maniera incon- possa essere una speranza di sviluppo. trollata creando migliaia di posti di Lo shale gas è sicuramente molto aplavoro in tutti gli Stati Uniti. L’altro petibile per ogni nazione poiché va a aspetto fondamencolmare il problema tale interessato da della sicurezza enIl gas viene questa rivoluzione nazionale liberato dalle rocce ergetica è la diplomazia ed i ed è importantissimo tramite un rapporti internazionper lo sviluppo. Nonprocesso chiamato ostante ciò i danni ali. Infatti, la possifracking bilità di utilizzare le ambientali sono per poi essere proprie riserve di gas molto importanti e immagazzinato presenti nel suolo diversi stati tra cui nazionale sta cambila Francia, ha reso ile successivamente ando la politica stalegale il fracking e la immesso tunitense in Medio produzione di shale sul mercato. Oriente e non solo. gas. La contaminaziMentre prima l’importanza dei paesi one delle zone di produzione, il rischio produttori di petrolio era enorme sismico, l’inquinamento acustico e la per l’economia statunitense adesso grande densità abitativa media eula situazione è cambiata. Gli equi- ropea rendono molto improbabile lo libri di potere, già in discussione da sfruttamento dello shale gas senza alcuni anni per via del riaffacciarsi di che le popolazioni locali si ribellino vecchie potenze come la Russia e di alla presenza delle attività estratnuovi giganti come la Cina in tutto il tive (in USA e Canada esistono invece mondo, sono profondamente scossi e vastissime arie di estrazione quasi in pieno cambiamento; Siria, Ucrai- del tutto disabitate, quindi il rischio na, Egitto, Polonia, Giappone, sono di opposizione locale è minimo). tutti stati al cui interno stanno av- Per quanto riguarda la situazione italvenendo grossi cambiamenti, politici iana possiamo notare, come al solito, o economici che siano, legati alla che il nostro paese di materie prime rivoluzione globale dello shale gas. è molto povero. I giacimenti di shale Gli Stati Uniti quindi hanno abbrac- gas presenti non sono, infatti, molto ciato la nuova politica energetica e vasti né ricchi in maniera tale da sembrano seriamente intenzionati intaccare sensibilmente la quantità a portarla avanti, ma per quanto di energia da importare dall’estero. riguarda la buona vecchia Europa? Il quadro che delineatosi è molto chiLa situazione nel vecchio continente è aro; lo shale gas ed in generale il gas molto diversa. Lo shale gas americano metano ha affiancato il petrolio come non influisce moltissimo sulla nostra primaria fonte di energia e nei proseconomia poiché i costi di produzione simi anni arriverà anche a superarlo. alti dovuti alla complessità del pro- La rivoluzione energetica verso fonti cedimento di estrazione non rendono di energia rinnovabili non si è ancora competitivo sui mercati esteri il gas compiuta, ma bensì è stata rinviata a americano. L’unico vantaggio deri- data da definirsi.

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cronache carducciane

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giurisprudenza

osa fare dopo, questo è il dilemma. Beati quelli, pochi, che sin dalla prima elementare hanno già idea di “cosa fare da grandi” e fin da allora non hanno fatto altro che perseguire quel sogno. Per gli altri comuni mortali, invece, arrivati solitamente a questo punto della vita, il futuro si prospetta come un grosso punto di domanda, a partire dalla scelta dell’università. Ecco dunque che mille dubbi si affollano nella testa. Ed è proprio questi dubbi che le seguenti pagine di orientamento tentano di risolvere, almeno parzialmente. Si succederanno, perciò, di numero in numero, le risposte che ex carducciani hanno dato alle nostre domande, ogni volta in merito a facoltà universitarie diverse, una scientifica e una umanistica. Purtroppo, per motivi di spazio, alcune risposte sono state tagliate; troverete tuttavia la versione integrale sulla pagina facebook dell’Oblò, unitamente agli scritti di altri ex carducciani. Tutti loro, inoltre, hanno dato la disponibilità a essere contattati privatamente per ulteriori chiarimenti. Buon orientamento!

le domande 1) Dopo un percorso di 5 anni al Carducci, quali difficoltà si riscontrano scegliendo la facoltà di (...) dal punto di vista della preparazione ai contenuti, del metodo e delle ore di studio? In cosa invece si è facilitati? 2) A cosa va incontro lo studente che sceglie la facoltà di (...)? Che cosa si studia, di fatto? Quali competenze si assumono? A quali aspettative risponde un tale corso di studi? 3) Quanto è impegnativa questa facoltà in termini di ore di lezione + ore di studio individuale? Ci sono materie riconosciute dalla maggior parte come particolarmente ostiche? 4) E’ previsto un test d’ammissione? Se sì, quanto lo hai trovato difficile, quanto e come ti sei preparato, quanto il risultato incide sulla possibilità di essere ammessi o meno all’università? In generale, quali competenze sono richieste allo studente di (...), in cosa dev’essere portato? 5) Quale università (milanese/ italiana/estera) frequenti? Come hai trovato la qualità dell’insegnamento? Quali servizi (laboratori/stage/scambi....) offre la tua università? Com’è l’ambiente che si viene a creare fra gli studenti? 6) Sei soddisfatto della scelta che hai fatto? Perché? Consiglieresti la tua facoltà (o il tuo corso nello specifico)? Perché? 7) Se sei al terzo anno: quali sbocchi concreti per il futuro offre il tuo corso di studi? Sai già cosa vuoi fare dopo?

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claudio fatti, giurisprudenza in statale, iIi anno 1) Francamente, penso che riguardo ai contenuti la preparazione liceale sia grosso modo inutile. Non perché sia inutile di per sé, ma perché i due ambiti di studio sono (con limitate eccezioni) ben diversi. Se il Carducci vi ha insegnato a studiare efficientemente (bene e nel minor tempo possibile), questo invece vi sarà utilissimo. 2) Di fatto la maggior parte dei corsi non sono altro che lo studio, più o meno analitico, di un ramo di un ordinamento giuridico (tendenzialmente di quello italiano, ma non solo). Poi certo ci sono numerosi corsi di altro tipo. Penso alle materie più “storiche” (diritto romano, storia del diritto medievale e moderno, diritto greco etc) o ad altre come economia politica, filosofia del diritto e così via. Le competenze che si assumono sono molto generiche, almeno per i corsi dei primi anni, e comunque nulla che sia già di per sé spendibile sul mercato del lavoro. Insomma, qualsiasi cosa vogliate fare dopo penso che ne avrete ancora da studiare. Ad oggi mi sembra di aver assimilato parecchie nozioni, ma poco altro. Non penso che la facoltà di Giurisprudenza formi dei giuristi in senso proprio. Per quella che è la mia esperienza direi che in genere forma più dei burocrati o dei legulei. 3) Le ore di lezione non sono tante, ma a volte possono essere pesanti (specie se al pomeriggio). Assolutamente niente di infattibile, però. Sono pochi quelli che frequentano assiduamente le lezioni, ma io lo consiglio caldamente. Lo studio individuale richiesto, come sempre, varia da persona a persona. Io di mio studio molto poco, ma c’è chi davvero si ammazza. Diritto privato, dirirtto commerciale, procedura civile sono alcune delle materie che godono della fama peggiore. Ma se posso darvi un consiglio diffidate sempre delle voci. In soli tre anni ne ho sentite di ogni sui corsi, sugli esami, sui professori, sulle commissioni... Il più delle volte erano sciocchezze. Spesso chi diffonde queste voci negative sta solo cercando alibi per i propri fallimenti. Credetemi, passare un esame o meno dipende solo e soltanto da voi e dalla vostra preparazione. 4) Non sono previsti test di ammissione. C’è un test (Verjus) “di autocertificazione” - verso novembre – ma non preclude nulla ed è riservato solo a chi abbia ottenuto un voto di maturità inferiore ai 70/100. Per Giurisprudenza non servono doti particolari: dovete aver voglia di studiare e una buona memoria aiuta, ma vi assicuro che non è fondamentale. Studiare il diritto non significa affatto imparare a menadito lunghi elenchi di articoli: io detesto studiare a memoria, non l’ho mai fatto. Nonostante questo però non ho mai dovuto ridare un esame e anzi tiro avanti con una buona media. 5) Frequento l’Università degli Studi di Milano. Per quanto può valere il giudizio di un semplice studente, tendenzialmente sono rimasto soddisfatto dei docenti che ho avuto, salvo qualche caso (uno clamoroso). Oltre alla didattica non saprei cosa dire. Laboratori non ce ne sono. C’è qualche seminario, alcuni interessanti, ma le informazioni ve le daranno di volta in volta i docenti. Per il resto non so davvero nulla. Non saprei cosa dire nemmeno riguardo l”ambiente”. Sono uno che non parla molto e si fa gli affari suoi. 6) No, non sono per nulla soddisfatto. Ma per questioni mie, non per questioni strettamente relative alla facoltà. Vorrei andarmene di corsa da questo Paese dopo gli studi e devo dire che Giurisprudenza non è la facoltà più adatta a questo scopo. Non che non si assumano punto competenze utili, intendiamoci. Ma penso che il più delle competenze (poche) e delle nozioni (tante) che ho acquisito non sia spendibile su un mercato del lavoro diverso da quello italiano - e quindi credo di aver buttato via parecchio tempo utile. Ma è un problema mio, non dell’Università. Questo risponde parzialmente all’altra domanda. Se pensate di emigrare, pensateci bene prima di iscrivervi a Giurisprudenza, perché tra le competenze offerte non sono moltissime quelle spendibili all’estero. Se invece “da grandi” volete svolgere professioni forensi nel Belpaese, ovviamente Giurisprudenza vi tocca, a prescindere dai miei consigli. Ma se non avete voglia di studiare... Beh, lasciate perdere. Spesso gli esami si passano anche studiando poco e male. Ma non so quanto sia utile. 7) Giurisprudenza dura 5 anni. Vorrei lavorare in ambito finanziario, quindi organizzerò di conseguenza i corsi a scelta dei prossimi anni.


fisica luca spinicci, fisica in statale, ii anno

1) Finché ero al Carducci ho sempre viaggiato tra il sette e l’otto e mezzo, ma alla fine del primo anno di università avevo passato due esami su sette. Dove stavano i problemi? Al classico vi dicono che siete la crème, a fisica siete scarsi quanto gli altri (un po’ più scarsi di chi esce dallo scientifico) e vi dovete dare una mossa. Però le conoscenze pregresse non contano molto e si esauriscono subito anche per gli altri. Il fatto di venire da scuole diverse è solo un indice di quanto in gamba siete, poi conta solo la passione che ci spendete - al classico si considerano poco gli errori di calcolo se il concetto c’è, a fisica ti devastano la media. 2) La fisica è solo per chi ne è appassionato. Se vi piace e siete disposti a rischiare di rimanere un po’ indietro sui semestri avete quasi tutti i requisiti. I programmi iniziano quasi da zero in analisi (matematica) e da zero in tutto il resto. Quello che conta veramente è saper studiare bene ed essere disposti ad esercitare la propria logica con tanti esercizi. 3) In classe si sta poco (circa 22 ore settimanali), solo i laboratori rubano un po’ di ore, ma il grosso del lavoro è a casa. Si studia molto più che al liceo, ma ci sono periodi in cui non si ha quasi nulla da fare. Analisi 1 è l’esame catenaccio al primo anno: passato quello le cose sono assai più rilassate. 4) L’esame c’è ma si è ammessi anche non passandolo. Serve per capire quanto lontani si è dalle capacità logiche richieste. Consiste nella risoluzione di brevi problemini di fisica e matematica. Se va male non è un dramma, nessuno ne tiene conto ma sapete su cosa dovrete fare molto più esercizio. Quest’estate fate esercizi e se volete dare un occhio a un concetto utile non per il test ma in generale per l’anno, fatevi un’idea vaga di cos’è l’integrale. 5) Studio all’università Statale di Milano. L’insegnamento è di medio-alta qualità e le strutture sono tendenzialmente adeguate. Esistono vari laboratori (obbligatori per lo più, non scamperete) e una scelta pressoché infinita di corsi per la laurea specialistica. Professori e studenti contribuiscono a creare un ambiente molto caldo e vivace. 6) Sono molto contento della mia scelta perché fisica ha la fama (perfino esagerata) di essere molto difficile e questo attira persone molto capaci e desiderose di mettersi alla prova. Il risultato è un ambiente stimolante e molto gradevole.

simone zanin, fisica in statale, ii anno

1) Ovviamente a Fisica si va avanti a pane e matematica, quindi ci sono concetti abbastanza ostici a cui noi classicisti non siamo abituati. Il problema maggiore è affrontare una materia come Analisi, che ha bisogno di tempo per essere digerita. Quello in cui siamo un po’ favoriti è la capacità del “problem solving”, ovvero mettere in pratica i concetti assimilati è un po’ più facile per chi come noi è abituato a tradurre frasi di cinque righe in greco. 2) Il corso di studi si sviluppa in un triennio comune a tutti e un biennio per la specialistica. Io sono al secondo anno e vi posso dire che all’inizio si affrontano materie come Analisi e Geometria, che servono a familiarizzare con il mondo della matematica; in parallelo si studiano le materie più prettamente fisiche, dalla Meccanica, all’Ottica, ai fenomeni ondulatori all’Elettromagnetismo. Nei primi semestri c’è un solo modulo di fisica, mentre dal secondo anno aumentano a due gli insegnamenti sulla fisica fino all’ultimo anno in cui si studiano solo materie a scelta che indirizzano verso un determinato ambito. Ovviamente lo sbocco principale di questa facoltà è andare a fare ricerca in fisica, nei due grandi ambiti: teorico (in cui si ragiona più di matematica per cercare di indagare e interpretare nuovi fenomeni) o quello sperimentale (per trovare riscontro alla parte teorica). I fisici, però, sono ricercati in moltissimi ambiti del mondo del lavoro: in economia e nell’informatica, o anche nelle aziende per ricercare metodi più efficaci in certe situazioni. 3) Da alcuni è considerata la facoltà più ostica in assoluto, e, a mio parere, non a torto. Ovviamente materie come l’Analisi o l’Elettromagnetismo non sono argomenti di facile comprensione, per chiunque. Però, superato un certo scoglio iniziale, poi il resto non è più nulla di nuovo, in un certo senso. Le ore di studio sono molte, di più di quelle sostenute al Liceo, ma l’orario di lezione effettivo ha molte meno ore (circa 20-25 a settimana). Quello che però conta molto è essere costanti e capire volta per volta i concetti, o almeno cercare di assimilarli. Appena si perde il ritmo, si rischia di rimanere indietro fino alla fine del corso (ve lo dice uno a cui succede di continuo). 4) C’è un test, ma che non preclude l’accesso all’università; se non si raggiunge il punteggio richiesto, si deve affrontare un “esame di riparazione” oppure superare l’esame di Meccanica per poter poi dare quelli del secondo anno, ma nulla di terribile. 5) Io studio all’Università degli Studi di Milano (non al Politecnico, mi raccomando!) e la sede della facoltà è in via Celoria 16, zona Piola. La qualità dell’insegnamento è buona, ma l’università ha aule e attrezzature che a volte lasciano un po’ a desiderare, ma nel complesso non ci si lamenta. Le opportunità di scambio ci sono, come in ogni università, anche se non molti le sfruttano, perché andare all’estero significa molte volte rimanere indietro con i corsi che si saltano; anche se si possono dare nel paese di destinazione, comunque non sempre sono al livello di come verrebbero erogati qui in Italia. Strano a dirsi, infatti, ma, almeno fino alla Laurea, la qualità dell’insegnamento della Fisica da noi è concorrenziale se non migliore di quello degli altri Paesi europei. Dopo la Laurea, però, come si sa, l’offerta di ricerca qui in Italia è carente, quindi le università straniere sono ben contente di accogliere studenti ben preparati e a costo zero nei loro laboratori! L’ambiente è molto particolare: i fisici sono tizi un po’ matti, ma c’è anche gente normale. Troverete un clima molto rilassato, perché siamo in pochi e tutti abbastanza tranquilli, senza grosse pretese. 6) Sì, sono soddisfatto perché le materie che studio mi piacciono molto. Ho scelto questo corso perché mi intrigava poter scoprire come funziona l’Universo e imparare a comprendere fenomeni stranissimi e quasi “paranormali” come la Meccanica Quantistica o la Relatività. Anche se a questi argomenti non sono ancora arrivato, quelli che ho studiato finora sono interessantissimi lo stesso. La mia facoltà la consiglio perché è molto rinomata e ha professori davvero validi, oltre che una delle prospettive di ricerca più importanti al mondo, che è il CERN di Ginevra (buona parte dei ricercatori italiani che lavorano lì provengono da Milano). 7) Una delle prospettive che mi intrigano di più è quella che di andare a fare ricerca all’estero, dove la richiesta è alta e anche il trattamento non è male. L’ideale sarebbe iniziare così e poi diventare professore universitario, ma per pensare a quello c’è ancora tempo. Altrimenti, ci sono campi più “applicativi” che hanno prospettive davvero incredibili, come i computer quantistici, che rischiano di diventare una frontiera avanti anni luce nell’informatica e che potrebbero rivoluzionare il nostro mondo. Se anche qui non dovessi sfondare, vorrà dire che mi metterò a fare il lavoro degli economisti dove le loro conoscenze di matematica non gli permettono di lavorare!

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cultura

leonardo tuttofare il genio di da vinci

di Alice De Gennaro

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rchitetto, scultore, scenografo, inventore, pittore, anatomista e musicista: Leonardo da Vinci, le mani che modernizzavano il passato e la mente che puntava al futuro. Non c’è artista o scienziato nel mondo che non abbia sentito parlare di lui. Celebre per i suoi quadri, certoamente tra i più famosi al mondo. Ma forse sottovalutiamo quante delle sue invenzioni influenzino ancora la tecnologia odierna. Molti conoscono i suoi studi sul volo, ma mi credereste se vi dicessi che Da Vinci ha inventato il primo ‘robot’ della storia? O che ha rivoluzionato il mondo della guerra, del teatro e anche della musica? Se qualcuno me l’avesse detto, fino a pochi giorni fa, io avrei fatto fatica persino a crederci. Ma ciò accadeva prima di visitare “Il Mondo di Leonardo”: una mostra situata all’ingresso della Galleria Vittorio Emanuele II e aperta ai visitatori fino al 28 febbraio 2014. L’esposizione presenta il genio di tale artista senza tempo, soffermandosi su invenzioni di cui pochi hanno sentito parlare; essa mostra infatti una grande varietà di costruzioni in scala o a grandezza naturale riprodotte in base alle descrizioni presenti nei Codici di Leon16 12

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ardo; inoltre sono state allestite piat- di un uccello e degli elementi che gli taforme interattive per i visitatori più permettono di volare, completo di giovani, compresi giochi di assemblag- citazioni e appunti presi dallo stesso gio, animazioni 3D e alcune macchine manoscritto. Da menzionare ci sono speciali per il Workshop, un gioco nel anche i vari modelli di ali da lui proquale si può creare la propria inven- gettati e sospesi nell’aria. Il genio zione e poi stamparla su fogli che dell’artista appare irraggiungibile, permettono uno sconto sui libri del fuori dalla nostra portata e, sopratBookshop o sul biglietto per un’altra tutto, sospeso nell’aria come le sue visita! Il museo non ha tralasciato ne- invenzioni, quasi non obbedisse alle anche una degna cronologia della vita leggi della gravità, poiché non viene di Leonardo e delle invenzioni che lo posto alcun limite quando si tratta di hanno reso grande. Naturalmente non ciò che l’immaginazione e la determimancano rappresentazioni delle sue nazione di un singolo uomo possono opere più famose, atfare. Questo Da Vinci traverso piattaforme ce l’ha dimostrato, perUn obiettivo interattive che mostraché un obiettivo rimane rimane tale no il restauro di quadri tale anche quando semanche quando come il “Cenacolo” o bra impossibile, anche la “Gioconda”. Così sembra impossibile, quando realizzarlo siganche quando come pagine originali nifica donare se stessi realizzarlo dei suoi famosi Codici e e il proprio tempo verso significa ricostruzioni di invenziun risultato ancora ipodonare se stessi tetico, che magari non oni come il leone meccanico, progettato per e il proprio tempo verrà mai raggiunto. muoversi davanti al re verso un risultato Insomma Leonardo Da di Francia porgendogli ancora ipotetico. Vinci rimane tutt’oggi dei gigli che emergono un punto di riferimento dalle sue fauci. Ma ho trovato molto per la tecnologia moderna e per quella interessante anche il Codice sul Volo: delle generazioni future, e “Il Mondo una postazione digitale con pagine di Leonardo” rende onore a un eroe del Codice complete di animazioni 3D che vive ancora nelle nostre ambizioni sullo studio della struttura del corpo attraverso i modelli della mostra.


i milanesi ammazzano il sabato (richiamando in vita faber)

di Alessandra Venezia

C

ome dimostra la canzone degli Afterhours, i milanesi hanno una specie di culto per il sabato sera. Il sabato rappresenta la via di fuga di studenti e lavoratori, che per una sera a settimana possono darsi a gioie e follie notturne, senza preoccuparsi di scadenze e sveglie mattiniere. Ma non è di un sabato sera qualsiasi che voglio parlarvi, bensì di sabato 11 gennaio. Quindici anni fa, in questo stesso giorno, moriva Fabrizio De Andrè e i milanesi hanno la tradizione di riunirsi in piazza Duomo ogni 11 gennaio per cantarlo e ricordarlo. Insomma, una cantata anarchica anziché una cerimonia funebre. Non c’è niente di organizzato nel dettaglio, basta che chi voglia si presenti con strumenti musicali, libri, coperte, bottiglie di vino, thermos di caffè e soprattutto con una gran voce in petto e sia disposto a cantare per tutta la notte. L’appuntamento è alle otto di sera, ma la piazza rimane vuota fino alle nove – i milanesi oltre ad ammazzare il sabato rimangono degli incorreggibili ritardatari – quando pian piano arrivano i primi musicisti e i primi coristi. In breve tutto il sagrato è riempito da scarpe e custodie di strumenti. Si crea un gruppo grande, con al centro un’orchestra che comprende, fra gli altri, una fisarmonica, un ukulele e un mandolino, e poi gruppetti più piccoli sparsi per tutta la piazza. Un signore sui sessant’anni chiacchiera con un ragazzo di diciotto, a vedere dai gesti che fanno sembra che parlino di musica. Una ragazza suona il tamburello completamente assorta, probabilmente non azzecca nemmeno una nota, però di sicuro si sta divertendo. È la stessa che ad ogni ritornello lancia grida che stordiscono. Forse ascoltarla no, ma certamente guardarla è uno spettacolo dentro lo spettacolo. C’è addirittura un gruppo-vacanza al completo. Le classiche famiglie amiche da generazioni, con nonni, cugini, figli, nipoti e pronipoti. Si agitano di continuo, si alzano, si

siedono, tra una strofa e l’altra chiacchierano dell’ultimo viaggio in Marocco. E poi ci sono gli eterni solitari che per apprezzare la musica devono stare un po’ in disparte, come il violinista sul lato destro del Duomo, che non suona le stesse canzoni degli altri gruppi, preferisce seguire una sua scaletta personale. Milano l’è bela per davvero stanotte. Le canzoni si susseguono una dopo l’altra, intervallate da grida imploranti di qualcheduno che pretende di cantare la sua canzone preferita e da passaggi di bicchieri di vino o di caffè. Bocca di rosa, Don Raffaè, un pazzo, la ballata dell’amore cieco e quella di Michè, la canzone dell’amore perduto, Geordie, il pescatore, un medico, il suonatore Jones e tante altre, ripetute più volte, alcune solo suonate perché la voce vien meno. L’allegra combriccola va avanti per tutta la notte, fino all’alba. Si è concluso un altro sabato sera, i milanesi si ricompongono e piano piano tornano nelle loro case. Fra poche ore si risveglieranno nei letti quotidiani e faranno colazione ciascuno nella propria cucina.

Sono rare le situazioni in cui persone di età ed esperienze diverse si ritrovano insieme per uno scopo comune. Milano è una città grande e dispersiva, offre tanto ma non incoraggia a cogliere ciò che propone, forse per via della scomodità o delle lunghe distanze. Ed ecco che i milanesi si ritrovano a fare spesso le stesse cose nello stesso quartiere con le stesse persone. Sabato 11 gennaio non è stato solo un momento in ricordo di Fabrizio De Andrè, è stato molto di più. Il risveglio di una metropoli dal torpore invernale, il canto comune verso una nuova idea di comunità. Una comunità in cui adulti e ragazzi si trovano seduti gli uni accanto agli altri (e per di più di sabato sera) per condividere parole e musiche che hanno accompagnato intere generazioni. Ma in fondo è questo l’obiettivo di un uomo che fa arte: comunicare e far comunicare. E invece il compito di chi ascolta e legge e canta la poesia è sentire, con tutto il corpo, e rispondere. Le risposte possono essere di vario tipo, alcune sono silenziose e altre fanno molto più rumore. Certo è che Milano e i milanesi l’altra notte hanno risposto.

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cultura

cantaMI LA NOstra città, o Musa... di Martina Brandi

A

lla scoperta del tempio del cotto lombardo...

Ca’ Granda - Attualmente sede dell’Università Statale, la Ca’ Granda sorse nella Milano di metà Quattrocento come ospedale pubblico per volere di Francesco Sforza, neo Duca della città che intendeva in questo modo accattivarsi il favore dell’opinione pubblica. Oggi essa ci appare enorme e misteriosa, piena di antri e cunicoli, di colonnati, ballatoi, portici e giardini, aule, corridoi, svolte, scale che salgono, scale che scendono; di tutto un po’, anzi molto. Il perimetro che racchiude queste meraviglie, infatti, è lungo quasi 800 metri. Al suo interno, la struttura si articola in diversi edifici; la planimetria, tuttavia, è molto simmetrica e la suddivisione degli spazi assai funzionale, visto l’iniziale ruolo rivestito dall’edificio: al centro vi è un grosso cortile porticato di forma quadrata, al quale si accede mediante l’ingresso principale in via Festa del Perdono, affiancato sul lato destro e sinistro da altri otto cortili, quattro per lato, più piccoli del primo ma anch’essi di forma quadrata. A circondarli, separandoli l’uno dall’altro, i bracci dell’edificio. Gravemente danneggiata dai bombarda18

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menti durante la seconda guerra mondiale, la struttura fu poi ricostruita più o meno fedelmente rispetto all’impianto originario: mentre per la parte destra, infatti, si seguì l’originario schema quattrocentesco, e ci sono perciò ancora oggi le antiche forme e decorazioni, l’ala sinistra è frutto di una commistione di stili più scarni e moderni. Nel 1456 il duca di Milano affidò il grandioso progetto al Filarete, celebre architetto toscano, rinomato per la sua maestria nelle tecniche costruttive più avanzate e all’avanguardia. La costruzione ebbe inizio a partire dal quadrilatero di destra, il più antico per l’appunto, che mostra perciò le caratteristiche più tipiche dello stile rinascimentale lombardo: circondano i quattro cortili, infatti, due ordini di logge sovrapposte, rette da sottili colonne in pietra su cui poggiano archi a tutto sesto; a tale purezza ritmica, di derivazione brunelleschiana, si contrappone, però, un’esuberanza delle decorazioni in cotto, materiale, ampiamente utilizzato in questo periodo, dal caratteristico colore rosso contro cui si staglia il candore degli archi e del colonnato. Sui quattro cortili, che ancora portano i nomi dell’ospedale (“Ghiacciaia”, “Legnaia”, “Farmacia”, “Bagni”), si

aprano innumerevoli porte e portoncini più o meno esplorabili, tra loro comunicanti tramite una fitta rete di corridoi e scalette che dal seminterrato, dove si trovano oggi custodite le preziose biblioteche, conducono alle balconate, dove tra un’ora di studio e l’altra gli studenti prendono una boccata d’aria in un clima molto disteso o, per così dire, sciallo. Quest’aurea di tranquillità, in effetti, caratterizza l’intera ala destra, come se nelle antiche forme fosse permeata la calma e il silenzio dell’ospedale quando ancora garantiva cura e riposo ai malati. E lo stesso si può tutt’oggi dire per via Festa del Perdono, dove, non appena cessa il brulichio universitario, torna a regnare una pace surreale e un’atmosfera sospesa. Lungo via FdP si estende la facciata principale dell’università, lunga quasi 300 metri; per le sue mastodontiche dimensioni, essa pare incastonata tra gli edifici e gli stretti vicoli che la circondano e che nel Quattrocentesco costituivano l’originale impianto urbano della città. Anch’essa, come l’intero edificio, appare tripartita negli stili di composizione: si succedono, da destra, il più antico stile rinascimentale lombardo, lo stile barocco e il più tardivo stile neoclassico.


nicione in cotto ampiamente decorato, eccetera eccetera eccetera. Un giro in biblioteca, pausa pranzo nell’economica ma rimpinzante mensa, un caffè fuori dalle mura fra la vivace atmosfera universitaria (finchè non andate in periodo di esami!). Insomma, a questo punto sta a voi godervi l’esplorazione e, se siete un po’ curiosi, informarvi sulle mille cose che non vi ho potuto dire riguardo la storia di questo grandioso edificio.

Mentre la facciata quattrocentesca, infatti, è organizzata secondo un lungo basamento sul quale si innalza un porticato (che riprende i motivi dei colonnati interni), quella settecentesca è costituita, seguendo un più sobrio stile neoclassico, da una vasta parete intonacata in rosso scuro sulla quale si alternano semplici paraste. A separare le due ali, la parte centrale di età seicentesca, sulla quale si apre il maestoso portone principale, coronato di timpano e decorato secondo il gusto barocco. Lo sorvegliano ai due lati le statue dei più celebrati santi milanesi, San Carlo e Sant’Ambrogio. Attraverso il portone, si ha accesso al chiostro principale, detto “del Richini” in memoria dell’architetto che ne elaborò il progettò nella prima metà del XII secolo. Al di là del vasto ed elegante cortile, in posizione frontale rispetto all’ingresso, si trova la piccola chiesa a pianta rettangolare di Santa Maria Annunciata all’Ospedale Maggiore, priva di facciata ma distinguibile grazie al tiburio che si eleva al di sopra delle arcate del portico. La pala dell’altare, tutt’ora presente e degna di nota, è opera del Guercino. La cripta della chiesa, fu utilizzata nei secoli come ossario per i morti dell’ospedale, tumulati a centinaia al suo interno; fu tomba, inoltre, di molti dei caduti delle Cinque Giornate di Milano: alle pareti si possono ancora leggere numerosi i nomi dei patrioti seppelliti un tempo là sotto. La facciata posteriore dell’ospedale, che oggi affaccia su via Francesco Sforza, prospettava originariamente sulla cerchia dei navigli. Attraverso la cosiddetta Porta della Meraviglia, si accedeva al ponte che congiungeva l’ospedale con il suo cimitero, l’attuale Rotonda della Besana. L’ala sinistra, infine, di fattura ottocentesca, dopo i bombardamenti fu

ricostruita ed integrata con strutture più moderne; oggi qui si trovano le grandi aule dell’università dislocate su più piani collegati tra loro da scaloni. Degli antichi quattro cortili porticati ne rimangono tre (“Pesci”, “Ospedale”, “Cortile del ‘700), mentre il quarto ospita oggi l’Aula Magna. A nord l’edificio si affaccia su via Laghetto, dove un tempo, trasportati sulle acque del laghetto, giungevano i marmi per la costruzione della fabbrica del Duomo. E tutto questo solo per darvi un’idea! La Ca’ Granda è un luogo affascinante, tutto da scoprire, e se non avrete la fortuna di passare lì cinque anni della vostra vita fateci comunque un salto di tanto in tanto. In estate potrete godervi la pace dei suoi freschi chiostri fra le accoglienti mura rosse di mattoni e cotto; in inverno, magari quando fuori piove ed è subito buio, esplorarne ogni meandro come foste all’interno di un castello medievale. Affacciandovi dai piani superiori, inoltre, vedrete spuntare da sopra i tetti quattrocenteschi le alte guglie del Duomo o la sommità squadrata della torre Velasca. Un’oretta almeno andrebbe dedicata all’osservazione della sola facciata, degli originali busti in pietra che sbucano dai medaglioni posti fra gli archi delle finestre, del cor-

Fornace Curti - Poche parole su questo luogo alquanto particolare. La Fornace Curti esiste dal 1400 e, sin da allora, è di proprietà della famiglia Curti, che di generazione in generazione tramanda l’attività di padre in figlio. Situata originariamente nei pressi delle Colonne di San Lorenzo e poi spostatasi altre due volte (in Ripa di Porta Ticinese e poi sul Naviglio Grande), si trova oggi in via Tobagi n°8, nei pressi della fermata della metropolitana di Romolo. La posizione attuale non è molto comoda da raggiungere ma una visita, almeno una volta nella vita, è d’obbligo. Nella Fornace, come il nome stesso suggerisce, si lavora l’argilla nelle sue diverse forme, dando vita a sculture, vasi, maioliche, piastrelle e decorazioni di vario genere. Entrando dunque nel perimetro della Fornace ci si trova subito a girovagare fra pezzi d’argilla dalle forme e dimensioni più diverse, appesi o disseminati qua e là fra piante ed edifici. Non si tratta, infatti, di un’unica struttura bensì di un complesso variegato di casupole e officine dove sono ospitati i laboratori di vari artisti e maestri dell’argilla. Nell’1400, in concomitanza con la costruzione dell’Ospedale Maggiore, venne commissionata alla fornace la produzione di una serie di formelle e mattoni sagomati destinati alla fabbrica dell’ospedale. Tutti i cotti di via Festa del Perdono provengono infatti dalla Curti, che sin da allora rivestì un ruolo di fondamentale importanza all’interno del capoluogo lombardo.

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INGLORIOUS REVIEWERS

le professioni del cinema: l’aiuto regista

a cura di Bianca Carnesale

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bbiamo intervistato per voi Roberto Farina, carducciano (anni 19771982), aiuto regista e insegnante.

Come era il Carducci? Era il momento in cui finiva l'età della contestazione giovanile. C'era molto fermento. La parola d'ordine era "partecipare". C'erano assemblee, dibattiti, collettivi. Persino assemblee dei gruppi che erano stufi delle assemblee! Nonostante questo si studiava parecchio. C'era molta selezione da parte degli insegnanti, per la maggior parte molto validi, con la capacità di trasmettere non solo nozioni. Percorso di studi dopo il diploma? Inizialmente travagliato: mi sono iscritto a Ingegneria, ho dato gli esami del primo anno. Ma sentivo una grande nostalgia delle materie umanistiche. Appena potevo, andavo a Bologna e seguivo qualche lezione al Dams per respirare una boccata d'ossigeno. Mi sembrava impensabile che si potessero studiare materie tanto belle. E' finita che mi ci sono laureato. Ho trasformato così una mia passione giovanile in quello che sarebbe stato il mio lavoro. E' servito il Carducci? Direi proprio di sì. L'impostazione del liceo classico, meditativa, è stata molto utile. Non si può pensare di affrontare degli studi di cinema senza aver fatto storia dell'arte, filosofia e letteratura italiana. Negli esami di storia del teatro e di drammaturgia mi sono ritrovato la tragedia e la commedia greca e romana. E così pure in estetica e in semiologia sono saltati fuori alcuni vecchi conoscenti: Platone, Aristotele… Mi sono sentito un 20

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privilegiato per poter affrontare alcune opere (alcune frasi!) nella lingua originale, proponendo interpretazioni. Nel lavoro la padronanza della lingua italiana mi è servita molto per le recensioni (che scrivo per alcune riviste) e poi nella stesura (o nella correzione) di soggetti e di sceneggiature. Una buona cultura generale è un bel portafoglio da cui estrarre nei momenti del bisogno. Girare film presuppone conoscere tante cose: oggi hai da rappresentare uno psichiatra, domani un estetista o un ferroviere, o un centurione...

Come hai cominciato a lavorare nel mondo del cinema? Essendomi laureato in cinema, la mia prima preoccupazione è stata quella di entrare in contatto con quel mondo. C'è stato un lavorio di presentazione, telefonate, "gite" a Roma presso le case di produzione. Un lavoro complicato, fastidioso (sapeva un po' di piazzismo) e spesso privo di risultati. Fortunatamente avevo già instaurato un piccolo rapporto con Pupi Avati, su cui ho scritto la tesi. Una mia insegnante mi ha imposto di andare a intervistarlo. Io non ne volevo sapere, data la mia timidezza. Ma poi ho ceduto. Lui è stato fantastico: mi ha ricevuto, ha risposto a tutte le mie domande. Mi

ha offerto di fare l'assistente volontario in un suo film (che vuol dire fare un po' il jolly, dal portare caffè al provare la parte agli attori, al tenere pulito il set, senza percepire stipendio). Mi ha richiamato, retribuito, per il film successivo. Da allora sono passati 14 anni e 15 film insieme! In cosa consiste il tuo lavoro di aiuto regista? Quando arriva sul set, il regista deve poter girare le inquadrature previste nel più breve tempo e nel modo migliore possibile. Occorre che tutto sia pronto: attori (scelti, vestiti, truccati, pettinati e con le battute memorizzate), comparse (idem), scenografia, props (oggetti che vengono usati in scena dagli attori), che le luci e le macchine da presa siano nella posizione fissata dal regista (o almeno siano pronte per essere predisposte). Tutto questo è sotto la responsabilità dell'aiuto regista, che fa un po' da anello di congiunzione tra tutti i vari reparti. Se lo scenografo, per esempio, ha qualche problema o qualche dubbio, lo chiede all'aiuto regista, e così pure il costumista o l'attore. Questi darà risposte in base ai colloqui preventivi col regista, alla conoscenza della sceneggiatura e dei problemi produttivi. In pratica, deve cercare di liberare il regista da tutti quelli che non sono i compiti creativi. Poi c'è tutta la parte della preparazione: prima dell'inizio delle riprese del film deve preparare il programma delle riprese, valutare i fabbisogni (cioè quello che servirà sul set), convocare o far convocare gli attori. A volte ha il compito di preselezionare col regista il cast del film e di scegliere le comparse. Oltre alla competenza, quale dote occorre avere per questo lavoro?


La qualità principale che si deve avere credo sia la pazienza e un briciolo di psicologia. Gli attori sono spesso psicologicamente molto deboli, proprio per via del lavoro che devono fare su se stessi. Inoltre spesso le ore di lavoro sono tante e le persone con cui lavori sono stanche e irascibili. E poi la disponibilità a un orario (e a condizioni) di lavoro spesso massacranti. Ricordo ad esempio che per il film "Una sconfinata giovinezza" girammo per una settimana in un paesino sulle montagne reatine: faceva freddo, si lavorava tutto il giorno sotto una pioggia torrenziale. La sera si strizzavano le scarpe e il mattino si ripartiva. Però vi assicuro che se si fa con passione tutto è motivo di divertimento. Quale è stato il lavoro più impegnativo e perché? Sicuramente "I cavalieri che fecero l'impresa", perché era un film in costume medievale, dove spesso avevamo in scena parecchi cavalli, quasi sempre irrequieti, e numerose comparse, tutte da preparare in costume. E poi anche una nave, e il mare non ci ha aiutato per niente. Ma è stato anche il più affascinante, sia perché abbiamo girato mezz'Italia, sia per il fascino di trasportarsi ogni mattina in

un'altra epoca. Era divertente mangiare al tavolo con persone vestite in giacca e cravatta o in elmo e corazza, o gonnellino di maglia di acciaio... Ma soprattutto perché era il mio secondo film, ed era tutto così nuovo... Ricevere la busta paga ogni fine settimana mi sembrava stranissimo: era come se ti pagassero per andare a una festa! E il lavoro di insegnante? Certo, questo è meno esaltante e meno duro, in apparenza. La differenza è nell’orario di lavoro e anche nella retribuzione. Con il cinema inoltre ogni giorno lavori in posti diversi (entrando spesso in luoghi che mai potresti varcare da "civile", anche soltanto sedi di banche o case private piene di affreschi e di opere d'arte) e conosci persone nuove. Con l'insegnamento però lavori ogni giorno SULLE persone e non con le persone. Aiuti i ragazzi a crescere, a maturare un'autostima, a identificare il proprio carattere e le proprie inclinazioni lavorative. E questo è bellissimo. Il massimo è quando intravvedi in un ragazzo un talento, nascosto dietro a mille condizionamenti o a mille paure, e lo aiuti a tirarlo fuori. Non ho mai avuto così grandi soddisfazioni come quando alcuni alunni mi hanno detto, che li ho

aiutati a dare un senso alla loro vita. Mi ritengo fortunato per questo. Riesci a portare la tua esperienza professionale nella didattica? I ragazzi si accorgono della differenza che passa tra una persona che ha studiato tutto sui libri e qualcuno che ha lavorato sul campo. Insegnando in istituti professionali,, trovo fondamentale proporre agli studenti la teoria, ma anche i trucchi del mestiere. Poi mi avvalgo di un bel po' di materiale che ho accumulato sui set: modulistica, fotografie di backstage, sceneggiature e di amicizie nell'ambito dei professionisti. Così, ogni tanto, posso portare a scuola uno scenografo che ha vinto un David di Donatello, o un parrucchiere insignito dell'Oscar, o un maestro d'armi, uno stantman, un direttore della fotografia. O di portare i ragazzi a visitare (o a lavorare) su un set o in uno studio televisivo. Vuoi salutare i Carducciani di oggi? Naturalmente! Raccomandando loro di far le cose sul serio (già che dovete uscire tutte le mattine di casa, sfruttate quelle "noiose" ore sui banchi!): sarà una scorciatoia per il loro futuro. Tenete alto il prestigio delle nostra scuola!

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INGLORIOUS REVIEWERS

Lo hobbit:

la desolazione di smaug di Alice de Kormotzij

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econdo film della trilogia tratta dall’omonimo libro e antefatto della celebre saga dell’anello, “Lo Hobbit”, girato da Peter Jackson, riprende le gesta della compagnia di eroi interrotte nel precedente capitolo. Guidati da Thorin Scudodiquercia, dodici nani, Bilbo e Gandalf, sono in viaggio verso La Montagna Solitaria, meta che richiede il passaggio obbligato nel Bosco Atro, territorio degli Elfi. Nel tempo in cui lo stregone Gandalf lascia la compagnia per affrontare una missione di estrema importanza, i nani e Bilbo giungono a Pontelagolungo, città situata alle pendici del monte, dove riposa lo spaventoso drago Smaug. La pellicola inizia con una veduta mozzafiato della lugubre e piovosa città di Brea. Si denota dunque, già a partire dai primi fotogrammi che, rispetto al film precedente, Jackson affina ancora di più le tecniche di ripresa, offrendoci scenografie mirabili. Come il primo film, anch’esso è girato a una velocità di 48 fotogrammi al secondo, tecnologia che comporta un’incredibile nitidezza, fluidità e maggiore chiarezza durante situazioni confuse e ricche di movimenti, come le battaglie. Quest’ultime sono senza dubbio le azioni che colpiscono maggiormente: si osserva infatti una grande ricercatezza dei costumi, degli stili assai diversi di combattimento e una resa dinamica sorprendente. Incredibile è, ad esempio, la battaglia dei nani, che, in botti di vino, affrontano gli orchi compiendo evoluzioni straordinarie. L’occhio non solo riesce a cogliere un’enorme quantità di dettagli, ma è completamente assorbito dalla scena. Se nel primo film si avvertiva una frammentazione delle immagini, nel secondo si denota un montaggio impeccabile. L’immagine è curata a tal punto che la finzione sfocia nella realtà, l’impossibile diventa possibile davanti agli occhi dello spettatore. Questo aspetto è particolarmente evidente in Smaug, il drago, vero punto di 22

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forza del film. Magnifico, spaventoso, affascinante, enorme, ma soprattutto quasi reale, il mostro occupa l’intero atto finale del film e attira immediatamente l’occhio dello spettatore, facendo passare tutto il resto in secondo piano. Jackson dimostra anche questa volta la capacità straordinaria di creare un’atmosfera epica nel film, centrando l’obiettivo di far vivere allo spettatore stesso un’avventura entusiasmante. Si denota un’evoluzione del personaggio di Bilbo, che non possiede più uno sguardo impaurito e smarrito, ma consapevole. Jackson però, a differenza del film precedente, non delinea solamente lo hobbit, ma inquadra da vicino l’intera compagnia di Thorin Scudodiquercia: ogni nano è ora caratterizzato. Ciò ha l’effetto di affezionare lo spettatore ad ogni personaggio, portandolo a un maggiore coinvolgimento emotivo. Non mancano però alcune cadute di stile, in particolare la banale e stereotipata storia d’amore che, pur essendo capace di emozionare lo spettatore (soprattutto se è particolarmente romantico, come me), non trova il giusto sviluppo nella trama risultando prevedibile e forza-

ta. Per quanto riguarda l’inserimento di personaggi estranei al racconto di Tolkien, ritengo che essi non stonino più di tanto all’interno della pellicola. Ad esempio, Jackson è riuscito a dare a Legolas, figura inesistente nel romanzo, un passato funzionale al suo futuro raccontato nella trilogia dell’anello. Sarà perciò impossibile non osservare Legolas con occhi diversi nella saga “ Il Signore degli Anelli” dopo aver seguito le sue gesta nel prequel. A mio parere, la vera grande nota dolente della pellicola è la sua eccessiva durata. La visione in IMAX di 2 ore e 40 minuti è stata assai impegnativa, tanto che, soprattutto alla fine, desideravo solo che finisse. L’ultima parte del film infatti, risulta per alcuni tratti ripetitiva e noiosa, nonostante l’apparizione del magnifico drago. La mia attenzione alla pellicola si è affievolita nell’atto finale del film a tal punto da diventare totalmente inesistente in taluni momenti. Ad ogni modo, ritengo che il film meriti di essere visto e che affascinerà non solo per la qualità delle immagini, ma soprattutto per quel senso di realtà mista a finzione, grazie al quale l’impossibile diventa possibile.


american hustle:

l’apparenza inganna di Francecsa Petrella

Q

uando sono andata a vedere il film al cinema, il titolo mi ha lasciato un po’ perplessa perché mi sono chiesta: “cosa mai vorrà dire hustle?”. Uscita dalla sala, l’ho compreso da sola: caos. Perché la trama è un vero e proprio caos. Ambientato nell’America degli anni ’70, il film è ispirato a una vera operazione dell’ FBI, nota come operazione ABSCAM; il protagonista è Irving, un agghiacciante Christian Bale, quasi calvo e con la pancia, affiancato dall’affascinante Sidney/Edith, Amy Adams, che riesce sempre a incantare il pubblico. I due sono abili truffatori, che riescono a catturare nella loro rete, fatta di inganni, pesci piccoli e facili da prendere all’amo. Ma si sa, come a volte un ladro viene derubato, anche il truffatore viene ingannato, perché uno dei pesci piccoli è un agente dell’FBI, Richie, l’ormai affermato Bradley Cooper. Pensa di arrestare Irving e Edith, ma poi capisce che è più conveniente un’alleanza con loro per poter catturare nella rete truffatori più grossi. Inizia cosi un piano machiavellico, in cui vengono coinvolti diversi politici corrotti e alcuni mafiosi, il tutto ordito dall’alleanza dei tre. Richie viene a stretto contatto con differenti amici di Irving, tra cui la figura interessante di Carmine Polito, Jeremy Renner, che ha stretto un singolare rapporto di amicizia con il truffatore. Ben presto però il gioco comincia a farsi più pesante, Richie diventa sempre più ambizioso e la situazione gli sfugge di mano. Non sa bene nemmeno lui in che impresa si è immischi-

ato, lo capirà a sue spese. Nel corso di tutto il film è improntato un contrasto tra apparenza e realtà, nulla è ciò che sembra e la verità si nasconde dietro a una maschera; il finale vi lascerà senza parole. A rovinare la festa sarà una persona molto vicina a Irving, una persona insospettabile. Il regista David O. Russell ha saputo cogliere un particolare aspetto dell’animo umano, la capacità di ingannare se stessi. A questo proposito è presente una frase nel film, uscita dalle labbra di Irving: “la verità è che noi non imbrogliamo gli altri, imbrogliamo noi stessi”. Forse è anche per questa ragione che il film ha ricevuto 10 candidature all’Oscar, tra cui miglior regia, miglior attore protagonista e non protagonista. Il cast è di alto livello, abbiamo magnifiche presenze: non solo Christian Bale, Amy Adams e Bradley Cooper, ma anche la stella nascente Jennifer Lawrence, per non parlare del cameo di Rob-

ert, Bob, De Niro. Non si può proprio definire questa opera cinematografica adrenalinica. Sicuramente sono presenti scene di azione alternate ad altre statiche, ma l’emergere di valori positivi e negativi, come la corruzione, l’amore, l’amicizia e il rispetto reciproco, riesce a tenere col fiato sospeso. Mentre lo guardavo, mi sono detta diverse volte: “Cavolo, il regista ha proprio compreso fino in fondo la società attuale”. Perché è di questo che stiamo parlando: David O. Russell ha saputo guardare con uno sguardo introspettivo l’animo umano, come esso sia dominato dalle passioni amorose e come segua come idolo il dio denaro. E il denaro ha anche un’amante, la mondanità e tutto ciò che può essere comprato. Durante il film, se lo spettatore ha l’occhio attento, può notare che la moda dell’epoca è molto diversa dalla nostra; le pettinature sono molto curate, ad esempio la differenza di acconciature di Sidney/Edith e Rosalyn, la moglie di Irving. Ma non è solo una moda femminile, anche gli uomini hanno le loro acconciature! Anche per questo la critica americana ha accolto con entusiasmo il film e le sue varie sfaccettature: “American Hustle ingloba con gusto gli eccessi degli anni che rappresenta dai vestiti elasticizzati ai baffi benché sia una farsa in grado di raccontare anche il marcio di questi anni”. David O. Russell ha usato la sua cinepresa con l’intenzione di incentrare su eventi reali la storia e raccontarla alla sua maniera. Si potrebbe paragonare la truffa a una partita di poker: a volte, se hai una buona giocata, devi puntare, ma devi anche saper bluffare.

visti per voi dai redattori: i sogni segreti di walter mitty (B. Stiller, USA, 2013): girato per tutti i sognatori diurni. LA GRANDE BELLEZZA (P. Sorrentino, Italia, 2013): speranza di Oscar e uno sguardo sull’Italia senza speranza. disconnect (H.A. Rubin, USA, 2012): dedicato ai connessi, attenti a non cadere nella rete - del web e della vita! Gennaio - Febbraio 2014 | L'Oblo' sul Cortile

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musica

audio philes

“The future is easy because it doesn’t exist. The past is painful because it is forever.” Fred Durst The Clash London Calling (Sony Music, 1979)

Limp Bizkit Results May Very (Flip/Intercope, 2003)

di Edo Mazzi

di Andrea Sarassi

E

mblematico il verso della celebre “London Calling”, anche se forse poco conosciuto: «All that phoney Beatlemania has bitten the dust»; In esso è racchiuso il messaggio di definitiva rottura del punk, e dei Clash, con la musica degli anni ’60 che li ha preceduti. Una rottura, però, che riconosce l’enorme debito che il punk ha nei confronti del rock –la copertina è un chiaro omaggio a Elvis Presley, riprendendo la fantasia già proposta in suo album-. Il primo dei due dischi, che compongono questo doppio, è sicuramente quello più interessante, per la varietà dei temi affrontati. “Brand New Cadillac” è dominata da splendidi giri di basso, e dalla chitarra di Simonon; la melodia e il ritmo di “Rudie Can’t Fail” ricordano quelli di “I fought the Law”, un altro celebre brano del gruppo britannico. In “Spanish Bombs” si ritrovano riferimenti alla guerra civile spagnola degli anni ’30; dietro i versi della sfrenata “Lost in the Supermarket” si cela una forte critica al consumismo:« I’m all lost (I’m all lost in the supermarket)/I’m all lost (I can no longer shop happily)/I’m all lost (I came in here for that special offer, guaranteed personality)». Nel ritmo punk di “Clampdown” riecheggiano, invece, i versi di Strummer e Jones, monito del crudele genocidio degli ebrei compiuto dal regime nazista: « Taking off his turban, they said, is this man a Jew? [...]We will train our blue-eyed men To be young believers » . È caratterizzato invece da ritmi e melodie reggae la canzone di Paul Simonon, “the Guns of Brixton”. Nel secondo disco sono invece contenute canzoni di minor levatura. Tuttavia tra di esse c’è qualche eccezione, come “I’m not down” che colpisce per la variabilità del suo ritmo, e anche “For Horsemen”. L’album si chiude in maniera inaspettata. È, infatti, una ghost-track, intitolata “Train in Vain (Stand by Me)”, ad essere l’ultima traccia solcata dalla testina del giradischi: «You said you love me and that’s a fact/ Then you left me, said you felt trapped». Una canzone davvero strepitosa, e degna di concludere quest’album capolavoro. 24

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D

alla potenza espressiva i m m e n s a , questo disco può essere considerato un riassunto in musica della storia degli ultimi vent’anni di questa band che ha innalzato il “nu metal” a genere musicale di riferimento. Composto in pochi mesi, presenta ben diciassette tracce tra le quali spicca la quarta, “Underneath the gun”. Premesso che Fred Durst, cantante e compositore del gruppo, non ha fornito quasi mai un commento ai propri testi, questa canzone è il manifesto di sofferenza e disiorentamento di un uomo adulto, che, in un momento, viene privato di tutte le sue certezze ed è lasciato solo. La sensazione che ne deriva è quella di una profonda e disperata arrendevolezza: «(...)I’m underneath the sun/ And i’m underneath the gun/I’m losing my mind and i know there’s no remedy/I’ve become a failure who’s living on memories(...)». Su questa scia emotiva giunge la sesta traccia, “Almost Over”, dove viene rivissuta la vita del cantante, alternando il punto di vista di Durst adolescente e di Durst uomo e, infine, analizzando i risultati ottenuti da tanto travaglio: «The future is easy because it doesn’t exist, the past is painful because it lasts forever». Il clima dell’album cambia definitivamente con l’undicesima traccia, “Lonely World”, il cui testo è così denso e pieno di significato che andrebbe riportato tutto. Una linea di basso struggente, una melodia soffusa e una batteria praticamente impercettibile sono l’atmosfera nella quale Durst si profonde in un inno alla solitudine e al senso della vita: «When you go the mind of a man in the middle/Life is just a big fat riddle, so figure it out/Always thinking that you know/Everything little thing there is to know/Buy you don’t really know, ya know?». In altre parole, quando un uomo vive sicuro di ciò che è, quanto può essere pericolosamente minante per la propria identità il futuro, che ancora non conosce? Infine, è “Red light, Green Light”, un featuring con Snoop Dog, a concludere l’album. Quasi ignorando le pesanti tematiche esistenziali delle altre tracce, questa canzone conclude quest’esperienza musicale con un’inaspettata ondata di ottimismo e fiducia nel futuro «Tell me when you’re ready to go/I got the keys baby, put your mind at ease baby».


chi è jaco pastorius?

C

di Daniele Tonon

hi è Jaco Pastorius? Come ha influenzato il mondo della musica? Fu veramente il più grande bassista di tutti i tempi? Per rispondere a queste domande partiamo dalla vita di Jaco: nasce a Norristown, Pennsylvania il primo di dicembre 1951, jazz e sua madre una casalinga. Poco dopo la sua nascita si trasferì con la famiglia a Oakland Park in Florida; e già dalle scuole elementari e medie si distingueva fra i suoi compagni come artista soprattutto per la sua abiltà di disegnare. Oltre alle arti figurative, il giovane Pastorius si appassionò presto alla musica, assecondato da suo padre che era un cantante e batterista jazz, formando il suo primo gruppo “ The Sonics”, nel quale suonava proprio la batteria, strumento per il quale era molto portato. Dopo essersi infortunato al polso giocando a football, cosa che gli impediva di suonare bene la batteria, a 13 anni cominciò ad imparare a suonare il basso in un gruppo: nelle sue parole “da lì in poi il lavoro non mi è mai mancato.” Jaco incredibilmente era un autodidatta, come lui stesso disse, il suo unico insegnante fu l’udito: ascoltando il jazz che si suonava nei locali in cui anche lui andava a suonare quasi tutte le sere, i ritmi caraibici della Florida e la musica classica (trascrisse una fuga di Bach per basso). Tra il 1970 e il 1974 acquistò grande fama locale. Tutti quelli che ebbero la fortuna di ascoltarlo suonare in quel periodo restarono profondamente impressionati. Infatti, Jaco fu uno dei primi con John Entwistle dei Who a sfondare i muri del ruolo tradizionale del basso elettrico: quello di uno strumento d’accompagnamento spesso noioso e privo di colore. Pastorius creava delle linee che, a parte essere ritmicamente avanzatissime, erano assolutamente geniali armonicamente: così lo scopo

principale del bassista divenne quello che è oggi, cioè di creare delle linee ritmicamente e melodicamente inter essanti oltre a quello tradizionale di fornire una base solida ad altri musicisti. Se oggi ascoltiamo il riff di basso all’inizio di Sweet child of mine, piuttosto che la linea irrestibile di Billie Jean, lo dobbiamo anche a Jaco. I suoi assoli furono assolutamente senza precedenti: il suono a metà tra un corno francese e un violoncello di Jaco, unito alla sua conoscenza perfetta del manico del suo Fender e alla sua profonda musicalità, creavano una magia indescrivibile che ispirò generazioni di bassisti: da Sting al nostro Max Gazzè. Il culmine di Jaco secondo molti avvenne nel 1975 con la pubblicazione del suo omonimo album di debutto in collaborazione con Herbie Hancock. Fra le tracce spiccano Portrait of Tracy,

melodia per strumento solo che fa ampio utilizzo di armonici artificiali - tecnica che Jaco sviluppa in modo particolare- e Kuru/speak like a child che presenta un riff affidato a violini prima che il ritmo contagioso del basso entri in scena. Quasi subito dopo questa pubblicazione, Jaco divenne membro dei Weather Re-

port, complesso jazz/fusion già famoso a livello nazionale. Collaborando con il tastierista del gruppo, Joe Zawinul, e il sassofonista, Wayne Shorter, furono composte alcune delle melodie più belle del gruppo. Nonostante il gruppo fosse già molto conosciuto, l’uscita nel 1977 del loro album Heavy Weather fu inaspettatamente un grande successo commerciale e consacrò il gruppo allo status di star del mondo del jazz. L’arrivo di Jaco cambiò profondamente il suono del gruppo, aggiungendo una base ritmica forte alle melodie ariose di Zawinul. Quest’album mostra profonde differenze con i precedenti lavori del gruppo. Fra tutti i pezzi della band, Birdland, prima traccia di Heavy Weather, fu quella che in assoluto ebbe più successo. Da quest’album ebbero una posizione rilevante anche Teen Town, composta interamente da Pastorius, e A remark you made, una ballata strumentale dalla melodia struggente. Dopo cinque anni nel gruppo, nel 1981 lasciò i Weather Report, pubblicò un album solista e andò in tournee in Giappone. Sembrava che Jaco potesse continuare a brillare per sempre nel cielo della Florida, ma “come una fulgida meteora” cominciava a cadere dal cielo: già nella tournee del 1982 cominciavano a emergere i primi segni della malattia mentale di Jaco. Il bassista soffriva di bipolarismo. Nonostante agli inizi della sua carriera si era tenuto lontano dalla droga, negli ultimi anni di Weather Report cominciò a farne un uso sempre più spropositato. Nel 1986, il “Monet del ritmo” era un rudere umano, un tossicodipendente senzatetto, che impartiva lezioni di musica per pochi soldi. Nel 1987 morì in una banale rissa con il proprietario di un locale. Aveva trenta sei anni. Dunque è stato il “Jimi Hendrix del basso”, e uno fra i jazzisti più influente degli ultimi trent’anni? Giudicate voi. Io penso di sì.

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musica

alti

e

bassi

di Beatrice Sacco

C

inque. Proprio così, cinque microfoni e cinque sedie. Facendo uso solo ed esclusivamente delle loro voci, gli Alti e Bassi costruiscono armonie imitando all’occorrenza alcuni strumenti, come batteria, basso, fiati, chitarre… Ci troviamo di fronte ad un quintetto vocale maschile nato a Milano nel 1994, specializzato in Jazz e Swing a cappella. A luci abbassate, tra i tavolini del Blue Note, il pubblico è in grado di scorgere giusto cinque figure scure, che, camminando, cantano le note di “Parole parole”, singolo di Mina del ’72. Un attacco strepitoso, che da subito ha attratto gli occhi e soprattutto le orecchie degli spettatori. “Musica, classica e leggera, e parole, vi accompagneranno per tutta la sera, coinvolgendovi in una calda atmosfera jazz” dicono. I nostri cinque personaggi, senza dubbio simpatici e scherzosi, ci intrattengono in un mix di musica e cultura con un 26

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repertorio che risuona da Bach a Mina. Facciamo un passo indietro nel secolo scorso: immaginiamo la trasmissione televisiva “Canzonissima” - 1968 - e la fantastica Mina. “Vorrei che fosse amore”, arrangiata a modo loro, riecheggia di sole voci in tutta la sala. Uno spettacolo davvero impressionante: se non guardassi la scena, probabilmente penserei che la canzone sia una riproduzione normale mediante strumenti musicali. Invece no. Con che abilità questi cinque amici riescono a imitare una chitarra elettrica, un flauto, un’armonica a bocca! La serata si anima ancor di più grazie alla partecipazione del pubblico stesso. Una tromba da stadio - proprio una di quelle di plastica e di mille colori - viene fatta girare tra i tavoli e deve essere suonata a proprio piacimento tra la presentazione di un brano musicale e l’altro. Così, tra risate e musica, anche un pizzico di cultura prende il suo spazio: Filippo, il “Basso” tra i cinque, mentre

gli altri quattro al suono della tromba si immobilizzano di scatto fermando la scena, legge ogni volta un aforisma diverso, che risponda alla domanda “Che cos’è il Jazz?”. Anche qui, com’è consuetudine della serata, si rimbalza da un poeta ad uno scrittore, da un musicista ad un filosofo, antichi e contemporanei. Dopo un’originale e divertente performance di “Va’ pensiero” di Giuseppe Verdi, un “Summertime” di G. Gershwin, un’”Aria sulla IV corda” di J.S.Bach (meglio conosciuta come la sigla di Superquark) e, ancora sul classico, una strabiliante interpretazione de “Il Volo del Calabrone”, i cinque canterini ci trasportano nella giovane infanzia, nel mondo delle fiabe e della fantasia, intonando Medley, sequenza di celeberrimi brani dei cartoni animati Walt Disney. Primi fra tutti sono loro a divertirsi. E il bello è che ti guardano sempre con un sorriso, perché sanno eccome di essere adulti, ma, a quanto pare, non vedrebbero l’ora di tornare bambini. C’è chi torna bambino in un certo modo e chi in un altro: gli Alti e Bassi hanno scelto di cantare la giovinezza, recitando sul palco con foga ed entusiasmo, come se si sentissero attori professionisti. Famosi? Forse non molto, però di certo hanno percorso tanta strada da quando sono insieme. Sono stati ospiti di svariate città italiane: festival, conservatori e accademie. Non solo, anche il mondo della televisione li ha accolti a braccia aperte, avendo partecipato a molte trasmissioni non di poco conto. E in tutto questo sorprende il fatto che ciascuno di loro abbia una famiglia e un altro lavoro. Allora è un hobby il loro cantare a cappella? Magari hanno iniziato con questa prospettiva, ma adesso sono un fuoco appena acceso che deve essere alimentato, per diventare sempre più grande. La serata non poteva concludersi meglio che con una modestissima performance di “Brava” di Mina, ovviamente riadattata a “Bravi”. Ma per fare ancor più gli “sboroni”, le cinque menti geniali del canto a cappella hanno concesso un bis formidabile, interpretando un brano di Renato Carosone, nato proprio da una combinazione di jazz e swing, che altro non poteva essere se non “Tu vuò fa l’americano”. Applausi, inchini, applausi, inchini. Andrea ci saluta dall’alto, addirittura dal falsetto; Alberto ci ringrazia con una voce da tenore pop; Paolo ci lascia con note alte, medie, basse e falsetto (esagerato); Diego invece con note da tenorissimo e un orecchio assoluto niente male; Filippo ci saluta dal basso e dal contrabbasso. Mi sembra giusto, no? Nella vita ci sono Alti e Bassi!


P

roprio in questi giorni, mia cara, ho avuto modo di vedere un interessante film-documentario su i Pink Floyd; sono rimasto colpito in particolare da una scena, che mi ha dato molti spunti di riflessione, scena in cui David Gilmour era intento a suonare e cantare, in uno studio di registrazione, “Wish You Were Here”. Così ho iniziato a riflettere su alcuni interrogativi, che frequentemente mi assillano. Spesso mi domando, infatti, come mai in questi ultimi decenni la musica sia così decaduta, diventando sempre più commerciale. In questi ultimi vent’anni, infatti, non si è assistito a nient’altro che a una vera e propria progressiva commercializzazione del prodotto musicale. Con gli anni è diventato un fenomeno sempre più di massa, non più attento alla qualità, ma al profitto che se ne può trarre. I testi delle canzoni sono diventati banali, non più scritti di denuncia sociale, ma sempre più spesso riguardanti argomenti futili e superficiali, come sesso, soldi e celebrità. Persino gli strumenti sembrano sparire, molto spesso sostituiti da suoni ricreati al computer o al synth, che ritengo facciano perdere alla musica quegli elementi di originalità. Prova ad ascoltare una canzone come “Band on the Run” di Paul McCartney; ti rendi subito conto che è semplicemente pazzesca, e varia a tal punto nella melodia e nel ritmo, che a un orecchio distratto potrebbe sembrare essere tre canzoni diverse –anche se è una sola-. È una canzone, come molte altre di quell’epoca, che va scoperta e che ti stupisce ogniqualvolta l’ascolti, perché riesci sempre a trovarci qualcosa di nuovo che ti sorprenda. Hai un parere, Giulia, sul perché oggi, nel fare musica, si è perso come obiettivo la qualità? Siamo arrivati al punto che, alla radio, per trasmettere, ogni tanto, un po’ di buona musica sono costretti a ripescare capolavori del passato, perché di odierni si ha difficoltà a trovarne. Tuttavia, non vorrei che il mio giudizio ti appaia eccessivo. Devo riconoscere, infatti, che anche oggi esistono gruppi che valgono, e che compongono della buona musica; per esempio mi vengono in mente gli Arcade Fire, o un gruppo post-rock giapponese, che ho scoperto da poco, i Mono –davvero unici in ciò che scrivono-. Ma nella musica odierna non colgo più quel piacere di ascoltare un brano all’infinito, perché esso nel tempo perde, fin troppo in fretta, la sua iniziale apparente bellezza. Oggi dovrebbe avvenire com’è avvenuto con i Beatles, che, partendo dall’essere semplici “rocchettari” che suonavano nei locali di Liverpool, sono riusciti a crescere con la loro musica, e a creare quei capolavori, che hanno fatto la storia. Sono molti, oggi, i gruppi che potrebbero avere delle potenzialità; tuttavia molti di essi si fermano a comporre solamente musica banale e orecchiabile -utile forse all’inizio di una carriera per farsi apprezzare di più dal pubblico, ma che poi non ti permette di crescere musicalmente-. Dovrebbero pian piano cercare di comporre qualcosa di grandioso e di davvero innovativo, degno di una band che faccia musica bella, e soprattutto di qualità. La musica bella, la musica vera, è quella che ti permette di danzare con la mente sulle sue note. Spero, cara Giulia, di essere riuscito, attraverso le mie parole, a far scaturire anche in te profonde riflessioni a riguardo. A presto, tuo

Vincenzo Zagara

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Racconti

VECCHIE CONOSCENZE continua dallo scorso numero...

«

di Silena Bertoncelli Il suo Merlot, miss». Chiude il suo libro e ringrazia. Ama l’atmosfera dell’Escale, ‘il miglior bistrot di Parigi’ come diceva suo padre. Il soffice velluto rosso che ricopre le sedie, la luce del sole che illumina gli scaffali, le foto in bianco e nero di un passato che ancora aleggia nel locale, il cibo ottimo e la gentilezza dei camerieri, la connessione che sente con questo posto. Le 17.00, ‘si va in scena’ pensa, sincronizzando il suo Bvlgari. Uscita dal bistrot entra furtiva nel furgone di una ditta di manutenzione elettrica: «Rusty?» accenna. «Ho avuto dei problemi con il server di programmazione: il dispositivo per la deviazione di chiamate potrebbe avere problemi di interferenza con il nuovo prototipo del programma per intercet..» «Rusty!». «Oh, ehm, pronti a staccare la corrente tra 3, 2, 1..» «E 5, 4, 3, 2, e..» DRIIIN «Alo, Èclair Entretien, come posso aiutarla? ..Oh, certo Monsieur La Roche, una nostra squadra sarà da lei tra 10 minuti, buona giornata!». Riattacca la cornetta e si cambia rapidamente: è da moltissimo tempo che voleva indossare quel Valentino. Arraffa la pochette e prima di richiudere lo sportello del furgone «Dimmi quando siamo in linea». Fiordalisi, ginestre, gigli, glicini e narcisi: insomma una serra più che

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un’asta a 5 stelle. Consegna l’invito - 18 ore di lavoro - all’anoressica col sorriso finto dell’entrata. Nell’ampio cortile, una fontana in granito al centro, è allestito il rinfresco: ‘champagne e voulevant: di certo non si sono sprecati’ pensa, afferrando un bicchiere e guardandosi intorno. «Fenice, qui Ermes. Sono dentro.» «Mi dirigo al piano superiore, sorveglianza?» «Via libera, ma credo sia stata aumentata rispetto alla procedura standard». ‘Ma cosa..?’ «Non sono della sicurezza, sono agenti, c’è qualcosa che non va..» Si guarda intorno, ispeziona dal terrazzino tutto il giardino, l’ingresso e poi, seguendo lo sguardo del “pistola e distintivo”: «Oh ma non ci credo!». Non riesce a credere ai suoi occhi. ‘Cosa ci fa qui?’ Parte in quarta verso un uomo, completo fin troppo elegante, abbronzatura fin troppo recente, capelli raccolti sulla nuca e bocca fin troppo piena. Appena lo raggiunge, simulando un incidente lo spinge energicamente dietro la colonna, lontano da occhi inquisitori. «Mhm, dopo tutto questo tempo non pensavo di mancarti così tanto» «A ore 2!» e lo afferra per il braccio costringendolo a seguirla. «Seguimi, ho una via di fuga.» «Fino in capo al mondo!» «Ehi ehi ehi, non penserai mai di buttarmi lì dentro con queste manette, vero?» «Cosa fai qui? Cosa vuoi? Qual è il tuo obiettivo? Ah, non cambi mai! Hai portato la polizia!» «Oh dai baby, cosa vuoi che sia, li abbiamo seminati, no?» «Io li ho seminati, e non chiamarmi baby. Ora tu rimani qui.» Non appena apre lo sportello, Rusty sobbalza spaventato e poi la sua espressione diventa incomprensibile ed enigmatica. «Marcus?» «Beh, vedo che una parte della squadra è rimasta intatta, eh, fratellino?» «Non osare parlare di squadra quand..» «Ragazzi,

abbiamo un problema. Conto 17 agenti: meglio muoversi in fretta»: solo lei riesce a mantenere la lucidità in mezzo al turbinio di emozioni «state buoni qui, abbiamo uno Chateau Lafite Rothschild che aspetta solo noi». «Ermes, sono nell’ufficio di La Roche. Ermes? Ermes!? Dannazione, l’impatto contro quell’emerito..». Non aveva calcolato questo intoppo. Era da sola, ma fortunatamente in questo era preparata. Dopo qualche giro intorno alla scrivania in massello di mogano, ‘inglese, fine ‘800 direi’, asseconda con la punta delle dita le venature sui bordi, sino a far scivolare la mano sotto il piano: un cassetto segreto che contiene una chiave magnetica a impulsi: irriproducibile. Sta per dirigersi verso la Juwel H.3, ultimo modello di cassaforte a parete, quando sente del trambusto nel cortile. Un inseguimento. ‘Marcus!’ Riesce a far sembrare naturale persino correre su Jimmy Choo e in Valentino Couture ad un evento da galateo. Raggiunge il bel misterioso ma è già in manette, ‘ancora’: «Agente Ann Soms, Interpool» «Comme? C’est pas possible! Pauvre connass d’un Organisation Internationale de Police Criminelle!» borbotta il man in black. «Quest’uomo è sotto la nostra custodia, sta collaborando con la nostra divisione per incastrare Antoine La Roche per ricettazione, falsificazione ed evasione fiscale, mi consegni Cox e porti una squadra al secondo piano, ci sono molte prove da raccogliere e i miei uomini sono pochi». ‘E dopo tutto cos’è una bugia? Solo la verità in una pellaccia che non è la sua’.


angeli di carta

N

di Alice De Gennaro

on c’era neve. Non c’era pioggia, né grandine. Solo nuvole. Nuvole grigie e nere, tanta purezza sporcata dalle persone, mi ha detto la mamma, una volta. La mamma sorride sempre al contrario. Mi dice che quando il mondo va al contrario, tutto quanto lo segue, anche i sorrisi delle persone. La mamma è buona. Non è colpa della mamma, se il mondo va al contrario. Il mondo è grande. Una sola persona non può ribaltarlo da solo. Papà ci ha provato. La mamma ci ha provato. Ma la gente non è abbastanza normale, mi ha detto la mamma, una volta. Nessie mi guardava, con i suoi bottoni neri lucidi, e le braccia di pezza tese verso di me. Nessie mi vuole bene. Nessie è buona. Papà era buono. Papà era tanto buono. La mamma quel giorno mi ha chiamata. I suoi occhi erano delle nuvole: grigie, piene d’acqua, spente e rovinate da altre persone. Il sorriso era ancora al contrario. La mamma quel giorno mi ha detto che papà non c’era più. Le ho chiesto dove fosse andato. Lei ha detto che era molto, molto lontano. Lassù, sopra le nuvole, dove il mondo non è più al contrario, e neanche i sorrisi lo sono. Come ha fatto ad andare così in alto? La mamma ha detto che gli sono spuntate le ali. Ha detto che gli sono spuntate ali bianchissime, e che è volato via, che sorrideva, mentre se ne andava. Le ho chiesto se fosse ancora il mio papà. Lei mi ha risposto, dicendo che era un angelo. Mio papà era un angelo. Ha detto che se ne voleva andare. Che la gente troppo normale non riesce a sopportare un mondo al contrario. Allora sono salita in camera mia. Ho immerso le mani nello zaino. Ecco, l’astuccio. Ho preso le forbici. Poi ho preso un foglio di carta. Ho cominciato a tagliare. Prima un lungo vestito. E poi le ali. Infine la testa. Ecco. Ecco il mio angelo. Un angelo ha le ali. Perciò doveva essere un angelo. Ho cominciato a camminare per la stanza, con il mio angelo in mano. L’angelo vola. L’angelo si appoggia sulla lam-

pada. L’angelo non sorride, perché è ancora in questo mondo al contrario. L’angelo vuole andarsene. L’angelo vuole raggiungere papà. L’angelo esce fuori dalla finestra. L’angelo viene rapito dal vento. L’angelo è molto bello. Anche io voglio diventare un angelo. La mamma ha detto che gli angeli volano. Io voglio essere un angelo. Ma non ho le ali. Allora cammino. Cammino, come solo le persone al contrario possono fare. La mamma è buona. Nessie è buona. Papà non è buono. La gente buona non abbandona altra gente. Ma papà è un angelo. Gli angeli volano. Anche io voglio essere un angelo. Io sarò un angelo. Papà, sto venendo a trovarti. Papà, guarda, uno sgabello. Papà, sono sullo sgabello. Papà, sono davanti alla finestra. Papà, sto aprendo la finestra. Papà, guarda quanti angeli per strada: angeli senza le ali, ma devono essere angeli, perché solo gli angeli non respirano. Perché solo nel mondo al contrario si respira. Io respiro, la mamma respira. Noi siamo in un mondo al contrario. Papà, io posso volare. Papà, sto venendo a prenderti. Ciao, Nessie. Ciao, mamma. Papà, sto tornando da te. Guarda giù, papà: ci sono tanti, troppi angeli. Ci sarà ab-

bastanza spazio per me? Papà, voglio essere normale anche io. Papà, guarda, sto volando. Ora sarò un angelo anche io, papà. Papà, perché fa così male? Papà, non respiro. Papà, dimmi che andrà meglio. Papà, sento che sto tornando normale. Eccomi, papà, arrivo. Proprio come il mio angioletto, papà. Il mio angioletto di carta sorride. Il mio angioletto è normale. Papà, guarda: mi stanno crescendo le ali. Papà, guarda: il mio sorriso non è più al contrario. Ora sono anche io un angelo, un angelo con le ali bianche, bianche come la carta. Io non mi voglio bene. Io ho abbandonato la mamma. Io ho abbandonato Nessie. Io non sono buona. Gli angeli non sono buoni. Gli angeli sono cattivi, perché abbandonano le persone. Ma gli angeli sono felici. Gli angeli hanno le ali. Papà, mi hanno messo delle ali di carta. Le ali stanno bruciando, papà. Il fuoco si sta spargendo su tutto il mio corpo. Papà, aiutami. Papà, scusa. Non sono abbastanza per il mondo lassù, papà. Aiutami, papà, non riesco a essere normale. Papà, ho paura. Dove sono le mie ali, papà? Sono anche io un angelo, ora? E le mie ali sono abbastanza belle e bianche, per tornare da te? Sto arrivando, papà. Aspettami.

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Racconti

CONCORSO: COSA VI TRASMETTE questo scatto di steve mccurry? il racconto di un redattore

PAURA

P

di Rebecca Daniotti

rese le pillole in mano, tutte in un colpo, così il battito sarebbe diminuito fino a cessare per sempre. Lo stava per fare. Le voci che l’avevano sempre assillata tornarono nella sua mente, confondendola. “Basta” pigolò. Doveva farlo. Aveva paura, adesso. Non doveva fare la spavalda per forza. Poteva dire, ora che c’era così vicina, di essere spaventata. Stava per mandare giù quando la porta si aprì. Suo fratello era lì, la guardava... “Marle?Che fai?” E lei mandò giù. Si svegliò urlante e sudata. Quel ricordo la assillava da dodici anni. Sbuffò cercando di consolarsi, mormorando che era solo un sogno: ma prima era stata realtà. Si ricordava tutto: come suo fratello avesse urlato, come sua madre fosse accorsa e gridando avesse chiamato l’ambulanza. Era strano, come sulla soglia della morte lei fosse stata capace di assistere coscientemente e ricordare tutto. Spostò una ciocca di capelli dal volto girandosi nel lettino. Quella sera non aveva il turno di notte, ma l’avrebbe preferito all’essere tormentata da quegli incubi atroci. Qualcuno bussò alla porta: “Marlene? Sei sveglia?” “Si, dimmi Toni” “Avremmo bisogno di aiuto in sala operatoria, faresti un salto?” “Dammi tre minuti” “Grazie” Si avviò verso il bagno. Si sistemò i capelli, afferrò la cuffietta e se la mise in testa per evitare che le ciocche rosse infettassero gli strumenti sterilizzati, poi infilò il camice bianco. Si sciacquò la faccia per togliere il sonno, ma soprattutto i pensieri, dal volto. Mentre camminava per le corsie vuote rifletteva: era lontana da casa molti chilometri e non sapeva da quanto tempo fosse lì, in quell’ospedale inerpicato fra le montagne, in quel luogo tartassato dalla guerra, eppure non le mancava la sua famiglia e nemmeno il mondo, così caotico e cinico. Si affrettò per raggiungere la sala operatoria e lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Eccolo lì, il suo sogno, l’immagine che per molto tempo aveva avuto come sfondo del suo PC. 30

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Il monastero incastonato nella roccia come un diamante.“Marlene!” si guardò attorno confusa, “Cosa?” “Là! Attenta!” qualcuno aveva aperto il fuoco, i militari della zona che erano contrari al loro ospedale. I proiettili iniziarono a spaccare le finestre mandandole in frantumi, facendo schizzare pezzi di vetro ovunque. “Giù!” urlò a sua volta a dei pazienti che si guardavano attorno. Strisciando cercò di raggiungere gli altri, voleva avvertirli di fare attenzione. Un momento di tranquillità. Si alzò e iniziò a correre per andare a vedere le condizioni di tutti. E tutto accadde in una frazione di secondo, urla, spari, silenzio e poi passi: erano entrati nell’ospedale. Non fece in tempo ad abbassarsi che un colpo le arrivò al petto. Un dolore bruciante percorse tutto il suo corpo: il camice era macchiato di rosso, tutto era sfuocato, una lacrima corse lungo la guancia e capì che poteva piangere, lasciò che il volto contratto dal dolore venisse inondato di pianto. Le mani le tremavano violentemente mentre cercava di tener premuta la ferita per evitare che uscisse troppo sangue, ma sapeva, meglio di chiunque altro, che era destinata a morire. “Marlene!” -una figura si stava avvicinando- “Non ce la farà” disse il chirurgo. Pensò a tutti i pomeriggi passati dall’analista dopo aver tentato il

suicidio, a quando aveva terminato gli studi di medicina e suo fratello era morto in un incidente d’auto e lei era caduta in depressione... “vai a farti un giro Marlene, non ha senso vivere rinchiusa, sei giovane” le era stato detto, e lei l’aveva fatto, si era iscritta a un corso di volontariato medico ed era partita cancellando dalla sua vita tutto ciò che non fosse lavoro, curava gli altri in modo che la testa fosse occupata e non cercava di ricordare. Sentiva le forze abbandonarla lentamente, la paura prenderle le viscere. D’improvviso le parole dello psicologo affiorarono “Marlene, Marlene… è questo che non capisci vedi, la tua vita non ti sta togliendo delle possibilità, te ne sta facendo scoprire di nuove!Sei tu che devi trovare il coraggio per affrontarle” E così Marlene era morta da sola, nessuno le aveva tenuto la mano mentre se ne stava andando, nessuno le aveva accarezzato il volto togliendole le lacrime, nessuno aveva tentato di salvarla, tutti erano andati a curare qualcuno per cui c’erano ancora speranze. Ma il suo volto, per la prima volta rilassato, non esprimeva risentimento. Probabilmente lei avrebbe fatto lo stesso. Gli occhi vitrei riflettevano il monastero della montagna senza poterlo vedere.


CONCORSO: COSA VI TRASMETTE questo scatto di steve mccurry? il racconto vincitore

O

nel rifugio del silenzio

gni volta che rientravo nella Sacra Caverna, dopo aver a lungo e con fatica lavorato la terra nell’orto, osservavo il cielo: si dipingeva dei riflessi del tramonto, incendiando la montagna, e un miracolo si compiva e ancora si compie davanti a me. Quel paesaggio osservato ogni giorno mutava completamente, perché la luce trasforma la percezione dei luoghi, tanto là fuori come dentro di noi. Un oscuro dubbio nell’animo può eclissare un’idillica prateria in una pericolosa brughiera. Osservavo gli altri monaci, quelli giovani come me e quelli più grandi: ai tempi anch’io ero un novizio come te, ragazzo. Mi chiedevo se anche loro fossero pervasi dai miei stessi pensieri, se si stupissero di quella bellezza, se la notassero. Non ebbi mai il coraggio di fare effettivamente domande in merito. Tuttavia trovai le mie risposte. Voltare le spalle a quello spettacolo naturale per essere avvolti dall’oscuro silenzio della Caverna, nelle profondità della Madre Terra, era sempre più una difficoltà per me. Perché non restare fuori a osservare, a conoscere? Perché non andare oltre, perché non mettersi in viaggio, alla ricerca dei mille paesaggi sublimi che potevano bloccarmi il respiro con una dolce fitta di stupore allo sterno? Ma capisci che per farlo avrei dovuto lasciare la Sacra Caverna, e se sono ancora qui, a parlare a te, è perché non l’ho fatto. Perché ho recuperato il senso della mia scelta iniziale. Prima di spiegarti l’esito delle mie riflessioni di quel periodo, devo però premettere un incoraggiamento al dubbio. Esso è il seme primo della conoscenza, il fantasma del libero arbitrio. La nostra scelta è stata quella di chiuderci nel rifugio del silenzio per indagare gli abissi e i profondi recessi dell’anima. Ma si può

di Simone Possenti

indagare un’anima prescindendo dal cosmo, pretendendo di isolarla dal mondo in cui essa è necessariamente inserita? Proprio come fai tu ora, mi chiedevo se dovessi prima conoscere i fenomeni esterni per contemplare quelli interni. Ho trovato la mia risposta nella preghiera, quella vera: non una serie di formule imparate a memoria e recitate un’infinità di volte ogni giorno -cosa che faccio, quasi per dovere morale- ma nell’attimo fermo e immacolato in cui lo sguardo pesa e si posa sugli orizzonti mossi dai respiri dell’anima. Trova quegli attimi dentro di te, impara a riconoscere i momenti di preghiera vera. Consulto delle voci, penso che siano le stesse che sentiva quel giovane ragazzino tormentato che ero, mi spingevano prepotentemente verso il bivio e così mi hanno anche portato a intraprendere l’infinita ricerca del senso. Era l’unico modo per non cadere nell’abisso. E’ qualcosa di talmente personale e interiore che non posso neanche garantirti con certezza che troverai le mie stesse risposte. Ma c’è un punto di partenza essenziale, senza il quale non ha senso il nostro essere qui, a pensare di poter speculare

di qualsivoglia percezione fenomenica: il silenzio. La nostra scelta di vita, mio caro novizio, parte da qui. Ci chiudiamo al mondo esterno per poter ascoltare con più attenzione il cosmo interno. La tua scelta dimostra che hai il coraggio di confrontarti col silenzio, che non hai necessità di nasconderti dietro ai rumori della frenesia, quasi invasato, ma per pura paura di scoprire la propria vuota pochezza. Quanta mancanza di coraggio laddove sarebbe vitale! Pochi di coloro che pretendono di indagare empiricamente i fenomeni esterni hanno saputo prima affrontare se stessi nel silenzio della notte nel deserto, quando la luna è piena e purissima. Se ascolti attentamente le rocce che ti avvolgono e ti proteggono, offrendoti un rifugio sicuro, ti accorgerai che anche loro hanno una storia da raccontare, non solo passata, ma anche presente: esse sono vive e pulsanti, proprio come il tuo cuore. Impara ad ascoltare la pietra e quello che ha da dirti nei suoi sovrumani silenzi, i passi degli uomini che l’hanno calpestata e i venti che l’hanno scalfita, e allora avrai imparato ad ascoltare anche la tua anima.

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sport

la gioia nel fallimento

di Diego Errichetti

Zero a zero non è mai una sconfitta”. Paolo Geremei è un uomo romantico, oltre che essere un regista di successo. Parla con la voglia e la passione di un bambino che, calzati gli scarpini chiodati, per la prima volta infila in rete un pallone. “Zero a zero” è il titolo del suo film-documentario sul calcio, un’opera vista da una prospettiva differente, densa di significato ed emotività. “Questo documentario è nato dall’esigenza di raccontare il calcio vero, un calcio in cui la gente possa specchiarsi e riconoscersi. Non credo ci sia alcun film che rappresenti il calcio per come lo vive la maggior parte collocazione giusta per te. Così a 17 degli amanti di questo sport, magari anni, da giocatore di calcio di ottime giocatori di calcio, calcetto o calci- speranze, c’è chi è in prima squadra, otto da quando hanno cinque anni”. chi in Primavera, chi si deve trasferIl calcio che racconta Paolo è il cal- ire, ti puoi trovare di fronte a una cio di chi, dopo fatiche e allenamenti, scelta: chi sono io? Sono un giocatore giunto al momento della conferma, di calcio o no? Ecco che, dunque, ho non ce l’ha fatta. Una ricerca appro- cercato di capire cosa si prova, atfondita, da ex giocatore e tifoso ap- traverso altre persone, come possono passionato, “per scoprire fino a dove essere i ragazzi, a vivere una sfida, in uno, nato con il fisico da calciatore, un mondo tra i più incerti come può baricentro basso e tocco fino, possa essere quello calcistico, dove appena spingersi. Per capire perchè un tal- hai qualche esitazione ci sono altre migliaia di persone, ento, che si ritrova a gi“Questo che, come avvoltoi, ocare in Nazionale italicercano di competere documentario ana Under 16 e nelle con te per sottrarti un è nato giovanili della Roma dall’esigenza di posto”. al fianco di Totti, oggi Il segreto, il vero mesnella vita fa tutt’altro raccontare saggio che porta con altro”. il calcio vero, sè questa storia è nasIl calcio narrato da Paolo un calcio costo, ma guai a parè la fonte d’ispirazione in cui la gente per una grande metafo- possa specchiarsi lare di pessimismo. Anzi. Per Paolo “zero ra e sfiora, o addirittura e riconoscersi...” a zero” è l’emblema invade, la nostra quotidianità. Ecco qui che il racconto non dell’ottimismo, segno rappresentativo si ferma alla semplice descrizione dei di chi è riuscito a rialzarsi dopo una fatti, ma entra concretamente nella caduta che gli ha cambiato la vita. “Io vita di ognuno. “C’è però un motivo ho cominciato questo lavoro vergine, inconscio, distante da quelli pratici, senza sapere cosa mi avrebbero racper cui ho deciso di dedicarmi a “zero contato i tre ragazzi protagonisti della a zero”. In un mondo così competi- mia storia, con un’idea in testa ma intivo, come può essere quello dello consapevole ancora di come sarebbe spettacolo o quello di qualsiasi altro continuato il percorso, dei loro sfoghi lavoro su questa terra, spesso ti trovi emotivi nel momento cruciale del a un bivio, a porti delle domande, a ricordo. Ma, differentemente da quel chiederti se stai ottenendo quello che che si potrebbe pensare al primo imrealmente meriti, a capire quale sia la patto col testo, non è assolutamente 32

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un film negativo. E’ una storia che andava raccontata, a prescindere dal fatto che il pubblico poi avesse riso, pianto, si fosse strappato i capelli o avesse esultato di gioia. La reazione tutt’ora mi interessa relativamente. La cosa bella di poter fare un documentario è proprio questa: non sai mai come si svilupperà, perchè da un dolore enorme, come può essere quello di non avercela fatta, può nascere invece un risvolto molto positivo, così come il contrario”. In questo modo, sull’onda dell’ottimismo e della bellezza, la quale può scaturire da momenti anche difficili, Paolo crea una sinergia unica tra lui e i ragazzi, portando alla luce quelle che sono le reali sensazioni di chi è arrivato a un passo dall’elite. Sono esemplari le vicende di Daniele Rossi, uno dei tre eroi della storia, che ha saputo trasformare l’insuccesso in una passione vera e propria. Infatti, oggi Daniele allena il Milan Junior Camp e regala tempo e gioia ai ragazzi rossoneri. Ragazzi, come lui vent’anni fa, quando sgambettava sui campi di Trigoria. Un ricordo che mai lo abbandona e lo fa sorridere. “Quando morirò seppellitemi a Trigoria”. E Paolo racconta questi sorrisi, motori della storia: “Non a caso il film si chiama “zero a zero”, che non è mai una sconfitta. Ci sono frasi molto belle raccontate dai ragazzi che vale la pena ascoltare. Per esempio, un giorno ho provato a chiedere a Marco


Caterini, uno dei protagonisti, che ha giocato per diversi anni con Buffon nelle giovanili dell’Italia, che cosa provasse nel leggere nomi come Trigoria, Coverciano, Wembley sui quotidiani sportivi, luoghi in cui ha passato momenti importanti della sua giovinezza, nella convinzione che provasse rabbia e amarezza per un sogno che poi non si è mai realizzato. Invece, sorprendentemente, lui mi disse: ‘ogni volta che sento, ripercorro quei momenti mi prende un brivido dietro la schiena. Ma non penso che non ce l’ho fatta. Penso semplicemente che a 16 anni ho avuto la fortuna di giocare a Wembley, con Totti, davanti a 60.000 persone’. Quando pensa a quegli istanti, dunque, ricorda di avere avuto la possibilità di giocare per dieci anni allo sport che più gli piaceva, perlopiù ad altissimi livelli. Questa è la bellezza di tutta la vicenda, questo è uno dei tanti messaggi positivi che arrivano dal film. Marco ha capito che ha vissuto per dieci anni ciò che ogni singolo appassionato vorrebbe vivere anche per un solo secondo, anche se poi è andata come è andata”. Come già detto in precedenza, la morale di questo documentario è nascosta tra le righe dello stesso. Ognuno lo fa suo come meglio crede e l’esperienza personale apre diverse chiavi di lettura, spesso anche contrastanti. Ed è questa la vera bellezza dell’opera di Paolo Geremei. “Il messaggio, la morale vorrei vivamente che ogni spettatore li trovasse dentro di sè. Nel mio piccolo, penso che l’intero documentario possa acquistare grande significato ascoltando una frase pronunciata da Ezio Sella, allenatore dei ragazzi delle giovanili della Roma: ‘Nel calcio tu vivi in un collettivo, ma in realtà sei solo con te stesso’. Il che non è una visione amara della realtà. Anzi, lo diventa se tu sei disincantato, chiuso in te stesso e ricevi solo pacche sulle spalle perchè sei il più figo, il più forte, il più bello. Sei solo con te stesso perchè alla fine devi contare solo su di te. Poi non è detto che vinci sempre, ma hai comunque un’arma in più. Per questo secondo me il calcio è metafora della vita, motivo per cui questo film ha riscosso grande successo nei festival a cui ho partecipato: perchè nel calcio, come nella vita, non conta solo il talento, ma è necessario confermarsi volta per volta, riconoscendo le pro-

prie capacità e provando a fare ogni giorno di meglio“. Sono tanti i momenti che hanno emozionato lo stesso regista durante le riprese, frutto di ricordi intensi e toccanti dei protagonisti. “Ne potrei raccontare a decine di momenti emozionanti, ma in particolare ne tengo uno ben saldo nella mia mente. Ricordo quando Andrea Giulii mi raccontò la trasferta della Roma a Madrid per giocare contro il grande Real, sfida in cui lui fu inaspettatamente convocato. Mentre parla di quegli incredibili istanti, di lui seduto sulla panchina

del Bernabeu, a 17 anni, contro il Real di Butragueno, tutte le volte si interrompe perchè non riesce a proferire parola dall’emozione. Come mi ha raccontato, è impressionante il momento in cui esci in giacca e cravatta per andare a testare il terreno di gioco, intorno alle 18, e poi ripeti quel gesto mancando poco più di due ore all’inizio partita. In poco tempo lo stadio da mezzo vuoto si riempie e tutto sembra così impossibile, tanto che, come detto, dopo vent’anni ancora Andrea fa fatica a descrivere quei momenti. E’ incredibile”.

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Macchie d’inchiostro

SEMPER MUTO Prosciugami gli occhi E lascia che il fuoco mi morda le labbra Crocifisso a sterpi e rovi Io come una fenice semper muto Guardami, nuoto fra gelide tenebre, soffoco e mentre un’altra scintilla s’è tramutata in cenere sei rimasta sotto l’oro inganevvole d’un riflettore Tragedia immane d’un circo vuoto Sì, in un sogno diverso dal tuo Infangata d’allegria e raffredata da un manto di promesse Io ti sto aspettando, semper muto Dan

Q

Non tutti i contenuto della mente possono essere tramutati in parole. Qualcuno ci prova, qualcuno alla fine ci riesce...

uel ramo del fiume Lambro, che volge a via Feltre, tra due catene non interrotte di alberi rinsecchiti, tutto a schifezze e inquinamento, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a precipitare, prendendo forma di cascata, tra un topo a destra e me dall’altra parte; e il ponte di rifiuti, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione da prati verdi a fiumi neri, e segni il punto in cui il fiume cessa, e una serie di ruscelli ricomincia, per ripigliar poi nome di fiume dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuove schifezze e inquinamento. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendio lento e continuo; poi si rompe in avvallamenti secchi, in prati e colline, secondo gli alberi caduti e il circolare delle acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ ruscelli, è quasi tutto rifiuti e plastica; il resto, prati e paeselli, villette, casupole; in qualche parte boschetti, che si interrompono sui palazzi. Milano Due, la principale di quelle terre, anche se non dà il nome al territorio, giace poco discosta dal parco, anzi, vien in parte a trovarsi nel parco stesso, quando questo pian piano diventa strada: un piccolo paese, al giorno d’oggi, che s’incammina a diventar cittadina… Così descrive Manzoni, o meglio, così descrivo io il luogo dove sono cresciuta, tra bicicletta e pallone. Certo, il caro Alessandro aveva paesaggi più belli e interessanti da raccontare, ma soprattutto meno inquinati. Ora il fiume Lambro lo vediamo così, con l’acqua sporca, isolotti di rifiuti vaganti, topi giganti che colonizzano le rive, ma cos’era quando non c’erano ancora i sacchetti di plastica, quando l’acqua adesso scura era pulita? Qualcuno ce lo racconta, anche se quasi settecento anni fa: Petrarca. Come immagino sappiate, all’epoca non esistevano e-mail e cellulari, l’unico modo per comunicare a distanza era scriversi delle lettere. Così racconta Petrarca all’arcivescovo di Genova, nel 1353: “A piè del colle scorre il Lambro, limpidissimo fiume benché piccolo, è capace di sostenere barche di ordinaria grandezza, il quale scendendo per Monza, di qui non lungi, si scarica nel Po’” Persino il nome di questo fiume ci racconta un suo precedente splendore. La domanda è: tornerà mai ad avere una natura coerente con il suo nome? Ci sono più isolotti di rifiuti nel Lambro che isole vere e proprie nell’arcipelago delle Maldive! E così, nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai lungo un fiume oscuro che la diritta via era smarrita. Ah quanto a dir quant’era l’acqua impura In questo fiume selvaggio di topi morti Che nel pensier rinnovan la paura! Tant’è sporco che poco è più delitto; ma per trattar del ben ch’io vi trovai, dirò de l’altri animali che v’ho scorti. Io non so ben ridir se da via Feltre io v’entrai: tant’era pien di gioia a quel punto che una pantegana abbandonai. E l’ira canta, o dea, l’ira dell’uomo di Milano, l’ira funesta che ha inflitto al fiume Lambro infinti dolori, che tanti topi di fogna ha gettato nell’Ade, tanti corpi di alberi ha dato in pasto a plastica e rifiuti. Si compiva il piano di Zeus dal giorno in cui la contesa divise fra loro Madre Natura, signora del mondo, e i prepotenti Uomini. E ora l’uomo, cantami, o dea, il distruttore del lungo lavoro, colui che sbagliò tante volte dopo aver distrutto la bella città di Hiroshima. Distrusse pian piano molti paesi, conobbe l’ira di Madre Natura, soffrì molte pene, nell’animo, sulla terra, lottando per migliorarsi la vita, rovinando il mondo. Desiderava entrambi, ma non ci riuscì; per la fatica tenne soltanto la sua vita, lo stolto, gettando nei fiumi sacri alle Ninfe i propri rifiuti, e Gea li privò del mondo.

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ostriche senza perla

Quanto spesso quei signori che vogliono parire dotti e ineccepibili ai vostri occhi si tradiscono nel modo più brutale ed esilarante? Inviaci a nche tu le peggiori frasi dei TUOI prof... DURANTE LA LEZIONE DI LATINO Prof: Oggi studiamo i verbi deponenti, o, come li chiamo io, i transessuali! NOTA DURANTE LA LEZIONE DI INGLESE “L’alunno X viene richiamato perchè segue la lezione.” AL PROF X: Prof, che cosa ne pensa del nuovo governo? Prof: Una m***a incartata in una calza di seta! IL PROF, RACCONTANDO DI QUANDO INSEGNAVA NELLA SCUOLA DI MEDA Prof: Quando insegnavo nel paese di Meda, paese che ha perso la R, i miei studenti...blablabla DURANTE LA LEZIONE DI LATINO - UTRA Prof: “L’una o l’altra”. Esempio: con quale mano scrivi? (Questo esempio, chiaramente, non vale per gli Ottomani...) SPIEGANDO IL FINALE DEI PROMESSI SPOSI Prof: Poi però ebbero molti figli...si vede che Lucia non sapeva soltanto cucinare! RICONSEGNA VERIFICHE Prof: Non è che scopro adesso che siete delle capre: lo sapevo già. DURANTE LA LEZIONE DI ARTE, DEFINIZIONE SCIENTIFICA DI PIRAMIDE Prof: E le piramidi erano quei triangoli, tombe di faraoni e faraone. DURANTE LA LEZIONE DI FILOSOFIA X: Prof, ma “gnoseologico” si scrive con la GN di “gniente”? Prof: No, con la GN di ignorante! DURANTE LA LEZIONE DI ITALIANO Prof: Come Parini, che era un povero disgraziato e doveva fare il professore... come tutti i poveri disgraziati... DURANTE LA LEZIONE DI ITALIANO, SPIEGANDO LE GIACULATORIE Prof (a X che si agita convulsamente all’improvviso): Pervertito, subito a pensare all’eiaculazione! SPIEGANDO LA NASCITA DELLA FOTOGRAFIA Prof: Ora fotografate con qualunque aggeggino di 2 cm quadrati, ma allora era come portarsi dietro una lavatrice, ci si portava dietro uno space shuttle! DURANTE LA LEZIONE DI ITALIANO Prof a X: Comunque ti sto paragonando a Dante solo per il tuo disagio interiore, non per altro... PRIMA DI INCONTRARE I RAGAZZI AMERICANI Prof (con tono preoccupato): E comunque ragazzi non fate gaffe o dopodomani siamo in querra con gli Stati Uniti! SEMPRE PRIMA DI INCONTRARE I RAGAZZI AMERICANI Prof: Sfruttate al massimo la conoscenza della lingua; dell’inglese, non dell’altra lingua... 36

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tweet anatomy Verba volant, screenshot manent...

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preside

mentre tutti i prof pensano di aver recluso in casa gli studenti con i compiti di carnevale, i carducciani se ne vanno a venezia per trascorrere le vacanze. ma ecco che da lontano scorgono il preside...riesci a vederlo?

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i h c o gi Partendo dal ciuffo in alto a sinistra, riesci ad arrivare al colletto della giacca in basso a destra? E chissà che nel frattempo, attraversando il cervello dello scienziato, non ci guadagni un po’ in intelligenza...

indovinello Ci sono 4 condannati a morte. Il generale decide di dare loro un’ultima possibilità. Li sotterra dunque nella sabbia in fila uno dietro l’altro, facendo in modo che di ciascuno spunti solamente la testa. I 4 condannati, quindi, immobilizzati nella loro posizione, possono vedere solamente davanti a sè. A questo punto il comandante mette ad ognuno un cappello, senza che questi possa vederlo. Poi dice loro che in totale ci sono 2 cappelli neri e 2 bianchi: entro un minuto, un condannato dovrà saper dire con certezza il colore del cappello che ha in testa così da salvare la vita di tutti. I 4 uomini, però, non possono parlare fra di loro. Tra ilprimo e il secondo uomo, inoltre, c’è un muro, che rende impossibile la vista del primo da parte del secondo. La situazione è quindi questa: 4 uomini sotterrati in fila, non posso parlare nè girarsi, ma devono guardare necessariamente in avanti. Sanno che in totale ci sono 4 cappelli sono, 2 neri e 2 bianchi. 1° muro 2° 3° 4° Chi dei quattro saprà rispondere con certezza? Come farà? Gennaio - Febbraio 2014 | L'Oblo' sul Cortile

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(C[o[n[c[o[r[s[O) Artista rampante Artista dimezzato o Artista inesistenete?

Se rientri nella prima categoria ti consigliamo un corso di atletica leggera con specializzazione in salto in alto carpiato, se rientri nella terza categoria ti consigliamo di fartene una ragione, ma se rientri nella seconda categoria ecco l’occasine che cercavi per rivelare il tuo talento!

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Il Liceo Carducci ha compiuto

80 ANNI:

dal 1933 centinaia di ragazzi sono passati fra le sue mura, hanno conosciuto gente, hanno imparato cose... Con l’augurio che possa essere ancora così per molte altre generazioni!


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