Marco Saura
LA VIA DEL FULMINE Illustrazioni e tavole di Francesco Pipitone
SPAZIOINTERIORE
Marco Saura La via del fulmine editing Elisa Picozza © 2019 Marco Saura © 2019 Spazio Interiore Tutti i diritti riservati Edizioni Spazio Interiore Via Vincenzo Coronelli, 46 • 00176 Roma www.spaziointeriore.com redazione@spaziointeriore.com illustrazioni e tavole Francesco Pipitone progetto grafico Francesco Pandolfi I edizione: novembre 2019 ISBN 978-88-94906-34-9 Finito di stampare nel novembre 2019 presso Cartografica Toscana srl, Pescia (pt) Tutti i diritti riservati. La pubblicazione di tale opera narrativa in nessuna sua parte può essere considerata quale invito alla sperimentazione di tali tecniche e sostanze, né alla violazione di alcuna norma del vigente ordinamento giuridico, nazionale e internazionale.
La “via del fulmine”, una via spirituale per la quale l’adepto deve possedere un corpo fisico potente e incorruttibile, capace di gestire e sperimentare tremende forze e poteri. È la via del potere cosmico, che si manifesta negli umani come la forza chiamata in sanscrito kundalini, espressione della cosmica shakti. Gli egiziani chiamavano questo potere sekhem, manifestato e personificato da Sekhmet. Athon Veggi
Geroglifici egiziani di 4600 anni fa attestano che i Faraoni pensavano che i funghi fossero “erbe dell’immortalità”. Gli antichi egiziani credevano che i funghi selvatici fossero i “figli degli Dèi” mandati sulla Terra attraverso i fulmini e per questo solo ai Faraoni era permesso mangiarli. Stefania Cazzavillan
Va’ affinché tu torni! Dormi affinché tu vegli! Muori affinché tu viva! Testo delle Piramidi, v Dinastia
Finché non saprai come morire e poi rinascere, rimarrai un viaggiatore infelice in questa terra oscura. Johan Wolfgang von Goethe
Voglio cantare, a te voglio inneggiare: svegliati, mia luce di gloria, voglio svegliare l’Aurora. Salmi 56:9
INDICE
IL MATTO / 9 IL MAGO / 23 LA PAPESSA / 31 L’IMPERATRICE / 37 L’IMPERATORE / 9 IL PAPA / 55 GLI AMANTI / 67 IL CARRO / 73 LA GIUSTIZIA / 87 L’EREMITA / 93 LA RUOTA DELLA FORTUNA / 103
LA FORZA / 109 L’APPESO / 123 LA MORTE / 129 LA TEMPERANZA / 1 1 IL DIAVOLO / 1 9 LA TORRE / 157 LA STELLA / 169 LA LUNA / 177 IL SOLE / 185 IL GIUDIZIO / 191 L’UNIVERSO / 205 IL MATTO / 213
I principi della veritĂ sono sette. Colui che ne ha conoscenza possiede la chiave magica con la quale si aprono tutte le porte del tempio.
Il matto
Il cane continuava a seguirmi mentre mi apprestavo a salire sulla montagna in una fredda serata di fine autunno. Sentivo il suo respiro affannato, sul collo, come una vivida ombra pronta ad attaccarmi appena gli avessi dimostrato di averla scoperta. Mi sforzavo di mantenere lo sguardo distante, rivolto verso il cielo cosparso di nubi con il sole che spariva all’orizzonte. Una tempesta di fulmini, in lontananza. Era un buon giorno per morire. In che modo ero finito lì? E il cane, da dove era sbucato fuori? Si era come materializzato dal nulla nel paese semideserto dove avevo parcheggiato l’automobile, e aveva cominciato a venirmi dietro, forse attratto dal bastone che portavo su una spalla o dagli abiti laceri ma con i colori ancora sgargianti del completo da sci che non usavo più da chissà quanto tempo. O forse era interessato al fagotto sulla schiena, dove tenevo gli strumenti rituali di quel che ancora mi legava alla mia vita precedente. O forse, ancora più semplicemente, perché ero l’unico pazzo che si aggirava da quelle parti al tramonto. L’avevo lasciato fare, ostentando noncuranza. Il Gran Sasso viene chiamato il Piccolo Tibet. Ero sempre andato fiero di poter raccontare agli amici che vivevo vicino a una montagna sacra, quando d’estate mi venivano a trovare e li portavo a vedere la Rocca di Calascio, il castello più alto d’Europa, ormai quasi completamente crollato dopo l’ultimo terremoto. Non ci girano più neanche i film fantasy, ma con la bella stagione arrivano ancora molti turisti a visitarlo, e se sono fortunati possono anche farsi le foto con le aquile ammaestrate. Invece in quel momento c’era solo un gelido silenzio. Era come se avessi varcato la soglia di un limbo spettrale senza neanche la speranza di un brandello di certezza, tranne la necessità di andare oltre, partire senza destinazione, con la flebile consapevolezza di rischiare di girare a vuoto per sempre senza riuscire a trovare mai una direzione. Senza riuscire a ricordarsi neanche il proprio nome. 9
Le parole servono a dare il nome alle cose. I nomi hanno poteri. Ci influenzano nel bene e nel male. Aiutano a formarci come esseri umani. E a volte possono anche salvarci la vita. Provavo un’infantile vergogna nel non aver mai imparato i nomi dei rari alberi a cui passavo davanti mentre mi arrampicavo sul ciglio del precipizio di quel paesaggio lunare. Mi faceva sentire ancora più piccolo e indifeso. Abbandonato dalla stessa Madre Terra, cui stavo andando incontro come un figlio ribelle che cerca di tornare a casa. Sentivo nelle gambe la fatica di un uomo che aveva attraversato il mondo e conosceva ogni seme e ogni via, pur non avendone mai imparato i nomi. E al contempo sembravo un bambino spaurito che si apprestava a compiere azioni incomprensibili per qualsiasi adulto dotato di raziocinio. Riconobbi almeno una rosa, solitaria, sopravvissuta nell’erba della radura pettinata dal vento nonostante il freddo invernale fosse ormai alle porte, che mi fece ritrovare quella sensazione antica di vivere come in un sogno a occhi aperti, come fossi un principe delle fiabe in procinto di compiere un evento determinante, quanto inatteso, per tutti i dieci reami. O addirittura inutile. Con la grazia dei profeti visionari e il ghigno delirante dei pagliacci, con la depressione nel petto e la gioia nella gola, lo smarrimento nello stomaco e l’eccitazione lungo la schiena, la pienezza nel cuore e il vuoto nella mente. Soprattutto con l’irrefrenabile desiderio di fuggire dal passato, per immaturità o per mero esibizionismo, e con altrettanta fame di futuro, fiducioso per qualsiasi cosa verrà, dovunque sarebbe avvenuta. Fino all’assoluta e insensata convinzione, sussurratami da una voce dal profondo del subconscio, che l’unica cosa che non poteva mai avvenire nell’universo era che qualcosa morisse davvero. Il cartello indicava l’undicesimo sentiero quando il cane si mise ad abbaiare. Dovetti stringere gli occhi per capire cosa fosse quell’apparizione. Sembrava un piccolo cespuglio. Che mi stava venendo incontro. Poi divenne un fanciullo che portava sulle spalle, protette da una pelle di pecora, una quantità spropositata di legna appena tagliata con ancora le foglie attaccate ai rami dell’albero sacrificato. Quindi man mano che si avvicinava trasmutò in un vecchietto, molto basso, ai limiti del nanismo, con la carnagione scura e una folta barba bianca. L’uomo accennò un saluto con la testa e il cane si mise subito a scodinzolare. Sorpreso dall’incontro inaspettato riuscii a malapena a balbettare un buonasera e a domandargli se l’animale fosse suo. Il nano proseguì nella direzione opposta alla mia senza più degnarmi di uno sguardo. Mi sembrò solo di intuire una parola che forse aveva farfugliato: «Nessuno». Mi venne da chiedermi se Nessuno potesse essere il nome del cane, prima 10
di sciogliere la tensione con un risata pensando che probabilmente il pastore mi avesse voluto dire che non era di nessuno. Ora ero veramente solo. Con Nessuno. Che continuava imperterrito a seguirmi. In sottofondo, il mantra ossessivo del gracidio delle rane rosse di montagna, proveniente da un laghetto ghiacciato poco distante. Finché scorsi una piccola ascia, incastonata su un tronco divelto, in una piazzola naturale circondata da grandi massi vulcanici accanto a delle grotte rimaste intatte da millenni. Chissà se l’aveva dimenticata il nano o qualcun altro tra i pochi avventori che venivano da quelle parti per raccogliere la legna destinata ai camini del focolare domestico. Compresi immediatamente che ero giunto a destinazione. Il mio viaggio poteva iniziare. Degli anziani sciamani mi avevano insegnato che bisogna sempre partire dalla preparazione della pira. Tagliai con l’ascia dei rametti. Non avevo bisogno di un fuoco alto né duraturo. Serviva solo per la salita, come un trampolino per altre dimensioni. Poi non sarei più stato in grado di alimentarlo. Non sarei più stato in grado di fare nulla. L’accesi con del copal, soffiando sopra la fiamma con un ventaglio. Quindi passai alle protezioni, offrendo del tabacco a degli alberi posizionati fuori dal cerchio nelle quattro direzioni. Ringraziai gli spiriti della montagna per avermi accolto confidando che in qualche modo mi avrebbero aiutato, a prescindere da cosa sarebbe successo. Ero pronto per intonare le invocazioni. Feci un bel respiro per farmi coraggio e piantai con fermezza verso l’Ovest il bastone che avevo intagliato con le mie mani, come fosse un ponte tra la terra e il cielo, l’asse cosmico, il simbolo dell’albero spirituale della vita. Su un’estremità era fissata una bandiera. Per alcune tradizioni orientali bisogna scriverci sopra il proprio nome segreto o delle parole di potere affinché il vento emetta il suono del nome nell’etere fino al sole morente, quasi come fosse un canto udibile soltanto dagli Dèi. Avevo scritto semplicemente: io. Il vento era il soffio di Ra, il logos creatore. Il principio dei princìpi. L’unità che sottende ogni cosa. Il caleidoscopio di tutti i mondi. Di tutti gli universi. Dove niente è impossibile. «Questa è la forza di tutta la forza, poiché conquisterà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida» declamai ad alta voce con la fermezza che mi era ancora concessa per implorare la benedizione del Dio egizio. A Nord sotterrai un nocciolo di ulivo raccolto dal mio giardino per il serpente Kem Atef, chiamando lo spirito che impregnava la madre nelle tenebre per ridare la vita a se stesso. L’ouroboros con la testa che si morde la coda per l’eternità a rappresentare l’infinito ciclo di nascite e morti. 11
Immaginai che l’uovo cosmico emerso dall’oceano di Coscienza si era spezzato in due. Dall’uovo nacque una rana, quindi una salamandra, un serpente, fino a una specie di folletto.
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Immaginai la rana diventare uno degli otto Dèi primordiali con la testa da anfibio, che copriva tutto l’universo.
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MARCO SAURA Esploratore indomito di dimensioni interiori e realtà parallele da quando ha memoria di sé. Lungo il suo cammino ha attraversato i percorsi più disparati, dalla magia cerimoniale all’alchimia operativa, dallo sciamanesimo dei popoli mesoamericani alla psichedelia cosmica, dalle costellazioni familiari alla Quarta Via. Dopo aver studiato Lettere e Filosofia presso l’Università Tor Vergata di Roma si dedica all’attività di narratore e sceneggiatore cinematografico. È tra i fondatori della casa editrice La Scimmia con la quale cura la rivista di narrativa e fumetti R! e le antologie Il Re operaio (2003) e Visionaria (2004). Scrive diversi cortometraggi e documentari e firma i soggetti e le sceneggiature dei lungometraggi Italian Sud-Est (2003, regia di Davide Barletti e Lorenzo Conte), Il pugile e la ballerina (2006, regia di Francesco Suriano) e Fine pena mai (2007, regia di Davide Barletti e Lorenzo Conte). Di prossima uscita il lungometraggio in lingua inglese con co-produzione internazionale The Book of Vision (regia di Carlo S. Hintermann, produzione esecutiva di Terrence Malick).
LA VIA DEL FULMINE Un uomo che non ricorda più il suo nome, sale su una montagna, sotto un cielo che promette tempesta. Accende un fuoco e comincia a mangiare dei funghi psicoattivi, uno dopo l’altro, per ore, fino a morirne, all’apparenza. Da lì inizierà un viaggio a ritroso alle origini della sua vita... e dell’Universo. Dagli anni delle feste psichedeliche nel deserto del Marocco alle cerimonie sciamaniche nel cuore della foresta Amazzonica, dalla convivenza con un rospo messicano all’incontro con una strega che vive in una grotta contornata da corvi, dai gruppi di costellazioni familiari a quelli di Sognatori astrali che vogliono uscire dalla Matrix come in un film di fantascienza. Un viaggio alla ricerca del proprio nome segreto, della sua essenza più profonda, oltre il velo delle personalità che il nostro protagonista ha interpretato lungo il corso della sua esistenza, raccontato seguendo la progressione simbolica degli arcani maggiori dei tarocchi attraverso le varie densità dell’Albero della vita cabalistico. Un oggetto narrativo non identificato tra il memoriale e la graphic novel. Una storia di cura. Un’autobiografia alchemica. Un canto per l’anima.