Luigi Mazzarelli - Biografia

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LUIGI MAZZARELLI (1940 - 2006)

Luigi Mazzarelli è nato il 3 gennaio 1940 a Cagliari, città nella quale ha trascorso la sua vita e a cui ha legato gran parte della propria ricerca pittorica e teorica. Il suo percorso artistico è iniziato nel 1955 con l’apprendistato presso lo studio di Foiso Fois, sotto la guida del quale ha appreso le tecniche di disegno e pittura accademiche, realizzato le sue prime opere ed è entrato in contatto con le idee politiche ed artistiche dell’avanguardia europea. All’opera di Fois, negli anni della maturità, Mazzarelli ha dedicato uno studio monografico tuttora inedito. * La

fede

politica

comunista ed il percorso artistico si legano

definitivamente a partire dal 1960, anno in cui l’artista è il più giovane tra i firmatari del manifesto del ​Gruppo di Iniziativa.​ Questa compagine di pittori, letterati, intellettuali rappresenta uno dei primi movimenti di attivismo politico ed artistico in Sardegna. L’adesione al comunismo si riflette nelle opere del gruppo e dell’artista attraverso l’inserimento programmatico di slogan, materiali eterogenei e immagini antiborghesi nei dipinti del periodo, che Mazzarelli presentò nella sua prima mostra personale, presso il ​Gruppo​, nel 1961. Nel 1968 l’artista decise di rifiutare una borsa di studio del Ministero dell’istruzione francese di cui era risultato vincitore e che gli avrebbe permesso di trascorrere un anno di residenza artistica a Parigi. A distanza di anni dal termine dell’esperienza nel Gruppo di Iniziativa, Mazzarelli è stato estremamente critico nei confronti degli esiti del manifesto e dei propositi e protagonisti del gruppo nel suo principale scritto: ​Alla ricerca della forma perduta​, elaborato nel 1979 e presentato per la prima volta nel 1983.


La tensione che divideva l’artista tra l’attività politica a supporto del ​Partito Comunista Marxista-Leninista e la pratica artistica vide prevalere

la

prima.

Nel 1970 Mazzarelli,

convinto che l’arte non potesse conciliarsi con l’attivismo politico a cui intendeva dedicare tutte le sue forze, ha bruciato nel suo studio di Santa Croce in Castello tutti i lavori realizzati in quindici anni di carriera. In questo rogo, durato diversi giorni, sono scomparse tutte le opere in suo possesso, dalle prime prove realizzate sotto

la

guida

di

Fois

sino

alle ultime

sperimentazioni in campo ​Optical​. In questi 15 anni l’artista aveva ripercorso tutte le principali fasi

dell’arte

moderna:dalle

tecniche

accademiche all’impressionismo, dal realismo sociale

all’informale,

arrivando

infine

a

sperimentazioni di carattere cinetico in linea con le ultime tendenze europee e mondiali. Scampano alle fiamme esclusivamente le opere in possesso di terzi. Al rogo seguono anni di intenso fervore politico; la ricerca artistica riprenderà solo nel 1974, anno in cui Mazzarelli venne incarcerato a Cagliari in seguito a una manifestazione legata a uno sciopero generale. Questa fase durata quattro anni rappresenta la prima presa di distanza dall’arte e dal ruolo di artista in favore di una pratica percepita come più radicale, viva e diretta. Sarà solo la prima di varie azioni volte a infondere nuovo senso al linguaggio visivo e al suo rapporto con il reale. Prima la rivoluzione, poi l’arte.


Con il venire meno della aderenza alla linea del ​Partito Comunista Marxista-Leninista si conclude il periodo della politica militante; Mazzarelli riprende infine la ricerca artistica. Come ricorda nel testo del ‘79, a questo punto non possiede ormai più nemmeno un pennello, tutto era stato collettivizzato o disperso, tutte le opere distrutte nel rogo del 1970. È da questo grado zero che inizia la sua ricerca più consapevole e matura. L’artista ha nel frattempo iniziato la sua carriera di insegnante con le prime supplenze temporanee dal 1965 e dal 1974 diventa docente di ruolo presso il Liceo Artistico di Cagliari, dove ha insegnato discipline pittoriche per il resto della sua carriera scolastica. * Gli anni del ritorno alla pratica artistica gettano le basi per quello che sarà il periodo più ricco di intuizioni e scoperte teoriche e formali, la gran parte delle quali confluiranno in “Alla ricerca della forma perduta (dalla poetica del deserto all’opera totale)”. Il rogo del 1970 viene percepito dall’artista come l’esito naturale della propria ricerca del tempo, ma anche come parabola generale delle arti visive del ‘900. È verso l’esperienza nullificante del rogo che corrono le spinte iconoclaste delle avanguardie, da un lato quelle razionaliste-costruttiviste, dall’altro quelle organico-espressioniste: questa contrapposizione storica serve all’autore al fine di formularne il superamento in favore di una pratica dialettica. Attraverso il drenaggio di ogni ipotesi linguistica di connessione tra segni e realtà, giunti alla definitiva morte dell’arte, o comunque del linguaggio, diviene priorità dell’artista cercare di rifondare e ritrovare la connessione che lega il mondo ai segni, il contenuto alla forma. Da questi presupposti radicali, da questo distanziamento da un’idea data di modernità prende inizio la ricerca più importante di Luigi Mazzarelli.


Tra gli anni della militanza e il ritorno all’arte è mutato il panorama artistico a livello globale, ma anche nella comunità artistica isolana. È l’idea stessa di comunità che si è andata sgretolando, le individualità

che

componevano

il

Gruppo

di

Iniziativa e gli altri artisti di avanguardia sono riuniti attorno alla Galleria Comunale diretta da Ugo Ugo, e ad alcune gallerie private, come la Duchamp. Alla

spinta

comunitaria

vitale,

radicale

e

politicamente connotata dei primi anni ‘60 sembra essersi sostituita la necessità di legittimazione e gli spazi offerti dalle istituzioni locali. Nel 1973 e nel 1975 nascono le figlie del pittore: Ada e Giulia. La ricerca non può che ripartire dagli elementi di base del linguaggio: dal 1974 l’artista si serve dell’acquerello approfondire

come il

tecnica

rapporto

privilegiata

per

chiaroscurale,

“la

dissolvenza dei toni saturi nel bianco-luce della carta”; il punto di partenza è il momento di rottura con cui le avanguardie si sono affermate: la dissoluzione del rapporto tra figura e sfondo nell’immagine pittorica, avviata nelle opere cubiste di

Picasso

e

Braque,

sistematizzata

nelle

compenetrazioni di Gris. La dissoluzione chiaroscurale viene sistematizzata da Mazzarelli in opere a olio in cui si configura quella che l’autore definisce “alfabetizzazione del deserto” o “grammatica del vuoto”. Gli esiti di questa ricerca sugli elementi della semantica visiva sono stati presentati in due mostre personali: nel 1979 presso la Galleria Duchamp, nel 1983 alla Galleria Comunale d’Arte di Cagliari,


accompagnati da una presentazione di “Alla ricerca della forma perduta”. Nel primo caso il testo fu presentato in sede di conferenza di chiusura della mostra, mentre alla Galleria Comunale fu esposta una versione consultabile, appesa all’interno di una cornice barocca. L’artista si è occupato in quest’ultima occasione di ciclostilare ottanta copie del testo e distribuirle ad artisti, critici, intellettuali. Il silenzio che seguì questa condivisione viene ricordato nella pubblicazione definitiva del testo, del 2000, nelle note della quale vengono riportati i commenti dei pochi che si presero la briga di fornire un riscontro. Fatta eccezione per la risposta di Tonino Casula, che comunque non condivideva affatto gli argomenti esposti,

il

resto

dei

commenti è una serie

imbarazzante di note vaghe e generalizzanti o di carattere grammaticale. Questo silenzio era stato anticipato da quello raggelante

seguito

alla

conferenza

tenuta

in

occasione della personale del ‘79 alla Duchamp, silenzio che ha continuato e continua a mantenersi religiosamente su questo testo senza lettori. E’ dalla delusione seguita alla diffusione del manifesto

che

nasce un ultimo esperimento,

probabilmente ancora oggi il più conosciuto lavoro del Nostro. Nel 1983 Mazzarelli fonda “l’abbazia stratosferica” di ​Thèlema​, rivista che mirava a creare un circuito di autolegittimazione incrociata tra gli esponenti della cultura sarda. La rivista intendeva creare quella rete di scambi e dibattiti che non si erano ad esempio concretizzati con la presentazione del manifesto.


Si tratta della più importante rivista artistica nella Sardegna dal dopoguerra a oggi: l’obiettivo era coinvolgere il numero maggiore di artisti, intellettuali, autori, musicisti, per costituire una piattaforma autonoma di legittimazione. ​Thèlema veniva ciclostilata e prodotta in maniera totalmente artigianale, con quel consapevole e orgoglioso ricorso al ​bricolage che ne lascia percepire ancora oggi la forza autarchica e l’indipendenza. L’impresa costerà carissima al fondatore-direttore: è tragicomica la scoperta del fatto che gli stessi redattori non si leggono tra loro nemmeno se affiancati su uno stesso numero; il direttore è costretto a intervenire continuamente in compiti di mediazione, organizzazione, diffusione delle 200 copie (700 addirittura per qualche numero) ciclostilate per ogni uscita della rivista. La redazione si assottiglia via via, si arriva con gli ultimi due numeri a una produzione della rivista (dai contenuti alla rilegatura) a cura del solo direttore. Nel 1988 si conclude questa esperienza, con la più tragica consapevolezza di solitudine e la sfiducia nei confronti della comunità artistica sarda. La prima conseguenza di questa disfatta è uno dei momenti più toccanti e significativi del percorso dell’artista: nel 1988, poco dopo la pubblicazione dell’ultimo numero della rivista, invitato alla rassegna regionale d’arte moderna nella sede di Villa Asquer, Mazzarelli consegna nelle mani degli organizzatori una ​“Lettera di dimissioni da Artista”.​ E’ il momento in cui le tesi del manifesto e la delusione dell’esperienza di Thèlema diventano reali: la figura dell’artista è diventata qualcosa da rifiutare completamente, “pura soggettività espugnata dal capitale”. Possiamo dire che questa negazione di Mazzarelli è in realtà una affermazione: nel momento in cui l’arte si è trasformata in anti-arte, in cui l’avanguardia è divenuta accademia è difficile trovare le ragioni di un operare artistico che si possa fondare nella storia. Ad essere interessante è il fatto che Mazzarelli non ha rifiutato in modo reazionario le pratiche delle neo-avanguardie, le ha analizzate anzi con acume e consapevolezza nel suo ​manifesto.​ Ad aver reso unico il suo percorso è proprio l’aver cercato una nuova


strada al linguaggio che raccogliesse l’eredità delle avanguardie, ma aprendosi alla costruzione, non alla riduzione al vuoto, alla tautologia kosuthiana, alle formule sintattiche dell’arte programmata o al falso storicismo della transavanguardia. Al fine di proiettare nel futuro (e sul passato) le direttrici di una rinnovata semantica visiva era, ed è, necessario svestirsi del ruolo dell’artista per dare alla ricerca maggiore apertura. Alle ​dimissioni sono seguiti anni particolarmente difficili dal punto di vista umano: nel 1993 muore giovanissima la figlia Ada. A lei è stata dedicata la più importante opera di Mazzarelli, quel ​Libro Bianco che raccoglie tutte il suo percorso in una forma quasi medievale: teorica, scritta, miniata, illustrata. Anche la principale opera di Mazzarelli non è stata finora mai presentata al pubblico. Nel 1996 ha avuto luogo un secondo, ultimo rogo. Radunate nella zona di Sa Illetta le migliaia di opere tra fogli, tele, tavole, prodotte dal 1974 e ancora in suo possesso, Mazzarelli appicca un enorme fuoco che sarà visibile a chilometri di distanza. Di questa azione rimangono alcune immagini documentative ed una testimonianza materiale: “La transustanziazione di opera d’arte”, un segno fatto con la cenere delle opere bruciate su carta e sottoscritto dai testimoni del rogo. Dal 1999 Mazzarelli lascia Cagliari per trasferirsi al Villaggio delle mimose, dove lavora al ​Libro Bianco e alle strutture e piante del giardino, concepite anche queste come opera. Dopo un periodo di malattia l’artista è morto nel 2006.


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