Concerto di Inaugurazione

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XXXV STAGIONE CONCERTISTICA

Concerto di Inaugurazione

DANIELE RUSTIONI direttore

DAVID GERINGAS violoncello


fondazione orchestra regionale toscana

Commissario straordinario *

Amministrazione

Direttore generale

Ufficio del personale

Direttore servizi musicali

Segreteria

Maurizio Frittelli Marco Parri

Simone Grifagni, Cristina Ottanelli Patrizia Brogioni, Andrea Gianfaldoni

Direttore comunicazione

Stefania Tombelli | Direzione Generale Tiziana Goretti | Direzione Artistica Ambra Greco | Area Comunicazione

Ufficio sviluppo e fundraising

Francesco Vensi, Angelo Del Rosso

Paolo Frassinelli Riccardo Basile Elisa Bonini

Servizi tecnici Orchestra

OspitalitĂ e sala Teatro Verdi

Fulvio Palmieri, Paolo Malvini Palcoscenico Teatro Verdi

Alfredo Ridi, Walter Sica, Carmelo Meli, Sandro Russo, Alessandro Goretti Personale di sala

* incarico con scadenza 28 novembre 2015, data entro la quale gli Enti Soci (Regione Toscana e Comune di Firenze) provvederanno al rinnovo del Consiglio di Amministrazione con le nuove nomine.

Lisa Baldi, Martina Berti Tommaso Cellini, Lorenzo Del Mastio Massimo Duino, Enrico Guerrini Michele Leccese, Pasquale Matarrese


XXXV stagione concertistica direttore artistico

Giorgio Battistelli

direttore principale Daniele Rustioni direttore e compositore in residence Tan Dun direttore onorario Thomas Dausgaard

 O IC

stituzioni

oncertistiche

rchestrali


Concerto di Inaugurazione

daniele rustioni direttore

EDGAR VARÈSE

Ionisation versione per 6 percussionisti (1929-31)

david geringas violoncello

ANTONÍN DVOŘÁK

Concerto n.2 per violoncello e orchestra in si minore op.104 Allegro Adagio ma non troppo Finale: Allegro moderato

***

EDGAR VARÈSE

Intégrales per percussioni e piccola orchestra

revisione a cura di Chou Wen-Chung (1980) Firenze, Teatro Verdi

sabato 17 ottobre 2015 ore 21.00

ROBERT SCHUMANN

Sinfonia n.4 in re minore op.120 L'aQUILA, AUDITORIUM della GUARDIA DI FINANZA

domenica 18 ottobre 2015 ore 18.00 Società Aquilana dei Concerti "B.Barattelli" Rai Radio

* concerto trasmesso in differita da Rai Radio3 Registrazioni e produzioni audio a cura di SoundStudioService

Ziemlich langsam – Lebhaft, attacca Romanze: Ziemlich langsam, attacca Scherzo: Lebhaft, attacca Langsam - Lebhaft


DANIELE RUSTIONI A 32 anni, è uno dei direttori d’orchestra più interessanti della sua generazione, avendo ricevuto il premio come «Best newcomer of the Year» all’International Opera Awards già nel 2013. Dallo scorso anno è direttore principale dell’ORT, dopo aver ricoperto il ruolo di direttore ospite principale al Teatro Michajlovskij di San Pietroburgo e di direttore musicale al Petruzzelli di Bari. Ha studiato a Milano, dove si è diplomato giovanissimo in organo, composizione e pianoforte. Ha proseguito gli studi di direzione d’orchestra con Gilberto Serembe, continuando la sua formazione alla Chigiana di Siena sotto la guida di Gianluigi Gelmetti e alla Royal Academy of Music di Londra. Nel 2007 Gianandrea Noseda diventa il suo mentore, che lo avvia alla carriera direttoriale con l’opportunità di debuttare al Regio di Torino, mentre alla Royal Opera House (Covent Garden di Londra) è stato assistente di Antonio Pappano, che lo ha seguito nei primi passi. Oggi dirige regolarmente nei migliori teatri italiani, dal Regio Torino, alla Fenice di Venezia, ospite del Maggio Musicale Fiorentino e del Rossini Opera Festival a Pesaro. Nell'ottobre 2012 ha debuttato al Teatro alla Scala con La bohème; vi è tornato per due stagioni consecutive con la nuova produzione di Un ballo in maschera

nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario verdiano e per una ripresa de Il trovatore nel febbraio 2014, registrata in video dalla RAI. Nel marzo 2011 aveva già debuttato con Aida alla Royal Opera House, dove è tornato lo scorso autunno con una produzione dell’Elisir d’amore di grande successo. Sempre nel Regno Unito ha diretto all’Opera North ed è stato ospite della Welsh National Opera per una serie di progetti, tra cui una nuova produzione di Così fan tutte e due opere belcantiste di Donizetti, Anna Bolena e Roberto Devereux, accolte da un clamoroso successo della critica. Ha debuttato negli Stati Uniti al Glimmerglass Festival con una nuova produzione della Medea di Cherubini; vi è poi tornato per il debutto alla Washington National Opera nel 2013 e per un tour


con l’Orchestra dell’Accademia della Scala nel dicembre dello stesso anno. Debutterà al Met nella stagione 2016/17. Nella stagione 13/14 ha fatto il suo debutto in Giappone con la Nikikai Opera, all’Opéra National de Lyon con una nuova produzione di Simon Boccanegra, alla Bayerische Staatsoper con Madama Butterfly e alla stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla, mentre la passata stagione ha visto il primo podio allo Staatstheater di Stoccarda, al San Carlo di Napoli e alla Staatsoper di Berlino oltre il ritorno al Regio di Torino. Durante il prossimo autunno farà la sua prima apparizione all’Opéra National de Parigi e all’Opernhaus di Zurigo. Rustioni svolge un’intensa attività sinfonica: oltre alla collaborazione con l’ORT (che lo ha visto da poco protagonista durante la quarta edizione del festival Play It!), ha già diretto le migliori orchestre sinfoniche italiane come l’Orchestra dell’Accademia di S.Cecilia, l’Orchestra Sinfonica della RAI e la Filarmonica della Fenice. Ha inoltre diretto la BBC Philharmonic, l’Orchestra della Svizzera Italiana (a Lugano e in tournée), la Helsinki Philharmonic, la London Philharmonic, l’Orchestre Philharmonique di Montecarlo e la

Kyushu Symphony Orchestra in Giappone. Vi tornerà nel giugno 2016 per i debutti allo Hyogo Performing Arts Center e con la Tokyo Symphony Orchestra. Durante la scorsa stagione ha debuttato con la Bournemouth Symphony Orchestra, dove sarà di nuovo ospite nell’aprile 2017. Per Sony Classical ha registrato un album di Arie dal basso con Erwin Schrott alla guida dell’Orchestra Sinfonica della Radio di Vienna. Lo scorso marzo è stato nominato direttore principale de l'Opéra National de Lyon: il prestigioso incarico decorrerà dal 1° settembre 2017 ed avrà durata quinquennale. Nella città francese dirigerà almeno due produzioni operistiche a stagione oltre ad un ricco programma di concerti sinfonici.


david geringas

Il violoncellista e direttore lituano David Geringas appartine all’élite musicale d’oggi. Il suo rigore intellettuale, la versatilità dello stile, la particolare cantabilità e sensualità del suo modo di interpretare, lo hanno reso celebre in tutto il mondo. A testimoniare la flessibilità e curiosità dell’inteprete, è l'ampio e inusuale repertorio, che spazia dal primo barocco alla musica contemporanea. Allievo di Rostropovich, e medaglia d’oro nel 1970 al Concorso Čajkovskij di Mosca, l’artista può vantare oggi una discografia di circa 100 titoli, premiata con il Diapason d’Or per la musica da

camera di Henri Dutilleux, il Grand Prix du Disque per i 12 concerti di Boccherini e il Deutschen Schallplattenkritik per i concerti di Hans Pfitzner. Fra il 2008 e il 2011 ha inciso 8 nuovi cd: le opere per pianoforte e violoncello di Mendelssohn (Profil Edition Gunter Hänssler), di Chopin (Sony), di Rachmaninoff, i David’s Song e Discorsi (Hänssler Classics), e le opere per violoncello e pianoforte di Beethoven. Il cd Bach Plus, che include le 6 Suites di Bach e alcuni frammenti da vari autori contemporanei, è stato pubblicato nell’ottobre 2011, con straordinari giudizi dei giornali Der Spiegel e Fonoforum.


È dedicatario di molti concerti per violoncello di vari compositori contemporanei, tra cui Sofia Gubaidulina, Ned Rorem, Peteris Vasks e Erkki-SvenTürr. Ha eseguito in prima assoluta opere di autori russi, lituani e dell’Est Europa. Si ricordano nel 2012, i tre concerti di Silvia Colasanti a Milano, di Alexander Raskatov ad Amsterdam e di Arvydas Malcy “In Memoriam” a Kaunas. L’artista è ospite, in qualità di solista e direttore, delle più prestigiose istituzioni musicali in Europa (Thonalle di Zurigo, Berliner Philarmonie, Parco della Musica di Roma, Concertgebow di Amsterdam), Asia e Stati Uniti. Dal 2005 al 2008 è stato direttore ospite principale della Tokyo Philarmonic Orchestra e della China Philarmonic Orchestra. Nel febbraio 2009 ha debuttato come direttore in Russia con la Moscow Philarmonia e in Lituania, a Klaipeda, con l’opera Eugenio Oneghin di Alexander Pushkin. Ha insegnato in Germania, a Lubecca e a Berlino, e nella sua classe si sono formati alcuni dei migliori giovani violoncellisti oggi in attività; tra questi ricordiamo Gustav Rivinius, Tatiana Vassiljeva, Jin Zhao, Jens Peter Maintz, Wolfgang Emauel Schmidt, Johannes Moser e Sol Gabetta. Dopo 15 anni ritorna solista ospite nel cartellone dell'ORT.


EDGAR VARÈSE

(Parigi 1883 - New York 1965) Ionisation versione per 6 percussionisti (1929-31) durata 7 minuti circa Nato a Parigi da padre italiano e madre borgognona, adolescenza trascorsa a Torino, giovinezza tra la Francia e Berlino a contatto con l'intellighenzia culturale e artistica dell'epoca (Debussy, Ravel, Satie, Romain Rolland, Cocteau, Hofmannsthal, Schönberg), nel 1916, alla soglia dei trentatré anni, Edgar Varèse si trasferisce negli Stati Uniti. Lì, in collaborazione con scienziati, inventori e tecnici, porta a maturazione le sue ricerche sulla musica in quanto organizzazione matematica del tempo, diffusione, movimento e proiezione del suono nello spazio, costruzione materica di mutevoli aggregazioni timbriche e dinamiche anche attraverso l'associazione fra strumenti tradizionali ed elettronica. La composizione, insomma, come calcolo razionale e dialogo con la modernità. In effetti Varèse (avanguardista radicale e solitario, idolatrato da molti musicisti del Novecento compresi Charlie Parker e Frank Zappa) definisce la musica, al pari dell'architettura, "arte-scienza", e a fondamento del suo processo creativo, considerato analogo al fenomeno fisico della cristallizzazione, pone la perfetta cognizione delle leggi acustiche. Del suo interesse per le novità tecnologiche e del desiderio di confrontarsi con specialisti di altri campi sono testimonianza Density 21.5 composto per il flauto di platino (elemento chimico il cui peso specifico è appunto 21,5) e il Poème électronique,

realizzato interamente al computer, da diffondersi a ciclo continuo dentro il Padiglione Philips progettato da Le Corbusier e Iannis Xenakis per l'Expo 1958 di Bruxelles. Limitata la sua produzione, di cui sono protagonisti incontrastati gli strumenti a percussione e a fiato. La timbrica vi risulta spesso dura, spietata, comunque assai mobile nei piani sonori e molto assortita per intensità, tra improvvise conflagrazioni e repentini assottigliamenti verso il silenzio. Inoltre allo sviluppo tematico sostituisce la giustapposizione di cellule ritmiche secche, brevi, e la disposizione geometrica di strutture metriche cangianti di continuo. Ionisation è un capolavoro del secolo scorso. Per la prima volta nella storia della musica d'arte, una composizione affidata a sole percussioni. Impiegando tale organico, Varèse slarga ed estremizza, in una sorta di deflagrazione nucleare, l'efferato martellio antimelodico presente nella Sagra della Primavera Igor Stravinskij (1913) e nel Mandarino meraviglioso di Béla Bartók (1919). Vero che qualcosa di simile era già stato auspicato dai futuristi e sperimentato da Luigi Russolo con i suoi intonarumori, però in maniera primitiva e naif. Invece il pezzo di Varèse - composto fra il 1929 e il 1931, anni centrali di un quinquennio trascorso a Parigi; debutto al Carnegie Hall di New York il 6 marzo 1933 con esiti critici discordanti - è una


ANTONÍN DVOŘÁK

(Nelahozeves 1841 – Praga 1904) Concerto n.2 in si minore per violoncello e orchestra op.104 durata: 42 minuti circa struttura ordinata, costruita con logica aguzza. Ciò non significa freddezza; anzi, è un lavoro scosso da potentissimi impulsi ritmici che sfiorano lo sballo psichedelico. Il titolo deriva da un termine scientifico, la ionizzazione, processo per cui atomi o molecole neutre acquistano o perdono elettroni diventando ioni. La partitura richiede un armamentario cospicuo, quasi cinquanta strumenti d'ogni genere, dimensione, qualità, materiale e provenienza. Dalle sirene ai bongos, dal güiro al triangolo, dal gong alle nacchere, dalle campane a tamburi di varie fogge (compreso quel tipo particolare chiamato "lion's roar") fino al pianoforte che si fa sentire all'ultimo. Tutti nelle mani di 13 musicisti; e nella versione odierna ratificata dall'autore - predisposta per l'ensemble di musica contemporanea “Les Percussions de Strasbourg” da uno dei suoi fondatori, Georges Van Gucht - gli esecutori non sono che sei. Gregorio Moppi

Il più sontuoso tra i Concerti per violoncello, quello di Dvořák, è un frutto inatteso del soggiorno americano del compositore, sigillo alla sua triennale avventura newyorkese sempre intrisa di struggente nostalgia per l'Europa; inoltre cela l'omaggio a un'antica fiamma sul letto di morte. Dvořák, boemo profondamente radicato nella cultura e nelle tradizioni della sua nazione, non avrebbe mai immaginato di potersi trasferire oltreoceano per lavoro. Eppure la cocciutaggine di una ricca signora americana lo spinse a farlo, chissà quanto di buona voglia. Certo a persuaderlo contribuì l'offerta di 15 mila dollari annui, il quintuplo del suo stipendio al Conservatorio di Praga. La storia andò così. Jeanette Thurber, moglie di un facoltoso commerciante di generi coloniali, nel 1888 aveva fondato a New York il National Conservatory of Music con l'intento di favorire la nascita di una scuola di strumentisti e compositori statunitensi. Gli studenti erano principalmente afroamericani e nel curriculum scolastico figuravano anche lo studio degli inni religiosi, degli spiritual e del repertorio dei nativi. Ciò che serviva a questa istituzione era un direttore di gran nome, e non poteva che provenire dall'Europa dato che nella giovane America di musicisti prestigiosi non ne era cresciuto ancora nessuno. Dvořák fu la seconda scelta - dopo il finlandese Jean Sibelius, che non era stato possibile avvicinare. Mica male, co-


munque: compositore serio di impronta brahmsiana (quindi devoto ai generi di derivazione classica tipo sinfonie, concerti e quartetti) che tuttavia era solito bagnare la sua ispirazione nelle melodie popolari delle terra natia. Dvořák fu trattato con ogni riguardo in America, dove abitò dal 1892. Stima, ammirazione, rispetto lo accompagnavano ovunque andasse. A lui, che ricambiò tale accoglienza elargendo ai suoi ospiti pagine notevoli come il quartetto e il quintetto per archi, conosciuti entrambi con il nomignolo di Americano, e la Sinfonia Dal Nuovo Mondo, lo stile di vita di quella società non andava troppo a genio, però. Caos, stress, poco tempo per meditare lo spinsero a ritornare a casa sua nella primavera del 1895. La partitura del Concerto in si minore op.104 fu completata proprio in coincidenza della partenza; il debutto avvenne l'anno dopo a Londra. Fiorì inaspettata perché Dvořák, già autore in gioventù di un Concerto per violoncello lasciato senza orchestrazione e manoscritto (la prima edizione uscirà, postuma, nel 1929), aveva spesso dichiarato che non si sarebbe mai più interessato a uno strumento che negli acuti suona nasale e nei gravi ringhia e borbotta. Ma negli States cambiò idea. Merito, forse, di un violoncellista d'origine irlandese e tedesco di formazione, Victor Herbert, suo collega al Conservatorio di New York e autore, per se stesso, di un Concerto

che evidentemente sorprese Dvořák facendolo indietreggiare dal suo proposito. In realtà è probabile che già da qualche tempo stesse mutando opinione a proposito delle manchevolezze dello strumento, altrimenti non si vede per quale ragione avrebbe trascritto proprio per violoncello e orchestra La calma del bosco, un pezzo di dieci anni prima per pianoforte a quattro mani. Tuttavia il Concerto op.104 è dedicato non a Herbert, bensì al compatriota Hanuš Wihan, e su sua istanza Dvořák dichiarò d'averlo concepito. E sebbene dell'amico accogliesse alcune richieste di aggiustamenti tecnici per la parte del solista, recisamente ne rigettò il capriccio di voler inserire un'ampia cadenza virtuosistica nell'ultimo tempo. Non ci sarebbe stata bene, gli ripeté più e più volte. Ma siccome Wihan faceva orecchie da mercante, Dvořák mise per iscritto al suo editore che al Concerto non avrebbe dovuto esser cambiata neanche una nota, da nessuno, senza il suo consenso preventivo, perché tutto quel che vi si trova è stato a lungo meditato e non può che esser eseguito così: specie il finale, affermò, "che chiude in graduale diminuendo, come un sospiro, con reminiscenze degli altri due movimenti, mentre il solista va a morire verso un 'pianissimo' per poi risollevarsi di nuovo; le ultime battute spettano all'orchestra al completo, e il tutto termina in modo burrascoso". Alla fine è come se lo spleen che infagotta


EDGAR VARÈSE Intégrales, per percussioni e piccola orchestra

revisione a cura di Chou Wen-Chung (1980)

durata: 12 minuti circa gran parte della partitura se ne volasse via. Una catarsi che scaccia la nostalgia pervasiva. Quella che nell'“Allegro” iniziale - malgrado l'indicazione di “grandioso” per certi interventi di un'orchestra corposa che comprende anche tromboni e tuba e nonostante il “risoluto” richiesto all'attacco del solista - viene espressa dal timbro languido e malleabile dei clarinetti e dalla voce del corno, evocatrice di spazi vasti, solitari, come le praterie americane. Il Concerto è pure un tributo segreto a un'infatuazione giovanile, Josefina Čermáková, allieva di piano amata senza fortuna una trentina di anni prima, e di cui poi, nel 1873, Antonín aveva sposato la sorella minore Anna - mentre Josefina attrice, qualche tempo dopo abbandonerà le scene per diventare moglie del conte Václav Kounic, influente patriota e politico cèco. Durante le ultime settimane di soggiorno a New York i Dvořák ebbero notizia che Josefina stava male, molto male, a tal punto che il 27 maggio 1895 spirò. Prima, in omaggio all'inferma Anna, il compositore aveva innestato come motivo secondario del movimento lento la citazione di una sua lirica per canto e piano da lei prediletta, Lasciami solo op.82 n.1. E al momento del decesso della donna, nel finale fu inserita la sezione contemplativa, quella che sfuma nel sospiro di morte. Gregorio Moppi

A cinquant'anni dalla scomparsa, Edgard Varèse è riconosciuto come uno degli autentici mâitre a penser del Novecento musicale; una schiera eletta alla quale appartengono Stravinskij, Schönberg, Bartók e pochissimi altri. A distinguere Varèse da questi compositori c’è tuttavia un destino particolare: quello di non aver esercitato una influenza diretta e militante nel breve periodo della sua attività, ma di aver dovuto attendere un quarto di secolo perché la sua musica venisse per così dire “scoperta” e studiata come quella di un “precursore” da parte dell’avanguardia del secondo dopoguerra. Una simile vicissitudine è spiegabile con il carattere totalmente rivoluzionario dell’opera di Varèse. Già la biografia del compositore ha dei tratti estremamente peculiari. Nato a Parigi da padre italiano, Varèse rinuncia agli studi scientifici per quelli musicali, e compie questi ultimi nell’ambito della solidissima scuola francese, prima alla Schola Cantorum di D’Indy e poi al Conservatorio. Su questa formazione si innesta l’influenza della “nuova estetica dei suoni” di Busoni, conosciuto a Berlino nell’anteguerra. Nel 1915 la rottura con il passato, e il trasferimento negli Stati Uniti, dove si tratterrà stabilmente, con l’eccezione di un breve periodo (192832) trascorso nuovamente in Francia. È appunto negli anni compresi fra il 1915 e il 1932 che Varèse concentra la propria


attività di compositore, scrivendo tutti i lavori principali del proprio esiguo catalogo. Agli anni Cinquanta appartiene una doppia svolta, quella del ritorno alla composizione, ma con mezzi elettronici, e del pieno riconoscimento da parte delle nuove leve di compositori, con l’invito ai corsi di Darmstadt. Intégrales, scritto fra la fine del 1923 e l’inizio del 1925 ed eseguito a New York il 10 marzo 1925, rientra nel gruppo delle opere maggiori, ed è emblematico della poetica dell’autore. Non è un caso che, per spiegare la musica di Varèse, i critici siano spesso ricorsi ad allusioni figurative, stabilendo relazioni con gli architetti del Bauhaus e i pittori cubisti. In effetti è l’intera organizzazione del suono e del discorso musicale che avviene, in Intégrales come nelle opere coeve, secondo criteri rivoluzionari, che ignorano del tutto i parametri di melodia, armonia, ritmo, sviluppo, elaborazione e simili, propri della tradizione europea. Il titolo di Intégrales allude al calcolo matematico e alla “valutazione”, alla “comprensione” di uno spazio. Secondo le parole dell’autore “Intégrales è stato concepito per una proiezione spaziale. Costruii il lavoro pensando di impiegare certi mezzi acustici che ancora non esistevano, ma che sapevo avrebbero potuto essere realizzati e utilizzati, prima o poi”.

Proprio Intégrales era stato scelto dall’autore, negli ultimi anni di vita, per una rielaborazione elettronica (poi non compiuta). Infatti la partitura precorre la concezione sonora del linguaggio elettronico. Già la strumentazione è indicativa, escludendo del tutto strumenti “comunicativi” come gli archi, e limitando la scelta a strumenti più impersonali, come fiati e percussioni. I fiati coprono l’intero spettro sonoro, le percussioni, impiegate in modo massiccio (diciassette strumenti per quattro esecutori) si richiamano alla predilezione dell’autore per i “rumori” cittadini. Il brano si sviluppa secondo l’opposizione di piani e volumi sonori, “fasci di suono” in continua trasmutazione, si potrebbe dire quasi secondo un processo di “cristallizzazione”. Una nota cardine si pone come punto di riferimento per queste trasformazioni e “cristallizzazioni” del suono. Ritmo e timbro diventano valori assoluti, i frammenti melodici presenti sono solo uno dei tanti elementi, senza alcuna funzione di guida del discorso. Così avviene anche per il frammento tematico - esposto in una sezione centrale da trombe e corni - simile al tema creato da Ravel per il Boléro, tre anni più tardi: una scheggia priva di qualsiasi referente esterno, elemento variabile della nuova organizzazione del flusso sonoro. Arrigo Quattrocchi


ROBERT SCHUMANN

(Zwickau, Sassonia 1810 – Endenich, Bonn 1856) Sinfonia n.4 in re minore op.120 durata: 29 minuti circa Quando il tedesco parla di sinfonie, parla di Beethoven: i due nomi costituiscono per lui un’unità inscindibile, sono la sua gioia, il suo orgoglio... le creazioni di questo maestro... dovrebbero aver lasciato delle tracce profonde, in grado di manifestarsi in primo luogo nei lavori del periodo successivo appartenenti allo stesso genere. Ma non è così. Risonanze ne troviamo certo (anche se per lo più, stranamente, si tratta di risonanze delle prime sinfonie di Beethoven, come se ogni singolo lavoro richiedesse un certo tempo prima di essere compreso e imitato), e sono anche troppo numerose e marcate; ma solo raramente, a parte alcune eccezioni, troviamo quella retta condotta e quel dominio della grande forma dove ad ogni passaggio le idee appaiono mutevoli, eppur connesse da un intimo legame spirituale... Per ironia della sorte, questo giudizio espresso da Schumann nel 1839 sarebbe divenuto uno dei principali argomenti usati contro di lui dai numerosi critici della sua produzione sinfonica. A parte le riserve sulla qualità della strumentazione (la sua orchestra è ritenuta in genere troppo pesante), si imputa a Schumann proprio la mancanza di coe-renza formale, il suo lavorare per blocchi giustapposti, anziché puntando sul coerente sviluppo dei temi. Le cause di ciò vengono generalmente individuate nella radice lirica del pensiero compositivo di

Schumann, che si era rivolto ai generi formalmente più impegnativi solo dopo aver creato una messe di pezzi pianistici, dove la fantasia e la qualità dell’invenzione sono sorrette magari da un notevole sperimentalismo armonico, ma non certo dalla saldezza costruttiva dell’edificio formale. La quarta sinfonia (nata in realtà per seconda e successivamente rielaborata) è la più vistosa manifestazione dell’anelito di Schumann al raggiungimento di esiti formali inediti e grandiosi, e proprio per questo è stata oggetto di frequenti censure. Falliti tutti i tentativi di affermarsi sulla scena musicale viennese, nel 1839 Schumann decise di mettere ordine nella propria vita: venduta l’azienda libraria paterna, si lanciò nella causa che lo avrebbe condotto finalmente a sposare Clara, la figlia del suo ex maestro Friedrich Wieck, e cominciò al tempo stesso a progettare sistematiche incursioni nei generi compositivi “maggiori”, dichiarando implicitamente concluso il suo “periodo pianistico”. Vennero così alcuni anni che possiamo definire monotematici, nel senso che in ciascuno di essi Schumann si concentrò quasi esclusivamente su di un unico genere: il 1840 era stato l’anno dei Lieder (solo per citarne alcuni, i cicli Myrthen, Frauenliebe und Leben e Dichterliebe); nel 1842 sarebbe stata la volta della musica da camera (i tre quartetti per archi op.41, il quintetto e il quartetto con pia-


noforte) e nel 1843 quella degli oratori (Il Paradiso e la Peri): ma l’anno in cui Schumann si pose alla ricerca delle possibili vie nuove verso la sinfonia fu il 1841. Videro così la luce la Prima, op.38 (detta “Sinfonia della Primavera”), che si atteneva al tradizionale schema in quattro movimenti distinti, cercando però di unificarli con un progetto poetico comune, e alcuni lavori sperimentali, che tentevano soluzioni formali inedite: una Ouverture, Scherzo e Finale in mi maggiore, op.52, una Fantasia per pianoforte e orchestra in la minore (poi rifusa nel celeberrimo concerto in la minore del 1845), lo schizzo di una piccola sinfonia in do minore e, soprattutto, la prima versione di quella che dopo un decennio, opportunamente rielaborata, sarebbe divenuta la Quarta Sinfonia (la Seconda e la Terza avevano visto la luce, rispettivamente, nel '46 e nel '50). La prima versione della sinfonia in re minore, che tra l’altro prevedeva la chitarra nella strumentazione del secondo movimento, ebbe un’accoglienza tutt’altro che positiva: dopo la prima esecuzione, avvenuta a Lipsia il 6 dicembre 1841 alla presenza di Mendelssohn e sotto la direzione di Ferdinand David, il temibile periodico “Allgemeine musikalische Zeitung” parlò di mancanza d’attenzione e di scarsa rifinitura; fu per questo motivo che Schumann decise di metterla da parte per lungo tempo. La versione

riveduta, più turgida nell’orchestrazione e ampiamente ristrutturata, ma sostanzialmente fedele al progetto originario (in un primo momento, il compositore aveva accarezzato l’idea di ribattezzarla “fantasia sinfonica”), fu terminata nel 1851, ma non ebbe pubblica esecuzione fino al 3 marzo 1853, quando lo stesso Schumann poté dirigerla a Düsseldorf (l’anno successivo, il tentativo di suicidio gettandosi nel Reno e l’internamento nel manicomio di Endenich): da allora, la sinfonia godette di quell’accoglienza calorosa che ancora oggi le è universalmente assicurata. Restarono, tuttavia, alcune autorevoli voci “fuori dal coro”, tra cui quella, autorevolissima, di Johannes Brahms, che trovava la prima versione più lieve, chiara ed elegante. Nonostante l’opposizione dell’amica Clara, vedova di Robert, nel 1891 Brahms fece pubblicare una partitura che comprendeva entrambe le versioni. Nel progetto della Quarta, Schumann mostra con evidenza la sua posizione artistica, in bilico tra la voglia di esprimere il nuovo e una fiducia nei generi strumentali della tradizione che, col tempo, si sarebbe fatta sempre più incrollabile. In altre parole, tutta l’impalcatura delle ripetizioni tematiche, prevista dalla tradizionale forma di sinfonia per ogni singolo movimento, è qui abbandonata, in favore di un organico sviluppo delle premesse che si compie solo nel finale. Tale organicità è


garantita, in primo luogo, da due fattori immediatamente percepibili: la successione ininterrotta dei quattro movimenti (ognuno deve essere attaccato senza indugi dopo il precedente), che tra lo scherzo e il finale dà luogo anche ad un efficacissimo raccordo, memore di analoghe soluzioni beethoveniane; e l’uso sistematico dei legami tematici tra i movimenti medesimi. Non c’è, infatti, in questa sinfonia, un solo movimento tematicamente irrelato: l’introduzione lenta (Ziemlich langsam = piuttosto adagio) si ripercuote nella Romanza; la sezione centrale di quest’ultima, un tenero arabesco del primo violino, fornisce il materiale al Trio dello Scherzo (Lebhaft = Vivace); a sua volta, lo Scherzo basa la propria sezione principale su un’idea strettamente imparentata con il primo motivo del Vivace iniziale. Ma è soprattutto il legame tra i due movimenti esterni (primo e ultimo) a caratterizzare l’unicità del progetto. Il primo Vivace (Lebhaft), che pure espone il materiale tematico secondo la tradizionale contrapposizione tra due distinte aree tonali, è caratterizzato da una sezione centrale articolata in tre blocchi, che solo con un certo sforzo può definirsi “sviluppo” nel senso beethoveniano del termine (donde le critiche cui si accennava in apertura); ma soprattutto, questo primo movimento è privo della convenzionale riesposizione conclusiva, che lascia invece il

posto a un’ampia coda. Solo il finale, basato in sostanza sullo stesso materiale del primo movimento, porta a compimento una regolare forma-sonata (esposizione – sviluppo – ripresa + coda), appagando così le aspettative dell’ascoltatore, rima-ste fin lì disattese. Lo sperimentalismo formale di questo lavoro, certo lontano dal solco del tematismo tracciato da Beethoven, era destinato a non aver seguito: o si proseguiva spaccando definitivamente la forma (Liszt) o si cercava una nuova via ripristinando la solidità delle strutture della tradizione (Brahms). Questa bella sinfonia, anche coi suoi “difetti”, è la testimonianza d’una volontà al tempo stesso pervicace e disperata. Marco Mangani


VIOLINI PRIMI

VIOLONCELLI

TROMBE

Andrea Tacchi * Daniele Giorgi * Paolo Gaiani ** Angela Asioli Gabriella Colombo Clarice Curradi Francesco Di Cuonzo Marian Elleman Susanna Pasquariello Marco Pistelli

Luca Provenzani * Augusto Gasbarri ** Stefano Battistini Enrico Graziani Giovanni Simeone

Donato De Sena * Guido Guidarelli *

VIOLINI SECONDI

Chiara Morandi * Franziska Schotensack * Patrizia Bettotti ** Damiano Babbini Stefano Bianchi Marcello D’Angelo Chiara Foletto Alessandro Giani VIOLE

Stefano Zanobini * Giulia Panchieri * Caterina Cioli ** Elena Favilla Alessandro Franconi Pier Paolo Ricci

CONTRABBASSI

Amerigo Bernardi * Luigi Giannoni ** Adriano Piccioni FLAUTI

Fabio Fabbrizzi * Michele Marasco * OBOI

Alessio Galiazzo * Flavio Giuliani * CLARINETTI

Marco Ortolani * Enzo Giuffrida * FAGOTTI

Paolo Carlini * Umberto Codecà * CORNI

Andrea Albori * Paolo Faggi * Lara Morotti Alessandro Saraconi

TROMBONI

Giorgio Bornacina * Biagio Salvatore Micciulla Gabriele Tonelli BASSO TUBA

Riccardo Tarlini * TIMPANI

Morgan M.Tortelli * PERCUSSIONI

Tommaso Ferrieri Caputi Matteo Manzoni Ivan Pennino Mattia Pia Dario Varuni

* prime parti ** concertino

Ispettore d’orcheStra e archivista

Alfredo Vignoli


Fondata nel 1980, l’ORT ha sede al Teatro Verdi di Firenze e oggi è considerata una tra le migliori orchestre in Italia. È formata da 45 musicisti, tutti professionisti eccellenti che sono stati applauditi nei più importanti teatri italiani come il Teatro alla Scala, l’Auditorium del Lingotto di Torino, l’Accademia di Santa Cecilia di Roma, e nelle più importanti sale europee e d’oltreoceano, dall’Auditorio Nacional de Musica di Madrid alla Carnegie Hall di New York. La sua storia artistica è segnata dalla presenza di musicisti illustri, primo fra tutti Luciano Berio. Collabora con personalità come Salvatore Accardo, Martha Argerich, Rudolf Barshai, Yuri Bashmet, Frans Brüggen, Myung-Whun Chung, Gianluigi Gelmetti, Daniel Harding, Eliahu Inbal, Yo-Yo Ma e Uto Ughi. Interprete duttile di un ampio repertorio, che dalla musica barocca arriva fino ai compositori contemporanei, l’Orchestra ha da sempre riservato ampio spazio alla ricerca musicale al di là delle barriere fra i diversi generi (Haydn, Mozart,

tutto il Beethoven sinfonico, larga parte del barocco strumentale, con una particolare attenzione alla letteratura meno eseguita), sperimentando possibilità inedite di fare musica e verificando le relazioni fra scrittura e improvvisazione. Accanto ai grandi capolavori sinfonicocorali, interpretati con egregi musicisti di fama internazionale, si aggiungono i Lieder di Mahler, le pagine corali di Brahms, parte del sinfonismo dell’Ottocento, con una posizione di privilegio per Rossini, e l’incontro con la musica di Franco Battiato, Stefano Bollani, Richard Galliano, heiner Goebbels, Butch Morris, Enrico Rava, Ryuichi Sakamoto. Una precisa vocazione per il Novecento storico, insieme a una singolare sensibilità per la musica d’oggi, caratterizzano la formazione toscana nel panorama musicale italiano. Il festival “Play It! La musica fORTe dell’Italia” è il manifesto più eloquente dell’impegno dell’orchestra verso la contemporaneità. Incide per Emi, Ricordi, Agorà e VDM Records.


I prossimi appuntamenti

Ospitalità

orchestra sinfonica di mÜnster

16

novembre

lunedì ore 21.00

2

dicembre

mercoledì ore 21.00

FABRIZIO VENTURA direttore

ISABELLE VAN KEULEN violino

musiche di Brahms, Beethoven

dietrich paredes direttore

sergey khachatryan violino musiche di Beethoven, Bruch, Čajkovskij

5

dicembre

sabato ore 16.30

Tutti al Teatro Verdi!!!

I VIAGGI DI GULLIVER

BRUNO MORETTI direttore Controluce Teatro d'ombre


COMUNICAZIONI PER IL PUBBLICO CON L’ORT A DIVINA BELLEZZA

FLORENCE BIENNALE A PREZZO SCONTATO

Dal 17 al 25 ottobre la Fortezza da Basso di Firenze ospita la decima edizione di Florence Biennale – Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea di Firenze, dal tema "Arte e Polis". Oltre 400 gli artisti che giungeranno da 60 diverse nazioni per dar vita ad un ricco programma di conferenze, mostre collaterali, workshop, performance e incontri didattici. II programma completo è su www.florencebiennale.org Per chi è in possesso di un biglietto o abbonamento ORT, presentandolo alla biglietteria di Florence Biennale, avrà diritto all'ingresso ridotto (5,00 euro invece di 8,00) per visitare la mostra. Ugualmente coloro che presenteranno alla biglietteria del Teatro Verdi il ticket d'ingresso di Florence Biennale, avranno diritto al biglietto ridotto per i concerti ORT della Stagione 2015/16.

Fino al 24 gennaio Palazzo Strozzi a Firenze ospita Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, un’eccezionale mostra dedicata alla riflessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani. Chi è in possesso di un biglietto o abbonamento ORT, presentandolo alla biglietteria di Palazzo Strozzi, avrà diritto all'ingresso ridotto per visitare la mostra (8,00 euro invece di 10,00). Ugualmente coloro che presenteranno alla biglietteria del nostro Teatro Verdi il ticket d'ingresso alla mostra, avranno diritto al biglietto ridotto per i concerti ORT della Stagione 2015/16.


SEGUITECI anche quando non siete in teatro

SITO INTERNET

AUDIO SU SOUNDCLOUD

Qui sono raccolte tutte le informazioni che riguardano l’Orchestra della Toscana. Trovate il calendario, le news con gli aggiornamenti, le anticipazioni, le foto gallery ed i dettagli di tutte le nostre inziative. è anche il punto di partenza per i nostri canali social (Facebook, Twitter, You Tube e Pinterest). Si possono scaricare materiali informativi ed inviti ad iniziative speciali: www.orchestradellatoscana.it

Sono disponibili sulla piattaforma di condivisione audio Soundcloud materiali che ci riguardano come le introduzioni ai concerti, gli interventi didattici e una selezione di brani dall’ultimo Play It! Ci trovate a questo indirizzo: soundcloud.com/orchestradellatoscana

I PROGRAMMI SU ISSUU

Tutti i programmi di sala, come questo che state leggendo, vengono pubblicati con qualche giorno di anticipo sul portale Issuu a questo indirizzo: issuu.com/orchestradellatoscana Chi vuole può dunque prepararsi all’ascolto in anticipo e comodamente da casa. Il link è disponibile anche nel nostro sito internet. I programmi resteranno a disposizione del pubblico per tutta la stagione.

LE FOTO DEL CONCERTO

Sulla nostra pagina Facebook sarà possibile vedere nei prossimi giorni un’ampia galleria fotografica che documenta questo concerto. Più in generale, sul nostro sito trovate una ricca foto gallery su tutta l’attività dell’Orchestra della Toscana, realizzata da Marco Borrelli.


SOSTENENDO L’ORT SARà TUTTA UN’ALTRA MUSICA

Crediamo che la cultura rappresenti un volano di sviluppo del territorio, arricchisca la società e assicuri la crescita consapevole delle nuove generazioni. Siamo convinti che la musica possa nutrire lo spirito e il corpo, che contribuisca a far crescere le nuove generazioni attraverso un ascolto consapevole dell’affascinante mondo musicale in cui viviamo, un mondo in continua trasformazione.

Scegli il tuo sostegno all’ORT!

La nostra proposta musicale è rivolta a tutti e suggerisce una libertà di ascolto che spazia nel tempo, dal passato al presente. Lavoriamo con impegno e passione perchè siamo convinti che con una musica intelligente e bella si possa vivere meglio. Cerchiamo amici disposti a condividere il nostro lavoro, affiancandoci nel percorso e sostenendoci nella nostra visione di una città più armoniosa.

IBAN IT 75 S061 6002 8001 0000 0010 505

Il tuo contributo potrà arricchire l’attività e i progetti di formazione e di educazione all’ascolto rivolti ai più giovani.

MY ORT SOSTENITORE AMICO ELITE

€ 50,00 € 100,00 € 250,00 € 500,00

Sul sito www.orchestradellatoscana. it è possibile scoprire tutti i vantaggi riservati ai nostri sostenitori. Il proprio contributo può essere comodamente donato con bonifico bancario sul conto corrente E anche per le aziende che vorranno essere partner dell’ORT, saremo lieti di costruire le opportunità migliori. Inoltre destinando il 5 PER MILLE all’Orchestra della Toscana si potrà contribuire ai progetti didattici, alle iniziative scolastiche e provinciali organizzate dall’ORT: basta mettere la propria firma nell’apposito spazio della dichiarazione dei redditi riservato e riportare il codice fiscale della nostra fondazione: 01774620486 Ufficio sviluppo sviluppo@orchestradellatoscana.it


CoNTATTI FONDAZIONE ORCHESTRA REGIONALE TOSCANA

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Segreteria info@orchestradellatoscana.it Direzione Generale direzionegenerale@orchestradellatoscana.it Direzione Artistica direzioneartistica@orchestradellatoscana.it Area Comunicazione ortstampa@orchestradellatoscana.it Ufficio Sviluppo sviluppo@orchestradellatoscana.it Ufficio del Personale ufficiopersonale@orchestradellatoscana.it Amministrazione direzioneamministrativa@orchestradellatoscana.it Servizi Tecnici ufficiotecnico@orchestradellatoscana.it

proGramma di sala a cura di

Ufficio Comunicazione ORT IMPAGINAZIONE

Ambra Greco TEATRO VERDI

Via Ghibellina, 99 - 50122 Firenze Biglietteria Via Ghibellina, 97 - 50122 Firenze orari dal lun al sab 10-13 e 16-19 festivi chiuso tel. (+39) 055 212320 fax. (+39) 055 288417 www.teatroverdionline.it info@teatroverdionline.it

progetto grafico

kidstudio.it Foto

Davide Cerati (copertina, 5, 6) Kaupo Kikkas (7), Marco Borrelli (18, 22) Nikolaj Lund (19) stampa

Grafiche Martinelli (Firenze)



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