Orgia Intellettuale | Numero 16 | aprile - maggio 2018

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APRILE -MAGGIO 2018

Numero 16

A PAGINA 18 »

A PAGINA 12 »

A PAGINA 26 »

Fantasmi di Arcangelo Massari ex membro di Orgia

Il cope in 3 parole di Stefano Zerbo, vediamo cosa ne pensano i copernicani

La mia inghilterra di Pasquale Laffusa, intervista a Ivan Ambrosio

In-discipline



Editoriale

S

crivo questo editoriale alle ore otto di Domenica 25 febbraio. È un editoriale non programmato, scritto totalmente “di getto”. Questo che state leggendo è un editoriale non voluto, ma ciononostante nato. Sparsi nei miei numerosissimi quaderni ho almeno altri cinque editoriali su temi totalmente diversi e secondo me altrettanto necessari, in mente ne ho altri cento più o meno impegnati ed impegnativi, ma mi sento obbligato dalle circostanze a scrivere questo editoriale, questo in particolare e nessun altro. Scrivo queste parole a sei giorni dal 4 marzo, data fatidica delle elezioni politiche, e le scrivo perché, da profondo appassionato di politica e da diciottenne chiamato alle urne per la prima volta, ho seguito con grande attenzione e con molto interesse queste settimane di campagna elettorale precedenti al voto. Devo però ammettere che ne sono rimasto profondamente turbato e forse addirittura spaventato. Ho potuto assistere, infatti, mio malgrado, più a uno scontro tra barbari urlatori di slogan, colpevoli di infangare una volta di più il nobile ruolo del politico, che ad una campagna elettorale basata su idee solidamente argomentate (un giudizio a mio parere valido per tutti gli schieramenti, con qualche rara eccezione). Alcuni temi non sono qua-

si stati affrontati, altri sono stati “toccati” poco e male, altri ancora sono stati affrontati superficialmente, senza pensare alle persone, ma ai semplici voti. Tutto ciò mi ha però fatto riflettere, le grida di alcuni hanno fatto nascere un pensiero nel mio cervello. Ero indeciso se andare a votare o no, grazie a questa terrificante campagna elettorale ho capito che eserciterò questo mio diritto, ero indeciso se lanciare o meno l’ennesimo appello da queste pagine, e ho deciso che lo farò con questo editoriale. Compagni copernicani, non allontaniamoci dalla politica, anzi, iniziamo a fare politica, perché è l’unico strumento che abbiamo per cambiare veramente questo mondo. Noi studenti dobbiamo interessarci alla politica, partecipare attivamente come cittadini al dibattito intorno alla cosa pubblica e lottare per cambiare ciò che ci circonda. Il presente e il futuro ci appartengono, è quindi fondamentale che da parte nostra ci sia una profonda consapevolezza dell’importanza che ha la politica per l’amministrazione dello Stato. Termino citando le parole di Antonio Gramsci: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza». – FuEl per la redazione


In questo numero Attualità

11 Riflessioni dei sentimenti umani di oggigiorno 12 Descrivimi il cope in tre parole 22 Erano bei tempi, i tempi d’oro Eventi

6 Il Caffè Interviste

26 La mia Inghilterra Altro Riflessioni

14 Selezioni Funny corner

1 7,21 Sudoku 16 Labirinti Caporedattori Albarello Caterina Alsadi Samira Baleotti Nathan Billi Federico Laffusa Pasquale Legnani Elia (FuEl)

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Magri Elia Magri Leonardo Minelli Samuele Principe Francesca Roveri Riccardo Vitti Carlotta

Zanardi Caterina Zerbo Stefano


Cultura e arte Poesie

17 Le nuvole immortali Racconti

8 Matrioska 18 Fantasmi Foto

34 Pasta FICO Altro

4 Il dualismo intrinseco del labirinto 2 30 Suggestioni

Impaginazione/ grafica Riccardo Roveri

Illustrazioni e vignette Federico Billi Illustrazione di copertina Federico Billi

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il caffÈ Eventi nella città di Bologna e dintorni per tutti i Copernicani Eventi | di Stefano Zerbo

THE WALL: questa interessante mostra si terrà a Palazzo Belloni (Via Barberia 19, Bologna, Quartiere Saragozza) e rappresenta un percorso espositivo che racconta il “concetto di muro”. Ma qual’è il “concetto di muro”? Il muro può essere visto come un simbolo dell’incomunicabilità tra civiltà e persone, ma vi sono molteplici punti di vista. In questa mostra si parlerà di muro psciologico, politico, pubblico, funzionale, artistico, espressivo e della memoria. La mostrà sarà disponibile fino al 6 maggio 2018, e all’interno i visitatori vi potranno trovare installazioni interattive e opere d’arte a tema. Fra le opere presenti, spiccano i nomi di imporanti artisti come Arnaldo Pomodoro, Piranesi, Fontana, Christo, Hitomi Sato e addirittura i Pink Floyd. MUSEO DEL TESSUTO E DELLA TAPEZZERIA: questo museo fondato nel 1946 da Vittorio Zironi presenta un patrimonio collezionistico che documenta la produzione tessile dal IV secolo al Nove-

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cento. Insomma un’ importante mostra che figura numerose produzioni tessili del panorama italiano ed estero, del patrimonio ricchissimo del museo che è costituito da oltre 6000 oggetti. Il museo è collocato a Villa Spada (Via di Casaglia 3, Bologna) e la mostra sarà disponibile fino al 31 dicembre 2018. I visitatori potranno osservare questo patrimonio tessile in oltre 20 sale della villa. “MAGI’900: le nuove sculture permanenti”: continua ad espandersi e a farsi notare il progetto Magi’900, il grande spazio privato che presto non sarà un semplice museo, ma un vero e proprio quartiere dell’arte. I visitatori di questa mostra potranno anche assistere il progetto all’aria aperta a partire da maggio, in un grande spazio verde dove figureranno le sculture di artisti come Ivo Sassi, Simon Ragazzi, Nicola Zamboni e Sergio Zanni. La mostra si terrà al Museo Magi ‘900, a Pieve di Cento (BO) (Via Rusticana 42), fino al 17 maggio 2018.


SPETTACOLI DELL’ARENA DEL SOLE: continua alla grande la stagione di ERT all’Arena del Sole di Bologna (Via dell’Indipendenza 44), con nuovi ed interessanti spettacoli. Il 10 marzo andrà in scena lo spettacolo “A fury tale” con la regia e la coreografia di Cristiana Morganti, mentre dal 13 al 18 marzo ci sarà la rappresentazione del famoso racconto di Umberto Eco “Il nome della rosa” con la versione teatrale di Stefano Massini e la regia di Leo Muscato. Dal 16 al 18 marzo andrà in scena “Malvagio” con la regia di Roberto Marinelli e Michele Segreto, e dal 17 al 30 marzo ci sarà lo spettacolo “Il giardino dei ciliegi”. La tragedia shakespeariana “Otello” sarà presente con la regia di Elio De Capitani e Lisa Ferlazzo Natoli dal 22 al 25 marzo, mentre lo spettacolo “Il sindaco del Rione Sanità”andrà in scena dal 27 al 30 marzo. Dal 5 all’8 aprile sarà presente la tragedia sofoclea “Antigone” con la regia di Federico Tiezzi (nella sala Leo de Bernardinis), e nelle stesse date ci sarà lo spettacolo “Amleto take away” di e con Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari (nella sala Thierry Salmon). Per concludere, lo spettacolo “Il cielo in una stanza” avrà luogo l’11 aprile, con la regia di Emanuele Valenti, poi “Le avventure di numero primo” (di e con Marco Paolini) ci sarà dal 12 al 15 aprile. Maggiori informazioni sugli spettacoli le trovate nel sito bologna.emiliaromagnateatro.com/. ANDREA PUCCI-IN...Tolleranza Zero: il comico milanese, veterano di Colorado Cafè, si esibirà con il suo nuovo spettacolo al Teatro delle Celebrazioni (Via Saragozza 234, 40135 Bologna), venerdì 6 aprile e sabato 7 aprile. Pucci, attraverso sketch comici ed

esilaranti, ci racconta la vita di un cinquantenne che deve con fatica abituarsi alle nuove mode e alle nuove tecnologie, e che deve raccontare le proprie esperienze personali che lo “tormentano” da sempre. Uno spettacolo divertente per tutti che è consigliato a chi ama i monologhi e l’attuale comicità italiana. A CASA DI LUCIO...NELLA CITTA’ DELLA MUSICA: per il sesto anniversario della scomparsa del musicista e cantautore bolognese e per la ricorrenza della sua data di nascita, ovvero il 4 marzo, la casa di Lucio Dalla in via D’Azeglio sarà aperta al pubblico con un calendario di visite guidate, dove le guide accompagneranno i visitatori nelle varie stanze della casa. Per maggiori informazioni consultare il sito www.acasadilucio.it, anche per comprendere il calendario definito delle visite. Il tutto si concluderà il 31 marzo perciò affrettatevi!!! BOLOGNA FOTOGRAFATA-TRE SECOLI DI SGUARDI: quest’interessante mostra sarà allestita dalla Cineteca di Bologna nel Sottopasso di Piazza Re Enzo, proprio nel centro di Bologna. Per chi ama la fotografia e la cultura bolognese questa mostra offre la visione di centinaia di fotografia per ripercorrere la storia di Bologna e della sua gente. Si comincia dalle antiche foto dell’Ottocento per poi arrivare alle foto del nuovo millennio e di oggigiorno. La città di Bologna è molto legata all’arte della fotografia, e in questa mostra saranno presenti le fotografia di artisti importanti come Enrico Pasquali, Aldo Ferrari e Nino Comaschi. La mostra si concluderà il 2 aprile, quindi se siete interessati davvero approfittatene!

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MATRIOSKA Subtitle Racconti | di Samira Al Sadi

25 marzo 2017 Denuncio a te un fastidio, mio caro amico. Un mio fastidio. Non ne comprendo la causa o la provenienza, ma lo percepisco. Non mi è possibile interpretarlo, identificarlo o analizzarlo; non è dotato di colore o forma, è insapore e inconsistente, ma per qualche ragione, per un motivo a me ignoto, lo percepisco. Come è possibile percepire ciò che non si riesce ad individuare, a descrivere? Questo l’interrogativo che mi dà da pensare qui, seduto al mio piccolo tavolo di legno di fronte alla finestra, mentre ne osservo le nervature. Penso a questo e penso a te, il mio destinatario, il mio passato, me. 26 marzo 2017 Una nebbia tiepida sembra stagliarsi sulla città questa mattina, mio caro amico, e seppur leggera è come se penetrasse attraverso il muro, direttamente dentro di me, impotente, e si posizionasse proprio sotto lo sterno, senza muoversi, statica ma presente. Questo è ciò che sento, io, confuso, obbligato ad avere a che fare con questi sentimenti mutabili e ineffabili, disorientanti e traditori della mia razionalità.

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Mio caro destinatario, uomo che più mi conosce fra tutti e che io conosco più di tutti, ora come ora sembra sciocco chiedersi perché abbia scelto di scriverti. Con chi avrei mai potuto comunicare, se non con te? Tu, l’unico nella mia vita da tempo, mio convivente, a me legato in tutto e per tutto. In questo giorno primaverile sento il bisogno di affermare che qualcosa è cambiato. Sono inquieto. 28 marzo 2017 L’uomo cambia e si irrigidisce, mio caro amico. Si convince delle cause, talvolta errate, dietro al proprio cambiamento. Ma così, deciso e consolato dalle proprie certezze, si mostra cieco di fronte alle altre possibilità, spaventato. Ti ho parlato di un “qualcosa” che deve essere entrato a far parte di me, obbligatoriamente, un fattore esterno che mi ha mutato. Ma stupido, accecato dalla mia stessa mente, non ho preso in considerazione alcun’altra possibilità. Ora mi accorgo, finalmente, che stavo agendo nella maniera sbagliata. Stavo facendo un torto alla mia intelligenza. Il motivo per cui non riuscivo ad individuare “qualcosa” in alcun


modo, è perché mi è stato sottratto. Qualcosa mi ha lasciato, amico mio, qualcosa che faceva parte di me. 29 marzo 2017 L’inchiostro scuro scorre sul foglio. Oggi, in penombra, mentre infreddolito i miei occhi si poggiano sulle nubi grigie dietro la finestra, mi ricordo dei pomeriggi luminosi di metà agosto. Sdraiato sull’erba il calore del sole è piacevole e inalo i colori intorno a me. Sento la sensazione della terra fra le dita e la mano di lei che, seduta ai piedi di un faggio, mi sfiora. Mi aggrappo all’ombra di quel faggio, così splendente rispetto all’oscurità che giunge dalle pareti della mia stanza. Tengo strette le memorie del mio grande amore, dell’affetto, della passione. Mio destinatario, l’uomo che ero un tempo ormai è distante. Ciò che mi apparteneva è scomparso, tanto che sono costretto, come un miserabile, a ricercare i momenti intrisi nella memoria e riviverli nella speranza di poterli ritrovare. Questo è ciò che è rimasto in me, ciò che è rimasto di me, che so che non mi ha ancora abbandonato, mio caro amico. 31 marzo 2017 7 maggio 1992. John Frusciante, chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, esce dal gruppo. La band diventa un trio, privata del proprio componente. Ma questi ormai è scappato. Alla ricerca di cosa? Di ciò che gli appartiene o che crede gli appartenga, mio caro amico: la pace, la droga. E la solitudine e le voci che lo tormentano e il silenzio che lo opprime. Alla ricerca di cosa? Di ciò che gli appartiene o che crede gli appartenga. Respirare e sopravvivere. Una vita scandita dalla droga e dai modi in cui procurarsela. Un ciclo di ricerca e consumo. Un circolo vizioso, un’esistenza misera. Ma al contrario, i pensieri di John Frusciante sono tanti, e affollati. Caos ovunque, senza speranza di respirare in quel mare tempestoso di sofferenza. Un ciclo di dolore e autocommiserazione. Ha bisogno di ordine. Pulizia. Selezione mentale fra ciò per cui vale la pena soffrire, e ciò per cui vale la pena vivere. E poi la luce. Tutt’a un tratto decide di sgombrare la mente, disintossicarsi. Il rinato, scampato al baratro, porta con sé

incubi e li custodisce come fossero tesori. Ha sepolto la confusione della sua testa turbinosa, dannosa per la sua integrità, scoprendo di poter ora pensare lucidamente. Si ritrova faccia a faccia con un nuovo sé, libero. Vuoto. La vacuità è a lui sconosciuta e in un certo senso la consapevolezza di non dipendere più da nulla lo mette a disagio. Lo spaventa. Lo fa sentire vuoto. Ha disimparato a provare sensazioni che non fossero dannose. John Frusciante, che ha fatto di sé niente altro che un nemico, il peggiore in assoluto, non è riuscito a trovare ciò che gli appartiene, ma non gli interessa. Ha toccato il fondo, e ora torna a galla con la consapevolezza di ciò che non gli appartiene. La confusione, la desolazione, il disordine non sono per lui. Giunge al traguardo chiudendo il cerchio, ritornando al suo vecchio sé, rinnovato, vivo, sano. 1 aprile 2017 Le parole a cui ti sottopongo rendono queste lettere discontinue, deliranti, ma è inevitabile: quella che sto compiendo è un’analisi dell’incomprensibile macchina che è il mio cervello. Testimonio i fenomeni che accadono proprio come un medico che studia i sintomi di una patologia. Mi osservo allo specchio ma non sono io. I lineamenti sono identici, la carnagione e la statura uguali, eppure anche i miei occhi denunciano un’anomalia: è questa paragonabile alla condizione che colpì John Frusciante? Sei anni di oscurità gli donarono cicatrici sulla pelle e plasmarono la sua fisionomia. Io invece, mio caro amico, convivo con una sensazione, un presentimento senza ragioni reali. Forse sono malato, affetto da una sindrome che mi rende irriconoscibile, che poco a poco mi prosciuga di tutto ciò che possiedo. Sono lo stesso ma non sono io. E io chi sono? 2 aprile 2017 Dalla finestra socchiusa si diffonde l’odore di pioggia. Scura e pesante, grava sul suolo grigiastro, mentre mi torna alla mente la corsa per ripararsi dalle gocce un lontano pomeriggio di luglio: la pioggia è speciale quando la si contempla dall’esterno, sicuri di non bagnarsi, mio caro amico.

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4 aprile 2017 Un acquazzone di pensieri mi offusca la vista. Il liquido ristagna al livello dello stomaco e diventa melmoso. I miei occhi sono stanchi. Li chiudo. Cerco di identificare qualcosa in quell’agglomerato ma è ormai troppo denso. Risiedo nel mio stesso caos, caos di cui non sono il protagonista, bensì un’ombra indistinguibile. È questo vivere, mio caro amico? Chiudere gli occhi e cercare di interpretarsi? La mia vista non è efficiente ma non posso scappare ai miei pensieri. Fosse il mio cervello cieco, non risulterei una vittima di me stesso, ridicolo e passivo. Fosse il mio cervello cieco, non mi starei scavando dentro in modo tale, corrodendomi sempre più in profondità. I miei gusci, le mie protezioni sono destinate a terminare, ed io, matrioska sventrata, potrei non riuscire più a ricompormi. 7 aprile 2017 Alla ricerca di ciò che ho perso, ho trovato desolazione, mio caro amico. La mia è una condanna. La solitudine è la mia sorte. Ridicolizzata, la mia mente razionale è costretta a prostrarsi, inginocchiarsi miseramente di fronte a questa opzione. Contro ogni mia analisi scientifica, accetto quanto di più irragionevole possa esistere: il destino sventurato mi deride e sono impotente. Io, solo, da chi posso essere compatito, compreso e sal-

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vato se non da me stesso? Chi oltre me ha la facoltà di riportarmi a uno stato di non sospensione, a uno stato che percepirei come normale? L’unica speranza è racchiusa nel mio passato: cosa ne è stato dell’uomo che ero un tempo? L’uomo entusiasta, affettuoso, innamorato? L’uomo vivo? Mi rendo conto ora che non importa chi io sia, ma ciò che non sono più. La cura per la mia malattia risiede in me, in te: in colui che ho perduto, colui che ero. 9 aprile 2017 Mio caro destinatario, perdonami per queste parole che tutto sono tranne che chiare. Non mi sono mai soffermato sul reale motivo per cui ti scrivo: mi sono dedicato ai miei strani flussi di pensieri, quasi dimenticandomi del ruolo fondamentale che copri in questa mia forsennata scrittura. Tu rappresenti il mio traguardo, la chiusura del cerchio, la mia salvezza: una matrioska intatta prima di essere sventrata. Tu sei colui che ho perduto, l’uomo del passato, entusiasta, affettuoso, innamorato. Sei la chiave, la mia unica speranza. Ambisco ad essere di nuovo come un tempo, una matrioska ricomposta dopo lo sventramento. Ti chiedo aiuto, mio caro amico: grazie a te, al tuo ritorno, cura per la mia sindrome, potrei scoprirmi rinato, potrei tornare al vecchio me, rinnovato, vivo, sano.


RIFLESSIONI DEI SENTIMENTI UMANI DI OGGIGIORNO di Nicola Lemmo, istituto “Crescenzi-Pacinotti” Attualità | a cura di Stefano Zerbo

Capire cosa prova una persona è a mio parere impossibile. Gli umani sono esseri troppo complicati per essere compresi, ci sono troppe variabili e sfaccettature di cui bisogna tener conto. Esattamente come è estremamente difficile prevedere la reazione di qualcuno, il comportamento in una determinata situazione, le emozioni che si scaturiscono involontariamente in un umano o anche solo in un pensiero fugace; altrettanto difficile è capire noi stessi. Parlando delle mie esperienze, spesso, se non sempre, mi ritrovo a far partire interminabili flussi di pensieri, immaginazioni, sentimenti e memorie per poi riuscire a collegare tutto con una logica che funziona per me, ma se ascoltata farebbe impazzire chiunque altro. Doversi barcamenare in un mondo dove una massa di imbecilli sottocomunica con un’altra massa di imbecilli usando un linguaggio del tutto loro e, purtroppo, ormai “riconosciuto” ed accettato dalla società (parlo di “espressioni” come TVB, LOL, XD, etc…) è alquanto allarmante. Poi sì, quei

termini li uso anch’io quasi quotidianamente, ma se questo è il nostro unico metodo di conversazione siamo veramente caduti in basso. E non è colpa di nessuno, eccetto noi stessi: internet, le nuove generazioni, gli smartphone e le mille altre cose sono solo mezzi da noi usati per amplificare la nostra stupidità e il mediocre livello di pensiero che accomuna buona parte dell’umanità. Eppure sì, le eccezioni esistono e basterebbe poco per rendere quelle eccezioni regola; però siamo troppo pigri e presuntuosi per anche solo credere possibile il formulare di questo pensiero. In fondo all’uomo basta avere tutto comodo e vicino per fregarsene altamente di tutto ciò che fa, dice, pensa o gli accade anche solo intorno. Il problema più grande, dal mio punto di vista è che anche queste parole verranno ignorate e cancellate quando domani mi alzerò e farò uguale a prima, perché siamo “programmati” così. Le persone non cambiano, siamo ciò che siamo.

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DESCRIVIMI IL COPE IN 3 PAROLE Attualità | di Stefano Zerbo Ho chiesto ad alcuni copernicani di dirmi che cos’era per loro il Liceo Niccolò Copernico in sole 3 parole. Alcuni hanno deciso di mantenere l’anonimato, l’importante credo sia il messaggio che ciascuno degli intervistati ha voluto trasmettere facendo questa breve descrizione della scuola. La redazione ringrazia tutti gli intervistati e tutti coloro che hanno dato un contributo alla realizzazione di questo articolo. LEGGI, PENSA, PARTECIPA... Laura Gnudi | 4°L : stress, ansia, balotte. Samira Al Sadi | 5°A : tranquillo, misto, inclusivo. Martina Perdisa | 5°A : integrazione, perdita d’interesse, dispersivo. Matteo bianchi | 5°A : individualista, quadrato, piatto. Enrico Baccilieri | 5°F : problemi da risolvere. Stefano Zerbo | 4°L : un punto interrogativo. Luca Campagna | 4°B : superficialità, ignavia, casa. Pasquale Laffusa | 5°A : città, caffè, cultura. Francesco Trotta | 5°F : impegnativo (relativamente al piano didattico), sereno (dal punto di vista delle relazioni interpersonali), decadente (per come oggigiorno è vista l’istituzione scolastica da parte di studenti sempre meno interessati all’apprendimen-

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to scolastico).

Munir Abdel Karim | 1°C : centro (il cope è centro di cultura, è il sole della teoria eliocentrica di Copernico stesso), Unicollettivo (tutti contribuiamo, che sia piccolo o grande il contributo, il risultato è unico), COPErazione (e COPErattiva). Elia Legnani | 5°A : potenziale spesso inespresso. Giuseppe Grande | 2°B : una scuola multietnica. Elettra Maini | 4°A : caotico, rosso, amichevole. Eleonora Magrelli | 4°L : novità, incognita, incontro. Giulio Tugnoli | 4°C : bianco, da rifare. C.D.S. | 3°N : collaborazione, cultura, rispetto. Dragos Stamati | 5°A : formativo, dialogo, diligente. V : vario, vissuto, vistoso. Anonimo : impegno, amicizia, opportunità. Anonimo : caotico, piovoso, laterizio. Anonimo : palestra, trash, ponte. Anonimo veneziano : una grande delusione. Anonimo : famiglia, studio, ponte. Anonimo : studio, collaborazione, topi. Anonimo : m***a, schifo, morte.

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Selezioni ovvero la forza del dubbio Riflessioni | di Goretta Loggi La breve riflessione che segue prende spunto da un’esperienza da me vissuta non molto tempo fa. Essa è legata strettamente al mio passato e al mio futuro, ed è stata vissuta da molte altre persone, alcune delle quali a me molto vicine. Forse questo tipo di avvenimento non vi ha mai toccato prima d’ora, ma è probabile che lo faccia, presto o tardi, ed è per questo- oltre che per condividere qualche mio disarticolato pensiero-che ho deciso di raccontarlo. Una sedicenne dall’aspetto piuttosto comune è sull’orlo delle lacrime dinanzi a tre sconosciuti.La scena si svolge in una stanza stretta e dal tetto spiovente, i muri tinteggiati di giallo acceso. La fontana, per inciso, sono io, e le mie lacrime non sono dovute né’ a tristezza né’ a gioia: sono lacrime di semplice, incontenibile sorpresa. Ma facciamo un passo indietro, perché c’è bisogno di qualche premessa per poter decifrare la strana situazione. Mi sono sempre considerata una persona dotata di una certa coscienza di sé. Fin da quando mi è stato possibile interiorizzare significato della sillaba “io” ho ritenuto naturale porre a me stessa tutta una serie di domande sulla mia identità, la mia storia, i miei desideri. “Chi sono io?”, “Dove vado?”, “Perché voglio andarci?” e altri tipici quesiti tirati fuori dal Repertorio

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Universale dei Dubbi Esistenziali sono stati per anni il mio pane quotidiano. C’è chi vede in questo una grande maturità, altri pensano denoti un certo egocentrismo; sta di fatto che arrivata alla veneranda età di sedici-quasi-diciassette anni pensavo di essere in grado di delineare, per quanto sfocato, un profilo di quella che sono e di quello che voglio. Fin quando un bel giorno di Gennaio non mi sono ritrovata a sostenere un complicato processo di selezione insieme ad altre 49 simpatiche persone che non avevo mai visto prima, ma che condividevano con me obiettivi e ideali. Non mi dilungherò molto circa alla natura di queste prove, se non per dire che, come spesso accade con le selezioni, esse prevedevano un’infinità di domande, molta ansia e la sensazione frequente di essere un’idiota.


Fin dall’inizio ho potuto accorgermi di quanto queste domande fossero complesse: non tanto per una difficoltà di contenuto, legata all’ignoranza di un certo argomento, ma per il modo in cui venivano poste. Per farvi un esempio: non mi si chiedeva se il cavallo bianco di Napoleone fosse bianco, ma se, secondo me, fosse giusto che il cavallo avesse quel particolare colore. Ora, già solo per questa diverso approccio le risposte richiedevano una certa capacità di analisi e organizzazione dei pensieri. Ma quello che faceva veramente la differenza era come chi ti poneva la domanda ascoltava la tua risposta. Non bisogna dimenticare che si trattava di una sorta di indagine sulla mia persona: volevano sapere il più possibile su chi si trovavano davanti e, come in un interrogatorio, tutto ciò che dicevo avrebbe potuto essere usato contro di me. Per assurdo, nonostante l’angoscia di commettere errori, io mi sono sentita stranamente ascoltata. Si tenga conto che io non vivo tra persone che mi ignorano, anzi; eppure, forse per via dell’unicità delle parole che pronunciavo, della loro irreversibilità, ecco che per la prima volta sentivo con tanta chiarezza lo sguardo dell’altro su di me, la sua attesa. Non dovevo far altro che parlare, e avrei mostrato che cosa ero. Torniamo dunque alla stanza gialla con il tetto spiovente. Ho detto che spesso mi ero fatta, prima di quel momento e spesso in relazione a quel momento, domande su me stessa. Ho anche detto, però, che mai come davanti a una dozzina di questuanti selezionatori mi ero sentita ascoltata. Infatti, anche quando io stessa mi ponevo quelle domande, non devo aver prestato molta attenzione alle risposte: mi sarei altrimenti accorta di quanto queste fossero confuse e lacunose. Questo mio mal chiarito modo di esistere è spuntato fuori in quella fatidica stanza gialla, quando l’uomo incaricato di

capire chi fossi - un bonario signore sulla sessantina - mi ha chiesto, candidamente, se davvero volessi risultare idonea al buffo esame a cui mi stavano sottoponendo. In sostanza, se davvero volessi passare quelle selezioni. Potrebbe, in effetti, sembrare una domanda ovvia. Si presume infatti che una persona nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali sia in grado di capire se voglia davvero fare quello che sta facendo. Non così per la sottoscritta: avevo saputo evocare mille ragioni per tentare quella prova, ma nessuna veramente valida per desiderare di superarla. Ma in quel momento mi trovavo in quella piccola stanza, e tre paia di occhi non aspettavano altro che una mia replica. La mole della questione si è palesata davanti a me in tutta la sua gravità. Da qualche parte, nel mio cervello frastornato, un predicatore gridava che la fine era vicina, mia nonna mi rimproverare di non fare mai le cose per tempo e un criceto sull’orlo di una crisi di nervi girava forsennatamente sulla sua ruota nel tentativo di formulare una risposta. Fortunatamente, il briciolo di raziocinio che mi rimaneva propose di giocare la carta dell’onestà. Perduto per perduto… “Credo di sì”, ho balbettato. Inutile dire che questa prudente affermazione ha fatto sollevare qualche sopracciglio. Certamente, non vi consiglio di usare la mia tecnica ad un colloquio di lavoro. Eppure, nel mio caso, la piaggeria o il bluff sarebbero serviti a ben poco, e penso che alla fine la mia sincerità sia stata una buona idea. In quel momento però fu soprattutto un’idea inaspettata: ormai disarmata, senza più un’armatura di preconcetti a proteggermi, mi aprii ai tre sconosciuti e raccontai loro dei confusi sentimenti che mi animavano. Un’azione, questa, che il criceto sulla ruota proprio non si era immaginato. Da cui, le mie lacrime di sorpresa.

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rappresenta in se stesso una forma di deAd ogni modo, questa esperienza mi cisione: decido lasciare che la mia volonha fatto capire due cose: la prima è che la tà fluisca, che il mio pensiero si rimodelli; nostra volontà non è ferrea ed immuta- ciò che voglio, e di conseguenza ciò che bile, ma è fluida come l’acqua: si adatta al sono, non è una manciata di concetti rinmutevole contorno del nostro vissuto. chiusa tra quattro pareti. Qualcuno ha La seconda è che anche il dubbio, nel-sigma dettomaze “Chi dubita sa, e sa più che si possa”. 25 by 20 la sua perenne condizione di passaggio, Forse aveva ragione.

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squarci di un viaggiatore del cielo tratto da “squarci di un viaggiatore nel cielo� Cultura e Arte >> Poesia | di Samuele Minelli

Le nuvole immortali sono giĂ dissolte; le falene morte bruciano per sentirsi vive.

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fantasmi racconto vincitore premio Massari 2016 Racconti | di Arcangelo Massari

Né a me, né a lei probabilmente era chiaro il perché dopo tanti viaggi a Venezia non fossimo ancora saliti sul Campanile di San Marco. In quell’acuta concentrazione che spesso causa la corsa del treno, guardavo espandersi la laguna al di là del vetro e riflettevo sui miei ricordi. Nonostante l’euforia latente e la dolcezza di quella mano che Margherita non rinunciava a tenere intrecciata alla mia, mentre fissava tra il pollice e le quattro dita chiuse dell’altra un libro mediocre, mi attiravano pensieri desolanti. Non c’era un luogo, una circostanza che mi sovvenisse senza un lontano ma indubitabile sfondo di tristezza. La panchina maculata di luci ed ombre sotto i gelsi dei Giardini Papadopoli, le architetture di volumi nella Libreria Acqua Alta e persino quel Campo intimo e appartato di cui ho smarrito il nome evocavano frasi risentite, occhiate sottili come tagli ed i silenzi che ne seguivano. Quel Campo, quel Campo che scoprimmo guidati dalla curiosità per un suono mai udito prima, troppo puro per essere

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quello di una chitarra, ma certamente prodotto da uno strumento a corde. Lo pizzicava un uomo dal fascino disturbante, alto e curato in ogni singolo pelo, sebbene questa virile finezza sembrasse il frutto di un’incuranza totale, naturale, intrinseca come consustanziale era la melodia all’ambiente circostante. Giunti a quella presenza, Margherita perse subito attenzione per le mie parole, così sforzate rispetto a quel miracolo di istintività, e le si schiusero le labbra, mi parve, in un’estasi. Riuscivo ancora a vedermi, ripensandoci, mentre la guardavo come si guardano le tarantole. L’ebbrezza artistica in me suscitata dalla musica veniva a strappi repressa dal furente terrore della gelosia. - Quel giorno al mare stetti bene anche senza di te! Le dissi, credo, alla lettera. Fu uno spasimo materiale per sottrarmi all’insopportabile malessere interiore. Lei non mi diede peso, abituata com’era a quel tipo di accessi. Sospirò lenta dal naso e fece per allontanarsi. Allora mossi anch’io i miei


passi, ma nel verso opposto ai suoi, in direzione del musicante incantato. Gli chiesi quanto costasse uno dei suoi CD e che strumento fosse quello. Era un liuto. Venti euro. Ma quando mi voltai dopo l’acquisto, lei era sparita. No, c’era ancora… Distolsi lo sguardo dal finestrino e lo posai sui bei riflessi viola dei suoi capelli: - Ti amo. Si girò: - Amore… Siamo arrivati? - Manca poco. Non mancava che un attimo. Il treno prese a rigare il silenzio con la sua frenata. - Preso tutto? - Direi di sì. - Dove andiamo adesso? - Intanto usciamo dalla stazione. Lei mi poneva domande banali ed io le rispondevo altrettanto banalmente. Possibile che non ne provasse fastidio? Volli indagare: - Margherita, ma tu a cosa pensi? - A niente, perché? Il mio mento descrisse l’aria a compasso con la scandita rigidità di una lancetta e gli occhi si inserirono di sbieco in quella bocca che aveva detto “niente”. Poi si spalancarono. Un tragico presentimento mi colse, ma non volli dargli retta, non all’inizio di una giornata tanto piacevole. - Così. La nota luminosità del piazzale antistante la stazione affilò bruscamente le palpebre di entrambi. Ed ecco stagliarsi ancora una volta e con rinnovato sorriso l’ovale verderame della cupola di San Simeon Piccolo: costruzione singolare, a cui il Neoclassicismo ha saputo opportunamente conferire l’aspetto di un souvenir, mescolando un Pantheon dimezzato nel corpo inferiore a quell’ovale di copertura tanto buffo per il suo esser tozzo e slanciato insieme, come Ollio. Al solito, aspettammo che qualche ingenuo turista esultasse alla vista del Ponte degli Scalzi scambiandolo per Rialto. Accadde, e ne ridemmo ad occhi strizzati. La malinconia del viaggio si assordò di colpo per il gran frastuono del trapestio e dello sciabordio

veneziano. Sentii le forze del sole risalirmi tutto dalle ginocchia al collo e comunicarmi in ogni tessuto il vigore di una rovere. Trovai il polso destro di Margherita, lo attrassi a me in modo che tutto il corpo di lei si avvolgesse tra le mie braccia e la baciai intensamente. - Ma quanto ci amiamo? Disse alfine. Esternamente, non risposi, ma l’interrogativo mi si riverberò dentro. Un anno addietro, quando si trattò di raccontare ai miei amici come fosse la mia nuova ragazza, dissi loro brevemente: - Avete presente me? Ecco, così. E ne ero convinto. “Così sempre corre il giovane verso la donna: è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d’una certezza d’esserci che solo la donna gli può dare?” Conosco ormai a memoria queste parole di Calvino, che ha voluto cautamente riservarle al solo proprio sesso, chissà se a torto o ragione. Fatto stava, che consapevole ero pago del mio dichiarato narcisismo. Quanto ad amarla, era una conferma continua, ma c’era nella mia convinzione come il freno insignificante tra i nervi di una mano che infila l’ennesima sigaretta, sapendo che non lo deve fare. E quel sottofondo abissale, goccia in una caverna che par di non avere udito, continuava ad attrarre la mia attenzione, per un istante, e poi si obliava. L’amavo io dunque? Sì… E lei? Mi amava? Calvino, sii più chiaro! Essere detentori di pensieri oscuri genera subito una certa illusione di forza, per il senso di autonomia che ne deriva. La verità è, però, che contemporaneamente altri di diversa natura o forse affine attraversano l’anima di chi ci è intorno. A volte, simili puntini d’ombra s’innestano negli occhi di un amante. Egli, a quel punto, comincia a prevalere nella coppia. Finché anche l’altro non capta la medesima luce e la fa propria. Che anche lei avvertisse la mia stessa esitazione? Che fossimo diventati l’un l’altra insinceri? Non potevo crederlo. In fondo, i pensieri sono troppo vaghi, vari e contraddittori perché non contengano

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almeno un barlume del loro contrario. Ma come può l’uomo restar saldo all’intuizione che mai fra lui ed i suoi simili potranno esistere assolute certezze? E come soprattutto può all’idea che ciò sia vero fra lui e la persona che ama? D’Annunzio, invece, era chiarissimo: “Com’è debole e misera l’anima nostra, senza difese contro i risvegli e gli assalti di quanto men nobile e men puro dorme nella oscurità della nostra vita incosciente, nell’abisso inesplorato ove i ciechi sogni nascono dalle cieche sensazioni! Un sogno può avvelenare un’anima; un sol pensiero involontario può corrompere una volontà.”. Un sogno… Ci si sveglia e ci si chiede cosa mai si provi per quella persona. Talvolta il sentimento riemerge, altre, se troppi mali passati lo opprimono, resta schiacciato. Queste ed altre riflessioni erano tutte contenute nell’angolo della bocca soddisfatto che sollevai dopo il bacio. Il capriccio di possedere ancor più appieno quella città grazie alla prospettiva del Campanile ci trovò unanimemente d’accordo sul prendere la via più breve: la turisticissima Calle Lunga, quasi stucchevole ormai per noi che avevamo conosciuto la Venezia nascosta raccontata da Hugo Pratt. Ci scrutammo con complice imbarazzo alla vista del primo cartello ocra “PER S. MARCO” e lo seguimmo pur senza averne bisogno. La Piazza della Basilica sfavillava sulle magliette bianche dei suoi occupanti, sulla pietra d’Istria del Palazzo Ducale e sul piombo della cupola dell’Ascensione, la più alta, per quanto ridicola nella sua ascesa a quel cielo senza neanche una nuvola ad avvicinarlo. Anche la torre, lì accanto, pareva una grossa nanerottola, caratteristica questa che specialmente nelle giornate terse potrebbe essere estesa a tutta Venezia, sviluppatasi prevalentemente in larghezza perché la miglior

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distribuzione del peso si adattasse al terreno sabbioso su cui sorge. Il biglietto per salire costava otto euro. Decisi di comprarlo anche per lei. Già da tempo mi sorprendevo per questa nuova liberalità, quando d’abitudine non avrei aperto il portafoglio nemmeno per me stesso. Qualcosa generava in me il bisogno di spendere denaro e più di quanto sarebbe stato sufficiente, uno stimolo immateriale che chiamava materialità alle sue esigenze. Così salimmo. Le tenevo la mano per non perderla tra la folla che si accodava all’entrata dell’ascensore. Ad un tratto mi si strinse al collo e mi sussurrò con un accento ambiguo, inopportuno: - Adesso vorrei fare l’amore con te. - Ci sono altre cose che adesso vorrei fare con te. Le porte dell’ascensore si socchiudevano e le mie labbra le imitavano. Dimenticai la mano di lei, la stretta si sciolse, altre dita mi venivano tese, una presenza mi traeva e mi occupava confondendosi e fondendomi con la vertigine. Adesso ero adagiato sulla cornice del Campanile, sedotto nell’immaginazione che l’Isola di San Giorgio fosse un occhio aperto e la Giudecca l’altro strizzato, ed io avessi appena conosciuto l’anima di Venezia. Mi resi conto di essere rimasto solo. Mi girai, lei dov’era? Avrebbe dovuto rimanermi accanto. Guardai la finestra adiacente la mia, non la vidi. Forse cercava uno sfondo in particolare sotto un altro arco. Attraversai tutto il perimetro, non la trovai. Forse si era confusa tra la folla davanti al baracchino di souvenir. Permesso, mi scusi. Ne spostai diversi, non era tra loro. Mi pervase allora un male senza nome, si sprigionò dall’interno e andò a sbattere contro la pelle. Lo capii per sempre: se n’era andata.


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Erano bei tempi, i tempi d’oro Attualità | di Caterina Zanardi

Lo si sente ripetere spesso. Serpeggia tra i corridoi, ne scherzi tra i tuoi amici, lo vedi citato nei meme su Instagram, lo confermano in classe perfino i professori. È il pensiero, forse un po’ triste, spesso rassicurante, che la tua generazione sia un po’ meglio di quella che la segue. Quando la scuola è stata tappezzata di volantini di protesta contro i problemi del Copernico, chi gli ha scritti non l’ha fatto bersagliando la presidenza o dando nomi e cognomi di eventuali responsabili. Ha usato un semplice incipit: Quando io ero in prima. Difficilmente questa scelta è stata dettata da un particolare accanimento verso i 2003 (vi si vuole bene, ragazzi) .Cionondimeno, rivela che gli autori hanno individuato, più o meno inconsciamente, le cause dei dissesti dell’istituto nel ricambio generazionale. In sostanza: se il mio liceo peggiora di anno in anno il motivo sarà da ricercarsi in un qualcosa che cambia ogni anno, ovvero gli studenti.

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Si tratta di una convinzione piuttosto diffusa, in realtà. Ma, riflettiamo: il corpo studentesco è formato da gente di prima come da gente di quinta,ed il fatto che questi ultimi- almeno in questo caso particolare - pensino ai primi come elemento peggiorativo per l’ambiente scolastico è sintomo che non li considerano come loro pari, come appartenenti alla medesima categoria, ma come qualcosa di diverso, altro rispetto a loro. Mettiamo le cose in chiaro: gli attriti generazionali sono sempre esistiti. Eppure, ad alcuni di noi ( e non ci si riferisce agli autori di quelcherestadelcope ma più in generale a tutti i suoi studenti) sembra che la scuola andasse meglio qualche anno fa rispetto ad ora. Cosa di cui probabilmente erano convinti anche quelli che sono venuti prima di noi. Come se ci fosse una legge per la quale man mano che si avanza lungo la linea del tempo gli studenti diminuissero in qualità. A meno di accettare che la saggezza umana abbia i tempi di conservazione di una mozzarella fuori dal frigo, è inevitabile vedere in questa convinzione diffusa un pizzico di idealizzazione.


Come per la scena politica o la società, il nostro continuo riferimento ai “tempi d’oro” riflette il senso di impotenza e forse perfino di colpa dinanzi ad una realtà che non ci soddisfa e che non ci rispecchia. Ci sentiamo, nel profondo, responsabili per l’ambiente che abbiamo contribuito a creare. Come? Non facendo nulla. Non contribuendo a preservare oppure a cambiare il determinato contesto in cui ci trovavamo a vivere.Ma davvero c’è una sostanziale differenza tra la vecchia e la nuova generazione, se così possiamo chiamarle? A ben guardare, pare che a differenziare le due sia la mancanza di partecipazione alla vita scolastica. Alla famosa assemblea del 31 Gennaio la presenza è arrivata ai minimi storici. Su 1800 persone se ne sono presentate 600. Nei giorni seguenti,chi di dovere ha tenuto parecchio a sottolineare questo punto. Come molti però hanno fatto giustamente notare, 600 studenti erano a scuola quel giorno, e non provenivano certo

in maggioranza dalle quinte e dalle quarte. “Un’assemblea sull’assemblea” è un titolo che non prospetta un grande svago, eppure, chi per reale interesse e chi di malavoglia, si sono trovati lì. E una volta lì, cosa molto più importante, hanno partecipato. Personalmente, non mi sarei mai immaginata le discussioni e i progetti che ho visto, e tutti i miei pregiudizi sono stati smentiti. I numeri di questa assemblea, per assurdo, non confermano ma smentiscono l’idea che il Copernico sia popolato da ignavi ed indolenti. In realtà, ha mostrato piuttosto chiaramente che una parte, se non maggioritaria perlomeno notevole del corpo studentesco riesca a dare il proprio contributo, se messa nelle condizioni di farlo. Il vero nodo della questione è proprio questo: in che condizioni lo studente partecipa alla vita scolastica?

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Il Dualismo Intrinseco del Labirinto Cultura e Arte | di Leonardo Sanvitale

Ancor prima della sua importanza cometoposletterario è necessaria un’analisi quantitativa e qualitativa del labirinto: un apparato geometricamente equilibrato e razionale, nel quale si è tentato di trasporre, attraverso la materia, l’articolata e complessa psiche umana. Uno studio comparato con la definizione data nel librol’immortaledi J.L. Borges, il quale scrive: “un edificio costruito per confondere gli uomini [...] l’architettura mancava di ogni fine”, ovvero un luogo di confusione e perdita, porta ad una incongruenza, superata se si tiene conto di entrambe le tesi esposte e raggiungendo così: il dualismo razionale-irrazionale. Queste apparenta digressione risulta essere propedeutica alle successive analisi in campo artistico- letterario: oltre l’apparenza confusionaria, nel labirinto è presente una razionalità, che può condurre alla libertà, dunque all’uscita. I simbolisti francesi, pur non essendo i primi, affrontano nel particolare questo tema. Charles Baudelaire inCorrispondenzeusa il termine “foresta di segni”: il reale stesso è labirintico, apparentemente incomprensibile.

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Inoltre, l’ideale esoterico di un interprete dell’universo, capace di uscire dalla “foresta”, pone i Simbolisti su un nuovo piano di comprensione del reale: la capacità di elevarsi e uscire dal labirinto, sinonimo di salvezza. Altro aspetto rilevante viene poi espresso in campo artistico da Esher, nell’operaRelatività.Si ritrova il tema del ribaltamento della realtà, della confusione, del labirinto; tuttavia, tale condizione non porta a sentimenti di terrore o angoscia: i personaggi continuano a compiere le tipiche azioni che caratterizzano il quotidiano, nonostante le coordinate spaziali siano assenti, le quali dovrebbero invece condurre ad uno stato di spaesamento. Rispetto alle coordinate temporali, si prenda il Canto XII dell’Orlando Furioso, poema cavalleresco dello scrittore L. Ariosto: “di vari marmi con sottil lavoro/edificato era il palazzo” apparentemente la struttura è conoscibile, fa parte del contingente, non desta sospetti e non crea allarmismi; però, la narrazione continua: “vi ritrovò ch’andavano alto e basso [...] e vi son molti, a questo inganno presi/ stati la settimana intera e mesi”. Simbolicamente il labirinto è luogo della perdita di


sè, non si ha più coscienza di dove ci si trovi, il tempo al suo interno viene distorto. Allontanadosi nel tempo e concludento questoexcursusletterario: nella letteratura contemporanea, in particolare nei romanzifantasy,è ritrovabile un personaggio che compie un viaggio, attraverso labirinti sia fisici, sia fittizi; quest’ultimi, simboli dell’analisi introspettiva caratteristica del genere. Ciò dimostra anche la grande adattabilità di questo tema a diversi tipi di ambienti epersonaggi. A conclusione, la letteratura stessa è labirintica, è argomento da lei trattato, ma anche a lei intrinseco. Oltre il suo valore simbolico, è motivo di critica anche quello strutturale: il saggio breve è composto da un’ introduzione; un lungo e complesso viaggio attraverso tesi

e antitesi; una sintesi, fase di superamento e conservazione dei due momenti precedenti. Allo stesso modo lavora il labirinto: un’entrata, uncorpusincompresibile all’apparenza, ma razionale nella sua completezza, un’uscita. Questo paragone esplica un altro nodo, che lega il tema del labirinto alla letteratura e all’arte. Tale concetto èsummaultima dell’intera trattazione: tutte queste sfaccettature, espletate anche attraverso le innumervoli citazioni e riferimenti letterari, sono la dimostrazione dell’incomprensibilità e dell’affascinante razionalità che vi sono dietro. La letteratura si prefigge, nella trattare questo tema, di trovare un punto di incontro tra due facce della stessa medaglia.

ipse dixit Prof. ssa Vacca (parlando della Commedia di Dante): “Il Paradiso in fondo è una noia.” Prof. ssa Fertili: “ Steve Jobs è morto perché era un ingrato verso il suo professore di matematica. Non si è neanche laureato. Steve Jobs non ha mai fatto nulla di che.” Prof. Armaroli: “Galilei non ha inventato il telescopio, ha semplicemente fato il ciappinaro smontando e rimontando lenti da un telescopio che gli era stato regalato.” Prof. ssa Gaetani: “Se non inizio gli integrali per il 14 Febbraio mi suicido!” Prof. ssa Gaetani (riferendosi ad una funzione): “Cosa vi ricorda? Come nulla! Questa è Gino il contadino!” Studente: “Prof, non dovrebbe usare il libro per sorteggiare gli interrogati, è più probabile che escano i numeri centrali.” Prof. Sturniolo: “Ma secondo te guardo veramente il numero estratto? Io chiamo chi mi pare!” Prof.ssa Focardi: “ Tre anni passati ad insegnarvi fisica e non è servito a nulla. Quasi quasi mi do all’ippica.”

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La mia InghilTerra Intervista a Ivan Ambrosio Intervista | di Laffusa Pasquale

Molte persone conoscono Ivan Ambrosio come il ragazzo degli stadi inglesi, ma dietro il suo record, di 316 stadi visitati, c’è molto altro. Una storia fatta di fallimenti ma soprattutto di determinazione che gli ha permesso più volte di rialzarsi. Dal “Mamma voglio cambiare vita” alla sua pagina Facebook “Storia di un sogno - Il mio viaggio in Inghilterra”, dall’incontro speciale con il mitico “Bill di Luton”, all’imminente pubblicazione del suo primo libro, ma anche molto di più. Ivan si racconta a Orgia Intellettuale.

Ciao Ivan! È un piacere per la nostra redazione poterti intervistare. Mi sei sembrato subito l’ospite perfetto che potesse parlare ai giovani lettori del Liceo Copernico, in particolare alle loro aspirazioni future. Ti va di cominciare parlando un po’ della tua storia e del tuo sogno? Sono almeno 7 anni che nutro questo amore infinito per l’Inghilterra e per il calcio inglese, che da quando avevo 10 anni è la mia più grande passione. Non so come e perché sia stato così attirato da questa terra. Quando mi chiedono “Perché sei così preso dall’Inghilterra e dal calcio inglese?”, io rispondo che forse è l’Inghilterra ad aver scelto me. Capita che a volte ci

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si sente destinati ad un sogno, ed ecco che io mi sono sentito destinato a vivere il calcio inglese e l’Inghilterra, per poi raccontarlo a tutte le persone che purtroppo non hanno la fortuna di vivere tutto quello che da tre anni ad oggi sono la mia quotidianità. Nonostante abbia trovato tantissime difficoltà, questo mio percorso di vita è iniziato il 20 Febbraio 2013. Una mattina, poco prima di fare colazione, dissi “Mamma non ce la faccio più della mia attuale vita. Voglio andarmene in Inghilterra. Sento questo bisogno.” Da un giorno all’altro acquistai un biglietto di sola andata per Londra, dove sono ora, e senza sapere nulla, senza essere mai stato all’estero e senza aver mai


preso un aereo iniziò così il mio lungo e interminabile viaggio. Purtroppo non iniziò nei migliore dei modi, visto che un mese dopo tornai a casa sconfitto e con il cuore a pezzi. I primi giorni furono meravigliosi, ma poi tutto divenne più difficile. Non parlavo l’inglese, vivevo in ostello con altre 8-10 persone e il lavoro da lavapiatti non mi dava tanta soddisfazione. Londra mi rese felice e mi schiacciò nel giro di poco, e il primo vero fallimento della mia vita era alle porte... A pensarci, oggi, mi vien da sorridere, ma quei giorni sono stati duri, ma duri per davvero. A quei tempi non riuscivo a trovare dei lati positivi in quel fallimento, ma oggi posso dirvi che è stata la miglior cosa che potesse mai capitarmi! Fallire mi ha aperto un mondo nuovo, mi ha dato forza e mi ha fatto credere nei sogni fino in fondo. Prima mi fermavo al primo ostacolo, le parole delle persone mi ferivano, ma dopo quel fallimento ho imparato a gestire meglio la mia vita e a saper scegliere la strada della mia felicità. Dopo quel fallimento tornai a casa completamente distrutto nel cuore e nell’anima, ma poi pian piano mi sono rialzato, ho lavorato sodo, 7 giorni su 7, senza guardare l’orologio per racimolare abbastanza soldi per una seconda possibilità di tornare in Inghilterra. A marzo 2015 finalmente tornai a “casa”, in Inghilterra, nella piccola graziosa “Bowness-on-Windermere, molto più organizzato e con l’aiuto del mio grande amico Giuseppe tutto divenne più semplice... Finalmente ero tornato nella terra che tanto amavo. Ero felice, felice per davvero. Hai mai avuto momenti in cui sei stato tentato di abbandonare il tuo sogno per dedicarti a una vita più “media”? Qui si tocca un mio punto debole. Ad inizio 2016, quando il progetto era ancora sui 50 stadi mi fidanzai. Lasciai l’Inghilterra per stare con lei, ma mi accorsi che giorno dopo giorno mi spegnevo sempre di più. L’Inghilterra mi mancava tanto, e il

solo pensiero di abbandonare i miei sogni era una tortura, e nonostante amassi tanto la ragazza con cui presi l’impegno, alla fine non riuscii a rinunciare ai miei sogni e tornai in Inghilterra... Stavo dedicando la mia vita solo ed esclusivamente ad un’altra persona, e per essere felici in una coppia, secondo me, non si può rinunciare mai alle proprie passioni e ai propri sogni. Mai. Infine, non c’è mai stato un momento preciso in cui ho voluto lasciar perdere, ci sono stati vari momenti di debolezza in cui sono stato tentato di tornare ad una “vita normale”, la famiglia, gli amici, la partita di calcetto o riprendere con il calcio giocato, le uscite il sabato sera, la play-station e così via, però sapevo che non era il momento giusto per tutto questo, e quindi ho sempre scelto i miei sogni, convinto che un giorno li realizzerò. Oggi non lascerei mai la vita che sto vivendo, visto che sono vicino alla parte più importante del sogno, la pubblicazione del libro. La tua pagina Facebook prima si chiamava “London - Story of a dream”. Dopo essere stata chiusa, imperterrito, ne hai aperto un’altra con il nome italiano di “Storia di un sogno-Il mio viaggio in Inghilterra “. Ti sei tolto qualche soddisfazione condividendo le tue avventure con altre persone di tutta Italia? Se si, quale? Assolutamente si, ho avuto e sto avendo tantissime soddisfazioni. La parte più bella di questo mio progetto, oltre ai viaggi e alla scoperta delle realtà più piccole, è di aver conosciuto tantissime persone appassionate come me, e grazie alle loro incredibili conoscenze ho scoperto degli aneddoti e delle curiosità sul calcio inglese assolutamente incredibili, che probabilmente da solo non avrei mai scoperto. Li ringrazierò a vita! Per quanto riguarda la chiusura della pagina Facebook, a livello morale è stato un brutto colpo, ma nonostante siano stati tempi duri, alla fine, invece di abbattermi,

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ho deciso di andare vivere anche le partite, oltre che gli stadi, e così ad oggi sono a 316 stadi visitati e oltre 70 partite vissute sulla pelle. Così facendo, potrò raccontare ancora meglio la bellezza e il fascino del calcio inglese. Un consiglio, con il cuore: nei momenti difficili e bui, cerchiamo di guardare sempre i lati positivi. È l’unico modo per affrontare le difficoltà e abbatterle! Aggiorniamo la conta, fino ad ora quanti stadi hai visitato? Ad oggi ho visitato 316 stadi tra Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda e Irlanda del Nord, ed ho assistito ad oltre 70 partite. Prima di portare a termine il libro ho in programma di raggiungere e superare le 100 partite. Sarà un libro incredibile! Ne sono certo! Oltre ad aver visto un numero spropositato di stadi hai conosciuto anche un’enormità di persone. Ci racconti un aneddoto di un incontro particolare che hai fatto? Si, ne ho conosciute tante di persone fantastiche e generose, ma uno degli incontri più belli in assoluto è stato quello di Luton con il mitico Bill, un vecchietto che incontrai a fine dicembre 2016. Andai a Kenilworth Road, stadio ultracentenario che verrà abbattuto nel giro di pochi anni, perché volevo visitarlo e viverlo sulla mia pelle. Luton è una zona davvero molto degradata, ma lo stadio rendeva tutto più affascinante... Suonai un campanello e dopo un paio di minuti aprì Bill, un vecchietto di 80 anni. Chiesi se fosse possibile visitare lo stadio all’interno e lui mi spiegò di provare ad entrare dall’altro lato dello stadio dove c’erano dei lavori in corso. Andai, ma trovai tutto chiuso, e senza pensarci due volte tornai ancora una volta da Bill. Gli spiegai la situazione e la mia storia, e lui, ridendo, mi aprii le porte di casa sua facendo strada con un passo molto lento. Non dimen-

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ticherò mai quel momento! Dopo avermi raccontato un po’ di storia del club e dello stadio, ad un certo punto aprii una porta e mi ritrovai delle scale che mi avrebbero portato finalmente sul terreno di gioco... Appena vidi quel meraviglioso prato verde non ci vidi più. Senza pensarci due volte e senza pensare alle conseguenze iniziai a correre su quel meraviglioso prato verde, così unico e pieno di sogni per un ragazzo come me che ha vissuto la sua infanzia con il sogno di diventare un calciatore... Poco dopo tornai da Bill, ancora felice e incredulo per tutto quello, e lui felice e sorpreso per la mia visita, non solo mi regalò un match programme e un foglio con la storia del club, ma scattammo una foto insieme e mi augurò buona fortuna per tutti i miei sogni. Si può dire certamente che nel tuo sangue scorra British Football. Quali sono le differenze principali di approccio della gente al calcio tra il Regno Unito e l’Italia? Le differenze sono infinite, non amo fare i paragoni perchè sembrerebbe che io voglia parlar male dell’Italia, ma il calcio inglese ha una mentalità di 20 anni avanti a quello italiano. Il calcio italiano ha il suo fascino, anche alcuni di quelli che ho incontrato nel mio viaggio lo apprezzano, ma in Inghilterra vivono di calcio. Il calcio inglese è una di quelle esperienze di vita che ti segnano. Non ti sto parlando del Manchester United ma anche della decima categoria. Persone e giocatori che militano in dodicesima lega e oltre mi hanno lasciato davvero tanto dal punto di vista umano, semplicemente c’è la cultura del football. Dal punto di vista tattico il calcio inglese non sarà il migliore ma è quello che ha più fascino. L’Italia sta cercando in ogni modo di migliorare e le auguro un giorno di riuscire a raggiungere e superare l’Inghilterra. So che stai progettando un libro sulle tue avventure, ci puoi dare delle anticipazioni?


Sarà un concentrato di calcio inglese a 360 gradi ma soprattutto voglio dare un’impronta su come credere in qualcosa. Lì fuori c’è posto per noi e per i nostri sogni. Vorrei trasmettere degli ideali di vita, il mio modo di vivere le difficoltà, come ho affrontato il mio sogno e come mi sono rialzato nei momenti difficili, e credetemi io ne ho avuti tanti. Quindi il libro si baserà su principi di vita ancor prima che sul calcio. Cosa diresti ai ragazzi del Copernico che vogliono inseguire i propri sogni come hai fatto tu? La vita presenterà sempre degli ostacoli sulla strada di ognuno di noi, poi sta a noi riuscire a rialzarsi e continuare a percorrere il proprio percorso. Io ho percorso una strada ma ce ne sono molte altre che portano alla realizzazione dei propri sogni. Bisogna essere bravi a circondarsi di persone giuste e positive perché tanti risultati nella vita si ottengono grazie alle persone che ci stanno intorno, gli obiettivi grandi si raggiungono anche con il sup-

porto di chi ci sta accanto. Per raggiungere gli obiettivi bisogna fare delle scelte, ragionare con il cuore ma anche con la testa. Queste sono le basi. ­Infine un piccolo pensiero ai nostri maturandi? Per prima cosa, vi auguro di realizzare tutti i vostri sogni, di realizzarvi nella vostra vita, di raggiungere quel che tanto sognate ma più che altro vi auguro di trovare un qualcosa che amate, una persona, gli amici giusti, una passione. Fate sempre tutto con amore perché secondo me l’amore è ciò che muove ogni cosa, anche i cuori più difficili o quelli all’apparenza più chiusi. Fate ogni singolo passo con amore, fatelo con la felicità di quando eravamo bambini. Attraverso l’amore si raggiungono e si trasmettono le cose più importanti. Auguro buona fortuna a tutti e spero di poter trasmettere qualcosa di importante attraverso le mie parole, attraverso la mia esperienza (ancora all’inizio). Un abbraccio forte. Ivan.

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suggestioni un non-articolo Cultura e Arte | di Caterina Albarello

Cari Lettori, vi propongo un esperimento. In questo (non) articolo vi lascerò alcuni elementi che ho accumulato negli ultimi mesi e che hanno lasciato una traccia nella mia mente. Fate finta che io vi abbia disposto un cassetto aperto davanti agli occhi, incoraggiandovi a guardarci dentro e a prendere quello che piÚ vi attrae. Perciò, ecco a voi delle suggestioni:

scena tratta dal film Ghost Story

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film

Ghost story (2017, David Lowery)

Questa non è e non deve essere in alcun modo una recensione, anche perché, a mio modesto parere, recensire una pellicola del genere sarebbe superfluo e riduttivo. E’ forse un capolavoro indimenticabile? Non per quel che mi riguarda. Dunque, vi potreste chiedere, per quale diamine di motivo ve ne stia parlando. La risposta è: sensazioni. Ho atteso prima di mettermi a scrivere perché volevo aspettare di capire se le emozioni che mi avevano travolto mentre guardavo, fossero destinate ad estinguersi nel giro di poco o fossero restate sulla pelle, come un profumo permanente. Ora, potrei affermare decisamente la seconda. Come dicevo, non sono qui per recensirlo, classificarlo, relegarlo a spazi definiti. Sono qui, per parlarvene e basta. Vi dirò solo questo: la storia parla di un fantasma. Beh, parla...diciamo che lo descrive con le immagini.

Perché sono le immagini le padrone della pellicola. Si viene lentamente risucchiati in una dimensione altra, fatta di carta velina e nebbia. Indefinita, silenziosa, struggente. Si parla di perdita e di incapacità di passare oltre. Si parla di un fantasma, dicevo. Un vero fantasma, di quelli con lenzuolo e buchi per gli occhi. Come un ritorno alle origini per descrivere sentimenti basici, fondamentali per l’esistenza umana. Si tratta di un’ora e mezza di incanto e attesa. Un’ora e mezza plastica che, a seconda degli sguardi potrebbe durare secoli o il tempo di un respiro. Questo film è pieno di leggerezza e il vero elemento di disturbo è l’osservatore, che con la sua pesante presenza umana e terrena, assiste ad un dialogo tra fantasmi che riesce a comprendere solo con l’ausilio di sottotitoli. Questo è Ghost Story: grazia e intangibilità.

Altre pellicole degne di nota: The Square (2017, Ruben Östlund) La ragazza nella nebbia (2017, Donato Carrisi) Corpo e anima (2017, Ildikó Enyedi) Beginners (2010, Mike Mills) Teorema (1968, Pasolini)

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poesia e arte figurativa Qui (2006, W.Szymborska)

Non so altrove, ma qui sulla Terra c’è abbondanza di tutto. Qui si producono sedie e afflizioni, forbicine, violini, tenerezza, transistor, dighe, scherzi, tazzine. Forse altrove di tutto ce n’è di più, solo per certe ragioni là mancano dipinti, cinescopi, ravioli, fazzolettini per il pianto. Qui ci sono luoghi con dintorni in quantità. Ad alcuni puoi essere molto attaccato, chiamarli a tuo modo e preservarli dal male. Forse ci sono luoghi simili altrove, ma nessuno li considera belli. Forse come in nessun posto, o in pochi, qui trovi un torso a sé stante, e insieme a lui gli accessori che servono per aggiungere bambini propri agli altri. E poi le mani, le gambe e una testa stupita. L’ignoranza qui ha molto lavoro, conta, confronta, misura di continuo qualcosa, ne trae conclusioni, ne estrae le radici. So bene cosa pensi. Qui non c’è nulla che dura, perchè da sempre e per sempre in balia degli elementi. Bada però – gli elementi si stancano in fretta e ogni tanto devono riposare a lungo fino alla volta successiva.

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E so cos’altro pensi. Guerre, guerre, guerre. Però anche fra loro capitano intervalli. Attenti! – Gli uomini sono cattivi. Riposo! – Gli uomini sono buoni. Sull’attenti si producono luoghi deserti. A riposo col sudore della fronte si costruiscono case e ci si vive alla svelta. La vita sulla Terra costa abbastanza poco. Per i sogni ad esempio qui non paghi un soldo. Per le illusioni – solo se perdute. Per il possesso del corpo – solo con il corpo. E come se ciò non bastasse, si va senza biglietto sulla giostra dei pianeti, girando a sbafo, nella tormenta di galassie, in tempi così vertiginosi che niente qui sulla Terra potrebbe fare un passo. Su, su, osserva bene: il tavolo sta dove stava, sul tavolo il foglio, come è stato messo, dalla finestra socchiusa solo una folata d’aria e neanche una crepa paurosa sui muri, per la quale ti si soffi via – da nessuna parte.

Ireland, 1976 (Josef Koudelka)

Giorno di festa all’ospizio (1892, Morbelli)

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Pasta

Materia prima

Taglio della pasta sfoglia

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a FICO

Materia prima lavorata

Taglio della pasta sfoglia in prospettiva

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 www.orgiaintellettuale.info  redazione@orgiaintellettuale.info  facebook.com/orgiaintellettuale Riciclami

Passami dopo avermi letto

Se proprio vuoi sbarazzarti di questo bellissimo giornale, non buttarlo nell’indifferenziata. Passalo a qualcun altro o riciclalo. Pensa a quei poveri alberi che sono stati tagliati per stamparlo!

Diffondete il verbo Copernicano tra compagni, amici e congiunti, le nostre parole sono per tutti e tutti sono invitati a partecipare!

“Il profeta che ammonisce senza presentare alternative accettabili, contribuisce ai mali che enuncia.” Margaret Mead


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