Old is Cool / Giugno '15 - n. 1

Page 1

OLD is COOL

magazine di cultura calcistica fondato nel 2015 / n. 1, gratuito. Giugno „15

IN QUESTO NUMERO

I 3 portoghesi più forti di sempre I 5 giocatori più sopravvalutati degli ultimi 5 anni Il “vero” Falcao La trinità di quel leggendario United Bournemouth, il sogno è realtà LE GRANDI FIRME* Il Calcio Inglese Storie di Calcio *parte del materiale fotografico è preso da: - interleaning.tumblr.com

IL GRANDE SOCRATES

Storia di un uomo donato al calcio. Di una vita tormentata e di un passato “brasiliano”. Carriera, citazioni e sogni di Sòcrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira


LI VEDI GLI ILLUSI?

MARIO BALOTELLI E’ SOLO L’ULTIMO DI TANTI GIOCATORI CHE, TRA PREZZI ALTISONANTI E STAGIONI FORTUNATE, HANNO SCALATO LA VETTA SOCIALE DEL CALCIO, MA SENZA MERITI. ECCO LA TOP 5 DEI GIOCATORI SOPRAVVALUTATI DAL 2010 AL 2015


Non è facile stabilire una lista dei “migliori” cinque sopravvalutati degli ultimi cinque anni. Direi che il rischio fa parte del nostro lavoro di giornalisti sportivi. Un rischio che corro anch‟io con questo articolo “denuncia”. Doveroso, tuttavia. E‟ da quando seguo il calcio da piccolo, ammirando il calcio estero in tv, godendomi la Serie A dal vivo, che analizzo sempre l‟opinione comune su una data squadra o un dato calciatore. Mi sto rendendo conto solo in questi ultimi anni come una giocata, una particolare storia, una specifica situazione, può offuscare la mente anche dei più illustri esperti del settore, al di là delle chiacchiere da Bar (coerenti anch‟esse, a tratti). Ed ecco dunque l‟immagine che apre il primo articolo del primo numero di sempre di “Old is Cool”, polemica e provocatoria, come piace a me. Stavo per includere anche quello a sinistra, Samir Nasri, nella speciale classifica. Fu la lucidità a salvarmi da un grosso errore. Perché serve lucidità. Ma serve la verità. E quello a destra, come avrete già intuito, non l‟ho graziato. a cura di Gianluca Palamidessi, dir. Old is Cool

5

MESUT OZIL. Potrebbero già partire le vostre occhiatacce, e forse a ragione. Ho deciso, rispettando la gran classe del tedesco (indubbia), di posizionarlo al 5o posto, in onore di alcune giocate sublimi che, a fatica, anche quest‟anno, è riuscito a fare con i Gunners. Quel che manca al nativo turco è la continuità e, fattore che sembra accomunare molti giocatori dell‟armata Wengeriana, la cattiveria. La decisività in alcune partite è mancata, e non solo qui a Londra. A Madrid lo sanno benissimo.


4

ERIK LAMELA. Ho avuto la fortuna, e la sfortuna, ahimè, di vedere questo giocatore in azione, dal vivo, allo Stadio Olimpico, in un derby di qualche anno fa, dove Lamela sbloccò per la Roma dopo non molti minuti dal fischio iniziale. Era la Roma di Zdenek Zeman, era soprattutto l‟inizio della carriera europea per l‟argentino venuto dal lontano River Plate. Lontano perché a quel calcio, a quel modo di giocare, “el Coco” non si è mai staccato. Come il bimbo fatica a staccarsi dal cordone ombelicale che lo lega alla madre, così Erik non ha ancora avuto un tecnico capace di mettere le forbici tra il suo straordinario talento e la sua continuità. Il discorso è simile a quello appena fatto per Ozil, con la differenza che Lamela ha davanti a sé un futuro ancora lungo (classe „92, 23 anni compiuti da poco). Se nella Roma i suoi goal e le sue giocate avevano infiammato più di una volta l‟Italia calcistica, lo stesso non si può dire nella sua esperienza a Londra, sponda Tottenham Hotspurs (nella foto è con Andrè Villas Boas): per lui appena 33 presenze dal 2013, con 4 reti all‟attivo. Pochino, troppo poco per uno “predestinato” come lui. Attendiamo speranzosi.


3

RADAMEL FALCAO. Entra come terzo sul podio il nostro amato Radamel Falcao. Per lui poche gioie in maglia United, ancor meno col Monaco, squadra che lo consacra e lo distrugge allo stesso tempo. La ferita con la formazione francese è ancora aperta, radicale è quella coi tifosi dello United, che mai hanno imparato ad amarlo come facevano in Argentina, al River Plate. La sua ottima esperienza col Porto e la sua continuità al Monaco lo hanno reso celebre, ma ad essere onesti, e parlano le statistiche, Radamel non è più quello dei tempi del Porto da almeno due anni, per non essere troppo severo. Anche da parte sua ci aspettiamo il salto di qualità che potrebbe favorire lo United e consacrarlo una volta per tutte. Al momento è no.

2

DAVID LUIZ. Povero David. Quanti di voi lo hanno irriso e biasimato dopo la prestazione di Champions League contro il Barcellona di quest‟anno (al Parco dei Principi)? Due “buste” prese dall‟ex collega di Premier League Luis Suarez, con conseguenti goal dello stesso uruguaiano, e tanti palloni sbagliati, oltre ad interventi emblematici (come quello in foto, costato caro al PSG) che hanno portato il Barcellona in semifinale e hanno spento nuovamente i sogni parigini. Nel Mondiale, pur con fatica, si erano imposti i suoi buoni piedi, abbinati ad uno suo spirito guerriero non indifferente. Ma il calcio è altro. E se fai il ruolo delicato di difensore centrale, può sembrare tautologico, ma devi saper difendere. Ecco, David Luiz sta alla difesa come Parigi sta al Brasile. Due poli contrapposti, eppure Mou l‟aveva capito. Lo spostamento, tutt‟oggi a tratti riproposto, di David Luiz a centrocampo, può essere una chiave per salvargli la carriera. Secondo posto per lui.


L’ESULTANZA

o meglio, la

non esultanza

QUI AGLI EU ROPEI, MOMENTO MA GICO E M AI Più RIPETIBIL E PER SUPER MARIO. ESULT A, MA RESTA FERMO, po iché (PARO LE SUE) “QUAN DO UN POST INO CONSE GNA LA PO STA ESULTA? ”


L’EPISODIO 20.04.10 Inter v Barcelona

VIENE FISUPER MARIO O PUBBLISCHIATO DAL SU ER SBACO DOPO AV HE TOCGLIATO QUALC ZITTISCE I CO DI TROPPO. ETTA VIA SUOI TIFOSI E G FINE GAA LA MAGLIETTA O A 20 ST RA. TUTTO QUE

LA CARRIERA

ANNI

dati Wikipedia

1

M. BALOTELLI. / E‟ Super Mario ad entrare nella lista come primo classificato. Il suo talento, mai realmente venuto alla luce, si è fatto avanti grazie ai tanti goal segnati e grazie, soprattutto, all‟ancor tenera età (25 anni quest‟anno). Età non più tenerissima, non come quando a 20 anni era già ai piedi di Mancini e di San Siro nerazzurra, per poi esser calpestato da quegli stessi personaggi che lo avevano

osannato. Talento, follia, ma anche troppa audience. Nel tempo Balotelli si è costruito una popolarità fatta di gossip e di pochissimo pallone giocato, se non calcoliamo quella splendida parentesi con l‟Italia agli Europei 2012, quando anche i più scettici (compreso me) gli avevano dato una grande opportunità. Al Liverpool gioca poco, e si trasferirà, di nuovo. Per ricominciare. Si ma come? A 25 anni la testa devi averla ben salda, altrimenti quel gran talento rischia di rimanere inespresso.


via : @nostanding13


IL GIORNO 16.05.15

Steven Gerrard lascia il calcio inglese, e lascia il Liverpool, soprattutto, al cui servizio ha giocato dal lontano 1998 al 2015. Contratto già stilato tempo fa, destinazione Stati Uniti. Questa immagine è il succo di quel giorno, il 16.5.2015, giorno in cui Steven Gerrard toccava con i suoi piedi e con la sua anima Reds il terreno dell’Anfield Road. Viene scontato pensare, ovviamente, a come giocatori del genere non li rivedremo spesso in futuro, e che, anzi, quei giocatori stanno piano piano scomparendo dal panorama calcistico mondiale. Leggende come Steven Gerrard sono figlie di un calcio andato, dove prima del denaro contano le emozioni, e dove la retorica rischia di essere ripetitiva, ma mai tanto esatta. Tra i pianti dei tifosi del Liverpool, dei figli di Steven, di lui stesso, ci sono anche i miei (magari non materiali, ma nascosti). Perché quando giochi per la squadra della tua città, e lo fai da capitano, e lo fai come Steve G ha fatto, allora dalla vita hai avuto tanto. E va bene così, anche se a noi va meno bene. il dir. G. Palamidessi


LA SANTA TRINITA’ E’ STATO IL TRIO PIU’ FORTE DI SEMPRE. POCHI (FORSE) LO HANNO SUPERATO, UN TRIO (NEYMARSUAREZ-MESSI) POTREBBE SUPERARLI. NOI, COMUNQUE, VE LI RACCONTIAMO. THEY DESERVE IT!


G

eorge Best. Impossibile non partire da lui. Impossibile non iniziare un discorso sulla Trinità dello United senza citarlo a inizio articolo. Era lui, nel trio, quello incaricato di risolvere le partite da solo (o quasi), con una giocata illuminante. Con un dribbling vincente. Come non parlare però, a maggior ragione, di chi gli stava alle spalle, o davanti, o a fianco. Li vedete, ben posizionati, sul terreno di gioco. Sono Bobby Charlton, Denis Law e George Best. 1958, LACRIME D’ONORE: 6 febbraio del 1958. Una data che molti vorrebbero cancellare, ma che pochi hanno dimenticato, forse nessuno. Sicuramente non dalle parti di Old Trafford. Così come il Grande Torino, quel Manchester United, guidato da sir Matt Busby (che si salverà per miracolo insieme a Bobby Charlton) si schianta nel viaggio di ritorno da Monaco. La tragedia lascia uccisi 23 componenti della rosa, non solo giocatori, ma Busby e Charlton si salvano per miracolo. Ricomincia così, tra turbamenti emotivi e molte domande con poche risposte, il campionato, la vita. Dovranno passare esattamente 10 anni, prima che il Manchester di Matt Busby, della gioventù busbiana, vinca qualcosa a livello europeo. 1968, L’ANNO: Il 1968 è l‟anno della svolta. Sono passati 10 lunghi anni da quella tragedia. I volti dei compagni, le grida, le emozioni della sera prima, non sono state dimenticate dai superstiti. Il grande sogno di Busby e Charlton è dedicare a loro una vittoria che metterebbe (ma solo in via ipotetica) le anime di quei ragazzi in pace. E sarà così. E‟ il 1968 l‟anno del tridente. Dopo due stagioni a buoni livelli, dove il Manchester vince tanto a livello nazionale ma ancora non riesce a sfondare a livello europeo, arriva la vittoria tanto ambita in finale di Champions League, contro il Benfia, per 4-1, di fronte ad un Wembley gremito in ogni ordine di posto. E‟ la riscossa di Bobby Charlton, che segna due gol, e di Busby. La coppia torna a sorridere dopo anni di tormenti, e la vittoria è tutta per chi c‟era e non può festeggiare. Ma è anche la vittoria del genio puro, di George Best, Casacca numero 11, donne, whisky e un talento sfrenato per il football. Forse troppo anche per il suo povero corpo, così minuto, così pronto a esplodere sul terreno di gioco.


Era questo il vizio di George Best. Le troppe donne, il troppo alchol. In poche parole, “vita mondana”. Per carità George, ognuno vive la sua vita, ognuno è padrone delle proprie scelte. Ma con un talento come il tuo, non possiamo che “odiarti” per averti visto così in basso, pensando a quanto in alto avresti condotto quel tuo United. Perché lo United era di George Best. Matt Busby credette in lui quando nessuno ci avrebbe scommesso una lira, eccetto le mille ragazze che puntualmente si presentavano a casa della mamma di George. Credette in lui dal primo tocco di palla. Quel ragazzo irlandese con quel suo accento così strano. Prontissimo per il grande calcio. E così sarà. Tanti goal, tante emozioni, tante storie da raccontare. Troppe per un solo articolo. Ma torniamo alla trinità, collegando oltre alle donne (foto a destra) i risultati. JEUNESSE D’OREE’: La “gioventù d‟oro”, con la quale espressione si intende un movimento di giovani “squadristi” operanti in Francia nel periodo del terrore successivo alla Rivoluzione Francese, può ben identificare

quei tre moschettieri di Old Trafford, capaci di vincere ben tre palloni d‟oro in tre stagioni. Nel 1966 toccò a Charlton vincere. Lui, vincitore anche della Coppa del Mondo con la sua Inghilterra (non me ne vogliano i tifosi del West Ham per il loro amato Bobby Moore, e nostro santino), porta a casa l‟inaspettato trofeo, il più importante che un calciatore possa desiderare (c‟è da dire che all‟epoca il premio era riservato ai soli calciatori europei). Nel 1967 è Denis Law a vincere l‟ambito premio. Nel 1968, l‟anno in cui una squadra inglese vince la Coppa dei Campioni per la prima volta nella storia, tocca a George Best. Ed è forse questo trofeo che meglio li accomuna. Difficile capire ai nostri giorni la portata di tale avvenimento. Quei tre (se ce ne fosse bisogno) erano i più forti e per più forti non si intende solo la teoria, ma soprattutto la prassi. Vedete, cari lettori, e chiudo; una squadra forte è tale quando i giocatori nella squadra fanno la differenza, fanno vincere, soprattutto. Quella formazione, così vincente e così spregiudicata, vinse tanto e vinse anche singolarmente. Quando Busby

affronterà con il Liverpool lo United anni dopo, affermerà come ai suoi giocatori aveva ordinato tranquillità, d‟altronde davanti avevano solo “Best, Charlton e Law”, ma in cuor suo sapeva bene che quelli erano “i giocatori più forti al mondo in quel momento”. Perché la storia ribalta le prospettive, ma la classe non è acqua. E lo United, e la Trinità, vinsero col loro fuoco, anche l‟acqua. di. G. Palamidessi



LA TOP THREE

LUSITANI: I TRE MIGLIORI DI SEMPRE Non facile scegliere i tre migliori portoghesi della storia del calcio. Già se la selezione fosse stata tra i primi 10, la questione si sarebbe risolta con molta meno premura. Sono invece le condizione impostemi a dover essere selettivo e tagliente. L‟uomo copertina, che dà l‟avvio a questa piccola rubrica, è il grande Eusebio. E‟ lui a vincere la classifica qualificandosi al primo posto, ma su questo credo ci fossero pochi dubbi. Per il secondo e terzo posto la selezione è stata più ardua, ma non per questo meno divertente. Se infatti è unanime il pensiero su Eusebio, lo stesso non si può dire di quel che si pensa su Cristiano Ronaldo, i cui tre palloni d‟oro vinti (forse aggiornerà il dato nei prossimi anni) ci costringono (volenti e non nolenti) a piazzarlo in seconda posizione, con il timore di poterlo vedere quasi sopra Eusebio stesso, ma questi sono gusti, non solo statistiche. Terzo posto che era contesto tra Rui Costa e Luis Figo. Il terzo podio va, senza molta suspence, a Luis Figo. La scelta è stata condizionata dalla carriera e, soprattutto, dai trofei. Per quanto infatti Rui Costa sia rimasto nel cuore di tutti i calcio fili, ho sempre creduto che Luis Figo, ambasciatore del calcio lusitano per eleganza e attitudini, avesse qualcosa in più del genio Rui. Disprezzateci e odiateci più di prima, ma l‟opinione non esisterebbe altrimenti. il dir. Gianluca Palamidessi




IL VERO FALCAO

NON MACCHIATE QUEL NOME Paulo Roberto Falcão nasce ad Abelardo Luz, nello stato di S.Caterina, il 16 ottobre 1953. Si trasferisce molto piccolo nella regione di Porto Alegre, a Canoas. Cresce nella squadra del Porto Alegre, dove viene tesserato a soli tredici anni, ma la svolta della sua carriera è dovuta ad una vecchia conoscenza del nostro calcio, Dino Sani. E‟ lui l‟uomo che ha scritto le prime pagine della storia dell‟Ottavo Re di Roma. Lo stempiato regista del Milan di Rocco, classe e sicurezza innata al punto da sembrare neanche così bravo, scopre il talento di un quel ragazzo alto e veloce. All‟epoca Sani allenava l‟Internacional di Porto Alegre e teneva sotto il giovane Paulo, la stella del vivaio della sua squadra. La visione di gioco, la padronanza del tocco e un‟ottima tecnica fecero diventare subito famoso il giovane Falcão, che dalla tifoseria fu ribattezzato “Il Biondo”. Nel 1972 partecipa con la Seleção alle Olimpiadi di Monaco, dove il Brasile non brilla, eliminato nel proprio girone da Ungheria e Danimarca. L‟anno successivo Sani lo giudica ormai pronto per entrare come titolare nel Porto Alegre. Sono anni di successi per l‟Internacional che vince cinque titoli regionali “Gaùchos” (1973, 1974, 1975, 1976, 1978) e tre volte il titolo brasiliano, ricordato come “Brasilerio” (1975, 1976, 1979). Nelle sette stagioni giocate con l‟Internacional segnerà 78 reti. La nazionale maggiore comincia ad accorgersi di lui ed il debutto avviene nel 1976, contro l'Argentina a Buenos Aires, per una partita della Coppa Atlantico, ed è vittoria dei carioca per 2 a 0. Seguirà il torneo del bicentenario degli Stati Uniti dove Falcão avrà il primo contatto con il nostro calcio nel match Brasile Italia terminato 4 a 1. Ma in nazionale le cose non vanno benissimo; non vi è un buon rapporto con il selezionatore Coutihno, che alla prima partita sbagliata , un pareggio 1 a 1 con il Paraguay per il girone di qualificazione per la Coppa del Mondo del 1978, lo mette fuori squadra. I carioca si qualificano per il mondiale argentino, ma Falcão non viene nemmeno convocato. di Storie di calcio


L’arrivo in Italia Proprio i tifosi dell‟Internacional di Porto Alegre, che con lui “no comando” hanno sfiorato la conquista della “Coppa Libertadores”, ovvero l‟equivalente sudamericano della Coppa dei Campioni, incuriosiscono i giornalisti italiani con scene di autentica disperazione all‟annuncio della partenza del loro idolo. Il presidente dei “colorado”, Asmuz, subisce una pesante contestazione e qualcuno comincia a parlare di questo Falcão come di un “grande organizzatore di gioco”. Le emittenti televisive private della capitale, che avevano a lungo proposto le videocassette con i gol e le funamboliche giocate di Zico, si trovano spiazzate: di questo Falcão si trovano solo poche immagini sabbiose e sfuocate. Poco più di 30” ripetuti di continuo. Non un gol, non un colpo di tacco. Si vede la sagoma elegante di un calciatore che corre a testa alta e calcia con i due piedi. Il primo stupore Quando scende in campo i tifosi restano interdetti. Fisicamente sembra più un tedesco elegante che un brasiliano. Alto, slanciato, le gambe che sem-

brano più lunghe del normale, un torace ben strutturato, un viso chiaro con qualche lentiggine, sul quale dominano due occhi chiari e pungenti ed una fronte alta e spaziosa che lo fa assomigliare più ad

un medico di successo che ad un centrocampista della nazionale brasiliana. Anche nel modo di giocare rivela poche affinità con la scuola carioca. Smista il pallone sempre di prima, non teme i contrasti, tende a smarcarsi con facilità perché corre continuamente, ma non tenta mai un “colpo ad effetto”, non si cimenta mai in un dribbling. Raramente colpisce il pallone di tacco e mai per il gusto dello spettacolo.

La numero 5 I tifosi romanisti sono interdetti ma si fidano di Liedholm che pare lo abbia fortemente voluto. "Gran iocatore, intelijiente. Lui piedi come mani." sentenzia Mastro Nils davanti ai taccuini dei giornalisti romani, tutt'altro che entusiasti dopo le prime amichevoli. Quando cominciano il campionato e le Coppe si capisce che Falcão non è uomo da precampionato e da partite coi villeggianti. Veste la maglia numero cinque, lo ha preteso espressamente. In Brasile è una maglia che ha un significato preciso, chi la veste è no comando do jogo e quando è indossata da un campione, la squadra ruota intorno a lei. E' esattamente quello che accade con Falcão. La Roma esordisce vincendo a Como. Si capisce subito che sarà una squadra bella e pratica. Falcão la dirige, ma non si propone come protagonista indiscusso. Le sue trame si innestano sull‟ordito del gioco a zona di Mastro Liedholm, dettano i ritmi più consoni ad una squadra che non possiede velocisti. Falcão è al tempo stesso il primo a difendere ed il primo ad attaccare, contrasta come un difensore e lancia come un fantasista.


La stagione Dopo qualche scossone arriva la giornata decisiva, la Roma espugna alla grande San Siro battendo per 4-2 l‟Inter Campione d‟Italia e Falcão indossa quel pomeriggio i panni di un Von Karajan. La sua bacchetta calcistica dirige l‟orchestra giallorossa che concretizza la sua sorprendente superiorità grazie a tre reti di Roberto Pruzzo, ma è Falcão, che fa la differenza, stravincendo il duello a distanza con Prohaska, il regista nerazzurro. Quel pomeriggio la Roma si candida ufficialmente allo scudetto. Con un gioco arioso, anche se non sempre ad un ritmo elevato, i giallorossi tengono testa alla sempiterna Juve ed al sorprendente Napoli, in un campionato incerto ed avvincente come se ne sono visti pochi. “Farcao” Lo sconosciuto Falcão entra nei salotti della capitale dove si disquisisce se la pronuncia corretta del suo cognome sia “Falcòn”, oppure “Faucon” o ancora “Falson”. Per il tifoso romanista il dubbio non sussiste , lui si chiama “Farcao” oppure “er Divino”. Il 10 maggio, in una giornata piovosa, la Roma

sale a Torino per la sfidascudetto contro la Juventus. Su un terreno fradicio la partita è una battaglia. La Roma dimostra di essere davvero cambiata. In condizioni particolarmente avverse per lo sviluppo del suo gioco palleggiato, la squadra, presa per mano da “Farcao”, si trasforma e combatte la Juve con le armi solitamente caratteristiche della squadra bianconera. Quella partita passerà alla storia per il “gol di Turone”, un gol non concesso alla Roma, che scaverà un solco fra due tifoserie e due presidenti: Boniperti e Viola. Paulo Roberto Falcão ha il carattere “gaucho”, fiero ed al tempo stesso orgoglioso. Non polemizza pesantemente come fanno altri suoi compagni, con la Juve si prende le sue rivincite sul campo. Un suo gol la elimina quello stesso anno in Coppa Italia e, l‟anno dopo, ancora un suo gol consente alla Roma di espugnare il Comunale di Torino. Quel suo secondo anno sembra destinato ad essere trionfale; un suo magico assist volante col tacco permette a Pruzzo di segnare un gol da cineteca alla Fiorentina, ma ancora San Siro è lo stadio della svolta, stavolta negativa.

Carrinho La Roma capolista, in quella partita, lotta ad armi pari con l'Inter che ha nella grinta la sua arma migliore. Ogni pallone, quel pomeriggio a San Siro, viene giocato come se fosse l‟ultimo. Ad un certo punto si affrontano Falcão e Altobelli. L'interista è in vantaggio, ma l‟asso della Roma si getta a piedi in avanti, colpisce il pallone e poi Altobelli che, più per il tentativo di evitare l‟impatto, che per la violenza dello stesso, vola a terra. Si accende una mischia furibonda e il Divino si vede sventolare sotto il naso il cartellino rosso. L'Inter vince per 32, Falcão viene squalificato. Le polemiche televisive infuriano. A Roma ed in Italia non si parla d'altro per giorni. Un certo Pato, fratello di latte (nientemeno!) di Falcão spiega all‟Italia che quell'intervento in Brasile è tanto lecito da avere addirittura un nome: carrinho.


Il Mondiale La Roma esce dalla lotta per il titolo, si barcamena in zona UEFA, ma alla fine della stagione ci sono i Mondiali in Spagna, quei Mondiali che il Brasile vuol vincere. Telè Santana prima convoca Falcão, poi gli assegna la maglia n° 15 e quindi, come diretta conseguenza, la squadra. E‟ un Brasile stellare, il Brasile di Zico, Junior, Luizinho, Cerezo, Eder, Socrates ma soprattutto, dopo le prime battute, diventa il Brasile di Falcão. Che di par suo gioca con sicurezza, imposta, lancia, contrasta, tira e segna addirittura, sfatando quella che è considerata la sua unica debolezza in un repertorio ormai rivelatosi, forse asciutto e pratico, ma di sicuro completo: la scarsa confidenza con il gol. In quel Mundial ne segna uno splendido proprio all‟Italia che rovina la festa a quel Brasile “bello e impossibile”. Un Brasile che sul più bello si rivela non il Brasile di Zico, Socrates e Falcão, ma quello di Valdir Peres e Serginho Paulista, autentici paradigmi dell‟inadeguatezza nei ruoli di portiere e centravanti. L‟Italia segna con Rossi, pareggia Socrates, segna ancora Rossi. Il

Brasile, abituato a dominare, a vincere di goleada, a palleggiare in scioltezza, si trova a dover estrarre la sciabola. Resta lui, “o gaucho”, il “brasiliano meno brasiliano che c‟è”, a lottare fino alla fine. Falcão, torna “Farcao”. Contro una legione di bianconeri, di quegli avversari delle sue domeniche di leader giallorosso, “Farcao” dà il meglio di sè. Quando, dopo una serie di finte in surplace che “aprono” la difesa azzurra, il suo destro tagliato e tagliente batte Zoff. La sua gioia sfrenata ripresa dalle telecamere, entra in migliaia di case italiane e genera altre polemiche. Dopo che ancora Paolo Rossi ha rimesso le cose a posto, il tifo italiano, un po‟ carogna, lo individua come bersaglio preferito, come simbolo della sconfitta brasiliana. Qualcuno lo spernacchia apertamente, ma quella che sta per iniziare, dopo la “mazzata” contro gli azzurri che vincono il Mundial, sarà decisamente la sua stagione più serena e felice. Riparto da Roma A Roma arriva quel Prohaska destinato a diventare il suo gregario perfetto dopo aver fallito nel ruolo di leader nerazzurro, ma

soprattutto alla Juve arriva l‟uomo che diventa il suo “alter ego” calcistico, l‟uomo cui viene contrapposto sui giornali e nelle trasmissioni televisive : Michel Platini. Difficile trovare due calciatori più diversi fra loro. L‟uno, Falcão, votato alla disciplina di squadra, delizioso nella sua perfetta qualità di “esaltatore della sapidità” di compagni altrimenti sciapiti, l‟altro, Platini, finalizzatore principe, figura quasi estranea al gioco dei comuni mortali spesso folgorati dalle saette del suo genio. La Roma domina il campionato, mentre la Juventus, nella quale Platini è quasi “un sopportato” a causa del suo ingaggio superiore a quello dei Campioni del Mondo bianconeri, e soprattutto, per la superiore considerazione di cui gode a Palazzo Agnelli, non riesce a trovare la sua proverbiale continuità per quasi tutto il girone invernale. Quando i bianconeri, che hanno vinto all'andata, rendono visita alla Roma in un Olimpico pavesato a festa, è arrivata ormai la primavera. Ma la Juventus non vuole mollare proprio un bel niente. E Platini la prenderà per mano.


E‟ una sfida indimenticabile. ”Farcao”, che quando vede il bianconero diventa irresistibile, porta in vantaggio la Roma e la Juve , da “-7” sembra definitivamente spacciata, ma risorge. Prima Platini su punizione batte Tancredi, poi uno dei “nemici storici”, il gigantesco Brio, segna il gol della vittoria su un assist dello stesso Platini. Su quel gol il francese parte in sospetto fuorigioco, e Viola parlerà della famosa “questione di centimetri”, destinata ad infiammare per anni le sfide “bianconero-giallorosse”. Le polemiche infuriano, violente e cattive, l‟ambiente esaperato sembra congiurare per l‟inevitabile tonfo romanista. Non bastasse questo la Roma deve andare a Pisa, una trasferta a dir poco insidiosa. L’ottavo Re di Roma Falcão la prende per mano, segna il gol decisivo e orchestra il gioco da par suo. Guidata dal suo fuoriclasse la Roma ritrova sicurezza, morale, coraggio e, di conseguenza, tranquillità, ovvero gli ingredienti necessari a riportare, dopo quarantuno anni, lo scudetto sulla riva giallorossa del Tevere.Oramai “Farcao” è l‟

”Ottavo Re di Roma”. Il “gaucho” si è perfettamente integrato, ormai si è “romanizzato” alla grande. La “dolce vita” gli si addice, gli viene attribuita una “love story”, vera o presunta, addirittura con Ursula Andress e le sue foto sui rotocalchi “rosa” si sprecano più che sulla Gazzetta. Si dice abbia un figlio da una piacente signora divorziata. Quando il campionato ricomincia, Falcão ha un nuovo compagno, il connazionale Cerezo ed un obiettivo dichiarato a chiare lettere addirittura dal presidente Viola che, per una volta, abbandona il suo criptico gergo (il “violese”) per annunciare che: “la Roma punta a vincere la Coppa dei Campioni e conquistarla prima della Juventus”. Che l‟ha appena persa contro l‟Amburgo per un gol di Magath, una sconfitta che a Roma ha allungato la festa dello scudetto. Proprio questo prestigioso traguardo, nel culmine della carriera di Falcão che in quei giorni compie trent‟anni, è destinato a segnare in negativo la meravigliosa avventura giallorossa del fuoriclasse brasiliano. In campionato, la Roma, dopo un inizio folgorante, boccheggia. Qualcuno

sostiene che i festeg- giamenti abbiano lasciato il segno, altri parlano di appagamento e le accuse di “notti brave” a questo o quel campione diventano pane quotidiano. ”Solo è problema preparassione”predica nel suo improbabile italiano Liedholm. In realtà la Roma punta alla coppa dei Campioni. Elimina il Goteborg, poi il CSKA, quindi la Dinamo Berlino. Infine, nella semifinale di ritorno con gli scozzesi del Dundee ribalta lo 0-2 dell‟andata con una leggendaria rimonta in un caldo pomeriggio di sole all‟Olimpico. E‟ il 25 aprile, lo stesso giorno in cui, due anni prima maturò il “caso Turone”. Qualche fedelissimo giallorossi, fideisticamente vede in questa coincidenza una sorta di risarcimento da parte del destino. Come se non bastasse questo, la finale contro il Liverpool si disputerà all‟Olimpico. Il Liverpool è un osso duro, la finale è un evento epocale. Roma e la Roma la preparano alla grande. La fine in finale Tutto viene preparato come se la cosa fosse già accaduta, concerto di Venditti compreso. Invece è l inizio della fine. Falcão, come Platini l'an-


no prima ad Atene, incappa in una delle serate più opache della sua storia giallorossa. Il Liverpool, esperto e solido, prima segna, poi, raggiunto da Pruzzo, pilota la partita ai supplementari e quindi ai calci di rigore. Quando i preparativi sono ultimati, fra i cinque rigoristi della Roma che già deve rinunciare a Pruzzo e Cerezo usciti per infortunio, figurano Bruno Conti, Graziani, Di Bartolomei. L'occhio della telecamera fruga il drappello giallorosso, c'è persino Ubaldo Righetti. Manca il Divino: Falcão non calcerà dagli undici metri. Perché Falcao, figlio mio? L‟impressione è che la squadra, o almeno quella parte di essa chiamata a giocarsi tutto in così poco, senta questa mancanza, più ancora di quanto in pratica sia la reale differenza fra un rigore sbagliato o trasformato. La Roma tutta, quindi anche quei cinque compagni designati dalla sorte più che dall‟allenatore ad affrontare Bruce Grobbelaar, è abituata da tre anni a “farsi guidare” da “Farcao”. E‟ lui , nel bene e nel male, a condizionarne le decisioni, in campo e, dicono i bene informati, fuori. La barra del timone è sempre stata nelle mani del campione brasiliano che adesso la molla. Come è andata a finire è noto: il viso stravolto di Ciccio Graziani, il pianto di Bruno Conti, le boccacce irridenti di Grobbelaar, sono rimaste indelebili nella mente dei tifosi romanisti. Negli spogliatoi, si racconta, sia poi successo di tutto. Coloro che come la bandiera, il capitano, Di Bartolomei si sono visti soppiantare dal felpato passo del brasiliano, dalla sua luminosa classe, dal suo abbacinante carisma, adesso insorgono. Falcão, “o gaucho”, non può aver fatto “per viltade il gran rifiuto”. Ad uno come lui non è consentito comportarsi così. Qualcosa, quella notte della finale, si rompe definitivamente. Liedholm ritorna al Milan dove lo raggiunge la “bandiera” giallorossa per eccellenza, Agostino Di Bartolomei. Ma non sono questi i soli cambiamenti. Il presidente Viola diventa gelido verso il campione brasiliano. Le frasi in “violese”, una volta dedicate solo a Boniperti e all‟entourage bianconero, diventano una triste consuetudine quando parla di Falcão. Alla Roma arriva Sven Goran Eriksson, un altro svedese, ma di tutt‟altra pasta di quella di Niels Liedholm. Viene ribattezzato “Svengo” per la sua non particolare brillantezza d‟eloquio e per aggirare le carte federali in panchina siederà Clagluna. L’addio annunciato Falcão, in quell‟anno, si infortuna seriamente ad un ginocchio e per lui, il divino, comincia un calvario che lo porterà ad essere operato negli Stati Uniti, ma soprattutto a lasciare Roma e la Roma in un modo amaro. La bella storia del fuoriclasse di Xenxere e della Roma più bella che mai si fosse vista, si chiude con una vicenda di procuratori, avvocati, visite fiscali, richieste ora dall‟una, ora dall‟altra parte e sempre rifiutate. Dal punto di vista del campo vi sono mesi di assenza fra ricadute che mettono in dubbio la sua integrità fisica. Assenze che Viola non sopporta. Ha deciso, il presidente, di ricostruire la Roma senza Falcão. In campionato la Roma del dopo Liedholm e senza Falcão zoppica, ma i tifosi spera-


no nel ritorno del divino. Che non ci sarà perchè Viola ha deciso di scaricarlo. La vicenda si trascina, velenosa, per tutta la seconda parte della stagione, poi esplode, in tutta la sua virulenza, in quella estate nella quale Viola, per far dispetto a Boniperti, ha deciso di tesserare Zibì Boniek e, per poterlo fare deve liberarsi di Falcão e del suo contratto. La questione assume tratti spiacevoli, le cadute di stile si sprecano. Mestamente, a colpi di carta da bollo, la sua vicenda di campione e di calciatore alla Roma ed in Italia volge al termine. Si arriva a parlare di soldi, in modo anche sgradevole . Alla fine la Lega dà ragione a Viola: il contratto viene rescisso per inadempienza da parte del giocatore. Durante questa telenovela, Falcão, finisce anche sul mercato, ma Pontello, il presidente della Fiorentina, è l‟ultimo a rifiutargli un ingaggio. Alla sua porta anni prima si sarebbero accodate tutte le grandi del calcio europeo, in prima fila la stessa Juventus, che, stavolta, non si interessa alla vicenda, quasi si gustasse il piatto freddo della vendetta. Stavolta si fa avanti solo il Panathinaikos… Poiché l‟estate successiva ci saranno i Mondiali messicani, gli ultimi per lui che ormai va per i trentratré, torna a giocare in Brasile per avere la sua rivincita su tutti. Si accasa al San Paolo, il destino gli concede qualche risarcimento: la sera del suo esordio il Morumbi, lo stadio più grande dopo il Maracanà, è pavesato a festa. Majorettes, canzoni, applausi, festeggiamenti gli danno il bentornato. Avversario, non poteva che essere così, l‟Internacional di Porto Alegre, la sua squadra di un tempo, quella dalla quale prese le mosse la sua vicenda di campione. Falcão gioca bene, il San Paolo vince. Non sarà sempre così. Il calcio brasiliano vive un periodo di crisi, stadi deserti, pochi soldi. Falcão era abituato ad altro, ma si adatta pur di arrivare ai Mondiali in Messico. Telé Santana lo convoca, ma in tutta la manifestazione, causa anche i malanni fisici al ginocchio,


gioca due scampoli di partita e finisce presto in tribuna. Dopo la delusione, non accettando di diventare un vecchio campione in disarmo, lascia il calcio giocato e si ritira in Brasile a curare i suoi affari ed a fare il tecnico. Dopo l‟eliminazione del Brasile ai Mondiali di Italia ‟90, guida addirittura la Seleçao per un anno circa, poi lascia. Il pubblico romanista, tuttavia, non lo dimentica. Quando, anni dopo, torna all‟Olimpico per vedere una partita della Roma lo stadio gli dedica un lungo caloroso applauso. Meritato perché, al netto della brutta serata con il Liverpool, è stato grazie alla sua personalità, al suo carisma, al suo calcio chiaro e privo di orpelli se la Roma è entrata fra le grandi del calcio italiano. Di lui si ricorda un aneddoto che inquadra quello che è stato il suo calcio. La Roma lo presenta in un‟amichevole con l‟Internacional di Porto Alegre, all‟Olimpico. Il Presidente Viola, prima della partita, gli si avvicina e gli chiede “qualche numero”. ”Da un brasiliano”- dice Viola - “il pubblico si aspetta qualcosa di spettacolare, un colpo ad effetto. Spero non li deluderà e non mi deluderà”. Verso la fine della partita Falcão decide di accontentarlo. Controlla la palla col tacco, fa passare la palla sulla testa di un avversario (“el sombrero” lo chiamano in sudamerica) poi la raccoglie e al volo calcia verso la porta avversaria sfiorando il gol. L‟Olimpico si scioglie in un applauso estasiato. Dopo la partita, incontrando il presidente negli spogliatoi, gli dirà -“L‟ho fatto, ma non mi chieda più di fare una cosa simile. Sono cose da foca ammaestrata, io sono un calciatore professionista”. di Storie di Calcio


IL DOTTORE

STORIA DI SOCRATES SELEÇÃO 82 Per la nostra generazione Sócrates rappresenta quell'affascinante Brasile dei mondiali spagnoli del 1982. Una squadra spettacolare che non è rimasta nella storia solo a causa di due tasselli mancanti, un portiere (al posto del disastroso Valdir Peres) e un centravanti decenti (il giovane Careca si era infortunato poco prima della competizione lasciando spazio al pessimo Serginho). Sócrates era il capitano di quella formazione che, comìè noto, annoverava campionissimi come il "nostro" Zico, Paulo Roberto Falcão, Júnior, Toninho Cerezo, Éder ed era allenata dal grande Telê Santana. Dopo aver assistito alle prime quattro partite molti erano convinti che 12 anni dopo lo squadrone con l'attacco composto da 5 numeri 10 (Jairzinho, Gerson, Tostão, Pelé e Rivelino) finalmente una Seleção avrebbe riportato la Coppa a casa. Ma non fu così. In quel fatidico 5 luglio al Sarrià di Barcelona si svegliò improvvisamente Paolino Rossi e con lui di tutta l‟Italia di Bearzot. Fu proprio quel lungagnone barbuto col numero 8 a marcare la rete dell'1-1, su invito filtrante del Galinho, spiazzando Zoff sul suo palo. Ma come tutti ricorderanno non fu sufficiente. Fu in quella occasione che il grande pubblico conobbe per la prima volta Sócrates, ma o Doutor era già un idolo nel suo paese e conosciutissimo in tutta l'America Latina, e non solo per il futebol. di Alessandro Gori, Storie di calcio


ATIPICO Giocatore totalmente atipico, al contrario della gran parte dei suoi colleghi non reputava il calcio l'aspetto più importante della sua vita, anzi. Sembrava fosse arrivato per caso alla ribalta, e per caso ci rimaneva. Le sue passioni principali erano invece la medicina e la politica, oltre all'alcool. Altissimo (1,93), fisico asciutto, piedino stranamente piccolo per un'altezza simile (calzava il 38, qualcuno dice addirittura il 37) e fatato, Sócrates era nato nel 1954 a Belém, nel Pará, estremo nord del continente brasiliano. Suo padre era un uomo di sinistra con una cultura sopra la media che negli anni della dittatura leggeva di nascosto i libri proibiti dal regime. Un nome così importante non arrivò dunque per caso, ma era solo il primo di una lunga sfilza che, da ragazzo, avevo imparato come se si trattasse di una filastrocca: Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira. Il nostro ebbe molti soprannomi, dal classico O Doutor (per ovvie ragioni), a Magrão, all'altrettanto ovvio Crâtes, ma anche uno dei più belli mai sentiti a qualsiasi latitudine: O calcanhar que a bola pediu a Deus, ovvero «Il colpo di tacco che la palla chiese a Dio»; non proprio un modo per accorciarne il nome, ma sicuramente pura poesia brasileira che faceva riferimento a una delle sue specialità tecniche. Sócrates crebbe a Riberão Preto, cittadona dell'interno dello Stato di São Paulo nel cui club locale, il Botafogo (da non confondersi con l'omonimo club di Rio), iniziò a giocare, alternando allenamenti e partite con l'università; aveva infatti iniziato la facoltà di Medicina presso la USP di Riberão Preto. Con il Botafogo si proclamò campione del primo turno del Paulistão 1977 e in 4 anni marcò un centinaio di reti (nel 1976 risultò capocannoniere del campionato), attirando su di se le attenzioni delle squadre più importanti del paese. Ma approdò tardi a un club importante, a 24 anni, solo dopo essersi laureato in medicina (pediatria), qualcosa di inaudito nel mondo del calcio.


A DEMOCRACIA CORINTHIANA Qualcuno in Brasile diceva che Sócrates non era un atleta, ma semplicemente un grande giocatore di calcio. Interno magro e lungagnone, testa alta, tocco vellutato, dotato di rara intelligenza calcistica con la quale sopperiva alle limitate doti atletiche, i numerosi assist e le molte reti (su punizione, da fuori area, di testa) gli valsero ben presto la chiamata di uno dei più importanti club brasiliani, il Corinthians di São Paulo, il secondo club più amato del paese (dopo il Flamengo), soprattutto dalle classi più popolari della capitale paulista.

Oltre a essere un giocatore di primissimo livello, ha combattuto molto per i diritti dei giocatori, come me. Per protestare indossava sempre la bandana vietata dalla FIFA” Diego Armando Maradona

Non si tratta solo del talento che aveva. Socratès è sempre stato un genio. Il genio vero, quello che ti tira fuori delle sentenze ad intuito. Socratès era una persona nobile, un gran calciatore, ed una persona geniale” Arthur Atnues Coimbra Zico

Tra il 1978 e il 1984 Sócrates segnò 172 reti in circa trecento incontri con il Timão (il Timone, presente nel simbolo del club) di cui divenne idolo supremo, insieme ad una generazione di calciatori che lasciò il segno, non solo a livello calcistico, Biro Biro, Wladimir, il più giovane Casão (Walter Casagrande, che giocò successivamente nell'Ascoli e nel Toro), Zenon, il suo socio goleador Palhinha. Con i bianconeri vinse tre campionati dello Stato di São Paulo (1979, 1982, 1983). Ma oltre alle evidenti doti tecniche Sócrates passò alla storia anche per un altro motivo. Erano quelli gli ultimi anni di dittatura in Brasile e in tutto il paese si respirava un'aria nuova. Nel 1981 il Corinthians arrivava da una stagione fallimentare e l'anno successivo arrivò un nuovo presidente, Waldemar Pires, che scelse il sociologo Adílson Monteiro Alves come direttore tecnico della sezione calcistica. Fu un cambiamento epocale: insieme ai giocatori più politicizzati del club Adílson diede vita alla celeberrima Democracia Corinthiana, un movimento che rivoluzionò il comportamento dei giocatori dell'epoca. Principali protagonisti furono Wladimir, Casagrande e Zenon, ovviamente con Sócrates in testa e suo simbolo incontrastato. Nel Corinthians venne introdotta l'autogestione: tutte le decisioni del club venivano prese per maggioranza dopo una votazione alla quale partecipavano tutti, dal presidente ai dirigenti, giocatori titolari e riserve fino ai magazzinieri, e ogni voto aveva lo stesso peso. Accompagnati dai motti «Libertà con responsabilità» e «Vincere o perdere, ma sempre con democrazia», si decidevano gli orari degli allenamenti, la campagna acquisti e cessioni e sembra addirittura le formazioni. Ovviamente vennero subito aboliti i ritiri. Pensare di ricreare un ambiente democratico a livello di autogestione totale all'interno di una squadra di calcio mentre nel paese c'è ancora una dittatura militare sembrava una completa pazzia, ma quei visionari ci riuscirono e l'aspetto più assurdo è che in quei due anni di esistenza funzionò perfettamente.


ALCOOL E SIGARETTE Sócrates era costantemente accompagnato da birra e sigarette, altro paradosso per un medico. Qualcuno forse ricorderà Una vita da Goal, una serie di bellissimi programmi di Gianni Minà andati in onda come presentazione dei Mondiali del 1986. Nella puntata dedicata a Zico e Sócrates, entrambi ritornati in patria al Flamengo dopo le alterne fortune italiane, O Doutor appariva come giurato al Carnevale di Rio e nel suo palco aveva a disposizione birra sempre gelata in quantità industriali. Durante una parte dell'intervista, appoggiato al palo di una delle porte della Gávea (il centro di allenamento del Flamengo), si intravedeva che appena fuori camera aveva sempre una sigaretta accesa. LA BIRRA MANCATA Durante il mio ultimo viaggio in America Latina, 3 anni fa, sono passato da amici a São Paulo. Ero miracolosamente riuscito ad avere il numero di cellulare di Sócrates e riuscii a parlare con lui al telefono: era gentile e parlava ancora italiano. Ci mettemmo d'accordo per un'intervista il giorno in cui sarebbe sceso da Riberão Preto verso la megalopoli paulista per la sua canonica partecipazione a un programma settimanale di TV Cultura. «Finisco alle 9 di sera», mi disse. «Chiamami alle 9 e un quarto e ti dico in che bar ci troviamo a bere qualche birretta». Purtroppo all'ora prevista il suo cellulare continuava a essere spento, come tutta la sera e anche il giorno successivo. All'indomani sono partito dal Brasile. Speravo di poterlo ricontattare in un mio prossimo viaggio brasiliano, ma purtroppo quell'incontro non si farà più.

22

Sono i goal segnati da Socratès nella nazionale Brasiliana, per la quale giocò dal 1979 al 1986, capitano della “Selecao” dal 1982 al 1986.

25

Le partite disputate da Socratès con la maglia della Fiorentina, nella stagione 1984-1985, nella quale segnò inoltre 6 goal, proponendosi come uno dei giocatori più forti di tutta la Serie A.

L'ULTIMO SALUTO Proprio il 4 dicembre 2011, mentre Sócrates si spegneva a causa di un'infezione intestinale, si disputava l'ultima partita del Brasileirão (il campionato nazionale brasiliano) e il Corinthians si giocava il titolo contro il Palmeiras, uno dei suoi più acerrimi rivali al Pacaembu. Ovviamente il pensiero è andato al grande Sócrates, che veniva sepolto nella sua Riberão Preto quasi contemporaneamente all'inizio delle partite. 1 -1 il finale, risultato che grazie anche al pareggio nell'altro derby (carioca stavolta) tra Flamengo e Vasco, dava al Timão il suo quinto titolo nazionale. Molti giocatori hanno poi esultato come faceva Sócrates dopo una rete: con il braccio destro in alto e il pugno chiuso. Obrigado, Doutor. di Alessandro Gori


via : @nostanding13


BOURNEMOUTH AFC: NON E’ UNO SCHERZO

IL SOGNO DIVENTA REALTA’. E’ PREMIER 28 Febbraio 2009: il Bournemouth è penultimo in League 2, con una situazione economica insostenibile che ha portato la società sull‟orlo del fallimento, salvato solamente dall‟ingresso in amministrazione controllata che ha comportato alla società 17 punti di penalizzazione. Campionato strano, quello del 2009: altre due squadre, Rotherham e Luton, soffrono di uguali problemi, che comportano anche ai primi 17 punti di penalità e ai secondi addirittura 30 punti. Proprio in quel momento della stagione, a febbraio, Luton e Rotherham sarebbero le squadre retrocesse, con Grimsby e Chester come altre due squadre in lotta per non scendere. Il Luton retrocederà in Conference, e dopo un paio di stagioni di assestamento finalmente tornerà nel 2014 in League 2. Assieme agli Hatters scenderà il Chester, che la stagione dopo non riuscirà a contenere i debiti sparendo dal calcio, dopo un disperato tentativo di salvezza appellandosi addirittura al vicino campionato Gallese, e ripartendo con una squadra fondata dai tifosi dalla profondità della Non League. E il Bournemouth? Alla fine si salvò, con un giovane di 31 anni, Eddie Howe, alla guida della squadra. Nonostante i 17 punti di penalità, il giovane Eddie, ottimo giocatore proprio dei Cherries che per un brutto infortunio ha dovuto appendere anzitempo le scarpette al chiodo, ha saputo trasmettere alla squadra fiducia, freschezza ed idee che hanno sopperito alle enormi difficoltà permettendo la permanenza in categoria con una vittoria, quella alla penultima per 2-1 contro il Grimsby, festeggiata come una promozione in Premier. de Il Calcio Inglese


01

Nel 2001, dopo il fallimento del club avvenuto nel 1997, il Goldsands Stadium è stato modernizzato e ristrutturato, con il nome di Dean Court. Lo stadio, con una capacità di 11.700 tifosi, è stato aperto per la prima volta al pubblico nel 1910

Già, perché mai Eddie Howe, la dirigenza anglo-russa (con Maxim Demin, milionario Russo, a portare miliardi di Rubli nelle bisognose casse della società nel 2011, soldi spesi comunque oculatamente senza strafare e investendo in infrastrutture piuttosto che strapagando giocatori di livello come altri magnati) e tutti i tifosi che popolano il piccolo Dean Court, chiamato Goldsands per ovvi motivi di sponsor, stadio da 12.000 spettatori costruito nel 1901 e pesantemente rinnovato negli anni ‟90 con i lavori conclusi nel 2012, si sarebbero aspettati di dover fare una festa ancora più grande, solamente 6 anni dopo, per la promozione in Premier League. Sembrano esserci tutti gli elementi per una splendida favola, con la felicità di Jeff Mostyn, l‟uomo che ha creduto nel Bournemouth quando tutti la davano per spacciato e pronto ad immergersi nelle sabbie mobili della Non League senza sapere se si sarebbe usciti da quel pantano, a fare da perfetto contorno a questa bellissima storia di calcio.

Jeff Mostyn, già, l‟uomo cui le immagini della sua tutt‟altro che sobria esultanza post promozione stanno facendo letteralmente il giro del mondo, è il vero artefice di questa promozione. E‟ stato lui infatti a prendere in mano il club, mettendosi poi nelle mani prima di soci minori come Eddie Mitchell, già proprietario del Dorchester nella Conference, quindi del già citato Maxim Demin che ha permesso al club di aprirsi a degli orizzonti insperati. La cavalcata attraverso la Football League, infatti, non è stata tutta rose e fiori, nonostante la precocità delle tre promozioni ottenute in solamente 5 stagioni. La prima stagione con Eddie Howe interamente in panchina culmina con il secondo posto ottenuto nel campionato di League 2 e la susseguente promozione in League 1. I metodi di allenamento e i risultati convincono il Burnley, appena retrocesso in Championship, a puntare su di lui, ma l‟esperienza con i Clarets per Eddie non sarà soddisfacente, con Howe che cosi decide di tornare a casa sua, al Dean Court, con un Bournemouth che prima ha perso la semifinale Playoff di League 1 contro l‟Huddersfield e quindi giocato la stagione successiva una pessima stagione in League 1. Il ritorno di Eddie Howe sarà una manna dal cielo per i Cherries, che cambiano passo e scalano tutta la classifica arrivando fino al secondo posto che vale la promozione in Championship. Dopo una stagione di consolidamento, arriva il capolavoro di questa stagione, con il Bournemouth perennemente nelle zone alte della classifica, col gioco più divertente ed offensivo del campionato ed alcuni risultati clamorosi, come la vittoria per 0-8 a St.Andrews contro il Birmingham a coronare una stagione impressionate, con 87 punti totalizzati finora e 95 goal segnati. E‟ solamente la seconda volta nella storia che una squadra del South West Inglese viene promosso in Premier League / First Division: negli anni ‟90 ce la fece lo Swindon, che però fece una breve comparsa prima di tornare in Division Two.


Eddie Howe ha saputo costruire una squadra in maniera sapiente, mixando giovani di grandissima prospettiva a gente di categoria e giocatori di grande esperienza. Callum Wilson, arrivato dal Coventry nel luglio di questa stagione per 3 milioni di sterline, nonostante i suoi 22 anni si è fatto notare per la sua grande presenza in area, arrivando a segnare 22 goal in stagione. Mark Pugh, autore di una tripletta nella già citata vittoria per 0-8 a Birmingham, è un eccellente jolly, capace di giocare sia come ala sia come centrale di centrocampo e trequartista: al Bouremouth dal 2010, è

ormai una bandiera al Goldsands e sicuramente anche in Premier League darà un contributo fondamentale. Brett Pitman, isolano di Jersey (l‟isola opposta a Guernsey, quella che ha dato i nativi a Matt Le Tissier), esclusa una parentesi di 3 stagioni al Bristol City ha speso l‟intera carriera ai Cherries, togliendosi parecchie soddisfazioni. E poi c‟è Matt Ritchie, il talento pescato dallo Swindon Town che con le sue giocate ha fatto impazzire i propri avversari e anche i propri tifosi. In porta invece ci si è affidati all‟esperienza di Artur Boruc, portiere Polacco di grande carisma che ha otte-

nuto grandi risultati con il Celtic e che ricordiamo in Italia con la maglia della Fiorentina. Senza poi dimenticare i vari Elphick, Cook, Surman e Kermorgan, tutti grandi artefici di una storica promozione, tutti giocatori magari non eccezionali ma che hanno saputo dare il massimo e giocare da vera squadra , sotto la giovane ma frizzante e a tratti sapiente mano di Eddie Howe, l‟uomo che a 36 anni si è permesso di giocare con la storia e di portare il suo Bournemouth la dove negli anni ‟80 anche un giovane Harry Redknapp non ci era riuscito, ossia nel paradiso della Premier League.


Il prossimo anno l‟ingresso nell‟inedito palcoscenico della Premier League non si sa cosa potrà portare al Bournemouth: più di qualcuno già si scomoda per definirla squadra materasso, la simpatica matricola che farà una comparsa e tornerà poi a giocare la dove è abituato a farlo, in Championship se non più giù. Invece, secondo noi, i Cherries, soprannome che prende origine dalle maglie rosso ciliegia delle squadre, anche se negli anni ‟70 sono state inserite delle strisce nere in onore del Milan, possono dire la loro tranquillamente: giocare senza pressione, in un ambiente tranquillo che si vuole godere la permanenza tra i grandi d‟Inghilterra, può senza dubbio essere un vantaggio. E‟ la vetrina perfetta

per Eddie Howe e per la sua banda di ragazzi terribili di esporsi, e magari cominciare sul serio una carriera su vette mai raggiunte prima, magari proprio restando in quella squadra che gli ha permesso tutto ciò. Molto dipenderà anche dai nuovi arrivi e da eventuali partenze, perché i nomi già citati sicuramente non sono passati inosservati ai grandi club che in Premier League ci giocano da sempre. E che dovranno accogliere nella loro categoria di competenza questo nuovo club, per molti di loro conosciuto solo in qualche avventurosa trasferta di FA Cup, ma ormai diventato solidissima realtà. Con la promozione di ieri sera si è chiuso un cerchio magnifico o solamente è stata aumentata la circon-

ferenza? Una risposta che sapremo dare solo tra qualche mese, quando finalmente il Bournemouth avrà esordito nella sua prima, storica, stagione in Premier League.

23

Sono i goal in totale di Callum Wilson nella st agione 2014/2015. L’attaccante ha segnato 20 goal solo nel campionato della 2nd division, 3 nelle coppe di Lega. E’ stato eletto miglior giocatore del mese



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.