Quaderno 1-2014

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Tratto dal sito: http://rivista.ording.roma.it


In copertina: Mab Zeill di M. Fuksas FRANCOFORTE

Foto di: Copyright Š Moreno Maggi


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Sommario

N. 1/2014

GLI EDITORIALI Il saluto del presidente .............................................................................................................................. 5 di Carla Cappiello

L’Editoriale.................................................................................................................................................. 7 di Francesco Marinuzzi

GLI ARTICOLI Nodi di scambio: una risorsa pubblica da valorizzare .............................................................................. 8 di A. Gaviglia, D. Giovannetti

L’esperienza della mobilità elettrica a Roma............................................................................................ 12 di F. Ciaffi

L’indicatore “densità immobiliare abitativa” nei comuni della provincia di Roma ed il suo utilizzo nell’ambito socio urbanistico estimativo ........................................................................ 16 di V. Bellucci, C. Del Prete

Le modifiche del “decreto del fare” al titolo IV del t.u. sulla sicurezza, d.lgs. 81/08 .............................. 20 di S. Barbanera., A. Coppola, M. Di Pasquale

Priorità delle misure di protezione collettiva nei lavori in quota .............................................................. 24 di E. Baron, M. Di Pasquale

L’effetto dell’azione sismica nelle fasi costruttive di un’opera di sostegno .............................................. 28 di V. Capogreco, A. Jacuzzi.

Il comportamento sotto sisma delle strutture metalliche dedicate a vano corsa ascensore, legate ad edifici esistenti: problemi e soluzioni .......................................................... 36 di G. Cavanna

La formazione: informazione ed addestramento dei lavoratori per l’uso delle attrezzature di lavoro ................................................................................................................................ 44 di F. Catalano, M. Di Pasquale, G. Evangelista, E. Grimaldi, E. Satragno

Approccio dinamico critico alla progettazione stradale nelle verifiche di visibilità.................................. 48 di M. Di Micoli, F. D’Angeli

I dati sanitari per le analisi dell’incidentalità stradale: un metodo per la valutazione dei costi sanitari .......................................................................................................... 52 di F. Ranaldi

Quando e perché conviene progettare e realizzare un impianto con funzioni domotiche .................................................................................................................................. 58 Di S. Bussoletti, G. Caruccio

I codici Ohsas 18001:2007 – cenni informativi e modalità applicative .................................................... 64 di G. Presti

Gli impianti di climatizzazione negli edifici ospedalieri............................................................................ 68 di L. Falcone, M. Cantini, F. Serra


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Fondamenti di ventilazione dell’incendio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 di A. Leonardi, G. Longobardo

Il ruolo del tecnico competente in acustica ambientale: dalla progettazione alla sicurezza nei luoghi di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 di P. Caporaletti, M. Greco, L. Quaranta

Open source . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 di F. M. Rietti

L’ingegnere dell’informazione per una pubblica amministrazione più efficiente . . . . . . . . . . . . . . 94 Di A. Caminada, M. Di Feliciantonio, F. Arcieri

Scope management: uno dei fattori più importanti per raggiungere il successo del progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 di L. Basset, D. Moretti, D. Trinca

Gli ancoranti post-installati per elementi non strutturali in zona sismica su strutture in calcestruzzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 di D. Soldati

Il mondo no-profit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 di Membri iscritti alla commissione “Ingegneria no profit”

Europass curriculum vitae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116 Di T. De Dominicis, F. Petulla, V. Lombardi

Nulla avviene per caso: Roma vice campione d’ Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 di M. De Iorio

L’AREA WEB DELLA RIVISTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128

Studio ABDR - Stazione Tiburtina (Roma) Copyright © Moreno Maggi 컄


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Quaderno Direttore responsabile

Stefano Giovenali Direttore editoriale

Francesco Marinuzzi Comitato di redazione Sezione A

Carla Cappiello Filippo Cascone Alessandro Caffarelli Carlo Fascinelli Gioacchino Giomi Lorenzo Quaresima

Manuel Casalboni Lucia Coticoni Giuseppe Carluccio Francesco Fulvi Maurizio Lucchini Tullio Russo

Sezione B

Giorgio Mancurti Amministrazione e redazione

Via Vittorio Emanuele Orlando, 83 - 00185 Roma Tel. 06 4879311 - Fax 06 487931223 Progetto grafico e impaginazione

Tiziana Primavera Stampa

Press Up Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma Via Vittorio Emanuele Orlando, 83 - 00185 Roma www.ording.roma.it segreteria@ording.roma.it

Finito di stampare: aprile 2014 Il Quaderno IOROMA è un allegato alla rivista IOROMA

La Direzione rende noto che i pareri e le opinioni espresse negli articoli pubblicati rappresentano l’esclusivo pensiero degli autori, senza per questo aderire ad esse. Per questa ragione la Direzione declina ogli qualsiasi responsabilità derivante dalle affermazioni o dai dati contenuti nei suddetti articoli.


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Il saluto del Presidente Dott. Ing. Carla Cappiello

Parte il primo numero del Quaderno dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma. Ritengo che il tema della formazione debba essere tra i primi posti dell'agenda del Consiglio dell'Ordine. All'ingegnere, infatti, è richiesta una costante crescita personale, professionale, da cui non può prescindere. L'ingegneria è un sistema complesso, dove il rapido sviluppo tecnologico, l'ultra specializzazione, l’essere multi tasking, impongono esigenze sempre nuove da soddisfare. Il Quaderno, una raccolta di testi di settore redatti dalle Commissioni Tematiche dell’Ordine, si pone, quindi, come un ulteriore strumento formativo a servizio degli iscritti, per valorizzare esperienze, idee e proposte. Ringrazio i membri delle Commissioni, che hanno permesso, grazie al loro importante contributo come autori o revisori, la nascita del Quaderno. E ringrazio sia il Vicepresidente dell'Ordine, Ing. Manuel Casalboni, che coordina quotidianamente il lavoro delle Commissioni, sia il Consigliere, Ing. Francesco Marinuzzi, Direttore Editoriale della Rivista IOROMA, che pone professionalità e dedizione nell'intero progetto editoriale. Infine, invito tutti coloro che desiderano entrare a far parte della squadra delle commissioni a consultare “l’area iscritti” del sito dell’Ordine. Buona lettura Grazie Carla Cappiello Presidente Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma


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L’Editoriale Ing. Francesco Marinuzzi

Care Colleghe, cari Colleghi, mi è particolarmente lieto presentarvi questo primo numero del Quaderno, allegato alla rivista IOROMA che permette di avere una visione d’insieme unitaria delle tematiche trattate dalle centinaia di colleghi che partecipano alle decine di commissioni dell’Ordine. Con il Quaderno si è voluto valorizzare e promuovere le eccellenze e le competenze interne di noi tutti, rappresentate ogni volta dagli autori, dai presidenti di Commissione e dai revisori, che garantiscono e filtrano la qualità finale di ogni contributo. Il Quaderno è stato ideato per esser stampato in forma elegante, al fine di valorizzare nella sua forma i propri contenuti e per esser fruito digitalmente con innovative soluzioni di condivisione ed indicizzazione. Il portale IOROMA, infatti, raggiungibile all’indirizzo http://rivista.ording.roma.it, contiene il Quaderno in formato sfogliabile e liberamente scaricabile, per dare risposte articolate, complesse e specifiche alle proprie esigenze. Un grazie a tutto il team di lavoro, che ha impiegato tempo, passione e competenza e soprattutto un grazie ai partecipanti delle Commissioni, senza i quali questo Quaderno non sarebbe stato possibile. Francesco Marinuzzi Direttore Editoriale

컅 Arch. M. Fuksas - Stabilimento De Cecco (Pescara) Copyright © Moreno Maggi


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Quaderno

Foto aerea area nodo di scambio Tor di Valle-Tarantelli

a cura di Ing. A. Gaviglia Ing. D. Giovannetti commissione Parcheggi e nodi di scambio visto da: Ing. M. Trabocchini Ing. A. Fuschiotto

NODI DI SCAMBIO: UNA RISORSA PUBBLICA DA VALORIZZARE Lo sviluppo insediativo delle aree limitrofe al G.R.A. del Comune di Roma e l’incremento del traffico veicolare già evidenziati con l’Ordinanza sindacale N.129/08, rende prioritario il miglioramento delle condizioni attuali dei nodi di scambio oltre che la realizzazione di nuovi capaci di intercettare gli attuali flussi di traffico. Tali interventi hanno l’obiettivo di disincentivare l’utilizzo del mezzo privato con benefici ambientali e sociali. A oggi le principali caratteristiche di efficienza dei nodi, ade-

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guata offerta di sosta e sicurezza dei veicoli e degli utenti, non sono sempre riscontrabili in quelli esistenti. Una soluzione è rendere l’area di scambio una centralità multifunzione che garantisca una molteplicità di servizi utili sia agli utilizzatori abituali del trasporto pubblico sia a nuovi utenti attratti dagli stessi. La piattaforma polifunzionale sarà tanto più fruibile quanto maggiore sarà la capacità di fornire alternative competitive rispetto a spostamenti con diverse finalità ed esigenze: se gli utenti riusciranno a spostarsi utilizzando il trasporto pubblico e, contemporaneamente, avranno la possibilità di usufruire di altri servizi, percepiranno conveniente l’utilizzo dell’area del nodo. In tal modo il nodo potrà essere sfruttato anche nelle ore di morbida grazie alla presenza di attività collate-

rali e dunque a una più continuativa frequentazione. Il potenziamento dei posti auto e il miglioramento delle condizioni di vivibilità e fruibilità del nodo, non sostenibili con finanziamento pubblico, si concretizzano nella realizzazione, oltre che dell’opera fredda, di cubature aggiuntive destinate a servizi che, generando reddito, permettono la fattibilità dell’intervento attraverso le procedure del project financing e della concessione. Lo studio di fattibilità del nodo di scambio Tor di Valle-Tarantelli, approvato con Ord. sindacale N.355/10, ne è un esempio. L’area dell’intervento è sita nel Municipio IX, tra Via Ostiense e Via D. Sansotta fronte stazione Tor di Valle della linea ferroviaria Roma-Lido e oggi ospita un’area dismessa per la sosta di camper, un parcheggio libero e i capolinea del trasporto pubblico. Vista la destinazione urbanistica “Nodo di scambio di livello urbano” assegnata dal Nuovo PRG, l’A.C. intende realizzare infrastrutture integrative a servizio del nodo stesso. Lo studio è basato sulle possibilità previste dalla citata Ord. N.129/08 e s.m.i. che permetteva la realizzazione all’interno dei nodi di volumetrie anche non complementari allo scambio e la possibilità di incrementare l’indice di edificabilità territoriale, andando in deroga in entrambi i casi all’art.95 delle NTA del P.R.G.. Nello specifico la superficie territoriale dell’area di interscambio è pari a ca. 31’394 mq, pertanto se venisse utilizzato l’indice eT 0,10 mq/mq, la SUL realizzabile risulterebbe 3’193 mq, insufficienti alla sostenibilità economica dell’opera. L’ipotesi di progetto prevede una SUL di 10’615 mq (eT 0,338 mq/mq) che consente la fattibilità dell’intervento. Funzione primaria dell’intervento è quella di realizzare in un’area semi abbandonata un parcheggio di scambio che soddisfi la domanda di sosta esistente e futura mediante opere destinate a rendere fruibile il nodo. La proposta prevede la riqualificazione dell’area attraverso la realizzazione di un parcheggio in elevazione, un parcheggio a raso, gli attestamenti per il trasporto pubblico, volumetrie per attività complementari al nodo e altre destinate a studentato e a struttura ricettiva e aree a verde attrezzato limitrofe. Le volumetrie consentono la sostenibilità economico finanziaria dell’intervento senza oneri per l’A.C.. Il parcheggio in struttura, prevalentemente di scambio (840 p.a.) è localizzato nell’area destinata alla sosta camper e ha a livello stradale una zona riservata a parcheggio privato di standard (ca. 90 p.a.) derivanti dalle volumetrie previste. L’incremento dei posti auto garantisce un alleggerimento della sosta, che attualmente viene effettuata sulla viabilità circostante, e pro-

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Figura 1 – Planimetria generale intervento livello 0 (quota strada) fonte Atac Patrimonio srl

duce un effetto positivo creando una domanda aggiuntiva a favore del trasporto pubblico. L’edificio, collocato di fronte alla stazione ferroviaria in posizione baricentrica, ospita le attività complementari al nodo, uno studentato e una struttura ricettiva, indispensabili per la sostenibilità economica dell’intervento, utili a rendere il luogo più vivibile e sicuro con percorsi pedonali brevi e protetti. Il piano economico finanziario del progetto, finalizzato a valutarne la redditività e la sostenibilità finanziaria, predisposto per un arco temporale pari a 50 anni, comprensivo del periodo di costruzione di 3 anni, utilizza la tecnica dell’analisi costi-benefici sostenuti e goduti da chi realizza e gestisce le opere, ipotizzando un finanziamento al primo anno di 17 mln. Il PeF è sviluppato per un’ipotesi di intervento del concessionario che prevede: finanziamento e realizzazione delle opere; gestione del parcheggio di scambio e dello studentato; vendita delle attività complementari e della struttura ricettiva con relative dotazioni di parcheggi di standard. I costi sono: i costi iniziali di investimento (di realizzazione e manutenzione straordinaria), i costi di esercizio riguardanti le attività da gestire (spese operative e di personale e costi di manutenzione ordina-

ria). I benefici sono gli introiti derivanti: dalla locazione delle unità abitative e dei posti auto ubicati nel parcheggio di scambio, dalla vendita delle altre strutture e posti auto. Per quanto riguarda la gestione del parcheggio di scambio gli introiti si identificano nel canone corrisposto dal Comune al gestore come nel vigente contratto di servizio ATAC/Comune. Per quanto concerne le strutture in vendita il prezzo è stato ricavato da indagini di mercato, con riferimento al prezzo medio desunto dall’Osservatorio Immobiliare e dell’Agenzia del Territorio. Il PeF dimostra la sostenibilità dell’iniziativa progettuale, ovvero la capacità di coprire, anno per anno, con i ricavi i costi. I livelli di redditività sono stati misurati attraverso il calcolo del Valore Attuale Netto finanziario. Il VANf assume valori con segno positivo fin dal sesto anno e cresce fino ad attestarsi a + 2,7 mln al termine del cinquantennio. Per una più realistica valutazione, occorre considerare le variabili critiche capaci di influenzare i valori dei parametri di redditività tra cui i livelli di prezzo assunti, l’entità della domanda, i tempi e le quote di effettiva realizzazione delle opere. Si ritiene tuttavia che le spese di investimento rappresentino la variabile critica primaria in quanto dalle sue variazioni

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Figura 2 – Planimetria generale intervento livelli superiori fonte Atac Patrimonio srl

risultano influenzati sia i costi di esercizio sia i ricavi. Assumendo pertanto le ipotesi di variazione delle spese di investimento e la corrispondente distribuzione di probabilità e, per ciascuna di esse, le conseguenti variazioni dei ricavi, gli effetti negativi sui parametri di redditività finanziaria sono limitati a una diminuzione di ricavi di ca. il 6%. Per una valutazione complessiva è necessario analizzare anche la convenienza economico-sociale e l’impatto ambientale dell’intervento. Nell’ambito di tale valutazione devono essere considerati i costi e i benefici sotto il profilo dell’utile socio-economico-ambientale che può determinarsi dalla operatività del nodo. La procedura di valutazione è simile a quella finanziaria. I costi sono quelli considerati nel PeF, mentre i benefici sono, oltre quelli finanziari, i salari corrisposti alla manodopera impiegata nella realizzazione, l’innalzamento dei livelli di accessibilità dell’area, la riduzione dei costi esterni derivanti da un minor utilizzo delle auto private e l’incremento della domanda di beni e servizi. Il piano socio-economico-ambientale dimostra che già a partire dal primo anno di gestione, il VANe è positivo e raggiunge + 35 mln al cinquantesimo anno. In sintesi si può osservare che, nel caso dello stu-

dio preso in analisi, il potenziamento del parcheggio di scambio, di circa 20’000 mq, è sostenibile grazie alla realizzazione di circa 10’000 mq di SUL generante reddito. Dunque, rispetto al totale delle superfici costruite, il 70% (parcheggio di scambio) produce benefici alla collettività e il restante 30% costituisce il ricavo finanziario che consente all’investitore di eseguire l’intera opera, intervenendo sulle carenze strutturali del nodo di scambio e migliorandone le condizioni generali di fruibilità e vivibilità, senza l’impiego di capitali pubblici. ■

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Figura 3 – VAN cash flow operativo fonte Atac Patrimonio srl


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L’ESPERIENZA DELLA MOBILITÀ ELETTRICA A ROMA Un breve excursus sui progetti di mobilità elettrica presenti a Roma, con riguardo ai mezzi a pedalata assistita. a cura di Ing. F. Ciaffi commissione Mobilità elettrica visto da: Ing. A. Sales Ing. A. Fuschiotto

Negli ultimi decenni stiamo assistendo a un notevole sviluppo di sistemi di gestione della mobilità, mirati alla cosiddetta “sostenibilità”; questa nuova attenzione alle tematiche ambientali è principalmente dovuta all’uso smodato del trasporto privato e, implicitamente, a tutte le conseguenze nocive che questo utilizzo eccessivo comporta, quali: inquinamento atmosferico e acustico, incidentalità e congestione. In questo contesto si inseriscono quindi tutti i provvedimenti e le politiche orientati alla cosiddetta compatibilità ambientale del trasporto, all’interno delle quali, indubbiamente, l’incentivo alla mobilità elettrica recita un ruolo fondamentale. Proprio alla luce di queste considerazioni, non stupiscono le numerose iniziative nate a Roma negli ultimi venti anni e le politiche intraprese dalle amministrazioni succedutesi in questo intervallo di tempo, rivolte tanto ai cittadini romani quanto ai city users; queste proposte risultano essere, infat-

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roma ti, mirate proprio alla diffusione, anche culturale, di forme di mobilità alternativa, quali bike sharing, car sharing e mobilità elettrica nonché all’inter-modalità tra queste e i sistemi di trasporto su ferro esistenti. Ad oggi, infatti, per quanto riguarda il car sharing, la città fornisce il servizio grazie a 120 vetture e 80 postazioni, ma è in progetto l’allargamento del servizio ad altri 8 Municipi, oltre ai 5 già esistenti, grazie al raddoppio delle postazioni e al triplicamento delle vetture disponibili. e’ intenzione, infatti, delle amministrazioni comunali, introdurre, sulla scia dell’esperienza del car sharing parigino, anche delle monovolume a 4 posti, a emissioni zero in quanto alimentate a motore elettrico, che andranno a connotare in modo sempre più “green” il servizio offerto a romani e city users. Le infrastrutture a servizio delle vetture elettriche, siano esse del servizio car sharing o meno, sono ad oggi rappresentate dalle 102 colonnine diffuse nel territorio comunale. Da non sottovalutare, poi, il servizio di trasporto pubblico offerto dall’Agenzia della Mobilità, che per molti rappresenta l’alternativa più sostenibile a livello ambientale ed economico per gli spostamenti che interessano la città di Roma (stimati al 2013 in circa 6,6 milioni al giorno). Anche in questo caso le amministrazioni hanno

scelto di conferire un’impronta “green” al servizio offerto dal momento che, con particolare riferimento alla mobilità elettrica, oltre ai 30 filobus in servizio sulle linee 60 e 90, la flotta in dotazione all’Atac presenta anche circa 90 minibus urbani, alimentati da motori elettrici. I minibus sono in servizio sul 4 linee che attraversano il centro storico nelle vie più strette e rappresentano un compromesso particolarmente funzionale per la salvaguardia del patrimonio storico culturale, con la conseguente necessità di ridurre gli impatti atmosferici e acustici su una zona già purtroppo profondamente congestionata, e le esigenze di mobilità di romani e turisti nel dedalo di vicoli e vie del centro storico romano. Tra i principali obiettivi per dare slancio alla mobilità “green”, infine, rientra il potenziamento del servizio di bike sharing, nato con propositi ammirevoli nel 2010, ma da subito in difficoltà a causa del furto delle biciclette e delle oggettive carenze della rete ciclabile romana. Tra le varie alternative al vaglio delle amministrazioni, prende corpo la possibilità di implementare un servizio di biciclette a pedalata assistita, introducendo quindi per la prima volta la trazione elettrica come supporto all’utente. La soluzione sembra essere la migliore se pensiamo alla

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ben nota conformazione orografica della città (quasi superfluo citare i famosi 7 colli), e può indubbiamente fare tesoro di alcune sperimentazioni portate avanti in questi mesi. In primis l’esperienza di “Roma-in-bici” a Villa Ada e Villa Borghese, dove è possibile l’affitto di 90 bici elettriche messe a disposizione dal Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Roma Capitale e Ducati energia. Oppure prendendo come spunto la simile sperimentazione, nata nel luglio 2012 da un accordo tra l’Università Roma Tre (principalmente i Dipartimenti di Ingegneria, economia ed Architettura ) ed enel Green Power Retail, chiamata “Progetto eLebici@ROMA3”. In particolare, enel Green Power è coinvolta nel progetto attraverso la fornitura di 30 biciclette a pedalata assistita, prodotte da Frisbee-TC Mobility, che sono state concesse in comodato gratuito all’Università Roma Tre, la quale, nel frattempo, ha raccolto un campione di 30 studenti, afferenti a tre diversi Dipartimenti: Ingegneria, Architettura ed economia. Pertanto, attraverso la collaborazione di una realtà accademica e di una realtà imprenditoriale, una volta emersa la centralità della bicicletta elettrica come risposta ad una mobilità urbana sostenibile, tanto dal punto di vista economico quanto ambientale, il progetto ha preso vita per rispondere alla necessità di studiare ed analizzare metodicamente l’applica-

zione della bicicletta elettrica in un contesto come quello della città di Roma, storicamente ostico, sia sotto il profilo culturale che urbanistico, a questo mezzo di trasporto. L’idea alla base, infatti, è proprio quella di trasformare gli spostamenti sistematici casa-studio/casalavoro in un elemento di miglioramento della qualità della vita in città attraverso l’uso di biciclette elettriche. La sperimentazione ha visto la sua inaugurazione nel Luglio 2012 e si completerà a fine gennaio 2014, dopo 18 mesi. I risultati raccolti nel primo anno di sperimentazione hanno mostrato come l’utilizzo di questo tipo di mobilità ecocompatibile sia fattibile anche in un contesto storicamente difficile come quello di Roma. A conferma di quanto appena detto, infatti, oltre 17.500 km sono stati percorsi nei primi 12 mesi per un totale di circa 3.800 viaggi. L’analisi economica ha consentito la stima di un risparmio complessivo di circa 110 € per studente (un rapporto di 1€ ogni 7 km percorsi in bicicletta) rispetto all’utilizzo dell’automobile per compiere gli stessi viaggi. In realtà il rapporto potrebbe risultare di gran lunga maggiore se si tenesse conto di costi aggiuntivi quali sosta a pagamento, assicurazioni, tasse etc. I dati più rilevanti, riguardano però le percorrenze medie dal momento che un viaggio standard si attesta sui 20 minuti di durata e i 5 km di lunghezza, confermando pienamente quan-

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roma to affermato dai più autorevoli studi di settore relativamente all’efficacia della bicicletta in ambito urbano sulle brevi distanze. Oltretutto, un’analisi dei motivi che hanno spinto ad effettuare tutti i circa 3.800 viaggi ha mostrato come circa il 65% degli stessi sia stato compiuto per motivi casa-studio/casa-lavoro, a dimostrazione del fatto che la ciclabilità elettrica può essere a tutti gli effetti considerata alla stregua delle modalità classiche per gli spostamenti sistematici dell’ora di punta della mattina. L’eccezionalità dei risultati ottenuti è ancor più accentuata dall’analisi delle condizioni carenti della rete infrastrutturale, dal momento che solo il 12% degli oltre 17.000 km percorsi è stato effettuato su piste ciclabili. I numerosi dati appena descritti, rappresentano il punto di partenza per la seconda fase e la terza fase del progetto, che vedranno la loro realizzazione in seguito alla chiusura dei 18 mesi di sperimentazione e durante le quali cia-

scun gruppo di studio, afferente ad uno dei 3 dipartimenti coinvolti nel progetto, avrà il compito di elaborare quanto emerso e formulare proposte da rivolgere a diversi soggetti. Le proposte saranno, pertanto, mirate a creare una sinergia tra il mondo accademico, le amministrazioni comunali, l’Ordine degli Ingegneri di Roma e il mondo imprenditoriale, al fine di concretizzare l’auspicio di “mettere in pratica la teoria” che dal primo giorno ha spinto il progetto eLebici@ROMA3. Questo progetto, così come tutte le iniziative precedentemente elencate, rappresentano indubbiamente una piacevole novità nel mondo delle politiche sulla mobilità a livello italiano. La presenza di molteplici e integrati punti di vista e obiettivi, può consentire, infatti, la creazione di gruppi di lavoro in possesso di conoscenze multidisciplinari, ma al tempo stesso integrabili, in grado quindi di ottenere risultati lusinghieri e forieri di futuri riscontri. ■

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L’INDICATORE “DENSITÀ IMMOBILIARE ABITATIVA” NEI COMUNI DELLA PROVINCIA DI ROMA ED IL SUO UTILIZZO NELL’AMBITO SOCIO URBANISTICO ESTIMATIVO

a cura di Ing. V. Bellucci Ing. C. Del Prete commissione estimo immobiliare visto da: Ing. M. Curatolo Ing. M. Cima

Un professionista nella redazione di una stima può effettuare opportune analisi, anche di carattere personale, per consigliare il committente sulla fattibilità di un intervento edilizio o sull’acquisto di un immobile. Nel campo immobiliare sono quindi di grande importanza taluni indicatori che ci consentono di rilevare complessi fenomeni, quali la percezione della vivacità del mercato immobiliare e le sue dimensioni in un ambito territoriale (comune, provincia ecc). A questo riguardo l’Agenzia del Territorio ne ha istituiti alcuni tra i quali si citano: • Il numero di transazioni normalizzate (NTN); • Il grado di intensità del mercato immobiliare (IMI); • Indice delle nuove costruzioni. Ricordiamo che l’indicatore definito “Numero di Transazioni Normalizzate” (NTN) rappresenta il numero di compravendite avvenute nell’anno, rispetto alle quote di proprietà oggetto della medesima transazione. Ciò significa, per esemplificare, che nel caso di tre transazioni aventi per oggetto rispettivamente

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1/3, 1/3, e 1 del diritto di proprietà di un immobile, il numero di transazioni contate non è 3, bensì 1,667. Il grado di intensità del mercato immobiliare, rappresentato dall’IMI, è dato dal rapporto tra il numero delle compravendite normalizzate (NTN) e lo stock relativo. NTN IMI = ————— Stock Lo stock è il numero di unità immobiliari presenti in un Comune, distinte per tipologia edilizia. La conoscenza dei valori del “grado di inten-

sità del mercato immobiliare” (IMI) consente di percepire quale sia stata la “movimentazione” degli immobili compravenduti rispetto allo stock presente nel territorio. Ma l’Agenzia del territorio ha ritenuto di dover ampliare il campo dei propri studi attraverso la conoscenza di un nuovo indicatore immobiliare denominato “Densab”. L’indicatore “densità immobiliare abitativa” (Densab) esprime il rapporto esistente tra lo stock relativo alle unità immobiliari urbane presenti in un comune ed il totale della popolazione ivi residente. Ovviamente, se consideriamo lo stock immobi-

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liare relativo alla destinazione residenziale, si evidenzia che tanto più elevato è tale rapporto, tanto minore, in termini relativi, dovrebbe risultare il fabbisogno di abitazioni. Con l’indicatore “Densab” è possibile desumere inoltre varie indicazioni con riferimento al segmento abitativo, quali ad esempio la vocazione turistica del territorio verso cui si rivolge la domanda, in quanto è tipico dei comuni ad alta vocazione turistica avere un’offerta per le “seconde case” elevata e tale da far elevare il valore dell’indicatore. e proprio ad un elevato valore di “Densab” viene sempre associato un maggior grado di soddisfacimento di abitazioni e quindi la potenzialità di soddisfare la domanda proveniente anche da residenti di altre regioni o province. Grazie a tale indicatore si possono ovviamente effettuare anche studi di fattibilità economica e sociale e, soprattutto, si può verificare ed analizzare la saturazione o la carenza nel territorio degli immobili di tipo abitativo; nell’ambito estimativo se la “Densab” viene associata ad altri indicatori o ad altri fenomeni, si è in grado di consigliare un acquisto o una vendita di un immobile. Nel caso concreto si tratta di studiare, in ciascun ambito, mediante i risultati ottenuti con la “Densab”, le evenienze di tipo urbanistico che possono portare a rimodulare la pianificazione socio economica di un territorio o che, ancor più, consentono di riprogettare un territorio alla luce delle evidenze connesse a eventi straordinari, flussi migratori o alla loro regolazione nell’ambito provinciale o addirittura nazionale, ovvero ad accadimenti di natura civile legati anche a calamità naturali. Un’analisi più accurata del fenomeno va ricercata ovviamente, oltre che nei valori della “Densab”, anche nella loro concorrenza con i dati statistici demografici di ogni comune osservato. Non va sottovalutato, infatti, l’esame integrato tra il suddetto indicatore e le emergenze sui dati anagrafici relativi: • al numero dei residenti e al confronto tra i i censimenti Istat; • all’andamento negli anni dei residenti, del numero di famiglie, dei componenti per famiglia, della percentuale di popolazione maschile e femminile; • al bilancio demografico; • ai tassi di natalità, mortalità, crescita naturale, numero di nati, immigrati/emigrati ovvero la conoscenza del saldo migratorio; • alla distribuzione per età, l’età media della popolazione, l’indice di vecchiaia ed il numero di ultracentenari presenti; • alla distribuzione per stato civile e il numero

• • •

e la percentuale di celibi/nubili, coniugati, divorziati e vedovi; ai cittadini stranieri e al relativo bilancio demografico, all’acquisizione di cittadinanza italiana, al tasso di crescita; ai redditi, alla distribuzione per fascia di reddito, alla media per dichiarante e media per popolazione; al numero di autoveicoli e similari.

Solo così è possibile conoscere ed osservare, nella sua globalità, con un’analisi completa che va oltre la normale lettura del dato secco, il fenomeno della densità abitativa, della dinamica di mercato delle abitazioni o della loro carenza in un territorio e di studi di fattibilità economica di un intervento edilizio.

La Densab sul territorio nazionale Da un’analisi macroterritoriale effettuata su alcune province del territorio nazionale (vedi Tabella n. 1) emerge che Milano sorprendentemente ha una “Densab” pari a 0,60, superiore cioè a quella posseduta da altre città, quali Roma, Torino, Genova e quindi presenta, nel suo territorio, un’ampia disponibilità di alloggi.

La Densab nella provincia di Roma effettuiamo ora un’analisi, ancorché sommaria, del fenomeno nell’ambito della provincia di Roma, osservando soltanto alcuni comuni, ma i cui risultati danno la dimensione di un nuovo elemento di grande interesse, non solo per tutti gli speculatori immobiliari, ma per le grandi organizzazioni che governano eventi di natura sociale economica, ovvero che coordinano i

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roma grandi accadimenti territoriali o di protezione civile. Dall’esame della densità immobiliare abitativa si rileva innanzitutto la peculiarità, abbastanza rara, che sia la provincia che l’ambito comunale hanno sostanzialmente medesimi valori di “Densab”. Questa situazione fa emergere che il territorio provinciale e quello comunale, fatte salve alcune eccezioni, sono mediamente omogenei tra di loro, con riferimento alla disponibilità di abitazioni nel loro ambito. Roma

Densab

Provincia Capoluogo

0,54 0,54

Ma ovviamente il dettaglio fa emergere situazioni atipiche e particolari che debbono essere esaminate singolarmente con attenzione e cautela. entrando nello specifico, dalla Tabella n. 2 emerge, a titolo esemplificativo, che i territori comunali di Anzio ed Ardea possiedono una “Densab” pari rispettivamente a 0,69 e 0,74 che rileva una ridondanza di unità immobiliari abitative, rispetto al numero dei residenti. D’altra parte si osserva che detti comuni sono cittadine balneari che sorgono sul litorale romano. Specialmente Anzio costituisce un forte richiamo turistico anche per la presenza di un porto ben attrezzato e uno scalo di traghetti per le isole Pontine. Comune (TABELLA N. 2) AFFILe AGOSTA ALBANO LAZIALe ALLUMIeRe ANGUILLARA SABAZIA ANTICOLI CORRADO ANZIO ARDeA ARICCIA ARSOLI ARTeNA CAPRANICA PReNeSTINA CeRVARA DI ROMA FORMeLLO FRASCATI GeNZANO DI ROMA GROTTAFeRRATA VIVARO ROMANO

Densab

e situazione ancor più ragguardevole si verifica nel comune di Cervara di Roma dove, con un valore di 2,68 si riscontra la presenza di quasi tre abitazioni per ciascun abitante residente. Anche Vivaro Romano possiede, rispetto a tutti gli altri comuni della provincia una situazione anomala con “Densab” elevatissima (2,71) che, ovviamente, deve essere esaminata con particolare attenzione per comprendere le effettive cause dell’entità di tale fenomeno. Nel comune di Camerata Nuova ci troviamo invece nella situazione opposta, in quanto i valori rilevati rilevano che ciascun residente occupa soltanto lo 0,29 abitazione, con carenza abitativa rispetto alla popolazione residente. Si tratta in definitiva di emergenze comunali i cui ambiti devono essere meglio analizzati, per comprendere tali evidenze. Un esame più ampio, e sotto certi punti di vista anche di interesse, si riscontra nei Castelli romani che rilevano una “Densab” in linea con quella della provincia. In altri termini si evidenzia che i territori in questione stanno sempre più assumendo la caratteristica e la connotazione di quartieri satelliti alla metropoli Roma mentre perdono, sempre più, la peculiarità di paesi di villeggiatura con prevalenza di seconde case. In definitiva non è certo facile esaminare e comprendere le cause ed il perché di tali fenomeni, ma è certo utile disporre di tale indicatore immobiliare che, unitamente ad altri, può concorrere ad una migliore e più equa pianificazione territoriale. ■

0,89 0,88 0,45 0,62 0,41 1,12 0,69 0,74 0,45 0,77 0,41 2,17 2,68 0,59 0,48 0,44 0,47 2,71

Ma, entrando nel particolare, non può che osservarsi che, in maniera sorprendente, nel comune di Capranica Prenestina si rileva una “Densab” addirittura pari a 2,17 evidenziando che, nel proprio ambito territoriale, esistono più di due abitazioni per ciascun residente.

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LE MODIFICHE DEL “DECRETO DEL FARE” AL TITOLO IV DEL T.U. SULLA SICUREZZA, D.LGS. 81/08 a cura di Ing. S. Barbanera Ing. A. Coppola Ing. M. Di Pasquale commissione Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili visto da: Ing. M. L. Innocenti Ing. M. Cerri

Con il Decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013 “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, c.d. decreto “del fare” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.144 del 21 giugno 2013, Supplemento Ordinario n. 50, ed entrato in vigore il 22 giugno 2013, il Governo ha inteso intervenire al fine di emanare disposizioni inerenti, tra l’altro, la crescita economica e la semplificazione del quadro amministrativo normativo. Il provvedimento varato è un complesso articolato di misure che nelle intenzioni dell’esecutivo si propongono, mediante il sostegno alle imprese e il rilancio delle infrastrutture, unitamente ad un’asserita riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese, di fornire al sistema produttivo il necessario impulso nella direzione di una significativa ripresa economica. Il successivo iter del Decreto prevedeva la sua conversione in legge ordinaria dello Stato in sede parlamentare entro 60 giorni, ovvero entro il 21 agosto 2013, come difatti avvenuto, con modificazioni, con la Legge n. 98 del 9 agosto 2013, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2013 ed entrata in vigore il 21 agosto 2013. Tra gli aspetti toccati dalla novella legislativa vi è stato anche il D.lgs. n.81/08 e s.m.i., Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Le modifiche apportate al Titolo IV, che disciplina la salute e la sicurezza nei cantieri temporanei e mobili, consistono in: interventi sull’art. 88 – (Campo di applicazione), con la riformulazione della lettera g-bis) del comma 2 e l’aggiunta del comma 2-bis (previste la prima all’art. 32, comma 1, lettera g) e la seconda all’art. 32, comma 1, lettera g-bis); misure, queste, che modificano in parte il campo di

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roma applicazione del suddetto Titolo; e nell’aggiunta dell’art. 104 bis – (Misure di semplificazione nei cantieri temporanei o mobili), che prevede per il futuro l’adozione di apposita modulistica nella redazione di POS, PSC e Fascicolo dell’Opera (prevista all’art. 32, comma 1, lettera h). Per quanto riguarda l’art. 88 (riportato di seguito con evidenziate le parti oggetto di modifica e integrazione), Art. 88 – (Campo di applicazione) 1. Il presente capo contiene disposizioni specifiche relative alle misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori nei cantieri temporanei o mobili quali definiti all’articolo 89, comma 1, lettera a). 2. Le disposizioni del presente capo non si applicano: a) ai lavori di prospezione, ricerca e coltivazione delle sostanze minerali; b) ai lavori svolti negli impianti connessi alle attività minerarie esistenti entro il perimetro dei permessi di ricerca, delle concessioni o delle autorizzazioni; c) ai lavori svolti negli impianti che costituiscono pertinenze della miniera: gli impianti fissi interni o esterni, i pozzi, le gallerie, nonché i macchinari, gli apparecchi e utensili destinati alla coltivazione della miniera, le opere e gli impianti destinati all’arricchimento dei minerali, anche se ubicati fuori del perimetro delle concessioni; d) ai lavori di frantumazione, vagliatura, squadratura e trasporto dei prodotti delle cave ed alle operazioni di caricamento di tali prodotti dai piazzali; e) alle attività di prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio degli idrocarburi liquidi e gassosi nel territorio nazionale, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale e nelle altre aree sottomarine comunque soggette ai poteri dello Stato; f) ai lavori svolti in mare; g) alle attività svolte in studi teatrali, cinematografici, televisivi o in altri luoghi in cui si effettuino riprese, purché tali attività non implichino l’allestimento di un cantiere temporaneo o mobile; g-bis) ai lavori relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento, nonché ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi, che non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’allegato XI;

g-ter), alle attività di cui al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272, che non comportino lavori edili o di ingegneria civile di cui all’allegato X. 2-bis.Le disposizioni di cui al presente titolo si applicano agli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e alle manifestazioni fieristiche tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle relative attività, individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della salute, sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, che deve essere adottato entro il 31 dicembre 2013. Con la riscrittura della lettera g-bis) viene ampliato il novero delle attività escluse dall’applicazione del Capo I del Titolo IV, con l’estensione “ai piccoli lavori la cui durata presunta non è superiore a dieci uomini-giorno, finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi” che, mentre da un lato appare come una positiva risposta alle aspettative degli operatori del settore, dall’altro, venendo meno tutta una serie di adempimenti precedentemente previsti relativi alla “qualificazione” di detti operatori, rischia di favorire l’inserimento sul mercato di soggetti non qualificati, con prevedibili riflessi negativi sotto l’aspetto della sicurezza dei lavoratori.1 Ne consegue altresì che tale tipologia di lavori, cioè quelli “finalizzati alla realizzazione o alla manutenzione delle infrastrutture per servizi”, ma della durata prevista superiore a 10 uominigiorno, risultano soggetti agli adempimenti di cui al Capo I del Titolo IV ancorché “non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’allegato XI”. Ulteriore considerazione va riservata ai lavori, già contemplati nel testo precedente, “relativi a impianti elettrici, reti informatiche, gas, acqua, condizionamento e riscaldamento” che nella formulazione attuale risultano esclusi dagli adempimenti di cui al Capo I del Titolo IV, a condizione “che non espongano i lavoratori ai rischi di cui all’allegato XI”, laddove la condizione precedentemente sussistente era “che non comportino lavori edili o di ingegneria civile di cui all’allegato X”, ricalibrando in tal modo il criterio alla base dell’esclusione sulla presenza o meno di rischi specifici. Con l’aggiunta del comma 2bis vengono infine estesi gli obblighi di cui al Capo I del Titolo IV anche “agli spettacoli musicali, cinematografici e teatrali e alle manifestazioni fieristiche tenendo conto delle particolari esigenze connesse allo svolgimento delle relative attività”; l’indivi-

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duazione di queste ultime viene peraltro demandata all’adozione, entro il 31 dicembre 2013, di uno specifico decreto interministeriale. Il comma aggiunto delinea ora chiaramente il corretto inquadramento di tali attività in tema di salute e sicurezza sul lavoro; problematica divenuta peraltro di stringente attualità anche a seguito del susseguirsi, in tempi recenti, di una serie di infortuni, dei quali alcuni mortali, occorsi durante l’allestimento delle strutture tecniche di supporto (sinteticamente denominate “palchi”) e delle scenografie di spettacoli di artisti di livello nazionale ed internazionale, che hanno avuto per questo motivo un notevole risalto mediatico. Come noto, in tali circostanze le attività sono caratterizzate dalla necessità di procedere al montaggio e smontaggio, peraltro in tempi molto spesso assai ristretti, di strutture e scenografie anche notevolmente complesse, da istallarsi di volta in volta in spazi quasi sempre adattati allo scopo (palasport, stadi, teatri tenda, piazze, ecc.), in parte con maestranze ad alta specializzazione riferibili all’organizzazione generale (le stesse ad ogni allestimento), coadiuvate da soggetti a bassa o nulla specializzazione riferibili all’organizzazione locale. Tuttavia un’analisi più approfondita della norma introdotta sarà possibile soltanto all’atto dell’emanazione del relativo decreto attuativo. Con l’aggiunta dell’art. 104 bis, nella seguente formulazione, Art. 104 bis – (Misure di semplificazione nei cantieri temporanei o mobili) 1. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro della salute, da adottare sentita la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro, previa intesa in sede di Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati modelli semplificati per la redazione del piano operativo di sicurezza di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h), del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, comma 1, e del fascicolo dell’opera di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), fermi restando i relativi obblighi. si ha probabilmente una modifica destinata ad incidere sensibilmente nelle attività legate alla sicurezza dei cantieri, quantomeno nella fase di redazione ed aggiornamento dei relativi documenti. Viene infatti stabilito che per la redazione del POS, del PSC e del Fascicolo dell’Opera verrà adottata un’apposita modulistica da individuarsi con un decreto interministeriale, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del

decreto, come riportato al successivo comma 2 dell’art. 32. Qualche perplessità suscita l’aggettivo “semplificati“ con il quale si è ritenuto di qualificare i modelli da individuarsi, come se fosse attualmente in uso altra modulistica con la quale comparare questi nuovi modelli. Tuttavia un maggiore approfondimento potrà aversi solo dopo aver valutato le caratteristiche di tali modelli; infatti, mentre se da un lato sussiste il rischio che ricondurre il progetto della sicurezza di un cantiere alla compilazione di uno o più moduli, peraltro “semplificati”, possa contribuire ad un appiattimento delle attività connesse, (rischiando di portare ad un generale scadimento della qualità dei piani, con particolare riguardo ai piccoli cantieri); dall’altro è anche possibile che inquadrare le valutazioni da fare in una serie di operazioni codificate (sul modello della check-list), possa contribuire ad elevare il grado di consapevolezza degli operatori, soprattutto nei casi più critici, ovvero laddove i rischi sono spesso sottovalutati. Occorre evidenziare, inoltre, che con il comma 4 dell’art 32, analoga modifica viene apportata al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, relativamente alla redazione del PSS, piano di sicurezza sostitutivo. Anche in questo caso il successivo comma 5 stabilisce che il relativo decreto interministeriale dovrà emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto. Alla data di estensione del presente articolo, 15/04/2014, nessuno dei decreti sopra citati risulta emanato. Ad oltre 3 mesi dalla pubblicazione della Legge n. 98 del 9 agosto 2013, con la quale sono state confermate la maggior parte delle novità introdotte dal Decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013, si registra la puntuale risposta delle varie parti sociali; le opinioni, per quanto eterogenee e rappresentative di differenti punti di vista, sostanzialmente concordano su alcune considerazioni di base. Le posizioni sono, infatti, unanimi nel constatare l’assenza nel Decreto delle promesse “semplificazioni”, e nel rilevare, invece, ulteriori adempimenti che comporteranno un rallentamento dell’iter procedurale. I sindacati confederali CGIL-CISL-UIL, hanno espresso preoccupazione per la riduzione delle tutele del lavoro derivante dalle semplificazioni introdotte dal decreto, che rappresentano per il Paese un passo indietro rispetto alle tematiche riguardanti la sicurezza dei lavoratori. L’Associazione Nazionale dei Costruttori Edili (ANCE) ha pubblicato un focus sulle principali novità che riguardano il settore edile e riguardo

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roma l’art.32 del suddetto Decreto ha sottolineato che se, da una parte dà inizio ad un opportuno processo di snellimento degli adempimenti formali riguardanti la sicurezza sul lavoro, dall’altra parte non garantisce un’adeguata qualificazione dei soggetti operanti in cantiere2. Confindustria si è detta favorevole all’intervento di semplificazione sul tema della formazione (modifica degli artt. 32 e 37 del D. Lgs. 81/08), mentre ha bocciato la modifica inerente la verifica delle attrezzature di lavoro, giudicandola contraria allo spirito della norma3. Confcommercio con un intervento del Presidente Carlo Sangalli, disapprova le modifiche contenute nel Decreto Legge, sottolineando che la sburocratizzazione e semplificazione che le imprese si aspettavano non si è avuta ma, al contrario, si registra un incremento degli adempimenti4. Rete Imprese Italia esprime una valutazione genericamente positiva sia a livello economico sia per quanto riguarda le semplificazioni in materia ambientale e della sicurezza sul lavoro, anche se il Presidente Ivan Malavasi parla di risultati antitetici rispetto alle aspettative, denunciando maggiore burocrazia, aggravio di costi e minori facilitazioni, senza peraltro incidere sulla sicurezza sostanziale dei lavoratori5. Tra le varie associazioni di categoria si segnala il parere dell’OICE - Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria – che dichiara di apprezzare i primi interventi di urgenza per il rilancio e la crescita contenuti nel Decreto Legge n.69, ma sottolinea contestualmente la necessità di intervenire con maggior efficacia ed efficienza nel campo dell’internazionalizzazione delle imprese e delle regole per gli appalti6. Anche il parere espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, in linea di massima favorevole, è condizionato all’accoglimento di alcuni emendamenti, tra cui quello relativo all’art. 32 (Semplificazione di adempimenti

formali in materia di sicurezza del lavoro); vengono infatti evidenziati come criticità sia l’abbassamento dei livelli di tutela per i lavoratori che i tempi di attuazione del decreto, la cui immediata esecutività è legata all’emanazione di ulteriori decreti di definizione analitica della norma7. C’è da registrare, infine, il recente giudizio complessivo sulla norma che ha espresso il p.m. Raffaele Guariniello (Bologna-17 ottobre 2013) che, rispondendo alla richiesta se il Decreto del Fare avesse apportato un miglioramento o un peggioramento all’efficacia della normativa sulla sicurezza, sottolinea come il problema dell’Italia non sia di leggi, che ritiene le migliori del mondo, ma della loro concreta applicazione; auspicando nel contempo un potenziamento quantitativo e qualitativo degli organi di vigilanza ed una maggiore serietà nelle relative attività ispettive, unitamente ad una maggiore efficacia dei controlli della magistratura8. In conclusione si può ragionevolmente affermare che l’annunciata semplificazione, nonché la determinazione dell’entità dei relativi risparmi, restano in sospeso in quanto demandati all’emanazione dei numerosi decreti ministeriali previsti. Di sicuro resta soltanto il notevole aumento di questi ultimi in una situazione, peraltro, in cui anche molti di quelli precedentemente previsti non hanno ancora visto la luce, fermo restando l’auspicio che nel perseguimento di una supposta semplificazione non si finisca con l’abbassare gli standard sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Tuttavia, allo stato attuale non si può che constatare come il perdurare di tale modo di legiferare concorra a vanificare, di fatto, lo sforzo prodotto con l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008, non a caso denominato Testo Unico, che appesantendosi di rimandi a provvedimenti futuri finisce per rendere la norma, di per sé sensibilmente articolata, di ancor più complessa attuazione. ■

1 Nota CGIL CISL UIL, 28/06/13 http://www.uil.it/Documents/NOTA%20Cgil%20Cisl%20Uil%20definitiva%2028.06.13.pdf 2 ANCe, Il Testo unico sulla sicurezza alla luce delle modifiche apportate dalle legge 9 agosto 2013, n. 98, 03/09/2013 http://www.ance.it/docs/Approfondimenti.aspx?id=132&pid=27&pcid=33&docId=12781 3 CONFINDUSTRIA BeNeVeNTO, Nota di commento al Decreto del Fare, 19/09/2013 http://www.confindustria.benevento.it/includes/php/file/download.php?codice=2269 4 CONFCOMMeRCIO-Sangalli, Decreto con 21 adempimenti in più non semplifica ma complica, 25/07/2013 http://www.confcommercio.it/-/sangalli-con-ventuno-adempimenti-in-piu-non-semplifica 5 ReTe IMPReSe ITALIA-Malavasi, Il testo non mantiene le promesse, 24/07/2013 http://www.reteimpreseitalia.it/Notizie-dalla-Rete/Decreto-del-fare-il-Presidente-Malavasi-Il-testo-non-mantiene-le-promesse 6 OICe, Comunicato stampa, 18/06/2013 http://www.oice.it/adon.pl?act=Attachment&id=2e56e7a08527e309e1b2d70da79c52d8 7 CONFeReNZA DeLLe ReGIONI e DeLLe PROVINCIe AUTONOMe, Parere sul disegno di legge di conversione in legge del D.L. 21/06/2013 n°69 recante “disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, 11/07/2013 http://www.statoregioni.it/Documenti/DOC_040712_64%20CU%20(P.%203%20ODG).pdf 8 Tiziana Menduto, Guariniello: i decreti della semplificazione che complicano, su Puntosicuro, 25/10/2013 http://www.puntosicuro.it/sicurezza-sul-lavoro-C-1/tipologie-di-contenuto-C-6/normativa-C-65/guariniello-i-decreti-dellasemplificazione-che-complicano-AR-13281/

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PRIORITÀ DELLE MISURE DI PROTEZIONE COLLETTIVA NEI LAVORI IN QUOTA a cura di Ing. e. Baron Ing. M. Di Pasquale commissione Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili visto da: Ing. M. L. Innocenti Ing. M. Cerri

La priorità delle misure di protezione collettiva è un importante principio di prevenzione comparso per la prima volta nel DLgs 626/94 nelle misure generali di tutela. Occorre tuttavia avere chiaro che, se tale priorità si confonde con un obbligo, si limita la libertà del progettista. Premessa Le misure di prevenzione e protezione possono essere di tipo collettivo e di tipo individuale. In alcuni casi la protezione individuale non ammette alternativa come per esempio in un lavoro subacqueo, nello spegnimento di un incendio, nella costruzione di un ponteggio. In altri casi, molto più numerosi, per eliminare o ridurre il rischio c’è la possibilità di mettere in atto sia una protezione di tipo collettivo sia una protezione di tipo individuale, come per esempio nella difesa contro i fumi di saldatura, o nei lavori in quota per la riparazione di un tetto a falde. Dato per scontato che la realizzazione a regola d’arte costituisca la base comune di qualsiasi misura di prevenzione l’adozione di una misura di protezione individuale in generale evita o diminuisce i rischi in modo meno efficace rispetto alle misure di protezione collettiva soprattutto perchè la sicurezza del sistema, dipende dal comportamento dei singoli lavoratori e dalla vigilanza del datore di lavoro e perché molto spesso la protezione individuale

comporta una riduzione del rischio meno efficiente di quella collettiva, come ad esempio l’elmetto rispetto alla tettoia per un ferraiolo che opera sul banco di piegatura dei tondini di un cantiere. Per questo uno dei principi più importanti stabiliti dalle misure generali di tutela elencate all’art.15 del D.Lgs. 81/08 collocato alla lettera i) del primo comma è la 1. priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale; Il termine priorità nella disciplina antinfortunistica è un termine relativamente nuovo e nonostante sia stato introdotto dalla norma (il D.Lgs 626/94) solo nel confronto fra protezione individuale e collettiva è strettamente connesso alla valutazione del rischio proprio perché contiene in modo intrinseco il concetto di valutare e distinguere, a differenza dell’obbligo che prescinde da tale attività di pensiero perché costituisce un precetto imperativo. Ma senza approfondire un argomento che ci porterebbe

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Le foto sono state gentilmente concesse dall’azienda C.S.C. s.r.l. Attrezzature per l’edilizia. Reggio emilia

lontano e un po’ fuori tema osserviamo che in una disciplina che stabilisce quasi esclusivamente precetti il concetto di priorità non è molto facile da gestire e tuttavia se non vogliamo perdere questa possibilità di ottimizzare le risorse è bene tenere sempre presente che priorità non è obbligo. L’osservazione potrebbe sembrare peregrina se non accadesse che il principio stabilito nella parte generale del testo unico sembrerebbe poi non più utilizzabile nell’art. 148 per i lavori cosiddetti speciali dove leggiamo Articolo 148 - Lavori speciali 2. Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, fermo restando l’obbligo di predisporre misure di protezione collettiva, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego.

I lavori speciali hanno una storia. erano stati presi in considerazione nell’art. 70 D.P.R. 164 del 1955 , dove si leggeva lo stesso testo senza il riferimento alle misure di protezione collettiva 1. Prima di procedere alla esecuzione di lavori su lucernari, tetti, coperture e simili, deve essere accertato che questi abbiano resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai e dei materiali di impiego. Questo testo era stato trasferito senza mutazioni nell’art. 148 della prima edizione del D.Lgs 81/08 ma poi è stato modificato dall’art. 85 del D.Lgs. 106/09 nell’attuale. In sostanza il testo della norma indica chiaramente che fin dall’emanazione della prima legge di prevenzione infortuni nelle costruzioni il legislatore è stato attento, nelle misure di sicurezza contro la caduta dall’alto, alle possibili situazioni precarie delle coperture e tuttavia in un momento cruciale del testo unico ha sentito il bisogno di modificare la stesura iniziale e già in vigore derogando, per questo caso dei lucernari, tetti, coperture e simili dai principi stabiliti e confermati nelle misure generali di tutela. La situazione può essere interpretata in vari modi ma poiché una delle possibile interpretazioni porterebbe a vanificare tutti i sistemi di arresto caduta istallati sui tetti a falde costituiti da linee vita e imbracature di sicurezza si ritiene che l’argomento meriti un chiarimento da parte della commissione consultiva permanente. Uno degli scopi di questo lavoro è anche portare all’attenzione il problema al Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in quanto Organo competente a preparare un interpello. L’istallazione di una linea vita per un sistema di arresto caduta risponde infatti a una scelta progettuale ispirata proprio al fatto che ammessa la possibilità che il sistema di protezione collettivo sia considerato prioritario e non obbligatorio il progettista riesce a dimostrare attraverso una valutazione del rischio del sistema collettivo e del sistema individuale che l’utilizzo di quest’ultimo comporta un rischio minore.

Esempio di valutazione del rischio Quanto riportato finora comporterebbe, tra l’altro, la facoltà da parte dell’Organo di vigilanza di prescrivere ugualmente l’adozione dei prioritari accorgimenti tecnico-organizzativi prescritti in via generale dalla norma, anche qualora i livelli di igiene e sicurezza prescritti dalla legge siano rispettati, seppur attraverso l’utilizzo di

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dispositivi di protezione individuale. Mentre invece il principio sostenuto nelle misure generali di tutela farebbe intravedere la possibilità di utilizzare i DPI non solo dopo aver constatato l’impossibilità di attuare altre misure tecniche, procedurali o organizzative per prevenzione per la riduzione dei rischi alla fonte (misure di protezione collettiva), ma anche quando il datore di lavoro è in grado di dimostrare che con la valutazione dei rischi si è rilevato che i sistemi di protezione individuale riducono il rischio in misura maggiore di quelli di protezione collettiva. Di seguito si effettuerà, in via esemplificativa, la valutazione del rischio nel caso di lavori in copertura (ad es. intervento manutentivo di ripristino locale del manto impermeabile) di un edificio di due piani con tetto a falde, eseguiti in un caso con l’apprestamento di un ponteggio perimetrale e nell’altro con l’utilizzo di un sistema permanente di protezione, costituito da una linea di vita. Nei lavori in quota i lavoratori sono esposti sia al rischio di caduta dall’alto (o strettamente connessi ad esso) che a quelli di natura diversa legati alla specifica attività da svolgere. Si possono individuare le seguenti tipologie di rischio: a) Rischio prevalente di caduta dall’alto a seguito di caduta dall’alto; b) Rischio connesso al DPI anticaduta; c) Rischio innescante la caduta; d) Rischio di natura atmosferica; e) Rischio specifico dell’attività lavorativa da eseguire. Nell’analisi si prescinderà dai rischi specifici dovuti all’attività manutentiva, poiché invariabili e non influenzati dalla scelta DPC/DPI. Parimenti per i rischi di cui alle lettere b), c) e d). Soffermandoci dunque al rischio prevalente di caduta dall’alto, avremo, nel primo caso, n.2 addetti (preposto/addetto al montaggio ed addetto al montaggio) intenti alla installazione del ponteggio perimetrale per un tempo di almeno 8 ore, nel secondo si avrà un solo addetto, intento alla manutenzione della copertura, esposto al rischio prevalente per un tempo di alcune ore (4-8 al max in funzione delle dimensioni, comunque limitate, dell’area interessata), necessarie per lo spostamento delle tegole, il ripristino della impermeabilizzazione ed il riposizionamento del manto di copertura. In entrambi i casi i lavorato si saranno esposti al rischio di caduta dall’alto, ma nel caso della costruzione del ponteggio si avrà un numero doppio di lavoratori esposti e per un tempo

eguale o superiore al primo. Abbiamo scelto per l’esempio un edificio basso ma è chiaro che tanto più è alto l’edificio e/o con ingombro in pianta maggiore ancora più elevato sarà, nella costruzione del ponteggio, il tempo di esposizione al rischio di caduta dall’alto rispetto al caso di utilizzo di un dispositivo permanente per DPI anticaduta. Da una valutazione del rischio estesa emerge che per una copertura con inclinazione delle falde sino a 15% (9°) l’adozione della linea di vita e della imbracatura copre anche dal rischio di caduta da scivolamento lungo le falde, al contrario del tutto non protetto con l’uso del ponteggio perimetrale se non con l’ulteriore utilizzo di sistema di caduta contenuta. Riassumendo, se, conformemente alle prescrizioni dell’art. 148, si utilizzasse sempre un ponteggio ovvero un DPC, un numero maggiore di lavoratori sarebbero esposti a gravi rischi (caduta dall’alto e caduta di materiale dall’alto) e per una durata significativamente maggiore di quella necessaria per l’esecuzione dell’intervento manutentivo. È dimostrato quindi , seppur in via esemplificativa, come in certi casi una scelta migliore sia progettare un sistema di protezione individuale perché espone un numero inferiore di addetti al pericolo di caduta dall’alto e per un tempo anch’esso minore. Il nocciolo della questione è saper riconoscere, attraverso una attenta valutazione dei rischi, quando è preferibile usare un DPC e quando un DPI, tenendo conto che se il vantaggio non è poco apprezzabile torna a valere la priorità per i sistemi di protezione collettiva.

Figura 1 - Montaggio di una linea vita

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roma Le leggi regionali sulle installazioni sui tetti dei sistemi di arresto caduta l’argomento dei lavori in quota su tetti a falde ci porta a considerare un altro problema sul coordinamento delle leggi regionali. Su alcuni seminari organizzati sui dispositivi di sicurezza per la manutenzione dei tetti a falde, per l’istallazione e la manutenzione degli impianti a energia solare, per la manutenzione delle canne fumarie alcuni colleghi, soprattutto delle provincie laziali, si lamentavano che molto spesso i committenti non erano disponibili a istallare i sistemi di arresto caduta sui tetti a falde perché non obbligatori. Senza entrare in merito alla questione giuridica e alla riluttanza per un committente ad affrontare una spesa che presenta i suoi vantaggi soprattutto nel lungo periodo sta di fatto che nel lazio non esiste, come invece esiste in molte altre regioni del nostro paese, una legge regionale che obblighi il costruttore di un immobile con tetto a falde o il proprietario che ne appronti una manutenzione straordinaria a istallare sul colmo un sistema di arresto caduta. Riportiamo nella tabella alcuni esempi di regioni che con decreti o con leggi regionali hanno legiferato in tema di sicurezza nei lavori sulle coperture degli edifici: la mancata ottemperanza alle disposizioni di legge è causa ostativa al rilascio dei permessi a costruire o a effettuare interventi di manutenzione straordinaria. Per ragioni di spazio si accenna brevemente alle regioni lombardia e Umbria e alla provincia di Trento che hanno legiferato sulla materia con norme e prescrizioni analoghe.

regione lazio perché si faccia promotore di mettere alla pari la nostra regione con una legge per la manutenzione dei tetti a falde. l’interpello è preparato per il consiglio nazionale degli ingegneri e da rivolgere alla commissione consultiva permanente. Nell’interpello ci si chiede: l’obbligo delle protezioni collettive sulle coperture, contenuto nel primo comma dell’art. 148, è incongruente con il principio contenuto nelle misure generali di tutela nelle quali si indicano tali misure collettive solo prioritarie, con possibilità quindi in certe condizioni di optare per le protezioni personali. E’ possibile modificare il testo o se invece si ritiene che vada bene così, dare una spiegazione a questa scelta del legislatore? ■

Conclusioni Si conclude con un appello e con un interpello. l’appello è rivolto al gruppo di coordinamento del servizi di prevenzione delle ASl presso la

Regione e norma - Prescrizione RegIONe TOSCANA legge regionale n.1/2005 • misure preventive e protettive permanenti che consentano l’accesso alle coperture e la loro manutenzione in condizioni di sicurezza anche nelle successive fasi. RegIONe PIeMONTe modifica alla preesistente legge regionale n.20/2009 • dispositivi di protezione collettivi permanenti, o di sistemi di ancoraggio permanenti, da realizzare contestualmente o in alternativa a seconda della soluzione progettuale prescelta.” RegIONe lIgURIA (legge regionale n.5/2010) • gli interventi per nuove costruzioni, ristrutturazioni, manutenzioni, istallazione di nuovi impianti tecnici, fotovoltaici, solari, etc. devono presentare caratteri tali da eliminare il rischio delle cadute dall’alto attraverso l’adozione di sistemi di ancoraggio permanente RegIONe veNeTO deliberazione della giunta Regionale n. 2774/2009 • misure preventive e protettive che consentano, anche nella successiva fase di manutenzione (o interventi ti altro tipo in genere), l’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori in quota in condizioni di sicurezza

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Figura 2 - Manutenzione tegole


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Quaderno

a cura di Ing. v. Capogreco Ing. A. Jacuzzi commissione geotecnica visto da: Ing. M. e. D’effremo Ing. A. Bozzetti

L’EFFETTO DELL’AZIONE SISMICA NELLE FASI COSTRUTTIVE DI UN’OPERA DI SOSTEGNO Il dimensionamento e la verifica di un’opera di sostegno devono essere condotti sia in condizioni statiche che in condizioni sismiche. Nella pratica professionale può succedere che vengano chiesti chiarimenti in merito all’applicazione dell’azione sismica nelle fasi di realizzazione dell’opera di

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sostegno. Ma, come indicato da normativa, l’azione sismica nelle simulazioni numeriche viene considerata a opera ultimata, pertanto ci si chiede, non sarebbe opportuno valutare il caso in cui il sisma avvenisse durante la fase costruttiva? Sull’applicazione dell’azione sismica, relativamente alla durata prevista per le strutture in fase costruttiva, la normativa vigente precisa che “le verifiche sismiche di opere provvisorie o strutture in fase costruttiva possono omettersi quando le relative durate previste in progetto siano inferiori a 2 anni” (§2.4.1 del D.M.2008). Di conseguenza risulterebbe legitti-

mo omettere le verifiche sismiche nelle fasi intermedie del modello di calcolo. In fase di realizzazione dell’opera però può verificarsi un rallentamento se non una interruzione della costruzione dell’opera stessa dovuta ad imprevisti geologici o a problematiche legate alla impresa preposta alla realizzazione materiale, per cui i 2 anni previsti da normativa potrebbero essere superati. Fermo restando le prescrizioni normative, è interessante capire come il sisma applicato nelle fasi costruttive, e non solo nella fase finale ad opera ultimata, influisca sulla stabilità dell’opera.

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Pertanto, sono stati realizzati semplici modelli numerici che simulano paratie di pali ø1000 mm disposti ad interasse 1.20 su cui sono stati applicati tre diversi valori dell’azione sismica caratterizzati dalla stessa vita nominale, ma differente accelerazione orizzontale massima attesa sul sito di riferimento rigido ag. L’azione sismica è rappresentata da un carico esterno applicato sull’altezza di scavo della paratia e calcolato con il metodo di Mononobe-Okabe ed è stata applicata sia durante le fasi costruttive che nella configurazione finale, con l’obiettivo di sottolineare l’importanza dell’applicazione del sisma in fase costruttiva.

Modello e analisi numeriche Si considera la configurazione in fase costruttiva di una doppia paratia per realizzare una galleria artificiale. Si considerano quindi gli step di calcolo inerenti le diverse fasi per arrivare alla quota dello scavo finale, tralasciando la configurazione finale di inserimento del vincolo in testa. Non considerando il vincolo in testa nella configurazione finale, essendo un modello simmetrico è stata studiata metà paratia. Le analisi sono state condotte con un software agli elementi finiti. La paratia è costituita da pali di diametro ø1000 mm, con interasse 1.2 m. Sono previsti 4 ordini di tiranti ad interasse orizzontale di 2.4 m armati con 4 trefoli e con tiro iniziale pari a 400 kN. La stratigrafia di riferimento è riportata in Tabella 1. Le analisi numeriche sono svolte in condizioni piane e la schematizzazione del fenomeno fisico è del tipo ‘trave su suolo elastico1 - alla Winkler. La parete di sostegno è schematizzata da una serie di elementi finiti verticali il cui comportamento flessionale è definito dalla rigi-

Stratigrafia [da p.c.] Tabella 1 – Stratigrafia di riferimento

Tabella 2 – Valori del coefficiente di intensità sismica orizzontale kh impiegato nelle analisi.

Formazione

peso specifico gkN/m3)

dezza flessionale; il terreno è simulato da elementi finiti monodimensionali con legge costitutiva di tipo elasto-plastico; gli altri elementi strutturali quali i tiranti sono schematizzati tramite molle puntuali convergenti in alcuni nodi della parete. Per non aumentare il numero di variabili si considera il terreno a monte orizzontale e la falda assente. Sono stati analizzati più modelli di calcolo aventi la stessa altezza di scavo, ma soggetti a tre diverse intensità di azione sismica. Per quanto riguarda l’azione sismica applicata si considerano tre siti: Lecco, Ragusa e L’Aquila con vita nominale 50 anni, ma differenti classi di utilizzo dell’opera per ottenere coefficienti di intensità sismica crescenti. Le fasi di calcolo adottate nel modello di calcolo, coincidenti con le fasi di realizzazione della paratia, sono: 1. inizializzazione del modello con fase geostatica e realizzazione dei pali 2. scavo per la realizzazione del primo ordine di tiranti (T1) 3. inserimento del primo ordine di tiranti (T1) 4. scavo per la realizzazione del secondo ordine di tiranti (T2) 5. inserimento del secondo ordine di tiranti (T2) scavo per la realizzazione del terzo ordine di tiranti (T3) 6. inserimento del terzo ordine di tiranti (T3) 7. scavo per la realizzazione del quarto ordine di tiranti (T4) 8. inserimento del quarto ordine di tiranti (T4) 9. scavo finale 10. applicazione dell’azione sismica Sono stati creati 5 modelli di calcolo, che differiscono tra di loro solo per l’applicazione temporale del sisma. Si ipotizza cioè che il sisma

coesione c’ (kPa)

angolo di resistenza al taglio f’ (°)

da 0 a 5 m

unità1

19.0

5

35

≥5m

unità2

18.5

20

20

SISMA

sito

Vn

Cu

Cat

H

us

kh (SLV)

Lecco

50

II

B,T1

13

0.065

0.025

Ragusa

50

II

B,T1

13

0.065

0.110

L’Aquila

50

IV

C,T2

13

0.065

0.182

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Tabella 3 – Fasi costruttive relative ai modelli di calcolo – S1

Tabella 4 – Fasi costruttive relative ai modelli di calcolo – S2

possa manifestarsi in una fase intermedia di realizzazione dell’opera diversa da quella finale. La consuetudine professionale di considerare l’azione sismica nella fase finale ad opera ultimata coincide con il modello n. 5. Successivamente sono stati creati altri 5 modelli di calcolo, in cui, diversamente dai primi 5, l’azione sismica è stata applicata due volte, una volta in fase costruttiva, variandola modello per modello, una volta in fase finale.

Risultati Dalle analisi sono stati estrapolati e confrontati tra loro i valori massimi dei momenti flettenti e degli spostamenti di ciascun modello analizzato. Si riportano i risultati ottenuti applicando l’azione

sismica di riferimento per il sito di Ragusa. Nei grafici che seguono sulle ordinate sono riportati i modelli di calcolo, da 1 a 5, in cui con S1 si indicano i modelli in cui l’azione sismica è stata applicata una sola volta durante la realizzazione dell’opera e con S2 i modelli in cui l’azione sismica è stata applicata due volte, una in configurazione intermedia e una in configurazione finale. Gli stessi risultati della Figura 1 sono riportati in Figura 2 in forma adimensionale, cioè rapportati ai valori di momento flettente e spostamenti ottenuti dal modello 5 che, come detto prima, rappresenta la consuetudine professionale di considerare l’azione sismica nella fase finale ad opera ultimata.

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Dal confronto dei grafici riportati in Figura 1 e Figura 2 si nota come i valori del momento flettente siano gli stessi. Al contrario, per quanto riguarda gli spostamenti c’è un incremento dei valori, tra l’azione sismica applicata una sola volta e applicata due volte nel corso delle fasi, dovuto ad un accumulo di deformazioni. Inoltre, nel modello n. 4 in cui l’azione sismica è applicata dopo l’esecuzione dello scavo per l’inserimento del tirante T4, si hanno valori di momento e spostamenti maggiori rispetto al modello n. 5 preso a riferimento. In particolare, in questo caso, comporta un aumento del momento flettente del 15%, e del 5% per quanto riguarda gli spostamenti. Le stesse analisi sono state ripetute variando l’azione sismica con i valori del coefficiente di intensità sismica orizzontale kh inerenti il sito di

Lecco e dell’Aquila e riportati in Tabella 2. Dalle analisi eseguite sono stati estrapolati e confrontati tra loro i massimi valori del momento flettente e degli spostamenti di ciascun modello analizzato. Nei grafici che seguono sulle ordinate sono riportati i modelli di calcolo, con S1 si indicano i modelli in cui l’azione sismica è applicata una sola volta e con S2 i modelli con l’azione sismica applicata due volte nelle fasi di calcolo dei modelli. Gli stessi risultati in Figura 3 sono riportati in Figura 4 in forma adimensionale cioè rapportati ai valori di momento flettente e spostamenti ottenuti dal modello 5 che, come detto prima, rappresenta la consuetudine professionale di considerare l’azione sismica nella fase finale ad opera ultimata. Si nota ancora che il sisma nel modello 4, cioè

Figura 1 – Grafici in cui sono riportati i risultati ottenuti dai modelli in cui è stata applicata l’azione sismica inerente il sito di Ragusa.

Figura 2 – Grafici in cui sono riportati i risultati adimensionalizzati

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Figura 3 – Confronto tra i risultati ottenuti con l’applicazione dell’azione sismica di Ragusa, Lecco e L’Aquila

Figura 4 – Grafici in cui sono riportati i risultati adimensionalizzati

applicato dopo l’esecuzione dello scavo per la realizzazione del quarto livello di tiranti T4, comporta spostamenti e momenti flettenti maggiori rispetto al modello n. 5 preso a riferimento. In particolare si ha un aumento del momento flettente del 15% - 20 % a seconda dell’azione sismica di riferimento, e del 5% per quanto riguarda gli spostamenti.

Conclusioni È consuetudine nella progettazione di opere di sostegno, considerare l’azione sismica nella configurazione finale, ad opera ultimata, come da indicazioni normative NTC ‘08. Fermo restando le prescrizioni normative, è in-

teressante capire come il sisma influisca se applicato nelle fasi costruttive. Scopo di questo articolo è evidenziare la differenza analitica che sussiste ipotizzando a priori la possibilità che l’azione sismica solleciti l’opera solo dopo la sua realizzazione piuttosto che nelle fasi precedenti. Tra gli obiettivi futuri c’è l’idea di sondare diverse casistiche e cercare di creare un abaco funzione dei parametri più sensibili per quanto riguarda la risposta sismica di un’opera di sostegno, per dare al progettista uno strumento di riferimento per stimare di quanto potrebbe incrementarsi il momento flettente e lo spostamento massimo rispetto all’analisi semplificata condotta. ■

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Arch. D. Libeskind - Reflection Project (Singapore)

Copyright Š Moreno Maggi


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Copyright Š Moreno Maggi

Arch. D. Libeskind - Reflection Project (Singapore)


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Quaderno

IL COMPORTAMENTO SOTTO SISMA DELLE STRUTTURE METALLICHE DEDICATE A VANO CORSA ASCENSORE, LEGATE AD EDIFICI ESISTENTI: PROBLEMI E SOLUZIONI a cura di Ing. G. Cavanna commissione Ascensori e scale mobili visto da: Ing. G. Andreani Ing. M. Domenicucci

Le strutture metalliche che costituiscono il vano di corsa di un impianto elevatore (ascensore o piattaforma elevatrice) possono essere realizzate in 2 modi distinti: • strutture slegate autoportanti, ovvero strutture che, indipendentemente dagli edifici cui sono asservite, sopportano da sole tutti i carichi (statici, dinamici, sismici, da vento, etc…): trattandosi di fatto di strutture snelle, non appena l’altezza diviene significativa, per la realizzazione è richiesto l’impiego di profili molto robusti, controventature su tutti i lati della torre, adeguato dimensionamento del plinto di fondazione per impedirne il ribaltamento (15 – 20 m³ di c.a. già per strutture di media altezza); per evitare fenomeni di martellamento reciproco tra edificio ed SMVC in caso di sisma vanno inoltre valutate e previste opportune distanze di rispetto e, a rigore, la realizzazione di pas-

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roma serelle scorrevoli per l’accesso e lo sbarco dalla cabina. Quanto finora descritto determina spesso l’irrealizzabilità, in vano scala, di un impianto ascensore, con conseguente impossibilità di abbattimento delle barriere architettoniche ivi presenti1: • strutture legate all’edificio (non autoportanti): in tal caso le strutture metalliche che realizzano il vano corsa hanno il solo compito di sostenere l’impianto elevatore ed i carichi statici e dinamici derivanti dall’esercizio dello stesso, oltre ai carichi statici relativi al peso proprio ed alla tamponatura del vano. Il calcolo rigoroso del comportamento sotto sisma della SMVC andrebbe eseguito realizzando un unico modello di calcolo strutturale comprendente sia l’edificio,sia la SMVC. La difficoltà risiede spesso, per non dire sempre, nel disporre dei progetti originari dell’edificio e nella conformità di quanto realizzato al progetto originario. A tutela dello strutturista, anche nel caso di disponibilità del progetto originario, andrebbero eseguiti sondaggi e verifiche sull’edificio e sulla sua fondazione per verificarne la coerenza col progetto iniziale, andrebbe poi ricostruito un modello di calcolo plausibile per l’edificio, introdotta la struttura metallica e verificato il comportamento dell’insieme. Non in ultimo i costi di dette indagini, dei rilievi e della progettazione conseguente rischierebbero di essere comparabili, se non superiori, con l’opera finita. Una ulteriore strada percorribile è quella di realizzare smvc che riducano al minimo l’interferenza con l’esistente, separando pertanto la progettazione della smvc dalla verifica del comportamento sotto sisma dell’edificio (ed agli eventuali interventi necessari per migliorarne la stabilità)2. Dal punto di vista dell’edificio esistente si tratta in pratica di avvicinarsi il più possibile alla condizione di strutture slegate ed indipendenti, mentre dal punto di vista della smvc si tratta di valutarne il comportamento sotto le deformazioni imposte dall’edificio; infatti, a meno di scostamenti minimi, le deformazioni dell’edificio si ritrovano invariate sulla struttura metallica; ciò è tanto più vero quanto più la smvc è realizzata con profili leggeri. Quanto sopra porta ad indirizzarsi verso strutture metalliche che contemporaneamente: – sopportino i carichi indotti dall’impianto elevatore; – modifichino il meno possibile il comportamento strutturale dell’edificio sotto sisma; – sopportino le deformazioni imposte dall’edificio in caso di sisma; Quanto sarà descritto nel seguito farà esplicito

riferimento ad un impianto oleodinamico in taglia, ma può certamente essere esteso, con opportune considerazioni ed accorgimenti, a tutti gli impianti elevatori. L’esempio applicativo che sarà descritto nel seguito fa riferimento ad una SMVC da realizzarsi nella città de L’Aquila presso un condominio adibito a civile abitazione.

Valutazione dello spostamento imposto In assenza di dati esatti lo spostamento da imporre alla SMVC verrà calcolato (come suggerito dagli Uffici Tecnici del Genio Civile di Roma) a partire da una oscillazione di riferimento posta pari ad 1/100 dell’altezza della struttura misurata dal piano di fondazione moltiplicata per ag S / 0.5 g (≤ 1) (D.M. “Infrastrutture” 14.01.2008 § 7.2.2). Il D.M., parlando di “distanza di rispetto tra costruzioni contigue”, indica implicitamente l’entità dello spostamento orizzontale massimo che la costruzione dovrebbe manifestare sotto sisma. Con buona approssimazione la SMVC (legata alla costruzione esistente) subirà lo stesso spostamento e dovrà essere verificata in tali condizioni di deformazione. Il modello di calcolo adottato prevede la valutazione dell’oscillazione di riferimento secondo la formula sopra menzionata; viene poi realizzato un edificio fittizio, la cui unica funzione è quella di generare spostamenti in quota pari a quelli calcolati, ed infine viene legata all’edificio la SMVC, così da imporle i medesimi spostamenti. Sull’edificio fittizio non viene eseguita alcuna verifica.

Dati e ipotesi iniziali Senza togliere generalità al calcolo è opportuno fissare alcuni parametri relativi al luogo di installazione, all’edificio, alla torre metallica ed all’impianto elevatore ed assumere alcune ipotesi iniziali. Il sistema di riferimento adottato è cartesiano destrogiro (XYZ) con l’asse Z disposto verticalmente. I segni + e – che saranno indicati nel seguito si riferiscono al sistema di riferimento adottato. Come accennato l’edificio è sito in L’Aquila ed è adibito a civile abitazione; ha forma parallelepipeda e presenta le seguenti dimensioni: 14x20xh=15 (m). La SMVC sarà posta internamente all’edificio (in vano scala) oppure esternamente, in adiacenza ad esso. La SMVC ha le seguenti dimensioni: 1150x1300xh=17000 (mm). L’impianto elevatore ha le seguenti caratteristiche: corsa = 12 m; fossa = 1.5 m; testata = 3.5 m; fermate 4; cabina: 80x120 (cm); peso totale stimato cabina = 350 daN. Nel caso in esame con categoria

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suolo di fondazione C e categoria topografica T1 risulta, allo stato limite SLV, ag = 0.261; S = 1.331; pertanto l’entità dell’oscillazione di riferimento da applicare alla quota più alta della struttura metallica deve essere almeno pari a 108 mm. La struttura è realizzata in profili di lamiera pressopiegata con spessore 30/10 mm. Si assume che la smvc e l’edificio appoggino su fondazioni rigide ed indeformabili: nel caso, reale, di fondazioni su suolo alla Winkler, quanto esposto mantiene validità purché il terreno abbia caratteristiche uniformi. Le connessioni della SMVC all’edificio vanno realizzate in modo da evitare fenomeni di martellamento reciproco: ciò si ottiene garantendo la coerenza degli spostamenti orizzontali tra smvc ed edificio. I tasselli di ancoraggio vanno dotati di rondelle ammortizzanti ed alloggiati in fori opportunamente dimensionati per compensare gli spostamenti relativi. Per semplicità in questa sede è stata considerata una forzante unica applicata al colmo della torre così da assecondare, almeno parzialmente, il primo modo di vibrare dell’insieme SMVC – edificio. Il comportamento della torre metallica può essere assimilato a quello di una trave verticale incastrata nel terreno: a seguito di uno spostamento orizzontale, imposto in quota perpendicolarmente ad una faccia della torre, 2 montanti verranno sottoposti a trazione mentre gli altri 2 a compressione. Generalmente, non appena gli spostamenti orizzontali superano i pochi mm, le sollecitazioni che si manifestano alla base della torre sono molto intense (sia sui montanti sia sulla platea di fondazione della SMVC). Per ridurre tali sollecitazioni è possibile introdurre dei vincoli elastici (su Z) alla base dei montanti: in tal modo gli spostamenti orizzontali in quota si tradurranno in piccoli spostamenti verticali alla base della torre; in pratica si passa da una deformazione ad una rotazione-deformazione di tutta la struttura, certamente meno impegnativa dal punto di vista delle sollecitazioni in gioco. Operativamente il vincolo elastico può essere realizzato in modo piuttosto semplice predisponendo un supporto elastomerico3 (mecstred ®4, nel seguito) opportunamente dimensionato tra la platea di fondazione e le piastre di ancoraggio dei montanti e tra queste ed i tirafondi. Va subito detto che non si tratta di isolatori sismici, dal momento che la loro funzione non è quella di isolare la smvc dal terreno. La caratteristica elastica di questi supporti può essere considerata approssimativamente lineare almeno nell’intorno del punto di esercizio5.

Analisi svolte e risultati Verranno brevemente descritte nel seguito le analisi numeriche eseguite ed i relativi risultati raggiunti; i casi di carico considerati sono quelli relativi: • ai carichi permanenti (peso proprio della struttura, peso dei solai e della copertura, peso delle tamponature); • ai carichi variabili (accidentale solai); • alle azioni indotte dal sisma (statico equivalente): – SLU con angolo d’ingresso 0° e 90° ed eccentricità + e –; – SLD con angolo d’ingresso 0° e 90° ed eccentricità + e –; Le combinazioni di carico generate sono, nel caso in esame, 110. Sono state eseguite 5 differenti analisi numeriche relative ad altrettante configurazioni così distinte: Analisi 01: edificio senza smvc; Analisi 02-A: edificio con smvc interna – vincoli di base rigidi alla traslazione6; Analisi 02-B: edificio con smvc interna – vincoli di base elastici su Z; Analisi 03-A: edificio con smvc esterna – vincoli di base rigidi alla traslazione; Analisi 03-B: edificio con smvc esterna – vincoli di base elastici su Z. Sono state individuate 4 combinazioni di carico (16-17-28-29) che generano nell’edificio gli spostamenti massimi nelle direzioni principali X ed Y. Senza togliere generalità all’analisi numerica svolta i risultati ottenuti in termini di spostamenti (mm), di carichi alla base dei montanti (daN) e di sfruttamento dei materiali (%)7 della smvc,saranno riferiti, per comodità di confronto, a queste combinazioni; i valori massimi assunti da ciascuno dei parametri analizzati si manifestano generalmente in combinazioni di carico differenti, ma risultano comunque dello stesso ordine di grandezza di quelli esposti. La Tabella 1 pone in evidenza, come previsto, che gli spostamenti massimi dell’edificio nelle direzioni X ed Y non subiscono sostanziali modifiche dovute all’inserimento della SMVC all’interno o in adiacenza all’edificio stesso. I risultati sopra esposti mostrano un sostanziale abbattimento dello sfruttamento del materiale mediante l’introduzione di dispositivi elastici alla base della SMVC. La raccolta delle immagini seguenti pone in luce i risultati ottenuti.

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roma Analisi 01 02A 02B 03A 03B Analisi

CMB

KZ

spX max ED

VAR%

spX T

17 16 17 16 17 16 17 16 17 16

5000 5000 5000 5000

+ 121,6 - 121,6 + 120,9 - 120,8 + 121,9 -121,7 + 119,8 - 119,6 + 122,5 - 122,1

-0,58% -0,66% 0,25% 0,08% -1,50% -1,67% 0,73% 0,41%

+ 105,9 - 105,8 + 107,5 -107,3 + 121,7 - 121,5 + 125,3 - 124,8

CMB

KZ

spY max ED

VAR%

spY T

5000 5000 5000 5000

+ 130,4 - 132,0 + 129,8 - 131,4 + 130,4 - 131,9 + 129,4 - 131,1 + 130,5 - 132,2

-0,46% -0,46% 0,00% -0,08% -0,77% -0,69% 0,08% 0,15%

+ 99,7 - 101,1 + 101,3 - 102,8 + 96,3 - 97,7 + 97,9 - 99,3

01

28 29 02A 28 29 02B 28 29 03A 28 29 03B 28 29 LeGeNDA

CMB: KZ: spX(Y) max eD (mm): VAR%: spX(Y) T (mm): spZ BMT (mm): FZ (spX T) (daN): SFR%:

FZ (spX T) + 8717 + 7436 + 987 + 1950 + 9682 + 8318 + 1079 + 2221

- 9054 - 10008 - 2609 - 1316 - 9941 - 11040 - 2883 - 1408

FZ (spY T) + 7322 + 8549 + 1421 + 1309 + 8965 + 10420 + 1939 + 1426

- 9916 - 8939 - 2216 - 2263 - 11870 - 10670 - 1755 - 2601

spZ BMT + 2,0 + 3,9 + 2,2 + 4,4

- 5,2 - 2,6 - 5,8 - 2,8

spZ BMT + 3,2 + 2,6 + 3,9 + 2,9

- - 3,3 - 4,5 - 3,5 - 5,2

SFR% 121,1

39

52,0 128,8 52,4 SFR% 121,1 52,0 128,8 52,4

combinazione; costante elastica del vincolo in direzione Z (daN/cm = N/mm); spostamento massimo in direzione X(Y) dell’edificio; variazione % di spX(Y) max eD rispetto alla condizione di edificiolibero; spostamento in direzione X(Y) della torre metallica (al colmo della struttura)– questo spostamento di fatto coincide con quello dell’edificio nella zona dove è posizionata la SMVC; spostamento in direzione Z della torre metallica (alla base della struttura); azioni vincolari sulla torre raccolte alla base dei montanti; sfruttamento percentuale dell’acciaio della torre.

Tabella 1

Figura 1 – Modello solido dell’edificio

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Figura 2 - Modello solido edificio + smvc interna (Analisi 02-A e 02-B)

Figura 3 - Modello solido edificio + smvc esterna (Analisi 03-A e 03-B)

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Figura 4 – Confronto qualitativo tra le deformate in CMB 29 (Analisi 02-A e 02-B) (la deformata è stata volutamente amplificata per apprezzare le differenze locali di comportamento)

Figura 5 – Confronto qualitativo tra le deformate in CMB 17 (Analisi 03-A e 03-B) (la deformata è stata volutamente amplificata per apprezzare le differenze locali di comportamento)

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Figura 6 – Sfruttamento massimo materiale (Analisi 02-A e 02-B) normalizzato al 100%

Figura 7 – Sfruttamento massimo materiale (Analisi 03-A e 03-B) normalizzato al 100% Nota: gli elementi disegnati a tratto sottile (alla base della torre) presentano uno sfruttamento superiore al 100%.

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roma I risultati ottenuti possono essere brevemente così riassunti: • l’introduzione di elementi elastici (in direzione Z) alla base dei montanti di smvc legate ad edifici esistenti riduce l’influenza (di per sé già modesta) relativa alla introduzione di una struttura nuova all’interno di (o in adiacenza ad) una esistente8; • allo stesso tempo si manifesta un consistente abbattimento delle sollecitazioni negli elementi (traverse e montanti) e nei nodi delle SMVC, siano esse installate internamente che esternamente, in adiacenza all’edificio; • i carichi statici dovuti al peso proprio ed a quello delle tamponature del vano corsa si trasmettono alla platea in modo analogo al caso tradizionale di assenza degli elementi elastici; in condizioni sismiche alla platea di fondazione vengono trasmessi carichi addizionali ridotti rispetto al caso tradizionale (pari alla deformazione dell’elemento elastico sotto carico sismico per la sua costante elastica); • le deformazioni verticali degli elementi elastici sono in genere molto contenute anche a fronte di spostamenti orizzontali consistenti in quota; • dal confronto qualitativo delle deformate (Figg. 04 e 05) si nota che la deformazione degli elementi strutturali (Analisi tipo A) si porta verso una rotazione-deformazione (Analisi tipo B) e ciò è valido sia per i montanti sia per le traverse9; di conseguenza anche i nodi della struttura risultano meno sollecitati; • nel caso di strutture esterne esposte a dilatazione termica nei mesi estivi, la presenza di elementi elastici di compensazione è certamente utile; • elementi elastici in gomma, quale quelli qui proposti, hanno l’ulteriore vantaggio di possedere un effetto naturalmente smorzante sui carichi dinamici; • va evidenziato che si tratta di traslazioni verticali dei montanti molto modeste e che la torre rimane pur sempre ancorata al suolo dai tirafondi; non si tratta pertanto di movimenti macroscopici della struttura, bensì

del recupero di qualche millimetro di spostamento in direzione verticale all’interno di un elemento elastico, in grado tuttavia di apportare, a parere di chi scrive, i benefici esposti. ■ 1

2

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5

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6

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A titolo esemplificativo basti pensare ad un vano scala standard con 2 rampe da 120 cm di ampiezza: per normativa VVFF tale ampiezza può ridursi al massimo a 80 cm lasciando di conseguenza 80 cm per il posizionamento della torre ascensore; considerando una distanza di rispetto prossima a 10 mm per ogni m di altezza, già in un edificio di 3 piani tale distanza (che dunque può essere stimata in 10 mm x (corsa + fossa + testata) = 10 mm x (9 + 1.5 + 3.5) = 10 mm x 14 = 140 mm per lato) ridurrebbe l’ampiezza utile della torre a 52 cm: ma per contenere le oscillazioni in caso di sisma a valori accettabili di una torre alta 14 m e larga 52 cm occorrerebbe (riuscendoci!) l’impiego di profili molto robusti e a loro volta molto ingombranti che ridurrebbero di fatto a valori non proponibili la larghezza della cabina. e’ poco probabile che smvc anche molto robuste possano sostenere l’edificio in caso di sisma evitandone il crollo: di fatto se un edificio è destinato al collasso sotto sisma ciò avviene comunque, indipendentemente dalla robustezza della smvc; potrebbe invece accadere, come verrà chiarito nel seguito, che una smvc eccessivamente robusta legata ad un edificio esistente (e magari posta in posizione eccentrica rispetto alla pianta dell’edificio) introduca, a seguito di un evento sismico, delle torsioni anomale dell’esistente, peggiorandone il comportamento e la stabilità. Si tratta delle stesse mescole utilizzate nella realizzazione dei sistemi di isolamento sismico che possiedono vita paragonabile a quella della struttura. MeCSTReD (Mechanical STress ReDucer = riduttore di sollecitazione meccanica) (brevetto RM2012U000051). In sede di montaggio i supporti elastici andranno eventualmente precaricati (precompressi mediante i tirafondi) così da compensare l’abbassamento della struttura dovuto al peso proprio ed alla tamponatura del vano corsa a montaggio ultimato. I vincoli alla base dei montanti sono considerati come cerniere (impediscono cioè le traslazioni lasciando libere le rotazioni); nel caso vengano considerati come incastri (assenza di traslazioni e rotazioni) lo sfruttamento del materiale aumenta, nei casi esaminati, di circa il 5%. I vincoli alla base delle guide sono considerati, in questa sede, come cerniere. Lo sfruttamento del materiale è un parametro sintetico che riassume in un solo numero quanto complessivamente il materiale viene sfruttato rispetto alle sue possibilità massime (100%). L’introduzione di decimali sia nei valori degli spostamenti che in quello dello sfruttamento ha ovviamente significato puramente numerico e non pratico. Ciò è di regola tanto più vero quanto più i profili sono leggeri; nel caso di profili normali (L, UPN, H, etc.) l’influenza è più evidente. Gli scostamenti rimangono comunque minimi, come era logico attendersi, considerando comunque la considerevole differenza di massa. Riducendo il valore della costante elastica la struttura ruota di più e si deforma di meno; parimenti aumenta la deformazione sotto carico statico e questo potrebbe comportare difficoltà operative in sede di montaggio.

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Quaderno

LA FORMAZIONE: INFORMAZIONE ED ADDESTRAMENTO DEI LAVORATORI PER L’USO DELLE ATTREZZATURE DI LAVORO a cura di Ing. F. Catalano Ing. M. Di Pasquale Ing. G. evangelista Ing. e. Grimaldi Ing. e. Satragno commissione Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili visto da: Ing. M. L. Innocenti Ing. M. Cerri

Riferimenti normativi L’art. 71 del D.lgs. n.81/08 e s.m.i. prevede che il datore di lavoro metta a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza enunciati all’articolo 70 dello stesso Decreto, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento delle Direttive comunitarie. Qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché: a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato ai lavoratori allo scopo incaricati che abbiano ricevuto una informazione, formazione ed addestramento adeguati; b) in caso di riparazione, di trasformazione o manutenzione, i lavoratori interessati siano qualificati in maniera specifica per svolgere detti compiti. Agli effetti delle disposizioni di cui al Titolo III del D.lgs. n.81/08 e s.m.i si richiamano le seguenti definizioni dell’art.69, comma 1: a) “attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto, inteso come il complesso di macchine, attrezzature e componenti necessari all’attuazione di un processo produttivo, destinato ad essere usato durante il lavoro;” b) uso di una attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio; c) zona pericolosa: qualsiasi zona all’interno ovvero in prossimità di una attrezzatura di lavoro nel-

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roma la quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso; d) lavoratore esposto: qualsiasi lavoratore che si trovi interamente o in parte in una zona pericolosa; e) operatore: il lavoratore incaricato dell’uso di una attrezzatura di lavoro.” Rilevante inoltre è l’art. 73 comma c, che recita: “In sede di conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, di Trento e di Bolzano, sono individuate le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori nonché le modalità per il riconoscimento di tale abilitazione, i soggetti formatori, la durata, gli indirizzi e i requisiti minimi di validità della formazione.”

L’Accordo Stato Regioni e Province autonome del 22 febbraio 2012 e’ stato quindi pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 60 del 12 marzo 2012 - Supplemento Ordinario n. 47, l’ACCORDO PeR L’INDIVIDUAZIONe DeLLe ATTReZZATURe DI LAVORO PeR Le QUALI È RICHIeSTA UNA SPeCIFICA ABILITAZIONe DeGLI OPeRATORI, AI SeNSI DeLL’ARTICOLO 73, COMMA 5, DeL DeCReTO LeGISLATIVO 9 APRILe 2008, N. 81, che costituisce dunque specifica attuazione dell’articolo 73, comma 5 del D.Lgs. n.81/08 e s.m.i., ove si demanda alla Conferenza Stato, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano [nel prosieguo Conferenza Stato Regioni] l’individuazione delle attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori, ivi compresi i soggetti di cui all’art. 21, comma 1 del Testo Unico, e delle modalità per il riconoscimento di tale abilitazione nonché la individuazione dei soggetti formatori, della durata, degli indirizzi e dei requisiti minimi di validità della formazione. Con l’Accordo del 22 febbraio 2012 è richiesta una specifica abilitazione degli operatori anche per i soggetti di cui all’ art.21 comma 1 del D.lgs. 81/08 e s.m.i., che compiono opere e servizi a sensi dell’art. 2222 del Codice Civile (coltivatori diretti del fondo, soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, artigiani, piccoli commercianti, ecc.). Tale accordo viene presentato richiamando la presenza di un allegato A diviso in: – La sezione A inerente le “Attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori (articolo 73, comma 5 del D.lgs. n.81/08) ”, che riporta l’elenco e la definizione delle attrezzature oggetto di abilitazione; – La sezione B, inerente i “Soggetti formatori, durata, indirizzi e requisiti minimi dei corsi

di formazione teorico-pratica per lavoratori incaricati dell’uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari di cui all’art.71, comma 7 del D.lgs. n.81/08”. Inoltre comprende: – l’allegato I con i “requisiti di natura generale: idoneità dell’area e disponibilità delle attrezzature”; – l’allegato II sulla “ formazione via e-Learning sulla sicurezza e salute sul lavoro”; – altri sette allegati (III, IV, V, VI, VII, VIII e IX) relativi ai ”requisiti minimi dei corsi di formazione teorico-pratico”. La partecipazione ai suddetti corsi, secondo quanto disposto dall’articolo 37 del D.lgs. n. 81/08 e s.m.i., deve avvenire in orario di lavoro e non può comportare oneri economici per i lavoratori. La formazione di seguito prevista, essendo formazione specifica, non è sostitutiva della formazione obbligatoria spettante comunque a tutti i lavoratori e realizzata ai sensi dall’articolo 37 del D.lgs. n. 81/08 e s.m.i., come evidenziato nell’Allegato A dell’Accordo, dove è riportato “La formazione di seguito prevista, essendo formazione specifica, non è sostitutiva della formazione obbligatoria spettante comunque a tutti i lavoratori e realizzata ai sensi dell’articolo 37 del D.lgs. n.81/08”. Il lavoratore, prima di essere adibito alla conduzione delle attrezzature riportate nell’elenco che segue, dovrà essere abilitato per la specifica tipologia di attrezzatura, informato, formato ed addestrato. La sezione A è suddivisa in due parti, A e B. La durata ed i contenuti della formazione sono da considerarsi minimi.

Soggetti ai quali si applica l’Accordo: Viene utilizzato il termine «operatori» per stabilire che tutti gli utilizzatori delle attrezzature di lavoro individuate e riportate nell’elenco, devono essere in possesso del titolo abilitativo, sono compresi pertanto, i lavoratori così come definiti all’art 2 D.lgs 81/08 e s.m.i., i datori di lavoro, i soggetti di cui all’art 21 (componenti di impresa familiare e lavoratori autonomi).

Attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione Come stabilito dall’Allegato A dell’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012, ferme restando le abilitazioni già previste dalle vigenti disposizioni legislative, le attrezzature di lavoro per le quali è richiesta una specifica abilitazione degli operatori sono: • Piattaforme di lavoro elevabili (P.L.e.);

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roma • • • •

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Gru a torre; Gru mobile (autogrù); Gru per autocarro; Carrelli elevatori semoventi (carrelli industriali con conducente a bordo); • Carrelli semoventi a braccio telescopico; • Trattori agricoli e forestali; • escavatori idraulici; • escavatori a fune; • Pale caricatrici frontali; • Terne; • Autoribaltabili a cingoli; • Pompa per calcestruzzo. Per alcune attrezzature sono previste delle sottocategorie (ad es. per i carrelli elevatori semoventi o per le macchine movimento terra).

Nella tabella sottostante vengono riportati i requisiti minimi dei corsi di formazione per i lavoratori addetti all’uso delle attrezzature così come indicati negli allegati III-IV-V-VI-VII-VIII-IX-X dell’Accordo Stato Regioni del 22 febbraio 2012. Si rammenta che la durata ed i contenuti della formazione elencata sono da considerarsi minimi.

Data di entrata in vigore e periodo transitorio L’Accordo Stato Regioni e Provincie autonome del 22 febbraio 2012 è entrato in vigore dopo 12 mesi dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 12 marzo 2012, e quindi il 12 marzo 2013.

ATTREZZATURE

REQUISITI MINIMI DEI CORSI DI FORMAZIONE TEORICO-PRATICO

P.L.E. (8-10-12 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (3 ore) 3) Moduli pratici specifici: 3.1) Modulo pratico per PLe che operano su stabilizzatori (4 ore) 3.2) Modulo pratico per PLe che possono operare senza stabilizzatori (4 ore) 3.3) Modulo pratico ai fini dell’abilitazione all’uso sia di PLe con stabilizzatori che di PLe senza stabilizzatori (6 ore)

Gru per autocarro (12 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (3 ore) 3) modulo pratico (8 ore)

Gru a torre (12 -14 – 16 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (7 ore) 3) Modulo pratico: 3.1) Modulo pratico – Gru a rotazione in basso (4 ore) 3.2) Modulo pratico – Gru a rotazione in alto (4 ore) 3.3) Modulo pratico ai fini dell’abilitazione alla conduzione sia di gru a rotazione in basso che di gru a rotazione in alto (6 ore)

Carrelli elevatori semoventi con conducente a bordo (12 -16 – 20 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (7 ore) 3) Modulo pratico: 3.1) Modulo pratico: carrelli industriali semoventi (4 ore) 3.2) Modulo pratico: carrelli semoventi a braccio telescopico (4 ore) 3.3) Modulo pratico: carrelli/sollevatori/elevatori semoventi telescopici rotativi (4 ore) 3.4) Modulo pratico: carrelli industriali semoventi, carrelli industriali a braccio telescopico e carrelli/sollevatori/elevatori semoventi telescopici rotativi (8 ore)

Gru mobili (14 - 24 ore)

CORSO BASe PeR GRU MOBILI AUTOCARRATe e SeMOVeNTI SU RUOTe CON BRACCIO TeLeSCOPICO O TRALICCIATO eD eVeNTUALe FALCONe FISSO 1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (6 ore) 3) Modulo pratico (7 ore) MODULO AGGIUNTIVO AL CORSO BASe PeR GRU MOBILI SU RUOTe CON FALCONe TeLeSCOPICO O BRANDeGGIABILe 1) Modulo teorico (4 ore) 3) Modulo pratico (4 ore)

Trattori agricoli o forestali (8 – 13 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (2 ore) 3) Moduli pratici specifici: 3.1) Modulo pratico per trattori a ruote (5 ore) 3.2) Modulo pratico per trattori a cingoli (5 ore)

Escavatori – Pale caricatrici frontali – Terne – Autoribaltabili a cingoli (10 – 16-22-28-34 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (3 ore) 3) Moduli pratici specifici: 3.1) Modulo pratico per escavatori idraulici (6 ore) 3.2) Modulo pratico per escavatori a fune (6 ore) 3.3) Modulo pratico per caricatori frontali (6 ore) 3.4) Modulo pratico per terne (6 ore) 3.5) Modulo pratico per autoribaltabili a cingoli (6 ore) 3.6) Modulo pratico per escavatori idraulici, caricatori frontali e terne (12 ore)

Pompe per calcestruzzo (14 ore)

1) Modulo giuridico – normativo (1 ora) 2) Modulo tecnico (6 ore) 3) Modulo pratico (7 ore)

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roma La norma transitoria di cui al p.to 12 dell’Accordo prevede che i “lavoratori che alla data di entrata in vigore del presente accordo sono incaricati dell’uso delle attrezzature di cui al presente accordo, devono effettuare i corsi di che trattasi entro 24 mesi dall’entrata in vigore del presente accordo”. Pertanto il termine ultimo, limitatamente a tali lavoratori, scade il 12 marzo 2015.

la data di entrata in vigore del presente accordo, nella formazione per le specifiche attrezzature oggetto del presente accordo”; sia previsto che le aziende produttrici, distributrici, noleggiatrici, utilizzatrici (queste ultime limitatamente ai propri lavoratori) di attrezzature di cui all’accordo vengano riconosciute come soggetti formatori solo se accreditate da Regioni e/o Provincie autonome.

I soggetti formatori riconosciuti

I Requisiti dei docenti

Al punto 1, lettera B, dell’allegato A dell’Accordo sono individuati i soggetti formatori: - Regioni, Province Autonome, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, INAIL; - Associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, nel settore di impiego delle attrezzature di cui al presente accordo; - Ordini o collegi professionali nonché associazioni di professionisti riconosciute; - Aziende produttrici/distributrici/noleggiatrici/utilizzatrici (queste ultime limitatamente ai propri lavoratori), in conformità al modello di accreditamento definito in ogni Regione e Provincia autonoma; - Soggetti formatori accreditati con esperienza documentata almeno triennale nella formazione per le specifiche attrezzature; - Soggetti formatori accreditati con esperienza documentata di almeno sei anni nella formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro; - enti bilaterali e organismi paritetici istituiti nel settore di impiego delle attrezzature; - Scuole edili; I soggetti formatori devono essere in possesso dei requisiti previsti all’allegato I, richiamati nel prosieguo. Se i soggetti formatori intendono avvalersi di soggetti formatori esterni alla struttura, questi ultimi dovranno essere in possesso dei requisiti previsti dal modello di accreditamento definito in ogni Regione. È da evidenziare come in tale Accordo: - non siano previste restrizioni in merito alla attività formativa degli Ordini e/o Collegi professionali, al contrario ad es. dei corsi per RSPP-ASPP, nel cui Accordo compariva “limitatamente ai propri iscritti”: - l’inciso “nel settore di impiego delle attrezzature di cui al presente accordo oggetto della formazione” per le associazioni sindacali, enti bilaterali e comitati paritetici; - la precisazione che le “società di servizi” delle associazioni sindacali devono essere “prevalentemente o totalmente partecipate”; - la richiesta alle agenzie formativa accreditate di una “esperienza documentata di almeno sei anni nella formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro” o “almeno triennale al-

Con riferimento ai diversi argomenti, le docenze verranno effettuate da personale con esperienza documentata almeno triennale, sia nel settore della formazione, sia nel settore della prevenzione, sicurezza e salute nei luoghi di lavoro e da personale con esperienza professionale pratica, documentata almeno triennale, nelle tecniche di utilizzazione delle attrezzature di che trattasi. In riferimento ai diversi argomenti, deve essere provata (con evidenza) l’effettiva esperienza relativa alle materie dei diversi moduli. • Modulo «giuridico - normativo» la regolamentazione di sicurezza e in particolare il modello di gestione disegnato dal D.lgs 81/08 titolo I e titolo III (attrezzature di lavoro e DPI); • Modulo «tecnico» problematiche di rischio (in particolare rischio residuo) caratteristiche dell’utilizzo delle singole tipologie di attrezzature; • Modulo pratico, dovrà essere dimostrata esperienza lavorativa almeno triennale nell’utilizzo delle specifiche attrezzature; conoscenza delle tecniche didattiche, conoscenza dell’utilizzo dei DPI dimostrabile con l’attestazione di partecipazione a corsi. Riassumendo: • Per i docenti teorici è richiesta una esperienza documentata almeno triennale sia nel settore della formazione che nel settore della prevenzione sicurezza e salute dei lavoratori; • Per i docenti pratici viene richiesta una esperienza documentata almeno triennale nelle tecniche dell’utilizzazione delle attrezzature oggetto dell’intervento formativo. • Per «esperienza documentata almeno triennale», si intende che le evidenze documentali devono essere di fonte «terza» e riscontrabili (non autodichiarazioni). Il Decreto Interministeriale dei Ministeri del Lavoro e delle Politiche Sociali e della Salute del 6 marzo 2013, pubblicato nella G.U. n.65 del 18/03/2013, determina i criteri di qualificazione del formatore in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Il Decreto, attuazione dell’articolo 6, comma 8, lett. m-bis) del D.lgs. n.81/08 e s.m.i., entrerà in vigore un danno dopo la sua pubblicazione in G.U., ossia il 18 marzo 2014. ■

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Quaderno

a cura di Ing. M. Di Micoli Ing. F. D’Angeli commissione Infrastrutture stradali visto da: Ing. A. Griffa Ing. A. Fuschiotto Ing. S. Caso

APPROCCIO DINAMICO CRITICO ALLA PROGETTAZIONE STRADALE NELLE VERIFICHE DI VISIBILITÀ La visibilità figura come un fattore basilare e una corretta progettazione dovrebbe essere dinamica fin dalle prime fasi ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA


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Il trasporto stradale si rivela anno dopo anno il più diffuso e utilizzato, ma dal punto di vista della sicurezza per l’utente si caratterizza rispetto a quello aereo, navale e ferroviario, come il più pericoloso dato l’alto numero di incidenti l’anno. Nonostante negli ultimi decenni i veicoli si siano equipaggiati dei migliori sistemi di sicurezza di guida, non si è riusciti tuttavia a contrastare il fenomeno dell’ incidentalità, tant’è che per l’anno 2012 in Italia si sono verificati oltre 186.000 incidenti nei quali 3.653 persone hanno perso la vita (dati del Min. Infrastrutture e Trasporti). Gli elementi che concorrono alla possibilità di accadimento di un incidente sono legati al cosiddetto “fattore umano”, ossia sono correlati alle condizioni psicofisiche del conducente (quali la prontezza di ri-

flessi e le capacità motorie); inoltre contribuiscono fortemente le condizioni meteorologiche, l’efficienza del veicolo (impianto frenante) e non ultima la corretta realizzazione dell’infrastruttura stradale. Una valida progettazione stradale infatti non può prescindere dal garantire all’utente sicurezza e confort di guida che si raggiungono principalmente assicurando determinate distanze di visuale libera sufficienti all’utente per avvistare con adeguato anticipo ostacoli che potrebbero essere presenti sulla carreggiata e compiere in sicurezza le opportune manovre. Ciò si ottiene, dal punto di vista planimetrico, con il confronto tra la distanza di visuale libera e la distanza di visibilità per l’arresto (oppure per il sorpasso e per il cambio di corsia nelle strade a più corsie per senso di marcia). Inoltre la visibilità dipende anche dall’andamento altimetrico e in particolare dalla presenza di raccordi convessi in cui il passaggio dal tratto ascendente a quello discendente, e quindi il recupero della visuale, è tanto più brusco quanto più è ridotto il raggio del raccordo. La normativa italiana cogente -DM 05/11/2001, prot.n°6792- è piuttosto chiara per quanto riguarda le verifiche di visibilità per il tracciato plano-altimetrico. La visibilità è garantita dal punto di vista altimetrico prescrivendo un valore del minimo del raggio verticale, concavo o convesso, mentre dal punto di vista planimetrico con la Distanza di visuale libera: entrambi hanno lo scopo di evitare l’urto del veicolo con un oggetto presente sulla carreggiata stradale o con altri veicoli che lo precedono. Per distanza di visuale libera (DVL) si intende la lunghezza del tratto di strada che il conducente riesce a vedere davanti a sé senza considerare l’influenza del traffico, delle condizioni atmosferiche e di illuminazione della strada. Secondo quanto indicato dalla normativa, lungo il tracciato stradale la distanza di visuale libera deve essere confrontata, nel caso di strade a carreggiate separate, con la Distanza di visibilità per l’arresto, che è pari allo spazio minimo necessario affinché un conducente possa arrestare il veicolo in condizione di sicurezza davanti ad un ostacolo imprevisto. Questo valore deve essere garantito lungo tutto lo sviluppo del tracciato. Per il calcolo della distanza di arresto si usa la formula esplicitata al paragrafo 5.1.2. del DM 05/11/2001 che tiene conto di varie grandezze, tra cui le caratteristiche cinematiche del veicolo (velocità iniziale, massa, resistenze), la pendenza longitudinale, l’aderenza, e il tempo complessivo di reazione dell’utente. Malgrado la notevole importanza ai fini della sicurezza, esistono tuttavia casi di progetti, soprattutto in fase preliminare, in cui le verifiche di visibilità non sono presenti. L’iter progettuale

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di un’infrastruttura stradale solitamente parte con la scelta della sezione tipo, valutando la funzionalità dell’infrastruttura nella rete esistente e garantendo i livelli di servizio e la portata di traffico richiesta. Una volta definito il tracciato plano-altimetrico si effettuano le verifiche dinamiche di stabilità del veicolo in curva, della corretta percezione degli elementi geometrici da parte dell’utente e della congruenza del diagramma di velocità e si calcolano i diagrammi di visibilità, da cui si determinano gli allargamenti necessari oltre banchina. Ma questo iter alcune volte può riservare degli imprevisti: un tracciato può rispettare tutti i criteri geometrici della normativa, ma dalle verifiche di visibilità si possono ottenere risultati alquanto improbabili. Analizziamo l’esempio seguente: Tipo di Strada secondo DM Corsie per senso di marcia Modulo corsia (m) Modulo banchina (m) Vp min (Km/h) Vp max (Km/h)

C1 1 3,75 1,50 60 100

Si ipotizzi una curva in destra di raggio pari a 180 m (> Rmin 118 m), con opportuno inserimento di curve di transizione (clotoidi). La livelletta abbia una pendenza in discesa pari al 6% (in normativa in quanto i < i max 7%). Per effettuare la verifica di visibilità per l’arresto occorre calcolare la distanza di visibilità per l’arresto (Da) e la distanza di visuale libera (DVL). Nel caso in esame risultano rispettivamente Da = 99,30 m e DVL = 69,00 m. essendo la DVL minore della Da si potrebbe introdurre un limite di velocità, in deroga alla normativa, oppure sarebbe necessario un allargamento in interno curva che, in base ai risultati dei più diffusi pro-

grammi di calcolo stradale, risulta dell’ordine di circa 3,50 m. In quest’ultima ipotesi il tratto di infrastruttura stradale progettato rispetterebbe tutti i criteri del DM 05/11/2001. Analizzando più nel dettaglio le scelte progettuali da adottare: • nella prima ipotesi l’introduzione di un limite di velocità, magari dopo un tratto percorso alla velocità massima, potrebbe ridurre la fluidità del flusso veicolare e comportare il rischio che utenti indisciplinati non rispettino la velocità massima imposta provocando situazioni pericolose per sé stessi e gli altri. • nella seconda ipotesi si dovrebbe realizzare oltre la banchina uno spazio libero da ostacoli di larghezza paragonabile ad un’altra corsia, che porterebbe nell’utente una difficoltà di comprensione del tracciato stradale in quanto la presenza alla sua destra di uno spazio di dimensioni maggiori rispetto alla propria corsia di marcia, seppur debitamente individuato dalla segnaletica orizzontale, porterebbe lo stesso ad una percezione anomala inducendolo in maniera inconscia a modificare la propria traiettoria di marcia in piena sterzata; inoltre ciò potrebbe indurre il guidatore a compiere azzardate manovre di sorpasso in piena curva di mezzi più lenti. Quanto suddetto sottolinea l’esigenza di un approccio dinamico alla progettazione dell’infrastruttura stradale, poiché i risultati dell’analisi di visibilità dovrebbero indurre il progettista a rivedere la geometria del tracciato in modo da evitare tali sgradevoli situazioni; la progettazione dovrebbe essere eseguita per iterazione, ipotizzando le caratteristiche geometriche del tracciato e verificando le stesse ai sensi delle norme cogenti, cercando la soluzione più accettabile anche in funzione della percezione

Figura 1 – Rappresentazione geometrica della DVL in curva

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Figura 2 – Allargamento in galleria-SS7 Variante Colli Albani

dell’infrastruttura da parte dell’utente. Tuttavia per il progettista ripetere più volte l’iter progettuale e verificare per ogni ipotesi le diverse prescrizioni normative diventa un lavoro molto dispendioso. Sarebbe quindi auspicabile una progettazione di tipo dinamico con cui velocizzare i diversi passaggi di verifica degli elementi plano-altimetrici introdotti, con un approccio a 360° che tenga conto delle verifiche dinamiche del veicolo ed allo stesso tempo di visibilità per l’utente. Un tipo di approccio simile è già presente in alcuni programmi di calcolo stradale. Recentemente è stata estesa inoltre la progettazione BIM (Building Information Mode-

ling), nata per le strutture, anche ai tracciati stradali: tale applicazione permette di creare e confrontare facilmente più alternative e dà la possibilità di ricostruire il modello 3D dell’ambiente naturale e di quello di progetto, utilizzando dati CAD, GIS e BIM. In questo modo i progetti possono essere studiati ed ottimizzati valutando l’andamento plano-altimetrico e verificando contestualmente i requisiti di visibilità. Questo approccio di tipo dinamico consente così fin dalla fase preliminare una progettazione maggiormente affinata anche nei criteri di scelta della soluzione economicamente più vantaggiosa. ■

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Figura 3 – esempi indicativi di verifiche di visibilità 3D


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I DATI SANITARI PER LE ANALISI DELL’INCIDENTALITÀ STRADALE: UN METODO PER LA VALUTAZIONE DEI COSTI SANITARI Analisi delle fonti: il dato ISTAT e il dato sanitario a cura di Ing. F. Ranaldi commissione Sicurezza stradale visto da: Ing. Fabrizio Benvenuti Ing. Alessandro Fuschiotto

L’ISTAT ha recentemente pubblicato il consueto rapporto annuale di sintesi dei sinistri stradali avvenuti nel nostro paese. Nel 2012, si sono verificati 186.726 incidenti stradali con lesioni fisiche a persone ed i morti entro il trentesimo giorno sono stati 3.653, mentre i feriti 264.716. Il fenomeno risulta in diminuzione (Figura 1) ed in particolare rispetto al 2011, gli incidenti diminuiscono del 9,2%, i feriti del 9,3% ed i morti del 5,4%. Tra il 2001 e il 2012 la riduzione delle vittime della strada è stata pari al 48,5%, con una variazione del numero dei morti da 7.096 a 3.653. Nella Ue27, sono morte nel 2012 in incidenti stradali 27.724 persone (l’8,8% in meno rispetto al 2011) ovvero 55 persone ogni milione di abitanti. L’Italia ha registrato un valore pari a 60,1, collocandosi al tredicesimo posto nella graduatoria europea, dietro Regno Unito, Spagna, Germania e Francia. Nel Comune di Roma Capitale (Figura 2), nel 2012 sono avvenuti 15.782 incidenti stradali con 154 morti e 20.670 feriti. Rispetto al 2011, si registrano sostanziali riduzioni per il numero di incidenti (-13,5%), per il numero di decessi (-17,2%) e per il numero di feriti (-14,5%). Tuttavia del totale del numero di morti, ben 54 (il 35% del totale) sono rappresentati dalla categoria dei pedoni. Tale valore nel 2011 era pari a 44 ed a 43 nel 2010, mostrando quindi una crescita, nel triennio di riferimento, pari al 30,2% (Figura 3).

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roma Attualmente la rilevazione del dato sugli incidenti stradali avviene tramite la compilazione del modello Istat CTT/INC o attraverso l’invio di file, contenenti le informazioni concordate, da parte dall’autorità che è intervenuta sul luogo (Polizia Stradale, Carabinieri, Polizia provinciale, Polizia locale o municipale e altri organismi) per ogni incidente stradale in cui è coinvolto un veicolo in circolazione sulla rete stradale e che comporti danni alle persone. I dati riferiti ad un anno vengono elaborati, pubblicati e resi disponibili verso la fine dell’anno solare seguente dall’ISTAT. Il dato sanitario relativo all’incidentalità stradale viene invece rilevato con l’utilizzo delle schede di dismissione ospedaliera (SDO). Tra i due database, ad oggi, non vi sono interazioni e risultano notevoli differenze, sia in merito alle informazioni rilevate che ai dati grezzi di incidentalità. Una prima sostanziale osservazione si evince dalla sezione relativa al “ferito”. Nel modulo ACI/ISTAT, non vi è distinzione per questa categoria tra i feriti lievi e quelli gravi e/o con inabilità permanente. Tale limite di rilevazione potrebbe essere superato se si riuscisse a correlare direttamente l’incidente avvenuto alla scheda SDO relativa all’infortunato coinvolto nel sinistro. Il tramite tra le due schede potrebbe essere o il codice di “missione” del 118 intervenuto sul luogo dell’incidente o, ancora meglio, il codice di accesso di triage di ricovero nella struttura sanitaria. Tale operazione potrebbe essere svolta semplicemente, ad esempio, annotando il codice “missione” 118 o quello triage di ricovero nella sezione, già presente, del modulo ACI/ISTAT ove è indicato il nome della struttura sanitaria di ospedalizzazione. Altro problema relativo alla mancanza di relazioni fra il database sanitario e quello ISTAT è la differenza del numero di soggetti che vengono ricoverati per prestazioni di primo soccorso (PS) in seguito ad incidente stradale ed il numero di infortunati. Se, ad esempio andiamo ad esaminare il caso della Regione Lazio, ed in particolare i dati relativi ai Rapporti di emergenza/Urgenza di tutte le strutture ospedaliere operanti sul territorio, avremo la seguente situazione per gli anni dal 2009 al 2011 (Tabella 1). Si nota subito che, la categoria di accesso per trauma o ustione (codice 10) rappresenta più del 30% del totale degli accessi annui in PS nel periodo di osservazione. Se analizziamo in particolare la sottocategoria relativa agli accessi per incidente stradale, osserviamo che i sinistri stradali rappresentano a loro volta, quasi il 30% del totale degli accessi per traumi o ustioni. Ora, confrontando ad esempio per l’anno 2010

nella Regione Lazio, i dati tra gli accessi in PS e il numero di incidenti, morti e feriti risultanti dai dati pubblicati dall’ISTAT, abbiamo la seguente situazione di sintesi (Tabella 2). Si evince immediatamente come il numero di accessi in PS per incidente stradale sia circa 4,6 volte superiore Figura 1 – Variazioni percentuali del numero di incidenti, morti e feriti in Italia nel triennio 2012-2010

Figura 2 – Variazioni percentuali del numero di incidenti, morti e feriti nel Comune di Roma Capitale nel triennio 2012-2010

Figura 3 – Numero di pedoni morti nel Comune di Roma Capitale nel triennio 2012-2010

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roma Tabella 1 – Accessi nelle strutture di emergenza/urgenza della Regione Lazio in seguito ad incidente stradale Periodo 2009/2011

Anni Totale accessi in PS (Regione Lazio) Accessi per problema principale Codice 10-trauma o ustione Percentuale sul totale degli accessi in PS Accessi per incidente stradale - Codice 10 Percentuale su codice 10

Tabella 2 – Confronto tra numero di accessi in pronto soccorso per incidente stradale e dati ISTAT su numero di incidenti, morti e feriti nella Regione Lazio per sinistri stradali anno 2010

2009 2.134.953

2010

2011

2.080.472 2.034.454

653.422

646.959

30,61

31,1

616.489 30,3

167.434

182.884

179,989

25,62

28,27

29,2

Anno 2010 Accessi in PS per incidente stradale - Codice 10 - Regione Lazio Numero incidenti stradali - Regione Lazio Numero di morti per incidenti stradali - Regione Lazio Numero di feriti per incidenti stradali - Regione Lazio

al numero totale dei feriti rilevati dall’ISTAT. Sicuramente il numero totale di accessi al PS, senza avere ulteriori informazioni sul grado di lesività dell’incidente sull’infortunato e sull’evoluzione dell’eventuale ricovero e/o degenza nella struttura sanitaria (ferito lieve, grave e/o con disabilità permanenti) può in prima istanza, sovrastimare il dato rispetto a quello ISTAT. Infatti gli accessi totali in PS comprendono sicuramente eventi che non sono rilevati dagli organismi preposti, ovvero coloro che vi si recano sia per normali accertamenti nei giorni seguenti l’evento incidentale che per le procedure necessarie ai risarcimenti assicurativi, ma di sicuro c’è che la differenza globale, anche ipotizzando di decurtare gli accessi del 50%, con i feriti resta sostanziale e, pur risultando probabilmente feriti di tipo lieve, incide sicuramente come numerosità, nelle voci di spesa pubblica sanitaria per incidenti stradali (tabella 3). Rapporto tra accessi al PS e feriti ISTAT 2010 Provincia di Roma Provincia di Viterbo Provincia di Rieti

3,6 3 4

Provincia di Latina

5,9

Provincia di Frosinone

5,5

Totale Regione

3,9

Pertanto, migliorando la qualità relativa a questa informazione potremmo avere un duplice vantaggio: da un lato si andrebbe ad affinare la qualità del dato statistico sulla definizione del soggetto “ferito” in incidente stradale, dall’altro, potremmo avere un’analisi più attenta di quelli che sono sia i costi sanitari relativi all’incidentalità stradale che i costi amministrativi che la

182.884 27.810 450 38.932

pubblica amministrazione sostiene per gli stessi (danni all’infrastruttura, costi ripristino viabilità e pronto intervento, ecc.). Quindi, possiamo esaminare nel dettaglio la situazione nella Regione Lazio per l’anno 2010. Nell’anno di riferimento, nella nostra regione si sono verificati 153.495 accessi alle strutture di emergenza per incidenti stradali, con un tasso d’incidenza pari a 2.896 per 100.000 residenti (Tabella 3). Analizzando nello specifico la tabella, osserviamo che le ASL RMB e quella della Provincia di Latina rappresentano le situazioni con il maggior numero di accessi. Se quindi si esegue il rapporto tra numero di accessi al PS e numero di feriti rilevati dai dati ISTAT, negli stessi ambiti territoriali di riferimento, risulta assai rilevante la divergenza tra le due fonti, con valori che vanno da un minimo di 3 volte (provincia di Viterbo), fino a quasi 6 volte per la Provincia di Latina (tabella 3). Anche per il comune di Roma Capitale la diversità tra le due banche dati risulta sostanziale. Infatti a fronte di 78.319 accessi, nel 2010, sono stati rilevati 182 morti e 24.467 feriti, frutto di 18.496 incidenti stradali, con un rapporto di 3,2 tra le accessi al PS e feriti rilevati dall’ISTAT. Pertanto i costi sanitari, pur essendo una componente nel totale delle parti che costituiscono il totale di quelli sociali, hanno un’incidenza sostanziale in relazione ad alcuni aggregati economici regionali ed in particolare possono arrivare a rappresentare circa il 30% della spesa sanitaria totale. Va ricordato comunque, che ad oggi, a livello europeo, non è stata ancora adottata una definizione di ferito grave comune per tutti gli Stati membri. Ogni Stato ha adottato una propria definizione che, nella maggior parte dei casi, fa riferimento ai giorni di ricovero ospedaliero. Una proposta di definizione comune di ferito grave è presente

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roma Tabella 3 – Codice triage di accesso al PS nelle strutture sanitarie della Regione Lazio per incidente stradale – Anno 2010 Asl Regione Lazio 2010

Codice triage Rosso Giallo Verde Bianco Non eseguito Totale

RMA

RMB

RMC

RMD

RMe

RMF

RMG

RMH

VT

RI

LT

78 1.009 9.866 347 5 11.305

183 1.889 19.533 745 4 22.354

114 1.405 12.733 550 0 14.802

200 1.180 13.101 282 5 14.768

231 1.464 13.165 208 22 15.090

91 908 6.178 113 7 7.297

141 1.385 10.488 320 4 12.338

133 1.619 13.243 381 1 15.377

84 515 3.441 52 1 4.093

64 369 2.313 217 0 2.963

162 1.824 17.712 417 4 20.119

nel glossario delle variabili del database europeo dell’incidentalità CARe/CADAS, che cita: “[…] qualunque persona rimasta ferita in un incidente stradale, ricoverata in ospedale per almeno 24 ore […]”. Per una stima più attenta dei costi sanitari dovrebbero dunque venire presi in considerazione il numero degli infortunati e dei morti suddivisi ciascuno in due categorie e cioè: i feriti con lesioni gravi e lievi nel caso degli infortunati, ed i morti entro le 24 ore o nei 30 giorni per quel che concerne i deceduti. Individuate queste quattro classi è possibile quantificare i costi sanitari valutando tre diversi fattori: costi in regime di ricovero (in fase acuta e post acuta), costi di pronto soccorso e costi di autoambulanza. Altre voci di costo da prendere sicuramente in considerazione sono: danni materiali all’infrastruttura, costi amministrativi e i costi giudiziari. I costi amministrativi comprendono tra l’altro le spese di gestione delle assicurazioni che si riflettono direttamente sul costo dei premi assicurativi e le spese di intervento delle autorità pubbliche. Tali spese sono state divise in quattro categorie, tante quanto sono le autorità principalmente coinvolte in caso di incidenti stradali, ovvero la Polizia stradale, la Polizia municipale, i Carabinieri e i Vigili del Fuoco. Un progetto pilota per la valutazione del costo sanitario dell’incidente stradale In considerazione degli aspetti emersi nel presente studio e delle problematiche riscontrate per la stima dei costi sanitari legati agli infortuni stradali, in questa sezione andremo a presentare la possibilità di realizzare un progetto pilota nel territorio comunale di Roma Capitale, per determinare delle linee guida per migliorare la qualità dei dati rilevati negli incidenti stradali e dei conseguenti costi per la sanità pubblica regionale. Gli obbiettivi del progetto saranno quelli di: rilevare i feriti da incidente stradale distinguendoli in feriti lievi o gravi, stimare i costi

sanitari di una ASL per le vittime di sinistri stradali in termini di primo soccorso, ricovero in fase acuta e ricovero ed assistenza in fase di post acuzie e “agganciare” il database sanitario per gli infortuni stradali con quello derivante dalle schede ISTAT. La procedura metodologica da utilizzare dovrà in prima istanza determinare un territorio omogeneo cui eseguire lo studio osservazionale di rilevazione del dato. Pertanto, più che su un Municipio del Comune di Roma Capitale, si proporrà di analizzare il territorio di pertinenza di una ASL, ove sia presente almeno un centro D.e.A. di II livello che assicura infatti, oltre alle prestazioni fomite dal DeA I livello, le funzioni di più alta qualificazione legate all’emergenza, tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia, la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica, le unità per grandi ustionati, le unità spinali ove rientranti nella programmazione regionale. La durata delle rilevazioni non sarà inferiore ad un anno solare, avendo così a disposizione un campione omogeneo di incidentalità nel tempo. Gli attori necessariamente coinvolti si identificano nelle seguenti categorie specifiche: soggetti operativi sul luogo dell’incidente, ovvero quelli abilitati al rilevamento ed al primo soccorso (Polizia Locale di Roma Capitale, Carabinieri, Polizia Stradale, 118.), stakeholder quali il Ministero Infrastrutture e Trasporti, l’Istituto Superiore di Sanità, ISTAT, ACI, ANIA, Università “La Sapienza” di Roma, Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, Consulta cittadina per la sicurezza stradale, soggetti preposti nelle scelte programmatiche degli interventi e spesa pubblica (Agenzia Sanità Pubblica Regione Lazio, ASL, Comune di Roma Capitale, Agenzia Roma Servizi per la Mobilità). Una corretta definizione del costo sociale associato alla vittima di incidente stradale, con in più una corretta stima dei costi sanitari correla-

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FR

Totale

% sul totale

101 1.582 1.232 14.799 11.387 133.160 264 3.896 5 58 12.989 153,495

1,03 9,64 86,7 2,54 0,04 100


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roma Tabella 4 – Accessi in strutture di emergenza delle ASL della Regione Lazio per incidente stradale e confronto tra feriti ISTAT e accessi alle strutture di PS Anno 2010

Anni TASL

RMA RMB RMC RMD RMe RMF RMG RMH VT RI LT FR Totale

2009 ACCeSSI STRUTTURe eMeRGeNZe 11.805 22.854 14.802 14.768 15.090 7.297 12.33 15.377 4.093 2.963 20.119 12.989 153.495

2010

2011

INCIDeNTI 2010

INCIDeNTI 2010

INCIDeNTI 2010

22.999

291

31.055

867 472 2.129 1.343 27.810

35 14 68 42 450

1.349 744 3.419 2.365 38.932

ti, sono le basi di partenza per tutte le politiche decisionali di intervento per la riduzione del numero di vittime e del rischio per la popolazione esposta. La qualità del dato è infatti il fondamento per gli operatori che andranno a programmare gli interventi esecutivi in termini decisionali e di azioni sulle politiche della mobilità, sulle infrastrutture, sui comportamenti e sulle campagne di sensibilizzazione per gli utenti. Avere a disposizione informazioni più di dettaglio e qualitativamente più significative porterà sicuramente ad operare scelte mirate sia nel breve che nel lungo periodo, con sicura efficacia per il cittadino. In termini di spesa generale una riduzione del numero di morti, ma soprattutto del numero di feriti, determineranno un miglioramento del livello prestazionale della sicurezza stradale in termini di riduzione generale degli incidenti e di miglioramento della qualità di vita, generando un ritorno economico anche in termini di riduzione di costi assicurati-

vi (RCA), riduzione spese di ospedalizzazione ed assistenza sanitaria, riduzione dei costi amministrativi, giudiziari, forze dell’ordine, manutenzione dell’infrastruttura e riduzione della spesa pubblica per le P.A. interessate, in termini di esecuzione, programmazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza dei tratti stradali a maggior rischio di incidente. La valutazione dei costi sanitari e, in particolare, la stima dei benefici in termini di riduzione degli stessi costi, consentirebbe una più efficace allocazione delle risorse disponibili: trattandosi di benefici economici quantificabili, sarebbe senz’altro più agevole una valutazione di opportunità per ogni investimento (per esempio per opere di messa in sicurezza delle infrastrutturale) da parte delle stesse Amministrazioni centrali. In tal modo gli oneri di investimento sarebbero direttamente confrontabili con la riduzione dei costi sanitari legati all’efficacia dell’intervento. ■

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Quaderno

a cura di Ing. S. Bussoletti Ing. G. Caruccio commissione Impianti elettrici negli edifici visto da: Ing. M. Domenicucci

QUANDO E PERCHE’ CONVIENE PROGETTARE E REALIZZARE UN IMPIANTO CON FUNZIONI DOMOTICHE Confronti e valutazioni di convenienza tra soluzioni innovative e tradizionali

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roma Introduzione Trenta o quaranta anni fa il problema delle nuove funzionalità tecnologiche si poneva sostanzialmente nei termini di dotare gli edifici di: • impianto elettrico • impianto di riscaldamento • produzione e distribuzione di acqua calda • antenna centralizzata • impianto ascensore montacarichi • rete telefonica di collegamento con l’esterno • rete citofonica di collegamento con la portineria e una volta equipaggiati di questi impianti, gli edifici erano veramente completi. Oggi, chiaramente, le strumentazioni di bordo, sono molto più evolute e di conseguenza maggiori e molteplici possono essere le funzionalità ed i servizi attivabili sia su scala residenziale che nel terziario, dove ormai il termine domotica ha assunto anche l’accezione del termine, una volta esclusivo, di building automation. La Domotica, intesa anche come automazione di edificio, è ormai noto, mette in grado di integrare tecnologie e apparati diversi, offrendo un nuovo e più elevato livello di funzionalità e sicurezza, unitamente a significativi risparmi nei consumi energetici oltre che in fase di installazione, anche nelle fasi ben più lunghe di esercizio vere e proprie degli impianti. D’altronde l’elettronica, arrivata ormai ovunque, e le diverse apparecchiature con le quali eravamo abituati a vivere fino a qualche anno fa, hanno visto un processo di sviluppo tutto sommato di tipo passivo: ognuna di esse si è evoluta mediamente in maniera autonoma, separatamente ed indipendentemente dalle altre. Oggi, invece, sono sempre più privilegiati aspetti d’integrazione tra diversi apparecchi e funzioni. Con un solo telecomando, ad esempio, si possono gestire simultaneamente lo stereo, la TV, il videoregistratore e l’impianto luci. Ma è anche ad esempio possibile, uscendo di casa, con la sola pressione di un pulsante spegnere tutte le luci, abbassare gli avvolgibili ed inserire l’impianto d’allarme, proprio come se la casa fosse un unico sistema integrato. esempi analoghi possono essere fatti all’interno di un palazzo uffici, dove l’effettiva presenza di persone all’opera in un ambiente può dare l’ok alla regolazione ottimale del clima e della luce ottimizzata in base al contributo diurno proveniente dall’esterno, magari anche in combinazione con le pellicole oscuranti sui vetri e dove anche gli stessi rivelatori di presenza da una

certa ora in poi obbediscono alle logiche dell’impianto antintrusione, dando anche l’allarme localmente e in remoto a tutte le persone preposte, perché a certe ore la presenza di persone all’opera non è più un evento così gradito. Il termine Domotica è oggi molto gettonato e quelli appena citati sono solo dei semplici esempi, ma sono solo un vezzo o sono qualcosa di veramente utile? Come identificare senza ombra di dubbio le situazioni in cui la domotica può tornare utile e soprattutto quando conviene adottare soluzioni di questo tipo? e’ proprio così che si arriva a parlare di automazione di edificio (domotica) in senso stretto, con una struttura che risponde ai comandi, un ambiente che interagisce completamente con l’utente ed il suo personalissimo modo di vivere in un modo che serve. ed è proprio ciò che andremo a vedere più da vicino in questo articolo. La Domotica è già in grado e lo sarà sempre più, di migliorare la nostra qualità di vita. Le grandi innovazioni tecniche sono spesso all’origine di notevoli modificazioni del nostro modo di vivere: la televisione ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo, il telefono ha abolito le distanze. Cosa si potrà dire della Domotica, quando sarà generalizzata e ci sarà diventata così indispensabile da far parte del nostro modo di essere?

Progettare Concretamente un Impianto Domotico e di Building Automation Realizzare un sistema domotico è ormai una pratica installativa molto semplice. Tra le tecnologie attualmente presenti sul mercato, la più diffusa è sicuramente quella dei cosiddetti sistemi bus, e tra le diverse tipologie presenti sul mercato, quella relativa allo standard internazionale Konnex è senza dubbio tra le più affermate ed aperte. Vediamo brevemente in che cosa consiste. Oltre alla linea di alimentazione elettrica (220 V ca), viene installata un’altra linea unica, denominata bus, a bassissima tensione (tipicamente 12 o 24 Vcc) costituita da un cavo a due conduttori (tipo doppino telefonico), alla quale vengono collegati in parallelo sia i sensori, chiamati spesso dispositivi o terminali di ingresso (ad esempio di temperatura, di luminosità, di rilevazione presenza, ricevitori a raggi infrarossi, ecc...), sia gli attuatori, chiamati spesso anche terminali di uscita (dispositivi periferici che attuano, eseguono i comandi automatici e manuali destinati ad apparecchi di illuminazione,

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roma Fig. 1 – Impianti con cablaggio tradizionale e in tecnica BUS. Un esempio funzionale: schema semplificato del comando di due gruppi luce indipendenti realizzato con un impianto tradizionale (collegamenti diretti punto-punto) e con un sistema in tecnica bus (collegamenti non diretti)

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avvolgibili, motori, sirene d’allarme, condizionatori, ventilatori e altri carichi elettrici. Nella linea bus transitano i dati e i comandi relativi a tutti gli attuatori di tutti gli impianti, i quali sono praticamente sempre “in ascolto” tramite l’intelligenza dell’elettronica a microprocessore di cui sono dotati e reagiscono solo quando sono raggiunti da un messaggio (accenditi, spegniti, alza, abbassa, apri, chiudi, ecc…), in codice digitale, indirizzato espressamente a loro, singolarmente o in gruppo. In questo modo si superano i limiti del sistema di installazione tradizionale: non sono più necessari tanti collegamenti dedicati per alimentazione, comando e controllo quanti sono i singoli dispositivi, poiché una sola linea svolge queste funzioni per tutti (v. Figura 1). Non c’è più necessità di collegare direttamente una lampadina all’interruttore che la comanda con una modalità per così dire punto-punto, ma ogni dispositivo, sensore o attuatore, si affaccia su questa coppia di conduttori, il bus, aprendo il sistema a nuove ed enormi potenzialità e numerosissime altre applicazioni funzionali.

Confronti tecnici ed economici tra sistemi bus ed impianti tradizionali Da quanto finora detto, emergono differenze sostanziali tra sistemi bus ed impianti tradizionali, riassunte per brevità nella seguente tabella. e’ interessante osservare come la tabella, evidenziando le caratteristiche salienti dell’una e dell’altra soluzione, mette fin d’ora, seppur

sommariamente, in risalto quelle caratteristiche che permettono di capire quando è preferibile adottare una soluzione anziché l’altra. Nella colonna di destra sembrano in realtà figurare solo vantaggi, ma potrebbe non essere sempre vero. Come capirlo? e’ indubbio che occorra entrare nel merito di un discorso anche e soprattutto relativo ai costi. Costi cioè da sostenere per attuare una delle due soluzioni e metterli a confronto per generare una scelta.

Sistemi a confronto: differenze economiche Il successo di un’installazione, in definitiva, sarà sempre determinato dall’utente finale, che ne valuterà nel tempo prestazioni, affidabilità, risparmi ottenuti e rispondenza alle proprie esigenze, spesso mutevoli. Proprio da parte dell’utente finale nascono poi domande circa i benefici economici e i vantaggi sull’impiego della tecnica bus a differenza della tradizionale tecnica di installazione. Si potrebbe in effetti disquisire sui meriti qualitativi e sugli innumerevoli vantaggi funzionali delle soluzioni e dei servizi offerti dalla tecnica bus, ma ci scontreremmo sempre e comunque con un’utenza finale che oltre la soluzione alle sue necessità, desidera, in modo più che lecito, spendere il meno possibile. A questo proposito, la domanda più frequente è:“Quanto costa?” e molto spesso una risposta frequente è: “Costa troppo!” Però viene di getto un’osservazione da fare. In effetti, è possibile ritenere elevato il costo di

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roma Sintesi di comparazione tecnica tra le due tipologie installative installazione tradizionale

installazione bus (eib)

Cablaggio punto-punto

Cablaggio libero su linea dedicata

Maggiore quantità di cavi

Minore quantità di cavi

Presenza di un quadro e/o centralina di controllo

Assenza di centraline di controllo che divengono facoltative

Dispositivi periferici tendenzialmente privi di intelligenza

Dispositivi con intelligenza

Maggior rischio d’incendio

Riduzione del rischio d’incendio

Dispositivi dedicati ad una sola applicazione

Dispositivi con applicazione configurabile

Rischio di contatto diretto nei dispositivi di comando

Possibilità di operare sui dispositivi di comando sotto tensione (SeLV)

Interoperatività stabilita dal cablaggio

Interoperatività flessibile e configurabile

qualcosa, se si ha già in mente un’alternativa più economica e, se possibile, a parità di prestazioni. Nel caso dei sistemi in tecnica bus, ci si scontra piuttosto che con delle alternative simili a buon mercato, con delle “idee di spesa” più miti da parte di un’utenza che ha già deciso in modo soggettivo qual è il suo budget. Non è certamente intenzione di questo articolo perdersi in dissertazioni vane per contrastare in qualche modo le idee di spesa, quanto invece tendere decisamente a criteri di confronto più possibilmente oggettivi. Per questo motivo eviteremo di considerare paragoni basati su semplici attese, idee o budget già stanziati, che richiederebbero analisi troppo dipendenti dal singolo utente, e cercheremo di partire da stesse prestazioni di base (chiaramente ammesso che questo sia sempre possibile). Diventa chiaro dunque che se un sistema bus viene definito “troppo costoso” a livello economico, questo vorrà dire che l’alternativa con cui lo si sta confrontando potrà essere esclusivamente: a) Un altro sistema in tecnica bus di un differente produttore; b) Un impianto di tipo tradizionale; Poiché non c’è dunque una risposta semplice e univoca alla domanda “quanto costa?”, ma è

invece necessario avere un termine di paragone concreto, a parità di prestazioni, la domanda dovrebbe essere allora riproposta nei seguenti termini: “Quando è più conveniente un sistema in tecnica bus rispetto ad un impianto tradizionale?” e’ allora possibile affermare che esiste una soglia di convenienza, superata la quale diventa vantaggiosa l’adozione di un sistema in tecnica bus, al di sotto della quale, diventa invece non indispensabile e addirittura sconveniente l’adozione di una soluzione domotica. Per l’individuazione di tale soglia occorrono però alcune considerazioni. effettuare un confronto economico esaustivo, accanto alle valutazioni tecniche già prese in considerazione, diventa possibile per ogni sistema, se, con buona approssimazione, è possibile considerare tre grandi categorie di costi che divengono così i parametri attraverso i quali condurre il confronto: • costo dei materiali: sono inclusi in questa voce i costi di fornitura di tutti i dispositivi, apparecchi e accessori hardware necessari al completamento dell’impianto; • costo di manodopera-funzioni: potremmo includere in questa voce, in senso più allargato, anche i costi relativi ad ogni attività ope-

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Figura 2 – Tabella riassuntiva e comparativa tra le caratteristiche dei sistemi tradizionali e di quelli in tecnica bus, con particolare riguardo a quelli a standard internazionale Konnex.


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rativa nelle fasi di realizzazione e pre-realizzazione (progettazione, studio, analisi, valutazione, posizionamento, montaggio, cablaggio, stesura cavi, installazione, messa in servizio, programmazione, funzionalità, ecc.), ma vedremo che per le considerazioni che seguono, potremo limitarci anche solo alla manodopera vera e propria; • costo d’esercizio: sono compresi in tale voce tutti gli aspetti legati alla gestione dell’impianto nelle fasi successive all’installazione (manutenzione, affidabilità, sicurezza, gestione, consumi di energia elettrica, acqua, gas, ecc…). Tale comparazione può avere chiaramente senso solamente se eseguita a parità di funzioni d’impianto ed a costo cioè “installato” di ogni sistema intelligente e della sua controparte tradizionale. Solo valutando contemporaneamente costo dei materiali, costo della manodopera e costi d’esercizio connessi ad ogni impianto, si potrà a questo punto condurre la seguente analisi: a) Materiale: sia X il costo di fornitura dei materiali di un sistema tradizionale. Sarà allora di norma superiore, cioè X+d, quello della sua controparte di tipo BUS. Basti pensare ad es: al comando di 2 gruppi luce indipendenti (es: 2 plafoniere a soffitto) da un unico punto con 2 interruttori in una sala. Ci sarà bisogno di corpi illuminanti, canalizzazioni, cavi e dispositivi di comando per l’impianto tradizionale, mentre saranno necessari gli stessi componenti ed in più i dispositivi bus di comando e attuazione nel caso intelligente. b) Manodopera: chiamando per il momento in modo differente le due voci di costo, Y quella relativa all’impianto tradizionale e K quella

del sistema bus, è possibile evidenziare due situazioni rilevanti da approfondire poco più avanti. c) Costo d’esercizio: il costo d’esercizio, da esperienze raccolte e da feed-back storici di impianti realizzati, propende nella stragrande maggioranza dei casi a favore dei sistemi bus (manutenzione preventiva, teleassistenza, centralizzazione di stati e allarmi, riduzione dei consumi, ecc.), che hanno tutto sommato dei costi manutentivi molto contenuti. Se dunque chiamiamo Z il costo d’esercizio di un impianto tradizionale, sarà allora Z - D quello di un sistema domotico. (Figura 3). Figura 3 – Parametri di costo a confronto tra impianti tradizionali e domotici Parametri di confronto

IMPIANTO IMPIANTO TRADIZIONALe DOMOTICO

COSTO MATeRIALI COSTI MeSSA IN OPeRA COSTI D’eSeRCIZIO

X Y Z

X+ K Z-

Facciamo a questo punto un’ipotesi azzardata, che semplifica notevolmente il confronto, mettendoci nelle condizioni più sfavorevoli per la domotica. Non consideriamo cioè, per il momento, i costi d’esercizio che propendono a favore di tali sistemi. Si giunge così a due situazioni rilevanti (Figura 4): Situazione A Le due manodopera sono confrontabili. e’ il caso di piccoli ambienti con poche funzioni coinvolte, dove il tempo impiegato per passare un

Figura 4 – Le due situazioni rilevanti per la manodopera negli impianti tradizionali e domotici

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roma cavo in più, tutto sommato non incide sui costi d’impianto (es: il comando delle 2 plafoniere di cui si diceva prima). Situazione B Il numero di funzioni comincia a crescere notevolmente, eventualmente insieme con le dimensioni geografiche dell’impianto. Si capisce come sia allora quest’ultimo il caso in cui l’adozione di un impianto tradizionale comporterebbe un dispendio tale di tempo in fase di installazione da rendere la manodopera sicuramente maggiore di quella necessaria per un sistema intelligente. Basti pensare all’esempio precedente dei 2 gruppi luce nella sala in cui ora si desideri ad es: oltre al comando, inserire un controllo di stato di effettiva alimentazione dei carichi; un’accensione differenziata in base alla vicinanza dei corpi illuminanti alle finestre per tener conto del contributo di luce proveniente dall’esterno nell’ottica di un risparmio energetico; un innalzamento o abbassamento degli avvolgibili con comando locale e centralizzato dalla portineria (che magari si trova cinque piani più in basso) alla quale occorre anche riportare le segnalazioni di stato di apertura di tutte le finestre sulle quali sono installati opportuni sensori di sicurezza, ecc.. Se la stessa cosa dovesse essere ripetuta per ogni ambiente dell’edificio in questione, ci si rende immediatamente conto come l’adozione di un sistema bus, possa diventare addirittura indispensabile oltre che conveniente.

Conclusioni E’ chiaramente un fattore dipendente dalla tipologia di installazione che si va a realizzare, ma in linea generale, è in definitiva possibile affermare che, in base a risultati medi pervenuti da diverse realizzazioni di impianti nel terziario e anche nel residenziale avanzato, il costo di un sistema bus supera, a parità di funzioni, quello di un impianto tradizionale di una quota percentuale variabile che può andare tipicamente da un 5% ad un 30% del valore tradizionale stesso, in relazione alle dimensioni dell’impianto e soprattutto alle sue prestazioni. Percentuali di questa entità, sono in effetti in grado di giustificare da sole il valore aggiunto introdotto dalle notevoli potenzialità di un sistema bus, oltre al fatto che, studi e considerazioni riguardo il risparmio energetico apportato da

tali sistemi negli edifici, conducono a tempi di ammortamento della spesa iniziale mediamente assestati su sei mesi / un anno, periodo oltre il quale, il sistema si trasforma da un centro di costo ad un centro di profitto, consentendo una spesa periodica inferiore a quella di un sistema

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Figura 5

tradizionale, (sempre a parità di prestazioni), e mettendo in poco tempo l’utente in condizioni di essere ampiamente e completamente rimborsato dei costi sostenuti. (Fig. 5) In Fig. 5, è raffigurato l’andamento dei costi di un impianto al crescere della sua complessità (funzioni, dimensioni, …). Si noti come la curva relativa ai tradizionali si arresti oltre una certa complessità.

Perché installare allora un sistema domotico? Perché pur avendo costi confrontabili con quelli tradizionali, offre moltissime possibilità funzionali in più integrabili con poca spesa in qualsiasi momento. I numeri del settore in costante aumento, fatturato, iniziative, articoli, lavori, corsi tecnici di formazione, impianti realizzati, soprattutto il numero degli specialisti, sono un chiaro indice della direzione presa dall’automazione d’edificio e dalla domotica. L’economia di scala relativa alla produzione dei singoli dispositivi bus, permetterà con il tempo e anche con una maggiore divulgazione dei vantaggi connessi con l’uso di tali apparecchiature ed è ciò che si sta attualmente verificando, una discesa dei prezzi tale che vivremo a breve un’inversione di tendenza, sicché il costo dei sistemi intelligenti sarà nettamente al di sotto di quello degli impianti tradizionali e la loro adozione diverrà qualcosa di assolutamente imprescindibile. ■

OrdInE dEgLI IngEgnErI dELLa PrOvIncIa dI rOma


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Quaderno

a cura di Ing. G. Presti commissione Ingegneria nei sistemi di gestione revisione testi: Ing. e. Amodeo Ing. M. Cerri

I CODICI OHSAS 18001: 2007 – CENNI INFORMATIVI E MODALITÀ APPLICATIVE ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA


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roma Origine e sviluppo dei codici ohsas 18001 Nel 1999 la BSI insieme a un gruppo di organismi di certificazione e di enti di normazione di vari paesi quasi tutti nell’area di influenza inglese (Australia, Malaysia, Sud Africa) hanno elaborato uno standard normativo, ovvero la OHSAS 18001 (Occupational Health and Safety Assessment Series). La OHSAS 18001 non è una vera norma in quanto nasce al di fuori della normazione ufficiale (ISO), ma poiché si integra con i sistemi di gestione ISO 9001 e ISO 14001 e ha come scopo la certificazione di conformità, diverse imprese in Italia e nel mondo la hanno adottata facendosi certificare sulla base di questi codici. Visto il successo e la diffusione, al termine di una lunga e approfondita raccolta di dati e informazioni da tutto il mondo, la BSI ha aggiornato le norme OHSAS 18001 nel 2007 combinando tale aggiornamento alla promozione dei codici al rango di norma ufficiale inglese.

Caratteristiche generali della norma ohsas 18001 La OHSAS 18001 identifica uno standard internazionale la cui applicazione permette un approccio sistemico alla gestione della sicurezza del lavoro e la tutela della salute. Adottare un

sistema OHSAS per una impresa vuol dire da un punto di vista pratico: • Mettersi in condizione di conoscere a fondo tutti i rischi presenti in Azienda e facilitarne la valutazione; • Acquisire una consapevolezza a tutti i livelli della organizzazione su quanto si sta facendo per ridurre i rischi; • Avere la certezza di non aver solo rispettato la “ cogenza” legislativa, ma soprattutto di aver fatto della Sicurezza e Salute il punto cardine della politica societaria intraprendendo sempre nuove azioni e interventi per ottenere il miglioramento continuo secondo il ciclo di Deming. Le organizzazioni che scelgono inoltre di certificare il proprio sistema di gestione da un ente di terza parte indipendente, dovranno rivolgersi a un soggetto accreditato a tale scopo detto Organismo di certificazione.

Benefici della adozione di un sistema OHSAS per una azienda Fra tali benefici si elencano solo alcuni che si ritengono più significativi: • Miglioramento dell’efficacia e sicurezza concreta di tutti i processi inerenti la produzione e i servizi accessori;

PLAN: stabilire obiettivi per ottenere tale miglioramento DO: finalizzare tali obiettivi e processi CHECK: sorvegliare e verificare che tutti i processi in materia di sicurezza sul lavoro siano rispettati ACT: intraprendere azioni e interventi per migliorare in continuo tutte le prestazioni in materia di sicurezza e salute

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Diminuzione delle ore lavorative perse per infortuni e malattie; • Diminuzione dei problemi durante i controlli ordinari e straordinari da parte degli Organi di vigilanza; • Maggiore considerazione da parte di Clienti e fornitori. Infine si ricorda che l’articolo 30 del decreto 81/08 c.c.m. dal Decreto 106/09 indica che l’adozione e la attuazione “efficace” di un sistema di gestione salute e sicurezza è “esimente” delle responsabilità amministrative, delle persone giuridiche, delle Società e delle Associazioni prive di personalità giuridica di cui al Decreto legislativo 8 giugno 2001 N° 231.

Modalità di sviluppo di una certificazione OHSAS La procedura di valutazione dell’ente certificatore, della quale è stata informata l’organizzazione che si deve preparare adeguatamente a tale necessità anche con l’aiuto di consulenti o strutture specialiste in materia, si svolge in due successivi steps. Nel primo si eseguono: • Controllo che il sistema di gestione tenga effettivamente conto di tutti i pericoli e rischi insiti nell’Azienda; • Verifica di tutti i documenti di “cogenza legislativa”, soprattutto gli Atti Autorizzativi (Certificato di Prevenzione incendi, autorizzazione sistema di terra, etc.); • Verifica del documento di valutazione dei rischi. Nello STeP 2 l’ente certificatore conferma e verifica che: • L’organizzazione si stia impegnando per il conseguimento degli obiettivi; • Siano presenti e applicati tutti i documenti di sistema (vedi paragrafo successivo); • Che siano svolti i controlli operativi; • Sia efficacemente applicata l’ottica del miglioramento continuo. L’Organo di certificazione, una volta accertata la veridicità e giusta applicazione del sistema gestito, rilascerà il certificato che avrà una validità prefissata e dovrà essere sottoposto a rinnovo.

I documenti di sistema La documentazione del Sistema di gestione salute e sicurezza sul lavoro (in seguito SGSSL) è strutturata a livello piramidale in accordo a quanto di seguito descritto: • Il Manuale di Gestione della Salute e Sicurezza sul Lavoro è il documento cardine dello SGSSL poiché descrive come il sistema stesso è istituito, documentato e implementato; • Le Procedure Gestionali sono documenti

che definiscono le singole attività espletate dalle diverse funzioni e descrivono cosa deve essere fatto e da chi, quando deve essere fatto, le apparecchiature, i documenti ed i materiali utilizzati; Le Istruzioni Operative sono documenti che descrivono nel dettaglio come deve essere eseguita un’attività a livello tecnico-operativo; La Modulistica è composta di un insieme di documenti che servono a registrare ordinatamente i dati oggettivi dell’efficace funzionamento del sistema e a renderli in tal modo disponibili all’Organizzazione.

L’Audit: un passo fondamentale per la applicazione della norma Gli audits sono sicuramente lo strumento più efficace di cui l’Organizzazione si avvale al fine di misurare l’adeguatezza, l’efficacia e la propensione al miglioramento dello SGSSL implementato. Le fasi di esecuzione di audit seguono il seguente iter: • Programmazione della verifica; • Costituzione del gruppo di verifica ed elaborazione dell’eventuale lista di riscontro; • esecuzione della verifica; • Registrazione dei risultati della verifica; Al termine dell’audit, il responsabile del team emette il “Rapporto di audit” nel quale evidenzia i risultati dell’attività condotta e le eventuali carenze riscontrate che dovranno essere sanate da apposite azioni correttive.

Figure chiave della sicurezza nell’ambito OHSAS 18001 Un SGSSL prevede la nomina di alcune figure propriamente caratteristiche e “ volute” dal codice OHSAS. Deve essere nominato un Rappresentante Della Direzione (RDD) con specifiche responsabilità riguardanti il SGSSL e che, indipendentemente da altre responsabilità, ha il ruolo e le responsabilità di assicurare che il SGSSL sia stabilito, attuato e mantenuto attivo in accordo alla norma BS OHSAS 18001. Il RDD è supportato dalla nomina del Responsabile del Sistema di Gestione (RSGS), il quale si occupa dell’implementazione e del mantenimento del SGSSL e quindi ha il ruolo fondamentale di “locomotiva” per la corretta implementazione del sistema.

Applicazione pratica di un sistema OHSAS e’ fuori di dubbio che applicare correttamente e certificare un SGSSL presuppone un lavoro di un certo livello “ingegneristico” sia da un punto di vista “culturale” che “progettuale” per permettere che tale sistema venga implemen-

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roma tato non solo nelle parole ma soprattutto nei fatti. La problematica importantissima di coinvolgere attivamente tutta la popolazione aziendale non è cosa facile. Dal manager fino ai lavoratori tutti devono fare la loro parte in modo significativo dimostrando alla Organizzazione nonché all’ente Certificatore che le procedure, i corsi di formazione e quant’altro necessario sono stati recepiti e “digeriti” da tutti con adatto processo di sensibilizzazione. Non basta sapere che cosa è un “quasi incidente” ma è necessario che dal lavoratore che deve segnalare l’evento, fino a chi lo registra e indaga sui motivi per cui è stato sfiorato un infortunio fino al top management che deve provvedere con gli interventi che possano evitare il ripetersi dell’evento, tutti facciano la loro parte. Chi si occupa di implementare e completare un SGSSL sicuramente si scontrerà con tutta una Organizzazione non abituata ad affrontare le problemati-

che in un modo sistemico, ma solamente in modo che la legge “non mi punisca”, che è ovviamente il modo più sbagliato per affrontare le tematiche di sicurezza sul lavoro. Sarà quindi necessario che chi si occupa della certificazione cerchi innanzitutto di coinvolgere soprattutto il datore di lavoro da cui discende “ tutto”, cercando di sensibilizzarlo al fatto che scrivere e seguire procedure, istruzioni e quant’altro non deve essere visto come un appesantimento del lavoro dell’Azienda. In conclusione chi seguirà l’implementazione del sistema, avrà innanzitutto il compito di accompagnare giorno dopo giorno la crescita della Azienda sotto tutti gli aspetti e verso tutti i lavoratori, in modo che sia sempre chiaro che come “Roma non è stata fatta in un giorno”; così arrivare a una certificazione in SGSSL non è affare di un giorno o di un mese, ma di una applicazione costante e intensiva. ■

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Quaderno

a cura di Ing. L. Falcone Ing. M. Cantini Ing. F. Serra commissione Impianti di climatizzazione visto da: Ing. M. Domenicucci

GLI IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE NEGLI EDIFICI OSPEDALIERI Il controllo del clima negli ambienti costituisce un problema di primaria importanza nel campo ospedaliero interessando non solo la realizzazione di impianti in nuove strutture, ma anche la possibilitĂ di inserimento nelle ristrutturazioni.

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Questi devono essere concepiti e progettati con una completa integrazione con il progetto globale, che risulta semplice nel caso di nuova costruzione, più difficoltoso nel caso di ristrutturazioni in quanto occorre interagire con vincoli restrittivi condizionanti, quali una distribuzione di spazi complessi e articolati. In riferimento alla progettazione climatica di un edificio ospedaliero si devono garantire due caratteristiche fondamentali: • controllo totale delle condizioni di benesse-

re termoigrometrico (temperatura e umidità relativa), con possibilità di regolazione a seconda dell’area interessata; • controllo dei flussi d’aria tra locali diversi e ricambi d’aria all’interno dei singoli locali. Riguardo il primo punto possiamo citare alcune esigenze che fanno riferimento ad aree ben delimitate: i pazienti affetti da patologie ossee reumatiche necessitano di bassa umidità relativa accoppiata ad elevata temperatura, mentre quelli affetti da patologie cardiache necessitano di temperature non elevate; riguardo il secondo punto, diventa fondamentale la differenza di pressione tra i locali – completata da opportuna filtrazione – facendo riferimento ad es. a locali dove vengono trattate patologie infettive, che dovranno rimanere sempre in leggera depressione rispetto ai locali confinanti. Dal punto di vista impiantistico, per soddisfare i requisiti richiesti, è prevista l’adozione della ventilazione forzata che determina una tipologia di impianto a tutt’aria esterna, per lo meno nelle nuove costruzioni (essendo escluso il ricircolo ed escludendo ventilazione naturale anche nei reparti di degenza); l’umidificazione dell’aria deve avvenire preferibilmente a vapore e la purificazione dell’aria perseguita con una serie di zone di filtrazione realizzate con sequenze di filtri a media, alta ed altissima efficienza. La molteplicità dei requisiti e la complessità delle realizzazioni consigliano fortemente l’adozione di sistemi di controllo che assicurino la flessibilità richiesta e allo stesso tempo di soluzioni impiantistiche che limitino il dispendio energetico, sempre elevato in casi del genere. Pertanto è consigliata l’adozione di recuperatori di calore e una progettazione orientata anche a comprendere una cogenerazione, coesistendo carichi termici con carichi elettrici. Inoltre una delle funzioni principali dell’edificio ospedaliero è quella di permettere ai pazienti di recuperare buone condizioni di salute ed evitare che gli stessi nel contempo contraggono nuove patologie. Quindi si deve tener conto delle varie tipologie di pazienti (cardiopatici, asmatici, ustionati, etc.) per assicurare ad ogni paziente le migliori condizioni di umidità relativa e temperatura per le varie patologie. Non bisogna dimenticare gli ambulatori, laboratori, uffici amministrativi che saranno trattati, a meno di esigenze particolari, come tutte le superfici commerciali. Per i reparti ospedalieri bisogna cercare di: • limitare il movimento dell’aria per evitare correnti;

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effettuare un’adeguata filtrazione ed un idoneo ricambio d’aria; • tenere conto delle esigenze di ciascun reparto; • evitare la presenza di dannose correnti d’aria; • evitare la diffusione di contaminanti da un reparto all’altro. ecco quindi assumere una grande importanza il bilanciamento delle pressioni nei vari ambienti, lasciando in leggera depressione quelli infetti, quali le camere d’isolamento delle malattie infettive e i locali dove vengono effettuati gli esami autoptici. I locali che dovranno invece essere mantenuti in leggera sovrappressione sono le sale operatorie, rianimazione, grandi ustionati. In tutti i casi dovrebbero essere previste delle “anticamere” che possono aiutare a mantenere la sterilirà agli ambienti. Per la filtrazione va tenuto conto, nel dimensionamento delle centrali di trattamento aria, delle varie tipologie di filtri, della loro efficienza e delle perdite di carico. Ogni filtro ha un uso particolare e deve essere scelto in base al servizio che deve svolgere; molto spesso i filtri devono essere completati con lampade a raggi UV o germicide. L’efficienza dei filtri viene misurata utilizzando le classi di filtrazione; la norma UNI 10339 classifica i filtri in base ad un numero da 1 a 14 suddividendo i filtri in media (M), alta (A), altissima (AS) efficienza: l’efficienza di un sistema filtrante è dato dalla combinazione di queste tre classi.

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Tabella 1

Classe

Efficienza del filtro

1 M 2 M 3 M 4 M 5 A 6 A 7 A 8 A 9 A 10 AS 11 AS 12 AS 13 AS 14 AS M = Media A= Alta efficienza AS = Altissima efficienza e filtri assoluti

Altre norme sono la eN 779 e la UNI 13779:2005. Per la maggior parte degli ambienti ospedalieri le condizioni di progetto sono: • estate: 24-26 °C; umidità relativa 40-60 % • inverno: 20-24 °C; umidità relativa intorno al 50% Alcuni reparti quali grandi ustionati, asmatici, rianimazione, ecc. richiedono condizioni particolari che possono essere stabilite in base alle indicazioni del personale medico specializzato. In riferimento alla progettazione dell’ambiente interno, è utile citare la norma europea UNI eN 15251 – “Criteri per la progettazione dell’ambiente interno e per la valutazione della prestazione energetica degli edifici, in relazione alla qualità dell’aria interna, all’ambiente termico, all’illuminazione e all’acustica”, che indica i parametri dell’ambiente interno, che incide sulla prestazione energetica e considera tra questi quelli che definiscono la qualità dell’aria interna e l’ambiente termico. In questa norma vengono introdotte ipotesi di metodologie da adottare nella valutazione della qualità ambientale, sia in sede di progetto che di esercizio, per singoli locali e per interi edifici, specificando i parametri ambientali ed i criteri di cui avvalersi per raggiungere prefissati obiettivi di prestazione energetica. La norma inoltre fornisce un metodo di classificazione del livello di qualità degli ambienti interni in relazione ai valori assunti da alcuni parametri indicatori dello stato di benessere. In definitiva dal punto di vista normativo specifi-

Campo di efficienza (%)

Metodo di prova

e < 65 65 ≤ e < 80 80 ≤ e < 90 90 ≤ e 40 ≤ e < 60 60 ≤ e < 80 80 ≤ e < 90 90 ≤ e < 95 95 ≤ e 95 ≤ e < 99.9 99.9 ≤ e < 99.97 99.97 ≤ e < 99.99 99.99 ≤ e < 99.999 99.999 ≤ e

Ponderale Ponderale Ponderale Ponderale Atmosferico Atmosferico Atmosferico Atmosferico Atmosferico Fiamma sodio Fiamma sodio Fiamma sodio Fiamma sodio Fiamma sodio

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roma Per l’aria esterna la UNI 10339 da questi valori Categorie di edifici

Degenze (2 – 3 letti) Corsie Camere sterili Camere per infett. Sale mediche/sogg. Terapie fisiche Sale operatorie Servizi

Indice di affollamento previsto per mq

Portata di aria esterna Qop (10-3mc/s per persona)

Portata di aria esterna Qop (10-3 mc/s mq)

OSPeDALI, CLINICHe, CASe DI CURA e ASSIMILABILI 0.08 11 0.12 11 0.08 11 0.20 8.5 0.20 11 estrazioni A

co per gli impianti di climatizzazione negli edifici ospedalieri in Italia non esiste un vero e proprio corpus legislativo/normativo. Le poche norme a cui si deve far riferimento sono le seguenti: • Circolare Ministeriale LL.PP. n°13011 del 22/11/1974 - “ Requisiti fisico-tecnici per le costruzioni edilizie ospedaliere. Proprietà termiche, igrometriche, di ventilazione e di illuminazione”. • Norma UNI 10339 “Impianti aeraulici ai fini di benessere. Generalità, classificazione e

Note

71 D D

requisiti. Regole per la richiesta d’offerta, l’offerta, l’ordine e la fornitura”. • Norma UNI 8199 “Misura in opera e valutazione del rumore prodotto negli impianti di riscaldamento, condizionamento e ventilazione”. essendo molto limitata la normativa italiana, quando ci si approccia alla progettazione degli impianti di climatizzazione negli edifici ospedalieri si consiglia di fare riferimento alla normativa tedesca DIN e alle normative americane ASHRAe. ■

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Tabella 2


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Arch. M. Fuksas - Stabilimento De Cecco (Pescara)


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Quaderno

FONDAMENTI DI VENTILAZIONE DELL’INCENDIO Premesse a cura di Ing. A. Leonardi Ing. G. Longobardo commissione Comportamento all’incendio e Fire Safety engineering visto da: Ing. L. Liolli

Gli incendi di tipo confinato sono spesso descritti in termini di sviluppo della temperatura nel compartimento ed in funzione delle diverse fasi che li caratterizzano: • accensione • crescita; • flashover; • sviluppo generalizzato o fase stazionaria; • decadimento o raffreddamento. L’accensione può essere considerato come un processo che produce una reazione esotermica caratterizzata da un aumento della temperatura molto superiore a quella ambiente. essa può essere di tipo pilotato (per esempio mediante una fiamma, una scintilla, un arco elettrico) oppure di tipo spontaneo attraverso un accumulo di calore nel combustibile ed il raggiungimento della temperatura di autoaccensione. Il processo di combustione che si produce può essere accompagnato da fiamme oppure può esser di tipo covante.In seguito all’accensione, ed in presenza di combustione fiammeggiante, le fiamme possono crescere con una velocità che dipende dal tipo di combustione, dal tipo di combustibile, dall’interazione con l’ambiente e dalla facilità di accedere a

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roma sufficiente quantità di ossigeno. L’incendio pertanto può essere descritto in termini di energia rilasciata (rate heat release) e di produzione di fumo e gas di combustione. Un incendio covante può produrre grandi quantità di gas tossici, in maggioranza monossido di carbonio in quanto si tratta di combustione sottoventilata e quindi incompleta, ma avere un rilascio termico molto basso, dell’ordine di pochi kW. Il periodo di crescita può essere molto lungo e comunque può arrestarsi prima di passare alle fasi successive. In caso di combustione fiammeggiante invece la fase di crescita può essere molto veloce in quanto le fiamme emettono sufficiente energia radiante da provocare la pirolisi del materiale e quindi la successiva combustione del combustibile in fase gassosa che si libera da esso, soprattutto in presenza di sufficiente ventilazione, condizione che permette di affermare che la combustione, in tale fase, è controllata dal combustibile ossia dal componente presente in minor quantità in termini di massa. Quando l’incendio, ancora localizzato in una limitata quantità di materiale combustibile presente nel compartimento (Figura 1), entra in una fase in cui le perdite energetiche verso l’esterno e soprattutto verso le strutture che costituiscono il compartimento - perdite controllate dall’inerzia termica di tali strutture - diminuiscono per effetto della riduzione del salto termico tra temperatura dei fumi e temperatura delle strutture, i fumi caldi che si sono accumulati a ridosso del soffitto aumentano di temperatura fino a raggiungere valori superiori ai 500 °C. In tali condizioni lo strato caldo può raffigurarsi come un corpo grigio che irraggia verso il basso: il materiale sottostante riceve energia termica in misura non inferiore ai 20 kW/m2 quindi superiore al flusso critico di accensione per la maggior parte dei materiali combustibili. Aumenta la velocità di pirolisi e quindi la quantità di combustibile gassoso che si libera nel compartimento. La quantità di aria che fluisce all’interno del compartimento è ancora sufficiente per la combustione di tali gas e pertanto si ha l’accensione improvvisa di tutto il materiale combustibile presente nel compartimento (Figura 3). Si origina quindi quell’impennata della curva dell’incendio che si può osservare nella Figura 4 e che rappresenta un momento fondamentale nella storia termica dell’incendio. Infatti l’improvvisa e completa partecipazione alla combustione di tutto il materiale combustibile provoca inizialmente un aumento dell’energia rilasciata nel tempo (potenza) e quindi anche della temperatura media del compartimento. A questo aumento segue la fase di incendio ge-

neralizzato che è caratterizzato dalla stazionarietà della potenza (tratto rettilineo della curva) in quanto avviene ormai a tasso di combustione costante perché sono mutate le condizioni di ventilazione.

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Figura 1

Figura 2

Figura 3


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roma

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Figura 4

In pratica nella relazione fondamentale (equ.1.1) il tasso mf (kg/s) raggiunge il massimo e si stabilizza in quanto la portata di aria disponibile è sufficiente alla combustione solo di una certa percentuale di tale tasso. Infatti il flashover e la successiva fase di incendio generalizzato sono caratterizzati dall’apparizione di fiamme all’esterno dell’aperture di ventilazione del compartimento, a dimostrazione che una parte del pirolizzato non riesce a bruciare all’interno e si accende solo in prossimità delle aperture dove è disponibile maggiore quantità di aria. Pertanto la fase di incendio generalizzato è controllata dalla ventilazione in quanto deficitaria rispetto all’abbondanza di combustibile in fase gassosa. In questa fase la temperatura media del compartimento diventa molto elevata può essere compresa nel campo tra 700 e 1200 °C, in funzione della superficie di ventilazione. Quando è stato consumato circa il 70-80% del combustibile disponibile, l’incendio entra nella fase di decadimento: il tasso di energia rilasciata diminuisce e di conseguenza anche la temperatura media del compartimento si abbassa. L’incendio può eventualmente ritornare ad essere controllato dal combustibile se i prodotti della combustione diminuiscono o le aperture di ventilazione aumentano, per crolli o per intervento delle squadre di soccorso. Tecnicamente l’incendio è esaurito quando la temperatura media del compartimento scende al di sotto dei 250 °C.

La crescita dell’incendio e la ventilazione La ventilazione gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di un incendio e pertanto è necessario capire gli ordini di grandezza delle

portate di aria che si possono riscontrare in un compartimento. Infatti non bisogna pensare alla ventilazione soltanto in termini di porte aperte o di rotture dei vetri delle finestre: l’aria disponibile per una combustione affluisce da ogni zona di comunicazione tra il compartimento e l’ambiente esterno. Anche le infiltrazioni naturali degli infissi e delle strutture, in particolari edifici, possono costituire quantità notevoli di aria per la combustione. Il modello che normalmente viene usato per descrivere la correlazione tra ventilazione e potenza termica rilasciata consiste nel bilanciamento di due termini. • il calore rilasciato, espresso in termini di aria che affluisce verso il locale; • le perdite di energia termica verso l’esterno. Per entrambi i termini la velocità di trasporto termico è funzione della temperatura del compartimento. Pertanto una certa portata di aria permetterà all’incendio di crescere fino ad un punto di equilibrio in cui il calore prodotto uguaglia il calore disperso. Il punto di equilibrio è stabile se l’incendio è controllato dalla disponibilità di aria e quindi, se non avvengono altre modificazioni nel sistema, l’incendio non crescerà ulteriormente. Se invece accadrà, per esempio, la rottura di una finestra, la crescita riprenderà verso un altro punto di equilibrio. Tale situazione è sintetizzata nella Figura 5. L’intersezione delle curve del tasso di rilascio termico con la curva delle perdite di calore tipica del compartimento fornisce i punti di equilibrio. Graficando i valori della temperatura del compartimento relativi ai vari punti di equilibrio in funzione del fattore di ventilazione Awh1/2 otteniamo la correlazione con le aperture di ventilazione, così come illustrato nella Figura 6. Per dare un’idea dell’intervallo dei valori di

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roma 0.016 m5/2. Nel caso la connessura superiore sia pari a 4 mm il fattore di apertura vale 0.036 m5/2. Se la temperatura del compartimento supera i 500 °C è facile che ci si trovi in prossimità del flashover. A questa temperatura una porta ordinaria in legno resiste per pochi minuti. Sotto i 250°C la carbonizzazione del legno è molto lenta ma oltre questo valore la velocità di reazione aumenta rapidamente.

Figura 5

77

Il flashover Figura 6

Awh1/2 si deve pensare che una porta aperta (che probabilmente permetterà una crescita ininterrotta fino al flashover) ha un Awh1/2 di circa 2.25 m5/2 mentre un Awh1/2 =0.01 m5/2 corrisponde ad una apertura quadrata di 160 mm di lato. Occorre valutare correttamente il fattore di apertura. Se in un compartimento esistono diverse aperture la cui forma, altezza e distanza del davanzale dal pavimento è simile, allora è possibile semplicemente sommare i vari Awh1/2 ma se invece la situazione geometrica è più complessa questa approssimazione non è più valida in quanto l’asse neutro è la risultante degli assi neutri delle varie aperture. Studi effettuati da Bullen sull’efficacia di buone chiusure in un compartimento per bloccare la crescita dell’incendio hanno dimostrato che una porta ben chiusa, nel senso che le infiltrazioni sono ridotte al minimo, equivale ad un’apertura quadrata di 150 mm e con fattore di ventilazione pari a 0.009 m5/2, disposta in modo baricentrico rispetto all’asse neutro. essa corrisponde nella realtà ad una porta 2 x 0.8 m con connessure da 1 mm. Nell’ipotesi che tale porta abbia una connessura inferiore, a livello di pavimento, pari a 10 mm, il fattore di apertura sale a

ll fenomeno del flashover, allo stato attuale degli studi, è considerato un fenomeno di instabilità del sistema incendio, secondo la teoria delle criticità sviluppata da Semenov. Il momento in cui il calore emesso dall’incendio non riesce più ad essere smaltito e inizia una fase da accumulazione, rappresenta la transizione da un regime ad un altro, transizione a cui si dà il nome di flashover. Il fenomeno può essere illustrato in funzione temporale del cosiddetto rapporto di equivalenza, ossia quel rapporto (funzione del tempo) che misura quanto la reazione di combustione sia stechiometrica, cioè se esiste sovrabbondanza di vapori di combustibile o di ossigeno. Ovviamente il rapporto stechiometrico al denominatore sarà quello reltivo al materiale combustibile dominante che sta bruciando. Nella Figura 7 si può osservare l’andamento del rapporto di equivalenza in funzione del tempo: prima del flashover il rapporto è inferiore ad 1 in quanto brucia poco combustibile in relazione all’aria disponibile. Il rapporto stechiometrico – cioè rapporto di equivalenza pari ad 1 – si raggiunge proprio nel momento del flashover. Dopo si entra nella fase di incendio generalizzato dove tutto il combustibile brucia ed, al contrario, la disponibilità di aria diminuisce drasticamente: il rapporto di equivalenza diventa maggiore di 1.

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Figura 7


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In termini di equazioni possiamo quindi scrivere che all’inizio dell’incendio, quando il comportamento è simile a quello di fiamme all’aperto, l’equazione di bilancio dell’energia può essere scritto come: (equ.1.2)

soffitto) sono distribuiti in una regione ben definita, quella identificata nella figura 08 da un retino. Si osservò che il flashover non avveniva per tassi di combustione inferiori ad 80 g/s e comunque esisteva un limite inferiore che variava con la ventilazione secondo la seguente espressione: (equ.1.5)

Durante la fase di crescita aumenta il contributo emissivo delle fiamme e pertanto l’equazione (1.2) si modifica: (equ.1.3)

Per molti combustibili si può stimare che circa il 30% dell’energia termica liberata nelle fiamme è irraggiata verso l’ambiente circostante mentre il resto si disperde convettivamente nel pennacchio. Questa energia è assorbita dagli altri combustibili presenti con innalzamento della loro temperatura superficiale. Se questa raggiunge la Tig si ha accensione ed ulteriore contribuzione all’energia termica che si accumula all’interno. esistono diversi approcci per stimare l’insorgenza del flashover dentro un locale. essi si basano su bilanci semplificati di massa ed energia unitamente a correlazioni con sperimentazioni in locali di dimensioni e caratteristiche normalizzate. La relazione originaria, proposta da Kawagoe nel 1958, correla area ed altezze delle aperture verticali di ventilazione con sperimentazioni effettuate mediante cataste di legno, quindi un carico d’incendio definito. Il tasso di combustione in un compartimento (è importante ricordare che questi “compartimenti” erano stanze di dimensioni ridotte) sotto condizioni di ventilazione limitate può essere calcolato mediante l’equazione: (equ.1.4)

Il tasso di combustione diventa indipendente dalla ventilazione per grandi valori di AwH1/2. Le considerazioni precedenti, sebbene relative ad un singolo compartimento alto 2.7 m, suggeriscono un principio più generale: • si deve superare, e mantenere per un certo tempo, un valore inferiore del tasso di combustione affinché avvenga il flashover. e’ stato verificato che l’incendio di singoli mobili imbottiti può condurre al flashover se il loro tasso di combustione è abbastanza alto. esistono altre correlazioni semplici per stimare il tasso di rilascio termino minimo che può produrre il flashover per un determinato compartimento. Per esempio Thomas, eseguendo un bilancio semplificato di energia trovò una relazione in cui il primo termine rappresenta la superficie totale interna del compartimento ed il secondo invece l’entalpia che fuoriesce dalle aperture di ventilazione: (equ.1.6) Babrauskas ha sviluppato un modello semplice per la stima dell’energia minima necessaria allo sviluppo del flashover, fissando il salto di temperatura a 575 °C (equ.1.7)

Figura 8

dove Aw ed H sono rispettivamente l’area e l’altezza delle aperture di ventilazione e K una costante che vale circa 0.09 kg/m5/2 s. Hagglund perfezionò le sperimentazioni su cataste di legno in un locale 2.9x3.75x2.7 m, monitorando continuamente il tasso di combustione. I dati furono riassunti nel grafico presentato nella slide successiva, dove il tasso di combustione è riportato in funzione del fattore AwH1/2. Si notò che gli incendi che raggiungevano il flashover (identificato da fiamme che fuoriuscivano dalla porta e temperature superiori ai 600 °C sotto il

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roma McCaffrey effettuò un’analisi di regressione su oltre cento sperimentazioni per ricavare una correlazione tra energia sviluppata nel compartimento e temperature nello strato superiore caldo. Da questa correlazione ricavò la seguente equazione (cosiddetta equazione MQH): (equ.1.8) dove QFO è espresso in kW , AT e Aw in m2 e hk in kW/m2 K. Il parametro AT rappresenta la superficie totale che inviluppa il compartimento, compresa l’area Aw delle aperture. Il valore di hk può essere preso pari a (krc/t)1/2 oppure può essere semplificato ponendolo pari a k/d dove d è lo spessore delle pareti del compartimento. Ovviamente k, r e c rappresentano le caratteristiche termofisiche dell’involucro esterno del compartimento. Nel lavoro originale k, r e c erano riferiti a pareti in cartongesso ed il tempo caratteristico t era fissato in 200 s, valore congruo per un incendio di mobile imbottito. QFO rappresenta la potenza necessaria per produrre uno strato caldo di circa 500 °C sotto il soffitto. Il parametro hk rappresenta il coefficiente di scambio dell’equazione 1.9 (equ.1.9) L’equ. 1.8 ha una particolarità: un aumento del 100% di uno dei parametri AT, Aw e hk produce un incremento di solo il 41% della potenza necessaria per ottenere il flashover. La Figura 9 mostra la correlazione, in funzione dell’inverso del fattore di apertura, tra potenze minime al flashover ricavate sperimentalmente e quelle ricavabile dalle espressioni precedenti. Figura 9

I flussi gassosi attraverso le aperture di ventilazione verticali Per comprendere il regime dei flussi gassosi all’interno di un compartimento dove si è sviluppato un incendio è necessario modellizzare il medesimo riducendolo ad un volume di controllo dove poi effettuare i bilanci di massa e di quantità di moto

79

Figura 10

Relativamente al modello riportato nella Figura 10 ed alle Figure 11 e 12 possiamo fare le seguenti ipotesi: • si applica l’equazione di Bernoulli; • l’apertura si comporta come un’orifizio; • il flusso parte da fermo; • la densità è costante lungo una linea di flusso; • le pressioni sono di tipo statico • non ci sono perdite dovute ad attrito nel sistema Si ricorda che la conservazione dell’energia (quantità di moto) può essere espressa mediante l’equazione di Bernoulli (equ.1.10) L’uso di tale equazione ovviamente implica che i fluidi in gioco sono considerati incomprimibili, assunzione ragionevole nell’ambito dell’incendio. Figura 11

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Figura 12

Applichiamo il modello alla Figura 12 che rappresenta l’apertura in un compartimento posta in sommità. L’equazione di Bernoulli verrà applicata con riferimento ai punti (1), (2) e (3). Il punto (1) è posto all’interno, il punto (2) all’esterno mentre il punto (3) è posizionato sull’apertura. Si adotterà come altezza di riferimento il piano neutro, ossia il luogo in cui le pressioni passano per lo zero invertendo il segno, pertanto i punti considerati si trovano ad un’altezza hu sopra quel livello. Ponendo uguale a zero le velocità nei punti (1) e (2) il termine relativo alla pressione idrostatica tra questi due punti può essere scritto come

Con riferimento alla Figura 13 e ricordando che h1=h2=hu si può scrivere (equ.1.11) che rappresenta il gradiente della pressione idrostatica attraverso l’apertura. Il passo successivo del modello è correlare tale gradiente con la velocità del fluido attraverso l’apertura in modo da poterne calcolare le portate di massa. In questo caso prendiamo come riferimento il punto (1) ed il punto (3) e riscriviamo l’equazione di Bernoulli:

Possiamo fare le seguenti osservazioni: • la velocità del gas nel punto (1) è pari a zero, per precedente ipotesi; • la densità del gas nel compartimento è uguale a quella nel punto (3) così che r1=r3=rg • l’altezza dei punti (1) e (3) dal piano neutro è la stessa così che h1=h3=hu

e scrivere in modo semplificato che

(equ.1.12)

Da tale relazione si ricava facilmente la velocità dei gas attraverso l’apertura (equ.1.13)

In maniera analoga si procede per derivare l’espressione relativa ad una apertura posta inferiormente. Ovviamente occorre considerare che il nostro riferimento è il piano neutro e pertanto l’altezza da l centro dell’apertura inferiore a tale piano ha valore negativo pari a hl. Questo conduce ad un gradiente negativo della pressione idrostatica che indica che l’aria fresca di richiamo è aspirata al contrario dei gas caldi che sono spinti al di fuori del compartimento. Si può comunque cambiare riferimento definendo un sistema di coordinate che rende hl positivo rispetto al piano neutro e di conseguenza anche la velocità dell’aria che entra nel compartimento, come è illustrato nella Figura 13. Tale velocità è data dalla relazione (equ.1.14)

La possibilità di calcolare le velocità dei flussi gassosi attraverso le aperture verticali, poste a qualsiasi altezza nel compartimento, permette di calcolare le portate di tali flussi applicando l’equazione di conservazione della massa (equ.1.15) dove Cd è un coefficiente di efflusso che ha un valore compreso tra 0.6 e 0.7, A [m2] è l’area

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Figura 13

dell’apertura, v [m/s] è la velocità attraverso l’apertura, ritenuta ragionevolmente costante lungo tutta l’altezza dell’apertura eccetto che in corrispondenza degli spigoli. Si noti che quando questa ipotesi non può essere ritenuta vera nell’equazione 1.15 il profilo di velocità deve essere integrato rispetto all’altezza per ottenere la portata totale di massa. Sempre con riferimento alla figura 13 le portate massiche [kg/s] attraverso le aperture di ventilazione sono espresse mediante le seguenti relazioni:

te volumetriche che sono più significative in relazione ai calcoli di smaltimento dei fumi. esistono diverse relazioni che permettono la stima della temperatura nel compartimento in funzione dell’evoluzione dell’incendio, ossia del Rate Heat Release Q. Ad esempio con la relazione di Alpert si può calcolare la massima temperatura vicino al soffitto, sia in posizione assiale rispetto alle fiamme sia ad una certa posizione radiale r dall’asse del fuoco: (equ.1.19)

(equ.1.16)

(equ.1.17)

Occorre tener presente che la densità dell’aria che viene richiamata nel compartimento sotto incendio varia nel momento in cui penetra nella zona della combustione e dà origine al classico pennacchio (plume) dell’incendio. Poiché la portata di effluenti gassosi dovuti alla combustione è molto inferiore, in termini massici, rispetto a quella dell’aria, non si commette un grande errore nel considerare il fumo composto esclusivamente di aria. Applicando la legge dei gas ideali a questa aria si può calcolare la variazione di densità in funzione della temperatura mediante la relazione

La potenza Qc rappresenta la potenza convettiva, stimata abitualmente in circa il 75% della potenza totale. La relazione di Alpert è particolarmente indicata per calcolare la temperatura dei flussi gassosi in uscita nella fase pre-flashover

(equ.1.18) con T in [K] e r in [kg/m3]. In questo modo è possibile passare da portate massiche a porta-

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Figura 14


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roma Infine uguagliando le portate massiche in entrata ed in uscita è possibile ricavare l’altezza del piano neutro, variabile nel tempo fino all’instaurazione del regime stazionario tipico dell’incendio generalizzato. Si riportano di seguito i passaggi necessari

82

(equ.1.21)

(equ.1.22)

(equ.1.20)

dove W è la larghezza delle aperture di ventilazione. Si ricorda che

La ventilazione durante l’incendio generalizzato Le relazione viste nella sezione precedente sono di ordine generale e si applicano bene quando l’incendio non ha ancora raggiunto il flashover e quindi è possibile parlare di modello a due zone: una zona inferiore in cui arriva l’aria fresca di richiamo d una zona superiore dove si stratificano i fumi e gas caldi. Quando invece il compartimento entra nella fase di incendio generalizzato la portata di effluenti gassosi aumenta moltissimo ed “occupa” la maggior parte dell’area di ventilazione disponibile. Pertanto la portata d’aria in entrata si stabilizza su un minimo ed il compartimento si satura di fumo fino quasi a terra. Si realizza così un ambiente in cui aria e fumo sono perfettamente miscelati e dove non esiste più l’interfaccia tra fumo ed aria di richiamo. In queste condizioni il piano neutro è riferibile solo in prossimità dell’ aperture e quindi le velocità dei flussi vanno calcolate più accuratamente in quanto non è più possibile individuare un valore medio. Con riferimento alla Figura 15 ed integrando rispetto alla sezione dell’apertura ed introducendo un coefficiente di efflusso C pari a 0.7 si arriva alle seguenti espressioni:

è il fattore di ventilazione di cui si è fatto cenno nella sezione di crescita dell’incendio Se assumiamo l’uguaglianza dei flussi in entrata ed in uscita possiamo infine calcolare l’asse neutro tramite la relazione (equ.1.23)

Conclusioni In termini sintetici si è cercato di fornire una descrizione completa e sufficientemente robusta in termini formali del fenomeno dell’incendio ed in particolare della ventilazione che ne costituisce uno degli elementi essenziali. Le relazioni riportate hanno ovviamente origine sperimentale e spesso sono validate per superfici confinate piccole rispetto a quelle con cui ci si confronta nella realtà professionale. Tuttavia esse appaiono ormai sufficientemente convalidate da un uso quasi quarantennale da poter affermare che l’ingegneria della sicurezza antincendio è sicuramente una scienza al pari delle altre branche dell’ingegneria, i cui risultati necessitano, più che per le altre, di un giudizio esperto e di coefficienti di sicurezza più ampi. ■

Figura 15

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roma Bibliografia Kawagoe, K. “Fire Behaviour in Rooms”, Report n.27, Building Research Institute, Japan, 1958, pp. 1-73. Rockett, J.A. “Fire Induced Gas Flow in an enclosure”, Combustion Science and Technology, Vol. 12, 1976, pp. 65-175. Thomas, P.H. “Two Dimensional Smoke Flows from Fires in Compartiments: Some engineering Relationships”, Fire Safety Journal, Vol. 18, 1992, pp. 125-137 Karlsson B., Quintiere J.G. “enclosure Fire Dynamics” CRC Press, 2000

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Arch. M. Fuksas - Zenith (Strasburgo)

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Arch. M. Fuksas - Zenith (Strasburgo)


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Quaderno

IL RUOLO DEL TECNICO COMPETENTE IN ACUSTICA AMBIENTALE: DALLA PROGETTAZIONE ALLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO a cura di Ing. P. Caporaletti Ing. M. Greco Ing. L. Quaranta commissione Acustica visto da: Ing. G. Fascinelli Ing. M.Pasca

Una delle principali attività svolte da un ingegnere nella sua vita professionale è la progettazione. Per progettazione si intende l’insieme delle fasi di pianificazione e programmazione di una serie di attività che porteranno ad un risultato atteso. Nell’ambito dell’ingegneria, la progettazione assume il significato di dimensionamento e ideazione di soluzioni che soddisfino le specifiche richieste, ma anche la ricerca e lo sviluppo di soluzioni innovative che introducano un miglioramento nelle tecniche e metodologie di realizzazione dell’opera stessa. Il dimensionamento fisico segue la definizione dell’insieme delle funzionalità che l’opera da realizzare dovrà garantire ovvero l’analisi dei requisiti o specifiche e la prima stesura del progetto: sotto questo aspetto spesso ci si avvale di modelli matematici per stabilire in via previsionale il comportamento statico e/o dinamico del caso di studio tramite risoluzione analitica del modello stesso o avvalendosi di simulazione al calcolatore grazie ad un software dedicato. Dimensionare il sistema vorrà dunque dire assegnare al model-

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roma lo matematico i valori opportuni dei suoi parametri fisici affinché esso manifesti le proprietà desiderate, ovvero segua attraverso la successiva applicazione creativo-progettuale dell’ingegnere le specifiche tecniche e gli obiettivi del progetto stesso. Cruciale è la conoscenza di norme e leggi vigenti nell’argomento relativo al progetto cui ci si dedica. Queste brevi considerazioni costituiscono il giusto approccio ad un progetto di ingegneria a prescindere dall’argomento, che si tratti di ponti, strade, reti elettriche, reti di dati, strutture, veicoli o altro, e senza dubbio anche di acustica. L’acustica è la scienza che studia le perturbazioni elastiche nei mezzi materiali. Si tratta, in questa definizione di carattere fisico, di una materia molto vasta con molteplici applicazioni sia pratiche sia di ricerca. Si va dall’ambito biomedico a quello dell’edilizia, dall’acustica ambientale all’acustica subacquea, si parla di acustica in ambito spaziale, neuro-percettivo, psicologico e fisiologico solo per citarne alcuni. Se poi si considera la branca della diffusione in corrispondenza di ambienti confinati, il panorama si estende ulteriormente verso l’area impiantistica di sonorizzazione, si pensi ai cinema, agli stadi, ai teatri, agli impianti di evacuazione con segnali sonori, alle applicazioni di ultima generazione con importanti ricerche nel campo della spazializzazione e dell’audio tridimensionale. Si parla addirittura di paesaggi e giardini sonori a livello privato e a livello comunale ( h t t p : / / w w w. f i re n z e s o u n d m a p . o r g ; http://www.giardinosonoro.com). Resta centrale, tuttavia, quello che deve essere da parte del professionista l’approccio ingegneristico alla materia e alla progettazione. Ad esempio quando si parla di rumore in acustica, si deve tenere presente che ci si riferisce ad una vera e propria tipologia di inquinamento ambientale, a contenimento del quale esistono vigenti leggi e norme tecniche. Il confort acustico va dunque considerato a tutti gli effetti un requisito igienico sanitario che concorre alla valorizzazione e alla tutela della salute della comunità, pertanto nell’approccio ingegneristico alla progettazione acustica ci si dovrà sempre riferire a tutti quegli aspetti tipici della progettazione di cui si è parlato in apertura. A tale proposito si riportano di seguito tre punti del codice deontologico degli ingegneri che riassumono in maniera quanto mai esaustiva e pertinente quanto sopra esposto: La professione di ingegnere deve essere esercitata nel rispetto delle leggi dello Stato, dei principi costituzionali e dell’ordinamento comunitario. La professione di ingegnere costituisce attività di pubblico interesse. L’ingegnere è personalmente responsabile della propria opera e

nei riguardi della committenza e nei riguardi della collettività. […] Le prestazioni professionali dell’ingegnere saranno svolte tenendo conto preminentemente della tutela della vita e della salvaguardia della salute fisica dell’uomo. […] Nella propria attività l’ingegnere è tenuto, nei limiti delle sue funzioni, ad evitare che vengano arrecate all’ambiente nel quale opera alterazioni che possano influire negativamente sull’equilibrio ecologico e sulla conservazione dei beni culturali, artistici, storici e del paesaggio. […]

Il tecnico competente in acustica ambientale: normativa di riferimento La figura professionale di “tecnico competente” in acustica ambientale è stata istituita dall’art.2, commi 6, 7 e 8 della “Legge quadro sull’inquinamento acustico”, la legge n. 447 del 26 ottobre 1995. Con questa legge, per la prima volta in Italia, è stata introdotta una figura idonea a svolgere attività di misura, di controllo e di risanamento dell’inquinamento acustico nell’ambiente esterno e abitativo. Nella legge quadro n. 447/1995 sono stati definiti i requisiti per il riconoscimento da parte delle Regioni dei tecnici competenti: a) possesso di diploma di scuola media superiore ad indirizzo tecnico o di diploma universitario ad indirizzo scientifico ovvero di diploma di laurea ad indirizzo scientifico; b) aver svolto attività, in modo non occasionale, nel campo dell’acustica ambientale da almeno quattro anni per i diplomati e da almeno due anni per i laureati o per i titolari di diploma universitario. Successivamente con il DPCM del 31/3/98 (atto di indirizzo e coordinamento recante criteri generali per l’esercizio dell’attività del tecnico competente in acustica) sono state introdotte ulteriori indicazioni per una applicazione omogenea della materia ed indicati i criteri generali per l’esercizio di tale attività. In questo DPCM: • viene disciplinata la presentazione delle domande (la domanda va presentata all’as-

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sessorato preposto all’ambiente della regione di residenza che rilascia il relativo attestato di riconoscimento); vengono incaricate le regioni di stabilire le modalità di redazione delle domande; viene regolamentato l’esame delle domande (verifica del titolo di studio posseduto, accertamento che l’attività professionale in materia di acustica ambientale sia stata svolta in maniera non occasionale); si specifica che per attività in acustica ambientale si intendono misure in ambiente esterno ed abitativo unitamente a valutazioni sulla conformità dei valori riscontrati ai limiti di legge ed eventuali progetti di bonifica, proposte di zonizzazione acustica e redazione di piani di risanamento; viene stabilito che le regioni debbano equiparare il riconoscimento effettuato da altre regioni e permettere, sul proprio territorio,

l’esercizio dell’attività di tecnico competente ai possessori dei relativi attestati; • viene stabilito che per consentire il completamento del periodo di due o quattro anni di attività svolta nel campo dell’acustica ambientale, previsti dalla legge per il riconoscimento della qualificazione di tecnico competente, all’attività utile nel settore è equiparata quella svolta dall’interessato in collaborazione con chi è già riconosciuto tecnico competente oppure alle dipendenze di strutture pubbliche. I tecnici che ritengono di essere in possesso dei requisiti indicati dalla normativa dovranno quindi presentare domanda di iscrizione all’elenco dei tecnici competenti all’assessorato regionale competente in materia ambientale della regione nella quale risiedono. Le modalità di redazione delle domande di riconoscimento della qualifica variano molto da regione a regione, alcune regioni hanno deliberato che ai fini del riconoscimento del periodo di due o quattro anni di attività svolta sia possibile frequentare specifici corsi di acustica ambientale effettuati da enti riconosciuti. Nella Regione Lazio i “Criteri e modalità per la valutazione dei requisiti necessari al riconoscimento della figura professionale di tecnico competente in acustica ambientale” sono stabiliti nella Determina 28 marzo 2007, n. 1367. Questa determina prevede che nella domanda per il riconoscimento si deve presentare l’elenco delle attività svolte nel campo dell’acustica ambientale, per un periodo di 2 anni per i laureati e titolari di diploma universitario, e di 4 anni per i diplomati specificando per ogni prestazione la tipologia, l’ente o il soggetto committente/beneficiario, la data di inizio e di conclusione. Tali attività per essere ritenute valide ai fini dell’iscrizione devono essere certificate da tecnici già riconosciuti. L’eventuale attestato di frequenza del corso di formazione e/o perfezionamento in acustica ambientale e la dichiarazione, con le modalità di cui sopra, da parte di tecnici competenti, quali docenti di corsi di perfezionamento e/o master per laureati e corsi di formazione post diploma, attestante l’avvenuto svolgimento, da parte degli interessati, di esercitazioni pratiche nel campo dell’acustica ambientale. Nella determina si specifica che: Per attività nel campo dell’acustica ambientale si intendono: • Misure in ambiente esterno e abitativo, unitamente a valutazioni sulla conformità dei valori riscontrati ai limiti di legge ed eventuali progetti di bonifica; • Proposte di zonizzazione acustica; • Redazione di piani di risanamento. L’attività nel campo dell’acustica è ritenuta non

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roma occasionale se, per ciascun anno di riferimento, sono state svolte: • almeno 8 prestazioni di cui al precedente punto a) o almeno 6 prestazioni di cui al punto a) integrate con altre attività di acustica quali ad esempio le misurazioni effettuate ai sensi del D.Lgs. n. 195/2006. Si ricorda che quest’ultimo decreto è stato abrogato e sostituito dal Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro (D.lgs 81/008 e s.m.i.); • almeno 1 prestazione di cui al punto b) o almeno 1 prestazione di cui al punto c), se relativa a piani riguardanti aree urbane, sviluppate per un periodo di circa sei mesi; • almeno 3 prestazioni di cui al punto c) se relative a piani riguardanti aree produttive o commerciali, sviluppate per un periodo di circa sei mesi. Al fine di conseguire il completamento del periodo di svolgimento di attività non occasionale è inoltre considerata valida la partecipazione a corsi di perfezionamento e/o master per laureati e corsi di formazione post diploma, attivati da Università o da altre strutture pubbliche o private accreditate a livello regionale. I corsi dovranno però prevedere un numero di lezioni, in materia di acustica ambientale, non inferiore a 120 ore ed un numero di ore di pratica non inferiore al 30% del totale delle ore di lezione. Un solo anno di attività non occasionale svolta nel campo dell’acustica ambientale potrà essere coperto da un corso così articolato.

Criticità riguardo alla valutazione del rischio rumore negli ambienti di lavoro Alcuni decreti attuativi della L. 447/95 rendono obbligatoria la figura del “tecnico competente” per lo svolgimento di alcune tipologie di attività nel campo dell’acustica ambientale, in particolare: • il DM 16 marzo 1998 “Tecniche di rilevamento e di misurazione dell’inquinamento acustico” prevede che l’attività di misura sia eseguita da un “tecnico competente”; • il DPCM 16 aprile 1999, n. 215 “Regolamento recante norme per la determinazione dei requisiti acustici delle sorgenti sonore nei luoghi di intrattenimento danzante e di pubblico spettacolo e nei pubblici esercizi” stabilisce che l’attività prevista agli artt. 4, 5 e 6 sia eseguita da un “tecnico competente”. Inoltre le varie leggi regionali in materia di inquinamento acustico spesso stabiliscono che la documentazione per la previsione di impatto acustico, di valutazione previsionale del clima acustico o di altre valutazioni in ambito acustico, debbano essere redatte da un “tecnico

competente” in acustica ambientale ovvero da una figura professionale idonea a misurare, monitorare e certificare il rumore in conformità alle prescrizioni di legge. Dunque l’acustica, intesa come materia rivolta all’analisi, alla valutazione e alla gestione del rumore, può essere suddivisa in più settori: si parla di acustica ambientale, acustica edilizia, acustica architettonica, acustica nei rapporti tra privati ai sensi dell’art. 844 del Cod. Civ., ognuna di esse come precedentemente riportato è disciplinata da specifica legislazione e normativa tecnica di settore. Da quanto sopra riportato si evince che per quanto riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro in merito al rischio di esposizione professionale al rumore il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, D. Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 e s.m.i., non prevede alcun riconoscimento di adeguata idoneità alla valutazione del rischio per colui che è incaricato di effettuarla. Il legislatore ha ritenuto di non inglobare anche la delicata sfera della sicurezza sul lavoro nel contesto della professionalità del Tecnico Competente in Acustica. Si sottolinea in tal senso che la strumentazione utilizzata per il monitoraggio è la stessa mentre il livello di rumore che in tali sedi viene raggiunto è di gran lunga superiore a quelli tipicamente riscontrati negli altri ambiti di cui l’acustica si occupa. Parliamo di numeri. In acustica ambientale i valori dei livelli di pressione sonora che richiamano all’attenzione si aggirano solitamente attorno ai 60 – 65 dB(A). Nei luoghi di lavoro, invece, vengono spesso registrati livelli “medi” di rumore dell’ordine di 75 – 80 dB(A), per non parlare di valori istantanei che possono superare 100 dB(A). Da una valutazione degli attuali ritmi quotidiani inoltre, si può affermare che le 8 ore trascorse sul luogo di lavoro costituiscono la fascia temporale più lunga della giornata. Proprio su questa fascia dovrebbe quindi essere concentrata la maggiore attenzione circa la salubrità acustica dal punto di vista acustico. Le grandezze misurate nei luoghi di lavoro sono notevolmente più pericolose in confronto a quelle precedentemente illustrate; basta considerare che la soglia media di disturbo è attorno a 70 dB(A) e la soglia media per l’insorgenza di malattie dell’apparato uditivo è 85 dB(A). Ci si chiede appunto se non sia proprio il rumore nei luoghi di lavoro a richiedere la massima competenza da parte del tecnico incaricato della valutazione e/o dell’eventuale risanamento, visto che in altri settori dell’acustica a minor rischio per la salute, è prevista una figura professionale con specifiche competenze. ■

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OPEN SOURCE a cura di Ing. F. M. Rietti commissione Informatica e telecomunicazioni visto da: Ing. P. Reale Ing. G. D’Agnese

Un programma software per essere eseguito da un processore deve essere in formato binario e se fosse direttamente scritto in questo formato richiederebbe un tempo di sviluppo sproporzionato e con difficoltà elevate. Per produrre con efficienza il software sono stati realizzati i compilatori, programmi in grado di tradurre in linguaggio binario, linguaggi più maneggevoli e più consoni al pensiero creativo detti di “alto livello”; il Cobol, si presenta molto discorsivo e simile alla fraseologia inglese, come l’SQL per il recupero di informazioni da basi di dati. Il codice sorgente, cioè il linguaggio di alto livello, è da ritenersi di alto valore commerciale e ad esso si applicano tutte le normative afferenti il “Diritto d’Autore”: senza autorizzazione, il sorgente non può essere usato a scopo di lucro.

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roma e’ il software, sia di base che applicativo, a dare il valore aggiunto all’hardware; solo un sistema operativo efficiente e un corredo di applicativi adeguati danno valore aggiunto al computer. Negli anni 70 chi produceva hardware si preoccupava di fornire anche software di base e di creare partnership con produttori di software applicativo, per rendere appetibile commercialmente l’hardware prodotto. La rivoluzione ci fu quando IBM e Microsoft misero sul mercato il PC: Microsoft forniva un sistema operativo funzionante su tutto l’hardware che fosse compatibile con le specifiche architetturali del BIOS (ruotine di base per l’accesso all’hardware) del sistema che furono pubblicate apertamente, per cui si aprì un ampio mercato di costruttori di hardware per MS DOS e pure di sviluppatori software. Il software libero, identificato come “Open Source”, è ritenuto spesso qualunque sorgente applicativo o componente di libreria, scaricabile da Internet e che può essere usato gratuitamente, sia per uso personale, sia per uso commerciale. Questa opinione è estremamente dannosa, in quanto genera incomprensioni rendendo Open Source e Freeware1 sinonimi, il che non è sempre vero, infatti alcuni software open source sono gratuiti per cultura personale, ma diventano a pagamento per un uso professionale o commerciale, mentre il freeware è sempre gratuito e incondizionato. Oggi col termine Open Source (termine inglese che significa sorgente aperta) si indica un software rilasciato con un tipo di licenza per la quale il codice sorgente è consultabile e modificabile dagli sviluppatori, in modo che, con la collaborazione, il prodotto finale possa raggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di programmazione. In generale la maggior parte dei software Open Source vengono rilasciati adottando il criterio proposto dalla GNU2. Per il mondo Linux (che non è Unix), il software applicativo disponibile è solo Open Source, che, spessissimo, è fornito proprio in forma sorgente e sta all’utilizzatore l’incombenza di compilarlo e renderlo eseguibile3. Oltre al sorgente, anche alcuni formati file sono soggetti a Copyright e pertanto realizzare software Open Source, che manipoli file con formato proprietario, implica l’autorizzazione del proprietario del formato (che in generale non è gratuita) e spesso non si può proprio conoscere (Compound Document File Microsoft –

quello di Word). Il software Open Source è offerto “AS IS”, ovvero se c’è un malfunzionamento, o lo trovi e lo risolvi, o attendi che venga rilasciata una nuova versione, sperando che risolva il problema. Per affrontare l’argomento è necessario considerare almeno due scenari e due finalità di utilizzo di un computer: • Mondo Linux – Utente finale –Utente sviluppatore di applicazioni • Mondo Professionale e/o Commerciale (Windows, OpenVMS, Unix) –Utente finale –Utente sviluppatore di applicazioni Nel caso di Linux l’utente finale non può non utilizzare software Open Source, in quanto la disponibilità di software commerciale è inesistente, poiché essendo Linux Open Source, si innesca la catena per cui chi sviluppa è soggetto alle regole dell’Open Source, pertanto dispone di tutto il software distribuito gratuitamente. Spesso, però, questo produce situazioni di incompatibilità di interscambio files, specie per quei formati che sono proprietari. Nel caso di Linux l’utente sviluppatore dispone di strumenti e sorgenti di applicazioni, che può modificare a suo piacimento. È, però, moralmente nell’obbligo di non trarre lucro dal software rivendendo il software sviluppato, perché non rispetterebbe le regole dell’Open Source. Nel mondo dei software a pagamento, come sviluppatori di applicazioni si collocano le società o i singoli professionisti che sviluppano software, a fine di lucro. C’è da chiarire la fonte del lucro: infatti, non sempre il prodotto venduto è il software, ma un servizio che per essere erogato si appoggia al software. Si deve valutare anche l’effetto scala del prodotto software, infatti per produrre software secondo i canoni delle moderne teorie dell’Ingegneria del software, bisogna limare gli step canonici, in funzione del target di vendita. Precisamente, nella progettazione e realizzazione canoniche del software, si distinguono alcune fasi: • Analisi requisiti • Progettazione architetturale • Progettazione funzionale • Progettazione singoli moduli • Implementazione moduli (scrittura del source) • Test unitario moduli • Testi di integrazione moduli • Test finale o di sistema

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Tutte queste fasi hanno un costo, che dipende dal livello retributivo delle persone coinvolte, ma che, senza l’effettiva implementazione dei moduli restano una cosa morta e sono fonte di costi. L’unica fase che tiene in piedi il ciclo è la scrittura dei sorgenti (source), senza di questa il prodotto software rimane una mera collezione di carta e di concetti. Sulla base di queste considerazioni è chiaro che tutti questi costi potranno portare ad un margine, qualora i ricavi per tutte le copie vendute superino i costi connessi. Da qui un paradosso tipico del settore dove spesso la qualità è funzione inversamente proporzionale ai costi come, ad esempio, per il mercato delle “App” della Apple o di Android. Infatti se l’applicativo o il software sono di qualità e si rivolgono ad una larga utenza è facile che entrino in gioco forti economie di scala che abbattono drasticamente i prezzi unitari di ogni singola licenza. Altrimenti per software “ad hoc” pensati per un solo specifico cliente è facile una forte deriva al rialzo dei costi, non solo di sviluppo, ma di manutenzione nel tempo che vengono ammortizzati soltanto su quel specifico cliente. Nel valutare verso quale tipo di software ci si debba orientare, proprietario, Open source, freeware, è opportuno basarsi sulle considerazioni seguenti: • Se il software è il core business aziendale, essendo la produzione di software, l’oggetto sociale per cui esiste, non e’ l’Open Source la strada che porta al profitto. • Se il software è un costo: il discorso è estremamente complesso, infatti, ricade nel caso che il numero delle copie del software necessario rimanga sempre ad uno. In quest’ultimo caso, se il software a commercio esiste e risponde alle esigenze dell’azienda, la valutazione del suo costo è legata al suo prezzo. Ma quando il prodotto a commercio non esiste o, se esiste, ma non risponde in pieno alle esigenze dell’azienda, nasce il proces-

so decisionale se fare in casa o demandare all’esterno. Talvolta all’interno di questo dilemma hanno successo delle soluzioni applicative altamente parametrabili. In questo scenario, anche se si demanda ad un entità esterna la fase di sviluppo vero e proprio, ovvero quella critica, si deve spendere tempo e denaro per le parti necessarie, affinché l’azienda esterna incaricata possa produrre il software richiesto, ovvero l’azienda deve farsi carico almeno delle fasi: • Analisi dei requisiti • Progettazione architetturale • Progettazione funzionale • Progettazione dei singoli moduli • Test finale o di sistema che nel ciclo di vita del software hanno un peso di costo non indifferente, a volte superiore al costo della scrittura dei programmi veri e propri, dovendo impiegare risorse proprie per redigere i documenti opportuni e per la fase di test. L’avvento dell’Open Source e del software libero è stato di grande rilievo anche per calmierare i costi del software proprietario: essendo disponibile, come free software, un pacchetto Office notevolmente efficiente, il costo del pacchetto proprietario della Microsoft, per avere mercato, dovrà in qualche misura contenersi. La scelta tra software libero e software proprietario si deve effettuare in un bilanciamento costi benefici: il software proprietario è più affidabile ma ha un costo, il software libero è meno affidabile e performante ma è gratuito. ■

1 contrazione delle parole inglesi Free e Software 2 GNU è un acronimo ricorsivo e significa GNU is Not Unix (ovvero “GNU non è Unix”). Il Progetto GNU, lanciato nel 1983 da Richard Stallmann, si basa su una gestione particolare dei diritti d’autore sul software, secondo la definizione di software libero (contrapposta a software proprietario). 3 per Linux è Open Source anche il compilatore C/C++

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a cura di Ing. A. Caminada Ing. M. Di Feliciantonio Ing. F. Arcieri commissione eGovernment visto da: Ing. C. Fanigliulo Ing. G. D’Agnese

L’INGEGNERE DELL’INFORMAZIONE PER UNA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PIÙ EFFICIENTE Di recente in un evento di Confindustria Digitale a Roma, si è detto che l’Italia è in ritardo, rispetto all’europa, sul percorso verso uno Stato moderno che può essere reso più efficiente dalle tecnologie digitali. La suddetta affermazione oltre a delineare uno stato di ritardo è uno stimolo agli enti Pubblici affinché possano essere sempre più impegnati nella riorganizzazione strutturale e gestionale dell’am-

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roma ministrazione stessa, volta al perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità, trasparenza, semplificazione e partecipazione nel rispetto dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, in ottemperanza al Codice dell’Amministrazione Digitale. Gli enti Pubblici sono quindi chiamati ad affrontare il cambiamento, a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, devono quindi assicurare che l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle regole tecniche. Queste ultime, le regole tecniche, costituiscono spesso un freno che rallenta lo sviluppo dell’innovazione tecnologica. Serve quindi una soluzione al fine di permettere agli enti pubblici di affrontare il cambiamento adottando tecnologiche adeguate alle necessità dell’amministrazione e in linea con le “regole tecniche”, che per la Pubblica Amministrazione sono state riportate nelle direttive dell’Agenda Digitale. Una soluzione a questo problema, che come detto in precedenza è un ostacolo per gli enti Pubblici, può arrivare dai Professionisti Ingegneri dell’Informazione, abilitati ad esercitare la Professione quindi iscritti all’Albo Professionale dell’Ordine degli Ingegneri. L’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma è uno tra gli Ordini Provinciali più importanti d’Italia, con un numero complessivo di iscritti che superano attualmente le 22.000 unità. L’Ordine Provinciale, tra i compiti istituzionali più importanti, svolge la funzione di “tutela dell’esercizio della professione” e ciò va inteso non solo come prevenzione da eventuali abusi, ma soprattutto come difesa della integrità della professione di Ingegnere, che è tanto più utile alla collettività quanto più ne sono conservati i requisiti essenziali di qualità e di competenza e sono garantite risorse adeguate per esercitarla. L’Ordine Provinciale, in virtù della ricchezza del tessuto socio-economico e culturale in cui opera, rappresenta la Professione dell’Ingegnere nella totalità delle sue espressioni e raccoglie, tra i propri iscritti, Ingegneri dipendenti di Aziende private o enti pubblici e soprattutto Liberi Professionisti, che ricoprono una vastissima molteplicità di ruoli, di responsabilità e di competenze. L’Ordine degli ingegneri di Roma e Provincia ha recentemente istituito la commissione eGovernment per presidiare e promuovere iniziative di Innovazione tecnologica di interesse per la Pubblica Amministrazione.

In particolare la Commissione eGovernment, si occupa di Informatica, Sicurezza, Telecomunicazioni e Ingegneria dei Sistemi e può su richiesta costituire un gruppo di esperti di riferimento per il Consiglio dell’Ordine al fine di sviluppare una proposta di collaborazione con gli enti Pubblici, relativamente alle tematiche dell’Informatica e delle Telecomunicazioni, tra cui l’adozione delle direttive emanate dal Governo con l’Agenda Digitale. Questo processo di innovazione tecnologica degli enti Pubblici, può essere attuato attraverso una stretta collaborazione tra le professionalità dell’Ordine e quelle esistenti nella Pubblica Amministrazione, con l’intento di valorizzare maggiormente queste ultime e renderle tali da poter gestire in maniera professionale e accorta i rapporti con le grandi aziende che operano nel settore informatico. Pertanto, la Commissione eGovernment può supportare su richiesta una collaborazione professionale con gli enti Pubblici in materia di Informatica, Telecomunicazioni e Sicurezza, al fine dell’attuazione dell’Agenda Digitale. Allo stesso tempo si intende valorizzare la figura Professionale degli Ingegneri dell’Informazione che operano nel Terzo Settore1, sia che svolgano il loro ruolo Professionale come dipendenti, sia che operano come Liberi Professionisti. Il rapporto di collaborazione tra Ordine degli Ingegneri e gli enti Pubblici, si rende necessario soprattutto per la complessità dell’attuale contesto di innovazione tecnologica della Pubblica Amministrazione, che vede i sistemi informatici altamente integrati con le reti pubbliche e private di telecomunicazioni sia per il mercato consumer che per quello delle aziende. Pertanto, gli Ingegneri, con le loro varie specializzazioni Civile-Industriale-Informatica e Telecomunicazioni, possono essere le figure chiave che aiutano la Pubblica Amministrazione nel percorso di adozione a attuazione delle direttive dell’Agenda Digitale, partendo dalla definizione delle architetture, stesura dei progetti, capitolati di gara, monitoraggio delle installazioni, verifica e collaudo di infrastrutture digitali complesse. Si tratta infatti di soluzioni che richiedono un elevato livello di integrazione tra sistemi nuovi, e già esistenti, che operano in ambienti eterogenei, e devono sostenere, in alcuni casi, notevoli volumi di traffico dati a volte concentrati in periodi di picco. Il tema dell’Agenda Digitale è un progetto strategico per il nostro paese, che opererà su 4 fronti2: 1) Banda larga e ultra-larga. Per “banda larga” si intende il sistema di connessione che

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permette di inviare informazioni a una velocità che varia dai 2 ai 20 Mbps (megabit per secondo). La “banda ultra-larga”, invece, viaggia a velocità superiore: tra i 30 ai 100 Mbps. 2) Smart Communities/Cities. Le città “smart” sono spazi urbani entro i quali le comunità residenti (la community) possono incontrarsi, scambiare opinioni, discutere di problemi comuni, avvalendosi di tecnologie all’avanguardia. La community funziona anche da stimolo per realizzare ricerche e progetti utili alle pubbliche amministrazioni. L’Agenda Digitale italiana stanzia nuovi finanziamenti per realizzare le piattaforme tecnologiche necessarie a consentire alle città di adottare la filosofia smart. 3) Open data. L’open data – letteralmente “dati aperti” – è un nuovo approccio alla gestione dei dati e delle informazioni in possesso delle istituzioni pubbliche, interamente gestito attraverso le tecnologie telematiche. Il governo inglese e quello statunitense sono stati i primi a sperimentare questo sistema. Ma il numero di governi che adotta questo approccio è in continua crescita. Con l’open data tutte le informazioni delle istituzioni pubbliche vengono “liberati” e diventano accessibili e interscambiabili online. L’adozione del formato open è un’opportunità importante anzitutto per le amministrazioni, che superano così gli schemi rigidi e burocratici di accesso ai dati e di gestione delle risorse informative. 4) Cloud Computing. La “nuvola di dati” è una delle novità più importanti dell’evoluzione tecnologica. Nel caso delle pubbliche amministrazioni, con cloud si intende la possibilità di unire e condividere informazioni provenienti da istituzioni diverse. Questo processo permette la maggiore interoperabilità dei dati, con vantaggi evidenti per la rapidità e la completezza dei processi amministrativi. Sfide di questo tipo si affrontano e si possono superare solo con risorse qualificate ed in grado di avere una conoscenza profonda ed ampia dei processi e dei sistemi, delle tecnologie e delle architetture. Gli Ingegneri hanno il know how e l’esperienza per guidare le scelte tecniche in ottica di riduzione dei costi ed efficienza operativa e, in aggiunta alle aree specifiche di competenze tecniche, manageriali ed operative, i Professionisti iscritti all’Ordine garantiscono indipendenza e professionalità, una elevata attenzione alla qualità ed ai tempi di consegna. Tali fattori, spesso critici in circostanze quali la stesura e la valutazione di capitolati in ma-

teria di sistemi ICT, sono decisivi per una Pubblica Amministrazione moderna, che deve essere al servizio del cittadino e attenta ai costi. Le competenze dell’Ingegnere dell’Informazione sono sancite nell’art. 46 del DPR n. 328/2001, che, nell’ambito della ripartizione delle attività professionali che formano oggetto della Professione di Ingegnere, ha attributo agli iscritti al Settore dell’Informazione dell’Ordine degli Ingegneri “la pianificazione, la progettazione, lo sviluppo, la direzione lavori, la stima, il collaudo e la gestione di impianti e sistemi elettronici, di automazione e di generazione, trasmissione ed elaborazione delle informazioni.” In questa ottica la Commissione eGovernment sottolinea la necessità di estendere i concetti di Progetto Preliminare, Definitivo, esecutivo ognuno con i suoi documenti e contenuti come specificato nel decreto attuativo del Codice Appalti d.lgs. 163/06 anche al Terzo Settore dell’Ingegneria dell’Informazione Digitale. Inoltre, in virtù del fatto che le nuove infrastrutture come l’Agenda Digitale, sono progetti di ambito multidisciplinare che oltre ai Sistemi Informatici e di Telecomunicazione, includono anche le reti elettriche/elettroniche e le opere civili, gli enti Pubblici hanno la necessità anche del contributo Professionale degli Ingegneri del Primo Settore “Civile” e degli Ingegneri del Secondo Settore “Industriale”. I progetti e i lavori riguardanti i Sistemi Informatici devono essere trattati come veri e propri Appalti Pubblici con l’individuazione di precise responsabilità, evitando di demandare all’Impresa fornitore gli oneri e gli obiettivi che sono della Pubblica Amministrazione. Purtroppo la scarsa regolamentazione ha portato gli enti Pubblici ad adottare la classica tendenza di individuare esperti, in questo settore, in modo arbitrario, frutto anche dei notevoli vincoli di budget, spingendo a preferire soluzioni di flessibilità nel rapporto di lavoro o di outsourcing, a danno e a scapito Ingegneri Professionisti. Recentemente la legge n.4 del 14 gennaio 20133 ha disciplinato le professioni non organizzate in ordini di categoria in Associazioni Professionali. Tale provvedimento non è applicabile alle attività nel perimetro delle competenze del terzo settore, che sono riservate per legge agli iscritti all’Albo degli Ingegneri e non possono essere esercitate dai soggetti che non sono iscritti all’Albo di categoria. Infatti, all’art. 1, comma 2, si dispone: “Ai fini della presente legge, per “professione non organizzata in Ordini e Collegi’, di seguito denominata ‘professione’, si intende l’attività econo-

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roma mica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale o comunque con il concorso di questo, con l’esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi od elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e della attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative”. Ne consegue che la suddetta disciplina esclude espressamente dal suo ambito di applicazione le attività riservate per legge a soggetti iscritti in Albi od elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile4. In linea generale, la suddetta regolamentazione, è necessaria per far chiarezza in merito alle attività artigianali e mestieranti (non intellettuali in quanto queste rimangono in ambito ordinistico). Questa regolamentazione potrebbe portare beneficio, non solo al consumatore ma anche al Professionista Intellettuale, iscritto ad Ordine Professionale, che avendo necessità di avvalersi di personale operativo può avere la garanzia sulla qualità delle competenze del personale operativo di cui si avvale, professionalmente qualificato dall’associazione di appartenenza. Sulla base di quanto sopra, la Commissione eGovernment dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, propone un Memorandum di intesa tra i Professionisti iscritti all’Albo e gli enti Pubblici, inteso a creare un tavolo tecnico su tematiche inerenti l’innovazione tecnologica per l’attuazione dell’Agenda Digitale. La cooperazione, finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico, permetterebbe di garantire la massima partecipazione degli operatori tecnologici e lo snellimento dei tempi di gara, nella prospettiva di ridurre le tempistiche di attuazione degli interventi, salvaguardando nel contempo la qualità degli stessi e di prevenire l’eventuale contenzioso giudiziale. La commissione eGovernment, quale organismo facilitatore e catalizzatore delle attività, propone di agire da tramite tra gli enti Pubblici che hanno la responsabilità decisionale, i partner pubblici e i vertici dell’Ordine profes-

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sionale, per collaborare sui progetti di innovazione tecnologica e valorizzare le iniziative di attuazione dell’Agenda Digitale, per costruire un percorso di reciproca conoscenza atto a diffondere la consapevolezza della disponibilità d i importanti risorse umane e professionali. In particolare si potrà istituire un “tavolo tecnico” al fine di affrontare, in modo più esteso, temi riguardanti i seguenti argomenti, che oggi coinvolgono in modo pressante gli enti Pubblici: • Sistema Pubblico di Connettività; • Realizzazione dei Data Center della PA; • Open Data; • Data Base Critici di rilevanza nazionale; • Accessibilità; • Business Continuity e Disaster Recovery; • Sistema dei Pagamenti Digitali dei servizi della PA; • Smart Community e Riuso; • Dematerializzazione e Conservazione Sostitutiva; • Identità Digitale. L’ente Pubblico potrebbe venire in contatto con Professionalità adeguate alla tematica da affrontare, dall’analisi dei requisiti, alla definizione progettuale, alla realizzazione e collaudo, alla supervisione operativa in esercizio. Successivamente, l’ente, se lo riterrà opportuno potrà sottoscrivere un contratto di consulenza direttamente con il Professionista o con lo Studio Tecnico. La Commissione eGovernment, potrà monitorare l’ente, per poter verificare il raggiungimento delle aspettative e per ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi. In tale ambito l’ente può affrontare con più sicurezza e determinazione le molteplici attività volte a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese, assicurando che l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione avvenga in conformità alle prescrizioni tecnologiche definite nelle regole tecniche. ■

Art. 45 del DPR 5 giugno 2001 n.328 Fonte: http://www.governo.it/GovernoInforma/dialogo/aree/allegati/agenda_digitale/agenda_digitale.pdf http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/26/13G00021/sg Tali attività sono definite ai sensi del DPR 7 agosto 2012 n. 137 (“Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali”): Art. 1: “a) per ‘professione regolamentata’ si intende l’attività, o l’insieme delle attività, riservate per espressa disposizione di legge o non riservate, il cui esercizio è consentito solo a seguito di iscrizione in Ordini o Collegi, subordinatamente al possesso di qualifiche professionali o all’accertamento delle specifiche professionalità; b) per ‘professionista’ si intende l’esercente la professione regolamentata di cui alla lettera a). Il presente decreto si applica alle professioni regolamentate e ai relativi professionisti”.

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Quaderno

a cura di Ing. L. Basset Ing. D. Moretti Ing. D. Trinca commissione Project Management per l’Informazione visto da: Ing. P. Mancino Ing. G. Boschi

SCOPE MANAGEMENT: UNO DEI FATTORI PIÙ IMPORTANTI PER RAGGIUNGERE IL SUCCESSO DEL PROGETTO ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA


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roma La gestione dell’ambito (scope) è un fattore di successo nel project management perché individua i processi da seguire per partire con il piede giusto in un progetto. Quante volte vi è capitato al termine di un progetto o durante una riunione con il cliente di dover giustificare l’assenza di funzionalità che non erano state pensate in fase di progettazione? Se la risposta è “pochissime volte” vuol dire che siete molto abili nella gestione dell’Ambito del progetto (Scope Management). Per capire cosa significa partiamo dalla traduzione letterale del termine inglese “Scope” che significa “campo di applicazione” o “ambito”. Quando si parla di Gestione dei Progetti, la traduzione più adeguata è Ambito o Perimetro, ossia definire e delimitare uno spazio ben preciso. A prima vista potrebbe non sembrare un elemento così importante per il successo del progetto, in realtà è uno degli elementi più difficili da gestire e mantenere sotto controllo che sancirà il successo o meno del progetto stesso. Prima di introdurre l’ambito dobbiamo spendere qualche parola per definire cosa è un Progetto. Per una definizione estesa di progetto vi rimandiamo al piccolo glossario allegato, quello che è importante capire per continuare la nostra discussione, è che il risultato finale di un progetto potrebbe

non essere un oggetto tangibile. Si può far partire un progetto per raggiungere risultati intangibili come realizzare un cambio organizzativo, incrementare le competenze delle risorse aziendali, oppure un progetto si può far partire per raggiungere risultati tangibili come progettare e realizzare un edificio oppure un applicativo software, i processi che si utilizzeranno per la realizzazione del progetto sono applicabili in tutti i casi. Per facilità di comprensione negli esempi ci riferiremo sempre a progetti che forniscono come risultato dei prodotti tangibili. Per capire l’importanza della gestione dell’Ambito (per gestione si intende definire e mantenere sotto controllo) è utile analizzare, sebbene brevemente, le modalità di pianificazione e monitoraggio & controllo di un progetto. La pianificazione del progetto rappresenta una delle attività cardini per il Project Manager. In questa fase vengono definiti i piani per la gestione dell’Ambito, dei Tempi e dei Costi oltre ad una serie di altri piani complementari (per esempio il piano per la gestione dei Rischi, della Qualità o dei Fornitori). Spesso si fa riferimento all’insieme di questi tre piani con il termine ‘Baseline’. Le tre ‘Baseline’ rappresentano quindi lo scheletro di un progetto. Sono i parametri su cui viene misurato l’andamento del progetto. In Figura 1 sono rappresentate, a sinistra, le tre baseline (tempi, costi e ambito), interconnesse tra di loro. Ciò significa che qualsiasi modifica ad una sola delle tre ‘baseline’ avrà ripercussioni sulle altre due. La medesima figura rappresenta oltre alle tre baseline (Budget, Schedulazione ed Ambito) anche altri aspetti che un buon Project Manager deve gestire per il successo del progetto. La definizione e gestione dell’ambito è un elemento fondamentale che

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Figura 1 - Triplice vincolo (a sinistra) ed esavincolo (a destra)

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troppo spesso viene trascurato anche perché spesso non si conoscono gli strumenti adatti per definire questa Baseline e soprattutto per misurarla durante l’esecuzione del progetto. Per descrivere correttamente l’ambito di un progetto è prima di tutto necessario capire quali sono le persone che possono influenzare la riuscita del progetto, il termine utilizzato dagli esperti del settore per definire questo insieme di persone è Stakeholders. Le figure principali che hanno ‘potere’ di influenzare il progetto sono ovviamente chi lo sta finanziando, chiamato Sponsor, e chi deve valutare il prodotto finito (nel caso in cui non sia lo sponsor stesso); non dobbiamo però trascurare tutti i potenziali utenti che utilizzeranno il prodotto finale poiché anche loro concorrono a giudicare il risultato del progetto. Il primo passo per ottenere una buona definizione dell’Ambito è quindi quello di identificare le persone con cui confrontarsi per capire quali siano le aspettative sul risultato del progetto. Immaginiamo un progetto in cui l’azienda fornitrice deve realizzare un software che sarà utilizzato da un reparto dell’azienda committente. Il progetto è in capo all’azienda committente; il PM fa parte di quest’ultima, ma non opera nel reparto per il quale si sviluppa il software; lo sponsor del progetto è uno dei top manager dell’azienda committente. Se intervistassimo lo sponsor, ci troveremmo a dover realizzare un prodotto con funzionalità di base e molto appetibile esteticamente, ma poco flessibile per futuri sviluppi; viceversa, se intervistassimo solo il capo reparto le richieste di funzionalità sarebbero molto più dettagliate, ma probabilmente richiederebbero più tempo e budget di quanto previsto per il progetto. È chiaro inoltre che coinvolgendo soltanto i primi due soggetti realizzeremmo probabilmente un prodotto che risulta poco appetibile per le persone che realmente dovranno utilizzarlo poiché difficilmente si pensa di coinvolgerle nel processo decisionale. Anche in questo caso è molto facile dimenticarsi di elementi fondamentali per la riuscita del progetto. A prima vista l’utilizzatore del prodotto non è un giocatore fondamentale (non è lui che finanzia il progetto), ma è ugualmente fondamentale poiché sarà lui a farne uso. Questa analisi è ancor più importante e appropriata per un prodotto che deve essere venduto al grande pubblico. In questo caso le recensioni ed il “passa parola” sono una parte fondamentale per il successo del prodotto, ma è ugualmente fondamentale anche per progetti di altra tipologia poiché permette di

raccogliere efficacemente fondamentali requisiti funzionali di alto livello. Una volta capite le persone da intervistare per raggiungere una corretta descrizione dell’ambito è giunto il momento di cominciare a scrivere e formalizzare quello che abbiamo raccolto e quindi tracciare il perimetro del nostro progetto. In questa fase una delle difficoltà da affrontare è mettere d’accordo gli stakeholder rilevanti. Sono fondamentali le doti di Comunicazione del Project Manager per raggiungere in un tempo ragionevole una definizione del prodotto da realizzare che soddisfi tutte le parti coinvolte. Secondo la nostra esperienza, è utile la redazione di un documento contenente la descrizione dell’ambito che va successivamente condiviso con tutti gli Stakeholders. In questa fase uno degli errori che si commette è di non far approvare dallo sponsor e dagli altri Stakeholders il documento che descrive l’ambito. Questo errore porta, come è facile immaginare, ad evidenti difficoltà in fase di accettazione del prodotto finale visto che ogni stakeholder avrà una sua diversa aspettativa non concordata all’inizio del progetto. Uno degli strumenti fondamentali per descrivere l’ambito è la Work Breakdown Structure (WBS). Per comprendere bene questo strumento vi rimandiamo al riquadro. Purtroppo le insidie nella gestione dell’ambito non si incontrano soltanto durante la sua definizione ma anche durante tutto il ciclo di vita del progetto. Se non si pone attenzione al tracciare i requisiti raccolti e definiti in fase di pianificazione, si rischia che essi siano modificati o che ne siano aggiunti altri in corso d’opera senza valutarne l’impatto sul resto del progetto e senza che siano sottoposti ad approvazione da parte di chi di dovere (Scope Creep). Per questo è indispensabile controllare l’ambito durante tutto il ciclo di vita del progetto, in modo da porre in essere azioni correttive o preventive che riconducano l’ambito alla Baseline di riferimento. In particolare, tali controlli sono fondamentali per superare con successo i momenti di “verifica dell’ambito”, veri e propri checkpoint in cui i deliverables (risultati del progetto) vengono controllati con il cliente per ottenere l’approvazione formale. A questo punto possiamo riassumere gli elementi fondamentali per la gestione dell’ambito secondo la nostra esperienza: identificare gli Stakeholders, raccogliere i requisiti, descrivere l’ambito ed ottenere l’approvazione di quanto prodotto non trascurando di effettuare controlli durante la vita del progetto. ■

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roma GLOSSARIO Progetto Con il termine progetto si fa riferimento all’insieme di attività da intraprendere per creare un prodotto o un servizio unico. Il progetto ha perciò un inizio ed una fine ben definiti. Presenta inoltre dei vincoli in termini di risorse (limiti di budget). In figura è rappresentato il triangolo che mette in relazione i tempi, i costi e l’ambito del progetto. esse sono strettamente collegate tra loro: modificando anche una sola di queste variabili si avranno impatti sulle altre due.

Stakeholders Sono soggetti singoli, gruppi o strutture direttamente coinvolti nel progetto oppure che subiscono effetti derivanti dallo svolgimento dello stesso. Nell’ambito di un progetto si distinguono perciò diversi stakeholders come il cliente, la committenza, i membri del team di progetto nonché lo stesso project manager. Poiché vi è una relazione reciproca di causa ed effetto tra il progetto e gli stakeholders, è compito del project manager individuare gli stakeholders, le loro aspettative e le possibili reazioni che possono avere sul progetto per gestirne l’impatto.

Sponsor È identificato con tale termine la persona, l’ente o la struttura che sostiene il compimento del progetto, fornisce inoltre le prime informazioni sull’ambito del progetto al project manager. Molto spesso il supporto dello sponsor coincide con l’impegno finanziario alla base del piano. Lo sponsor interviene su decisioni che risultano al di fuori del potere o compito del project manager. Inoltre lo sponsor protegge il progetto da modifiche in corsa e da perdite di risorse.

Scope Creep È l’effetto indesiderato che porta alla crescita dell’ambito del progetto o a forti modifiche dello stesso e che può scaturire in un mancato compimento del progetto. Tipicamente tale fenomeno nasce da una cattiva gestione dell’ambito o dalla mancata definizione appropriata dello stesso. Lo scope creep è perciò un forte rischio per qualsiasi progetto, che spesso si traduce in aumento dei costi o nel mancato rispetto dei tempi: per questo il project manager è tenuto a ben pesare ciascun cambiamento in termini di tempi e costi, nonché comunicando appropriatamente con gli stakeholders prima di integrarlo nel progetto.

La WBS La Work Breakdown Structure (WBS) è uno stru-

mento efficace per la definizione di progetti di ogni genere, anche semplici, ed assicura che tutti gli elementi del progetto siano correttamente interconnessi senza omissioni. Alcuni progetti, infatti, falliscono perché una parte consistente del lavoro non viene considerata e dettagliata in fase di pianificazione del progetto, o perché costi e tempi non vengono stimati con sufficiente accuratezza. La WBS è un passaggio iniziale obbligatorio che rappresenta l’albero gerarchico delle attività per la definizione del prodotto/servizio obiettivi del progetto. La WBS rappresenta la sintesi del progetto, in forma grafica, suddividendo con struttura analitica le attività livello per livello, spingendosi fino al grado di dettaglio necessario per la pianificazione ed il controllo richiesti dal progetto. essa comprende tutti gli elementi che formano l’oggetto di consegna al cliente (beni e macchinari, facilities, servizi, manuali, etc.). Inoltre mette in relazioni il prodotto (materiale o immateriale) da sviluppare con gli elementi necessari alla sua realizzazione. Il diagramma della WBS viene costruito cominciando dall’elemento di livello più alto (il progetto nella sua interezza) e scomponendolo nelle sue sotto-componenti naturali; ciascuno di questi viene a sua volta suddiviso nei suoi componenti costitutivi riducendone il costo e la complessità, fino a raggiungere il livello d’identificazione d’un bene/servizio da consegnare (work packages). Il bene/servizio da consegnare viene infine scomposto nelle principali attività che debbono essere eseguite, con l’obiettivo d’identificare elementi e compiti chiaramente gestibili e attribuibili ad un responsabile e che possano essere pianificati, valutati e controllati. Con questo esercizio, il progetto si suddivide in tanti ‘sotto-progetti’ più facilmente gestibili e controllabili. Il project manager deve aver chiari alcuni errori e malintesi comuni: la WBS non è una struttura organizzativa e non ordina cronologicamente le fasi ed i compiti del processo di sviluppo, azione demandata ad una successiva fase di pianificazione (project time schedule), bensì una classificazione degli scopi del progetto. La creazione della WBS aiuta dunque il project manager a non trascurare nulla, risultando una rappresentazione operativa del progetto nella sua interezza e complessità, volta alla pianificazione ed al controllo. Va sottolineato che la WBS non viene creata direttamente dal project manager, ma dall’intero team di progetto coadiuvato dagli stakeholders.

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Quaderno

GLI ANCORANTI POST-INSTALLATI PER ELEMENTI NON STRUTTURALI IN ZONA SISMICA SU STRUTTURE IN CALCESTRUZZO Metodo di calcolo con le nuove norme eOTA TR045 Introduzione a cura di Ing. D. Soldati commissione Cantieri visto da: Ing. D. Peluso Ing. P. Pertici

Quando si parla di terremoti siamo portati a pensare ai danni che questi provocano sugli elementi strutturali principali e ovviamente al fatto che questi non subiscano danneggiamenti tali da portare al crollo di tutto l’edificio o di parte di esso; ma un aspetto non secondario è dato proprio dagli elementi non strutturali chestrutturali che possono costituire una grave minaccia per l’incolumità delle persone oltre ad ostruire le possibili vie di fuga dagli edifici. Danneggiamenti tipici di questi elementi dopo un evento sismico riguardano gli intonaci, le tramezzature, i distacchi di cornicioni e dei parapetti, i controsoffitti e anche le apparecchiature interne agli edifici in base alla loro destinazione d’uso come ad esempio scaffalature, corpi illuminanti, ecc.

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roma Nel caso di strutture strategiche, quali ad esempio ospedali, sale operative, il danneggiamento dei server, delle apparecchiature elettroniche, degli impianti può comportare l’interruzione del servizio che diventa estremamente dannoso proprio nel momento in cui si ha ancora più necessità che queste strutture siano operative, funzionanti e fruibili per i primi soccorsi. Da qui nasce l’idea dell’articolo seguente nel quale sarà esposta la tematica riguardante gli ancoranti da utilizzare negli elementi non strutturali in zona sismica. L’Italia sta diventando sempre più sensibile su questo tema, lo si può constatare dalle diverse linee guida emesse negli ultimi anni. Un aspetto molto importante da non sottovalutare è dato, quindi, dalla corretta installazione di questi elementi alle strutture impiegando ancoraggi dimensionati in maniera opportuna seguendo le nuove specifiche pubblicate proprio per fissare i criteri di progettazione e di verifica. In questo documento verranno descritte le procedure di calcolo dell’azione sismica sugli elementi non-strutturali ponendo l’attenzione soprattutto sulle verifiche degli ancoraggi su calcestruzzo.

sociali e ambientali, ma non provocare il collasso della struttura o di parte di essa; per esempio possono essere facciate, tubazioni ecc.1 Una ulteriore indicazione può essere presa dall’eC8 che indica come elementi non-strutturali le “appendici” degli edifici come per esempio: parapetti, frontespizi, antenne, appendici di attrezzature meccaniche, facciate continue, tramezzi, ringhiere, che potrebbero, in caso di crollo, produrre rischi per le persone o influenzare il comportamento della struttura principale dell’edificio o la sua funzionalità2. Le norme tecniche per le costruzioni italiane NTC2008 introducono anche il concetto di elementi strutturali “secondari” oltre a quelli nonstrutturali per i quali può essere impiegato il metodo semplificato per il calcolo dell’azione sismica3.

Riferimenti normativi Per progettare qualsiasi elemento, strutturale e non strutturale, è necessario definire i carichi che agiscono su di esso e poi procedere con le opportune verifiche. Le azioni possono essere valutate in Italia con le NTC2008 oppure con l’eC8 ,8, mentre la verifica sismica di un ancorante post-installato su calcestruzzo può essere fatta con la TR045.

Abbreviazioni ed acronimi Nel presente documento saranno utilizzate le seguenti abbreviazioni ed acronimi: NTC2008 Norme Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. 14/01/2008 eOTA european Organization for technical approval eTAG european technical approval guideline TR045 Technical Report numero 45 eC8 eurocodice 8

Definizioni Prima di descrivere le procedure per il calcolo dell’azione sismica sugli elementi non-strutturali e indicare i metodi di verifica degli ancoraggi, ci si chiede innanzitutto, come può essere definito un elemento non-strutturale. A questa domanda ci vengono in aiuto le norme europee TR045 del 2013 che definiscono elemento non-strutturale, l’elemento architettonico, meccanico o elettrico, sistema o componente che, non viene considerato nella progettazione sismica della struttura come elemento portato; il collasso di questo elemento può provocare conseguenze medie per la perdita di vite umane e notevoli conseguenze economiche,

Definizione dell’azione sismica Per poter definire l’azione sismica è necessario partire dallo spettro sismico di progetto. Di seguito sarà definita la classificazione delle zone sismiche con riferimento all’eC8, per quanto riguarda la normativa italiana (NTC2008) si rimanda ai testi specifici. In europa la pericolosità sismica è definita dall’accelerazione al suolo, denominata nella letteratura scientifica internazionale con l’acronimo PGA (Peak ground acceleration) ed è la misura della massima (o di picco) accelerazione del suolo attesa. In Italia tale grandezza viene indicata dalle norme con il termine ag oppure amax che viene spesso usato nei documenti scientifici in italiano che accompagnano studi di pericolosità sismica. L’eC8 stabilisce di tre livelli di sismicità come riportato nella Tabella 1, basati sul prodotto ag x S, dove ag è definito sopra mentre S è il coefficiente del suolo4. L’influenza della tipologia di suolo (considerata tramite il parametro S) è basata sulla correlazione tra le classificazioni del suolo considerando i limiti di velocità di propagazione delle onde di taglio e la descrizione del suolo.

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roma EN 1998-1:2004 (Eurocodice 8) Grado di sismicità Molto bassa ag×S D 0.05×g Bassa ag×S D 0.1×g ag×S > 0.1×g Tabella 1 – Grado di sismicità europeo e categoria sismica di progetto per categorie di importanza I, II e III5

Conseguenze sulla progettazione Non occorre osservare particolari prescrizioni sismiche Uso di procedure di progetto ridotte o semplificate Progettazione sismica obbligatoria per tutti gli elementi

Le categorie di importanza degli edifici sono così definite (eC8 par. 4.2.5): I, edifici di minore importanza per la sicurezza pubblica, per esempio costruzioni agricole ecc.; II, edifici ordinari non appartenenti ad altre categorie; III, edifici la cui resistenza sismica è di importanza in vista delle conseguenze associate ad un collasso, per esempio scuole, sale per convegni, istituzioni culturali, ecc. IV, edifici la cui integrità durante i terremoti è di vitale importanza per la protezione civile, per esempio ospedali, stazioni dei pompieri, impianti per la produzione di energia, ecc. In caso di edificio ricadente in classe di importanza IV e un grado di sismicità bassa o superiore bisogna sempre utilizzare la progettazione sismica per tutti gli elementi, in quanto questi edifici sono di primaria importanza e possono presentare pericolo per l’ambiente o per la comunità.

Calcolo dell’azione sismica su elementi non strutturali Azione sismica orizzontale Di seguito è esposta la formula per il calcolo dell’azione sismica su elementi non strutturali: si farà riferimento al §4.3.5 dell’eC8 e §5.5.4 delle TR0456 La relazione proposta dall’ eC8 è la seguente: [eq. 6.1] Sotto si riporta la formula per il calcolo di Sa (eq. 5.3 proposta nella TR045) riarrangiata dalla equazione 4.25 dell’ eC87: [eq. 6.2]

[eq. 6.3]

Fa

dove: è la forza sismica orizzontale agente al centro di massa dell’elemento non strutturale nella direzione più sfavorevole;

Wa è il peso dell’elemento; Sa è il coefficiente sismico applicabile ad elementi non-strutturali; α è il fattore di importanza dell’elemento; qa è il fattore di struttura dell’elemento. α è il rapporto tra il valore di progetto dell’accelerazione ag in un terreno tipo A e l’accelerazione di gravità g; S è il coefficiente del terreno; Ta è il periodo di vibrazione fondamentale dell’elemento non-strutturale; T1 è il periodo di vibrazione fondamentale dell’edificio nella direzione considerata; Z è la dell’elemento non strutturale sopra il livello di applicazione dell’azione sismica (fondazione o punto più alto di un basamento rigido); H è l’altezza della costruzione misurata a partire dal piano di fondazione o dal punto più alto di un basamento rigido; Aa è il fattore di amplificazione sismica Nella Tabella 2 si riportano i valori del fattore di struttura qa e del fattore di amplificazione sismica Aa. Nota: La Tabella 2, estratta dalla TR045 include informazioni in aggiunta ai valori indicati nell’ eC88. Fattore di importanza I valori del fattore di importanza γa sono funzione del tipo di elemento considerato, di seguito si riportano le indicazioni dell’eC8: “Per i seguenti elementi non-strutturali il coefficiente di importanza γa non deve essere minore di 1,5: • elementi di ancoraggio di macchinari e attrezzature necessari alla funzionalità dei sistemi di sicurezza; • serbatoi e contenitori di sostanze tossiche o esplosive, ritenute pericolose per la sicurezza generale delle persone. I tutti gli altri casi il coefficiente di importanza γa per elementi non-strutturali può essere posto pari ad 1,0.”10 Altre indicazioni possono essere trovate nelle ATC-51-2 che pone il fattore di importanza per gli ospedali è pari a11: γa = 1,4 Azione sismica verticale Gli effetti verticali dell’azione sismica devono essere determinati applicando all’elemento non

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roma Tipologia di elemento non strutturale Parapetti a sbalzo o decorazioni Insegne e cartelloni pubblicitari Camini, pali e serbatoi su sostegni che si comportano come mensole libere per più della metà della loro altezza totale Materiali di stoccaggio pericolosi, tubazioni di fluidi pericolosi Muri esterni e interni Tramezzi e facciate Camini, pali e serbatoi su sostegni che si comportano come mensole libere per meno della metà della loro altezza totale o vincolate alla struttura in corrispondenza o sopra il baricentro Ascensori Computer access floors, apparecchiature elettriche e di comunicazione Nastri trasportatori elementi di ancoraggio per mobili e librerie sostenuti da pavimenti elementi di ancoraggio per controsoffitti e dispositivi di illuminazione Tubazioni ad alta pressione, tubazioni antincendio Tubazioni di fluidi per materiali non pericolosi Computer, comunicazione e scaffalature di stoccaggio

qa 1,0 1,0

Aa 3,0 3,0

1,0 1,0 2,0 2,0

3,0 3,0 1,5 1,5

2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0

1,5 1,5 3,0 3,0 1,5 1,5 3,0 3,0 3,0

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Tabella 2 - Valori di qa e Aa per elementi non strutturali9

Figura 1 - effetti verticali dell’azione sismica13

strutturale una forza verticale Fva che agisce nel centro di massa dell’elemento non strutturale e che è definita di seguito (eq. 5.5 TR045): [eq. 6.4] dove Wa è il peso dell’elemento; SVa αv x Aa αv è il rapporto tra il valore di progetto dell’accelerazione verticale avg in un terreno tipo A e l’accelerazione di gravità g; γa è il fattore di importanza (vedere §0); qa,Aa possono essere assunti uguali a quelli definiti per le azioni orizzontali. Nota: “Gli effetti verticali dell’azione sismica verticale Fva per elementi non strutturali possono essere trascurati per gli ancoraggi quando il rapporto della componente verticale di progetto della accelerazione avg con l’accelerazione di gravità g è minore di 0,25 e i carichi gravitazionali sono trasferiti attraverso una connessione diretta sulla struttura.”12 Per chiarezza si riporta la Figura 1 che fornisce

le indicazioni sui casi in cui si deve considerare o si può trascurare l’effetto dell’azione sismica verticale. Nella figura seguente sono riportati schematicamente degli elementi non strutturali ancorati su pavimento e soffitto (numero 4) e su parete (numero 5). Per gli elementi ancorati a soffitto o a parete deve essere considerato anche il contributo dell’azione sismica verticale (numero 1), mentre per gli elementi ancorati su pavimento tale contributo può essere trascurato se avg/g ≤ 0,25 (numero 2).

Prestazione sismica degli ancoranti La nuova eTAG 001 Allegato e relativa alla prequalifica degli ancoranti introduce due categorie sismiche (C1 e C2) che sono funzione della gravosità dei test che devono essere effettuati sugli ancoranti: • Categoria simica C1: adatta solo per applicazioni non strutturali. • Categoria sismica C2: introduce nuovi test

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Figura 2 –Categorie sismiche per elementi non strutturali secondo il TR045

sugli ancoranti, test sismici con variazioni di ampiezza delle fessure fino ad una ampiezza massima di 0,8 mm e carichi ciclici ed è adatta ad impieghi strutturali e non strutturali. Le figure seguenti riportano i casi In cui si devono considerare le categorie sismiche introdotte dalla nuova norma in funzione della tipologia di elemento (strutturale e non strutturale), della classe di importanza dell’edificio e della accelerazione sismica.

tassello, si supera la forza di trazione che il calcestruzzo può sopportare in quel punto.

Figura 5 - Rottura conica del calcestruzzo

Rottura per sfilamento: Si verifica quando, le forze di attrito esistenti sono inferiori alle forze di trazione esterne.

Figura 3 - Categorie sismiche per elementi strutturali secondo il TR04514

Note: Costruzioni di classe I richiedono C1, gli stati membri possono scegliere di adottare differenti raccomandazioni; Le classi di importanza sono quelle definite nel paragrafo 5; Per maggiori dettagli sulle tipologie di test che devono essere effettuati sugli ancoranti e sulla loro modalità si rimanda alla norma eTAG. La figura 10 riporta la mappa europea per l’impiego delle nuove categorie sismiche di ancoranti. Come si può notare in Italia devono essere utilizzati quasi esclusivamente ancoranti di categoria C2.

Figura 6 – Rottura per sfilamento16

Meccanismi di rottura degli ancoranti Il sistema ancorante-materiale di base può avere diversi meccanismi di rottura che dipendono dal tipo di sollecitazione agente (trazione o taglio) tale crisi si può verificare lato acciaio o lato calcestruzzo. Di seguito si riportano i meccanismi di rottura che si possono verificare in funzione del tipo di carico agente. Carico di trazione Rottura conica del calcestruzzo: Si verifica quando, in presenza di una trazione assiale sul

Figura 7 – Rottura per splitting

Rottura per splitting: Se lo spessore del cls che circonda l’ancorante non è sufficiente ad assorbire le pressioni radiali, le tensioni di trazione, a parità di tensioni radiali, aumentano e possono provocare immediatamente la crisi della giunzione perché le fessure attraversano tutta la sezione resistente dando luogo alla separazione

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Figura 4 – Mappa europea di impiego delle nuove categorie sismiche di ancoranti15

del calcestruzzo dalla barra d’armatura. Si verifica di norma soltanto se le dimensioni del supporto o le distanze dai bordi o gli interassi sono inferiori ai valori proposti dal certificato di omologazione ovvero troppo ridotti. Rottura lato acciaio: Si verifica di norma per elevate profondità di posa o con calcestruzzi di elevata resistenza a trazione.

Figura 9 – Rottura bordo di calcestruzzo

Figura 8 – Rottura lato acciaio17 Figura 10 – Rottura per pryout (scalzamento)18

Carico di taglio Rottura del bordo di calcestruzzo: Si verifica quando il tassello è troppo vicino al bordo di calcestruzzo. Rottura per pryout del calcestruzzo: Si verifica quando il tassello ha una limitata profondità di posa. In caso di più ancoranti fissati su una piastra la rottura avviene come unico blocco di calcestruzzo che si distacca. Rottura lato acciaio: Si verifica per tasselli posti molto lontani dai bordi.

Figura 11 – Rottura lato acciaio per taglio19

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roma Resistenze sismiche di progetto degli ancoranti

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La eOTA TR045 introduce nella progettazione sismica tre approcci progettuali denominati a1), a2) e b, di seguito descritti: a) Progettazione senza considerare la duttilità dell’ancorante: a1) Capacity Design: L’ancorante o il gruppo di ancoranti, con connessioni, sia su elementi strutturali che non strutturali, sono progettati per resistere allo snervamento e alla rottura dell’elemento fissato. a2) Elastic Design: L’ancorante è progettato per il massimo carico ottenuto dai carichi di progetto che includono l’azione sismica corrispondente allo stato limite ultimo assumendo un comportamento elastico del fissaggio e della struttura. In questo caso per gli elementi non strutturali si introduce il fattore di struttura qa in funzione del tipo di elemento e del tipo di approccio considerato, mentre per gli elementi strutturali tale fattore è pari ad 1,0. b) Progettazione con ancoranti duttili (Ductile Anchor): L’ancorante o il gruppo di ancoranti è progettato per le azioni di progetto comprese le azioni sismiche corrispondenti allo stato limite ultimo. Gli ancoraggi devono soddisfare i requisiti di duttilità e la rottura dell’acciaio deve governare la resistenza dell’ancoraggio20. Di seguito si riportano alcune prescrizioni della TR045 relative all’uso di questo metodo di progettazione degli ancoranti: • Valido solo per categoria sismica C2; • Sono necessari requisiti aggiuntivi per assicurare la duttilità (es allungamento >8d) • Consigliato per elementi secondari e non strutturali, potrebbe non risultare adatto per elementi strutturali a causa degli elevati spostamenti non recuperabili; • Necessari controlli aggiuntivi per assicurare lato acciaio nei punti b1) e b2) del §5.4 della TR045 sono indicate le seguenti restrizioni rispettivamente per singolo ancorante e gruppo di ancoranti soggetti a trazione21: Per una ancorante singolo soggetto a trazione

dove Rk,s,seis è la resistenza caratteristica sismica a rottura dell’acciaio; Rk,conc,seis è la minima resistenza caratteristica per tutti gli altri meccanismi di rottura non lato acciaio; γ2 coefficiente di sicurezza definito al §0. Per gruppo di ancoranti con due o più ancoranti soggetti a trazione [eq. 9.2]

dove Rk,conc,seis è la minima resistenza caratteristica per rottura combinata a pull-out e conica del cls (solo per ancoranti chimici), rottura conica del cls, blowout e splitting FhSd valore di progetto del carico risultante sull’ancoraggio più sollecitato di un gruppo di ancoranti FgSd valore di progetto del carico risultante che agisce sugli ancoranti in trazione di un gruppo di ancoranti γ2 coefficiente di sicurezza definito al §0. Le resistenze sopra descritte dovranno essere valutate con il metodo seguente. La resistenza di progetto sismica Rd,seis sia per la trazione che per il taglio sarà pari a: [eq. 9.3]

con Rk,s,seis = αgap • αseis • R0k,s,seis dove γM,seis è il fattore parziale di sicurezza definito nel §0 αgap è il fattore riduttivo della resistenza che tiene conto dello spazio anulare per il taglio, pari a: = 1,0 in caso di assenza di gioco foro-ancoraggio (vedi Figura 14) = 0,5 in presenza di gioco foro-ancoraggio (vedi Figura 14) αseis è il fattore riduttivo sismico (vedere Tabella 7) R0k,seis Resistenza caratteristica sismica per i modi di rottura definiti nella eTA.

[eq. 9.1]

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109 Figura 12 – Fenomeno del martellamento causato dallo spazio tra ancorante e foro piastra22

TAGLIO

TRAZIONE

Carichi

Singolo

Modi di rottura

Ancorante

Gruppo di (1)

Ancoranti

Acciaio

1,0

1,0

Sfilamento (pull-out)

1,0

0,85

Combinata rottura conica + sfilamento

1,0

0,85

1,0

0,85

Tutti gli altri ancoranti

0,85

0,75

Splitting failure

1,0

0,85

Acciaio

1,0

0,85

1,0

0,85

0,85

0,75

Rottura conica cls:. Ancoranti con lo stesso comportamento di quelli muniti di testa

(2)

Scalzamento calcestruzzo (pry-out) Ancoranti con lo stesso comportamento di quelli muniti di testa

(2)

Tutti gli altri ancoranti

Note: Il caso di trazione per ancoranti singoli è anche alla situazione dove un solo ancorante in un gruppo di ancoranti è soggetto a trazione; Per gli ancoranti con lo stesso comportamento di quelli muniti di testa per la rottura conica del calcestruzzo la resistenza24 N0Rk,c = 8,0× (fck,cube)0,5 × hef1,5

Tabella 4 – Resistenze caratteristiche per i meccanismi di rottura a trazione

Nelle tabelle seguenti sono riportati i meccanismi di rottura per trazione e taglio con le relative resistenze da calcolare riportati nell’ eTA. Fattori parziali di sicurezza per le resistenze Il §4.2.2 delle TR045 per la definizione dei fattori parziali di sicurezza per le resistenze sismiche γM,seis raccomanda l’impiego dei fattori parziali definiti per le azioni statiche nell’eTAG 001 Annex C (ancoranti meccanici). Di seguito si riportano i valori da impiegare nei calcoli:

Tabella 5– Resistenze caratteristiche per i meccanismi di rottura a taglio

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Tabella 3 – Fattore riduttivo aseis23


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Progettazione allo Stato Limite Ultimo (SLU) I fattori parziali da utilizzare per la rottura conica del calcestruzzo (γMc), per la fessurazione (γMsp) e per lo sfilamento (γMp)dell’ancorante sono i seguenti: [eq. 9.5] dove: γc è pari a 1,5 coefficiente parziale di sicurezza per il cls a compressione; γ2 coefficiente parziale di sicurezza che tiene conto dell’installazione in sicurezza di un sistema di ancoranti. Il coefficiente parziale di sicurezza γ2 è valutato tramite delle prove che determinano la sicurezza dell’installazione, come riportato al § 6.1.2.2.2 delle eTAG26. In particolare il coefficiente γ2 riporta i seguenti valori: •

Nel caso di trazione γ2 = 1,0 per sistemi con alti valori di sicurezza nell’installazione; γ2 = 1,2 per sistemi con normali valori di sicurezza nell’installazione; γ2 = 1,4 per sistemi con basso ma ancora accettabile valore di sicurezza nell’installazione. Nel caso di taglio γ2 = 1,0

Verifica combinata Trazione- Taglio Se si è in presenza di azioni contemporanee di trazione e taglio è necessario soddisfare le seguenti relazioni: [eq. 10.1]

dove NSd / NRd,seis ≤ 1 e VSd / VRd,seis ≤ 1 NSd e VSd sono le azioni di progetto sugli ancoranti che includono gli effetti sismici27.

Spostamenti La TR045 al §5.7 fornisce una prescrizione di riduzione della resistenza nel caso in cui il calcolo degli spostamenti allo stato limite di esercizio (demage ultimate state DLS) siano superiori ai valori richiesti definiti nel progetto. I fattori riduttivi sono i seguenti: [eq. 11.1]

[eq. 11.2]

Per i coefficienti γMsp e γMp è possibile utilizzare il valore di γMc. Facendo riferimento al cedimento lato acciaio, per gli ancoranti i coefficienti di sicurezza sono determinati in funzione del tipo di carico: • Carico di trazione [eq. 9.6]

Carico di taglio con e senza effetto leva [eq. 9.7] fuk ≤ 800 N/mm² e fyk/fuk ≤ 0,8 fuk > 800 N/mm² e fyk/fuk > 0,8 [eq. 9.8]

Progettazione allo Stato Limite di Esercizio (SLE) In questa verifica i coefficienti di sicurezza parziali sulle resistenze possono essere posti uguali ad 1,0.

Figura 13 – Rotazioni e spostamenti ancoranti28

Conclusioni La progettazione e verifica degli elementi non strutturali in zona sismica è ad oggi un aspetto che presenta diverse carenze normative, le linee guida e anche le norme tecniche italiane

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roma ed europee richiamate nel presente documento forniscono alcune indicazioni sia sulla definizione dei carichi da utilizzare che su “accorgimenti” costruttivi da adottare per evitare l’insorgere di problemi legati alla perdita di funzionalità o al distacco di tali elementi. Le linee guida, in particolare, nascono come risposta ai danni causati dai recenti eventi sismici che ci sono stati in Italia come ad esempio in Abruzzo nel 2009 e in emilia Romagna nel 2012. Nonostante l’importanza emersa in questo articolo rispetto agli elementi non strutturali anch’essi fondamentali per l’incolumità delle persone, siamo in attesa di una norma nazionale che fissi i criteri e prescrizioni sulla progettazione e il calcolo di tali elementi. È possibile prendere come riferimento le linee guida e le norme richiamate nel presente documento che possono considerarsi un primo pas-

so molto importante per la corretta progettazione e verifica degli ancoraggi e la corretta installazione degli elementi non strutturali. Nel presente articolo si è fatto riferimento alla nuova normativa europea riguardante gli ancoranti in zona sismica che colma una lacuna presente fino a luglio 2013 (data di pubblicazione della TR045) e che ha lo scopo di essere da guida per la progettazione fino alla prossima pubblicazione delle eN 1992-4 previste per il 2014/2015. Data la sensibilità del territorio italiano agli eventi sismici è compito del progettista aggiornarsi sugli sviluppi in materia di ancoranti e collegamenti di elementi non strutturali attraverso seminari, convegni, corsi di formazione, ecc. così da tenere in considerazione anche gli aspetti relativi al tema trattato, oltre a quelli riguardanti gli elementi strutturali. ■

1 Cit. in eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, pag. 5 par. 3.5. 2 Cit. in eN 1998-1:2004, eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance. Part 1: General rules, seismic actions and rules for buildings, Bruxelles, european Committee for Standardization (CeN), 2004, par. 4.3.5. 3 D.M. 14.01.2008, Norme Tecniche per le costruzioni, Ministero delle Infrastrutture, RomaInfrastrutture, Roma, 2008, par. 7.2.3. 4 eN 1998-1:2004, eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance. Part 1: General rules, seismic actions and rules for buildings, Bruxelles, european Committee for Standardization (CeN), 2004, par. 3.2.1. 5 Cit. in DI SARIO Michele - Jorge GRAMAXO, La corretta progettazione degli ancoranti in zona sismica. Nuovi criteri di qualificazione e progettazione europei, Lenta (VC), Associazione ISI – Ingegneria Sismica Italiana, 2013, pag. 6. 6 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013. 7 eN 1998-1:2004, eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance. Part 1: General rules, seismic actions and rules for buildings, Bruxelles, european Committee for Standardization (CeN), 2004. 8 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, par. 5.5.4. 9 Traduzione della tabella 5.2, eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013. 10 eN 1998-1:2004, eurocode 8: Design of structures for earthquake resistance. Part 1: General rules, seismic actions and rules for buildings, Bruxelles, european Committee for Standardization (CeN), 2004, par. 4.3.5.3. 11 ATC-51-2, Raccomandazioni congiunte Stati Uniti – Italia per il controventamento e l’ancoraggio dei componenti non strutturali negli ospedali italiani, Applied Technology Council (ATC) – Servizio Sismico Italiano (SSN), 2003, par. 3.3. 12 Cit. eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, pag. 11. 13 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, pag. 11, figura 5.3. 14 DI SARIO Michele - Jorge GRAMAXO, La corretta progettazione degli ancoranti in zona sismica. Nuovi criteri di qualificazione e progettazione europei, Lenta (VC), Associazione ISI – Ingegneria Sismica Italiana, 2013, pag. 9. 15 GRAMAXO Jorge, Design of Anchors in Seismic Regions as

per the New european Guideline eOTA TR045, Bologna, HILTI Seismic Accademy, 2013, pag. 14. 16 TOFONI Fabrizio, Il fissaggio mediante ancoraggi meccanici e chimici: campi di applicazione, principi di funzionamento e criteri di scelta dei sistemi di fissaggio, Roma, Seminario Università degli Studi di Tor Vergata, 2009, figure pag. 51. 17 TOFONI Fabrizio, Il fissaggio mediante ancoraggi meccanici e chimici: campi di applicazione, principi di funzionamento e criteri di scelta dei sistemi di fissaggio, Roma, Seminario Università degli Studi di Tor Vergata, 2009, figure pag. 52. 18 TOFONI Fabrizio, Il fissaggio mediante ancoraggi meccanici e chimici: campi di applicazione, principi di funzionamento e criteri di scelta dei sistemi di fissaggio, Roma, Seminario Università degli Studi di Tor Vergata, 2009, figure pag. 56. 19 TOFONI Fabrizio, Il fissaggio mediante ancoraggi meccanici e chimici: campi di applicazione, principi di funzionamento e criteri di scelta dei sistemi di fissaggio, Roma, Seminario Università degli Studi di Tor Vergata, 2009, figura pag. 55. 20 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, par. 5.3 e par. 5.4. 21 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, par. 5.4 punto a). 22 GRAMAXO Jorge, Design of Anchors in Seismic Regions as per the New european Guideline eOTA TR045, Bologna, HILTI Seismic Accademy, 2013, figura di pag. 11. 23 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, tabella 5.4. 24 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, note tabella 5.4. 25 GRAMAXO Jorge, Design of Anchors in Seismic Regions as per the New european Guideline eOTA TR045, Bologna, HILTI Seismic Accademy, 2013. 26 eTAG 001 Annex C, Guideline for european Technical Approval of Metal Anchors for Use in Concrete Annex C Design Methods for Anchorages, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2010. 27 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, par. 5.6.3. 28 eOTA TR045, Design of Metal Anchors For Use In Concrete Under Seismic Actions, Bruxelles, european Organization for Technical Approval (eOTA), 2013, figura 5.4.

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Quaderno

IL MONDO NO-PROFIT a cura di Membri iscritti alla commissione “Ingegneria no profit” al 15 febbraio 2014 commissione L’Ingegnere per il no profit visto da: Ing. P. Andrizzi Ing. G. Boschi

Il mondo no-profit è un grande, crescente ed importantissimo complesso di istituzioni, che condividono sia obiettivi socialmente rilevanti e di pubblica utilità, che un approccio “senza scopi di lucro”: tutte le risorse disponibili sono, quindi, impiegate per raggiungere gli scopi e non per generare dei profitti. Dato che, in molti casi, il mondo no-profit integra il settore dei servizi sociali ed assistenziali, o addirittura ne riempie dei vuoti, un suo sinonimo largamente utilizzato è “terzo settore” in quanto costituisce una terza via economica, che si aggiunge allo stato ed al mercato: i soggetti no-profit sono, difatti, organizzazioni private che però si concentrano sulla produzione di beni o sull’erogazione di servizi rivolti alla collettività. Il Terzo Settore comprende, quindi, organizzazioni diverse che, comunque, sono tutte rivolte all’erogazione di servizi od alla produzione di beni ed a cui la professionalità degli Ingegneri, nelle sue varie specializzazioni, può dare un importante contributo: essendo poi il Terzo Settore un mondo in continua crescita, può senz’altro costituire per gli Ingegneri, a sua volta, una importante opportunità di lavoro. Il mondo del no-profit è oggi in Italia, difatti, una realtà di straordinaria importanza, che conta un ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA


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roma volume di denaro superiore a 67 Miliardi di euro, pari ad oltre il 4% del PIL. Secondo i primi risultati del 9° Censimento dell’Industria e dei Servizi e Censimento delle Istituzioni Non Profit pubblicati dall’ISTAT nel luglio 2013, le istituzioni non profit attive in Italia sono ben 301.191, con una crescita pari al 28 per cento rispetto al decennio precedente, e rappresentano il 6,4 per cento delle unità giuridico- economiche attive in Italia. Gli imponenti numeri delle risorse umane impiegate raggiungono quasi i 5 milioni di volontari ed il milione di lavoratori retribuiti a vario titolo, inclusi 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni (lavoratori con contratto di collaborazione) e più di 5 mila lavoratori temporanei. Da un punto di vista puramente numerico, circa ¼ della forza lavoro totale occupata opera quindi nel mondo no-profit. Tutti i valori relativi al mondo no-profit sono in crescita, come sintetizzato in Figura 1, sempre di fonte ISTAT. Il quadro di riferimento normativo del mondo no-profit è piuttosto articolato in quanto comprende sia tipologie organizzative, regolate nel Codice Civile, che tipologie giuridiche, regolate per legge e che dal punto di vista organizzativo fanno comunque riferimento alle precedenti: alcune tipologie possono, a loro volta, ottenere “qualifiche”, sempre regolate per legge, sia civilistiche, come l’Impresa Sociale, che fiscali, come le ONLUS. Le principali tipologie organizzative sono le Associazioni, i Comitati, e le Fondazioni. Le principali tipologie giuridiche sono le Associazioni di Promozione Sociale, le Cooperative Sociali, le Organizzazioni di Volontariato, le Organizzazioni Non Governative, e le Società di Mutuo Soccorso, a cui si possono, infine, aggiungere le Associazioni Sportive Dilettantistiche e gli enti ecclesiastici. La qualifica civilistica di Impresa Sociale corrisponde a tutte quelle imprese private, incluse le cooperative, che operano in modo competitivo sul mercato, avendo però come oggetto la produzione e lo scambio di beni e servizi di utilità sociale e di interesse generale. L’ottenimento della qualifica di ONLUS (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale), garantisce alle istituzioni no-profit vantaggi fiscali (es. possibilità di utilizzare aliquote IVA ridotte). esistono sia le “ONLUS di diritto”, quali le Organizzazioni di Volontariato, le Organizzazioni Non Governative, le Cooperative Sociali ed i loro Consorzi, che le “ONLUS per scelta”, quali tutte quelle Associazioni, quei Comitati, quelle Società Cooperative ed altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica ma comunque senza fini di lucro, che, avendo le

caratteristiche previste nella legge, si iscrivano all’apposita Anagrafe, ed anche le “ONLUS parziali”, quali gli enti ecclesiastici e le Associazioni di Promozione Sociale. Non possono diventare ONLUS gli enti pubblici, le società commerciali diverse da quelle cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni di datori di lavoro, le associazioni di categoria e gli enti non residenti in Italia. Tutte le ONLUS devono comunque svolgere almeno una delle seguenti attività: assistenza sociale e socio sanitaria, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico, tutela e valorizzazione dell’ambiente, promozione della cultura e dell’arte, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica di particolare interesse sociale. Per il mondo no-profit la ricerca e l’ottenimento di finanziamenti o “fund raising” è di importanza vitale: i possibili finanziatori possono essere sia pubblici, che privati, e questi ultimi, a loro volta, possono includere sia le imprese, le fondazioni, le banche e le associazioni che i privati cittadini. I finanziamenti pubblici provengono in gran parte dalla Commissione europea e sono soprattutto gestiti dalle Regioni: anche nei casi migliori, tuttavia, si tratta di “contributi” o “cofinanziamenti”, per cui il mondo no-profit si deve comunque necessariamente rivolgere anche a finanziatori privati. I finanziamenti privati avvengono soprattutto nella forma di donazioni, sponsorizzazioni o, nel caso di grandi imprese e banche, con l’istituzione di fondazioni: di particolare importanza, tanto da richiedere azioni promozionali specifiche, è poi il fenomeno “5 per 1000” dell’IRPeF. Mentre i finanziatori del mondo “profit” si aspettano ritorni economici diretti dai loro capitali investiti, ma possono benissimo non condividerne le “mission” in quanto possono limitarsi a considerarne solo i vantaggi finanziari, i finanziatori del mondo no-profit, in modo assolutamente complementare, ne condividono necessariamente le “mission”, ma non si possono aspettare ritorni economici diretti. Le imprese finanziatrici del no-profit solitamente si aspettano, tuttavia, importanti ritorni indiretti, grazie al miglioramento dell’immagine, mentre i privati cittadini si aspettano, solitamente, ritorni sugli aspetti immateriali del “sentirsi bene”. Tutti i finanziatori del mondo no-profit, siano essi pubblici o privati, organizzazioni o singole persone, fanno comunque delle scelte rispetto alle istituzioni da finanziare, che possono essere anche esclusive, per cui è indispensabile in-

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114 Figura 1 - Andamento delle istituzioni non profit e delle risorse umane impiegate Censimento 2011 – Variazione percentuale 2011/2001 (Fonte: ISTAT)

dirizzare il mondo dei possibili finanziatori con specifiche azioni di Marketing: le tecniche commerciali, tuttavia, salvo la loro specializzazione, sono le stesse del Mondo Profit. In generale, le Tecniche Gestionali, dal Marketing al Business Development, dal Project Management alla Pianificazione ed al Controllo di Gestione, sono, nel mondo no-profit, le stesse del mondo profit. Vista poi la crescente importanza, anche in controtendenza rispetto al mondo profit, del

mondo no-profit, le tecniche gestionali andrebbero qui introdotte ed applicate sempre più estensivamente, mettendo così a disposizione dei due mondi la reciproca utilità di scambiare delle opportunità di lavoro con una maggiore efficienza delle organizzazioni. Già nel milletrecento, peraltro, la Scuola Francescana diffondeva questo pensiero: “L’elemosina aiuta a sopravvivere, ma non a vivere; perché vivere è produrre, e l’elemosina non aiuta a produrre”. ■

Arch. M. Fuksas - Centro Congressi Nuvola (Roma) Copyright © Moreno Maggi 컄 ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA


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Quaderno

a cura di Ing. T. De Dominicis Ing. F. Petulla Ing. V. Lombardi commissione Relazioni con l’Unione europea visto da: Ing. A. Scorza

EUROPASS CURRICULUM VITAE Il contesto economico attuale richiede sempre più prepotentemente una maggiore attenzione da parte di tutte le forze sociali, tra cui anche gli Ordini professionali, in merito non solo ad aspetti locali del mercato del lavoro, ossia legati agli eventi ed ai processi caratteristici della realtà regionale o nazionale, ma anche internazionali. Infatti, se da un lato è ampiamente condiviso come la crisi economica in Italia, oggi alla ribalta dei notiziari, sia imputabile anche a circostanze su scala mondiale, dall’altro è innegabile come la globalizzazione già da tempo stia spingendo ciascun singolo cittadino italiano, dallo studente al professionista, ad interfacciarsi sempre più con realtà oltreconfine, ciò grazie sia ai mezzi telematici, sempre più potenti, diffusi e sofisticati, sia ai mezzi di trasporto, sem-

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pre più efficienti e dai costi accessibili. Si pensi a tale riguardo quanto sia comune oggi disporre di cellulare in grado di accedere diffusamente alla rete internet e con essa a mercati on-line, social network, servizi di messaging, ecc. Così sempre più frequentemente accade di dover sostenere la prima parte di un colloquio di lavoro in videoconference per poi prendere un aereo e volare, ad esempio, fino a Londra, Parigi o Berlino in una manciata di ore: comunicazioni e trasporti sono due elementi che hanno condizionato profondamente la mobilità di coloro che oggi cercano occupazione o, pur avendone una, si

rivolgono a mercati più ampi di quelli locali. Non deve perciò stupire se oramai si assiste ad un flusso sempre maggiore di giovani laureati e professionisti (giovani e meno giovani), che alla ricerca di formazione, di un’occupazione migliore o semplicemente per necessità, si rivolgono all’estero: appare emblematico quanto riportato da fonti statistiche istituzionali, secondo cui solo per il 2011 sono stati circa 50.000 i connazionali emigrati, di cui quasi un terzo laureati, in pratica come se una città grande come Rovigo o Ascoli Piceno sparisse nell’arco di un anno. Anche se è probabile che tali flussi siano ad oggi molto più ampi di quanto sopra menzionato, è comunque interessante notare come lo spostamento di forza lavoro stia avvenendo in buona parte verso Paesi della Comunità europea (come Germania e Regno Unito); ciò appare favorito non solo dal progresso dei mezzi di comunicazione e dei trasporti, ma anche dagli strumenti normativi e dagli accordi messi a disposizione dalla Comunità europea per favorire la mobilità dei cittadini all’interno degli Stati membri. La conoscenza di tali strumenti è spesso sommaria se non assente tra i giovani professionisti e, per tale motivo, in questa sede se ne vuole dare un breve prospetto: in particolare tra essi l’eUROPASS risulta di particolare importanza, essendo costituito da una raccolta personale e coordinata di documenti, che i cittadini europei possono utilizzare su base volontaria per meglio comunicare e presentare le proprie qualificazioni e competenze in tutta europa (decisione n. 2241/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004). In particolare, l’europass può essere considerato un dossier relativo a ciascun cittadino e contenente 5 tipologie di documenti: • europass Curriculum Vitae; • Portafolio europass delle Lingue; • Supplemento al Diploma europass; • Supplemento al Certificato europass; • europass mobilità. A tale riguardo maggior rilievo in questa sede viene dato all’europass Curriculum Vitae, riportando informazioni utili per tutti i professionisti ed i giovani laureati che, per necessità o curiosità, si accingano ad una esperienza lavorativa all’estero.

Le ragioni di un “Curriculum Vitae Europeo” Il tema dell’istruzione e della formazione è uno dei punti principali delle agende della Comunità europea in quanto solo fornendo un’istruzione qualificata ed una formazione professionale e personale valida e costruttiva si può pensare di costruire uno strato sociale responsabile e consapevole del proprio valore, non

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solo professionale, ma anche umano. Le politiche europee, di conseguenza, stanno convergendo verso due obiettivi fondamentali: • promuovere il lifelong learning, ovvero il continuo apprendimento lungo tutto l’arco della vita, per favorire l’acquisizione di conoscenze e competenze a livello individuale e per valorizzare pienamente il capitale umano di cui l’europa dispone; • utilizzare appieno le potenzialità offerte dallo sviluppo di una dimensione europea del mercato del lavoro, dell’istruzione e della formazione. La mobilità delle persone, intesa sia in senso geografico che professionale, è al centro di questa politica e l’europa è fortemente impegnata a sostenere questo obiettivo. Lo scenario europeo attuale, però, presenta ancora molti fattori in grado di scoraggiare progetti di vita e di lavoro che contemplino lo spostamento di una persona in uno o più paesi dell’Unione. La prima difficoltà che un cittadino solitamente incontra nell’affrontare un’esperienza all’estero è quella di valorizzare pienamente, in un paese diverso da quello di origine, sia i percorsi formativi sia le competenze professionali maturate nel corso della propria vita: per tale motivo le Istituzioni europee hanno ridefinito gli strumenti per rendere più trasparenti, contestualizzate e meglio confrontabili le qualifiche e le competenze di ogni candidato in un’ottica di maggiore funzionalità ed efficacia. La decisione direttiva 2241/2004/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, infatti, istituisce un Quadro Unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze che prende il nome di europass e designa un organismo unico, definito Centro Nazionale europass (NeC), responsabile di coordinare tutte le attività connesse all’applicazione di europass. L’europass Curriculum Vitae è parte integrante del Quadro Unico per la trasparenza. La sua struttura mira all’adozione di un linguaggio comune utile ad inserirsi attivamente in un ambiente lavorativo in tutti gli Stati membri dell’Unione europea, promuovendo una maggiore visibilità delle competenze degli individui e valorizzando i percorsi di apprendimento.

titoli di studio, esperienze lavorative e competenze individuali; - fornisce informazioni su: dati personali, posizione per la quale si presenta la candidatura, esperienze professionali, percorsi di istruzione e formazione, competenze personali sviluppate anche al di fuori di percorsi formativi di tipo tradizionale, fra queste ci sono anche le competenze linguistiche, informatiche, ecc… ; - può essere compilato direttamente dalla persona interessata o si può ricorrere all’aiuto di esperti, di solito viene redatto in inglese e, se si conosce, nella lingua del paese in cui si sta inviando; - essendo una autodichiarazione, non ha nessun valore legale ma svolge solo una funzione informativa; - è possibile trovare il formato, in tutte le lingue dei paesi europei, sul sito https://europass.cedefop.europa.eu/it/home. Sullo stesso sito è possibile anche trovare delle linee guida molto dettagliate per la compilazione. Le sezioni del CV europeo sono 6 e comprendono: anagrafica, posizione lavorativa ricercata, esperienze professionali, istruzione e formazione, capacità e competenze professionali, ulteriori informazioni (figura 1). In merito alla sua compilazione nel seguito si forniscono alcuni dettagli e consigli.

Il documento “Europass Curriculum Vitae” Si riportano qui di seguito in sintesi i focus principali del Curriculum Vitae europeo: - è un modello standardizzato di CV che consente ai lavoratori e agli studenti di presentare in modo chiaro e completo le informazioni relative alle proprie qualifiche e competenze sviluppate nell’arco di percorsi professionali e non; - consente di uniformare la presentazione di

Figura 1 – sezioni del CV europeo

Aspetti generali nella compilazione del CV Europass Chi valuta il curriculum solitamente non dedica più di 1 minuto a leggerlo, per tale motivo è fondamentale che esso sia breve (3 pagine al

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massimo), accurato e soprattutto focalizzato rispetto alla posizione lavorativa ricercata. Un CV poco specifico solitamente risulta più dispersivo e per tale motivo, contrariamente al pensare comune, rischia di essere scartato con maggiore facilità: il CV va adeguato in funzione dell’impiego cercato. I titoli, le qualifiche e le competenze devono essere riportati con onestà e chiarezza, in modo da far risaltare i punti forti del candidato (si consiglia di far riferimento alla modulistica su http://europass.cedefop.europa.eu). A tale riguardo si consiglia di: • usare frasi brevi; • concentrarsi sui principali elementi della propria formazione ed esperienza professionale; • giustificare sempre le eventuali interruzioni negli studi o nella carriera; • eliminare tutte le voci del CV che si ritengano poco attinenti alla candidatura o per le quali non sia possibile specificare nulla di significativo; • prestare attenzione ai dettagli senza mai sottovalutare la forma: errori ortografici o grammaticali possono pregiudicare irrimediabilmente la candidatura. COMPRENSIONE LivelloAscolto

Lettura

Inoltre è sempre opportuno rileggere attentamente il proprio CV compilato e sottoporlo alla lettura di una terza persona, ciò per assicurarsi che il suo contenuto sia di chiara comprensione. Infine, se il curriculum viene inviato in Italia è importante inserire la dicitura “Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.Lgs 196 del 30 giugno 2003”.

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CV Europass - Anagrafica In tale sezione, oltre a nome, cognome e data di nascita del candidato, vengono richiesti i principali recapiti, tra cui indirizzo di residenza, telefono ed email, dando la possibilità di inserire anche la foto. Riguardo quest’ultima essa è solitamente opzionale, a meno che non venga richiesta espressamente dal datore di lavoro. I recapiti suddetti non vanno assolutamente trascurati, si tenga conto che oggi sempre più frequentemente i colloqui di lavoro all’estero avvengono per via telefonica o in videoconferenza.

CV Europass - Posizione lavorativa ricercata e’ consigliabile indicare in maniera piuttosto dettagliata la posizione desiderata, avendo cura di adattare tale sezione all’azienda cui si sta inviando il CV. Nel caso in cui non si avesse

PARLATO Interazione

Produzione orale

SCRITTO Produzione scritta

A1

Riesco a riconoscere parole che mi sono familiari ed espressioni molto semplici riferite a me stesso, alla mia famiglia e al mio ambiente, purché le persone parlino lentamente e chiaramente

Riesco a capire i nomi e le persone che mi sono familiari e frasi molto semplici, per esempio quelle di annunci, cartelloni, cataloghi.

Riesco a interagire in modo semplice se l’interlocutore é disposto a ripetere o a riformulare più lentamente certe cose e mi aiuta a formulare ciò che cerco di dire. Riesco a porre e a rispondere a domande semplici su argomenti molto familiari o che riguardano bisogni immediati.

Riesco a usare espressioni e frasi semplici per descrivere il luogo dove abito e la gente che conosco

Riesco a scrivere una breve e semplice cartolina, ad esempio per mandare i saluti delle vacanze. Riesco a compilare moduli con dati personali scrivendo per esempio il mio nome, la nazionalità e l’indirizzo sulla scheda di registrazione di un albergo

A2

Riesco a capire espressioni e parole di uso molto frequente relative a ciò che mi riguarda direttamente (per esempio informazioni di base sulla mia persona e sulla mia famiglia, gli acquisti, l’ambiente circostante e il lavoro). Riesco ad afferrare l’essenziale di messaggi e annunci brevi, semplici e chiari.

Riesco a leggere testi molto brevi e semplici e a trovare informazioni specifiche e prevedibili in materiale di uso quotidiano, quali pubblicità, programmi, menù e orari. Riesco a capire lettere personali semplici e brevi

Riesco a comunicare affrontando compiti semplici e di routine che richiedano solo uno scambio semplice e diretto di informazioni su argomenti e attività consuete. Riesco a partecipare a brevi conversazioni, anche se di solito non capisco abbastanza da riuscire a sostenere la conversazione

Riesco ad usare una serie di espressioni e frasi per descrivere con parole semplici la mia famiglia ed altre persone, le mie condizioni di vita, la carriera scolastica e il mio lavoro attuale o recente

Riesco a prendere semplici appunti e a scrivere brevi messaggi su argomenti riguardanti bisogni immediati. Riesco a scrivere una lettera personale molto semplice, per esempio per ringraziare qualcuno

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Tabella 1 – Schema di autovalutazione relativo alle competenze linguistiche da inserire nell’europass CV


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roma COMPRENSIONE LivelloAscolto

PARLATO Interazione

Lettura

Produzione orale

SCRITTO Produzione scritta

B1

Riesco a capire gli elementi principali in un discorso chiaro in lingua standard su argomenti familiari, che affronto frequentemente al lavoro, a scuola, nel tempo libero ecc. Riesco a capire l’essenziale di molte trasmissioni radiofoniche e televisive su argomenti di attualità o temi di mio interesse personale o professionale, purché il discorso sia relativamente lento e chiaro.

Riesco a capire testi scritti di uso corrente legati alla sfera quotidiana o al lavoro. Riesco a capire la descrizione di avvenimenti, di sentimenti e di desideri contenuta in lettere personali

Riesco ad affrontare molte delle situazioni che si possono presentare viaggiando in una zona dove si parla la lingua. Riesco a partecipare, senza essermi preparato, a conversazioni su argomenti familiari, di interesse personale o riguardanti la vita quotidiana ( per esempio la famiglia, gli hobby, il lavoro, i viaggi e i fatti di attualità).

Riesco a descrivere, collegando semplici espressioni, esperienze ed avvenimenti, i miei sogni, le mie speranze e le mie ambizioni. Riesco a motivare e spiegare brevemente opinioni e progetti. Riesco a narrare una storia e la trama di un libro o di un film e a descrivere le mie impressioni

Riesco a scrivere testi semplici e coerenti su argomenti a me noti o di mio interesse. Riesco a scrivere lettere personali esponendo esperienze e impressioni

B2

Riesco a capire discorsi di una certa lunghezza e conferenze e a seguire argomentazioni anche complesse purché il tema mi sia relativamente familiare. Riesco a capire la maggior parte dei notiziari e delle trasmissioni TV che riguardano fatti d’attualità e la maggior parte dei film in lingua standard.

Riesco a leggere articoli e relazioni su questioni d’attualità in cui l’autore prende posizione ed esprime un punto di vista determinato. Riesco a comprendere un testo narrativo contemporaneo

Riesco a comunicare con un grado di spontaneità e scioltezza sufficiente per interagire in modo normale con parlanti nativi. Riesco a partecipare attivamente a una discussione in contesti familiari, esponendo e sostenendo le mie opinioni

Riesco a esprimermi in modo chiaro e articolato su una vasta gamma di argomenti che mi interessano. Riesco a esprimere un’opinione su un argomento d’attualità, indicando vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni

Riesco a scrivere testi chiari e articolati su un’ampia gamma di argomenti che mi interessano. Riesco a scrivere saggi e relazioni, fornendo informazioni e ragioni a favore o contro una determinata opinione. Riesco a scrivere lettere mettendo in evidenza il significato che attribuisco personalmente agli avvenimenti e alle esperienze

C1

Riesco a capire un discorso lungo anche se non é chiaramente strutturato e le relazioni non vengono segnalate, ma rimangono implicite. Riesco a capire senza troppo sforzo le trasmissioni televisive e i film.

Riesco a capire testi letterari e informativi lunghi e complessi e so apprezzarne le differenze di stile. Riesco a capire articoli specialistici e istruzioni tecniche piuttosto lunghe, anche quando non appartengono al mio settore

Riesco ad esprimermi in modo spontaneo e disinvolto senza dover cercare troppo le parole. Riesco ad usare la lingua in modo flessibile ed efficace nelle relazioni sociali e professionali. Riesco a formulare idee e opinioni in modo preciso e a collegare abilmente i miei interventi con quelli di altri interlocutori

Riesco a presentare descrizioni chiare e articolate su argomenti complessi, integrandovi temi secondari, sviluppando punti specifici e concludendo il tutto in modo appropriato

Riesco a scrivere testi chiari e ben strutturati sviluppando analiticamente il mio punto di vista. Riesco a scrivere lettere, saggi e relazioni esponendo argomenti complessi, evidenziando i punti che ritengo salienti. Riesco a scegliere lo stile adatto ai lettori ai quali intendo rivolgermi.

C2

Non ho nessuna difficoltà a capire qualsiasi lingua parlata, sia dal vivo sia trasmessa, anche se il discorso è tenuto in modo veloce da un madrelingua, purché abbia il tempo di abituarmi all’ accento.

Riesco a capire con facilità praticamente tutte le forme di lingua scritta inclusi i testi teorici, strutturalmente o linguisticamante complessi, quali manuali, articoli specialistici e opere letterarie

Riesco a partecipare senza sforzi a qualsiasi conversazione e discussione ed ho familiarità con le espressioni idiomatiche e colloquiali. Riesco ad esprimermi con scioltezza e a rendere con precisione sottili sfumature di significato. In caso di difficoltà, riesco a ritornare sul discorso e a riformularlo in modo cosí scorrevole che difficilmente qualcuno se ne accorge

Riesco a presentare descrizioni o argomentazioni chiare e scorrevoli, in uno stile adeguato al contesto e con una struttura logica efficace, che possa aiutare il destinatario a identificare i punti salienti da rammentare

Riesco a scrivere testi chiari, scorrevoli e stilisticamente appropriati. Riesco a scrivere lettere, relazioni e articoli complessi, supportando il contenuto con una struttura logica efficace che aiuti il destinatario a identificare i punti salienti da rammentare. Riesco a scrivere riassunti e recensioni di opere letterarie e di testi specialistici

segue Tabella 1 – schema di autovalutazione relativo alle competenze linguistiche da inserire nell’europass CV

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roma un’idea precisa del tipo di occupazione, è consigliabile eliminare questa sezione.

CV Europass - esperienze professionali In tale sezione vanno descritte le esperienze professionali più rilevanti a partire da quella attuale e continuando, in ordine cronologico, con quelle meno recenti. Per ognuna di esse è richiesto il periodo temporale di svolgimento, il tipo di lavoro o posizione ricoperta, le principali attività e responsabilità assunte, il nome e l’indirizzo del datore di lavoro, settore di attività. Nel caso di ricerca di primo impiego è opportuno inserire eventuali periodi di tirocinio, facendo precedere nel CV la voce “Istruzione e formazione” a quella “esperienza professionale”. Per coloro che possono vantare più esperienze professionali è opportuno selezionare tra esse quelle maggiormente adatte alla candidatura e che possono costituire un punto di forza del candidato.

CV Europass - istruzione e formazione Anche in questa sede vanno descritte le esperienze formative più rilevanti, a partire dalla più recente e indicando, alla fine del percorso formativo, il titolo che è stato conseguito. Ogni esperienza va descritta utilizzando: durata, titolo della qualifica rilasciata, principali tematiche/competenze professionali possedute, nome e tipo d’organizzazione erogatrice dell’istruzione e formazione, livello nella classificazione nazionale o internazionale (opzionale).

CV Europass - capacità e competenze professionali Vengono qui riportate le competenze linguistiche, informatiche, comunicative, organizzative - gestionali, ecc. Per ognuna è utile inserire il contesto in cui sono state acquisite ed eventuali certificati conseguiti (es. IeLTS, eCDL,

ecc.). Per le lingue conosciute la sezione del CV va compilata secondo le indicazioni di Tabella 1. Per le altre tipologie di competenze si fornisce qui di seguito un breve prospetto: Capacità e competenze sociali: riguardano le capacità di vivere e lavorare in gruppo, comunicare, comprensione e/o adattamento a situazioni nuove. Capacità e competenze organizzative: capacità di progettare attività, guidare/coordinare altre persone, diagnosticare e fronteggiare situazioni problematiche. Capacità e competenze tecniche: capacità e conoscenze circa l’uso di macchinari e attrezzature (non informatiche) o relative ad ambiti/settori professionali specifici. Capacità e competenze informatiche: capacità e conoscenze relative a software, sia per un utilizzo di base (es. elaborazione testi, browser di navigazione, ecc.) sia per un utilizzo avanzato (es. programmazione in linguaggi specifici). Capacità e competenze artistiche: capacità e conoscenze in ambito artistico (es. musicale, letterario, arti visive e plastiche, ecc.) che possono costituire punti di forza per la candidatura. Altre capacità e competenze: capacità di altra natura, non citate altrove ma che possono costituire punti di forza per la candidatura. Le diverse capacità e competenze vanno descritte in modo conciso, precisando sempre in quale contesto sono state acquisite.

CV Europass - ulteriori informazioni ed allegati In tale sezione è possibile citare eventuali pubblicazioni o partecipazioni a progetti, così come l’appartenenza a gruppi o associazioni, come ad esempio ordini professionali. Si possono inoltre inserire eventuali referenze ed allegati (es. pubblicazioni, certificati, attestazioni, ecc.).

Riferimenti Di seguito si riportano alcuni riferimenti utili per approfondire gli argomenti trattati nell’articolo (dai quali sono stati estratti parti dell’articolo stesso) con delle utili guide sulla compilazione del proprio Curriculum Vitae “europeo”. ISFOL - Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori http://www.isfol.it/europass EUROPASS - http://europass.cedefop.europa.eu/it/documents/curriculum-vitae European Qualification Framework: http://ec.europa.eu/education/policies/educ/eqf/index_en.html Rete EURES: http://europa.eu.int/eures EURODESK: http://www.eurodesk.it Rete ENIC-NARIC: www.enic-naric.net

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Quaderno a cura di Ing. M. De Iorio commissione Calcio visto da: Ing. G. Ficili

NULLA AVVIENE PER CASO: ROMA VICE CAMPIONE D’ITALIA

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roma L’organizzazione Tra i primi problemi che il nuovo consiglio dell’Ordine si è trovato ad affrontare c’è la partecipazione al XXII Campionato Nazionale di calcio degli Ordini degli Ingegneri di calcio a 11, organizzato dall’ordine di Brescia. La storia delle partecipazioni della rappresentativa romana è sicuramente densa di cari ricordi per i protagonisti, ma il palma res sportivo non è di quelli indimenticabili. Se si può vantare il terzo posto conseguito nel 2010 a Torino, la fase finale è stata raggiunta solo 4 volte in 16 partecipazioni. La storia e il tempo sembrano ostacoli insuperabili, ma il piglio deciso del Consiglio, che delega Giorgio Mancurti e Lorenzo Quaresima a tirare le fila dell’organizzazione, riesce nel miracolo di far partire, e bene, la macchina. Viene nominato commissario tecnico della squadra Claudio Cappioli, già artefice del terzo posto di tre anni prima e del nono del 2011, inspiegabilmente esonerato nel 2012, con il conseguente risultato di ottenere l’estromissione di Roma dalle teste di serie. Mister Cappioli si dota di uno staff di supporto di prim’ordine, costituito da Francesco Placidi e da emiliano Leva a seguire i giocatori di movimento, mentre i portieri sono seguiti da Riccardo Napolitano. La preparazione dura da fine aprile fino a metà giugno con tre allenamenti a settimana.

Fase di qualificazione: Brescia, 13-16 giugno Roma - Latina 2-0 Il sorteggio ha stabilito che il primo incontro sarà disputato contro gli amici di Latina e i derby, si sa, sono partite che fuggono da ogni pronostico. Il 4-4-2 di Mister Cappioli è padrone assoluto del campo e più volte viene sfiorata la marcatura. La porta di Latina sembra stregata, ma Roma non molla: nel secondo dei quattro minuti di recupero, affondo sulla fascia del neo entrato Lippa che mette un delizioso pallone al centro per l’accorrente Naldini, che appoggia in rete per il meritatissimo vantaggio. esplode la gioia incontenibile di Roma! Ripreso il gioco, Latina si riversa in attacco nella speranza di riequilibrare le sorti dell’incontro, ma è ancora Roma con capitan Dosa a chiudere l’incontro.

Roma - Pistoia 2-0 Nella seconda partita si affronta Pistoia, che nella precedente gara è stata sconfitta da Bergamo; per i toscani è pertanto l’ultima spiaggia. ORDINe DeGLI INGeGNeRI DeLLA PROVINCIA DI ROMA

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roma

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Roma fatica ad imporre il proprio gioco, ma, pur soffrendo, riesce a trovare la via del gol su una palla inattiva: punizione dalla trequarti di Perfetto per il tap-in vincente di Rosati. Nel secondo tempo arriva anche il meritato raddoppio con un colpo di testa di Dinnella. Nel finale da registrare l’incidente occorso ad un generosissimo Zanella, vittima di un fortuito scontro con il portierone “amico” Cattarin; per lui tanta paura, corsa in ambulanza e frattura di 4 costole … si riprenderà!

Roma - Bergamo 0-1 entrambe le squadre si affrontano a punteggio pieno con la qualificazione al turno successivo già in tasca; in palio c’è il primo posto del girone. La gara è molto bella tra due squadre forti ed agguerrite. Solo un episodio può modificare il risultato; questo capita sul finire dell’incontro, quando un disimpegno difensivo affrettato lascia a Bergamo lo spazio per un tiro imparabile dai 25 metri. La partita termina con la sconfitta di Roma e la qualificazione al secondo turno come “migliore seconda”.

Fase finale: Brescia, 17-24 luglio Roma - Cagliari 1-0 Gli ingegneri Roma si trovano al cospetto dei campioni di Italia uscenti. Cagliari è una squadra quadrata, ottima regia a centrocampo e velocissimi inserimenti delle punte. Prese le misure, Roma tiene molto bene il campo e si affida agli affondi sulla fascia. Su uno di questi, Paulizzi pennella un delizioso cross per Marco Dosa che di testa trova l’angoletto. Nel secondo tempo gli attacchi di Cagliari si fanno sempre più pressanti, ma la difesa regge bene e, quando la palla passa proprio nei secondi finali, arriva lo spettacolare intervento di Claudio “Ghisa” Cattarin che chiude la saracinesca agli avversari.

Roma - Forlì Cesena 2-2 Una vittoria potrebbe voler dire “qualificazione alla semifinale” per cui la gara inizia con una netta supremazia dei nostri che, grazie alla solita serpentina di Alessio Paulizzi, si trovano subito in vantaggio: per Marco Dosa si tratta solo di spingere il pallone dentro una porta sguarnita. Nel secondo tempo, complici dormite difensive, Roma subisce un incredibile uno/due; risultato ribaltato e adesso i nostri si ritrovano ad inseguire. Roma non si perde d’animo e, dopo un’azione

tambureggiante, conquista un calcio di rigore, che il solito Dosa trasforma per il risultato definitivo di parità.

Roma - Catanzaro 3-2 Nella terza gara si affronta un Catanzaro ormai fuori dalla competizione (due sconfitte negli incontri precedenti), ma non per questo in vena di regali. Il mister opta per il turn over ed i ragazzi non lo deludono. Viene subito imposto il gioco e già nel primo tempo il discorso sembra chiuso: 3-1 con tripletta di Dosa. Nel secondo tempo la squadra si rilassa, subisce un’altra rete ma, seppur con qualche difficoltà, riesce a mantenere il risultato invariato. Roma passa il turno: è in semifinale!

Roma - Napoli 6-5 dcr (1-1) La semifinale si disputa sul manto erboso dello stadio Rigamonti di Brescia, contro la compagine dei giovanissimi Ingegneri di Napoli, i favoriti del torneo. Dopo un solo giorno di riposo (quarta partita in cinque giorni), la stanchezza inizia a farsi sentire, ma la carica di adrenalina stimolata dal giocare in uno stadio di serie A compensa qualsiasi sforzo o fatica. La partita è tiratissima, la squadra di Napoli annovera nelle sue fila ex Primavera del Napoli e parte fortissimo; la compagine Capitolina resiste ai colpi compatta, ma subisce un goal al 20’ su un’azione in velocità. Grazie al gioco di squadra e alla solidità dei reparti, Roma macina gioco e, allo scadere del primo tempo, pareggia con una bellissima azione sulla fascia; cross del solito Alessio Paulizzi e tap-in di Giampiero Naldini, su velo di Dosa, che insacca l’1-1! Nel secondo tempo e nei successivi tempi supplementari, Roma domina la partita e Napoli è in grande difficoltà, ma il risultato non si sblocca. Si va alla lotteria dei rigori; la tensione è altissima e la squadra si stringe compatta, incitando i suoi rigoristi. La prodezza di Claudione Cattarin, che para un rigore angolato, e la precisione dal dischetto sono decisive; con l’ultimo rigore segnato da Christian Rosati, esplode la gioia: Roma è in finale!

Roma - Ancona 0-2 È il giorno della finale, che si disputa contro la sorpresa Ancona, che ha eliminato i padroni di casa bresciani. Ancora lo stadio Rigamonti accoglie le due squadre finaliste, che vogliono scrivere per la prima volta il nome della propria rappresentativa nell’albo d’oro della manifestazione. Ancona è una squadra molto ben organizzata e compatta, senza punti deboli.

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roma Nessuna delle due squadre si rende veramente pericolosa con occasioni da goal; la partita si gioca a metà campo con continui rovesciamenti di fronte. A 20’ dal termine, Ancona passa in vantaggio con il suo elemento migliore, che insacca un cross; l’azione è viziata da irregolarità non ravvisate dalla terna arbitrale. Mister Cappioli tenta il tutto per tutto con i cambi, ma la squadra di Ancona è ben organizzata e resiste agli assalti romani. Allo scadere della partita arriva il secondo goal di Ancona, che sancisce la fine delle speranze per Roma. Per Ancona ci sono gli applausi meritati di Roma, che sono ricambiati in un clima di sportività durante la premiazione.

Conclusioni L’ordine è un importante punto di riferimento e di aggregazione e, come tale, ha anche il com-

pito di promuovere iniziative di socializzazione come lo sport. Il secondo posto è un risultato davvero eccellente, mai raggiunto dall’Ordine degli ingegneri di Roma; sulla base di questa positivissima esperienza bisogna ripartire per mantenere e, magari, migliorare i risultati fin qui ottenuti. Ringraziamo il nostro primo tifoso, il Presidente dell’Ordine ing. Carla Cappiello, che si è impegnata a dare il suo sostegno a questo progetto dall’inizio alla fine, quando si è calata nei panni di vero capo ultras sugli spalti dello stadio Rigamonti di Brescia. Grazie a tutto il Consiglio per la presenza fisica ed il sostegno a 360°; grazie ai Consiglieri Giorgio Mancurti e Lorenzo Quaresima che hanno rappresentato degnamente l’Ordine e la squadra. Grazie allo staff tecnico ed ai giocatori per la professionalità e l’impegno profuso. Appuntamento a Caserta 2014!

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www.legislazionetecnica.it - ltshop.legislazionetecnica.it facebook.com/legislazionetecnica

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roma STUDIO MORENO MAGGI PHOTOGRAPHER Architettural and Fine-art Photography

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Quando alcuni mesi fa l’ Ing. Marinuzzi mi propose di collaborare al progetto della Vostra nuova rivista dell’ Ordine - chiedendomi di mettere a disposizione alcune immagini del mio archivio di Architettura per illustrare Vostri articoli specifici - fui molto onorato e accettai senza indugio. Quando in seguito Tiziana Primavera, architetto e docente di materie inerenti le Scienze della Rappresentazione, presso università pubbliche (La Sapienza) e private, propose ed impostò addirittura la copertina delle due riviste, fui anche piacevolmente sorpreso. Una minima presentazione del mio lavoro mi sembra quindi quantomeno doverosa in virtù della fiducia accordatami. Come fotografo di architettura e interni da più di venticinque anni, collaborò con alcuni dei più noti studi di architettura e interni: Massimiliano Fuksas, Renzo Piano, Zaha Hadid, Studio ABDR, Paolo Portoghesi -per citarne solo alcuni - fotografando i loro progetti costruiti in Italia e all’ estero. La mia avventura con la fotografia di architettura inizia a New York, dove ho vissuto e lavorato per circa 10 anni iniziando come assistente per grandi fotografi di architettura come Paul Warchol, elliot Fine and James, D’ Addio. Nel 1995 il ritorno in Italia e la scelta di Roma come base mantenendo comunque studio e contatti anche a New York. Da allora, oltre alle collaborazioni di cui sopra, le mie immagini sono state pubblicate sulle più note riviste di architettura: Casabella, Domus, Area, D’ Architettura, The Plan in Italia, Architectural Record in Usa, Taschen e Architektural and Bau Forum, in Germania e Austria e molti altri anche in Asia. Oltre ad essere regolarmente pubblicate sui più diffusi portali web di architettura tra cui europaconcorsi e Archilovers. Sovente vengo invitato da Università italiane ed estere a disquisire su architettura e fotografia o sui nuovi linguaggi che la tecnologia digitale oggi consente. Inoltre seguo spesso le fasi di cantiere. Ho seguito tra gli altri la costruzione dell’ Auditorium di Roma e del Vulcano Buono di Nola per lo Studio Piano, della Stazione Tiburtina di Roma, dell’ Auditorium di Firenze e delle stazioni della metropolitana B1 di Roma per lo Studio ABDR. Per lo Studio Fuksas – oltre a vari cantieri all’ estero – sto seguendo la costruzione del Nuovo Centro Congressi ‘’La Nuvola’’ all’ eur. Penso quindi che – più di tutto – siano state queste immagini che abbiano convinto l’ Ing Marinuzzi della bontà del mio lavoro che ben si presta ad illustrare i Vs. articoli mostrando fasi in cui ‘’ l’ Ingegneria’’ è ancora visibile e appare in tutta la sua forza strutturale e dinamica nel progetto. Per un fotografo, documentare anche questo aspetto rappresenta un grande stimolo e una grande opportunità: come memoria storica per chi dovrà poi studiarli per magari affinare la sua tecnica e come documento per divulgare adeguatamente la vostra professione. Mi auguro vivamente che questa occasione non rimanga isolata, ma segni l’ inizio di un processo di revisione critica – già iniziato in Architettura – che serva a sensibilizzare gli iscritti al vostro Ordine sulle potenzialità offerte dalla fotografia come unico mezzo per divulgare, sensibilizzare e - più di tutto - fare sì che il vostro contributo sia apprezzato e ricordato. Il nostro Studio di Roma è a Vs. disposizione per tutte le vostre necessita. Non esitate a contattarci. Vi invitiamo inoltre a visitare il nostro nuovo web-site per maggiori informazioni. Roma: Via Francesco Milizia, 1 - 00196 Tel./Fax 06.32.33.099 Port. 347.81.55.451 New York: 100 Hudson Street Suite n° 7/A N.Y. 10013 Tel./Fax 212.96.68.612 e-mail: morenomaggi@tin.it www.morenomaggi.com Professionista operante in attività non soggetta a registrazione a ordini o collegi ai sensi della legge 4/2013


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ORDINE DEGLI INGEGNERI DELLA PROVINCIA DI ROMA Via Vittorio Emanuele Orlando, 83 - 00185 - Roma

roma

Tel. 06.487.93.11 - Fax: 06.487.931.223 Cod.Fisc. 80201950583 Orari di apertura al pubblico degli uffici Lunedì 09:30-12:30 14:30-17:30 Martedì 09:30-12:30 14:30-17:30 Mercoledì 09:30-12:30 14:30-17:30 Giovedì 09:30-12:30 14:30-17:30 Venerdì 09:30-12:30 chiuso Sabato chiuso La Segreteria dell’Ordine chiude alle 16.00

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AReA INDUSTRIALe http:/rivista.ording.roma.it/industriale

AReA DeLL’INFORMAZIONe http:/rivista.ording.roma.it/informazione

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