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Vivere quotidiano I film in Concorso durante il lungo fine settimana ci raccon‐ tano come siamo 12 agosto 2019 Di Ugo Brusaporco
Il desolante Natale secondo Rúnarsson Dal giornalismo micidiale e acritico di ‘Yokogao’, al Natale alieno da qualunque tipo di af‐ fetti, inquietante festa della solitudine di ‘Bergmál’, passando per la vacuità del film ‘Die freiwillige Jahr’ Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che 1/7
esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di 2/7
un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole 3/7
di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! 4/7
Lungo weekend di film in Concorso qui a Locarno, dove un tempo bizzarro ha condizio‐ nato un po’ di spostamenti. Ad attirare l’attenzione il giapponese “Yokogao” (A Girl Mis‐ sing) di Koji Fukada, regista già premiato a Cannes nel 2016, che qui ci porta a compren‐ dere uno dei mali della nostra decadente civiltà: l’ossessione della notizia eclatante, che esula dalla conoscenza dei fatti, anzi non se ne interessa. Ecco allora Ichiko (una intensa Mariko Tsutsui) infermiera che cura un’anziana in una famiglia di cui ormai si sente par‐ te. Succede che la minore delle figlie del capofamiglia scompaia e che a rapirla sia stato il nipote dell’infermiera. Lei tenta di tenere la cosa nascosta, ma ha altri segreti che esplo‐ dono insieme a questo caso, e la sua vita ne è sconvolta, perché giornali e televisioni non hanno nessuna pietà. Invadono la sua incolpevole vita, ma chi è veramente incolpevole di fronte alla spasmodica ricerca di un filo fuori posto nella sua vita? Ogni giorno succede questo, un tempo lo chiamavano “linciaggio mediale”, oggi, in questo far west senza rego‐ le è la solita impiccagione e non ci si chiede più chi abbia la corda al collo, almeno fino a che non la si sente scorrere sul nostro. È un film ben raccontato, inquietante, un film che costringe ognuno a leggere la propria fragilità di fronte a chi urla forte, eliminando ogni senso critico. Ancora del nostro vivere quotidiano dice “Bergmál” (Echo) del regista islan‐ dese Rúnar Rúnarsson che ci propone 56 scene di ordinaria quotidianità girate nella sua Islanda nel periodo natalizio, riuscendo così a mostrare una spaventosa globalizzazione non solo di oggetti e azioni, ma soprattutto di emozioni che sembrano potersi comprare in un continuo mercato impersonale. Scoprire le solite cose, la recita, le canzoni, i fuochi, le cene, la noia, il Natale dei diseredati e di chi si cura di loro, c’è spazio per la morte di un bambino, per un uomo che brucia la casa di campagna avita per mettere al suo posto una casa confezionata pronta ad accogliere i turisti in un modo più consono ai loro biso‐ gni, che non sono certo una casa vecchia e umida. Rúnarsson non ha pietà di questa gen‐ te uguale nella ripetitività del vivere, dove neppure la parola amore viene declinata dai poliziotti che irrompono in chiesa per catturare due migranti, e dalla gente che a Natale tutto va bene! E ancora del nostro oggi ci parla, con simpatica ironia in un musical velato di malinconia, “Technoboss”, del regista portoghese João Nicolau, già premiato a Cannes nel 2013. In questo film tutto è sulle spalle di Miguel Lobo Antunes, un giurista quasi settantenne, ni‐ pote di Antonio Lobo Antunes, il più grande scrittore portoghese vivente, alla sua prima esperienza cinematografica dove canta, balla, e dà vita a Luís Rovisco, un tecnico a fine carriera, in attesa della pensione alle prese con un mondo tecnologico cambiato. La rou‐ tine quotidiana, fatta dalla vedovanza, da un figlio ogni tanto in crisi con la moglie, e un gatto, cambia quando il gatto muore e i suoi occhi incontrano quelli di Lucinda (una bra‐ vissima Luísa Cruz, attrice e cantante molto conosciuta nel mondo di lingua portoghese), l’anziana addetta al ricevimento di un vecchio grande hotel pieno di acciacchi come loro. E l’amore trionfa sul tempo che passa. Non convince, in questo Concorso, “Das freiwillige Jahr” (A Voluntary Year) firmato a quattro mani da Ulrich Köhler e Henner Winckler. Que‐ sto film tedesco soffre della mancanza di un’adeguata scrittura, di personaggi marionetti‐ stici, mai vivi. Questa sua fragilità si trasforma in sbadiglio, e in disinteresse di fronte al nulla di emozioni, all’afonia dei registi e degli attori.
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E ancora del nostro oggi ci parla, con simpatica ironia in un musical velato di malinconia, “Technoboss”, del regista portoghese João Nicolau, già premiato a Cannes nel 2013. In questo film tutto è sulle spalle di Miguel Lobo Antunes, un giurista quasi settantenne, ni‐ pote di Antonio Lobo Antunes, il più grande scrittore portoghese vivente, alla sua prima esperienza cinematografica dove canta, balla, e dà vita a Luís Rovisco, un tecnico a fine carriera, in attesa della pensione alle prese con un mondo tecnologico cambiato. La rou‐ tine quotidiana, fatta dalla vedovanza, da un figlio ogni tanto in crisi con la moglie, e un gatto, cambia quando il gatto muore e i suoi occhi incontrano quelli di Lucinda (una bra‐ vissima Luísa Cruz, attrice e cantante molto conosciuta nel mondo di lingua portoghese), l’anziana addetta al ricevimento di un vecchio grande hotel pieno di acciacchi come loro. E l’amore trionfa sul tempo che passa. Non convince, in questo Concorso, “Das freiwillige Jahr” (A Voluntary Year) firmato a quattro mani da Ulrich Köhler e Henner Winckler. Que‐ sto film tedesco soffre della mancanza di un’adeguata scrittura, di personaggi marionetti‐ stici, mai vivi. Questa sua fragilità si trasforma in sbadiglio, e in disinteresse di fronte al nulla di emozioni, all’afonia dei registi e degli attori. Suporte Opor laRegione 12 agosto 2019 14
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