Colori, linee, sentimenti ELISABETTA KAEHLBRANDT ZANELLI
Colori, linee, sentimenti ELISABETTA KAEHLBRANDT ZANELLI (Riga, 1880 - Bergamo, 1970)
OPPOSITE ANTICO MODERNO
Via Trieste 43/G 25121 Brescia
tel: 030 2400584 info@opposite.it www.opposite.it
A cura di Eugenio Baresi Testi di: Tonino Zana Federico Bernardelli Curuz Alessandra Troncana Enrico Giustacchini
Artwork: Ghido Fotografie: Rolando Giambelli Fotolito: Stampa: Arti Grafiche Trassini, Vimercate © 2008 OPPOSITE Tuti i diritti di riproduzione anche parziale sono riservati per tutti i paesi.
INTRODUZIONE
Colori forti, linee decise, sentimenti manifesti. Una donna che non ha avuto bisogno di altro che del suo essere per affermare capacità e valori. L'espressione del suo sentire, il suo percorso nella vita, personale ed artistica, meritano una grande attenzione ed una grande ammirazione. È forse difficile nel nostro mondo, mai definito, reclinato nel dubbio, alla costante ricerca da un lato di comprensione e dall'altro di continue limitazioni e regole, comprendere la semplicità dell'arte che Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli ci trasmette. La "semplice" capacità di essere, di esprimersi, di comunicare. Ed il suo è un messaggio di compromissioni, di storie, di esperienze che trovano nella sua pittura luminosa una splendida espressione. È un vero piacere presentare le opere di una pittrice che ha saputo trasmettere con così grande efficacia gli stimoli che ha raccolto nelle sue esperienze per l'Europa; che ha saputo cogliere le gioie di una nascita benestante, i dolori della perdita di una identità famigliare e nazionale; che ha saputo ancora cogliere l'amore e accettare la sua perdita conservando sempre dignità e fermezza. La proposta di questa mostra non può essere esaustiva del lavoro di Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli, ma certamente percorre per intero il suo cammino umano e artistico. Le sue esperienze maturate nella fredda e rigorosa cultura nord europea hanno trovato curiosità e stimoli nella brillante Parigi, hanno trovato colori e luce nella austera gaiezza di Anticoli Corrado, hanno recuperato serietà e riflessione nell'ultimo ritiro lombardo. Un cammino che ancor oggi può significativamente offrire indicazioni certe e positive e che fortemente trova sempre un attento legame al profondo dei sentimenti. C'è ancora una traccia importante e fondamentale. L'affermazione del ruolo femminile, la presenza della donna nella società, sembra oggi si possano solo ottenere attraverso garanzie e recinti garantiti. In un'epoca difficile Elisabetta ha manifestato attraverso le sue tele una condizione della donna forte per sé, capace in sé, sicura con sé. E' bello ritrovare tanta convinta certezza, una tranquilla ricerca nella inquietudine di un cammino non facile. Il suo è un percorso artistico e umano importante, emozionante, stimolante per comprendere la vita attraverso i colori e le linee. Eugenio Baresi
VIAGGIO DI UNA DONNA NELL'EUROPA A CAVALLO DI DUE SECOLI. Tonino Zana
Lei era più alta di lui, nordica e slanciata. Lei, Elisabetta Kaehlbrandt, (1880-1970), nella fotografia di famiglia, (lei, lui e i due figli, Alessandro e Magda), dispone di una protezione e di un fascino diagonali: controlla di essere adottata e di subire, fino ad un certo punto, l'autorevolezza del marito, Angelo Zanelli, scultore bresciano di fama nazionale e internazionale, cercando subito, anche fotograficamente, di disporre di una libertà, di una femminilità - e allora di un femminismo lessicalmente inconsapevole, socialmente fastidioso - ricavato da una natura liberissima e da uno status sociale altamente borghese, e culturalmente aristocratico. Lei è molto bella e molto fine, di una sensualità decadentista, completamente avanzata rispetto al giorno della sua nascita. Oppostamente da chi nasce nel secolo precedente, Elisabetta Kaehlbrandt viene al mondo ed è già la figlia di quanto accadrà tre decenni dopo, non perdendo nulla dell'eredità del suo tempo. In più, con la complicazione, che in verità si trasforma in moltiplicati vantaggi, di assimilare i tanti contesti umani e naturalistici incrociati in tutte le parti d'Europa dove accede e dove viene regolarmente apprezzata. Di Elisabetta Kaehlbrandt stupisce l'universale appeal, il regolare apprezzamento ricevuto alle corti d'Europa, nei salotti di una nobiltà aperta come quella baltica e tumultuosamente rigorosa come quella tedesca, nella costante cospirazione culturale dell'eversione francese, dall'impressionismo ai troppi post impressionismi, nella perenne anarchia dell'umanità italiana di Venezia e Roma, nelle temperate stagioni delle ferie del meridione mediterraneo, dei litorali e dell'interno. Hanno ragione le donne che hanno parlato di Elisabetta Kaehlbrandt come di un'artista a cui la fortuna del viaggio ha sorriso. Ha ragione Rossana Bossaglia quando sottolinea, nella rete delle capitali vissute e delle culture conosciute, il letto su cui può riposare per lungo tempo, anche per il tempo dannoso della smemoratezza, la sorte luminosa della genialità multiforme della pittrice di Riga. Riga, capitale della Lettonia, nel 1880, quando nasce Elisabetta, è di nuovo stretta a tenaglia tra le spinte gelosamente indipendentiste del fordismo baltico e la burocrazia zarista di una sempre meno potente grande Russia, più ornata di burocrazie orientaleggianti che di controllo politico effettivo. Le spinte slaviste si inseriscono proprio in questi non piccoli interspazi di poteri logorati. Elisabetta Kaehlbrandt, di famiglia benestante, seconda di tre figli del noto avvocato Alessandro e di Emma Schmidt, mescola nei cognomi dei genitori, il binomio russo-tedesco, baltico-zarista della sua origine, del suo inizio. Elisabetta potrà viaggiare. Subito a disposizione, Berlino e San Pietroburgo, le Russie e le Germanie. Il resto d'Europa, diventa una indispensabile altra puntata e l'obbligo a definire il tour italiano e il tour francese, l'esame umano del viaggio in Italia e del viaggio in Francia.
L'itinerario fondante di ogni intellettuale. Però, un viaggio da donna e dunque un viaggio complesso, disturbato da libertà diversamente interpretate per sesso. E gli attrezzi? E la vocazione? Forza, cerchiamo l'origine, il quando? Gli attrezzi sbucano in una scuola, in un'altra, sotto il cielo del nord, sotto altri cieli. Gli attrezzi si elaborano deduttivamente dalla principale educazione dell'anima del tempo per una donna di ottima famiglia sociale. Gli attrezzi sono le opere dei palazzi, il gusto delle monarchie, delle aristocrazie e delle borghesie circostanti. Gli attrezzi sono la dichiarazione del potere allorché esso è comprensivo di una compulsabile forza culturale, fatta da un dipinto, da una galleria, da un muro palatino o castellano. Gli attrezzi sono, per Elisabetta Kaehlbrandt, né più né meno che la necessità di essere se stessa come donna curiosa e spinta all'incontro e come donna di toccare e confrontarsi con quanto, fisicamente, la circonda. In tal senso, la vocazione dell'artista e mai stata così vicino al senso quotidiano della sua esistenza. Non sempre, ma talvolta e spesso, si è quello e dove si nasce. Gli attrezzi si formano in una combinazione fisica e spirituale. Ma attenzione, in una crescita della femminilità culturale - siamo alla fine dell'Ottocento - ancora completamente vacua e filiforme. Elisabetta Kaehlbrandt cammina sulla frontiera della prima liberazione culturale femminile. Di una cultura che spinge a diarizzare nel disegno e nel colore i giorni e le stagioni della vita. Elisabetta Kaehlbrandt è una specie di pittrice e se avesse atteso di più alla scrittura, avrebbe eletto per sé, probabilmente, la misura del diario. Non vi è una stagione che non sia stata ritratta e ricordata da Elisabetta Kaehlbrandt e con una precisione naturalistica e sentimentale di notevole precisione. Il dipinto sente il profumo della terra in cui è stato composto. Il dipinto è del nord, del sud, di Roma e del lago di Garda. La pittrice di Riga sceglie di essere figlia dell'ora e del viaggio. Quando nel febbraio del 1908, accompagnata dalla sorella Eddy arriva in Italia e a Roma conosce lo scultore bresciano Angelo Zanelli, (1879-1942), è già una pittrice ammirabile, anche se la convergenza sentimentale, non le viene certamente a nuocere. Per la naturale convergenza dell'anima verso il bello e l'orizzonte raggiante delle giovinezze, non certo per convenienze determinate da fragili basamenti estetici. Piuttosto, Elisabetta e Angelo potranno dirsi legati da condivise analisi artistiche, da opere affrontate in un clima di reciproca fattività. In sede internazionale è sempre particolarmente suggestivo evocare la collaborazione con il marito Angelo Zanelli nella preparazione dei disegni delle sette metope per il Campidoglio dell'Avana a Cuba. Elisabetta si firmerà in diversi modi, con il proprio cognome, con quello del marito, con entrambi, rammentando, anche nella parte riguardante la responsabilità grafica del proprio dipinto, l'insieme di una storia, la condivisione di un'avventura culturale vissuta alla pari. Verso quella parità sociale e creativa di cui testimonia, ampiamente, il viaggio permanente di Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli, sepolta primitivamente, il 13 dicembre 1970, a Salò. Nel 1982 la salma viene traslata a Roma nel Famedio del Verano accanto alla tomba di Angelo Zanelli, vivendo e firmando oltre la vita, quanto sentì e fu durante la vita.
Il COLORE DI MOLTE SCUOLE NELL'ANIMA DI UNA DONNA CORAGGIOSA Federico Bernardelli Curuz
Elisabetta Kaehlbrandt, insomma, interpreta le liricità di diversi romanticismi, il realismo di tante fatiche, il simbolismo di numerose circostanze, la china decadentista di diverse temperie storiche. Eppure è sempre lei, Elisabetta Kaehlbrandt. Dove è di più e dove è di meno, quando è più se stessa e quando viene assoggettata, diciamo così, a uno stile, a una scuola singolare? Dai giardini ai paesaggi dei primi del Novecento, baltici e francesi, russi e tedeschi, ai saggi terragni-campagnoli fino al termine del Trenta di carattere mitologico e biblico, la pittrice di Riga esprime, basilarmente, una carica di passioni amiche, una posizione di aiuto e di comprensione della sua pittura verso il destino dell'uomo. Elisabetta Kaehlbrandt arriva, respira il luogo, interno ed esterno e si allea con l'esistente, non si distacca, dona il colore e registra un documento personale di partecipazione, di complicità discreta. All'infanzia e alla famiglia dona angoli di colazioni e di passi nei fiori, alla maturità operosa offre un'osservazione compartecipata del sacrificio e carica i volumi di marrone e di scuro, borda di nero le condizioni di problematicità sociale, appena che un bue piega le gambe sotto il torchio e la salita della campagna si fa nemica e inadatta al racconto umano. I colori netti li riserva ai ritratti perché ciò che è non sia ciò che non è. Si potrebbe affermare che l'opera di Elisabetta Kaehlbrandt appartenga al compito di un ambasciatore, il quale, inviato un giorno dal suo imperatore per riferire sugli usi e sui costumi dell'impero si preoccupa di non dimenticare e quindi di riportare con la migliore esattezza e la migliore distanza fisica e morale quanto è riuscito a registrare e a non dimenticare. Elisabetta accetta il ruolo di ambasciatrice ideale di Riga a patto di poter conservare, come completamente propria, una dimensione uguale di ciò che ha vissuto e realizzato. L'artista del Baltico si riserva di stipulare, alla fine, il contratto più azzardato sotto il profilo razionale. Lei esige un doppio originale, uno per l'imperatore e uno per sé, sapendo che l'artista e il potere non potranno esibire nello stesso giorno lo stesso originale. Così potrà succedere di vedere in tempi diversi, due Elisabetta Kaehlbrandt, ma nel momento in cui chi dichiara di aver osservato due cose, non potrà esibirle nello stesso istante e nello stesso posto. In tale maniera, l'ambasciatrice del Baltico, andata in sposa a un genio della scultura della terra bresciana del Garda, si abituerà a "una produttiva doppiezza" nella funzione di andare in giro a scrivere di pittura, a riferire all'imperatore ideale delle cose del mondo e si godrà le sue stesse proprie cose. Così sposerà una medesima arte, quella sua con quella di Angelo Zanelli e comporrà, ogni tanto, un'arte a quattro mani. E la doppiezza, si diceva già in altra parte del catalogo, si manifesterà nella doppia firma e nella doppia sigla. L'allegoria montata con non poca forzatura, si riferisce al destino impegnativo della donna libera del nord in un'Europa né libera né aperta, se non nelle dichiarazioni delle letterature e delle arti. Un conto è scrivere e descrivere l'uguaglianza delle donne e degli uomini, un altro conto è viverle e
e riconoscerle attivamente. Infine elogiando un dipinto di Elisabetta Kaehlbrandt al pari o più di un dipinto di un contemporaneo maschietto appartenente alla giusta categoria degli artisti, se evidentemente lo merita. Di quanta femminilità si firma Elisabetta? Cioè, quanto è donna la sua opera e quanto è maschile e femminile? Di più, esiste un quadro donna e un quadro maschio in Elisabetta Kaehlbrandt?
I MOLTI LUOGHI DELLA VITA E DELL'ARTE NELLA ESISTENZA DI ELISABETTA KAEHLBRANDT Alessandra Troncana
I luoghi sono gli stili? Se un artista cambia molti luoghi, di quanti stili si arricchisce, di quanti si impoverisce? Viene in mente questa itineranza non convulsa e pure elettrizzante, leggendo i movimenti esistenziali di Elisabetta Kaehlbrandt. Si rileggono, non d’un fiato, i 90 anni di una pittrice nata in un estremo d’Europa e vissuta in molti altri estremi. Tracciare la mappa esistenziale di Elisabetta Kaehlbrandt aiuta a catturare le contaminazioni e la tenuta di un’originalità finale. Le contaminazioni intese come buoni contatti e comunque come incontri da cui conoscere le variazioni, le modifiche, le conferme di una personalità, di un modo di stare nell’arte e sulla terra d’origine e di viaggio. Elisabetta Kaehlbrandt possiede all’origine uno spirito in movimento. E’ genetica, tanto più computabile nei tempi in cui le mutazioni accadevano lentamente e il codice del carattere s’imponeva sulle spallate della vita al carattere. Si diceva di una nascita in una terra lontana, a nord, mista di Russie e di Germanie, politicamente appartenente allo zarismo e culturalmente vicina al germanesimo. La sua lingua è ufficialmente quella russa e una lingua resta sempre il timbro maggiore da cui non puoi sottrarti a comando. Una lingua è un suono e un condizionamento impressionistico. Le desinenze sono colori, allo stesso modo del tema di una parola, l’inizio e la fine di un verbo si riferiscono a una forma, a un clima, a una tendenza cromatica, ad una ricerca armonica di cromie. Questa severità della lingua russa si maggiora con la partecipazione ad una severa scuola di disegno. L’Accademia non compare e scompare nell’adolescenza di Elisabetta Kaehlbrandt, l’Accademia, piuttosto si impone come punto da cui si deve passare, come un luogo da superare, come una promozione da raggiungere. Tant’è che l’Accademia si rinforza di un’altra Accademia, questa volta molto più incidente sul piano storico e dei rimbalzi istituzionali, cioè, Elisabetta Kaehlbrandt si iscrive all’Accademia di San Pietroburgo in un tempo sacro per una persona che intende aspirare ad essere artista in sede nazionale ed europea. San Pietroburgo è un passaggio obbligato, una necessità oltre che una curiosità per Elisabetta Kaehlbrandt. Il principe dell’Accademia di San Pietroburgo è il grande Konstantin Makovskij, grande per le generazioni della tradizione meno grande per i cambiamenti che si muovono nel cielo del nord Europa. Lei stessa si accorge di una certa rigidità della docenza sanpietoburghese e tende a modificarla, ad arricchirsi di nuove tendenze estetiche. Dunque si sposta in Germania, nella frizzante Monaco di Baviera, altro luogo necessario per vivere l’intero tour artistico europeo. Qui, l’ungherese Simon Hollosy riesce a incidere profondamente sulla maniera di Elisabetta Kaehlbrandt per raggiungere un’avanzata
posizione personale nell’interpretazione pittorica della realtà e della naura. Realtà e natura, semplicemente vissuti saranno i punti fondanti della sua estetica e della sua storia artistica. Dopo Riga, dopo Monaco, dopo l’Europa austriaca e olandese, Elisabetta Kaehlbrandt espone per la prima volta in una mostra collettiva nella sua Riga. Siamo agli inizi del secolo, l’artista lettone ha soltanto 24 anni e viene già notata dai circoli più attenti e curiosi di quella terra. Quindi si sposta a Parigi, diventa amica di altre artiste come lei in cerca di affermazione stilistica. Ora, quando muore il padre Alessandro, Elisabetta Kaehlbrandt ha composto un mosaico di registri e di lunguaggi culturali. Sa di pittura e si fa notare, ma la sintesi non è facilmente realizzabile. L’impressionismo, nella sua coda finale composta da tante speci postimpressionistiche è riuscito ad amarla e a farsi amare, ma non l’ha soggiogata, non l’ha elogiata come è accaduto per molti adepti. E’ stato difficile sottarsi al trionfo di Monet e di Degas, al grido superlativo di Gauguin. Elisabetta Kaehlbrandt è riuscita a rispettare la bellezza del suo proprio essere, ad amarsi per certi versi e quindi ce l’ha fatta a non essere vinta e stravinta dalle novità rivoluzionarie dell’impostazione impressionistica, continuando in una ricerca e in un modo di dipingere tutto personale in cui riesce ad ottenere un buon equilibrio tra la descrizione del realismo della fatica umana e la persistenza di un clima di speranza derivante da un romanticismo di carattere e di deduzione quasi religiosa. Fors’anche la rigorosità delle famiglie austriache, (è docente nel castello di Ernstbrunn, presso Vienna per insegnare alle figlie dei principi Reuss e dove esegue per conto della regina Eleonora di Bulgaria, moglie del re Ferdinando, diverse copie di ritratti della famiglia), ma di più un certo orgoglio nel non acquietarsi su forme sposate dai troppi figli e figliastri dei francesisimi tardoottocenteschi e primonovecenteschi, da quelli di sottomarca russa e germanica. Ecco, forse proprio quell’essere stata circondata, sin dalla nascita, da una doppia cospirazione etnica, dall’essere tirata di qua e di là dalla Russia e dalla Germania e contesa al centro da uno spirito non flebilmente lettone, in parte separata russa e in parte separata germanica, pienamente lettone, nel sequestro di questo meticciato gelosamente unico e nordico, Elisabetta Kaehlbrandt coltiva un mosaico di ispirazioni, una molteplicità di forze culturali. Elisabetta rischia di divenire tante pittrici secondo i luoghi che le tocca (e sceglie) di passare.
IL DESTINO DEL TOUR IN ITALIA Enrico Giustacchini
Elisabetta Kaehlbrandt, nel 1908 realizza il sogno di venire in Italia. Si riconosce subito nella natura storica di Venezia, in quell’aria mossa e mai grave di Venezia prima e quindi nella larghezza di eredità per ogni visitatore di cose classiche provenienti da ogni angolo della capitale. Venezia si ama nella leggerezza, in un contraccambio di affetti, Roma basta toccarla con gli occhi anche da lontano. Roma è Roma e ci sta conoscere il grande amore della sua vita, l’amore e la muliebrità affettiva e culturale con Angelo Zanelli. Quindi ricomincia un tour europeo in cui la nostra artista conferma della necessità di usare il viaggio e l’incontro come un alimento culturale ed estetico. A settembre del 1909 si sposa a Roma con Angelo Zanelli. Tutto si acquieta, l’ispirazione si eleva, il fronte dei sentimenti è colmo, Elisabetta Kaehlbtandt può dedicarsi alla pittura e all’amore. Prima che incominci la prima Guerra mondiale, già nel 1913, Elisabetta Kaehlbrandt Zanelli si reca in vacanza nelle terre in cui cresce la sua opera, si sostanzia l’impegno migliore della pittura. Vacanze ad Anticoli Corrado, Ciociaria, una sorta di luogo eletto dagli artisti per la genuinità della sua terra, per l’inalterato permanere dei costumi. La pittrice di Riga trova un’altra nuova piccola patria e soprattutto riesce a unire la ispirazione spirituale della sua lirica umana e artistica con la esigenza di pace morale della civiltà contadina di Anticoli Corrado. Qui, tutto è terra e spirito, fatica misurata e lentezza così che si riesce a vedere l’idealità nella realtà, si spendono giorni con quella lenteur che rimpiangeremo, terribilmente, molto meno di un secolo dopo. Elisabetta Kaehlbrandt dipinge dalla realtà. I monti, i contadini, le stagioni, gli animali, le processioni, le chiese, le fatiche di ogni minuto sono registrate con generosità, colori vivi, corrispondenti al vero e ancora di più marcati. L’artista lettone incomincia a definire pienamente il suo stile, a garantire un realismo venato di romanticismo, a descrivere la forma e la sostanza di un’epoca.. Nel 1920-21, si apre il secondo periodo di Anticoli Corrado, Elisabetta ha ormai una verve elevata, produce velocemente, si sente completamente a suo agio, la campagna, il paese e la montagna escono immediatamente dai suoi quadri.. Felice Carena, artista della transizione tra l’ultimo realismo e il primo andare fuori dal vero, immaginandolo e costruendolo con geometrie dilatate, diventa uno degli amici più frequentati. L’anno dopo, verso il 1923, nasce il ciclo dell’Abruzzo, le montagna divengono possenti, la pietra assume gli spigoli umani e le persone acquistano la durezza della pietra. Tutto si impasta in Abruzzo, tutto si antropoformizza. Elisabetta si sposta dal sud al nord. La nostra pittrice scopre il lago di Garda in modo più felice, lo traduce nella sua mediterraneità, capisce che ogni terra italiana è cucita sotto terra e niente è mai clamorosamente diviso dall’altra parte. Tra il nord e il sud c’è la magia
dell’isola d’Elba, La Kaehlbrandt è affascinata dall’isola, analizza i fondali, le rive, gli scogli e riesci quasi a scolpire le forme delle sue visioni.. Il passaggio all’uso della mitologia,. Dopo gli approfondimenti su tanti creati italiani ed europei, viene avanti in modo esplicito. Verso il Trenta e fino al Quaranta, Elisabetta Kaehlbrandt sviluppa il tema mitologico e rielabora i temi e le questioni già affrontate da Anticoli, all’Elba, al Garda. La guerra costringe tutti a sfollare, a cambiare posizione, ad arretrare. Intanto muore il suo caro Angelo Zanelli e la morte del grande scultore bresciano piega le sue fibre . I temi spirituali, la lirica evangelica diviene più frequente. L’assenza di Angelo viene riempita dalla presenza di Dio. Elisabetta Kaehlbrandt riprende i motivi dell’intera esperienza pittorica, i luoghi e gli stili. E’ un ripasso della vita artistica. La fine viene avanti e lei sembra raccogliere il senso delle sue tele e dei suoi affetti. Vive a Bergamo, nel 1970, ha quasi 90 anni, le forze la abbandonano. E’ la fine. Nella notte di Santa Lucia del 1970 si spegne in compagnia dei suoi moltissimi ricordi.
DIpINTI
Anticoli Corrado, 1920 Olio su cartone cm 34,5x48
1
2
Paesaggio, 1925 Olio su tela cm 45x60
Magda al pianoforte, 1918 Olio su tela cm 62x75
3
4
Ritorno dai campi, 1920 Olio su tela cm 47,5x63,5
Ritorno dai campi, 1920 Olio su tela cm 60x50
5
6
Cena a Villa Crespi, 1918-1920 Olio su tela cm 62x75
Isola d’Elba, 1927-1928 Olio su tela cm 39,5x53
7
8
Deposizione, 1936 Olio su tela cm 60x80
Processione, 1913-1914 Olio su telao cm 61x77
9
10
Monti Sabini, 1920 Olio su tela cm 70x100
Spigolatrici, 1920 Olio su tela cm 60x75
11
12
Uomo con sacco, 1925 Olio su cartone cm 70x57
Anticolana, 1921 Olio su cartone cm 48,5x30,5
13
14
Strage degli innocenti, 1936 Olio su tela cm 43,5x62
Uomo con sacco, 1925 Olio su tela cm 77x61
15
16
Nudo maschile, 1915 Olio su tela cm 81x61
Nudo, 1967 Olio su tela cm 50x70
17
18
Cammellieri, 1942 Pastello su carta cm 41x61.5
Cammelli, 1942 Pastello su cartone cm 37x60
19
20
Carico del carbone, 1938 Pastello su cartone cm 57x70
Cammelli, 1942 Pastello su cartone cm 50x71
21
22
Cavallo, 1928 Tempera su cartone, cm 52x72,5
Cavallo, 1928 Tempera su carta cm 64,5x111,5
23
24
Vendemmia, 1920 Tempera su cartone cm 40x70
DIsEgNI
I disegni pubblicati, salvo diversa indicazione, sono riferibili al periodo dal 1914 al 1920.
Nudo, cm 27x21,5
25
26
Nudo, cm 67x37
Nudo, cm 37x25
27
28
Nudo, cm 66x48,5
Nudo, cm 37x50
29
30
Uomo alla colonna, cm 50x29
Uomo alla colonna, cm 49x34,5
31
32
Uomo sdraiato, cm 25,5x49
Deposizione, cm 50x59
33
34
Scaricatore, cm 54x37,5
Scaricatore, 1938, cm 37x26
35
36
Studio, cm 24,5x37
Studio, cm 49,5x37
37
38
Studio, cm 37x24
Studio, cm 27,5x22
39
39
Studio deposizione, cm 43x63
Studio, cm 25x19
40
41
Scaricatori di porto, 1938, cm 27,5x22
Studio, cm 27,5x22
42
43
Studio, cm 51x37
Busto, cm 37x26
44
45
Studio anatomico, cm 38x25
Studio anatomico, cm 50x26
46
47
Studio anatomico, cm 50x14
Studio anatomico, cm 50x24
48
49
Studio antomico, cm 62x30
Studio anatomico, cm 50x37,5
50
51
Studio anatomico, cm 36,5x25
Studio anatomico, cm 35x25
52
53
Studio anatomico, cm 35x25
Studio anatomico, cm 25,5x355
54
ElENcO DIpINTI
1.
Anticoli Corrado, 1920 Olio su cartone cm 34,5x48 Firmato in basso a sinistra Kaehlbrand
17.
Nudo, 1967 Olio su su tela cm 50x70 Concorso di pittura estemporanea Gardone - Salò
2.
Paesaggio, 1925 Olio su tela cm 45,5x60
18.
3.
Magda al pianoforte, 1918 Olio su tela cm 62x75. Firmato in alto a destra e datato. Parziale Etichetta XII Mostra Internazionale di Venezia.
Cammellieri, 1942 Pastello su carta cm 41x61,5 Sul retro etichetta Premio Verona 1942 con firma Elisabetta Kaehlbrand
19.
Cammelli, 1942 Pastello su cartone cm 37x60 Sul retro etichetta Premio Verona 1942 con firma Elisabetta Kaehlbrand
20.
Carico del carbone, 1938 Pastello su cartone cm 57x70 Dipinto sul retro dell’opera Uomo con sacco
21.
Cammelli, 1942 Pastello su cartone cm 50x71
22.
Cavallo, 1928 Tempera su cartone, cm 52x72,5
23.
Testa di cavallo, 1928 Tempera su cartone, cm 53x69
24.
Vendemmia, 1920 Tempera su cartone, cm 40x70
4.
Ritorno dai campi, 1920 Olio su tela cm 47,5x63,5
5.
Ritorno dai campi, 1920 Olio su tela cm 60x50
6.
Cena a Villa Crespi, 1918-1920 Olio su tela cm 62x75
7.
Isola d’Elba, 1927/1928 Olio su tela cm 39,5x53 Firmato in basso a sinistra Kaehlbrand
8.
Deposizione, 1936 Olio su tela cm 60x80
9.
Processione, 1913/14 Olio su tela cm 61x77
10.
Monti Sabini, 1920 Olio su tela su cartone cm 18x24
11.
Spigolatrici, 1920 Olio su tela cm 70x75
12.
Uomo con sacco, 1925 Olio su cartone cm 70x57
13.
Anticolana, 1921 Olio su cartone cm 48,5x30,5
14.
Strage degli innocenti, 1936 Olio su tela cm43,5x62
15.
Uomo con sacco, 1925 Olio su tela cm 77x61 Dipinto sul retro dell’opera Processione
16.
Nudo maschile, 1915 Olio su tela cm 81x61
BIBlIOgRAFIA EssENZIAlE
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2008 dalle Arti Grafiche Trassini, Vimercate.