MUSEUM | GIOVANI ARTISTI E LA COLLEZIONE CARRARA

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MUSEUM GIOVANI ARTISTI E LA COLLEZIONE CARRARA

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Quando accadono incontri fertili è giusto mettere impegno perché ne resti segno. Museum è una esposizione nata per dare il meritato risalto alle opere realizzate dagli artisti che si stanno formando in Accademia Carrara di Belle Arti, i quali - con sorprendente lucidità - hanno risposto al Corriere della Sera Bergamo che li ha invitati a ragionare su una serie di Capolavori della Collezione della Pinacoteca Carrara. Gli artisti chiamati in causa hanno risposto studiando e “ri-conoscendo” le opere del passato. La domanda che si sono posti è: che cosa vuol dire quest’opera oggi? Lontani dal riproporre tecnicamente questi capolavori del passato ne hanno indagato le strutture di senso nel tentativo di farle proprie in modo significativo. Da artista e docente in Accademia Carrara di Belle arti sono orgoglioso di presentare questi lavori che mostrano un impegno congiunto di guardare l’arte come un ambito dove ancora i giovani sanno osservare il passato e sanno rilanciare in una contemporaneità a dir poco difficile. Ringrazio Maria Grazia Recanati che ha voluto con entusiasmo e passione partecipare alla curatela e ai contenuti teorici di questo evento. Francesco Pedrini

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Museum

Nell’estate del 2000 la National Gallery di Londra organizzò una mostra dal titolo Encounters. New Art from Old: alcuni anni prima si era chiesto a ventiquattro importanti artisti contemporanei di scegliere un’opera dalle collezioni del museo e assumerla come punto di partenza per una creazione originale. I frutti di questo esperimento vennero esposti con un criterio molto esplicito: non in una sezione separata, ma lungo il percorso stesso che il visitatore deve compiere nelle sale del museo, attraversando stili, personalità, secoli, storie, la Storia. La mostra fu percepita come un evento, la rottura di un confine, non solo e non tanto perché si trattava di artisti contemporanei posti di fronte a capolavori del passato (questo è sempre avvenuto, la modernità in sé, da Goya, Manet in poi, nasce nel riverbero del passato e il templum di questo passato è il museo), quanto perché la mano tesa, l’apertura, questa volta veniva dall’istituzione conservatrice, uno dei più grandi musei del mondo, che rompeva la propria definizione storico-temporale, aprendosi al divenire e proiettando questo divenire all’indietro, nei secoli documentati, rivitalizzando i rapporti, le categorie estetiche, gli incontri, appunto, che della storia dell’arte sono l’essenza stessa. Inoltre, sembra quasi inutile ricordarlo, un’operazione di questo tipo si stagliava sull’ombra lunga dell’avanguardia e della sua negazione postmoderna. Da allora si sono visti molti tentativi analoghi: i musei sembrano avere bisogno dello sguardo degli artisti e in Italia questo assume un significato terribilmente impegnativo, vista la quantità e qualità delle opere ereditate, visto il tessuto urbanistico e architettonico medievale e rinascimentale di una densità senza pari. L’arte contemporanea può e deve interloquire con le teorie museologiche, con i criteri di selezione e valorizzazione delle opere d’arte, così come artisti e musei dovrebbero interloquire con l’estetica e la storia dell’arte nel ridisegnare una proposta espositiva che oggi più che mai sfida i linguaggi dei nuovi media e raccoglie un rinnovato (molto difficile) dialogo con la storia. Il concetto di rete e di creatività diffusa prevale ormai, anche nella coscienza collettiva, sul percorso lineare evolutivo di impronta ancora idealistica, organizzato per settori geografici, per ipotesi storicoartistiche, con personalità emergenti e scuole; oppure per criteri, ancora di tipo genetico, che premiano le diverse correnti del gusto e i loro dettami nel collezionismo d’epoca. E’ l’idea classica che tutti abbiamo di museo, ma il modo in cui oggi comunichiamo trasformerà necessariamente l’idea di storia e quindi lo spettacolo delle sue vestigia

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ritenute le più prestigiose dalla memoria culturale umana viva nel nostro presente. In questo nostro piccolo esperimento, dove, per sollecitazione del “Corriere della Sera”, si recupera un museo temporaneamente inaccessibile, la Pinacoteca Carrara in restauro, e si chiamano gli studenti dell’Accademia a riflettere sulle opere in essa conservate, non possiamo rispecchiarci in un percorso museale, che aveva forme tradizionali e che ora è tutto da pensare; ma i risultati delle singole riflessioni contengono molti suggerimenti che auspico non passeranno inosservati e che parlano proprio all’idea stessa di museo dell’oggi e per l’oggi. Riflettere su un singolo frammento di memoria non può che rimandare all’intero sistema della tradizione culturale: il senso vero di questa mostra dovrebbe uscire dai confini di un’esercitazione, per quanto di alta qualità; l’invito è quindi a raccogliere una prospettiva fertilissima, che dal passato parte e sul passato ritorna con effetto di spettacolo re-interpretativo. Questo è sempre stato, e ancora oggi è, MUSEO. Ognuna delle opere realizzate dagli studenti meriterebbe una riflessione a sé. I modi per entrare in un dipinto del passato sono molteplici e qui ne vediamo attivati alcuni dei più intelligenti e originali. Sempre, in ogni caso, risulta chiaro che è stato seguito un criterio fondamentale: la presa di distanza. Non è certamente nell’illusione di immergersi nel “capolavoro” antico che si colloca una qualche possibilità di comprensione. Solo la distanza rende conto di una possibile traiettoria, di una direzione di memoria, talora di un’impossibilità a leggere, conoscere, percepire il passato. Si potrebbe credere che la presa di distanza nasca essenzialmente dal cuneo della tecnica, ma non è così: è presa di distanza concettuale, consapevolezza di essere un punto di arrivo importante tanto quanto il punto di partenza, irriducibile al punto di partenza. Gli studenti hanno intessuto un vero dialogo (incontro) tra passato e presente: non si appiattiscono sul d’après (per quanto raffinato), né su banali attualizzazioni, ma puntano tutti ad evidenziare un focus in ognuna delle opere selezionate, e a seconda del focus prescelto, che è già sofisticata lettura del dipinto antico, viene decisa la tecnica, con tutte le infinite possibilità che l’epoca contemporanea consente. Talora sono dichiaratamente i contenuti a costituire il cardine dell’approccio e questi contenuti sono di grandissima portata: la

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dimensione del sacro e il volto nascosto del divino (Ferrari, Rivellini); l’identità, oggi più che mai plurale, nel multiculturalismo (Maestroni), nel sovrapporsi di luoghi e tempi (Natali, Spreafico), di tradizioni e immagini; la questione sociale e politica: dentro una struttura simbolicamente sempre identica a se stessa, episodi nuovi di sopruso e violenza si esercitano, spettacolarizzati dai media (Maino). Trame rintracciate secoli fa per diversi fini possono piegarsi oggi a raccontare di noi, fino a farsi ricordo familiare (Arzuffi), cronaca (Belloli), memoria del brutale secolo breve (Piras). La presa di distanza può declinarsi come rifacimento linguistico, o spostando il registro della comunicazione (Pessoni, Ravotto, Cattaneo), o sottraendo parti dell’immagine, negandole per silhouettes (Sant’Ambrogio). In questo processo di destrutturazione e ricostruzione della persona e del suo contesto figurativo gioca tutta la sua potenza il linguaggio pubblicitario, ma coniugato con la tradizione culturale e tecnica della pittura e dello spazio visivo. Fino all’esempio molto poetico del calco sindonico in tre diverse fasi, che parte dai Crocefissi di Vincenzo Foppa e arriva all’evanescente visione del nostro tempo, macchia evocativa di un inconscio che si libera e si costringe ad un tempo dentro la metrica risoluta della Trinità e della cosmica armonia. Maria Grazia Recanati

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ANDREA NATALI

Ho interpretato l’opera del Canaletto attraverso la tecnologia moderna, mettendola a confronto con quella settecentesca, con la camera ottica utilizzata dall’artista veneziano per dipingere. Ho usato una tecnologia più avanzata per riprodurre la realtà come Canaletto faceva. Usando google earth e, dunque, senza muovermi da una postazione con un computer, ho scelto la stessa inquadratura utilizzata dal Canaletto per proporre l’immagine "fotografica" del Canale Grande come lo vediamo oggi. Il punto di vista rimane identico, ma con un profondo scarto temporale. Il confronto non è solo tra due tecnologie e momenti storici differenti, ma tra due diversi modi di vedere e di rapportarsi al paesaggio. Quell’immagine di Venezia che Canaletto "conservò" attraverso il dipinto, tramite google earth a noi è potenzialmente sempre accessibile, sempre e immediatamente visibile.

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L’ngresso al Canal Grande con la dogana e la Chiesa della Salute

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ANNA ARZUFFI

C’è qualcosa nello sguardo della fanciulla di casa Redetti, una forza magnetica che crea un’immediata empatia con chi la osserva. Ritrarla con occhio odierno, lontana dalle pose e dalle vesti d’ordinanza al tempo del Moroni, è un tentativo di restituire l’infanzia a una bambina già adulta. La tela diventa un’istantanea fotografica dal sapore familiare, la classica foto ricordo con il grembiulino della scuola materna, presenza immancabile in ogni album di famiglia.

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Ritratto di bambina

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DANIELE CATTANEO

Ho indagato l'opera pittorica come un oggetto che assume contenuti e valori differenti a seconda del contesto in cui si trova ed è fruita. Ho utilizzato un testo che si sovrappone all’immagine, in modo che filtrasse la visione del dipinto e lo rendesse decifrabile solo da una certa distanza, impedendone una fruizione ravvicinata e approfondita. Il testo è la scheda tecnica dell’opera, descrittiva e didascalica. L’opera si “legge”, ma non può più essere fruita in modo diretto, emotivo. C’è una distanza che non permette l’immedesimazione.

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Senza titolo

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DAVIDE BELLOLI ...quel giorno più non vi leggemmo avante

Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lanciallotto, come amor lo strinse: soli eravamo e sanza alcun sospetto. Per più fïate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante. (Divina Commedia Inferno, canto V, vv.127-138).

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E’ la morte che vince l’amore. E’ l’amore che va oltre la morte, in eterno.

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FERRARI DIEGO

Una reinterpretazione in chiave iconoclasta, memore delle esperienze di Mosè e di San Paolo, venuti a conoscenza della divinità attraverso la negazione alla vista. La sovraesposizione dei volti, che li nega, porta alla loro sottolineatura, come se ciò che non fosse più possibile leggere in un'immagine lontana da noi per tempo e cultura continuasse a conservare e a far vivere il mistero per eccellenza dell'occidente.

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Poker Face

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DIEGO RAVOTTO

Il ritratto di Ulisse Aldrovandi diventa una diapositiva, come se l’autore avesse prodotto un assurdo ritratto fotografico , la figura si trasforma in uno strano uomo con la testa da civetta, come se Agostino Carracci fosse riuscito ad unire in una sola immagine il corpo fisico di Aldrovandi e il mondo composto da creature immaginarie nel quale viveva.

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Senza titolo

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FRANCESCA SANTAMBROGIO Cordoglio ombelicale

Nella Madonna del latte di Ambrogio Bergognone la dolcezza dela maternità viene indurita dalla collana di corallo che Gesù porta al collo, simbolo del suo futuro sacrificio. Come in una vanitas convivono la meraviglia della vita e l’inesorabilità della morte. Ho assimilato la figura di Cristo (e dell'uomo in genere) a quella di sei altri mammiferi, nello specifico animali d’allevamento, il cui destino conclude sovente sui banchi delle macellerie. Le madri allattano teneramente i loro cuccioli, che annunciano il loro destino, poichè scomparsi-ritagliati dall'immagine. Con devoto sforzo le nostre madri continuano a nutrire noi e le nostre ombre, da sempre.

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Particolare dell’opera

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GIULIA SPREAFICO

Il lavoro nasce dall'interpretazione di due elementi caratteristici dell'opera del Guardi: da un lato l'esigenza dell'autore di rappresentare la realtà con una certa libertà interpretativa, unendo elementi oggettivi e fedeli ad altri di pura invenzione; dall'altro l'utilizzo delle maschere, ultimo orpello di una Venezia ormai decadente. Nel tentativo di alterare ulteriormente la realtà rappresentata, si inserisce nel quadro uno scorcio di Consonno "città dei balocchi", un complesso architettonico visionario e azzardato, costruito in un piccolo borgo della Brianza degli anni sessanta e concepito come un parco dei divertimenti, ma caduto presto in rovina.

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Capriccio

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LUCA MAESTRONI

Il mio lavoro verte sull'influenza e sulla dicotomia tra Oriente ed Occidente. Un secolo dopo la realizzazione di questo quadro la flotta americana giunge nel porto di Uraga. Da allora gli usi e i costumi si sono in qualche modo contaminati. Il quadro presenta una giovane ragazza di famiglia borghese: i kimono decorati sono abbandonati, la fanciulla presenta un più sobrio abito da corte occidentale. Tracce della precedente cultura si trovano nel fermacapelli kanzashi e nel decorato ventaglio in mano alla giovane. Questo strumento di refrigerio è rimasto invariato in questo delicato passaggio. Il gesto della ragazza orientale è quello di celare l’hara, il ventre, che è considerato il centro della vita. Nascondere l’addome significa quasi nascondere la propria cultura.

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Fanciulla con ventaglio

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MARA PIRAS

Ho deciso di effettuare una “scarnificazione” di questo arco trionfale eretto a Roma a memoria della guerra giudaica e dedicato all’imperatore Tito, per svuotarlo del proprio significato “disumano” che celebra la vittoria del popolo romano sul popolo ebreo nel 70 d.C, la distruzione del tempio di Gerusalemme e numerose morti, che li costrinsero ad abbandonare la loro terra. L’architettura si regge a malapena ed è svuotata anche della dedica da parte del Senato Romano all’imperatore stesso, ed è posta in un ambiente irreale e privo di vita umana. Inoltre ho “chiuso” il passaggio sottostante all’arco, come se ci fosse un muro, per rappresentare il disprezzo che provano tutt’oggi gli ebrei verso questo monumento e il loro perenne rifiuto nell’attraversarlo.

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Arco di Tito

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MARTA PESSONI

Su uno dei simboli della modernità, il televisore, appare nella polvere depositatasi sullo schermo un quadro di Baschenis. La polvere, che nei suoi quadri trova spazio sugli strumenti, è simbolo della vanitas, della caducità della vita umana e dell’inconsistenza di ogni cosa terrena. Associata al televisore esprime gli stessi concetti, alludendo al medium che, per eccellenza, mostra l'inconsistenza delle cose e delle immagini che normalmente diffonde. Inoltre, la polvere è esposta a un inesorabile mutamento. Si può comprenderne la caducità solo congelandola, attraverso la pittura per Baschenis, o la fotografia.

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Telepolverizzazione

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MATTEO MAINO

Ho deciso di lavorare su questa opera perché tratta temi attuali quali la violazione dei diritti e la rivolta di un popolo. Dal punto di vista compositivo ho ricercato ed utilizzato immagini che avessero un’attinenza formale e contenutistica riguardo agli episodi trattati dal Botticelli, dal rapimento alla rivolta popolare verso la dittatura. Coerentemente alla composizione teatrale del quadro originale, ho creato un'installazione su più livelli di PVC dipinti a marker e distanziati di alcuni centimetri gli uni dagli altri. Su questi livelli si intervallano i vari blocchi narrativi, dando modo all'osservatore di leggere l'immagine in tutta la sua profondità.

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The Story of Virginia, today

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RIVELLINI NATASHA

Descrizione: l’opera consiste in una riproduzione di una metà del quadro su una matrice di cartone, stampata su supporto di carta velina e piegata simmetricamente in corrispondenza della parte interrotta del quadro. Il numero tre, tanto caro alla religione cristiana,è fondamentale per quest’opera non solo per il titolo e per il soggetto in essa rappresentato, ma soparattutto perchè questo lavoror è il risultato di tre passaggia differenti: la realizzazione della matrice, la copia della stassa ed infine la copia della copia. L’opera finale ricrea l’effetto di una sorta di Sacra Sindone in cui l’immagine sembra crearsi e definirsi davanti agli occhi dello stesso osservatore.

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I tre crocifissi

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Venerdi 1 Giugno dalle ore 18 alle 20. Presso Accademia Carrara di Belle Arti Piazza Carrara 82/d Bergamo

coordinatore evento Francesco Pedrini testo critico a cura di Maria Grazia Recanati concept comunicativo officinadanova progetto grafico Carloalberto Treccani Testi e opere a cura degli artisti

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officinadanova

strategie di comunicazione

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