De l'ombre à la lumière

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de l’ombre à la lumière progetti realizzati con persone in stato di detenzione Direttore Elisabetta Meneghel Consiglio di amministrazione Giancarlo Borile Mirella Brugnerotto Monica Calcagno Daniela Ferretti Marco Sportillo Staff Stefano Coletto Leonardo Di Domenico Rachele D’Osualdo Giorgia Gallina Tina Ponticiello Ha collaborato Annabianca Traversa Interns Serena Moscardelli Anna Elena Paraboschi

20 ottobre / 15 novembre 2015 Fondazione Bevilacqua La Masa Palazzetto Tito, Dorsoduro 2826 Venezia A cura di Daniela Rosi Fotografie di Marco Ambrosi Giorgio Bombieri Davide Dutto Giovanna Magri Éric Oberdorff Klavdij Sluban Progetto grafico Giorgio Bombieri Segreteria organizzativa Giulia Ribaudo Traduzioni Giacomo Gazzato Promossa da PREFACE Officina delle nuvole Con il supporto di Cooperativa Rio Terà dei Pensieri LAO laboratorio artisti outsider Università Ca’ Foscari - Venezia


De l’ombre à la lumière La parola alle immagini

di Daniela Rosi

Di solito si organizza una mostra perché si sente l’esigenza di dire qualcosa, di affermare un credo, di sostenere un’idea, di proporre un punto di vista, di introdurre uno stile, di portare alla luce qualcosa che sentiamo di dover sottrarre al buio. Questo senso di necessità è particolarmente vero per una mostra come “De l’ombre à la lumière”, proprio per i temi che questa esposizione ci propone di affrontare. Quando, nel 1839, a Parigi viene finalmente svelato il “mistero” del dagherrotipo, scoperta dello scenografo Louis Jacques Mandé Daguerre, qualcosa di assolutamente nuovo entra nel mondo della scienza, passa nella comunicazione, per arrivare, attraverso un percorso non facile, fino al mondo dell’arte. E’ questa la data che dà inizio al processo di democratizzazione, se così si può dire, dell’immagine. Immagine che, fin da subito, si rivela un potentissimo attore. Come in un teatro, dove si recitano commedie, tragedie e farse, così nel palcoscenico del campo visivo circoscritto dall’obiettivo, le immagini recitano la loro parte. Una volta fissate, esse prendono una vita autonoma, indipendente. Come nella commedia dell’arte, recitano a soggetto. Su un copione, offerto da chi scatta la fotografia, si sviluppano, così, tante storie autonome quante sono le persone che guardano quella foto. Le fotografie iniziano a circolare fra la gente, parlano alla gente, agiscono sulla gente. Una foto non è mai neutra. E’ un’immagine divenuta tale in quanto guardata e che, a sua volta, ci guarda… Il fotografo è, prima di ogni altra cosa, un uomo in dialogo. I fotografi che espongono in questa mostra sono tutti dei professionisti del mestiere, usano quindi la macchina fotografica come strumento principe della loro espressione. Ognuno di loro, con sensibilità, obiettivi, modalità assai diverse, ha lavorato all’interno di strutture carcerarie, utilizzando la macchina come medium per stabilire, prima di tutto, una relazione. I risultati ottenuti sono autoriali, con una forte valenza artistica. E’ molto interessante notare come la diversità, di approccio e di stile, abbia permesso tanti piani di lettura di una realtà apparentemente sempre uguale. Giovanna Magri, vocata all’indagine introspettiva attraverso lo studio del ritratto e dell’autoritratto, ha privilegiato l’aspetto spirituale dell’immagine. Il suo lavoro, che include anche la parola, è un viaggio 4


De l’ombre à la lumière La parola alle immagini de Daniela Rosi Généralement, on organise une exposition parce qu’on éprouve le besoin de dire quelque chose, d’affirmer une opinion, de soutenir une idée, de proposer un point de vue, d’introduire un style, de mettre au grand jour quelque chose que l’on sent devoir soustraire à l’obscurité. Ce sentiment de nécessité est particulièrement vrai pour une exposition comme De l’Ombre à la Lumière, en raison justement des sujets que celle-ci nous propose d’aborder. Lorsqu’en 1839, à Paris, le « mystère » du daguerréotype – une découverte du scénographe Louis Jacques Daguerre – est enfin dévoilé, quelque chose d’absolument nouveau entre dans le monde de la science, passant par la communication pour atteindre, à travers un parcours nullement facile, le monde de l’art. C’est la date qui fait commencer le processus de démocratisation – si l’on peut dire ainsi – de l’image qui, dès le début, se révèle être un acteur très puissant. Comme dans un théâtre où l’on joue des comédies, des tragédies ou des farces, sur la scène du champ visuel qui est délimité par l’objectif photographique, les images jouent leur rôle. Une fois fixées, elles deviennent autonomes, indépendantes. Plus encore, elles improvisent comme dans la Commedia dell’Arte. Sur un canevas qui est offert par le photographe, se développent alors autant d’histoires autonomes que de spectateurs qui regardent cette photo. Les photographies commencent à circuler parmi les gens, à parler avec les gens, à agir sur les gens. Une photo n’est jamais neutre. Il s’agit d’une image devenue telle en tant qu’objet d’observation et qui, à son tour, nous regarde.. Le photographe est, avant tout, un homme qui dialogue. Les photographes que l’on retrouve dans cette exposition sont tous des professionnels du métier, qui utilisent donc l’appareil photographique comme instrument premier de leur expression. Avec des modalités, des objectifs et des sensibilités assez différents, chacun d’entre eux a travaillé à l’intérieur des structures pénitentiaires, utilisant l’appareil photo comme un moyen pour établir, avant tout, une relation. Les résultats sont de véritables travaux d’auteur, avec une forte valeur artistique. Il est très intéressant de remarquer comment la diversité, autant d’approche que de style, a permis d’établir plusieurs clés de lecture d’une réalité qui, en apparence, reste toujours la même. Giovanna Magri, qui se consacre à l’enquête introspective à travers l’étude du portrait et de l’autoportrait, a privilégié l’aspect spirituel de l’image. Son travail, qui inclue aussi la parole, est un voyage de reconstruction de soi-même en suivant les chemins de l’âme que les signes de la vie tracent sur le visage de chacun. 5


di ricostruzione del sé seguendo le mappe dell’anima che i segni della vita tracciano sul volto di ogni persona. Dalla frammentazione psicologica ed esistenziale si passa, di tessera in tessera - proprio come nella costruzione di un mosaico - alla rigenerazione della propria identità. Davide Dutto ripercorre i processi fisiognomici lombrosiani che, nonostante il tempo trascorso e le tante conquiste sociali, continuano a influenzare il nostro giudizio sull’altro. Tutti abbiamo fatto l’esperienza, anche se ci vergogneremmo ad ammetterlo, di trovare certe facce perbene e altre da delinquente. Quante volte, davanti alla foto pubblicata su di un giornale a corredo di un fatto di cronaca, si è pensato: “Ha davvero una faccia da criminale”. Sentenza definitiva che arriva ben prima di ogni indagine e di ogni condanna. Retaggi culturali, preconcetti antichi, dai quali è difficile liberarsi. Eppure sappiamo tutti che la luce, il taglio con cui colpisce un volto, la postura, il luogo in cui la foto viene scattata sono tutti aspetti che possono orientare il giudizio. E, meglio di chiunque altro, lo sa il fotografo. Per questo, il lavoro di Dutto ci interroga sull’identità di persone di cui, in realtà, non sappiamo nulla. Giorgio Bombieri usa la macchina per valorizzare l’immagine di donne che hanno trovato nel lavoro il loro riscatto e il loro orgoglio. Gli umili arnesi, che ognuna di loro impugna, sono il simbolo di una nuova possibilità, la chiave di una svolta. E sono belle queste donne nelle loro pose, velate di lieve e poetica ironia, da dive pronte a guadagnarsi il pane quotidiano. Il lavoro nobilita, dà identità, concede un ruolo, garantisce un posto nella società. Le foto sono scattate tutte all’aperto, fuori, nei luoghi dove le attività professionali si svolgono. Sono foto di luce, nella luce. Marco Ambrosi, docente di fotografia in un corso di apprendimento professionale, insegna che la tecnica è sempre anche contenuto. Il lavoro degli allievi diviene perciò costruzione creativa di un’immagine che sarà non catturata in natura, ma dalla natura creata. Ecco nascere quei giardini che sono spazio sognato e che sono destinati a diventare spazio comune e condiviso nel momento in cui, divenendo immagine, verranno riprodotti su sete, per trasformarsi in foulard che andranno ad accarezzare colli, a coprire spalle di donne ignote, e su tele, che diverranno borse destinate a contenere oggetti e segreti di tante sconosciute. E’ lo spazio fisico concluso quello, invece, in cui danzano i corpi sui quali si concentra il lavoro del coreografo Eric Oberdorff. Il corpo in movimento si fa paesaggio, geografia emotiva in cui potersi muovere. L’ombra, il nostro doppio, danza in libertà. L’ombra non può essere reclusa, non la puoi prendere per un braccio e trascinarla dentro. Vive in un non luogo e in una dimensione extratemporale. Nasce sotto il sole e muore con la luna. Non si dà ombra senza la luce. 6


Ainsi, on passe de la fragmentation psychologique et existentielle à la régénération de sa propre identité comme l’on assemble une mosaïque, morceau après morceau. Davide Dutto reparcourt les procédés physiognomiques formulés par Cesare Lombroso qui, malgré le temps qui s’est écoulé et les conquêtes sociales, continuent d’influencer notre opinion vis-à-vis de l’autre. Même si nous serions bien gênés de l’admettre, nous avons déjà tous jugé un visage criminel ou irrépréhensible. Combien de fois, en regardant la photo publiée sur un journal à coté d’un fait divers, nous nous sommes dits « Il a vraiment le visage d’un criminel ! ». Une sentence définitive qui arrive bien avant toute enquête et toute condamnation. Ce sont des héritages culturels, des préjugés anciens dont on peine à se débarrasser. Pourtant, nous savons tous que la lumière, la façon dont elle atteint le visage, la posture et l’endroit où la photo a été prise sont autant d’aspects qui peuvent orienter le jugement. Et le photographe le sait mieux que personne d’autre. Dès lors, le travail de Dutto nous interroge sur l’identité de personnes dont, en réalité, nous ne savons rien. Giorgio Bombieri utilise l’appareil photo pour valoriser l’image des femmes qui ont trouvé dans le travail leur rédemption et leur raison d’orgueil. Les humbles outils que chacune d’entre elles serre dans son poing sont le symbole d’une nouvelle possibilité, la clé d’un tournant. Et elles sont belles, ces femmes dont les poses sont voilées d’ironie fine et poétique à la fois et qui se tiennent comme des vedettes prêtes à gagner leur pain. Le travail offre une dignité, une identité, il permet d’obtenir un rôle et garantit une place dans la société. Toutes les photos sont prises à l’extérieur, à ciel ouvert, aux endroits où se déroulent les activités professionnelles. Elles sont des photos de lumière, dans la lumière. Marco Ambrosi, professeur de photographie dans un cours d’apprentissage professionnel, nous apprend que la technique est aussi le contenu, toujours. Le travail des élèves devient alors la construction créative d’une image qui ne sera pas prise dans la nature, mais créée par la nature. Voici alors naître ces jardins qui, tel un espace initialement rêvé, sont destinés à se transformer en espace commun et partagé : ils deviendront des images et seront reproduits sur des soies pour devenir des foulards autour des cous et sur les épaules de femmes inconnues ou encore sur des toiles, qui deviendront des sacs destinés à contenir les objets et les secrets d’autres étrangères. Le travail du chorégraphe Éric Oberdoff se concentre au contraire sur un espace physique délimité où dansent les corps. Le corps en mouvement devient le paysage, une géographie d’émotions dans laquelle il est possible de bouger. Notre double, l’ombre, danse en liberté. Elle ne peut pas être enfermée, on ne 7


Infine, il lavoro intenso di Klavdij Sluban si svolge all’interno di tante carceri minorili, in diverse parti del mondo. Il suo approccio è assolutamente ed esclusivamente artistico. Questo lo mette al riparo da possibili derive moralistiche, dagli inciampi dell’approccio sociale, dal rischio di ibridazioni di ruolo. Sluban è e resta un fotografo. Sempre. Quello che cerca di condividere con i giovani che incontra in queste realtà extra-ordinarie è la passione per la fotografia. Alle tante domande che gli arrivano, egli cerca di dare risposte fotografiche. I suoi giovani colleghi del momento si appropriano della macchina e con questo nuovo strumento si aprono a nuovi sguardi su chi e su quanto li circonda. Poi, come ci dice Sluban stesso: “Non appena sparisce quella curiosità suscitata dall’arrivo di un nuovo visitatore, lui rimane per cercare di vedere là dove non c’è nulla da vedere: quel tempo che sembra sfilacciarsi, quella calma piatta che deriva dall’avvilimento. Quel ritmo ben preciso fatto di pasti, di passeggiate, di giorni di visite… il cui ricordo si sovrappone al suo quotidiano di uomo libero”. Destini paralleli. Destini incrociati. Storie che non potrebbero essere raccontate con le sole parole. Tutto ciò che, necessariamente, per sua insufficienza, la parola è costretta a dimenticare nell’ombra, saranno gli scatti dei fotografi a portarlo alla luce.

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peut pas la tirer par le bras et l’emmener de force dans un espace clos. Elle habite un non-lieu, dans une dimension extratemporelle. Elle naît sous le soleil et meurt avec la lune. Sans la lumière, l’ombre n’existe pas. Pour conclure, le travail intense de Klavdij Sluban se déroule à l’intérieur de plusieurs centres de détention pour mineurs, dans différentes parties du monde. Son approche est absolument et exclusivement artistique. Cette attitude le met à l’abri des possibles dérives moralisantes, des obstacles de l’approche sociale ou encore du risque de l’hybridation de rôle. Sluban est et reste un photographe. Toujours. Ce qu’il essaye de partager avec les jeunes qu’il rencontre à l’intérieur de ces réalités hors de l’ordinaire est la passion pour la photographie. Aux nombreuses questions qu’on lui pose, il s’efforce de donner de réponses photographiques. Ses jeunes collègues du moment s’approprient l’appareil et par le biais de ce nouvel instrument, ils s’ouvrent à de nouveaux regards sur ce qui les entoure et ceux et les entourent. En plus, comme nous le dit Sluban lui-même, “Une fois la curiosité suscitée par le visiteur de passage disparue, il reste pour essayer de voir là où il n’y a rien à voir en apparence : ce temps qui s’effiloche, ce calme plat de la non-espérance. Ce rythme bien précis des repas, des promenades, des jours de visite… dont le souvenir se superpose à son quotidien d’homme libre.” Des destins parallèles. Des destins croisés. Des histoires qui ne pourraient pas être racontées juste avec des mots. Tout ce que la parole oublie et laisse dans l’ombre en raison de son insuffisance, ce seront les instantanés des photographes qui le mettront au jour.

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RIGENERO quando una crisi si fa occasione di cambiamento positivo Progetto fotografico di Giovanna Magri, con l’assistenza di Dannia Pavan VERONA MONTORIO Casa Circondariale A Verona, nell’istituto carcerario che comprende anche due sezioni femminili, l’Associazione MicroCosmo onlus ha accompagnato alcune donne detenute a sperimentare un linguaggio inedito, oltre la scrittura e altri eventi che, di anno in anno, coinvolgono il mondo femminile dello stesso carcere di Montorio. La fotografa d’arte, ricercatrice e docente all’Accademia di Brescia, Giovanna Magri ha condotto quindi un laboratorio nella sezione femminile: “Ri-genero. La forza di ricominciare”. Il progetto sviluppato in un processo di scrittura e immagine è centrato sul tema della forza rigeneratrice, della capacità di superare il blocco di una crisi significativa per ripartire con scelte consapevoli. Le immagini tracciano un percorso di attraversamento della crisi come esperienza dell’umano, come passaggio di crescita. Come opportunità. Quando non ci si abbandona, quando non ci si lascia schiacciare. L’aiuto di altre persone è vano se non accendiamo in noi la scintilla della volontà di ripresa, se non si esce dal rischio di passività, di vittimismo, di auto-compiacimento. La rete affettiva si afferma come primo riferimento che orienta e sostiene; permette di muovere i primi passi verso il mondo e contemporaneamente verso la profondità di sé, nella propria interiorità. La relazione sociale si costituisce come telo di protezione e di sostegno, come tappeto su cui esercitare l’approccio al sé e alla visione del possibile, nel confronto, nell’ascolto e nell’accoglienza di chi, come noi, ha fatto esperienza dell’attraversamento di una crisi. Il ri-generarsi ha a che fare con qualcosa che già esiste, ma che a un certo punto prende nuova forma, nuova sostanza, “altro da sé, in continuità con sé...”. Paola Tacchella

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RIGENERO Quand une crise devient l’occasion pour un changement positif Un projet photographique de Giovanna Magri, avec l’assistance de Dannia Pavan VERONA MONTORIO Casa Circondariale À l’institut pénitentiaire de Vérone qui comprend aussi deux sections féminines, l’Association Microcosmo Onlus a accompagné des détenues dans l’expérimentation d’un langage inédit qui, à l’instar de l’atelier d’écriture et d’autres événments organisés à l’intérieur de la prison depuis des années, voit régulièrement la participation des prisonnières. Giovanna Magri, photographe d’art et enseignante chercheuse à l’Accademia di Brescia, a donc mis en place un atelier dans la section féminine intitulé « Rigenero : la force de recommencer ». Le projet se développe autour d’un processus d’écriture et d’image dont le point central est représenté par le thème de la force régénératrice ainsi que par la capacité à dépasser l’impasse d’une crise significative pour recommencer à l’aide de choix conscients. Les images retracent la traversée de la crise comme s’il s’agissait d’une expérience humaine, d’un passage de la croissance, d’une opportunité. Comme quand on ne se laisse pas aller, comme quand on ne se laisse pas écraser. 
L’aide des autres est vaine si nous n’allumons pas en nous l’étincelle de la volonté, si nous ne quittons pas le risque de la passivité, de la tendance à se faire passer pour une victime, de l’auto-complaisance. Le réseau affectif devient alors la première référence qui oriente et qui soutient. Il permet de faire ses premiers pas vers le monde et, en même temps, vers les profondeurs de soi-même, vers sa propre intériorité. La relation sociale se constitue en tant que voie de protection et de soutien, comme un tapis sur lequel l’on essaie une approche vers soi-même et vers la vision du possible, dans un cadre de confrontation, d’écoute et d’accueil des gens qui , à notre instar, ont expérimenté la traversée d’une crise. La régénération a affaire à quelque chose de déjà existant, mais qui, à un moment donné, assume une forme nouvelle, une substance nouvelle «autre que soi-même, mais en continuité avec soi même». Paola Tacchella

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Face To Face Progetto fotografico di Davide Dutto SALUZZO Casa di reclusione (Rodolfo Morandi) TORINO Casa circondariale (Lorusso e Cotugno) Cos’è un pregiudizio? Quali concetti o preconcetti usiamo quando guardiamo? Basta un muro di cinta per definire chi delinque e chi no? Come possiamo vedere “veramente” chi ci sta di fronte? Face To Face, il progetto sviluppato dal fotografo Davide Dutto in collaborazione con Sapori Reclusi, l’associazione culturale di cui è fondatore, risponde a questi e altri interrogativi ponendo lo spettatore di fronte al pregiudizio per eccellenza: la faccia del delinquente. Otto visi, otto storie, otto vite anonime eppure ricchissime. Dutto ritrae indistintamente detenuti e detenute, uomini e donne liberi in una sequenza di scatti che unisce i destini dei singoli grazie a un filo narrativo che parte da lontano per arrivare all’oggi. Dalle teorizzazioni di Cesare Lombroso, il fondatore dell’antropologia criminale che raccolse lungo l’arco dei suoi studi le prove per dimostrare l’origine atavica del comportamento criminale e la sua predisposizione biologica, agli archivi del Museo torinese a lui intitolato, fino alle celle detentive degli istituti di pena italiani, Dutto ripercorre le tappe di una storia che non riguarda solo i reclusi ma interroga la società intera. Perché, piaccia o meno, quelle teorie risuonano ancora oggi nelle idee preconcette dello “straniero”, del “barbone”, del “negro”, del “rom”, delle “prostitute”, alimentando in modo errato paure ancestrali, come quella di perdere ciò che si ha o che si è costruito: casa, soldi, lavoro, famiglia. Detenuti, professori, agenti di polizia penitenziaria, studiosi, dirigenti d’azienda, artigiani… a nessuno verrà rivelato chi è chi. A parlare al pubblico saranno i soli volti delle persone ritratte con le loro storie contenute negli sguardi, fissate nelle pieghe della pelle, nei gesti imbarazzati davanti all’occhio indiscreto del fotografo che sintetizza e incarna quello della società. In uno studio che si fa prima teorico e immersivo e successivamente di campo, gli scatti di Dutto parlano a tutti perché riportano l’attenzione sulle persone, scavando un percorso di riflessione e consapevolezza che parte dall’altro per arrivare al nostro io profondo, alle immagini che abbiamo di noi stessi come cittadini di una stessa società, come uomini e donne di un unico consesso, quello umano. Manuela Iannetti

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Face To Face Un projet photographique de Davide Dutto SALUZZO Casa di reclusione (Rodolfo Morandi) TORINO Casa circondariale (Lorusso e Cotugno) Qu’est-ce qu’un préjugé? Quels concepts et quelles idées préconçues utilisons-nous, lorsque nous regardons? Suffit t-il d’un mur de clôture pour distinguer les malfaiteurs de ceux qui ne le sont pas ? Comment pouvonsnous voir vraiment qui est en face de nous ? Face to Face, le projet organisé par Davide Dutto en collaboration avec Sapori Reclusi, l’association culturelle dont il est fondateur, répond à ces questions et bien d’autres en plaçant le spectateur devant le préjugé par excellence: le visage du délinquant. Huit visages, huit histoires, huit vies anonymes et pourtant extrêmement riches. Dutto reproduit indistinctement des hommes et des femmes détenus ainsi que des hommes et des femmes libres dans une séquence d’instantanés qui unissent les destins des sujets à l’aide d’un fil narratif qui part de loin pour arriver à aujourd’hui. À partir des théorisations de Cesare Lombroso, le fondateur de l’anthropologie criminelle qui rassembla tout au long de ses études des preuves démontrant l’origine atavique de l’attitude criminelle et sa prédisposition biologique, puis des archives du Musée de Turin qui porte son nom jusqu’aux cellules des centres de détention italiens, Dutto retrace les étapes d’une histoire qui ne concerne pas seulement les détenus mais qui interroge la société entière.
Car, que cela plaise ou non, ces théories résonnent encore aujourd’hui dans les idées préconçues de l’« étranger », du « clochard », du « nègre », du « rom », des « prostituées » en alimentant ainsi de manière trompeuse les peurs ancestrales telle la crainte de perdre ce que nous avons ou que nous avons construit comme notre maison, notre argent, notre travail ou encore notre famille. Des détenus, des professeurs, des agents de la police pénitentiaire, des chercheurs, des directeurs d’entreprise, des artisans..leurs identités ne seront dévoilées à personne. Les seuls à parler aux spectateurs seront les visages des personnes représentées, avec leurs histoires contenues dans leurs regards, fixées entre les plis de la peau, dans les gestes gênés devant l’œil indiscret du photographe qui synthétise et incarne l’œil de la société. Dans une étude d›abord théorique et immersive, puis successivement plus vaste, les instantanés de Dutto parlent à tout le monde parce qu›ils ramènent l’attention sur les individus, en traçant un parcours de réflexion et de prise de conscience qui part de l’autre pour atteindre les profondeurs du moi, les images que nous avons de nous-mêmes en tant que citoyens d’une même société, en tant qu’hommes et femmes d’une même assemblée, l’assemblée humaine. Manuela Iannetti

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ISOLA DELLA GIUDECCA Foto di Giorgio Bombieri, con l’assistenza di Enrica Bruzzichessi Storytelling di Martina Porcu VENEZIA Le foto ritraggono le donne della Giudecca nei loro luoghi di lavoro; tentano di restituirne una immagine di solarità, fierezza, pienezza ed ampiezza di colori. Rinnovare il senso della parola “lavoro”, attraverso le immagini, per ripartire dal significato profondo, operar faticando. Giorgio, Enrica «Ho sempre percepito questo luogo come totalmente lontano da me... quando qualcosa non ci “appartiene”, sia essa una situazione di vita o un’emozione, risulta fondamentale “mettersi nei panni di”; nei panni di queste Donne. Donne che nel cammino hanno perduto la strada. Figlie, sorelle, madri, mogli, compagne.. Donne. Aver perduto la strada, la “libertà personale”, non presuppone una totale negazione di espressione di sé medesimi. La fotografia permette di raccontarsi, di comunicare agli altri, di trovare punti di accesso verso l’esterno che esprimano il loro sé, di mettersi in gioco ancora. Non numeri, non reati, persone che desiderano mostrarsi per affermare ancora di esistere. DE L’OMBRE À LA LUMIÈRE appunto…». «Dio... quanto è difficile farle parlare! Poi parlano e non si fermano più. Delle volte, quando si è troppo chiusi verso il mondo, ci vien più facile raccontarci ironizzando e riportando prima qualche informazione di altri da noi. Così nel commentare le foto delle proprie compagne, abbassano le barriere. Riescono ad emozionarsi quando parlano di sé: si lasciano andare nel pianto, sorridono, ringraziano. Sembrava di trovarsi davanti a un gruppo, una contaminazione di forze!». «Il momento del saluto è motivo di imbarazzo. Ogni volta mi rendevo conto di salutarle quasi come se le lasciassi là, in un posto come un altro. Dentro di me poi irrompeva un unico sentimento. L’occhio si fa più aguzzo quando guarda le porte chiudersi, assicurandosi di non rimanere chiusa dietro. ..» Martina

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L’île de la Giudecca Photographies de Giorgio Bombieri, avec l’assistance de Enrica Bruzzichessi. Storytelling: Martina Porcu VENEZIA Les photos représentent les femmes de la Giudecca dans leurs lieux de travail, elles essayent de rendre l’image radieuse de fierté, de plénitude et de l’ampleur des couleurs. Renouveler le sens du mot «travail» à travers les images pour recommencer de la signification profonde, operare faticando (accomplir une tache en peinant). Giorgio, Enrica «J’ai toujours vu cet endroit comme quelque chose qui ne nous appartient pas...qu’il s’agisse d’une situation de vie ou bien d’une émotion, ce qui est fondamental, c’est de se mettre “à la place de quelqu›un”, à la place de ces femmes. Des femmes qui ont perdu la route au long du chemin. Des filles, des sœurs, des mères, des femmes mariées, des compagnes..des femmes. Avoir perdu la route, la “liberté personnelle”, cela ne présuppose pas une négation totale de l’expression de nous-mêmes. La photographie permet de se raconter, de communiquer aux autres, de trouver des points d’accès vers l’extérieur qui expriment leur être , le fait de se mettre en jeu encore une fois. Pas de chiffres, des de délits, mais des personnes qui souhaitent se montrer pour affirmer encore qu’ils existent, DE L’OMBRE À LA LUMIÈRE, justement....» «Mon Dieu, qu›il est difficile de les faire parler! Puis elles parlent et ne s’arrêtent pas!Parfois, lorsqu’on est trop renfermé envers le monde, il nous est plus facile de s’ouvrir à travers l’ironie, en parlant d’abord des autres. Ainsi, en commentant les photos des leurs propres compagnes, elles baissent les barrières. Elles arrivent à s’émouvoir, quand elles parlent d’elles-mêmes: en pleurant, elles se laissent aller, elles sourient, elles remercient. On avait l’impression d’être en face d’un groupe, une contamination de forces! Le moment des adieux est une source d’embarras. Chaque fois, je comprenais que je leur disais au revoir comme si je les laissais là-bas, dans un endroit comme un autre. Après, un seul sentiment se répandait dans mon esprit. Le regard se fait plus pointu, lorsque l’on voit les portes se fermer et que l’on s’assure de ne pas rester coincée derrière elles. Martina

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Cosa importa se sto dietro ad una scrivania o faccio la spazzina. L’importante è esserne fieri. Io lavoro! Qu’importe si je suis derrière un bureau ou si je suis éboueuse! La seule chose importante, c’est d’en être fiers! Moi, je travaille!


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La mia famiglia era contadina. Sì è dura! Ma ce l’ha fatta mia nonna sino ai 90 anni, non posso farcela io che ne ho 32? Ma famille était une famille de paysans. Oui, c’est dur! Mais si ma grande-mère, elle, elle a tenu le coup jusqu’à ses quatre-vingt-dix ans, pourquoi pas moi qui en ai trente-deux?


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Io non ho mai lavorato in vita mia! Qua è dura, si lavora. Mi piace e il tempo passa più in fretta! Je n’ai jamais travaillé de toute ma vie. Ici, c’est dur: on travaille! J’aime ça et en plus le temps passe plus vite!


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Anche in Africa lavoravo la terra! Ma in Giudecca l’orto mi ha portato fortuna, mi ci sono anche sposata! Même en Afrique, je travaillais la terre! Mais à la Giudecca, le potager me porte bonheur: je me suis même mariée ici!


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Ho lavorato in orto, ora pulisco le strade. Per strada si conoscono un sacco di persone e questo mi piace... J’ai travaillé dans le potager, maintenant je nettoie les rues. Dans la rue, on connaît plein de monde et cela me plaît...


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Quando sono qui, sono libera! Ci hanno insegnato tutto sulle piante... allora quando le trapiantiamo dobbiamo stare attente... non troppo in fondo ma al livello del cuoricino, sennò non respirano! Quand je suis ici, je suis libre! Ils nous ont tout appris sur les plantes... alors, quand on les transplante, on doit faire attention... pas trop au fond, mais au niveau du cĹ“ur, sinon elles ne respirent pas!


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Qualcosa ho imparato in questi anni... in laboratorio, ora... Il mio sogno è trovarmi un appartamento in affitto qui vicino al lavoro, ma soprattutto continuare a lavorare! J’ai appris quelque chose pendant ces années. Maintenant, au laboratoire!Mon rêve, c›est de me louer appartement pas loin du travail...Mais surtout: continuer à travailler!


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CORPUS FUGIT Progetto fotografico di Éric Oberdorff NIZZA Maison d’arrêt Corpus Fugit è un progetto fotografico e di videodanza realizzato all’interno del mondo carcerario. Attraverso l’esplorazione delle relazioni tra il corpo e gli spazi chiusi, questo lavoro iconografico e filmico si inserisce in un percorso più ampio, che, nel Giugno del 2014, ha coinvolto le detenute dell’istituto penitenziario di Nizza in un laboratorio cinematografico all’interno del carcere. Questo progetto nutriva l’ambizione di unire la sensibilizzazione alla pratica e la creazione coreografica con lo scopo di sviluppare una proposta che traesse la propria forza dalle esperienze delle detenute all’interno dello spazio carcerario in quanto simbolo di detenzione, ma allo stesso tempo di ricostruzione e mutamento: come punto quindi di possibile partenza per un nuovo inizio. Corpus Fugit si inserisce a pieno titolo all’interno di «Traces» (impronte), un ciclo di creazioni ideato dal coreografo Éric Oberdorff che esplora nell’arco di tre stagioni le impronte, il ricordo e la memoria così come i loro impatti sulla nostra identità e sul nostro percorso. Le fotografie presentate in occasione di questa mostra costituiscono il ricordo non solo del progetto di ricerca intrapreso con le prigioniere coinvolte, ma anche del risultato del lavoro di creazione coreografica concepito in rapporto diretto con il loro spazio vitale all’interno del mondo carcerario. Ho deciso di concentrare la mia attenzione su delle ombre danzanti, esili e libere, che si riflettono su un suolo d’asfalto dal manto dismesso e di confrontarle ad alcune parti di corpi imprigionati, la cui energia del movimento cerca di rompere la catena che li opprime. Ogni fotografia può essere quindi concepita come la cartografia del ricordo di un percorso turbolento.

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CORPUS FUGIT Un projet photographique de Éric Oberdorff NICE Maison d’arrêt Le projet Corpus Fugit est celui de photographies et d’une vidéodanse réalisées en milieu carcéral. Explorant les relations entre corps et espaces contraints, ce travail iconographique et filmique s’inscrit dans un parcours élabore autour d’ateliers chorégraphiques menés en prison avec des détenues de la Maison d’Arrêt de Nice au mois de juin 2014. Ce projet avait pour ambition d’allier sensibilisation à la pratique et création chorégraphique pour le développement d’un propos dansé puisant au cœur des expériences des publics détenus au sein de l’espace carcéral, comme celui d’un lieu symbolisant autant l’enfermement que la reconstruction/mutation et le point d’un nouveau départ possible. Corpus Fugit s’inscrit pleinement dans ‘TRACES’, cycle de créations imaginé par le chorégraphe Éric Oberdorff, qui explore sur trois saisons la trace, le souvenir, la mémoire, leurs impacts sur notre identite et notre parcours. Les photographies présentées lors de cette exposition constituent la mémoire tant du processus de recherche engagé avec les détenues participantes, que l’aboutissement de ce travail de création chorégraphique conçu en lien direct avec leur espace de vie en milieu carcéral. J’ai choisi de m’intéresser à des ombres dansantes, graciles et libres qui s’impriment sur un sol en béton au relief accidenté et de les opposer à des parcelles de corps noués dont l’énergie du mouvement essaie de briser le carcan oppressant, chaque photographie pouvant être appréhendée comme la cartographie mémorielle d’un parcours heurté.

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Klavdij Sluban Progetto fotografico di Klavdij Sluban

La mia idea iniziale era semplice: volevo coniugare la mia pratica fotografica all’interno del contesto carcerario con i laboratori per giovani detenuti. L’obiettivo era di tessere un legame tra la fotografia d’autore e la condivisione di una passione con degli adolescenti in una situazione straordinaria, fuori dal comune. In questo modo, potevo creare una sorta di contenitore in cui si incontravano le questioni, le tematiche e le inquietudini che stimolano il mio interesse da sempre. Non cerco mai di conoscere il motivo della loro presenza in quei luoghi. All’inizio, si sentono sollevati di fronte al mio orientamento strettamente fotografico. Man mano che il tempo passa, iniziamo a conoscerci e si instaura una certa fiducia. Sento in loro, in quel momento, la voglia di parlare e di parlarsi. Tuttavia, non ho mai voluto essere un loro confidente. E’ fin troppo facile improvvisarsi psicologo, guru o fratello maggiore. Eppure, mai una volta che li rimandi indietro. Ad ogni domanda che mi pongono, trovo una risposta fotografica. E scopro che non sono le passeggiate su e giù per la prigione, ciò che gli interessa. No, ciò che vogliono, una volta che hanno imparato come si sviluppa una pellicola, è rinchiudersi nella camera oscura e lavorare. Il mio approccio fotografico con gli adolescenti del mondo carcerario non è certamente esaustivo. Benché sia pienamente investito in questo genere di progetti, non sono un “professionista delle prigioni”. Propongo semplicemente ad un gruppo di adolescenti di condividere un tratto di cammino fotografico, senza nessun tipo di compassione dal momento che il mio approccio è innanzitutto e soprattutto artistico. Non appena sparisce quella curiosità suscitata dall’arrivo di un nuovo visitatore, io rimango per cercare di vedere là dove non c’è nulla da vedere: quel tempo che sembra sfilacciarsi, quella calma piatta che deriva dall’avvilimento. Quel ritmo ben preciso fatto di pasti, di passeggiate, di giorni di visite... il cui ricordo si sovrappone al mio quotidiano di uomo libero. Le foto in bianco e nero fanno parte del mio lavoro d’autore a San-Pietroburgo (Russia), Lipcani (Moldavia), Možaisk (Russia) e Cesis (Lituania). Le foto a colori sono state scattate dai giovani detenuti delle prigioni minorili Mario Cavos e Aruja, in Brasile, in occasione di uno stage che la Fundação Casa de la Region e la Biblioteca Mario de Andrade mi hanno invitato ad organizzare nel 2015.

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Klavdij Sluban Un projet photographique de Klavdij Sluban

Mon idée de départ était simple : je désirais conjuguer ma pratique photographique en milieu carcéral et les ateliers avec les jeunes détenus pour tisser un lien entre la photographie d’auteur et le partage d’une passion avec des adolescents en milieu extra-ordinaire. Ce faisant, je mettais en place une poche où se rejoignaient des questions, des thématiques, des préoccupations qui m’ont toujours tenu à cœur. A aucun moment je ne chercherai à savoir la raison de leur présence en ces lieux. Au départ, ils se sentent soulagés de mon orientation strictement photographique. Au fur et à mesure que le temps passe, nous apprenons à nous connaître, la confiance s’installe. Je sens en eux, alors, le désir de parler, de se parler. Cependant, j’ai toujours refusé de me retrouver dépositaire de leur histoire. Si facile de s’improviser psy, gourou ou grand frère. Mais jamais je ne les renvoie dans leur coin. A chacune de leur demande, je trouve une réponse photographique. Ce ne sont pas les virées à travers la prison qu’ils préfèrent. Non, ce qu’ils veulent, dès qu’ils ont maîtrisé la pratique du tirage, c’est s’enfermer dans la chambre noire et travailler. Mon approche photographique des adolescents en milieu carcéral n’est pas exhaustive. Bien que entièrement investi dans ces projets, je ne suis pas un “professionnel des prisons”. J’offre, sans compassion aucune, à un groupe d’adolescents de partager un bout de chemin photographique parce que mon approche est avant tout et par-dessus tout artistique. Une fois la curiosité suscitée par le visiteur de passage disparue, je reste pour essayer de voir là où il n’y a rien à voir en apparence : ce temps qui s’effiloche, ce calme plat de la non-espérance. Ce rythme bien précis des repas, des promenades, des jours de visite… dont le souvenir se superpose à mon quotidien d’homme libre. Les photos en noir et blanc font partie de mon travail d’auteur à Saint-Pétersbourg, Russie; Lipcanie, Moldavie; Mojaïsk, Russie; Cesis, Latvia. Les photos en couleur ont été prises par les jeunes detenus des prisons bresiliennes pour mineurs Mario Cavos et Aruja, lors d’un stage que la Fundação Casa de la Region de Sao Paulo et la Biblioteca Mario De Andrade m’ont invité à donner en 2015.

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Camp disciplinaire de Kolpino, Saint-PĂŠtersbourg, Russie, 2003



Camp disciplinaire de Kolpino, Saint-PĂŠtersbourg, Russie, 2003



Camp disciplinaire de Lipcanie, Moldavie, 1999



Camp disciplinaire de Moja誰sk, Russie, 1998



Disciplinary camp, Cesis, Latvia, 2002

Institution pour mineurs de Mario Covas, Fundaçao Casa, São Paulo, Brésil, 2015 Institution pour mineurs de Aruja, Fundaçao Casa, São Paulo, Brésil, 2015







les fleurs du mal Progetto fotografico di Marco Ambrosi ARLES Maison Centrale Tengo laboratori professionali di tecnica fotografica ed espressività per i detenuti della prigione di Arles. Inizialmente si raccontava cosa significhi stare in prigione ma col tempo la voglia di pensare “da dentro” è scemata e abbiamo deciso di dialogare con il “fuori” senza passare per l’autobiografia o il realismo. Abbiamo cominciato a sviluppare collaborazioni con altre realtà simili. Nel 2014 i minorenni di Treviso hanno concluso un lavoro di animazione iniziato a Arles l’anno precedente dando così vita a Kaleidoscope, una installazione presentata al festival “Pergine Spettacolo Aperto”. Nello stesso anno abbiamo lavorato a un progetto di cucina in cella con Slow-Food italiano. Nel 2015, per decorare una nuova collezione di borse, abbiamo lavorato con la cooperativa Rio Terà dei Pensieri, un laboratorio produttivo presso il carcere di Venezia. E così è nato “Les fleurs du mal”, una sorta di giardino in serra che, benché immaginato per essere “solo” arte applicata, ha acquistato una sua propria vita estetica indipendente. Questo è il progetto che più ha interessato gli uomini del corso di fotografia arlesiano: vi si proiettano gusto e inclinazioni personali, sperimentazione cromatica e compositiva, progettualità e - forse la cosa più importante - la soddisfazione di vedere la propria creatività divenire oggetto: borsa, foulard e chissà cos’altro altro in futuro. Usare un mezzo espressivo come medium professionale è parso a tutti una grande opportunità e i risultati lo confermano: in questo giardino del male hanno attecchito foglie e fiori fatti di attesa: i sogni fatti da svegli che danno un senso al fare e diventano qualcosa di tangibile che tesse relazioni.

fotografie di photos de pagg 88 - 89 Karo pagg 90 - 91 Gerard pagg 92 - 93 Christophe

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les fleurs du mal Un projet photographique de Marco Ambrosi ARLES Maison Centrale Depuis 2010 j’anime des ateliers photo -technique et expression- à la Maison Centrale d’Arles. Au début le but du travail était de témoigner de ce que signifie être en prison, mais avec le temps l’idée de penser «depuis l’intérieur» s’est estompée, et a été, petit à petit, remplacée par un dialogue avec le «dehors» sans recourir à l’autobiographie ou au réalisme. Nous avons commencé à tisser des relations avec d’autres réalités analogues.En 2014 les mineurs de Trévise ont accompli un travail d’animation commencé à Arles, faisant naître KALEIDOSCOPE, présentée au festival italien “Pergine Spettacolo Aperto“. La même année nous avons travaillé à un projet de cuisine en cellule avec Slow Food Italia. En 2015, pour concevoir et présenter une nouvelle collection de sacs à main, nous avons collaboré avec un atelier installé à la prison de Venise, géré par la coopérative Rio Terà dei Pensieri. De même, le projet « Les Fleurs du Mal » est né: un jardin dans une serre qui, en dépit de son but essentiellement productif, a bientôt joui d’une vie esthétique indépendante. Ce projet est celui qui a le plus intéressé les participants des cours des cours arlésiens: on y retrouve les goûts et les inclinations personnelles, l’expérimentation et la capacité de penser au sein d’un projet. Enfin – ce qui est le plus important – la satisfaction de voir sa propre pensée devenir objet: un sac à main, un foulard ou “tout autre chose”. Utiliser un moyen d’expression comme instrument professionnel a tout de suite été perçu comme une rare opportunité et les résultats le démontrent bien: dans ce “jardin du mal” des feuilles et des fleurs, faites d’attente, se sont développées, ainsi que des rêves éveillés qui donnent du sens à l’action.

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biografie Giovanna Magri Giovanna Magri lavora in Italia e in Francia, occupando una posizione di rilievo nel mondo della fotografia nazionale e internazionale. Affermata fotografa pubblicitaria, specializzata nello still-life, nel portrait, nel food e nell’architettura.
Ha tenuto conferenze presso lo IED Istituto Europeo di Design a Torino, allo IFF Istituto Italiano di Fotografia a Milano, al Consolato svizzero a Milano e collaborato con il Mart Museo di Arte Contemporanea di Rovereto. Docente alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, sviluppa e realizza importanti progetti per la Casa Circondariale di Montorio a Verona. Studia e mette in opera nuovi Workshop di fotografia attraverso un singolare metodo di approccio al mondo dell’immagine. Collabora con la rivista d’arte “La Tenda Rossa” edizione Campanotto distribuita da Feltrinelli. Ha riscosso successo nel mondo della critica e ha ottenuto pubblicazioni su prestigiose riviste internazionali. Come autrice e ricercatrice: studia la storia della fotografia e il linguaggio dei grandi maestri; in particolare da anni approfondisce la ricerca del ritratto-autoritratto nei suoi molteplici significati artistici-filosofici-psicologici ”storia e storie nella città dell’anima… un viaggio nell’infinito mistero dell’uomo…!” . I suoi lavori sono stati esposti negli Stati Uniti, in Argentina e in Europa, in gallerie private e istituzioni pubbliche, fiere e festival 
(per esempio alla Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Chicago). Le sue fotografie fanno parte di collezioni private e istituzioni pubbliche nazionali e internazionali.

DAVIDE DUTTO Davide Dutto è fotografo professionista dal 1982, coniuga da sempre l’espressione artistica con un profondo interesse per il lavoro e la vita dell’uomo, in particolare in condizioni marginali rispetto alla società. Nel 2008 diventa editore fondando la casa editrice Cibele. Nel settembre 2010 fonda Sapori Reclusi, associazione culturale che, partendo dal comune bisogno dell’uomo di nutrirsi, utilizza il cibo come pretesto per inserirsi dove solitamente si trovano barriere fisiche o mentali, per incontrare e raccontare le persone al di là di stereotipi e preconcetti. Nascono così, tra gli altri, libri e mostre come “Il gambero nero. Ricette dal carcere”, e progetti come Stampatingalera, laboratorio di stampa fine art nel carcere di massima sicurezza di Saluzzo, nei quali la fotografia, il lavoro e il cibo diventano una forma di identità e di riscatto, e un mezzo di comunicazione tra chi sta dentro e chi sta fuori. Attivo sia in Italia che all’estero, Davide Dutto è oggi impegnato in numerosi altri progetti culturali, che coniugano la fotografia con diverse tematiche sociali, come R-Women, storie di resistenza femminile in Iran, e Face to Face, in collaborazione con il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso di Torino. Davide Dutto ha partecipato a numerose esposizioni in Italia e all’estero e nel tempo ha realizzato diverse mostre fotografiche in ristoranti stellati o meno usando lo spazio del mangiare come spazio ideale espositivo sul quale condividere cibo, immagini e discussione.

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biographies Giovanna Magri Giovanna Magri s’est imposée en Italie et à l’étranger en tant que photographe publicitaire spécialisée en still-life, portrait, food et architecture. Elle occupe aujourd’hui une place importante dans le milieu de la photographie italienne et internationale. Elle a tenu des conférences à l›IEP, l’Institut Européen de Design de Turin, à l›IFF, l’Institut Italien de Photographie de Milan, au Consulat Suisse à Milan et a collaboré avec le MART, le Musée d’Art Contemporain de Rovereto. Professeur à l’Académie de Brescia, où elle développe et met en place des projets importants pour le Centre de détention de Montorio à Vérone, elle étudie et réalise également des nouveaux Workshops de photographie à l’aide d’une méthode particulière d’approche envers le monde de l’image. Elle est aussi collaboratrice de la revue d’art « La Tenda Rossa », éditée par Campanotto et distribuée par la Maison d’Édition Feltrinelli. Ses publications sont parues dans de prestigieuses revues internationales et ont contribué, entre autre, à son succès auprès de la critique. En tant qu’auteur et chercheuse, ses centres d’intérêt portent sur l’histoire de la photographie et sur le langage des grands maîtres de cette forme expressive. Depuis des années, ses recherches approfondissent le thème du portrait/autoportrait selon ses multiples significations artistiques, philosophiques et psychologiques à la fois, «Histoire et Histoires dans la ville de l’âme... un voyage infini à l’intérieur du mystère infini de l’homme». Ses travaux ont été exposés aux États-Unis, en Argentine et en Europe, tant à l’intérieur de galleries privées que d’établissement publiques, de foires ou encore lors de festivals comme à l’occasion de la Biennale Internationale d’Art Contemporain de Chicago. Ses photographies font partie de collections privées aussi bien que d’institutions publiques italiennes et internationales. Davide Dutto Photographe professionnel depuis 1984, Davide Dutto a toujours uni l’expression artistique à un intérêt profond pour le travail et la vie de l’homme, notamment lorsque ce dernier est en marge de la société. En 2008 il devient éditeur lorsqu’il fonde la maison d’édition Cibele. En 2010 il crée l’association culturelle Sapori Reclusi qui, ayant comme point de départ le besoin commun à tous les hommes de se nourrir, rencontre et raconte les individus au-delà des préjugés et des stéréotypes à travers la nourriture comme moyen de s’insérer là où d’habitude se trouvent des barrières physiques et mentales. C’est ainsi qu’ont vu le jour des livres et des expositions comme “Il gambero nero”: des recettes depuis la prison et des projets comme Stampati in Galera (Imprimés en prison), un atelier d’imprimerie fine art dans le centre de détention de haute sécurité de Saluzzo où la photographie, le travail et la nourriture deviennent une forme d’identité et de rédemption ou encore un moyen de communication entre ceux qui sont dedans et ceux qui sont dehors. Actif en Italie comme à l’étranger, Davide Dutto est aujourd’hui engagé dans d’autres projets culturels conjuguant la photographie et plusieurs thématiques sociales comme R-Women, qui reparcourt des histoires de résistance féminine en Iran et Face to Face, en collaboration avec le Musée d’Anthropologie Criminelle Cesare Lombroso de Turin. Davide Dutto a participé à de nombreuses expositions en Italie et à l’étranger et a également réalisé plusieurs projets photographiques à l’intérieur de restaurants étoilés ou non, où le lieu de dégustation devenait un espace d’exposition idéal où partager son repas aussi bien que des images ou un moment de discussion.

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Giorgio Bombieri Inizia a fotografare in ambito sociale, collaborando con enti e cooperative presso le carceri, gli ospedali psichiatrici, gli asili notturni di Venezia; sempre in ambito sociale, organizza e conduce vari laboratori e allestisce mostre. Pubblica “Di tè in tè”, “Indirizzi sconosciuti”, sul tema dei rifugiati; “Effetti Tangenziali” in collaborazione con il laboratorio L’Ombrello -IUAV; “Territori lenti” collaborando con l’Istituzione Parco Laguna e per questa pubblicazione si aggiudica il premio, settore comunicazione sul paesaggio, PAYSMED. Attualmente svolge l’attività di fotografo in Comune di Venezia, presso la Biblioteca Civica di Mestre VEZ.

Eric Oberdoff Direttore e coreografo de La Compagnie Humaine da lui fondata nel 2003, Eric Oberdoff è un artista che considera il suo ruolo come quello di un osservatore privilegiato del mondo che lo circonda. Il suo lavoro come coreografo si basa sull’esplorazione della relazione con l’altro e sul confronto delle energie contradditorie che ci animano, muovendosi all’interno di numerosi ambiti artistici che vanno dalla coreografia alla realizzazione di film e documentari, dalla regia teatrale e d’opera fino alla fotografia. Grazie al riconoscimento del suo lavoro creativo in Francia e all’estero ha ottenuto premi di prestigio e ha collaborato con grandi nomi tra cui il Ballet National de Marseille, il Ballet du Grand Theatre de Génève ed il Festival d’art lyrique d’Aix-en-Provence. La sua attività creativa si avvale di un’attenzione e di una sensibilità particolari riservate al pubblico: il suo lavoro multiforme tende infatti a coinvolgere i più giovani e le persone in situazioni di fragilità sociale come, appunto, i detenuti. Tra le sue attività, spicca quella di artista referente per i lavori di ricerca universitaria e dei comitati di riflessione. È inoltre il co-fondatore del network europeo Studiotrade, nato del 2010. KlaVdji Sluban Klavdji Sluban è un fotografo francese di origine slovena, nato a Parigi nel 1963. È stato insignito del premio EPAP, European Publisher Award for Photography 2009, per il libro Transsibériades, pubblicato simultaneamente in sei paesi d’Europa, del premio Leica (2004) e del premio Niépce (2000). L’opera rigorosa e coerente fa di lui uno dei maggiori fotografi-autori della sua generazione. I suoi numerosi viaggi fotografici, spesso intrisi di riferimenti letterari, si collocano ai margini dell’attualità più diretta e scottante: il mar Nero, i Caraibi, i Balcani, la Russia, la Cina, l’America Centrale, le isole Kerguelen (ha preso parte alla prima missione artistica in Antartico)... nei suoi lavori, ogni destinazione può essere letta come un incontro tra la realtà del momento ed il sentimento interiore del fotografo, viaggiatore ossessivo. Dal 1995, Klavdij Sluban fotografa gli adolescenti in prigione. Condividendo la sua passione, organizza dei laboratori di fotografia presso i giovani detenuti. Questo suo impegno inizia in Francia e si avvale

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Giorgio Bombieri Il commence à travailler comme photographe dans le milieu social, en collaboration avec des organismes ou des coopératives à l’intérieur des prisons, des hôpitaux psychiatriques ou des structures offrant un abri pour la nuit aux personnes en difficulté. Toujours dans le cadre du social, il organise et met en place des ateliers ainsi que des expositions. Il a publié « Di té en té » et « Indirizzi sconosciuti » sur le thème des réfugiés, « Effetti Tangenziali » en collaboration avec le projet L’Ombrello organisé par l’Université d’architecture IUAV de Venise, et « Territori Lenti », en collaboration avec l’institution Parco Laguna. C’est grâce à cette dernière œuvre qu’il a obtenu le Prix Méditerranéen du Paysage (PAYSMED), section « activité de communication sur le paysage ».Actuellement il travaille en tant que photographe à la Mairie de Venise, à la Bibliothèque de Mestre VEZ. Éric Oberdorff Éric Oberdorff est le directeur et le chorégraphe de la Compagnie Humaine qu’il a fondé en 2003. Considérant son rôle d’artiste comme celui d’un observateur privilégié du monde, son travail chorégraphique explore la relation à l’autre et confronte les énergies contradictoires qui nous animent, dans des champs artistiques variés: chorégraphie, réalisation de films et de documentaires, mise en scène de théâtre et d’opéra, photographie, etc. La reconnaissance de son travail de création en France et à l’étranger lui vaut de recevoir de nombreux prix et récompenses ainsi que des commandes de maisons prestigieuses: Ballet National de Marseille, Ballet du Grand Théâtre de Genève, Festival d’art lyrique d’Aix-en-Provence, etc. Il accompagne son travail de création par de multiples actions auprès des publics, avec une attention particulière pour les plus jeunes et pour les personnes en situation de fragilité sociale, comme par exemple les publics sous main de justice. Il est également artiste référent pour des travaux de recherches universitaires, comités de réflexion, etc. et co-fonde en 2010 le réseau européen Studiotrade.

Klavdij Sluban Klavdij Sluban est un photographe français d’origine slovène, né à Paris en 1963. Il est lauréat du prix EPAP, European Publishers Award for Photography 2009, avec publication du livre “Transsibériades” simultanément dans six pays d’Europe, du prix Leica (2004) ainsi que du prix Niépce (2000). L’œuvre personnelle rigoureuse et cohérente en fait un des photographes-auteurs majeurs de sa génération. Souvent empreints de références littéraires, ses nombreux voyages photographiques se situent en marge de l’actualité chaude et immédiate. La mer Noire, les Caraïbes, les Balkans, la Russie, la Chine, l’Amérique centrale, les îles Kerguelen (1ère mission artistique en Antarctique)… peuvent se lire chez lui comme une rencontre entre la réalité du moment et le sentiment intérieur du photographe dromomane. Depuis 1995, Klavdij Sluban photographie les adolescents en prison. Partageant sa passion, il organise des ateliers photographiques auprès des jeunes détenus. Cet engagement commence en France - avec le soutien de

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dell’appoggio di fotografi come Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud e William Klein. Successivamente prosegue il suo lavoro nei campi disciplinari dei paesi dell’Est; nel 2015 ha iniziato a fotografare gli adolescenti nelle prigioni in Brasile. Frequentatore abituale dei luoghi di detenzione e partner degli attori che li popolano, attraverso le sue immagini Sluban mette a nudo la problematica degli spazi chiusi e degli orizzonti imposti. I lavori di Klavdij Sluban sono conservati in importanti istituzioni a Helsinki, a Canton, a Tokio, a Arles, a Parigi. Nel 2013, il museo Niépce gli ha dedicato una retrospettiva, Après l’obscurité, 1992-2012. Ha pubblicato numerose opere tra cui Entre Parenthèse, coll. Photo Poche, (Ed. Actes Sud), Transverses (Ed. Maison Européenne de la Photographie) e Balkan Transit, con testo di François Maspero (Ed. du Seuil). Transibériades, vincitore del premio EPAP 2009. Marco Ambrosi Inizia a lavorare come fotografo di architettura collaborando con diverse testate, per poi lavorare in altri campi, concentrandosi negli ultimi anni sullo still-life e il cibo. I suoi lavori sono stati pubblicati: in“La Serra Oscura” con testi di Luca Beatrice, “Da ogni contrada vicina e lontana” con testo di Giuliana Scimè, in “Portraits in Black”, con testi di Gigliola Foschi, in “Young Days” con testi di Arianna Rinaldo. Ha esposto in personali e collettive in Italia, Polonia, Spagna, Inghilterra, Grecia, Francia, USA, Germania, Cina, Nigeria, Senegal. Il pubblicitario e l’autore convivono con l’animatore culturale. Ha insegnato presso il Dipartimento di Arti Visive e Performative della Kwara State University, Nigeria; presso l’Accademia di Belle Arti Cignaroli in Verona; presso il campus italiano della Illinois University. Collabora stabilmente con PREFACE, ente formativo che promuove e coordina le attività formative in diversi istituti penitenziari francesi. Collabora ai percorsi di convenzione fra l’Accademia di Verona e le Aziende Sanitarie di Verona e di Mantova coordinati dalla Dott.sa Daniela Rosi tenendo laboratori di espressione per persone con disturbi psichiatrici. Negli ultimi anni ha lavorato a qualcosa che ritiene più grande e interessante della mera creazione di immagini “d’autore”: cerca di utilizzare la fotografia come uno strumento capace di cambiare, anche in misura minima, questo mondo sempre più estetico e meno etico.

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photographes comme Henri Cartier Bresson, Marc Riboud et William Klein - se poursui dans les camps disciplinaires des pays de l’Est. En 2015, il a commencé à photographier les adolescents en prison au Brésil. Familier des lieux de la détention et partenaire des acteurs qui les peuplent, Sluban déploie au travers de ses images la problématique des espaces clos et des horizons contraints. Les travaux de Klavdij Sluban sont exposés dans les institutions majeures à Helsinki, à Canton, à Tokyo, à Arles, à Paris. En 2013, le musée Niépce lui a consacré une rétrospective, Après l’obscurité, 1992-2012. Il a publié de nombreux ouvrages dont Entre Parenthèses, Photo Poche, (Ed. Actes Sud), Transverses (Ed. Maison Européenne de la Photographie) et Balkans Transit, texte de François Maspero, (Ed. du Seuil). Transsibériades, prix EPAP 2009. MARCO AMBROSI Il commence à travailler comme photographe d’architecture en collaboration avec plusieurs magazines d’architecture pour expérimenter successivement d’autres spécialisations et aborder dans les dernières années le still-life et la photographie culinaire. Ses travaux ont été publiés dans « La Serra Oscura », avec textes de Luca Beatrice, « Da ogni contrada vicina e lontana », avec textes de Giuliano Scimé, dans « Portraits in Black », avec textes de Gigliola Foschi et dans « Young Days », avec textes d’Arianna Rinaldo. Ses photographies ont été exposées en solo ou en groupe en Italie, en Pologne, en Espagne, en Angleterre, en Grèce, en France, aux Etats-Unis, en Allemagne, en Chine, au Nigéria et au Sénégal. Publicitaire et auteur, il est aussi animateur culturel. Il a enseigné au Département d’Arts Visuels et Performatifs de la Kwara State University au Nigéria, puis à l’Académie des Beaux Arts Cignaroli de Vérone ou encore au campus italien de l’Université de l’Illinois. Il est un collaborateur fixe de PREFACE, un organisme qui promeut et organise les activités de formation dans différents centres de détentions français. Il met également en place des ateliers d’expression pour des personnes atteintes par des troubles psychiatriques, collaborant ainsi aux parcours de convention entre l’Académie de Vérone et les Unités Sanitaires Locales de Vérone et de Mantoue sous la direction de l’experte d’ art brut Daniela Rosi. Pendant ces dernières années, il a travaillé sur des projets dépassant largement la simple création d’images d’auteur pour, selon ses mots, «utiliser la photographie comme un instrument capable de changer, même de peu, ce monde de plus en plus esthétique et de moins en moins éthique».

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Un grazie particolare/ Un grand merci Alle donne detenute della Maison d’Arrêt de Nice, della Casa Circondariale di Verona Montorio, della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino: Domenica, Federica, Vivian, Bakita, Francesca, Dorotea, Olga, Alessandra, Grazia e della Casa Circondariale - Casa di Reclusione della Giudecca-Venezia: Ghizlane, Elena, Cristina, Mabel, Martha, Elizabeta, Mariana. Ai ragazzi detenuti della Casa Circondariale “Rodolfo Morando” di Saluzzo: Giovanni, Francesco, Abdelghani, Maurizio, Giosuè, Nicola, Annunziato, Giovanni, Preng, Luca e della Maison Centrale d’Arles: Abdallah, Cristophe, Jacques, Jean-Paul, Gérard, Thierry e ai giovani apprendisti fotografi che hanno partecipato agli atelier di Klavdji Sluban. Ringraziamenti/Remerciements A Paolo Apice, Michele Casarin, Manuela Iannetti, Virginia Chiodi Latini, Chiara Avidano, Giacomo Giacomini, Silvano Montaldo, Cristina Cilli, Giancarla Malerba, Gianluigi Mangiapane, Camille Bourgade, Luc Bénard, Anthony Bacchetta & Delphine Barbut, Dominique Satabin, Jean Delaforge, Magali Mathieu, Isabel Accardi, al personale di PREFACE, alle persone che hanno partecipato alla buona riuscita del progetto FACE to FACE, all’equipe della Compagnie Humaine e a tutte le persone che dal 1995 sostengono Klavdji Sluban nel suo lavoro fotografico con i ragazzi detenuti. A Dott.ssa Angela Venezia, responsabile dell’ufficio Detenuti e Trattamento del PRAP del Veneto, Dipartimento Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Dott.ssa Maria Grazia Bregoli, direttore del Carcere di Verona, la Polizia Penitenziaria e l’Area Educativa Trattamentale, Dott.ssa Roberta Girelli, Presidente della Consulta delle Associazioni Femminili del Comune di Verona, Lucia Perina, Segretario Generale UIL Verona, Maria Pia Mazzasette, Segretaria Generale della FP CGIL di Verona, Paola Zamboni, Coordinamento Donne della CISL Verona, Anna Leso, assessore ai Servizi Sociali e alle Pari Opportunità del Comune di Verona, Dott.ssa Gabriella Straffi, direttrice della Casa Circondariale-Casa di Reclusione della Giudecca-Venezia, Monsieur Philippe Peyron, Directeur Interrégional des Services Pénitentiaires de la région Provence-Alpes-Côte d’azur (PACA), Madame Annie Peghon, Cheffe de l’Unité des Politiques Publiques d’Insertion de la DISP PACA, Monsieur Éric Lamboley, Directeur Pénitentiaire d’Insertion et de Probation Arles-Tarascon, Madame ​Christine Charbonnier, Directrice de la Maison centrale d’Arles, agli agenti dell’amministrazione penitenziaria della Maison d’Arrêt de Nice, ai membri della Fundaçao Casa e della Biblioteca Mario de Andrade e al personale delle Institutions pour Mineurs di Mario Covas et Arujá.

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