In Altum

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Pubblicazione bimestrale durante l'anno scolastico da Settembre a Giugno - Poste Italiane Sped. in A.P. art. 2 comma 20/c L. 662/96 - Bergamo - Aut. Trib. BG n. 427 del 15.5.1964 - NUOVA SERIE - N. 144 - ANNO 31 - Marzo-Aprile 2013 PERIODICO DELLE SUORE ORSOLINE DI SAN GIROLAMO IN SOMASCA - DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE: 24128 BERGAMO - VIA BROSETA, 138 - TEL. 035250240 - FAX 035254094 - e-mail: inaltum@orsolinesomasca.it - www.orsolinesomasca.it

... al Sabato di Passione le colombe dello Spirito Santo, sono venute dai ruscelli di Galilea ad aspettare il tocco delle campane per levarsi in volo a benedire l’acqua di tutte le fontane che nel concerto della Risurrezione gridano: “Alleluja! Alleluja!”.

Elisa Faga Plebani


Redazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Anno della Fede a cura di don Davide Rota

Si fa presto a dire “Fede”

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Cinque milioni di volontari: l’immagine dell’ “altra Italia” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Esperienze di vita Un dono prezioso che ripaga tante fatiche (M. Gervasoni) . . . . Donare agli altri è riempire la propria vita (D. Nachiero) . . . . .

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Segni dei tempi a cura di Roberto Alborghetti

Immigrati Incontri veramente carichi di umanità (E. Faga Plebani)

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede a cura di Suor Barbara Ferrari e Mauro Barisone

Conta le stelle se puoi e... resta umano!

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Una storia vera... anzi inverosimile! a cura di Cecilia

Lungo il cammino di crescita, momenti di dolore... di luce...! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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“Bergamaschi DOC” a cura di Assunta Tagliaferri

Antonia Locatelli di Fuipiano Imagna (BG) Direttore responsabile: Anna Maria Rovelli Redazione: Pasquale Diana, Chiara De Ponti, Elisa Faga Plebani, Maria Marrese, Veneranda Patelli, Concetta Rota Bulò. Hanno collaborato a questo numero: Angela Pellicioli, Assunta Tagliaferri, Barbara Ferrari, Cecilia Mangili, Davide Rota, Edilza dos Reis, Elisa Faga Plebani, Elizabeth Jamira, Federica Tosto, Ignazia Serra, Kelly Borges, Lizeth Huarachi, Maria Marrese Maria Adelaide Nachiero, Mariarosa Gervasoni, Mauro Barisone, Oreste Fratus, Roberto Alborghetti. Teresinha Dias Tavares. Realizzazione: STUDIO EFFE - Mozzo (BG) Stampa: PRESS R3 - Almenno San Bartolomeo (BG)

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Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bolivia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Brasile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Libri in vetrina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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Voci di casa nostra

a cura di Maria Marrese

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Redazionale «Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?» (Lc. 24, 5) … … «È risorto dai morti come aveva detto» (Mt. 28, 7).

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arissimi amici lettori

la Festa più luminosa dell’Anno liturgico – la Risurrezione di Gesù – è fortemente richiamata dalle parole tanto semplici, ma tanto convincenti di un Papa, Francesco, voluto dallo Spirito che è Vita: … “Anche noi, come le donne discepole di Gesù, che andarono al sepolcro e lo trovarono vuoto, possiamo domandarci che senso abbia questo avvenimento. Che cosa significa che Gesù è risorto? Significa che l’amore di Dio è più forte del male e della stessa morte; significa che l’amore di Dio può trasformare la nostra vita, far fiorire quelle zone di deserto che ci sono nel nostro cuore. Questo può farlo l’amore di Dio”…

(dal Messaggio pasquale)

… “Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela? Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai: non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non possa perdonare se ci apriamo a Lui”… … “Gesù non è più nel passato, ma vive nel presente ed è proiettato verso il futuro, è l’«oggi» eterno di Dio. Così la novità di Dio si presenta davanti agli occhi delle donne, dei discepoli, di tutti noi: la vittoria sul peccato, sul male, sulla morte, su tutto ciò che opprime la vita e le dà un volto meno umano. E questo è un messaggio rivolto a me, a te, cara sorella e caro fratello. Quante volte abbiamo bisogno che l’Amore ci dica: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. I problemi, le preoccupazioni di tutti i giorni ten-

dono a farci chiudere in noi stessi, nella tristezza, nell’amarezza … e lì sta la morte. Non cerchiamo lì Colui che è vivo! Accetta allora che Gesù Risorto entri nella tua vita, accoglilo come amico, con fiducia: Lui è la vita! Se fino ad ora sei stato lontano da Lui, fa’ un piccolo passo: ti accoglierà a braccia aperte. Se sei indifferente, accetta di rischiare: non sarai deluso. Se ti sembra difficile seguirlo, non avere paura, affidati a Lui, stai sicuro che Lui ti è vicino, è con te e ti darà la pace che cerchi e la forza per vivere come Lui vuole” … (dall’Omelia della Veglia pasquale)

… “Allora, ecco l’invito che rivolgo a tutti: accogliamo la Grazia della Risurrezione di Cristo! Lasciamoci rinnovare dalla misericordia di Dio, lasciamoci amare da Gesù, lasciamo che la potenza del Suo amore trasformi anche la nostra vita; e diventiamo strumenti di questa misericordia, canali attraverso i quali Dio possa irrigare la terra, custodire tutto il creato e far fiorire la giustizia e la pace. E così domandiamo a Gesù risorto, che trasforma la morte in vita, di mutare l’odio in amore, la vendetta in perdono, la guerra in pace. Sì, Cristo è la nostra pace e attraverso di Lui imploriamo pace per il mondo intero”… (dal Messaggio pasquale)

È con questi inviti fraterni, affettuosi e carichi di “forza” che auguriamo a tutti voi, cari lettori, una gioiosa Risurrezione in Lui! La Redazione

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Anno della Fede

Si fa presto a Tu e Gesù: la fede si gioca all’interno di un rapporto che è misterioso, ma illumina tutto; che è difficile, ma semplifica ogni cosa; che ti carica della croce, ma ti riempie la vita di gioia; che ti lega a Dio, ma è forza liberante. Cos’è la fede?

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’Antico Testamento sembra avere idee piuttosto nette in proposito: l’ateo? Non è che un povero stolto, come perentoriamente afferma il salmo 14, 1: “Dice lo stolto nel suo cuore: Dio non c’è”. Non solo: l’uomo - affermano sempre le antiche Scritture - ha di fronte a sé una scelta chiara e inequivocabile: “Ecco, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male” e, a ulteriore precisazione, aggiunge: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Anzi… è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu lo metta in pratica” (Dt. 30, 11-14). Insomma: fede è credere in Dio e compierne la volontà espressa nei dieci comandamenti: più chiaro e semplice di

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così… Ma ci vuole poco a smontare tanta sicurezza: accanto a questa fede granitica le Scritture presentano la protesta di Giobbe, le lamentazioni di Geremia, i dubbi dei sapienti, la ribellione di Giona... In realtà che la fede rimanga qualcosa di misterioso e inafferrabile lo conferma questa frase: “Spesso mi pare quasi che noi si debba passare attraverso tutte le prove del demonio, di Satana e dell’inferno, fino al momento in cui raggiungeremo la vittoria definitiva… Non si può dire che io sia un bigotto, certo non lo sono. Ma nel mio intimo sono un uomo di fede: credo cioè che chi in questo modo combatte coraggiosamente senza arrendersi mai, sempre risollevandosi e sempre andando avanti, secondo leggi di natura volute da Dio, costui non sarà abbandonato dal Legislatore, anzi alla fine sarà benedetto dalla Provvidenza. E così è stato per tutti i grandi spiriti della terra”. Come non dirci d’accordo con parole così cariche di buon senso e di ottime intenzioni? Ma, se si precisa che a pronunciare queste parole è stato Adolf Hitler in un discorso agli industriali tedeschi del 26 luglio 1944, allora le prospettive cambiano. Perché la parola detta non può essere in nessun modo separata da chi la dice, dal contesto in cui è detta e dalle motivazioni e finalità per cui è stata detta. Affermare di credere in Dio non garantisce affatto l’autenticità della fede: ce lo ricorda Gesù con parole inequivocabili «In quel giorno molti diranno: “Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non ab-


Anno della Fede

dire “Fede” biamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!” (Mt. 7, 21-23). In questo Vangelo “molti” sono dichiarati operatori di iniquità pur avendo profetato nel nome di Gesù, scacciato demoni e addirittura operato prodigi in suo nome: ma se non bastano neppure i miracoli per dire che si ha fede, cosa vuol dire allora credere? Il Vangelo fa constatazioni sorprendenti: nelle tentazioni di Gesù nel deserto, il diavolo appare nella duplice veste di biblista e pedagogo.

Ottimo conoscitore di Bibbia che cita con disinvoltura, è anche un ottimo pedagogo che sa adattarsi all’alunno che ha di fronte e si impegna a conoscerlo e a proporgli soluzioni adatte alla sua personalità e alle circostanze (Mt. 4, 1-11 – Lc. 4, 1-13). Nel Vangelo di Marco poi, mentre i discepoli continuano a dubitare anche quando vedono miracoli (“chi è costui?” Mc. 4, 35-41) il demonio non ha bisogno di prodigi per affermare che “Io so chi sei tu: il santo di Dio” (Lc. 4, 31). Non è tutto: Gesù, che è venuto a immergere il mondo e l’umanità nell’oceano senza sponde “della dolce pietà di Dio” (Bernanos), è ferocemente polemico verso scribi e farisei che accusa tout court di ipocrisia: eppure erano loro i gruppi più religiosi del suo tempo (Mt. 23, 27-32). A questo punto, se i demoni sono più sicuri dei credenti del fatto che Dio esiste… Se i credenti più puri (fariseo = puro) rischiano di essere i più lontani da Dio… Se nel giu-

dizio potremmo non essere riconosciuti da Chi sulla terra abbiamo riconosciuto come Signore, allora è urgente che ci si chieda: Cos’è la fede? Oggi questo tema anche da non pochi credenti è trattato con leggerezza e superficialità e invece ha ragione Pascal quando sostiene che l’incredulità non è esclusiva di atei e miscredenti, ma alligna anche nelle sagrestie, nelle Curie, nei cuori dei fedeli e dei religiosi. Allora: che significa credere? Cos’è la fede? “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” è la

stupenda definizione di Ebrei 11, 1. “Fede è dono di Dio e risposta dell’uomo: essa ci conduce a Gesù Cristo e, attraverso di Lui, ci immerge nel mistero della Santissima Trinità - Padre Figlio e Spirito Santo - dal quale ogni cosa trae consistenza e destino” afferma il Catechismo della Chiesa cattolica. Tutto bello, tutto assolutamente vero, ma la risposta più convincente non è una definizione, ma la scelta di vita per Gesù; è la conversione e accettazione del suo Vangelo, è la testimonianza di Lui come Signore e Salvatore perché come ha detto Papa Francesco nel suo primo discorso “senza Gesù la Chiesa non è altro che una O.N.G. pietosa”. Del resto non è lo stesso Cristo ad affermare che i credenti non dalle parole, ma “dai frutti li riconoscerete”? (Mt. 7, 15-20). E ancora Lui: “Non chi dice: ‘Signore, Signore’ entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt. 7, 21). Tu e Gesù: la fede si gioca all’interno di un rapporto che è misterioso, ma illumina tutto; che è difficile, ma semplifica ogni cosa; che ti carica della croce, ma ti riempie la vita di gioia; che ti lega a Dio, ma è forza liberante. Don Davide Rota

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Segni dei tempi Segni dei tempi:

Immagine dell’ “altra Italia” - Esperienze gratificanti

Cinque milio

Immigrazione - Esperienze di chi proviene da mondi diversi: motivi di vera esperienza umana carica di dono, di altruismo, di attenzione, come programma di vita indicato da Papa Francesco:

“Camminare nella luce Edificare la Chiesa Confessare Cristo crocifisso”.

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ono presenti nell’assistenza ai malati e ai disabili. Si danno da fare nel settore del tempo libero, dell’educazione e della cultura. Si rimboccano le maniche per curare e seguire gli anziani. Lavorano per sostenere progetti e iniziative umanitarie e missionarie per i Paesi poveri o in via di sviluppo. Parlando dei “segni dei tempi”, sicuramente essi lo sono, rappresentando una realtà che, in Italia, ha davvero conosciuto un’evoluzione e uno sviluppo impressionanti (e ne potrebbe conoscere ulteriormente, come vedremo). Parliamo dei volontari, ossia delle persone che, disinteressatamente, per finalità ideali che spesso attingono alla sfera della fede religiosa, lavorano e si attivano, con generosità, per

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sostenere il prossimo in difficoltà. Lo diciamo senza retorica: è l’immagine dell’ “Altra Italia”, quella più vera e sincera, lontana anni luce dall’Italia dei politicanti corrotti, degli scandali e degli speculatori. E’ l’Italia della solidarietà, che dedica tempo e cuore agli altri. Se ben guardiamo, negli ultimi decenni l’ascesa del fenomeno del volontariato ha seguito in sincronia la discesa dell’interesse della gente appunto per certa politica e per le attività ad esse collegate. Come dire che la voglia di impegnarsi e di darsi da fare nel sociale, per costruire una società migliore, è assorbita ed espressa spontaneamente al di fuori dei “colori” dei partiti. E gli stessi partiti, di fronte alla vastità del fenomeno, sono stati obbligati ad interrogarsi e a produrre leggi e normative come la Legge quadro sul volontariato n. 266/1991 - che riconoscono l’importanza, il ruolo, il servizio e il valore sociale del volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo. Nell’arco degli ultimi decenni, questa realtà ha assunto caratteristiche strutturali che comprendono una grande varietà di organizzazioni in cui operano Organizzazioni di volontariato, Cooperative sociali, Fondazioni di diritto privato, Fondazioni di origine bancaria, ONG per lo sviluppo della cooperazione. Ci sono poi le Associazioni di Promozione Sociale che,

operanti nel non profit, svolgono la maggior parte delle loro attività a beneficio dei propri membri (è il caso di Associazioni sportive e culturali). Un’altra fetta consistente di questa presenza solidale è costituita da Enti internazionali, da Comitati ed Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza e le Organizzazioni caritatevoli di carattere religioso. Ma quanti sono i volontari italiani? L’Istat ha cercato di scandagliarne i numeri, fissandoli in cifre, anche se una delle peculiarità del movimento volontaristico è magari quella di sfuggire ai calcoli e alle quantificazioni, proprio perché i bisogni e le urgenze spesso attivano risposte ed interventi silenziosi, attuati nell’umiltà e nel nascondimento, in virtù del detto evangelico “Non sappia la mano destra ciò che compie la sinistra”.


Segni dei tempi

ni di volontari: Secondo i dati Istat, in poco meno di vent’anni la percentuale di persone che si dedicano al volontariato è passata dal 6,9% al 10%. Nel 2011, secondo le stime dell’Istituto di statistica, sono più di cinque milioni gli italiani che hanno svolto una qualche attività gratuita presso un’associazione di volontariato. Inoltre, secondo una ricerca pubblicata nel 2011 (“La valorizzazione economica del lavoro volontario nel settore non profit” di Istat e Cnel) il valore economico delle attività volontarie in Italia è pari a quasi otto miliardi di Euro. L’incremento di coloro che partecipano ad attività di volontariato riguarda soprattutto i giovani e gli anziani. Gli over sessantenni sono aumentati, dal 1993 al 2011, di oltre sette punti percentuali, i giovani di oltre tre punti, con punte di sei punti per i diciot-

to/diciannovenni. Una tendenza all’aumento è confermata da un altro studio (2007, CSVnet) che indica in 43.500 le Organizzazioni di volontariato, mentre i volontari attivi nelle organizzazioni italiane sono rappresentati dal 54,4% da uomini e dal restante 45,6% da donne. I volontari sotto i ventinove anni sono il 22,1%; dai cinquantacinque ai sessantaquattro sono il 23,3% e coloro con più di sessantaquattro anni sono il 13,5%. Oltre la metà sono occupati (52,2%), mentre il 29,5% sono pensionati e il restante 18,3% sono studenti, casalinghe, disoccupati o persone in cerca di prima occupazione. La maggior parte svolge le proprie attività di volontariato nei seguenti settori: servizi sociali (31%); salute (28,5%); cultura e ricreazione (13,5%); protezione civile (10,2%); ambiente (4,3%). Statistiche regionali recenti mostrano che la protezione civile e la tutela dei diritti (advocacy) sono settori che registrano un incremento maggiore nei numeri.

La distribuzione sul territorio nazionale presenta percentuali diverse: 31,5% si situa nel Nord Est, il 28,4% nel Nord Ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 18,6% nel Sud e nelle isole. Non è un panorama omogeneo ed è forse lo specchio della frastagliata realtà sociale e culturale del Paese. Anche se, lo ripetiamo, la scelta di dedicare tempo e spazio agli altri, spesso è svincolata dalle logiche delle “conte” e delle verifiche, ma si colloca in una sfera di spontaneità generosa, che non necessita di avere una organizzazione alle spalle. E’ un impegno che molte volte è esercitato con lo stile “porta a porta”, o del Buon Samaritano, ossia di colui che si dà da fare nelle contingenze e nelle emergenze, come quando si presenta la necessità di assistere un ammalato, di soccorrere un anziano, di prendersi cura di un gruppo di ragazzi. Ma gli stessi dati ci indicano che si può fare ancora di più. Roberto Alborghetti

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Segni dei tempi

Esperienze Un dono prezioso che ripaga tante fatiche

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a oltre trent’anni sono volontaria dell’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), i cui compiti non sono limitati al solo sostegno morale e psicologico dei degenti, ma anche a quello materiale del nutrirli o dell’accompagnarli in brevi passeggiate lungo i corridoi degli ospedali… Il volontario ascolta, soprattutto, i timori e le angosce dell’ammalato facendogli sentire, anche nel silenzio, la tenerezza di una stretta di mano, una carezza, un abbraccio capaci di lenire la sua solitudine, trovando accanto a sé un amico attento e amorevole, “capace” di “condividere” la sua sofferenza. Nel 1982, dopo l’esperienza personale della sofferenza e di una prolungata degenza in ospedale, avendo conosciuto Elsa Chiamenti Segretaria AVO - ho iniziato il mio volontariato presso gli Ospedali Riuniti di Bergamo con regolarità e tanta gioia di donarmi agli ammalati.

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Contemporaneamente lavoravo, come volontaria, nel Pensionato “Spigolatrici” dove tutto il ricavato veniva devoluto ai nostri Missionari del “Paradiso” e al Seminario diocesano. Avevo mansioni di servizio e di animazione che mi permettevano di organizzare feste serali per intrattenere allegramente le giovani ospiti lontane da casa e dagli affetti familiari. Rimasi con loro per parecchi anni; il mio cuore, tuttavia, rimase sempre vicino e fedele agli ammalati ricoverati ai “Riuniti” che, con costanza, ho continuato a visitare e aiutare come meglio potevo: erano per me (ed ora più che mai) il volto di Nostro Signore! Questo mi bastava, colmava la mia vita e le dava un senso profondo, sempre attuale e sempre più coinvolgente. Con mia grande sorpresa Dio mi ha ulteriormente arricchita. Da qualche anno, i cari Padri Cappuccini dell’Ospedale Maggiore (ora Papa Giovanni XXIII), vedendomi assiduamente presente in quel luogo di sofferenza, mi hanno incoraggiata a diventare “Ministro straordinario dell’Eucaristia” frequentando i corsi per avere la meravigliosa possibilità di portare Gesù agli ammalati. Quando mi sottoposero la proposta, rimasi molto sorpresa e indecisa: la gioia e l’entusiasmo mi spingevano ad accettare questo nuovo “dono” a favore dei fratelli sofferenti, ma sentivo anche tutta la mia piccolezza e inadeguatezza… “Portare Gesù agli ammalati…”. Un dono e una missione troppo grandi! I Frati stessi hanno dissipato ogni mio timore e dubbio: “Nel portare e donare Gesù a coloro che, nella


Segni dei tempi

di vita sofferenza e nelle lacrime, Lo attendono e accolgono con profonda fede, questa è vera carità; infatti, non porti te stessa…, ma Lui!”. E’ vero! Quando io torno a casa ho il cuore colmo di tutto il dolore visto, sentito, accolto, fatto mio, ma sempre arricchito e in grado di ringraziare e offrire a Dio la mia sofferenza accettandola e accettando ciò che Dio vorrà domani dalla mia vita: è morendo ogni giorno un po’ a noi stessi che si vive la volontà del Padre! Mariarosa Gervasoni “Fraternità Suore Orsoline Somasca”

SOS: Un caloroso invito a quanti fossero disponibili a partecipare al Corso AVO per una continuità nel servizio di volontariato di cui urge presenza di personale. Per informazione telefonare al n. 035/4518857, ore pasti.

Donare agli altri è riempire la propria vita U

na vita vuota, banale, scontata, fatta di lavoro, spese, pulizie, casa, con una figlia ventunenne già indipendente. Così, un giorno, ho sentito il bisogno di aprirmi agli altri, di fare qualcosa per gli altri… e ho iniziato a fare la volontaria in ospedale in aiuto agli ammalati, i più malati, agli anziani soli o impossibilitati a muoversi… Proprio io, che dopo aver assistito mio padre in ospedale, poi deceduto, mi ero detta che mai più sarei entrata in un posto del genere, carico di sofferenze, malattie, tristezze, odori insopportabili… Invece LUI, a cui mi ero rivolta chiedendo qualcosa per me stessa, mi ha condotta lì, portandomi per mano, in silenzio. La prima volta ero molto insicura; mi chiedevo se fossi stata all’altezza, pensavo di non riuscire a sopportare gli odori dell’ambiente ospedaliero e i dolori che stanno all’interno… “Ci sono due persone a cui dare da mangiare - mi disse la collega volontaria che mi affiancava - tu vai da quel paziente e io dall’altro”. Ero in imbarazzo: l’ultima volta che ho imboccato qualcuno è stata mia figlia quando era piccola. Quel signore ultraottantenne di nome Gino, mi ha chiesto scusa perché si vergognava di dover essere imboccato; mi ringraziava continuamente… Che grande lezione di umiltà e di di-

gnità mi ha dato!!! Mi sono sentita piccola in tutti i sensi. Sin dal primo cucchiaio offertogli, ho sentito un trasporto: Qualcuno accompagnava la mia mano alla sua bocca… ed in quel momento vedevo negli occhi di quel signore, non gli occhi umani di Gino, ma quelli di Gesù che mi dicevano “Lo stai facendo a me”! Ho subito capito che non ero sola; non lo sono mai stata, ma fino a quel momento non me ne ero mai accorta. LUI è con noi, soprattutto quando siamo nella carità e nell’amore. La mia collega dice che sono capace di ascoltare perché ascolto con il cuore. Quando sono in ospedale sento di non essere io, sento che LUI agisce in me. Gli ammalati sono, ora, la mia forza. Toccare con mano la sofferenza, e vederla nella sua totalità, mi arricchisce non perché penso che c’è qualcuno che sta peggio di me, anzi!; nella malattia io vedo davvero il volto di Dio, il suo amore per i sofferenti, lon-

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Segni dei tempi

Immigra tano dalla mondanità e dalle iniquità. Quando entro in ospedale non c’è più tempo, stress, dolore… c’è la Croce caritatevole, misericordiosa… Gli ammalati mi ringraziano sempre, mi accolgono amorevolmente senza sapere chi sono io, ma sono sempre io a ringraziare loro per quello che mi danno, per le sofferenze che sopportano per tutti noi. Per me il Volontariato non è un servizio agli altri, ma un bisogno mio di stare in unione con Dio. Anche mia figlia sostiene questa mia esperienza: ora non mi vede più solo come mamma, ma come una persona che fa delle scelte e che si è aperta agli altri non “buttando via” serate in pizzeria, ma andando incontro ai più bisognosi che sono, poi, meno bisognosi di me, perché gli ammalati sono nella Grazia di Dio e mia figlia è orgogliosa di me! Ringrazio l’AVO e tutti gli ammalati per aver dato un senso alla mia vita, ma soprattutto: RINGRAZIO DIO DELLA VITA CHE MI HA DATO! Dely Nachiero

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Incontri veramente carichi di umanità SUOR MARIA SELVI Il lungo abito bianco di divisa e il capo coperto dal velo che scende dietro le spalle, le enunciano come appartenenti ad una Congregazione religiosa. Mi avvicino e chiedo di poter porre alcune domande. A rispondere sarà per tutte, come si qualificherà poi. - “Siamo indiane: Suor Usha e Suor Elena infermiere, Suor Mercy insegnante e con attività parrocchiale, la sottoscritta, Suor Maria, farmacista. Apparteniamo alla Congregazione Immacolata Concezione con Casa madre a Madurai, nel Tamil Nadu (India). Il nostro Carisma è “vivere il Vangelo tra i poveri, con amore e semplicità”. Verso la fine degli anni ’90, per mancanza di vocazioni, siamo state richieste da Parrocchie italiane. Qui in Italia vestiamo all’europea, mentre in India indossavamo il sari, senza velo, per tener fede alla tradizione locale e al modo

di essere della nostra gente. Non conoscevamo l’Italia e, all’inizio, ci è stato difficile ambientarci per la non conoscenza della lingua italiana. La nostra lingua è il Tamil, anche se ogni villaggio ha un suo dialetto, ma tutti conoscono la lingua inglese essendo stata l’India per secoli sotto il dominio dell’Inghilterra. Neppure conoscevamo la vostra cultura, le vostre abitudini, il clima: è stato qui in Italia che abbiamo visto per la prima volta la neve. Ora eccoci a Trivolzio, ben apprezzate e amate, contente del lavoro che facciamo”.

“Ci può dire della vostra attività in India?” - “Le maggiori religioni sono tre: Indù, Cristiani e Musulmani che convivono senza problemi.


Segni dei tempi

ti

Il nostro lavoro è a favore dei bisognosi, dei più poveri. Nei villaggi abbiamo piccole cliniche dove ci rechiamo periodicamente a distribuire medicinali, a curare gli ammalati, a seguire, per quanto ci è possibile, la crescita dei bambini. Le mamme vengono a noi fiduciose, come se si recassero a casa propria, sicure di ricevere aiuto e consiglio; ne hanno tanto bisogno e sarebbe d’aiuto anche il ‘di più’ che qui in Italia viene sperperato. Quello che possiamo fare qui in Italia è inviare alla Casa madre i contributi che riceviamo perché vengano usati secondo le necessità. Siamo grate agli italiani che ci offrono questa possibilità accogliendoci con rispetto”.

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Italia da quasi diciassette anni, sposato con una conterranea, Antonia, ed ho una figlia Ysanna”. “Come ricordi il Madagascar?” - Ha solamente due climi: estate e inverno. La popolazione è allegra, amante delle festività, diverse per ogni località; ma la festa più sentita si celebra il 26 giugno, giorno dell’Indipendenza nazionale. L’attività lavorativa è, secondo le zone, industriale e agricola con la coltivazione di caffè, cacao, canna da zucchero, vaniglia, banane.

La Scuola è sia pubblica che privata, quest’ultima retta per lo più dalle Suore. C’è anche l’Università dove io ho seguito i Corsi di Filosofia, ma sono poi emigrato in Italia spinto dalla passione per il calcio: in Puglia sono stato giocatore in Serie D. Mi piaceva molto giocare ma, per un incidente alla caviglia, ho dovuto lasciare il calcio e ho trovato lavoro in un ambiente turistico dove ho avuto occasione di viaggiare e conoscere gente e luoghi. Approdato a Roma, mi sono iscritto all’Università di Tor Vergata frequentando un breve Corso di Medicina. Ne sono uscito infermiere diplomato ed eccomi qui, in corsia, addetto alla distribuzione dei medicinali”. “Hai intenzione di ritornare in Madagascar o preferiresti prendere cittadinanza italiana?” - “Preferirei tornare nella mia terra e impegnarmi nel mio lavoro. In Italia ho trovato amicizie e ho fatto conoscere, attraverso la mia preparazione, la cultura del mio Paese. Quando tornerò in Madagascar porterò la conoscenza della lingua italiana e, spero, di essere utile agli italiani impiegati là nell’Azienda turistica. Attualmente mando al mio Paese rimesse del mio stipendio, perché l’Euro è molto più alto dell’Ariary, la moneta locale”. Elisa Faga Plebani

JACQUES Lo incontro in un intervallo del suo lavoro in una Casa di Riposo. “Di dove sei? Come ti chiami?” - “Sono Jacques, originario del Madagascar, la grande isola dell’Oceano indiano separata dall’Africa dal Canale di Mozambico; è Repubblica indipendente nel quadro della Comunità franco-africana dal 1959. La lingua ufficiale è il francese. Sono in

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

Conta le ste Così parlò Gesù. Poi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi, invece, sono nel mondo e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza

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della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». (Gv. 17, 1-26)


Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

lle se puoi e...

resta umano! C

arissimi, solo guardando il Cielo possiamo capire l’uomo… “Guardare il Cielo”, non come semplice lancio di sguardi sugli strappi d’azzurro o sul cobalto delle notti al cui manto Dio appende milioni di stelle! “Guardare il Cielo”, come disponibilità della vita a “salire” con gli occhi verso l’Alto, dove abita la Pienezza della Verità e di Grazia, la Pienezza di Umanità che tra-scende e si incontra con il nostro tra-salire. “Guardare il Cielo”, come ha fatto Gesù per sintonizzarsi con il cuore del Padre e porre in esso ogni volto, ogni vicenda, ogni strada incontrata. Solo guardando il Cielo, si comprende il senso profondo della Storia, si ascolta il grido dell’uomo che implora la salvezza, la dignità, la compassione, la speranza, che implora una casa ospitale per la sua storia travagliata, una casa fatta di carne, una casa che sia cuore pulsante, amore e solidarietà. Lasciamoci condurre per mano in questa “pau-

sa di riflessione” dalle parole, dalle idee, dalle immagini e, come giovani, proviamo a riflettere sul valore della solidarietà, che significa empatia nei confronti di noi stessi e degli altri, dono che ci viene dall’Alto. Facciamo decantare dentro la canzone di Renato Zero: ci aiuterà a vestirci della quotidianità provata di tanta gente. Mettersi nei panni dell’altro è il primo passo che costruisce in noi una vera umanità.

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

Salvami Non emarginarmi no A capirti imparerò Eccomi Privo di ogni volontà Non ho un nome, non ho età Un Dio Il tuo o il mio Non può volere tutto ciò Vita che Si ricicla come può Se ho fortuna sbarcherò Anch’io ho fame anch’io Ho freddo come hai freddo tu Se vuoi Comprendimi Ti rispetterò Io ti ripagherò

Dal mare arriverò Con i fratelli miei Ne ho persi tanti che Se guardi il cielo capirai Non si è sicuri mai Stipati siamo qui Potrei lasciarmi andare Finirla anch’io così

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Davvero una pazzia Con questa alta marea Sperare di raggiungere la riva Quella mia Né fiori né bandiere Almeno un sogno che Io possa ritrovare in me Penso a te E di colpo l’armonia Hai una casa tutta tua Non c’è Chi aspetta me Neppure chi mi piangerà Se vuoi Ricordami In fondo a quell’indifferenza Annego io Il mare che sfidai Riempie gli occhi miei Speranza almeno tu Non ti sei dileguata mai La pace che vorrei Non la conoscerò Ma almeno a questo mondo non mi consegnerò Non c’è più libertà Né solidarietà Le differenze offendono chi non le capirà Un posto accanto a te È un lusso casomai Io non riesco ad odiarti! Avrei potuto amarti Ma un’onda viene su Io non avrò più un nome Mai più


Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

Sarajevo, 5 Febbraio 1994

Alcune granate serbe sparate dalle montagne cadono su una folla di civili nel mercato di Markale, nel centro di Sarajevo, provocando sessantotto morti e duecento feriti.

essere consapevoli di ciò che ci sta intorno, comprenderne le ragioni, difenderle: per gli altri, ma anche per noi stessi. Essere solidali è un gesto, oserei dire, “egoista”, necessario. Ora, proviamo, in poche parole a definirla. Facciamolo qui:

Penso parole…

... mani insanguinate di un sangue non mio parole urlate da volti che non conosco morte che mi sfiora, che mi gira attorno che, come tramontana, cala dai monti, spavalda, improvvisa e mi rende prigioniero di corse senza fine... Che cosa è la solidarietà in luoghi così estremi? A cosa serve la solidarietà in situazioni ingovernabili? Credo che la parola “solidarietà” stia tra le parole più tristemente abusate. Molti gesti e molte azioni si nascondono dietro di lei, ma nulla hanno a che vedere con essa. Nel numero precedente abbiamo già toccato l’argomento, provando a definire l’essere solidali come una condizione essenziale, soprattutto in questo momento storico, come l’atteggiamento che serve a tutti, la provocazione che ci salverà. Essere solidali non vuol dire essere “buoni”, ma

Molti di noi si sentono solidali dando qualche spicciolo al mendicante all’angolo della strada, altri inviando un sms all’Unicef o ad altre organizzazioni umanitarie (parola spesso male utilizzata). Certamente serve anche questo, ma… ci siamo mai fermati a parlare con il mendicante beneficato? Abbiamo approfondito gli scopi legati alla richiesta dei soldi, alla loro distribuzione? Dare soldi è facile, per chi ne ha, ma un gesto, uno sguardo, una parola, spesso, hanno un effetto e un valore che nessuna moneta può compensare. Durante gli anni in cui ho vissuto e lavorato nei luoghi della guerra e della sofferenza, attraverso le organizzazioni con cui collaboravo, ho fatto molte cose materiali: costruito case, scuole, chiese, trasportato profughi in luoghi più sicuri, consegnato cibo, coperte... Per questo motivo la gente mi chiamava in molti modi: chi “umanitario”, chi “solidale”, chi “coraggioso”, “buono”, “altruista”… Beh!, non mi sono mai lasciato cucire addosso alcuna di queste definizioni: era il mio lavoro ed ero lì per quello; ero pagato per quello! Forse avrebbero semplicemente potuto chiamarmi “professionista di interventi d’aiuto”, “cooperante” o altro, ma “solidale” e “umanitario” proprio no!

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

Chissà perché ho dimenticato i volti delle persone alle quali ho costruito una casa, alle quali ho consegnato un pacco viveri, alle quali ho dato coperte… Chissà per quale strano scherzo dei giorni, invece, ricordo benissimo gli sguardi, i sorrisi, i pianti e gli abbracci delle

persone alle quali ho dato nulla di materiale, ma consegnato me stesso, la mia presenza, la mia comprensione… Condividere una situazione, avvicinarla senza giudicarla, viverla anche solo per un momento è uno dei ge-

sti più disarmanti che esistano, forse proprio perché mai scontato. Milica, Marja, Kristina, Milos, Jovo, Paco e molti altri… a loro ho dato nulla se non un “eccomi, sono qui, vi sono vicino” e sono stato ripagato mille volte di più, sempre con la stessa moneta, con la stessa vicinanza. Mi sono chiesto molte volte da dove venisse quella soddisfazione di pienezza che avvertivo dentro, così difficile da descrivere, troppo profonda per emergere completamente sul pelo dell’anima; mi sono convinto che quel sentire era il vero scopo della mia presenza e che l’aiuto materiale era solo un pretesto per stare lì, a condividere un po’ della loro sofferenza. Ho provato a spiegarlo, prima di tutto a me stesso, e poi agli altri, ma non credo di esserci riuscito e, sinceramente, non ho ancora una risposta chiara. Quello che so per certo, però, è che funziona! Non occorre andare lontano per sperimentare la solidarietà: le nostre città ci offrono innumerevoli occasioni. Proviamo a parlare col mendicante, a sederci cinque

minuti con lui, a fermare un africano e farci raccontare di sé, di casa sua, della sua famiglia. Proviamo a prendere per mano un bimbo rom senza schifarci dei suoi

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Giovani generazioni: storie, volti, musica... per dire la fede

vestiti sporchi e chiediamogli di cantarci una delle sue canzoni; sediamoci in treno accanto ad una prostituta, diamole del lei, trattiamola gentilmente, facciamola sentire una persona rispettata. Questi gesti riempiranno il loro e il nostro cuore più di qualsiasi altra azione umanitaria.

Concludo, riportando stralci del discorso che Papa Giovanni Paolo II fece il 22 ottobre 1978. Sono parole sempre emozionanti e cariche di significati…

di fesideri che provate de di on of pr ei qu ezza e di della vostra giovin Non abbiate paura e! onte. e di durevole amor a zz lle be che vi stanno di fr di , de tà ri an m do le al licità, di ve re sposte ve ai di ricercare le ri E non stancatevi m stessi! più ritroverete voi e te re ne do ù pi : animo, del di perdervi profondo del suo l ne , ro nt de Non abbiate paura a rt sa si po ’ invaso dal l’uomo non sa co su questa terra. E ta vi a su Oggi così spesso lla de o sens oro con esso è incerto del – vi prego, vi impl di in qu , te te suo cuore. Così sp et m er .P role di viuta in disperazione mo. Solo lui ha pa uo l’ al e ar rl dubbio che si tram pa di risto ia – permettete a C umiltà e con fiduc . ta, sì! Di vita eterna

Ed ora, buona strada, amici, “Guardando il Cielo” per imparare l’umanità! Mauro Barisone e Suorbì maurokos@hotmail.com - sr.b@tiscali.it

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Una storia vera... anzi inverosimile!

La gioia è Lungo il cammino di crescita, Anche grazie all’incontro con Padre Turoldo iniziai a sperimentare la fede come qualcosa che trascende lo spazio privato, qualcosa che ha un respiro molto più ampio… … cose che mi permettevano di comprendere che nella Chiesa nessuno è disoccupato.

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R

icordo i miei sedici anni come un

tempo alquanto impegnativo. Stavo prendendo sempre più consapevolezza che la mia situazione non era transitoria, che le complicazioni respiratorie si sarebbero ripetute; in effetti quell’anno finii nuovamente in rianimazione. In quel frangente accaddero due o tre cose che furono per me significative; successivamente mi accorsi che influirono sulle mie riflessioni, sulla lettura della mia realtà. Il frequente ripetersi degli episodi mi rivelarono come la mia situazione fosse più impegnativa di quanto non l’avessi considerata fino ad allora. Fu un’infermiera della rianimazione, in modo piuttosto duro, mi parve allora, a dirmi che queste difficoltà avrebbero anche potuto essermi fatali. Da pochi anni avevo cominciato ad accettare la carrozzina; crescendo, però, era diventato più difficile spostarmi; comunque la utilizzavo soltanto all’interno perché mi vergognavo ad uscire.

Forse proprio perché fino ad allora io avevo anche continuato a sperare che la mia situazione fosse transitoria e la mia necessità di utilizzare la carrozzina non fosse definitiva.


Una storia vera... anzi inverosimile!

possibile! parola di Cecilia (quarta puntata)

momenti di dolore... di luce...! Facevo fatica anche ad accettare di vedere il mio corpo riflesso nella vetrina del negozio della macelleria e, quando la mamma mi sedeva in carrozzina, cercavo di farmi mettere un

po’ nascosta perché mi era difficile pensare che gli altri mi vedessero. Anche se cercavo di contenere dentro di me le reazioni che vivevo interiormente, in particolare con la mamma, il mio umore si rivelava nella sua alternanza e spesso avevo scatti di rabbia ingiustificati. D’altro canto mi proponevo di non appesantire troppo i miei che vedevo già provati dalle difficoltà di salute mie, di Giacomo e della mamma che, dopo una breve parentesi di ripresa, seguita all’intervento al seno, stava ripresentando ulteriori complicazioni. Ogni tanto emergevano reazioni di fatica, di scontentezza; il mio timore era quello di essere esclusa dalla realtà delle mie coetanee, di non poter vivere, come loro, quello che sognano le ragazzine a sedici anni. In ospedale, un medico che si dilettava a disegnare, mi disse che avevo un bel viso e fece uno schizzo veloce ritraendo i miei lineamenti di ragazzi-

na con i codini e lo sguardo serio su un foglio trovato lì per lì, con l’intestazione del reparto. Questa sua attenzione fu un piccolo aiuto a beneficio della mia auto-considerazione.

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Una storia vera... anzi inverosimile! Ma l’incontro che mi segnò profondamente, in occasione di quel ricovero in rianimazione, fu con una ragazza, pochi anni più grande di me, molto bella, sposata, un figlio piccolo, un buon impiego: aveva tentato di togliersi la vita. Era la prima volta che incontravo questa realtà …; mi chiedevo cosa la spingesse a ciò, considerato che aveva quanto io sognavo. Compresi allora che, per quanto desiderabili, non bastavano salute, bellezza, amore, lavoro... A lungo mi chiesi, quindi, cosa mancasse a quella ragazza. Questo incontro fu per me fondamentale, scatenando un vortice di riflessioni sul senso della vita per me, sulla fede. Intanto, come i nuvoloni che si avvicinano prima di un temporale, si stava preparando il periodo forse più drammatico che la nostra famiglia ha vissuto. Il 1974 fu sicuramente un anno molto difficile. L’inverno vide l’aggravarsi della mamma, allettata per un anno, perché il tumore si era manifestato nuovamente con metastasi. Io e lei passavamo lunghe giornate fianco a fianco sul suo letto. Il 24 febbraio ‘75 anche Giacomo morì: aveva avuto un’ulteriore complicazione respiratoria iniziata con un’influenza precipitata, poi, in modo irreversibile. Ricordo il giorno del suo funerale. Per risparmiare alla mamma le fatiche di tanta gente che andava e veniva a visitare la salma, Giacomo venne collocato in una stanzetta al piano terra. Né io né lei potemmo vederlo, fino a quando, il giorno del funerale, lo portarono di sopra, steso su un asse, prima di chiuderlo nella piccola bara. Il suo

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corpicino irrigidito, vestito dalle zie con pantaloni blu e la camicina bianca, pareva essersi allungato. Era un ometto che aveva già affrontato una grande realtà: la morte! Questi i miei pensieri che mi avevano fatto scoppiare in un pianto dirotto; non ero riuscita a trattenere la mia angoscia nel vederlo così … La mamma quasi mi consolava. Per lei, consapevole della gravità della sua situazione era, in un certo senso, un sollievo. E si lasciò andare nel dire che, forse, era meglio che lui se ne fosse andato prima di lei, perché la sua preoccupazione era proprio di lasciarlo qui, ancora così piccolo e bisognoso. Era preoccupata di non poterlo accompagnare ancora qualche anno. La mamma si stava preparando, senza dirlo, ad andarsene. Aveva capito che la sua non era soltanto una brutta artrosi, che la stava bloccando a letto da mesi e che le dava quei dolori così tremendi … come volevamo farle credere, ma che la malattia sarebbe stata molto più infausta; nessuno aveva il coraggio di parlarne apertamente. Vero è che papà, qualche volta le aveva detto: “Maria hai un tumore, ma con la preghiera vedrai che ce la faremo, il Signore ci farà la grazia”. Di quel 1975 ho ancora nella memoria momenti precisi trascorsi assieme a lei. Ricordo il Sabato Santo. Il sole del tramonto coloriva le colline che noi vedevamo dalla finestra. Tutto era terso, bello, luminoso, coi colori caldi di quel giorno che s’avviava verso la sera, quando sentimmo le campane sciogliersi in un suono che annunciava la Risurrezione. Mentre tutti erano presi a organizzare la Pa-

squa, con chi e cosa mangiare e quali le funzioni a cui partecipare, mentre tutto fuori era in fermento, io e la mamma eravamo lì nel letto... Il Rosario che io avevo pregato lentamente, lasciando che lei rispondesse sottovoce, perché aveva poco fiato, e i dolori la consumavano … e noi due eravamo lì ad accogliere questo annuncio di Risurrezione che ci sembrava parlare di una vita che non finiva, anche se ci stava tormentando, anche se ci aveva appena portato via il piccolo Giacomo e, ancora prima, Livio. Mentre tenevo la mano smagrita e bianca della mamma, provavo una grande emozione. Il nostro cuore si era come sintonizzato con quei primi rintocchi, annunci della Pasqua.

Quell’ora sembrava quasi confermarmi un Amore che vince sulla morte, che non ci avrebbe separate. L’intensità di quel pomeriggio è rimasta per me collegata alla Pasqua.


Una storia vera... anzi inverosimile! La mamma morì domenica 8 giugno di quel doloroso 1975. Durante la notte tra il 7 e l’8 mi svegliarono. Avevo chiesto di essere accanto a lei nell’ultimo momento della sua vita. Era sopita. Dopo tanta sofferenza, tanto dolore, tanta fatica dei giorni prima, era quasi scivolata via. Ricordo quel momento come uno sballottamento, un terremoto dentro di me. Morta la mamma, mi sentivo inadeguata ad affrontare la vita e mio padre altrettanto! Lui era spaventato dalle responsabilità che si era ritrovato addosso perché, fino ad allora, era sempre stata la mamma ad occuparsi di me e dei miei fratelli. Mi sentivo angosciata pensando di dover dipendere dagli altri per l’aiuto necessario. Mi sentivo veramente orfana; la sensazione era quella di non sapere a chi far riferimento, a chi sentirmi affidata; mi sarebbe piaciuto scomparire, andar via con lei... Non avevo nessuno cui poter comunicare la mia angoscia, il vuoto che sentivo dentro e attorno a me. Scrivevo lettere a mia mamma, che poi distruggevo accuratamente, cercando un po’ di sollievo, e non so come, ma questo mi aiutava. Di lettere a mia mamma ne conservo solo una, scritta anni dopo, in tempi di serenità … Sì, ricordo i miei diciotto anni come il periodo più duro; lì dovetti necessariamente diventare adulta. Quell’anno segnò l’avvio di una nuova impostazione di vita che mi rese, di certo, più responsabile. Non potevo permettermi, né volevo pesare passivamente su papà che stava facendo una fatica incredibile a rimettersi in piedi. Dovevo fare la mia parte per ritrovare la nostra famiglia.

In un certo senso, papà e io, eravamo due estranei; in aggiunta, c’erano anche problemi organizzativi ed economici. Papà, rimasto vedovo a quarantotto anni, in un primo tempo aveva pensato all’eventualità di trovare una persona con cui risposarsi. Non era facile trovare qualcuno che accettasse entrambi, del resto papà escludeva la possibilità di un mio ricovero in un Istituto. Nel contempo sentivo che, proprio perché doveva curarsi di me, papà reagiva alla sua fatica. Lentamente, abbiamo visto allargarsi la cerchia di amici e conoscenti che ci aiutavano nella quotidianità e di sicuro il non sentirsi più così solo ad occuparsi di me, lo rassicurò. Eravamo entrambi bisognosi di serenità, potevamo allontanarci, pensando ognuno al proprio dolore, oppure unire i nostri limiti e le nostre forze e cercare una collaborazione che rendesse più accettabile la situazione. Forse per la disperazione, o per il bisogno di sostenere papà, comunque ho cercato di fare quanto potevo, di impiegare tutte le mie capacità, anche dal letto, per collaborare all’organizzazione della casa, come negli ultimi mesi, la mamma aveva fatto, anche dal letto. Così coordinavo gli aiuti che ci davano: chi per pulire, lavare, vestirmi, fare la spesa. A modo mio cercavo di tamponare quello che mi era possibile e mi accorsi che il mio impegno era utile e dava un po’ di fiato a papà, sollevandolo da una serie di lavori in più … questo ha fatto in modo che non mi adagiassi. Quegli eventi crearono reazioni profonde nella mia fede e anche in quella di papà.

La fede: da sempre l’avevo respirata in famiglia. Da adolescente era scattato il rifiuto di un’immagine consolatoria della fede che assolutamente non tolleravo. No, non accettavo che fosse un abbarbicarsi a Dio, ad un modo di vivere quietante e passivo in cui rifugiarsi, come fuga dalla concretezza della vita. Questo modo di vedere la fede non mi corrispondeva e accettandolo penso che avrei fatto torto al Signore, perché lui ci chiama alla relazione. Anche grazie all’incontro con Padre Turoldo iniziai a sperimentare la fede come qualcosa che trascende lo spazio privato, qualcosa che ha un respiro molto più ampio. È stato lo scorgere la presenza di Dio, non lontano e onnipotente, ma il Padre che entra nella mia storia, che

incontra tutta la mia realtà. Scoprendolo e scoprendomi: mi sono messa in ascolto e pian piano mi sono accorta che, nella misura in cui aprivo la porta, raccoglievo tracce che cominciavo a leggere in modo diverso. Negli anni, mi sono accorta che uno scatto era avvenuto quasi inconsapevolmente, ma concretamente, quando ho cominciato a raccogliere la mia vita così com’era. Ho trovato nella mia quotidianità quegli elementi che

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Una storia vera... anzi inverosimile! mi permettevano di affrontarla, a partire dalla mia situazione, cercando di favorirne gli aspetti più positivi, più creativi. Cose semplici che però mi permettevano di comprendere che nella Chiesa nessuno è disoccupato. Ognuno può avere un suo spazio, una sua collocazione, una sua presenza attiva. E pensare che un mio antico timore era che la mia vita fosse una sorta di limbo, temevo una sorta di isolamento, di solitudine affettiva e mi sono accorta che la vita sorprende. E mi rendevo conto di questa chiamata a servire, ad essere disponibili, cercare di esserci per agli altri, costruire rapporti veri, significativi era una conseguenza che veniva quasi da sé. E allora non c’è disabilità che tenga, c’è una chiamata ad essere viva e presente, a considerare coloro che abbiamo accanto. E scoprivo come questo poteva tradursi concretamente anche nella mia vita. Ora, anche se io sto qui in una stanza per dei mesi interi, sento che il mio spazio è diventato vasto, ricco di relazioni, di affetto, che per me è ossigeno. Raccontare quanto si è intessuto in esperienze di vera amicizia, di generosa, disinteressata collaborazione, di benefici ricevuti nello scorrere degli anni, su su fino ad oggi, non so quante pagine riempirebbe e riuscirei a dire soltanto qualche cenno di quanto è avvenuto nella nostra realtà, grazie a chi ci ha aiutato in mille modi, sostenendoci concretamente, materialmente, affettivamente. Persone che ci hanno aiutati a vedere la mano di Dio, la Provvidenza all’opera. Provvidenza, amicizia e fiducia hanno dato i loro frutti...

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Coi nuovi contatti, nuove amicizie, mi si è anche presentata l’opportunità di riprendere lo studio. Avvertivo l’esigenza di uno spazio che mi facesse sentire in relazione con la vita di tutti. Ripresi a studiare pensando che, attraverso una preparazione scolastica diversa, avrei potuto trovare anche una mia attività, qualcosa in cui sentirmi realizzata, o comunque avere maggiori possibilità per potermi esprimere. Custodivo un buon ricordo delle mie precedenti esperienze di scuola in Fontana e di quando, a tredici/quattordici anni, avevo superato gli esami di prima e seconda media, grazie all’aiuto di un insegnante in pensione che mi aveva permesso di studiare a casa. Le situazioni che ho raccontato mi avevano costretta a sospendere senza ultimare le medie. Mi piaceva disegnare e, grazie alla disponibilità e collaborazione di altri insegnanti, terminai le medie ed iniziai il liceo artistico. Naturalmente ripresi la scuola sempre come privatista. Quello fu per me aggiungere un’esperienza arricchente sotto vari aspetti poiché mi apriva a nuovi spazi e pensieri, contatti e conoscenze;

inoltre, mi rendevo conto che tutto questo stava rafforzando la fiducia in me stessa, nelle mie possibilità. Con buone soddisfazioni intrapresi l’università, ancora con indirizzo artistico, essendo l’arte la cosa che più mi interessava approfondire. Si ripresentò poi un periodo molto pesante in ospedale ... dovetti fare un po’ i conti con le mie forze fisiche che andavano riducendosi e, nel frattempo, essendo aumentato il via vai di casa, a un certo punto scelsi a cosa dare priorità, nella gestione delle mie giornate. Capii che le realtà di scambio, intessute poco a poco, erano irrinunciabili. E a quel punto lasciai l’università. L’amicizia era ed è tutt’oggi, fulcro della mia esistenza. Certo, affrontare la realtà all’interno di una situazione di disagio richiede certamente un costante sforzo di creatività e di energie, ma è un po’ una sfida: ogni barriera che si riesce a superare, ogni situazione che si riesce a vivere rendono tutti un po’ più forti, un po’ meno soli e meno spaventati nelle prove, perfino un po’ più fratelli e ci rende più facile pensare a Dio come Padre.


Una storia vera... anzi inverosimile!

QUALE SARÀ IL MIO POSTO?

A mia madre! Da quanto tempo, per una sorta di pudore, quasi tra me questi pensieri, ma forse questa è l’occasione per dirteli, dirteli ad alta voce...

Quale sarà il mio posto nella casa di Dio?

Tante volte ho ripensato a quegli anni duri, i tuoi ultimi anni di vita; allora non riuscivo proprio a scorgere nessun segno di speranza, nessuna promessa per la mia vita; avevo dentro una rabbia sorda, chiusa, con tutti e con tutto e, quando ti dicevo che non l’avevo scelto io di esserci, quanta desolata impotenza nei tuoi occhi tristi.

perché Tu sei fatto così:

Lo so, non mi farai fare brutta figura, non mi farai sentire creatura che non serve a niente, quando ti serve una pietra per la Tua costruzione, prendi il primo ciottolo che incontri, lo guardi con infinita tenerezza e lo rendi quella pietra di cui hai bisogno: ora splendente come un diamante,

Pian piano ho incominciato a non scartare più – in toto – la mia realtà, a sentirmi meglio con me stessa e con gli altri.

ora opaca e ferma come una roccia,

Sai mamma: ora di cose buone ne sono avvenute e ti avrei voluta e ti vorrei qui, soprattutto nei momenti belli, vorrei ridere con te e assieme gustare una quotidianità molto più tranquilla e serena.

con la potenza della Tua pazienza,

Beh… adesso riconosco che la mia vita è un’avventura più appassionante del previsto: spazi imprevedibili si sono aperti, come non dirlo, con riconoscenza, a te, che per me, con me, tanto hai penato? Quante cose da raccontarci.

ma sempre adatta al Tuo scopo. Cosa farai di questo ciottolo che sono io, di questo piccolo sasso che Tu hai creato e che lavori ogni giorno con la forza invincibile del Tuo amore trasfigurante? Tu fai cose inaspettate, gloriose. Getti là le cianfrusaglie e ti metti a cesellare la mia vita. Se mi metti sotto un pavimento che nessuno vede ma che sostiene lo splendore dello zaffiro o in cima a una cupola che tutti guardano e ne restano abbagliati, ha poca importanza. Importante è trovarmi ogni giorno là dove Tu mi metti, senza ritardi. E io, per quanto pietra, sento di avere una voce: voglio gridarti, o Dio,

Con tenerezza la tua söcuna* Valbrembo, gennaio 1998

la mia felicità di trovarmi nelle Tue mani, malleabile, per renderti servizio, per essere tempio della Tua gloria.

* testarda

Cecilia

(Card. A. Ballestrero)

Cecilia (continua…)

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“Bergamaschi DOC”

Antonia Loc “Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo”. (Mt. 20, 26)

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Martire in Rwanda A

ntonia Locatelli era una donna semplice e generosa, tenera e rigorosa. Era nata a Caravaggio, provincia di Bergamo, il 16 ottobre 1937. La sua famiglia, però, viveva a Fuipiano Imagna (BG) ed era formata da cinque sorelle e un fratello. La sua era una famiglia povera, ma piena di timor di Dio e di fede. Una famiglia tipo come si può vedere nel film di Ermanno Olmi: “L’Albero degli zoccoli”. La sorella Maria dice di Antonia: “Era molto dolce e sensibile. Sapeva coniugare, quand’era necessario, la severità con la dolcezza. Nella

sua vita ha sempre praticato e insegnato la preghiera e il perdono. Viveva intensamente l’ideale del servizio e della gratuità che portava nel cuore già dagli anni della sua giovinezza. Poté realizzare la sua vocazione missionaria solamente dopo i ventun’anni, quando era in Svizzera e diventò maggiorenne”.

Un diploma di infermiera, sudato e fortemente voluto Aveva solo quindici anni quando, come emigrante, raggiunse una so-


“Bergamaschi DOC”

atelli di Fuipiano Imagna (BG) rella che già lavorava in Svizzera. Anni di duro lavoro, alternato allo studio, le permisero di conseguire il diploma di infermiera. Aveva sempre sognato di fare la missionaria in Africa e questo diploma, sudato e fortemente voluto, le avrebbe permesso di realizzare la sua vocazione missionaria. Antonia era in Rwanda da ventun’anni quando venne uccisa. Prima aveva vissuto alcuni anni anche nel Benin, sempre come missionaria. Nel 1971 visitò il Rwanda e decise che in questo Paese avrebbe vissuto e

speso la sua vita. Dirà Suor Gianna Magistris, Responsabile della Comunità religiosa femminile di Nyamata, dove venne uccisa: “Antonia, con la sua vita, il suo impegno e il suo martirio, ha fatto onore alla Chiesa e all’Italia”. Antonia è ricordata dai suoi amici e da coloro che l’hanno conosciuta, per la sua grande forza d’animo e la sua generosità. Qualsiasi cosa possedesse, o le mandassero, era per tutti. Soprattutto lo investiva nella scuola del “Centro” di cui era responsabile. Quando morì, sul suo conto corrente in banca non c’era niente! Neppure i soldi del funerale, come si suol dire… Con l’appoggio di un missionario saveriano italiano, don Giuseppe Minghetti, Antonia diede vita ad un “Centro” per l’accoglienza e l’educazione di ragazzi e ragazze minorati; in tutto il paese era l’unica Istituzione di questo tipo. La gestione di questo “Centro” le impegnava tutta la giornata e, qualche volta, non bastava. Però, ella era sempre disponibile per qualsiasi altro bisogno. Scrive Mons. Franco Givone che fu

responsabile del CUM (Unione Chiese Missionarie) settore Africa, in occasione della morte di Antonia Locatelli: “Antonia non ha fatto miracoli in Africa. Semplicemente ha saputo camminare con la sua gente condividendone l’insicurezza e la povertà”. Antonia, durante questi anni di missione, si è sempre prodigata a favore degli ottantamila abitanti della missione di Nyamata, affidata alla responsabilità dei Padri Bianchi. Con la collaborazione di Antonia fu possibile, infatti, aprire ambulatori, allestire scuole artigianali e agricole, scavare pozzi per bere acqua pulita e per irrigare i campi.

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“Bergamaschi DOC”

era certa di servire il suo Dio, usando carità e accoglienza nei loro riguardi. Antonia aveva scelto proprio il Rwanda per testimoniare l’amore, il perdono, l’accoglienza perché, secondo lei, era la terra più bisognosa.

Il martirio della Chiesa cattolica e dei missionari Amara e dolce Africa! La missione di Nyamata, dove Antonia ha donato la sua vita, sorge a circa 30 chilometri a sud della capitale Kigali e si estende su di un territorio molto vasto. Nel 1992 stava divampando, in Rwanda, una feroce guerriglia tra le due etnie principali del Paese: gli Hutu e i Tutsi. Proprio vicino alla missione, e non molto lontano dal Centro che dirigeva Antonia, era stato allestito un campo profughi che ospitava circa settemila Tutsi e questo fatto la dice lunga in tutti i sensi. E’ risaputo, infatti, che attorno a queste tendopoli di rifugiati si nascondono sempre interessi, corruzione e miserie di ogni tipo. Tutti sapevano che Antonia assisteva quei profughi, ma sapevano anche che per lei c’erano solamente persone da aiutare e da amare. Per lei erano soltanto poveri; erano figli di Dio ed essa

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Il Rwanda, questa piccola Repubblica nel centro dell’Africa, che conta circa 7 milioni e mezzo di abitanti sparpagliati su duemila colline, è poco più grande della Sicilia. In questi ultimi anni, i paesi dei Grandi Laghi (Rwanda, Burundi, Congo e Uganda), sono stati spesso, e lo sono ancora purtroppo, sulla cresta della storia per quanto riguarda i massacri, le guerre, le rivalità, gli attentati, a causa anche della ricchezza e della bellezza del loro suolo e sottosuolo. I Tutsi sono i discendenti degli alti pastori nilotici che affidavano i lavori servili dell’agricoltura e dell’artigianato agli Hutu. Erano questi ultimi a lavorare e a portare avanti l’economia del paese, anche perché erano la maggioranza della popolazione. I Tutsi, infatti, sono circa il 15% della popolazione e hanno sempre detenuto il potere. Al tempo della morte di Antonia, gli Hutu avevano da poco ottenuto la prima sedia nel Parlamento della giovane Repubblica. Le posizioni si erano rovesciate ed era in corso… “una caccia ai Tutsi”. La “caccia agli Hutu”, invece, incomincerà dopo l’attentato e la morte del Presidente Hutu del Rwanda. Le vendette non finiscono mai, se non si entra nell’ordine del perdono.

La missione di Antonia e della Chiesa cattolica in genere, risultava difficile perché, in genere, è l’unica forza di opposizione alle dittature e ai gravi squilibri sociali. La Chiesa e i missionari non sono visti bene dai dittatori, perché sanno di non averli alleati nelle loro ingiustizie.

“Non c’è amore più grande che dare la vita per gli altri” (Gv. 15, 13). Antonia è stata uccisa verso la mezzanotte di lunedì 9 marzo 1992, mentre stava dirigendosi verso il Campo profughi vicino al suo Centro e, quindi, alla sua abitazione. Durante la notte, nonostante il severo coprifuoco imposto dal Governo, dei soldati o dei vagabondi con l’abito militare, armati e minacciosi, penetrarono nel campo, tentando di violentare le ragazze colà rifugiate. Antonia, sentendo il grido di quelle donne, uscì di casa, nonostante il coprifuoco, per accorrere in loro aiuto. Questi uomini la vedono e sparano; Antonia morirà a causa di due proiettili che le hanno colpito il cuore e la testa. Ancora adesso non si è fatta piena luce sulla dinamica di questo assassinio... ma il suo sangue ha irrigato quelle zolle che lei aveva amato e sulle quali aveva lavorato con passione e con tanta fatica, ma il suo martirio era incominciato molto tempo prima perché il martirio è un dono e non vi si arriva impreparati... La sua vita, infatti, è stata tutta un martirio! La notte del 9 marzo 1992, ricevette solamente il sigillo del martirio: proprio come ha fatto Cristo sul Calvario. La Fede che l’aveva guidata e la


“Bergamaschi DOC”

Speranza che l’aveva sostenuta in quegli anni di missione, di passione e di martirio, lento e quotidiano, si erano abbracciate e si sono fuse in quel gesto supremo di amore, nel tentativo, cioè, di portare aiuto a chi stava subendo violenza e ingiustizie. Quando la gente seppe che Antonia era stata uccisa, disse che era venuto a mancare un angelo. “Voce di popolo, voce di Dio!” recita un proverbio. Erano tante, infatti, le persone che avevano ricevuto assistenza e comprensione da questa missionaria italiana.

Chi la uccise, voleva far tacere una voce scomoda Antonia è stata sepolta laggiù, nella sua Africa, fra la sua gente che tanto aveva amato e servito. La cerimonia funebre fu presieduta dall’Arcivescovo di Kigali, Mons. Vincenzo Nsenyumba, accompagnato da una ventina di sacerdoti e di missionari e da tantissima gente che piangeva e cantava per manifestare il suo grande dolore e il suo disappunto, ma anche la sua grandissima fede. Si sapeva che Antonia assisteva i profughi del campo vicino al “Centro”, (può essere una causa, questa, della

sua uccisione), ma era anche risaputo da tutti che per la missionaria Antonia quelle persone e quei poveri erano solamente persone da aiutare e da amare. Era insignificante per lei che fossero dell’una o dell’altra etnia.

Possedeva solamente una rubrica telefonica e niente altro Le giornate di Antonia erano interminabili: non contava certo le ore e non esauriva mai tutto quello che si proponeva di realizzare. Scrivono i coniugi Luciano e Anna Pocar di Bergamo, che visitarono in Rwanda Padre Minghetti e, di conseguenza, conobbero Antonia: “Antonia era una lavoratrice instancabile. Aiutava tutti, sia che fossero dell’una o dell’altra etnia. Non si tirava mai indietro e non era mai abbastanza stanca per rifiutarsi di fare un favore”. Nel suo paese d’origine, anche se vi passò pochi anni, fu sempre ricordata per il suo grande impegno religioso e sociale e per la disponibilità che dimostrava verso chiunque. Grande fu il dolore per la sua morte violenta. Scrive ancora Suor Gianna Magistris, responsabile delle Suore Salesiane di Nyamata: “Tutto il bene che Antonia ha fatto per questa gente in ven-

tun’anni, si è visto in un colpo d’occhio, nella partecipazione ai suoi funerali. Sembrava quasi che la gente non volesse credere o accettare che Antonia se ne fosse andata per sempre. Con la sua vita e il suo martirio ha reso onore alla Chiesa ed all’Italia”. Per comprendere, almeno in parte, il clima di terrore e di paura nel quale Antonia visse e venne uccisa, è il caso di riportare lo stralcio di una lettera che sedici missionari del Rwanda scrissero come un SOS angosciato al mondo cattolico, durante quella terribile guerra che fece centinaia di migliaia di morti: “…Vi invitiamo a pregare per la gente e con la gente, in mezzo alla quale viviamo e soffriamo. I civili sono terrorizzati; gli sfollati non sanno dove andare; i rifugiati rimpatriati non possono rientrare in possesso delle loro terre; gli ammalati, i sinistrati, gli orfani, gli handicappati, i feriti, sono un popolo infinito che soffre. E dire che la gente desidera solo vivere in pace! Preghiamo per la pace!”. Ora la Chiesa di Bergamo e la Chiesa del Rwanda sono unite nel ricordo di Antonia e la invocano come martire, nella fecondità missionaria della Croce. Per il popolo sofferente e perseguitato del Rwanda, Antonia Locatelli ha donato ventun’anni del suo tempo e poi la sua stessa vita. Il Signore non può che averle detto, la notte che ha bussato alla porta del Paradiso: “Vieni serva buona e fedele! Sei stata fedele nel poco, ti darò autorità su molto”. Assunta Tagliaferri

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Voci di casa nostra

“Nell’amore sponsale a Cristo crocifisso e risorto ci impegniamo a vivere la missione di Apostole educatrici con cuore di madre”. (dalla formula di Consacrazione - Costituzioni n. 31)

CALOLZIOCORTE (LC)

FRATELLI NELLA GIOIA DELLA MISSIONE 89° Convegno Missionario Diocesano 10° Convegno Missionario Ragazzi

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artecipando in gruppo al Convegno Missionario del 23-24 febbraio u.s., la Chiesa di Bergamo ci è apparsa una Chiesa viva, una Chiesa giovane, una Chiesa capace di sfidare il nostro tempo difficile, pieno di contraddizioni, un tempo in cui gran parte del popolo di Dio cammina nel deserto di una fede insignificante e chiede acqua, e chiede pane, incapace di riconoscere il Dio sempre presente che precede e accompagna i suoi passi verso una terra dove si

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celebra una vita nuova, una vita di verità, di giustizia e di libertà. Il Convegno è stato una grande opportunità per cantare la bellezza e la forza del nostro credere nella persona e nel Vangelo di Cristo Gesù e per rendere manifesta la gioia di un annuncio che sa andare oltre i propri confini. Stretti attorno al nostro Vescovo, Mons. Francesco Beschi, primo Missionario della Chiesa di Bergamo, guida sicura


Voci di casa nostra DALMINE (BG) SCUOLA DELL’INFANZIA “SAN FILIPPO NERI”

SCUOLA VIVA… ALLA SCOPERTA DEI SUONI

verso “la porta della fede”, ci siamo sentiti trasportare, insieme alla marea dei ragazzi e dei giovani partecipanti, dall’entusiasmo e dal desiderio di varcare i muri della Chiesa Cattedrale e tutti i muri del vivere umano e sociale per rivolgerci al mondo intero con “le mani e il cuore pieni di Vangelo”. I quattro giovani, testimoni coraggiosi, che hanno ricevuto il mandato di portare in Bolivia il Messaggio della Salvezza, ci hanno fatto sentire “uno con loro” felici di poter dire a tutti e ovunque che il nostro Dio è il Dio dell’amore, della compassione e della fedeltà e vuole offrire, a tutti e ad ognuno, la Sua Felicità. Approfittiamo per dire un grazie di cuore a Don Giambattista Boffi per l’ottima organizzazione del Convegno, brillantemente riuscito nonostante il disagio della neve; grazie, per l’entusiasmo con cui ci ha guidato e animato; grazie per averci donato l’occasione di portare a casa un cuore più ricco di stimoli e di convinzioni importanti per la formazione e la testimonianza di una vera missionarietà.

S

iamo noi, i bambini e le bambine del Nido, che vi parliamo! Quasi al termine dell’inverno sappiamo camminare, correre, arrampicarci, concentrarci in attività sempre più minuziose; ci concentriamo interessati di fronte alle immagini dei libri, balliamo e cantiamo con le prime parole che riusciamo a pronunciare… Ora abbiamo scoperto che il mondo è pieno di suoni e rumori e che non esistono solo quelli più comuni. Ogni oggetto, a seconda del materiale di cui è composto e in conseguenza al materiale e all’intensità con cui viene percosso, produce suoni molto differenti. Se percuotiamo con delicatezza o con forza, il suono varia e anche la nostra reazione è differente. Ridiamo di gusto quando sentiamo la nostra voce amplificata e ci spaventiamo quando qualcuno, improvvisamente, batte forte sopra ad un secchiello di ferro.

In questo laboratorio abbiamo usato barattoli di latta, scatoloni, carta, imbuti e tubi di cartone e di plastica. Ogni volta che sperimentavamo un materiale nuovo, al Nido compariva, per magia, lo stesso materiale, così potevamo esercitarci di continuo sul quel determinato suono che ci interessava! Siamo i più piccoli della Scuola, ma per noi c’è sempre un invito pronto! Come in ogni famiglia c’è rispetto e attenzione per ogni membro.

Il Gruppo Missionario Calolziese

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Voci di casa nostra TRA GIOIA E FANTASIA, ESPLORIAMO IL MONDO IN ALLEGRIA

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bambini della Sezione “Primavera” proseguono il loro avventuroso viaggio in compagnia del fantastico folletto Marameo che negli ultimi mesi ci ha accompagnato, attraverso attività e giochi, a vivere nuove scoperte cariche di divertimento e fantasia. Dopo aver viaggiato nel “mondo meraviglioso dei colori”, abbiamo stretto amicizia con il freddo, ma tanto affettuoso pupazzo di neve Frost che, in un primo momento, ci ha fatto conoscere alcuni elementi della stagione invernale come i fiocchi e successivamente ci ha guidato nell’esplorazione delle principali forme geometriche: un mondo speciale dove abitano il signor Cerchio, il signor Quadrato e il signor Triangolo. Ma il mese di febbraio ci ha riservato nuove ed entusiasmanti sorprese: in occasione del Carnevale, il nostro caro amico Marameo ci ha presentato Coriandolino, un pagliaccio tutto matto con il naso un po’ a patata, con un fazzoletto a pois e con una parrucca appariscente che ha reso la nostra festa di Carnevale ancor più divertente… per un giorno bambini ed educatrici ci siamo “trasformati” in colorati pagliaccini.

in Chiesa, non accompagnati da mamma e papà, ma dalle educatrici e abbiamo vissuto questa esperienza con molto entusiasmo e un po’ di agitazione. Nel mese di marzo, con la Quaresima e l’avvicinarsi della Pasqua, con il nostro fedele amico angioletto Benedetto abbiamo sperimentato, attraverso un cammino comune di preparazione alla santa Pasqua, “la gioia dello stare insieme”, sia a scuola che a casa con la propria famiglia. Le educatrici e i bambini della Sezione Primavera

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CAMMINANDO… SI DIVENTA GRANDI!

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Dopo il Carnevale, abbiamo vissuto un altro momento importante... siamo andati in Chiesa, dove il Parroco Don Roberto ci aspettava per il Rito delle Ceneri. Per noi bambini è stato emozionante, visto che era la prima visita

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da quando abbiamo mosso i primi passi, che noi e i nostri figli, comprendiamo l’importanza e tutto ciò che racchiude quel traguardo raggiunto, quella prima forma d’indipendenza. La Scuola dell’Infanzia ha tra le sue finalità proprio il consolidamento dell’autonomia: la Scuola San Filippo promuove, così, ogni anno iniziative orientate in tale direzione. Al via allora, da giovedì 28 febbraio, la fantastica esperienza del Piedibus. Promossa ormai da diversi anni con un’adesione massiccia che coinvolge anche i bambini del Nido Arcobaleno e della Sezione Primavera, anche quest’anno, mirabilmente organizzata dal Gruppo Piedibus composto da alcuni genitori della Scuola, la “novità” ha visto l’adesione di un folto numero di bambini. Un volantino accattivante è stato da tempo consegnato al-


Voci di casa nostra le famiglie per fornire tutte le informazioni necessarie: è piacevole vedere l’emozione dei bambini nell’imbucare il proprio nominativo nella coloratissima “casella postale Piedibus” e nel ricevere la fluorescente pettorina con nome, numero e logo simpaticissimo. E, se ai grandi (molti anche i nonni che si lasciano coinvolgere) sono lasciate le incombenze più formali del segnare le crocette per confermare la presenza su una determinata linea… (la Commissione cura ogni dettaglio organizzativo al meglio, non lascia mai nulla al caso!), i piccoli sono ancora più trepidanti nel prepararsi al primo di quello che è per loro un evento. Ebbene sì, perché i sentimenti suscitati dalla prima volta, che se pur accompagnato da un adulto a cui il bimbo vuole bene, fa’ anche lui il grande e va a scuola con gli amici sul Piedibus, rimangono indelebili! Così, dopo una buona colazione che dà la forza per affrontare il percorso e quel freddo che non ci vuole lasciare, si è pronti alle fermate vicine a casa in attesa che passi la propria linea. Qui però, un ringraziamento va ancora ai grandi: parecchie persone si sono rese disponibili per fare da conduttori, aiutare ad attraversare con i supercartelli di stop… Per non parlare della collaborazione con Comune e Vigili per apporre splendidi cartelli alle fermate e fare un sopralluo-

go sui percorsi con una delegata della Commissione (prima del via!). Ecco perché alla prima partenza non potevano mancare alcune persone importanti per i bambini: il Sindaco, Sig.ra Claudia Terzi, che si è congratulata con loro per l’impegno dimostrato, il Comandante della Polizia locale Dott. Amatruda, il Comandante dei Carabinieri Dott. Scerra, il Vigile Stefano e Don Roberto. Sono i pilastri della nostra Comunità, sui quali costruire nuovi progetti che guardino al futuro dei nostri bambini i quali, passo dopo passo, con basi solide e sicure, si ritrovino grandi, sani e saggi cittadini di domani. Il Gruppo Piedibus

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… E LI AMÒ SINO ALLA FINE…

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ome ogni anno, i genitori del Gruppo Preghiera hanno proposto a tutta la Scuola un momento di riflessione sulla Passione e Morte di Gesù. Come tema guida è stata scelta la frase del Vangelo: “… e li amò sino alla fine …”, segno dell’Amore infinito di Gesù verso i fratelli. In particolare, con questa frase, si è voluta sottolineare l’attenzione che tutte le nostre Parrocchie hanno verso il tema della carità e l’obiettivo che guida le proposte fatte alle famiglie della Scuola: obiettivo che in questo anno è stato suddiviso in tre tappe e propone di riscoprire la gioia dello stare insieme, per spiegare ai propri figli come è bello costruire nuovi legami e vivere la condivisione. Durante la preghiera, alcuni genitori hanno proposto dei quadri-sacri in cui si è cercato di evidenziare la solidarietà di Gesù verso ogni uomo e le paure degli uomini che molte volte non hanno il coraggio di mettersi in gioco, lasciandosi vincere dalle paure e dalla pigrizia, percependo

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Voci di casa nostra però che, oltre le nostre debolezze, c’è sempre una speranza perché siamo sorretti da un Padre che ci ama e ci accoglie nonostante le nostre incertezze, i nostri dubbi, le nostre fragilità. I quadri rappresentati sono stati sei: si è partiti con la lavanda dei piedi per sottolineare il senso del servizio; si è

proseguito con l’arresto di Gesù in cui si è evidenziata la solidarietà di Gesù con l’uomo. Quindi, nei due quadri successivi: il rinnegamento di Pietro e la condanna a morte di Gesù, abbiamo incontrato la fragilità dell’uomo che, davanti alle difficoltà o al mistero, rifiuta di lasciarsi coinvolgere. Per finire, abbiamo riflettuto sulla Morte e Resurrezione di Gesù per stupirci ancora una volta davanti al mistero di Cristo che stravolge la vita dell’uomo perché, quando tutto sembra essere finito, sa far rinascere la speranza e donare nuova vita. Questo particolare momento di preghiera si è svolto in un clima di profondo raccoglimento e di grande attenzione; per questo ringraziamo chi ha partecipato, ma anche e soprattutto chi si è impegnato perché la nostra semplice preghiera diventasse testimonianza della gioia che unisce le famiglie della “San Filippo”. Il Gruppo Preghiera

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GESÙ TU SEI BUONO COME IL PANE

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uesta la frase significativa che il Parroco Don Roberto, nella mattinata del 1° marzo, ha ripetuto molte volte insieme ai bambini di cinque anni della nostra Scuola dell’Infanzia. In linea, infatti, con il tema annuale di educazione religiosa “Gesù Pane di Vita”, il Parroco di Dalmine ha voluto incontrare i bambini grandi per far rivivere loro le emozioni legate all’episodio biblico dell’Ultima Cena. Accolti nel salone della Scuola allestito per l’occasione, Don Roberto ha chiamato a sé i discepoli (alcuni bambini tra i presenti), dicendo loro come fece Gesù: “Ascoltatemi”. E se talvolta ai piccoli risulta difficile seguire questa indicazione, questa volta la magia ha funzionato: sarà stato il magnifico ambiente del Cenacolo (così presentato) o la voce rassicurante del Parroco, sta di fatto che tutti i bambini sono rimasti a bocca aperta ad ascoltare il racconto. Ha narrato loro che, una volta entrati in Gerusalemme, a Gesù sarebbero capitate cose spiacevoli, chiedendo quindi di dimostrare vicinanza e protezione verso il loro Maestro e facendo al tempo stesso comprendere ai bambini il valore della cena, quale momento per stare insieme. Ma prima Gesù fece un gesto importante verso i suoi amici: lavò loro i piedi; inevitabile per Don Roberto spiegare ai bambini il perché di tale azione, partendo dalla più semplice necessità di arrivare a tavola con i piedi puliti dopo aver camminato per strade polverose, fino a far loro comprendere che tale esigenza, normalmente soddisfatta dai servi, in questa occasione venne operata da Gesù in segno di umiltà e amicizia. Così investendo un bambino del ruolo di Pietro e subito dopo un altro di quello di Giuda, si giunge al momento più atteso: Don Roberto, dopo aver invitato i commensali ad “Amarsi gli uni… gli altri”, prende dalla tavola un grande pane e, ringraziando Dio, lo spezza per condividerlo con gli Apostoli e con tutti i suoi amici; ecco, allora, nascere la metafora del corpo di Gesù che, buono come il pane, piace a tutti, unico modo per far capire ai piccoli il mistero profondo dell’Eucaristia.


Voci di casa nostra

Condiviso poi del ginger al posto del vino, Don Roberto ha fatto ripetere ai bambini la frase “Fate questo in memoria di me”, spiegando come Gesù, se pur preoccupato per ciò che gli stava accadendo, pensi prima a tutti gli altri e desideri far festa. Non c’era occasione migliore per dare continuità all’obiettivo legato alla gioia dello stare insieme, condiviso da bambini e famiglie in questo anno scolastico.

Dopo la toccante immagine di un bambino che appoggia il suo orecchio sul petto di Don Roberto, come fece Giovanni con Gesù per ascoltarne il battito del cuore, non resta che coinvolgere tutti e salutarci con canti di lode al Signore! Grazie di cuore a don Roberto per aver guidato i nostri bambini alla scoperta dell’amore di Dio per ciascuno di noi! Suor Ignazia e le insegnanti

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UN’OCCASIONE PER FARE SOLIDARIETÀ E CONDIVIDERE!

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nche quest’anno, in occasione del periodo Quaresimale, mentre i bambini della “San Filippo Neri”

vengono coinvolti in un cammino di Educazione Religiosa, che propone un percorso sul “pane” per aiutarli a riscoprire l’essenzialità delle cose e la semplicità dei gesti, le famiglie sono state chiamate ad un obiettivo parallelo. Se quindi, verso la Pasqua, i bambini aiutano la famiglia ad aprirsi agli altri attraverso il simbolo del pane e le scoperte sul territorio, che consentono di sperimentare nuove relazioni positive, i genitori, dal canto loro si impegnano partecipando e lasciandosi coinvolgere dalle molteplici iniziative che consolidano legami e creano aggregazione con uno sguardo particolare all’Altro. Tutto questo ha preso forma e concretezza nella cena di mercoledì 27 febbraio, un appuntamento previsto come da calendario, nel quale tante famiglie si sono ritrovate presso i locali della Scuola per condividere un momento di riflessione che, mediante un’esperienza concreta, aiutasse grandi e piccoli a prepararsi ancor meglio alla Santa Pasqua con un sostegno ai meno fortunati. Il pasto, a base di riso bianco, patate e pane, così voluto proprio per ricordarci che la nostra abbondanza non è consuetudine di tutti, è stato preceduto da una riflessione per mamme, papà, con la guida di Don Roberto; meditando sull’importanza di divenire “strumenti del Signore” e di una “carità che non abbia finzioni”. Così, col cuore pronto a far comprendere anche ai propri figli l’importanza della serata, si è condiviso il cibo, gentilmente preparato dal Gruppo Ricreativo. I piatti offerti hanno ottenuto il gradimento di tutti, ma mancava ancora un gesto che desse l’occasione agli adulti di spiegare ai bambini cosa significasse la rinuncia di quella sera ad un pasto ordinario con la conseguente busta da devolvere alle mis-

sioni del Brasile e della Bolivia. Da qui l’idea delle mamme del Gruppo Ricreativo, unitamente all’insegnante Elena, di far portare a casa a ciascun bambino il calco della propria mano nella pasta di sale deposto su un vassoietto che riportava… “Al povero stendi la tua mano perché sia perfetta la tua benedizione”. (Siracide)

“ La mano pigra fa impoverire, la mano operosa arricchisce”. (Salomone)

Citazioni che ben racchiudono lo spirito della serata, in cui la GIOIA DELLO STARE INSIEME CON E PER GLI ALTRI, ha raggiunto il suo apice salutandoci con un bellissimo canto, animato dai bambini coinvolgendo i genitori per inneggiare insieme la lode al Signore. Commossi, stanchi, divertiti… sono tutti rientrati nelle proprie calde case con l’animo più pronto a cogliere il mistero della Risurrezione di Cristo, che si è donato per i suoi fratelli. Suor Ignazia e le insegnanti

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Voci di casa nostra BERGAMO SCUOLA MEDIA “MARIA REGINA”

PELLEGRINAGGIO AD ASSISI (8-10 febbraio)

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rmai da quattro anni, il nostro Gruppo di ex-alunni della Scuola media “Maria Regina” di Bergamo, organizza una giornata di animazione per i bambini di una classe elementare della Scuola primaria “Caterina Cittadini” di Calolziocorte, inserendosi pienamente nel Progetto didattico a sfondo integratore che la Scuola annualmente progetta. Dato che il tema di quest’anno vede i bambini impegnati ad approfondire la figura di San Francesco, non potevamo far a meno di condividere un piccolo percorso spirituale in Assisi prima di preparare i giochi a tema. Il gruppo si è preparato a questa bella esperienza di scambio e condivisione attraverso un percorso di riflessione sul tema della povertà. Siamo partiti chiedendoci cosa sia la povertà e quale sia il rapporto tra giustizia e povertà, prendendo in considerazione la situazione dei bambini di Scampìa. Siamo arrivati alla conclusione che ciascuno, nel suo piccolo, è chiamato ad agire secondo giustizia, anche se ciò non è semplice e rischia di “tagliarci fuori” da quella che è la mentalità corrente.

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Sempre seguendo questo filo conduttore, abbiamo vissuto un bellissimo incontro/scambio con un genitore della Scuola che è medico e lavora all’interno della realtà carceraria. L’incontro è stato veramente interessante anche perché ci ha fatto pensare alla figura del detenuto come persona che va accolta al di là degli sbagli commessi. Il percorso vissuto in Assisi toccava tre punti: - lo spogliarsi, il liberarsi dalle nostre certezze per mettersi in ricerca; - la bellezza che abbiamo contemplato visitando le Basiliche, ma anche salendo all’Eremo sotto una bufera di neve; - la domanda fondamentale di ogni persona: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”. Questa domanda è stata ripresa, poi, durante un incontro post-pellegrinaggio nel quale abbiamo coraggiosamente affrontato il tema della vocazione. Il nostro gruppo, che provocatoriamente abbiamo voluto battezzare “Non chia-


Voci di casa nostra

miamola catechesi”, continuerà ad incontrarsi più o meno ogni quindici giorni sperando di vivere insieme anche un Campo-scuola che verrà organizzato a Prato di Strada dall’8 al 15 luglio prossimo. Il Gruppo degli “ex”

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I NOSTRI AMICI TEDESCHI (4-9 marzo 2013)

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uest’anno, noi ragazzi delle Classi terze della Scuola media “Maria Regina” di Bergamo, abbiamo partecipato ad un progetto di scambio con ragazzi tedeschi provenienti da diverse località della Germania. I primi ad arrivare sono stati i ragazzi della “Realschule” di Barssel, seguita dal “Gymnasium” di Francoforte e di Braunschweig. Il periodo che ha preceduto il loro arrivo è stato carico di emozioni e di attesa: qualcuno di noi è riuscito a mettersi in contatto attraverso i social network, ma incontrare qualcuno di persona è sempre meglio che conoscerlo da dietro lo schermo di un computer. I nostri insegnanti per queste settimane avevano organizzato un calendario ricco di iniziative: la visita guidata in Città Alta, la mattinata dello sport, un pomeriggio allo zoo e la gita di un’intera giornata a Milano, con le guide che ci hanno

presentato la città e la visita al Museo della Scienza e della Tecnica per un interessante pomeriggio ricco di laboratori interattivi. Anche i nostri genitori sono stati coinvolti e, con la loro disponibilità, ci hanno permesso di stare molto tempo insieme, organizzando divertenti pomeriggi. Abbiamo condiviso due mattine a scuola, dove i ragazzi tedeschi hanno conosciuto la realtà della Scuola italiana. Insieme abbiamo costruito un piccolo video di presentazione dell’esperienza. La nostra cultura si è incontrata con la loro; ci siamo conosciuti e sono nate subito molte amicizie. Abbiamo utilizzato tutte le lingue possibili: italiano, inglese e tedesco, naturalmente! Non è stato facile, ma ce l’abbiamo fatta!!! Non ci avrei mai creduto ma, quando sono partiti, un’ondata di tristezza ci ha attraversato; era come salutare degli amici che conoscevamo da molto tempo. Il nostro, però, è stato solo un arrivederci, perché nei mesi di aprile e maggio, saremo noi loro ospiti in Germania. Un grande e speciale grazie alla Preside Suor Carla e ai nostri insegnanti per averci dato questa opportunità, per essersi dati da fare ad organizzare le diverse settimane ed essere stati disponibili ad accompagnarci nelle diverse uscite. Federica Tosto Classe 3ª C

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Voci di casa nostra BOLIVIA COCHABAMBA

VOTI PERPETUI DI SUOR LIZETH

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ggi, 20 gennaio 2013, è un grande giorno per la Chiesa intera e per la Comunità parrocchiale di Condebamba: molta, infatti, è stata la gratitudine a Dio di noi Suore Orsoline per la Professione Perpetua di Suor Lizeth Huarachi che ha scelto di vivere “La sua vita come un riflesso del lavoro svolto dall’Artigiano divino”. Non ha mai smesso di piovere dal mattino fino all’ora della Cerimonia, ma questo non ha fermato la Comunità e neppure gli

amici che si sono riuniti per condividere la gioia di questa festa. La Celebrazione è stata presieduta da Mons. Tito Solari, Arcivescovo di Cochabamba, e concelebrata da parecchi Sacerdoti tra cui il Nunzio apostolico in Bolivia, Mons. Jean Battista di Quattro. Dopo la processione iniziale e i riti di introduzione alla Messa, Mons. Solari ha tenuto la sua Omelia dialogando con Suor Lizeth. Ha iniziato cercando di evidenziare la chiamata di Dio indicando che “è necessario avere un cuore aperto per ascoltare la voce di Dio perché, quando la sentiamo, la nostra vita si rinnova continuamente”. Poi il riferimento alle letture. Mons. Tito: Suor Lizeth, come sei arrivata in questo Istituto? Suor Lizeth: Per motivi di studio, mio zio mi ha accompagnato nell’Internado di Tarija. Mons. Tito: Dio ci chiede di essere strumenti dall’orecchio attento, con la luce della fede, per captare la presenza del Signore. Suor Lizeth, cosa hai imparato dalle tue Sorelle? Suor Lizeth: L’accoglienza, la gioia, la semplicità. Mi ci è voluto un anno per ascoltare la voce di Dio, ma l’esperienza con le Sorelle, che è parte della nostra vita comunitaria e di preghiera ed è molto familiare, mi ha aiutata tantissimo. Mons. Tito: Perché hai scelto la Lettera di Paolo agli Efesini 1, 3-14? Suor Lizeth: Perché Dio, per amore, ha scelto me nel suo Figlio. Mons. Tito: Dio ama i suoi figli, si riversa su di noi, ci ama con Amore divino... Tutti noi abbiamo ricevuto una chiamata. In risposta al Salmo “Eccomi a fare la tua volontà”, cosa ti chiede il Signore?

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Suor Lizeth: Di fare la Sua volontà ascoltando la Sua Parola. Mons. Tito: La volontà di Dio è la nostra salvezza e tutto ciò che viene da Lui deve dare i suoi frutti. Tu devi essere una benedizione per la Chiesa; la Sua bontà deve essere sempre in te; devi riempirti di Lui per trasformare in Lui tutte le cose. Suor Lizteh, Cosa offri al Signore? Suor Lizeth: La mia povertà, castità e obbedienza... Mons. Tito: Lui ci ama e riversa su noi il Suo Spirito Santo e la fede...

Ha fatto seguito, poi, il Rito della Professione e l’intera Comunità ha assistito al SI che Suor Lizeth ha pronunciato per sempre con l’aiuto di Dio. Nella solenne Processione offertoriale due giovani, la mamma e lo zio di Suor Lizeth hanno portato all’altare le offerte, mentre due Suore giovani hanno portato il logo che accompagnerà il cammino della Congregazione in questi sei anni. Al termine dell’Eucaristia la solenne benedizione del Vescovo ha raggiunto tutti i presenti, ma in particolar modo Suor Lizeth che, chiedendo di essere accompagnata nella preghiera, ha ringraziato tutta la Comunità e i sacerdoti presenti. Madre Maria Saccomandi, in castigliano,


Voci di casa nostra si è rivolta all’assemblea ringraziando tutti i presenti e, rivolgendosi a Suor Lizeth, le ha raccomandato di essere sempre vera madre in Cristo sull’esempio della Beata Madre Caterina e della sorella Giuditta. Anche il Nunzio Apostolico si è rivolto,

poi, a Suor Lizeth e, ricordando il Vangelo delle Nozze di Cana, proclamato durante la Celebrazione, ha detto: “Gesù, che manifesta la gloria di Dio, è la chiara consapevolezza di come anche questa Professione religiosa sia un manifestare la gloria di Dio nella propria vita”.

Ha citato, pure, la frase di un Vescovo protestante convertito al cattolicesimo: “Perseveranza serve! Siate saldi, rafforzate la vostra fede! L’amore eterno di Cristo è un nuovo inizio”. Suor Elizabeth Jamira

• • • TI HO AMATO DI AMORE ETERNO (Ger. 31, 3)

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ono queste le parole che mi risuonano dentro per rendere grazie a Dio per il grande amore che ha per me: mi ha chiamata e mi ha scelta da sempre e a questo dono, ricevuto gratuitamente, posso solo rispondere TUTTO CON AMORE! Grazie Signore per il dono della vocazione, chiamata gratuita e personale; con la Tua grazia spero di vivere ogni giorno con generosità, umiltà, pazienza, semplicità e con la gioia di un servizio disinteressato, autentico e coerente nei confronti delle persone che Tu mi affidi. Un grazie sincero alla mia famiglia per aver coltivato in me, dal giorno del Battesimo, il dono della fede, i valori umani ed evangelici che mi hanno permesso di pro-

nunciare il mio SI. A Madre Maria e a Madre Letizia un grazie grande per avermi accolta. Un ringraziamento speciale a ciascuna mia Sorella dell’Istituto, con le quali ho imparato a crescere e a vivere la comune chiamata a seguire Gesù Cristo. Alle Sorelle che mi hanno accompagnata in ogni momento della mia formazione: grazie per avermi aiutata a discernere la volontà di Dio attraverso la preghiera e l’approfondimento della Parola di Dio. Voglio ricordare l’articolo n. 14 delle nostre Costituzioni: “Configurarsi a Cristo crocifisso, Sposo amabilissimo. Lui solo sia il riferimento della consacrazione vissuta per la missione educativa”. Con l’aiuto di Dio spero di continuare a formare la mia vita per essere un riflesso della Sua opera e per vivere, nel quotidiano, il dono di essere Apostola educatrice come vera madre in Cristo, proprio

come hanno fatto Madre Caterina e la sorella Giuditta. La fonte e il principio della missione educativa è sempre il cuore della Trinità; che la nostra tenera Madre, la Vergine Maria, modello di fedeltà mi accompagni e mi aiuti ad essere testimone credibile dell’amore di Dio. Oggi e ogni giorno, Signore: “Voglio essere lode della tua gloria perchè tutto ciò che sono lo devo a Te. In Te mi muovo e in Te io vivo”. Suor Lizeth Huarachi

BRASILE TERESINA (PIAUÌ)

VOTI PERPETUI DI SUOR TERESINHA E SUOR EDILZA “Come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani”. (Ger. 18, 6)

È

giorno di grande festa! Le Sorelle del Brasile sono tutte unite a Madre Maria Saccomandi e a Madre Letizia per accogliere Suor Teresinha e Suor Edilza che, con la Professio-

ne Perpetua, si consacrano totalmente a Dio e al servizio del suo Regno. Domenica 27 gennaio, Solennità di Sant’Angela Merici, il Vangelo ci ha presentato Gesù venuto tra noi per annunzia-

re ai poveri la Buona Notizia e liberare l’uomo dalle schiavitù. La Celebrazione Eucaristica, presieduta dal Vescovo emerito di Teresina Mons. Celso e concelebrata da altri sacerdoti, ha fatto sentire a tutti il mistero della chiamata e della donazione a Cristo.

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Voci di casa nostra

All’inizio della Celebrazione il simbolo dell’incenso, segno della nostra lode a Dio e del ringraziamento del dono del Carisma di Madre Caterina e Giuditta alla Chiesa, ha emanato nella Chiesa il suo profumo soave. Erano presenti alla Celebrazione la mamma e i parenti di Suor Teresinha, venuti da Tasso Fragoso, di Suor Edilza venuti da Euclides da Cunha, gli amici e parecchi conoscenti, oltre a tante persone di Demerval Lobão e di Teresina dove siamo presenti.

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Nell’Omelia il Vescovo ha sottolineato il valore della Parola di Dio e la fedeltà a questa Parola, mettendo in rilievo lo Spirito che si comunica e ci conduce. Lo Spirito, infatti, parla al cuore delle persone e la Parola è data a ciascuno per un servizio e per una missione. Ha, pure, richiamato a tutti i presenti l’importanza del loro essere testimoni della Professione di queste Sorelle: “Oggi si realizza la profezia lo Spirito del Signore scende per inviarci in missione. E’ necessario lasciargli spazio perché possa trasformare la nostra vita”. Madre Maria ha ricevuto i Voti delle Sorelle che, come membri effettivi, sono entrate a far parte della nostra Famiglia religiosa. La danza delle giovani del “LAR Caterina e Giuditta”, dal titolo “Consacrate per amare”, ha aiutato tutti a riflettere e a interiorizzare il senso della donazione totale al Signore. Le neo-professe hanno, poi, ringraziato tutti per la preghiera e l’aiuto ricevuto durante il loro cammino di preparazione alla Professione Perpetua. Anche Madre Maria, prendendo la parola, ha pure ringraziato sia il Celebrante che tutti i presenti ricordando Sant’Angela come protettrice della nostra Famiglia e tutte le Sorelle della Congregazione, in modo particolare quelle che ci hanno preceduto, perché accompagnino il cammino di Suor Teresinha e Suor Edilza. Alle neo-professe ha ricordato ancora di custodire fedelmente la gioia di questo giorno e di poter essere sempre e ovunque vere e gioiose Madri in Cristo perché la Beata Caterina ci ricorda: “Non temete, Dio ha una particolare cura di voi”. La Celebrazione si è conclusa con il simbolo della luce. A tutti i presenti sono state distribuite delle candele, accese dalle neo-professe, come un invito, in questo Anno della Fede, ad essere Luce nel mondo e a ravvivare la Luce della fede perché tutti incontrino Gesú, Luce del mondo. Era bello vedere la chiesa illuminata solamente da questa luce mentre tutti cantavano: “Splenda la vostra luce per sempre. Le vostre mani e la vostra mente siano luminose. Splenda la vostra luce!

Vivete il mistero di comunione e di evangelizzazione facendovi solidali con i più deboli”. A tutte le Sorelle della Congregazione il nostro GRAZIE per averci accompagnato in questi giorni; chiediamo che continuino a pregare e ad esserci vicine nel nostro vivere quotidiano: Orsoline di Somasca in terra brasiliana. LA VOSTRA LUCE È CRISTO CHE VIVE DENTRO DI VOI COME VIA VERITÀ E VITA. IN LUI RISPLENDA SEMPRE ANCHE LA VOSTRA LUCE. LUI VI GUIDERÀ. Suor Angela Pellicioli

••• TEMPO DI DIO “Tempo di tornare al primo amore per essere argilla nelle mani del Vasaio”.

C

omunicare un’esperienza è sempre far memoria, raccogliendo, in particolare, i frutti che sono emersi da questa esperienza. Il 25 dicembre u.s., siamo partite da Santo André per recarci a Teresina. Un viaggio durato circa 48 ore. Quanti volti e situazioni incontrate che ci hanno aiutato a riflettere e a contemplare il volto di Dio presente in tante vite e tante storie di gente diversa. Siamo arrivate a Teresina il 27 dicembre per incominciare il cammino di preparazione alla nostra Professione Perpetua; eravamo cariche di entusiasmo e di voglia di fare di questo tempo una vera esperienza di Dio. Suor Ione, nostra Formatrice, ci ha invitate a ripercorrere quanto abbiamo vissuto durante l’anno 2012: “Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato” (Qoelet 3, 1-2). Padre Fausto Beretta, missionario com-


Voci di casa nostra

boniano, ci ha aiutate a prendere in considerazione gli aspetti dell’identità, dell’appartenenza e della missione facendoci cogliere la bellezza del misticismo che pervade l’intera nostra vita, in modo da formare il mosaico dell’azione di Dio in noi e attraverso di noi. Durante la giornata di ritiro, guidata da Padre Antonio Baronio, SJ, ci siamo immerse più profondamente nel disegno di Dio; è stata un’esperienza molto intensa di riflessione sulla creazione, sulla chiamata e sulla nostra risposta: perché veniamo da Dio, noi siamo in Dio, ci rivolgiamo a Lui e nessuno può strapparci quanto ci appartiene. Confrontando il Libro del Deuteronomio e altri testi, abbiamo tracciato un percorso cercando di capire l’azione e le manifestazioni di Dio nella nostra storia. E’ stato per noi un lavoro molto prezioso che ci ha portate ad individuare le orme del Signore nella nostra storia e a commuoverci quando ripercorrevamo i momenti in cui abbiamo sperimentato il Suo prenderci per mano e portarci in braccio. Abbiamo denominato questi momenti come tempi di rivelazione, di grazia e di amore particolare per noi. Insieme abbiamo visto la nostra storia di Orsoline presenti in terra brasiliana ed è stato molto importante e di grande valore per noi vedere come le nostre Suore hanno sempre avuto fiducia nel Signore, nonostante le tante difficoltà incontrate soprattutto agli inizi della missione. Un invito per noi a cercare sempre la comunione con tutti e a riporre la propria fiducia nel Dio provvidente. I giorni vissuti con Madre Maria e Madre Letizia sono stati giorni di profonda riflessione sulla nostra Consacrazione

e sul nostro essere Orsoline di Somasca. Le nostre Costituzioni hanno guidato questo momento forte di formazione. Madre Maria, infatti, ci ha fatto capire la grandezza del nostro “Essere di Cristo” e la preziosità della nostra vita di ascesi-spiritualità carismatica e identità. La nostra preziosa esperienza di vita di consacrazione deve trasparire dal viso e dal corpo. Madre Letizia, poi, ci ha parlato della vita di Madre Caterina. E’ stato un momento, questo, di conoscenza, ma soprattutto un tempo di rinascita, di rinnovamento, di speranza, di entusiasmo e di gioia grandi; un momento di libertà e di amore, perché il cammino tracciato da Madre Caterina e dalla sorella Giuditta, è stata una profonda esperienza di amore di Dio presente nella storia: “Sempre fisse con gli occhi e col cuore in Lui”.

Ringraziamo Dio e con Lui Madre Maria e Madre Letizia per il grande aiuto e la loro preziosa presenza, alimentata da una forte esperienza di Dio vissuta giorno per giorno. Possiamo dire che per noi è stato un tempo di Dio, un tempo di Grazia, un tempo in cui si è fatta Memoria e un tempo di Gioia. Un’esperienza profonda di amore vero che invita a vivere una vita fondata “Solo in Lui” per testimoniare il Suo amore. Suor Teresinha Dias Tavares Suor Edilza dos Reis

CANTA DI GIOIA E CON GIUBILO PERCHÉ GRANDE IN MEZZO A NOI È IL SIGNORE

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artecipare alla Celebrazione dei Voti Perpetui è stato per me momento di Grazia, momento di Chiesa molto sentito, circondato soprattutto da tanta gioia, da tanta vita e da grande impegno. E’ da tempo che si stava preparando questa festa e già da allora mi sono sentita avvolta dalla presenza di Dio che mi ha aiutata a riflettere maggiormente sul dono della mia vocazione e a valorizzare lo spirito di comunione, di condivisione, di gioia che hanno fatto rivivere in me quella fiamma d’amore che sono chiamata a rinnovare ogni giorno nei confronti del Signore Gesù che sempre mi chiama, mi ama e mi conduce. E’ stata, pure, occasione di forte risveglio anche per le nostre giovani del “LAR Caterina e Giuditta” che sono state coinvolte nella preparazione della festa: in loro si notava la gioia e il desiderio di comunione intensa. Il loro impegno e la loro disponibilità hanno dato una testimonianza forte anche perché questa esperienza le ha maturate e ha portato nella loro vita una ventata di novità e di freschezza. La consegna al Signore di queste due Sorelle è stato qualcosa di molto profondo e carico di ricchezza spirituale, soprattutto per me che sono in cammino con il desiderio grande di abbracciare per sempre il Cristo “L’amabilissimo Sposo”. E’ stato questo un tempo di grazia per la mia vita. Che la Beata Madre Caterina e la sorella Giuditta, che hanno consacrato la loro vita all’Amore Infinito, mi aiutino ad essere totalmente di Cristo, per portare a Lui chi ha più bisogno della Sua presenza. “Consacrata per amare, consacrata per essere dono”. Suor Kelly Cristina Borges Lobato

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Voci di casa nostra RICORDI DI UN BELLISSIMO VIAGGIO... IN BRASILE TERESINA COMUNITÀ “REAL COPAGRE”

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nche quest’anno, come ormai faccio da ben ventitrè anni, mi sono recato in Teresina nella Parrocchia Vila da Paz dove l’indimenticato Padre Pedro Balzi ha lavorato per ben ventidue anni. Il mio andare ogni anno, come Presidente dell’ “Associazione Amici di Padre Pedro”, ha lo specifico scopo di fare il punto di quanto fatto nell’anno precedente e progettare quanto fare nel corrente anno. Ma, nonostante i tanti incontri Istituzionali (Vescovo, Sindaco, Assessori vari...), non posso tralasciare di visitare, nella loro Casa di Formazione, le nostre Suore Orsoline di Somasca. E’ sempre un incontro atteso e di vera amicizia. Di vera amicizia perché quando arrivai in Brasile la prima volta nel 1991 esse già c’erano ed erano un punto di riferimento anche per Padre Pedro; incontro atteso perché rappresento, nel mio andare a fare visita, tutto il Consiglio del CAMSOS: Centro Animazione Missionaria Suore Orsoline di Somasca. In questa Casa per giovani che aspirano a consacrarsi al Signore, le tre Suore ora operanti, Suor Amabile, Suor Angela e Suor Kelly si prodigano, secondo il Carisma delle

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Suore Orsoline, ad accogliere ragazzi e ragazze per il “reforso ecolar” (sostegno scolastico). Siamo in Brasile, le Scuole pubbliche funzionano quando funzionano, gli insegnanti, oltre ad essere pagati molto poco, ricevono i loro salari anche con tre o quattro mesi di ritardo e, pertanto, gli scioperi sono all’ordine del giorno. Pensate a questi ragazzi che frequentano le equivalenti nostre Scuole elementari o medie. Poche ore di scuola, i genitori spesso analfabeti... risultato: bocciature a fine anno scolastico. Ecco, allora, che le Suore, con la collaborazione di alcune giovani studenti delle Scuole Superiori, predispongono Corsi per supplire quanto la Scuola non è in grado di fare per permettere a questi giovani di non perdere l’anno. Pertanto chi è nella scuola il mattino, il pomeriggio è dalle Suore e viceversa dove, cosa non secondaria nei quartieri poveri di Teresina, i ragazzi ricevono anche la merenda che forse è l’unico pasto degno di questo nome! Tutto questo lavoro è importantissimo anche perché nelle vie limitrofe, ma questo vale per tutti i quartieri della città, le “boche de fumo” - ossia droga a basso prezzo - prosperano!!! Questo per gli adolescenti, ma poiché il “mondo cammina” le Suore, in particolare Suor Kelly, hanno predisposto anche Corsi di computer. Gli utenti sono giovani e adulti che sperano, dopo aver frequentato i due corsi, base e ora an-


Voci di casa nostra che nella forma più elevata, di trovare un’occupazione migliore o di essere più qualificati nel lavoro che già fanno. Questo impegno così importante si realizza con gli aiuti in denaro che, come CAMSOS, mandiamo da Bergamo. La generosità di tanti piccoli gesti si tramuta in solidarietà sociale verso gli ultimi. Ogni anno è un piacere vedere come i ragazzi sono felici di frequentare questi corsi di “reforso escolar” e come gli adulti vogliono dire GRAZIE per aver dato loro questa possibilità. Oreste Fratus

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TERESINA SAN JOSÉ DE COSTA RICA “LAR CATERINA CITTADINI”

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el quartiere di Vila da Paz in Teresina operano da circa vent’anni, con una Casa-convitto che porta il nome della “Beata Caterina Cittadini”, due Suore Orsoline di Somasca: Suor Ione e Suor Luisa. Gestiscono questo Convitto per circa venticinque ragazze che vivono in paesi limitrofi della città e che, per mancanza di collegamenti giornalieri, non possono venire a scuola in città. Così, in questa costruzione voluta dall’infaticabile Padre Pedro Balzi, le nostre Suore seguono questo gruppo di adolescenti, dai tredici ai diciassette anni circa, nel loro piano di studi. Il vivere in questa Casa permette loro di studiare, di essere ben seguite e di avere la sicurezza del vitto. In questi ambienti si respira “aria giovane” e durante la visita che, a nome del CAMSOS, ogni anno faccio, troviamo sempre una sera per un incontro “di allegria”. Certe cose si percepiscono e, vuoi per la competenza ed esperienza delle nostre Suore, vuoi per come le ospiti affrontano gli studi in modo serio e maturo, sembra veramente di essere in una famiglia dove, pur con la turbolenza dell’età, si vive in sana armonia. L’attenzione che le nostre Suore hanno verso queste ragazze, tutte di estrazione popolare e povera, mi porta alla mente di come doveva essere la vita ai primordi dell’Isti-

tuto in quel di Somasca. In una forma diversa certo, ma con alla base la “voglia delle Suore” di aiutare a crescere, mediante lo studio, le nuove generazioni. E tutto questo “essere famiglia” è possibile per il completarsi di tante cose: in primis la disponibilità delle Suore che con tanto lavoro riescono ad avere, mediante convenzioni con il Comune, diversi generi alimentari per “mettere insieme” pranzo e cena; poi con gli aiuti che il CAMSOS riesce a garantire ogni anno (magari pochi, ma costanti!); e, infine, questo convivere quotidiano che permette alle giovani di crescere sia intellettualmente, che moralmente. E questo non è poco, soprattutto in una terra come il Brasile ove dopo i tredici anni certe ragazzine (a volte anche per necessità) già sono diventate donne!!! Oreste Fratus

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O N D A Z I O N E

“Caterina Cittadini”

ONLUS

ADOZIONI a distanza

La Fondazione, in sintonia con gli obiettivi educativi dello Statuto, si impegna a promuovere la crescita integrale dei minori, a combattere il disagio femminile, a sostenere attività organizzate in vista del miglioramento delle condizioni di vita nei territori di missione Ad Gentes dellIstituto. Assume, in particolare, le seguenti iniziative: costruzione in terra di missione di strutture rispondenti al Carisma educativo dellIstituto; adozioni a distanza; interventi di solidarietà sociale; microrealizzazioni.

Già in atto da una quindicina di anni, l'iniziativa, estesa alla Bolivia, al Brasile, all'India, alle Filippine, allIndonesia dove operano le Suore Orsoline di Somasca, prevede l'assistenza a bimbi indigenti, sia a livello sanitario che scolastico.

Vuoi amare e aiutare un bambino a crescere? Vuoi sentirti padre o madre di chi non ce lha?

Gli adottati sono tutti conosciuti e assistiti dalle Suore che, periodicamente, ne danno notizia. Ad ogni richiedente viene inviata una scheda con la foto del bimbo/a adottato/a e brevi notizie sulla situazione familiare; è richiesto un impegno almeno quinquennale per dare all'adottato la possibilità della frequenza scolastica di base. È chiesta pure la disponibilità per la sostituzione dell'adottato qualora questi non fosse più reperibile o non avesse più necessità di aiuto. Sono previsti versamenti: - annuali (euro 230,00) - mensili (euro 20,00).

OFFERTE libere Vuoi offrire il tuo contributo alla Fondazione a sostegno della “carità educativa” di Madre Caterina? Un fondo, alimentato da offerte libere, è destinato: • a iniziative di solidarietà sociale a favore di persone minorenni e maggiorenni svantaggiate; • a microrealizzazioni (fornitura di medicinali, di alimenti, di materiale scolastico ecc.).

Ecco come puoi offrire il tuo aiuto alla Fondazione: • con bonifico bancario sul c/c n. 5300 IBAN: IT79 R054 2811 1090 0000 0005 300 UBI Banca Popolare di Bergamo intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento

• con versamento sul c/c postale n. 42739771 intestato a Fondazione “Caterina Cittadini” O.N.L.U.S., con la specifica del versamento.

Anche nel 2013 è possibile destinare il 5‰ a “Fondazione Caterina Cittadini” ONLUS

RICORDA che qualsiasi somma, anche minima, è preziosa: è una goccia nel mare, ma il mare è fatto di gocce!

segnalando il Codice Fiscale 95121540165 Ricorda che, essendo ONLUS la Fondazione, puoi detrarre la donazione dalle imposte per le persone fisiche ai sensi dellart. 13-bis del DPR 917/86 e per i redditi dimpresa ai sensi dellart. 65 dello stesso DPR.


In caso di mancato recapito rinviare al C.P.O. di Bergamo per la restituzione al mittente, che si impegna a pagare il diritto dovuto.

Bimestrale da Settembre a Giugno

Specificare il motivo del rinvio. ! TRASFERITO ! DECEDUTO ! SCONOSCIUTO ! INSUFFICIENTE ! RESPINTO

Vuole essere portatore di un “messaggio” educativo-cristiano e portavoce delle iniziative dell’Istituto a favore di fratelli, specie bimbi, bisognosi di aiuto.

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r s oline O e r o Su n Somas ca

to ir olamo i u t i t I s an G di S

Casa madre: 23808 SOMASCA DI VERCURAGO (LC) Via S. Girolamo, 42 - Tel. e Fax 0341420373

Casa generalizia: 24128 BERGAMO - Via Broseta, 138 Tel. 035250240 - Fax 035254094

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Libri in vetrina

RAVASI GIANFRANCO

BACCALARIO PIERDOMENICO

Lincontro Ritrovarsi nella preghiera

Nella Bibbia ho incontrato

Mondadori, 2013

San Paolo, 2013

Questo volume raccoglie i testi degli Esercizi Spirituali predisposti da Gianfranco Ravasi dal 17 al 24 febbraio 2013, al Pontefice Benedetto XVI. “Con il termine Esercizi Spirituali s’intendono tutti i modi di esaminare la coscienza, di meditare, contemplare e pregare con le parole o con la mente e ogni altra attività spirituale”: così Ignazio di Loyola definiva una pratica spirituale che può aiutarci a “dissotterrare la voce di Dio che forse è diventata flebile in noi”. Nell’interpretazione del Cardinal Ravasi i versi del Salterio si alternano con riferimenti culturali ad ampio raggio che spaziano dalla letteratura, alla filosofia, alla musica. Così, nel capitolo primo, l’autore si sofferma sui verbi della preghiera: affascina in particolare la descrizione della fisicità insita nel primo di essi, respirare “legato all’os, la “bocca” che orat, “prega”. Attraverso le parole di Kierkegard, e poi del teologo Congar, l’autore ci mostra come respirare e pregare siano strettamente correlati e come “l’anima che riduce al minimo la preghiera rimane asfittica; se esclude ogni invocazione, lentamente si strangola. Se si vive in un ambiente di aria viziata, l’esistenza intera si intristisce; così accade con la preghiera, che ha bisogno di un’atmosfera pura, libera da distrazioni esterne, alonata di silenzio”. E poi le altre parole, pensare, lottare e, infine, amare, ultimo termine questo che delinea la meta suprema della preghiera e della fede. L’incontro è diviso in due parti: la prima, il volto di Dio, traccia un percorso ascensionale, conduce al trascendente, a Dio; la seconda, il volto dell’uomo ha, invece, un percorso discensionale e la luce di Dio illumina “i molteplici lineamenti del volto umano. Dio e creatura umana, teologia e antropologia s’incontrano, quindi, nel crocevia della preghiera”. La stessa citazione del poeta Boudelaire, “Signore la migliore testimonianza, che noi possiamo dare della nostra dignità, è questo ardente singhiozzo che rotola di età in età e viene a morire ai bordi della tua eternità”, ci mostra in modo emblematico tutta la fragilità dell’Uomo e testimonia il grido di dolore e pentimento che sale dalla terra verso il cielo.

Pierdomenico Baccalario, uno degli autori italiani più amati dai ragazzi, si cimenta questa volta in un’impresa assai impegnativa: raccontare le vicende della Bibbia facendo parlare direttamente i protagonisti, dando alla storia un’impronta chiaramente narrativa. E così seguiamo il racconto della creazione dalla voce stessa di Dio e il momento della tentazione nel Paradiso Terrestre da Eva, così come le parabole ci vengono narrate da un testimone presente all’evento, come nel caso della Moltiplicazione dei pani da Giovanni o nel “Ritorno dei discepoli” da un anonimo malato. Forse alcuni storceranno il naso, obietteranno che, in questo modo la Bibbia, per la sua autorevolezza, potrebbe essere un poco sottovalutata. Ma, sicuramente il linguaggio immediato e attuale che caratterizza la narrazione di Baccalario, riuscirà a raggiungere il cuore dei ragazzi facendoli avvicinare a un testo, non solo altamente importante per la loro formazione e crescita spirituale, ma anche esemplare dal punto di vista poetico.

COMASTRI ANGELO con SAVERIO GAETA

Dio scrive dritto San Paolo, 2013

Il volume racconta la vita di Angelo Comastri, Arciprete della Basilica papale di San Pietro e Vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano, a partire dalla sua infanzia toscana, segnata in maniera indelebile dalla figura “grande” della madre. Con linguaggio semplice e commovente, l’autore ci racconta come sia nata in lui la vocazione, confessando “a voce alta” che “è stata la mamma, con la sua fede, semplice e concreta, a far nascere [in lui] le prime domande religiose”; un’infanzia fatta di sacrifici, in una famiglia umile, scandita dal ritmo della terra e segnata dalle rinunce del dopoguerra; gli anni del Seminario, prima a Pitignano, poi a Viterbo e a Roma, segnati dal ricordo dei compagni e dagli studi letterari. Da qui la narrazione degli incontri importanti per la sua crescita spirituale e personale: Mons. Capovilla, Lorenzo Milani o semplici preti di campagna. Finalmente arriva per lui l’Ordinazione sacerdotale e, nei primi anni di sacerdozio, il suo apostolato nel carcere di Regina Coeli. Nel 1969 incontra Madre Teresa di Calcutta: il sacerdote, che si attendeva da lei un incitamento alla carità e all’impegno sociale, molto sentito da alcuni parroci in quegli anni di grande fermento politico, si sente guidare, invece, verso la preghiera. “E tu credi che io potrei fare la carità, se non chiedessi ogni giorno a Gesù di riempirmi del suo amore? E tu credi che io potrei camminare per le strade e cercare i poveri, se Gesù non mi mettesse dentro l’anima il fuoco della sua carità?”: queste parole di Madre Teresa segneranno profondamente il giovane sacerdote e, in seguito, Vescovo di Massa Marittima-Piombino. E’ sempre la misericordia di Dio che, dopo una breve malattia, lo guida nel suo ministero che lo porterà dapprima a Loreto e poi a Roma come Cardinale e Arciprete della Basilica di San Pietro.

Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina Libri in vetrina

a cura di Maria Marrese


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