Gli Angeli, la Pittura e il Novecento Italiano
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Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia 06.04.2013 – 20.07.2013
Gli Angeli, la Pittura e il Novecento Italiano
Mostra e catalogo a cura di Exhibition and catalog curated by Dominique Stella Roberto Agnellini
Ringraziamenti / Thanks to
Direzione / Director Roberto Agnellini
Avv. Andrea Arcai Assessore alla Cultura e al Turismo della Città di Brescia
Direzione artistica / Art direction Dominique Stella
Ettore Marchina
Organizzazione e coordinamento Organisation and coordination Giancarlo Patuzzi
Angelo Medici
Direzione commerciale / Commercial direction Ugo Ruggeri Segreteria / Secretary Maura Armani
On. Avv. Adriano Paroli Sindaco della Città di Brescia
Alessandro Medici Cesare Medici
Assessorato alla Cultura e al turismo
Roberto Morigi Roberto Pellizzari Nicola Sebastiani Marco Setti
Progetto grafico / Graphic layout Laura De Biasio Redazione / Editing Domenico Pertocoli Traduzioni / Translations Dal francese all’italiano From French to English Silvia Denicolai Dal francese e dall’italiano all’inglese From French and Italian to English Timothy Stroud Fotografie delle opere / Artworks photos © Fabio Cattabiani Crediti / Copyright © Testo Dominique Stella, Galleria Agnellini Arte Moderna © Testo Giovanni Lista Copertina / Cover Osvaldo Licini, Angelo con la coda (part.), 1946
Si ringraziano particolarmente la famiglia Donati, la signora Marinella Spagnoli ed il signor Lanfranco Cirillo. Senza il loro fondamentale contributo questa mostra non sarebbe stata possibile. Thanks are especially due to the Donati family, Mrs Marinella Spagnoli and Mr Lanfranco Cirillo, without those substantial support this exhibition could not have taken place.
La mostra è stata realizzata con il sostegno di The exhibition is realized with the support of
Sommario / Contents 9
Gli Angeli, la Pittura e il Novecento Italiano Angels, and painting in 20th century Italy Dominique Stella
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Il primato della pittura nell’arte moderna italiana The primacy of painting in modern Italian art Giovanni Lista
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Opere / Works
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Biografie / Biographies
p. 2, Osvaldo Licini, Angelo con la coda (part.), 1946
p. 6-7, Lucio Fontana, Concetto spaziale (part.), 1954 8
Dominique Stella
Gli angeli, la pittura e il Novecento italiano
Angels, and painting in 20th century Italy
La pittura in Italia appartiene alla tradizione più antica. Ogni epoca è stata segnata da artisti fecondi, testimoni e attori dell’evoluzione dei tempi, delle tecniche e delle mentalità. L’arte spesso prefigura i grandi sconvolgimenti, e in Italia il XX secolo si apre sulle esperienze divisioniste che nulla hanno da invidiare all’impressionismo francese. La tecnica di scomposizione dei colori e della luce innova una forma di rappresentazione accademica apportando effetti di luce e costruzione puntinisti che rivestono un carattere meno scientifico di quello richiesto dall’attitudine francese. Infatti, meno attenti agli aspetti scientifici della tecnica, gli artisti italiani prediligono nelle loro opere il carattere simbolico e l’impegno sociale. Si ammetterà dunque che una forte corrente rinnovatrice anima la scena artistica italiana all’inizio del XX secolo, che cambierà il mondo. La Francia, dall’impressionismo in poi, aveva occupato il primo posto sulla scena mondiale dell’arte moderna per l’enorme successo di grandi artisti come Monet, Renoir, Cézanne e molti altri, la cui notorietà era fortemente legata alla vivacità di un mercato che i collezionisti americani alimentavano a Parigi, acquistando a piene mani da mercanti come Vollard o Durand-Ruel. L’ascendente delle avanguardie non si smentì fino al 1914, attirando artisti di ogni paese nella capitale francese che consacrò
In Italy painting is part of a very long tradition. Every epoch has been marked by inventive artists who have both recorded and been actively involved in the evolution of the times, techniques and modes of thought. Art often precedes major upheavals and in Italy the start of the 20th century was marked by Divisionist experiences that were quite the equal of what was happening in France. The technique of the decomposition of colours and light broke new ground; the invention of a form of scientific representation based on a Pointillist construction made possible a depiction of the effects of the light that was less technical in character in Italy than that demanded by French artists. This less rigorous approach encouraged the Italians to place emphasis on symbolism and social commitment in their works. At the start of the century a powerful and reforming wind blew through the Italian art scene, particularly in Milan, that was to change the world. Since the Impressionists, France had been at the forefront of modern art worldwide with the international success of major artists like Monet, Renoir, Cézanne and many others. Their fame was closely linked to the buoyancy of the Parisian art market fuelled by American buyers, who bought huge quantities of paintings from such dealers as Vollard and Durand-Ruel. The ascendancy of the avant-gardes hardly lost momentum until 1914 and
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pittori di ogni origine, spagnoli, italiani, giapponesi, russi; tutti venivano a cercare la gloria in questo Eldorado, la cui reputazione non fu smentita per alcuni di loro, ma che in realtà offrì a molti solo una vita di amare disillusioni. Pochi pittori italiani sfuggirono a questa attrazione, considerando Parigi una sorta di passaggio obbligato per lo sviluppo di una carriera promettente. È sul “Figaro” che Marinetti pubblica, il 20 febbraio 1909 il Manifesto del futurismo. Nell’introduzione possiamo leggere: “M. Marinetti, il giovane poeta italiano e francese, dal talento notevole e impetuoso, che clamorose manifestazioni hanno reso noto in tutti i paesi latini, seguito da una pleiade di entusiasti discepoli, ha appena fondato la scuola del ‘Futurismo’ le cui teorie superano in audacia tutte quelle delle scuole anteriori o contemporanee. ‘Le Figaro’, che è già servito da tribuna per molte di esse, e non delle minori, offre oggi ai suoi lettori il manifesto dei ‘futuristi’. Vi è bisogno di dire che lasciamo al firmatario tutta la responsabilità delle sue idee particolarmente audaci e di un astio sovente ingiusto per cose sommamente rispettabili, e, fortunatamente, rispettate da tutti? Ma è interessante lasciare ai nostri lettori la primizia di questa manifestazione, qualunque sia il giudizio che si porta su di essa.” Audace ma non temerario, il giornale prende le distanze dai propositi dell’artista, ma è nondimeno in Francia che Marinetti sceglie di pubblicare il suo manifesto. Tuttavia è in Italia che Marinetti parla, e agli italiani si rivolge scrivendo: “È dall’Italia, che noi lanciamo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo
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attracted artists in search of glory to the artistic Eldorado from around the world – Spain, Italy, Japan, Russia… – some of whom achieved fame but most of whom were to be disappointed. Many Italian painters too were attracted to Paris, which was considered an obligatory step on the way to a promising career. It was in Le Figaro that one of them, Filippo Tommaso Marinetti, published the Futurist Manifesto on 20 February 1909. The newspaper introduced the manifesto as follows: “M. Marinetti, the young Italian and French poet, whose remarkable and fiery talent has been made known throughout the Latin countries by his notorious demonstrations and who has a galaxy of enthusiastic disciples, has just founded the school of ‘Futurism’, whose theories surpass in daring all previous and contemporary schools. Le Figaro, which has already provided a rostrum for a number of these schools, and by no means minor ones, today offers its readers the manifesto of the ‘Futurists’. Is it necessary to say that we assign to the author himself full responsibility for his singularly audacious ideas and his frequently unwarranted extravagance in the face of things that are eminently respectable and, happily, everywhere respected? But we thought it interesting to reserve for our readers the first publication of this manifesto, whatever the judgement of it will be.” Bold but not foolhardy, the newspaper maintained its distance from Marinetti’s ideas but it was nevertheless in France that its author chose to publish his manifesto, even though he referred to Italy and addressed his words to Italians. He wrote: “It is in Italy that we are issuing this mani-
oggi il ‘Futurismo’, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, di archeologi, di ciceroni e di antiquari.” In effetti la ribellione cova nella penisola, e l’Italia in questi primi anni del secolo vede nascere una generazione di artisti che si afferma sulla scena internazionale. Il futurismo propone un’estetica dell’azione che si oppone all’estetica della ragione cubista; il furore e l’energia di questi giovani artisti generano un pensiero fulgente che l’intellettualismo francese non ha saputo accogliere. Infatti in Francia, principalmente tramite Duchamp, s’impone a partire da questo momento un’arte di comportamento che rinnega l’oggetto artistico conferendo la preminenza all’uomo. “Credo nell’artista, l’arte è un miraggio”, diceva Duchamp. Si capisce allora perché gli artisti francesi abbandoneranno la pittura, oggetto feticista al quale ormai è negato il diritto di appartenere al dominio artistico; solo alcuni, come Braque, Matisse, Léger, Delaunay, sfuggiranno a questo diktat, e più tardi i surrealisti, ma tra loro pochi artisti francesi riusciranno a imporsi di fronte a Max Ernst, Dalí, Brauner, Miró... Gli italiani conservano questa sensibilità che lega la pittura al mondo della poesia e dell’immaginario, privilegiando l’arte piuttosto che enunciando teorie; essi sanno conservare un legame indefettibile con la tradizione integrando le proteste e le rabbie di generazioni in cerca di rinnovamento. È in questo spirito che operano Mario Sironi (18851961), Giorgio de Chirico (1888-1978), Alberto Savinio (1891-1952), Osvaldo Licini (1894-1958), Giorgio Morandi
festo of ruinous and incendiary violence, by which we today are founding ‘Futurism’, because we want to deliver Italy from its gangrene of professors, archaeologists, tourist guides and antiquaries.” And indeed, the rebellion roared in Italy and during the early years of the 20th century the country saw a generation of artists establish themselves on the international art scene. The Futurist aesthetic of action ran counter to the Cubist aesthetic of thought, and the raging energy of the young Italian artists generated a blazing doctrine that French intellectualism was unable to embrace. Principally through the intervention of Marcel Duchamp, a philosophical approach to art was taking hold in France at this time, one that rejected the art object and placed superiority on its creator. “I believe in the artist, art is a mirage”, stated Duchamp. This approach makes it clear why French artists turned away from painting and the creation of fetishistic objects that had by then been denied the right to belong to art. Only a few painters, like Braque, Matisse, Léger and Delaunay, escaped this diktat, and later the Surrealists, but amongst this latter movement there were few French artists able to maintain a stand faced by the genius of Max Ernst, Dalí, Brauner, Miró and the other foreigners. The Italian artists, however, endorsed the sensibility in which painting was linked inextricably with the world of poetry, imagination and beauty. By preferring art to promulgating theories, they maintained an unshakeable link with tradition while also integrating the protests and ardour of the new generation looking for renewal. This was the spirit upheld by Mario
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(1890-1964) e più tardi Lucio Fontana (1899-1968). Tutti appartengono a quest’epoca che scopre la modernità, caratterizzando lo spirito di un tempo segnato da guerre, vittorie e sconfitte che sconvolgono per sempre il nostro universo. La consapevolezza degli artisti italiani di quest’epoca di appartenere a un mondo esaltante ma anche effimero e instabile conferisce una nostalgia indefinibile a un’arte che rimane in disparte dalle polemiche estetiche, ma sposa la causa di un sentire profondo, in favore di un’arte eterna che rende anche conto della complessità dello spirito umano. Parigi rappresenta un polo di attrazione nella vita di questi artisti; quattro di loro (Sironi, de Chirico, Savinio e Licini) vi soggiornano a lungo, mentre Morandi, agli esordi della sua attività, non era sfuggito all’influenza di Matisse e Derain. Questa mostra propone una lettura della pittura italiana a partire da importanti opere di Sironi, Licini, Morandi, de Chirico, Savinio e Fontana. Il pretesto sono gli Angeli di Licini, che vengono a visitarci in questa riflessione sul Novecento italiano, la cui complessità e ricchezza consente di affermarne l’importanza, spesso minimizzata, nel confronto con i movimenti che si svilupparono allora in Francia e anche in Germania. Non meno trascurabili furono correnti di pensiero come il futurismo (1909) o la metafisica inventata da de Chirico e da suo fratello Alberto Savinio, o la forza individuale di artisti come Licini e Morandi che seppero imporsi di fronte alla preponderanza dei movimenti d’avanguardia. Il loro lavoro costituisce il segno di una costanza pittorica che prosegue in Italia di fronte alla dilagante arte
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Sironi (1885-1961), Giorgio de Chirico (1888-1978), Alberto Savinio (1891-1952), Osvaldo Licini (1894-1958), Giorgio Morandi (1890-1964) and, later, Lucio Fontana (1899-1968). They all belonged to the era in which modernity burst on the stage, and the zeitgeist was marked by war with all the horrors that were to alter the European world for ever. The awareness of the Italian artists that they were part of a thrilling but also ephemeral and unstable world endowed their art with an undefinable nostalgia. It was an art that lagged in the debate on aesthetics but argued for an art that took account of the complexity of the human spirit. A stay in Paris played a role in the life of each of Sironi, de Chirico, Savinio and Licini, and though Morandi did not visit the city until very late, the influence of Matisse and Derain can be seen in his early production. The exhibition presents Italian painting with works by Sironi, Licini, Morandi, de Chirico, Savinio and Fontana. The pretext is Licini’s Angels, which are present in this reflection on 20th century Italian art, the importance of which is apparent in its diversity and depth but often minimised when compared with the movements that developed during the same period in France and Germany. The intellectual currents in Italy were no less important, in particular Futurism (1909) and the Metaphysics developed by de Chirico and his brother Alberto Savinio, in which the individual power of painters like Morandi and Licini was able to make itself felt against the force and range of the avant-garde movements. Their work represented the continuation of the Italian tradition in the face of the flood of conceptual art that submerged
concettuale impostasi inizialmente in Francia fino agli anni Cinquanta, e poi negli Stati Uniti nel dopoguerra.
France up until the 1950s, and after the war moved to the United States.
Tre opere di Mario Sironi presenti in questa rassegna illustrano la ricchezza espressiva di un pittore che ha fiancheggiato la maggior parte dei movimenti maggiori della prima metà del XX secolo, a cominciare dal futurismo, proponendo una pittura contrassegnata da una sigificativa ricerca personale. Formatosi a Roma, alla Libera Scuola di Nudo, poi nell’atelier di Giacomo Balla, Sironi iniziò la sua attività artistica nel clima divisionista di inizio secolo, tendenza che in seguito rinnegherà. Dopo essersi stabilito a Milano nel 1914 e aver effettuato diversi viaggi in Europa, che lo conducono a Parigi e in Germania, Sironi aderisce al futurismo concentrando il proprio interesse sulla rappresentazione della città e della società industriale. Egli condivide l’esperienza dei “volontari ciclisti” a fianco di Filippo Tommaso Marinetti e Antonio Sant’Elia durante la prima guerra mondiale. Il futurismo esorta all’amore per la velocità e per la macchina, esaltando la bellezza delle automobili e la necessità della forza per liberare l’Italia dal culto archeologico del passato. Per Sironi la pittura rientra allora in un impegno di vita, integrando l’idea di dinamismo e di energia propria del movimento; camion, motociclette e biciclette illustrano nella sua opera questa adesione, che tuttavia è di breve durata nello sviluppo della sua carriera. All’inizio degli anni Venti l’artista partecipa alla creazione del gruppo dei “Sette pittori del Novecento” e nel 1923 la Galleria Pesaro di Milano espone le loro opere: si tratta
During his career, Mario Sironi was involved with most of the leading movements in the first half of the 20th century, starting with Futurism. The three paintings by this artist presented in the exhibition are illustrative of his remarkable individual research. Trained in Rome at the Libera Scuola di Nudo, then at the studio of Giacomo Balla, Sironi began his activity in the Divisionist climate at the start of the century, a technique that he later rejected. In 1914 he moved to Milan, which he followed by several trips in Europe, including visits to Paris and Germany. He then became a member of the Futurist group and concentrated on depicting the themes of cities and industrial society. Like Filippo Tommaso Marinetti and Antonio Sant’Elia, he was a “volunteer cyclist” during World War I. Futurism glorified speed and machines and extolled the beauty of cars while simultaneously arguing vociferously that Italy should abandon its worship of its archaeological past. For Sironi, painting was one aspect of his engagement with life and integrated the notion of movement and energy. In his work this dynamism is demonstrated by the motion of lorries, motorcycles and bicycles but his preoccupation with movement was of short duration. At the start of the 1920s he became a founder-member of the group “Sette pittori del Novecento”. In 1923 the Milanese Galleria Pesaro exhibited works by seven artists: Sironi, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Emilio Malerba, Piero Marussig and Ubaldo Oppi. These artists of
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Mario Sironi, 2 figure (part.), 1928
di Sironi, Achille Funi, Leonardo Dudreville, Anselmo Bucci, Emilio Malerba, Piero Marussig e Ubaldo Oppi. Questi artisti, di orizzonti diversi, si somigliano per un’arte che rivendica il ritorno ai valori tradizionali dello spirito latino; contro la cancellazione della storia auspicata dalle avanguardie, essi vogliono ritrovare il supremo riferimento dell’antichità classica, la purezza delle forme e l’armonia della composizione. Coordinatrice del movimento è la critica d’arte Margherita Sarfatti, collaboratrice di Benito Mussolini. Il legame con il regime spinge dunque i critici a definirla arte di Stato o arte fascista, anche se è davvero difficile confondere la straordinaria vitalità e la diversità del movimento con una semplice arte di propaganda. La Biennale di Venezia del 1924 consacra il gruppo attraverso l’esposizione che gli è dedicata. Sironi vi partecipa con un’opera della
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different outlook had come together to argue for a return to the traditional values of the Latin spirit to counter the obliteration of art history by the avant-gardes. They laid claim to the supreme reference of classical antiquity with its characteristics of purity of form and harmony of composition. Coordinating this shift of direction was the art critic Margherita Sarfatti, one of those who worked with Benito Mussolini. This link with the Fascist regime laid the new Novecento group bare to criticisms that it was a political art form even though it is difficult to find a link between the extraordinary vitality and diversity of the movement’s work with simple propaganda art. The 1924 Venice Biennale devoted an exhibition to the group, with Sironi represented by a painting from his series Urban Landscapes. It was characteristic of his bare and uncluttered style and provided confirmation of
serie dei Paesaggi urbani, caratteristica della sua ricerca che impone uno stile sobrio ed essenziale e l’affermazione progressiva di una pittura monumentale. In un cromatismo cupo Sironi rappresenta periferie urbane deserte e silenziose, strade costeggiate da muri ciechi, severi isolati di edifici, ciminiere delle fabbriche da cui ogni forma di vita pare assente. L’Albero (1930) presente in mostra testimonia questa solitudine in un mondo arido, quasi desertico. L’angosciante oppressione dell’uomo in una città o in un paesaggio pronti a sottometterlo a un principio di volontà e di ordine illustra i fondamenti del Novecento e difende il ritorno ai valori tradizionali, ai “valori plastici” atti a risolvere l’angoscia esistenziale dell’uomo. A questo periodo risale il quadro 2 figure (1928); la forza imponente dei due personaggi, il contrasto tra la staticità e l’abbozzo di un movimento che ricorda ancora il futurismo, conferiscono a quest’opera un valore emblematico del momento. L’artista si volge già a quella monumentalità che caratterizzerà la sua opera negli affreschi del periodo successivo. Infatti Sironi, che attribuisce alla pittura una funzione etica e civile, a partire dagli anni Trenta auspica un ritorno alle tecniche tradizionali della pittura murale (in quanto arte sociale), del mosaico, del bassorilievo monumentale, che si accordano al suo gusto per l’estetica nazionalista. E dopo la seconda guerra mondiale egli si orienta verso la scenografia. La presenza particolarmente duratura di Sironi sulla scena artistica italiana ha attraversato la maggior parte dei grandi movimenti che l’hanno animata. Se la sua adesione all’estetica fascista lo ha in parte marginalizzato, egli
his progressively monumental painting. Using a range of dark colours, Sironi shows the deserted and silent outskirts of a town, with plain buildings, factory chimneys and the streets lined with blank walls, where life seems absent. The Tree (1930), included in the exhibition, represents the solitude of an arid, almost desertic world. The harrowing oppression of man in a town (or landscape), which endeavours to subject him to a principle of obedience and order, illustrates the principles of the Novecento movement, which defended a return to the tradional “plastic values” suited to resolving man’s existential suffering. The painting Two Figures (1928) dates from this period. The massive power of the figures and the contrast between staticness and the hint of movement that harks back to Futurism are emblematic of the art of that time. The monumentality that would typify his production in the wall frescoes of the following period was already present. In his attribution of an ethical and civic function to painting from the 1930s on, Sironi advocated the return to the traditional techniques of wall painting (as a social art), mosaic and monumental low relief, all of which harmonised with his fondness for the Italian aesthetic. After World War II, he turned his attention to set design. His long presence on the Italian art scene meant he was involved in most of its important movements. Although his adoption of the Fascist aesthetic set him on the artistic fringe, he is recognised today as having been one of the great 20th century artists in Italy. The suggestive force of his dark landscapes, his synthesis of form and the power of
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è oggi riconosciuto come uno dei grandi artisti di questo periodo. La forza di evocazione dei suoi paesaggi cupi, la sua sintesi formale e la potenza della sua materia gli hanno permesso di evitare i tranelli dell’accademismo e del realismo militante. Nel dopoguerra, facendosi più rare le commissioni pubbliche, egli torna sui temi delle periferie urbane, arricchite tuttavia di un cromatismo più contrastato. Le tematiche della città priva di vita che caratterizzano la sua pittura nel corso dei diversi periodi ci ricordano che Sironi, immediatamente dopo la sua incursione nel futurismo, già verso il 1919 interpretò in modo personale e più concreto, rispetto all’intellettualismo e alla visionarietà di de Chirico, una metafisica che s’ispira a tematiche futuriste, come La ballerina (Civiche Raccolte d’Arte, Milano), soggetto di tradizione futurista tramutatosi in manichino, elemento metafisico per eccellenza. La pittura italiana si volge, all’inizio del XX secolo, a una visione rimaneggiata di un’umanità messa a confronto con gli sconvolgimenti di un’epoca le cui innovazioni tecnologiche costituiscono un dato essenziale. Nel loro impegno inizialmente gli artisti manifestano un entusiasmo che molto presto lascia posto allo scetticismo di fronte ai movimenti violenti di un mondo che abbandona la poesia a vantaggio della competitività. Di fronte al futurismo progressista, la metafisica di Giorgio de Chirico e di Alberto Savinio propone una lettura nostalgica di un universo abbandonato dalla vita e si rivolge al classicismo, a un “ritorno all’ordine”, senza per questo rifugiarsi in una rappresentazione del tut-
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the matter allowed him to avoid the traps of academicism and militant realism. After the war, the public commissions he received became rarer and he returned to the theme of the suburbs but with heavier colour contrasts. The lifeless cityscapes he painted throughout his career are reminders that, immediately after his adhesion to Futurism around 1919, Sironi produced a personal and more tangible form of Metaphysics than the intellectual, visionary approach of de Chirico, one that took its inspiration from Futurist themes like The Dancer (Civiche Raccolte d’Arte, Milan), in which the Futurist figure is transmuted into that of a mannekin, a quintessential metaphysical motif. At the start of the 20th century, one of the themes of Italian painting was the reworked vision of humanity faced by a rapidly changing world, of which technological developments were a major aspect. Artists were at first enthusiastic but very quickly became sceptical when they saw the excesses of a world that replaced poetry with profits. In contrast with the progressive nature of Futurism, the Metaphysics elaborated by Giorgio de Chirico and Alberto Savinio offered a nostalgic interpretation of a lifeless world that had turned back to Classicism and a “return to order”, though without resorting to a completely academic or realist representation. Metaphysics formally came into existence in Italy in 1917, while de Chirico was stationed at the military hospital in Ferrara, the town where Savinio, Filippo de Pisis and Carlo Carrà were at that time all resident. The foundations of Met-
to accademica o realista. La metafisica s’impone in Italia a partire dal 1917, data ufficiale della sua nascita all’ospedale militare di Ferrara dove si ritrovano de Chirico, suo fratello Savinio, Filippo de Pisis e Carlo Carrà. Tuttavia le prime basi erano state poste a Parigi, dove i fratelli de Chirico erano entrati in contatto con esponenti delle avanguardie artistiche d’inizio secolo, mentre le loro opere del 1912-14 avevano contribuito ad alimentare il dibattito sfociato nei cambiamenti intellettuali ed estetici affermatisi durante la prima guerra mondiale. Le prime opere di Giorgio avevano già suscitato l’entusiasmo di Guillaume Apollinaire che sull’”Intransigeant” del 9 ottobre 1914 aveva scritto: “Il signor de Chirico espone nel suo atelier al 115 di Rue Notre-Dame-des-Champs una trentina di dipinti la cui arte interiore non deve lasciarci indifferenti. L’arte di questo giovane pittore è un’arte interiore e cerebrale che non ha niente a che vedere con quella dei pittori che si sono rivelati in questi ultimi anni. Non proviene né da Matisse, né da Picasso, e non deriva dagli impressionisti. Questa originalità è talmente nuova che merita di essere segnalata. Sensazioni assai intense e moderne asssumono nel suo lavoro una forma architettonica”. Secondo de Chirico la pittura deve allontanarsi dalla realtà nella sua pura apparenza e deve mettere in relazione le interazioni complesse esistenti tra le cose. La sua pittura elimina così ogni rappresentazione razionalista: spazi atemporali e cosmici, oggetti straniati dal loro contesto naturale s’impongono come elementi di rottura con il principio di causalità. L’opera, priva di punti di riferimento
aphysical painting had been laid in Paris when the de Chirico brothers came into contact with the avant-garde artists from the start of the century; their works from the years 1912-14 nourished the debate which led to the intellectual and aesthetic developments that took place during the war. Giorgio de Chirico’s early works aroused the enthusiasm of Guillaume Apollinaire, who wrote in L’Intransigeant on 9 October 1914: “M. de Chirico is exhibiting some thirty paintings in his studio at 115 Rue Notre-Dame-des-Champs, the inner art of which is consistently interesting. The art of this young painter is an inner, cerebral art that has no connection with that of the painters who have been discovered during the last few years. It does not stem from Matisse or from Picasso; it does not come from the Impressionists. This originality is new enough to warrant our attention. Ordinarily the acute and very modern sensations of M. de Chirico assume an architectural form.” According to de Chirico, painting has to distance itself from the appearance of reality and bring out the complex interactions that exist between things. His approach therefore eliminated all rationalist representation: his timeless, cosmic settings and objects removed from their natural context become elements that break with the principle of causality. Deprived of any space-time context, his works lose their descriptive actuality and are invested by a mysterious and intriguing atmosphere of “disquieting strangeness”. De Chirico’s painting is “metaphysical” in the sense that it transposes reality out of the reach of our customary logic. It plays on the contrast between the realistic presentation of the objects and spaces depicted and the
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spazio-temporali, perde ogni attualità descrittiva e assume un carattere misterioso e intrigante di una “inquietante stranezza”. La pittura di de Chirico è “metafisica” perché traspone la realtà al di là della logica abituale; essa gioca sul contrasto tra la precisione realista degli oggetti e degli spazi rappresentati, e la dimensione onirica che il pittore conferisce loro. Egli lavora sulla capacità del sogno di generare mondi a partire da un elemento noto. Come egli stesso ama dire, il pittore compone “immagini rivelate”.1 Nel 1914, a sua volta, Ardengo Soffici scrive: “La pittura di de Chirico non è pittura nel senso che oggi si attribuisce a questa parola. Si potrebbe definirla una scrittura di sogno. Mediante le fughe quasi infinite di portici e facciate, di grandi linee diritte, di masse immanenti di colori semplici e chiaroscuri quasi funerari, egli arriva infatti a esprimere questo senso di vastità, di solitudine, di immobilità, di estasi che producono a volte certi spettacoli della memoria nella nostra anima quando essa si addormenta.”2 Da questi paesaggi di città deserte emana un’atmosfera di mistero, un sentimento di attesa. Poeta tanto quanto pittore, de Chirico spiega lui stesso la propria opera: Vita, vita, grande sogno misterioso! Tutti gli enigmi che mostri; gioie e lampi… Portici al sole. Statue addormentate. Ciminiere rosse; nostalgie di orizzonti sconosciuti. – Belle giornate orribilmente tristi, imposte chiuse. – E l’enigma della scuola, e della prigione e della caserma; e la locomotiva che soffia di notte sotto la volta ghiacciata
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Giorgio de Chirico, Trovatore (part.), 1968
dreamlike dimension that they inhabit. The artist works on the ability of dream to generate worlds taking a known element as its origin. As de Chirico liked to say, he composed “revealed images”.1 Ardengo Soffici wrote in 1914: “De Chirico’s painting is not painting in the sense that the word has today. It could be defined as the writing down of dreams. By means of almost infinite rows of arches and facades, of extended straight lines, of gigantic masses of simple colours, of almost funereal darks and lights, he truly succeeds
e le stelle. – Sempre l’ignoto: il risveglio la mattina e il sogno che abbiamo fatto, oscuro presagio, oracolo misterioso… La metafisica si contrappone al futurismo per la sua ricerca di un significato profondo della forma attraverso un richiamo ai sogni e ai miti. Essa si conclude, in linea di massima, nel 1921 quando si sviluppa il gruppo di “Valori Plastici”. Ma in realtà la pittura metafisica continuerà a nutrire, nel corso del tempo, l’opera di de Chirico (in particolare dal 1920 al 1930 per le serie delle Archeologie, dei Gladiatori e dei Mobili nella valle) e l’ispirazione dei pittori di “Valori Plastici” e del gruppo di Novecento. Sul piano internazionale essa influenza certamente la nuova oggettività, ossia il realismo magico tedesco, e partecipa in particolare alla nascita del surrealismo, di cui de Chirico può essere considerato un precursore. Il gruppo di Valori Plastici è legato alla rivista omonima, pubblicata dal 1918 al 1922 e inizialmente destinata a diffondere l’estetica della pittura metafisica nelle correnti d’avanguardia. Fino ad allora interessata ai rapporti fra la tradizione italiana e la modernità europea, la rivista si oppone, a partire dal 1920, agli eccessi di certe tendenze d’avanguardia. Preconizza allora un rinnovamento del formalismo del XIV e XV secolo italiano. Il suo interesse per i “valori nazionali” e per la “tradizione italiana” le vale il sostegno politico del regime fascista. De Chirico, insieme a Carrà, Morandi e Soffici, è uno dei principali sostenitori di questa tendenza che
in expressing that sensation of vastness, solitude, immobility and stasis that certain sights reflected by the state of memory sometimes produce in our mind, just as we are on the edge of sleep.”2 These views of deserted towns impart an atmosphere of mystery and a sense of waiting. A poet as well as painter, de Chirico commented on his work:
Life, life, vast mysterious dream, how many are the enigmas you propound: joys and sudden gleams! Porticos in sunlight. Slumbering statues. Red factory chimneys, nostalgias of unknown horizons. – And the enigmas of the school, the prison and the barracks; and the locomotive whistling by night under a frozen vault, and the stars. – Forever the unknown: the waking in the morning and the dream one’s had: dark presage, cryptic oracle… Metaphysical painting contrasts with Futurism in its search for a deeper meaning of form and its recourse to dreams and myth. In principle it came to an end in 1921 when the group Valori Plastici was formed, but in fact it continued to nourish de Chirico’s work (notably from 1920 to 1930 with his series of Archaeologists, Gladiators and Furniture in the Valley) as well as to inspire the artists of the Valori Plastici and Novecento groups. On an international scale, Metaphysical painting influenced Neue Sachlichkeit, which was the magical realism group of Germany, but it mostly helped
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Giorgio de Chirico, Costruttori di trofei (part.), 1929
si profila ovunque in Europa. Infatti, al termine della prima guerra mondiale, dalla quale tutti i paesi escono straziati, in parallelo al dadaismo, al surrealismo e allo sviluppo dell’astrazione, si assiste, nell’ambito culturale, a una volontà di “ritorno all’ordine”, attorno a cui si raccoglie una folla eterogenea di artisti che si confrontano con il difficile periodo tra le due guerre. È questo in particolare il caso dell’Italia, dove le problematiche economiche, sociali e politiche segnano un momento particolarmente difficile. Nel prolungamento della pittura metafisica “Valori Plastici” e Novecento s’inscrivono in questo desiderio di ritorno al reale. De Chirico, tuttavia, persegue in modo personale il suo percorso.
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to define Surrealism, of which de Chirico was considered a forerunner. Valori Plastici was linked to the art review of the same name published between 1918 and 1922. This had the initial objective of spreading the aesthetic of Metaphysical painting in the avant-garde art world. Interested by the relations between the Italian tradition and European modernity, in 1920 it began to take a stand against the excesses of some avant-garde currents. It advocated a renewal of the formalism of the fourteenth and fifteenth centuries in Italy and its lauding of “national values” and the “Italian tradition” earned it the political support of the Fascist party. Together de Chirico, Carrà, Morandi and Soffici championed the return to tradition, a trend that gradually spread across the whole of Europe. With the end of World War I, out of which all the countries involved emerged ravaged, the hopelessness of the post-war period generated different reactions among artists. Some responses were Dada, Surrealism and the development of abstraction; another was a measured desire for a “return to order” in cultural circles, around which an assorted group of artists collected. The war had affected Italy particularly badly economically, socially and politically, and the country’s prospect was grim. Prolonging Metaphysical painting, Valori Plastici and Novecento both called for a return to the painting of reality, but de Chirico continued his activity in his own manner. The “pictor optimus”, or “best painter” as he now termed himself, focused his attention on pictorial technique, the alchemy of the masters of the past and the “bella mate-
Il “pictor optimus” (il miglior pittore, come egli definisce se stesso) è ormai occupato dalla tecnica pittorica, l’alchimia dei maestri del passato e la “bella materia”. De Chirico si fa “depaesaggista” (secondo l’espressione di Jean Cocteau), con mobili sproporzionati o frutti straniati in paesaggi di rovine. Ibride archeologie metafisiche completano la composizione del mondo del pittore. Costruttori di trofei (1929) appartiene a questa realtà parallela di un mondo teatralizzato, volontariamente sconcertante, popolato da centurioni romani, gladiatori da “peplum” e cavalli ben criniti. Nei suoi Gladiatori non bisogna leggere la “romanità” trionfante del Novecento, ma al contrario ammassi umani irriverenti e palpitanti che preannunciano la disgregazione della rappresentazione umana, che anticipano la disfatta e la caduta. Poi vengono gli anni Quaranta, periodo delle ripetizioni seriali, delle “repliche” a partire da opere precedenti. Max Ernst vedeva de Chirico “distruggere fino a renderle commerciali le sue opere più antiche” e, “come Rimbaud, Lautréamont, Duchamp, incamminarsi verso un paziente lavoro di autodistruzione”. Al contrario, quella fu per de Chirico un’opera di riconquista della propria storia di fronte alle leggi di un mercato castrante. Egli anticipa in questo un atteggiamento artistico provocatore che sarà sviluppato dagli esponenti della pop art negli Stati Uniti. A questa “riedizione” delle Piazze d’Italia risale il quadro Piazza d’Italia con Arianna (1948). Alberto Savinio, nonostante l’affinità con il fratello Giorgio, segue una strada autonoma e mescola le influenze parigine del periodo prebellico in un registro pittorico ma anche
ria”, or the physical matter that he applied to the canvas. In the term coined by Jean Cocteau, de Chirico became a “dépaysagiste”, literally a “de-landscape painter”. He painted oversized pieces of furniture and fruit among ruins, and included elements from the archaeological world and metaphysical hybrids. Constructors of Trophies (1929) is an example of this parallel reality, this deliberately disconcerting theatricalised world featuring Roman centurions, gladiators straight out of Italian “sword and sandal” films, and horses. His Gladiators series is not representative of the triumphant Rome-centred Novecento but pathetic, gasping masses of humans that announce the decomposition of human representation that heralds defeat and disaster. During the 1940s, he produced serial repetitions, his “replays”, starting with his earlier works. Max Ernst felt that de Chirico was destroying the commercial value of his earliest works and, “like Rimbaud, Lautréamont, Duchamp, involved in a gradual process of self-destruction”. For de Chirico, of course, it was quite the contrary: he felt he was winning back his own history from the castrating nature of the art market. In so doing he presaged the provocative attitude towards the art object taken by Pop artists in the United States in the 1960s. The painting Piazza d’Italia with Ariadne (1948) is one of his “re-editions” of his 1914 painting Piazza d’Italia. In spite of his closeness to his brother, Alberto Savinio followed his own path, one that blended pre-war Parisian influences in the pictorial, literary and musical fields. He was a friend of Guillaume Apollinaire and in 1914 published the
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letterario e musicale. Egli è allora amico di Guillaume Apollinaire e nel 1914 pubblica il poema drammatico I canti della mezza morte. Agli anni parigini (1910-15) e ai primi quadri metafisici di de Chirico corrisponde in Savinio una produzione musicale e letteraria che continuerà per tutta la vita. Nel 1915 si arruola volontario insieme al fratello, ma entrambi risultano non idonei e vengono trasferiti a Ferrara, dove incontrano Filippo de Pisis e Carlo Carrà. Nel 1918 Savinio pubblica Hermaphrodito. Savinio è un artista e un intellettuale puro: per lui le due nozioni sono del resto indissolubilmente legate. È maestro nell’arte di osservare ciò che accade attorno a sé, elaborando e trasformando il prodotto della sua riflessione in idee; è un “uomo orchestra” di grande erudizione, un autentico genio dal cervello in costante fermentazione e dall’umorismo graffiante. È anche uno dei principali teorici di “Valori Plastici”, cui aderisce nel 1921. E, oltre a pubblicare i suoi testi teorici e narrativi, contribuisce nel 1924 alla fondazione della Compagnia del Teatro dell’Arte diretta da Luigi Pirandello. Una prima segnalazione del suo lavoro di pittore compare nel 1925 nell’Index di Anton Giulio Bragaglia. Poco dopo, nel 1926, Savinio parte per Parigi, iniziando un rapporto di amore-odio con gli amici surrealisti. Dei due fratelli de Chirico, Breton scriverà nell’Anthologie de l’humour noir: “Tutto il mito moderno ancora in formazione si appoggia alla sua origine sulle opere, dallo spirito quasi indiscernibile, di Alberto Savinio e di suo fratello Giorgio de Chirico, opere che raggiungono il loro punto culminante alla vigilia della guerra del 1914. Le risorse del visivo e dell’uditivo si trovano da loro af-
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dramatic poem Les Chants de la mi-mort. During his years in Paris (1910-15) and the period in which his brother Giorgio de Chirico produced his first Metaphysical paintings, Savinio was heavily involved in the writing of music and literature, something he was to continue throughout his life. In 1915 he enlisted as a volunteer with his brother but both were considered unfit for fighting and were stationed in Ferrara, where they met Filippo de Pisis and Carlo Carrà. In 1918 he published his first novel, Hermaphrodito. Alberto Savinio was a pure intellectual and artist, though to him the two labels were indissolubly linked. He was a master in the art of observing what was happening around him and of developing and transforming the product of his contemplation into ideas. He was a multi-talented individual of great scholarship and a genius with an incandescent mind and scathing sense of humour. He was one of the leading theoreticians of Valori Plastici, which he joined in 1921. In addition to publishing theoretical essays and novels, in 1924 Savinio helped found the Compagnia del Teatro dell’Arte directed by Luigi Pirandello. A first indication of his work as a painter appeared in 1925 in Anton Giulio Bragaglia’s satirical pamphlet Index Rerum… A year later Savinio left for Paris where he struck up a lovehate relationship with his Surrealist friends. In his Anthology of Black Humour, André Breton wrote the following about the two de Chirico brothers: “The whole of the modern myth still in process of formation is founded on two bodies of work – Alberto Savinio’s and his brother Giorgio de Chirico’s – that are almost indistinguishable in spirit and that reached their
fiancate per la creazione di un linguaggio simbolico, concreto, universalmente intelligibile per il fatto che esso ambisce riferirsi al più alto grado della realtà specifica dell’epoca.”3 Nel 1927 Savinio espone le sue prime opere da Bernheim a Parigi, e Cocteau redige la prefazione del catalogo. A questo periodo risale il quadro Il sogno di Achille (1926), opera magistrale dal contenuto epico e onirico che distingue l’opera di Savinio fra tutti gli artisti del “ritorno all’ordine”. Infatti la sua ispirazione è unica e sfugge ai criteri descrittivi di un classicismo a volte pomposo. In Savinio domina l’alito della poesia. L’artista rappresenta qui l’eroe greco Achille, protagonista dell’Iliade ma anche personaggio di un’opera dello stesso Savinio intitolata Achille innamorato. Il personaggio si offre in un languore romantico, disteso supino su
zenith on the eve of the war of 1914. They have employed the resources of the visual and auditive simultaneously in the creation of a symbolic and tangible language that is universally intelligible due to the fact that it claims to take into account the specific reality of the period to the utmost degree.”3 In 1927 Savinio exhibited his first works at the galerie Bernheim in Paris. The preface of the catalogue was written by Jean Cocteau. The painting The Dream of Achilles (1926) dates from this period. This masterly work of epic and oneiric content sets Savinio’s art apart from all the artists in the “return to order”. His unique inspiration evades the descriptive criteria of the sometimes pompous classicism. The dominant characteristic of Savinio’s work is poetry. Here he
Alberto Savinio, Il sogno di Achille (part.), 1926
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una spiaggia, in un momento di fantasticheria in cui l’immaginario trionfa sulla realtà. Evidentemente la scena allude all’apparizione di Patroclo raccontata nel poema omerico. Achille contempla il mare agitato da un vento che reca su una nuvola blu l’immagine fuggevole di figure fantastiche. Questo capolavoro illustra la perfetta maestria dell’artista in un genere che gli appartiene totalmente, testimone della libertà di uno spirito fecondo che si avvicina più al surrealismo che alla metafisica. Savinio, in effetti, eccelleva nella mescolanza di un classicismo mediterraneo con un certo gusto per il fantastico, non omettendo spesso una punta di ironia-parodia che svela i paradossi borghesi. Dopo il soggiorno parigino è arduo distinguere nella multiforme attività di Savinio il lavoro letterario, poetico e musicale dalla pittura. E quando, nel 1934, ritorna definitivamente in Italia, egli privilegia l’attività letteraria e giornalistica, fondando la rivista “Colonna”, senza però trascurare le altre sue molteplici passioni. Nel 1934 gli è dedicata un’importante mostra personale alla Galleria Sabatello (39 dipinti e 20 disegni). Da questo momento fino al 1943 il “grande dilettante” (come l’artista stesso amava definirsi) è impegnato soprattutto in campo letterario e teatrale. Pubblica, tra l’altro, L’infanzia di Nivasio Dolcemare e Ascolto il tuo cuore, città (1941); Narrate uomini la vostra storia (1942), Casa “La Vita” (1943). Continua tuttavia a dipingere ed esporre: nel 1943, alla Galleria dello Zodiaco, ha luogo una mostra personale di disegni. Espone ancora a Roma nel 1945 alla Margherita e nel 1950 allo Zodiaco. E nel 1954 la Biennale di Venezia gli dedica una retrospet-
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shows the Greek hero Achilles, the hero of the Iliad but also a central figure in a story written by Savinio himself called Achilles in Love. The hero lies on his side on a beach, gazing out to sea in a reverie. The scene evidently alludes to the appearance of Patroclus to Achilles described in Homer’s epic. Achilles observes the sea ruffled by a wind that bears, in a barrage of bluish clouds, the fleeting image of fantastic figures. This masterpiece by Alberto Savinio is an illustration of his perfect mastery of a genre that was totally personal, and displays the freedom of a spirit that was closer to Surrealism than Metaphysical painting. Savinio excelled in this combination of Mediterranean classicism and a touch of fantasy, usually including a pointed dose of irony or parody that exposed bourgeois paradoxes. After his period in Paris, it is difficult to distinguish his literary, poetic and musical work from his painting. And when, around 1934, he returned permanently to Italy, he focused on literature and journalism. He founded the review Colonna while continuing to work in multiple other activities. The Galleria Sabatello held an important solo exhibition of his works (39 paintings and 20 drawings) in 1934. From that time until 1943 the “great dilettante”, as he liked to refer to himself, was prevalently engaged in work in the literary and theatrical fields. He published, among many other novels, The Childhood of Nivasio Dolcemare and Listen to Your Heart, City (1941); Narrate uomini la vostra storia (1942), and Casa “La Vita” (1943). He continued to paint and in 1943 held a personal exhibition of drawings in the Galleria dello Zodiaco. He exhibited again in Rome in 1945 at the
Alberto Savinio, Souvenir d’un monde disparu (part.), 1926
tiva, postuma. In effetti l’ispirazione contraddittoria e polimorfa di Savinio ha alimentato un’opera proteiforme, coronata da un riconoscimento tardivo, in quanto lo spirito del tempo non invitava alla fantasticheria, esercizio prediletto di questo artista che si voleva dilettante. “Ciò che appariva evidente, a seguire anche velocemente i passi di Savinio, è questo segno multiplo che caratterizza il suo bighellonare nelle arti, e che accompagna quell’altro girovagare tra le lingue che Savinio eserciterà nel corso della sua opera poliglotta. È questo un atteggiamento che egli ha potuto designare come una sorta di dilettantismo o di nomadismo intellettuale che collega naturalmente una ricerca del multiplo a un’andatura decentrata, sempre volontariamente a lato. [...] A questo si associa un’ambivalenza essenziale dell’o-
Margherita and in 1950 at the Zodiaco. The Venice Biennale gave him a retrospective in 1954. Savinio’s protean artistic output only garnered recognition late as the spirit of the time in which he lived did not encourage dreaming and reverie, the favourite activity of this artist who only considered himself a dabbler. “What is strikingly clear is the multiple nature of his saunter among the arts, and which equally characterised his other saunter through languages, something that Savinio indulged in throughout the production of his polyglot oeuvre. That is an attitude that he could have qualified as a sort of dilettantism or intellectual nomadism and which quite naturally links research of a multiple nature with eccentric reasoning, one he always deliberately kept unconventional. […] Associated with this is an essential ambivalence in his production, residing in the
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pera, nel diritto che il suo autore si concede di una contraddizione perpetua, di cui egli fa un utilizzo felice e abbondante, e che egli designa come motore del proprio pensiero e di tutti i pensieri.”4 Questo atteggiamento, fondamentalmente irriverente nei confronti di un mondo dell’arte monomaniaco, fonda un pensiero la cui espressione pittorica consacra l’indipendenza e il talento. Altrettanto personali sono le esperienze di Osvaldo Licini e Giorgio Morandi, che inizialmente captano il flusso futurista per poi orientarsi verso direzioni del tutto autonome. Complici nella vita, i due studenti condividono la formazione all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dal 1907 al 1913 per Morandi, dal 1911 al 1917 per Licini. Espongono per la prima volta nel 1914 all’Hotel Baglioni di Bologna, in una manifestazione che raggruppa essenzialmente artisti futuristi. Morandi si appassiona al movimento: incontra Balilla Pratella, poi Marinetti, Boccioni e Russolo, assiste a serate futuriste a Modena nella primavera del 1913 e a Bologna nel gennaio 1914. Partecipa anche alla prima “esposizione libera futurista” a Roma nell’aprile 1914. Subisce il fascino di Cézanne e Matisse. Tra il 1917 e il 1925 Licini soggiorna a Parigi, mentre Morandi, rimasto in Italia, conduce una riflessione sulla propria arte e scopre il lavoro di Carlo Carrà e Giorgio de Chirico, i quali apportano una dimensione nuova alla pittura, quella di una riflessione al tempo stesso poetica e metafisica. In seguito a quell’incontro Morandi realizza un insieme di nature morte fortemente segnate da una pratica introspet-
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right, which its author awarded himself, of a perpetual contradiction, of which he made happy and abundant use and that he referred to as the motor of his thought, and even of all thought.”4 This fundamentally irreverent attitude in the face of a monomaniacal art world underlies an attitude whose pictorial expression exalts independence and talent.
The experiences of Osvaldo Licini and Giorgio Morandi are just as individual. Having initially ridden the Futurist wave, they both later headed off in totally independent directions. The studies of the pair overlapped at the Accademia di Belle Arti in Bologna (1907-13 for Morandi and 1911-17 for Licini) and they exhibited together for the first time in 1914 at the Hotel Baglioni in Bologna in an exhibition that essentially brought together the Futurist artists. Morandi was a passionate supporter of the movement: he met Balilla Pratella, then Marinetti, Boccioni and Russolo, and was present at Futurist soirées in Modena in spring 1913 and then in Bologna in January 1914. His work was also shown at the first “free Futurist exhibition” in Rome in April 1914. Artists he admired were Cézanne and Matisse. Licini lived in Paris between 1917 and 1925 but Morandi remained in Italy where he discovered the works of Carlo Carrà and Giorgio de Chirico. Their oeuvre brought a new dimension of poetry and metaphysics to painting which stimulated Morandi to produce a set of poetic and conceptual still-lifes strongly marked by introspection. He was active in the group of Metaphysical painters and, at the Primaverile fiorentina exhibition in Florence with de Chirico, Carrà and Arturo Mar-
tiva, poetica e allo stesso tempo concettuale. Partecipa all’attività del gruppo dei pittori metafisici. La sua presenza alla Primaverile fiorentina, alla quale prende parte con de Chirico, Carrà e Arturo Martini, conferma il suo impegno. De Chirico presenta l’opera di Morandi in catalogo affermando che “egli cerca di creare e ritrovare tutto l’universo grazie alla sua solitudine”. Nei dipinti di questo periodo gli oggetti, definiti dallo sguardo freddo del pittore, sono le uniche presenze che invadono uno spazio spoglio e geometrico. L’accento posto sui valori spaziali e l’interesse particolare accordato alla prospettiva denotano la sua volontà di abbandonare provvisoriamente la dislocazione dei piani e dei volumi. Ma questa parte della sua opera, che appare oggi come una parentesi, si conclude nel 1920. Quanto a Licini, tornato dalla guerra con una grave ferita alla gamba, conclude la sua convalescenza a Parigi accanto alla madre, che raggiunge nel 1917. Stringe un legame di amicizia con Amedeo Modigliani, con il quale condivide un carattere ribelle e anarchico, e fa la conoscenza di Picasso. L’influenza maggiore che riceve in questo periodo proviene però dall’incontro con i poeti romantici e simbolisti. La lettura di Leopardi, Novalis, Apollinaire, Mallarmé, Rimbaud, Valéry alimenta il suo immaginario e costituisce la sua fonte d’ispirazione lirica. A Parigi apre uno studio al 28 di Faubourg Poissonnière e inizia un’intensa attività espositiva con mostre nei caffè; frequenta inoltre l’amico Mario Tozzi, e poi Severini, Campigli, Severo Pozzati, de Chirico, de Pisis. Con loro condivide l’avvio dell’avventura degli “italiens de Paris”: insieme espongono nel prestigioso
tini, he confirmed his adhesion to the group. In the catalogue, de Chirico wrote that Morandi’s work “tried to create and rediscover the entire universe through its solitude”. His canvases of this period show a bare, geometric space invaded solely by objects depicted coldly in the painter’s remote gaze. The emphasis on spatial values and Morandi’s particular interest in perspective demonstrate his desire to move away temporarily from the destructuring of planes and volumes. However, this phase of his development, which today is considered to have been a digression, came to an end in 1920. Licini returned from the war with a serious leg injury in 1917 and went to convalesce at his mother’s house in Paris. He struck up a friendship with Amedeo Modigliani on the basis of their shared anarchic and rebellious nature and was introduced to Picasso. During this period the major influence he received derived from his meeting with Romantic and Symbolist poets. The writings of Leopardi, Novalis, Apollinaire, Mallarmé, Rimbaud and Valéry stimulated his imagination and became a source of lyrical inspiration. He set up a studio in Paris at 28 Faubourg Poissonière, exhibited his works in a series of displays in cafés and spent time with his friend Mario Tozzi and fellow-Italians Gino Severini, Massimo Campigli, Severo Pozzati, Giorgio de Chirico and Filippo de Pisis. This group became known as the “Italiens de Paris” and together exhibited at the prestigious Salon d’Automne, the cradle of the most avant-garde research, and the Salon des Indépendants. Licini’s painting during these years is described by the artist himself in a letter written in 1935
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Salon d’Automne, culla delle più audaci ricerche d’avanguardia, e al Salon des Indépendants. La pittura di questi anni ci viene descritta dall’artista stesso in una lettera del 1935 al critico Giuseppe Marchiori: “La mia pittura preastratta è pittura fauve che viene da Cézanne, Van Gogh e Matisse, tra i maestri di prim’ordine, e i miei disegni lo possono provare.” Gli anni Venti segnano l’opera dei due giovani pittori con una “tensione verso il reale” che s’impone in questa fase di sperimentazione e di intensa ricerca, caratterizzata in ognuno di loro da un attaccamento al linguaggio figurativo, Licini privilegiando lo stile e la tematica, Morandi favorendo la materia e il colore. Le loro strade divergono negli anni Trenta, quando ognuno afferma la propria personalità in scelte che a volte li contrappongono. Questo periodo è segnato in Morandi da una fase di estrema tensione interiore che si riflette in opere depurate, quasi ascetiche. Già da alcuni anni l’artista esplora esclusivamente un campo di esperienze estremamente ridotto, fino ai suoi limiti estremi. La sua pittura tende a contraddire l’approccio storico e a denunciarne l’inefficacia. Al di là dei segni che marcano il reale e lo contestano, esiste una volontà di rimettere in questione le forme che nessuna analisi tradizionale può spiegare. Nel 1939, alla Quadriennale di Roma, Morandi riceve il secondo premio per la pittura, mentre Licini espone nel padiglione futurista insieme a Radice e Soldati. Un forte dissidio scoppia in questa occasione tra i due amici, e le loro rispettive ricerche si orientano verso posizioni incompatibili.
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to the critic Giuseppe Marchiori: “My pre-abstract painting is Fauve painting derived from Cézanne, Van Gogh and Matisse, some of the very best artists, and my drawings are evidence of this.” During the 1920s, the works of the young Licini and Morandi were characterised by the “tensione verso il reale” (the pull of reality). This period of experimentation and intense research was marked for both artists by an attachment to figurative language, Licini focusing on style and themes while Morandi concentrated on colour and the matter. During the following decade their routes diverged, their choices – sometimes conflicting – reflecting their individual personalities. Morandi’s uncluttered works reflected an extreme inner, almost ascetic state. For several years he had been exploring a sphere of experience reduced to its most extreme limits. His painting tended to contradict the historic approach and to expose its inadequacies. In addition to both defining and contesting reality, his painting aspires to call into question the forms that no traditional analysis can elucidate. At the 1939 Quadriennale in Rome he received second prize for painting while Licini exhibited in the Futurist pavilion with Mario Radice and Atanasio Soldati. The occasion gave rise to strong dissent between the two friends, Licini and Morandi, as their respective research was founded on incompatible positions. Over the years, Licini had adopted an abstract form of representation characterised by extreme spareness and tension. He was one of the first artists in Italy to move towards abstraction and joined the Italian group of abstractionists, which included such names as Fontana,
Nel corso di questi anni, infatti, Licini si è accostato a una forma astratta di rappresentazione, con una pittura estremamente spoglia e di grande tensione. È uno dei primi in Italia a evolvere verso l’astrazione e partecipa al gruppo degli astrattisti italiani che nel 1934 espone alla Galleria del Milione a Milano e che tra i suoi membri annovera Fontana, Soldati, Veronesi, Melotti ecc. Nel 1935, a Parigi, aderisce al movimento internazionale Abstraction-Création, associazione che ha per vocazione di raggruppare i pittori astratti di tutte le tendenze: durante la sua breve esistenza vi aderiscono infatti tutti gli artisti internazionali di questo ambito. Nella capitale francese Licini non perde l’occasione di visitare l’atelier di Kandinsky e la mostra di Man Ray alla Galerie des Cahiers d’Art. La pittura astratta di Licini si distingue per un senso poetico intensamente lirico: egli è allora uno dei pochi a liberarsi dei limiti del razionalismo geometrico attraverso il colore, l’immaginazione e un clima espressionista quasi informale. Di quel periodo è proposta in mostra un’opera quasi minimalista: Composizione su fondo rosso, del 1935, nella quale la forza del colore s’impone, intensa e luminosa. Questa forma di astrazione geometrica che caratterizza la sua opera negli anni Trenta dimostra la predominanza della sensibilità e della vibrazione della materia sul segno, privilegiando l’immaginazione piuttosto che la regola rigida di una geometria rigorosa. La poesia dell’arte di Licini rende la sua opera enigmatica: segni sottili, linee irregolari definiscono spesso uno spazio nel quale l’immaginario trionfa sulla costruzione, più vicino a Klee che a Mondrian,
Osvaldo Licini, Composizione su fondo rosso (part.), 1935
Soldati, Veronesi and Melotti. Together they exhibited at the Galleria del Milione in Milan in 1934. A year later in Paris, Licini became a member of the short-lived international movement Abstraction-Création, which brought together abstract painters of all tendencies. While in Paris, Licini visited Kandinsky’s studio and the Man Ray exhibition at the Galerie des Cahiers d’Art. Osvaldo Licini’s abstract painting is denoted by a powerfully lyrical poetics. He was one of the only artists to free himself
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in un orientamento spirituale, lirico e intuitivo. Questo periodo fa da preludio di una nuova produzione che privilegia il ritorno alla figura sotto una forma totalmente libera che l’artista svilupperà tra il 1940 e il ‘45, anni di guerra durante i quali Licini rinuncia a esporre. In quegli anni di solitudine il pittore mette a punto un’iconografia fantastica in continua metamorfosi, integrando segni e lettere, alberi stilizzati, figure di lune o mezzelune, disegnando una C che raffigurerebbe il volto di un Olandese volante (di cui l’esposizione propone una versione del 1940-44). Questo personaggio caratterizza le opere degli anni della guerra e costituisce la figura dominante di quadri dalla composizione sobria, in cui spesso alcune lettere vagano solitarie in uno spazio definito da uno sfondo colorato di giallo, blu o rosso. Attraverso il titolo stesso dell’opera l’artista suggerisce un rapporto con un mondo di presagi, maledizioni ed esilio. Una forte connotazione romantica abita questa storia, nota a tutti i marinai del mondo che credono nell’esistenza di una nave olandese il cui equipaggio è condannato dalla giustizia divina a errare per i mari sino alla fine dei tempi. Wagner vi si ispirò per la sua opera Il vascello fantasma. Oltre a quest’ombra, che contrariamente alla leggenda in Licini non riveste alcun carattere inquietante poiché l’artista ne sottolinea solamente il lato misterioso, altri temi ricorrenti nascono allora, come la figura di Amalassunta e, nella seconda metà degli anni Quaranta, gli Angeli ribelli. La sua arte è allora segnata dall’abbandono di ogni dogma e inaugura una fantasia surrealista molto personale nella
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Osvaldo Licini, Olandese volante (part.), 1940
of the limitations of geometric rationalism through colour, imagination and an almost informal expressionism. This phase of his oeuvre is represented in the exhibition by Composition on a Red Ground (1935), dominated by the power of intense and luminous colour. This form of geometric abstraction typical of his production in the 1930s reveals the predominance of the sensibility and vibration inherent in the use of matter over the sign, demonstrating that the artist preferred to concentrate on imagination than geometric rigour. The poetic nature of his art renders his oeuvre enigmatic: he employed delicate signs, with irregular lines often defining a space in which imagination prevails over construction. The result is closer to Klee than Mondrian and denotes a spiritual, lyrical and intuitive orientation. This period was a prelude to a return to figuration using a
quale le influenze del Nord (sua moglie è svedese), la poesia simbolista e postsimbolista, i suoi pensieri e le motiva-
zioni poetiche si fondono in una serie di una straordinaria
intensità che approderà negli anni Cinquanta a un’immersione totale in un mondo onirico e fantastico con la sua riflessione sull’arte e sulla propria pittura.
Scrive Elena Pontiggia: “Sullo sfondo inquieto della ricerca
pittorica dell’artista, a partire dal 1945-46, compaiono le
straordinarie invenzioni iconografiche, prima le Amalassunte e poi gli Angeli ribelli. È come se il crogiolo dei segni
e dei personaggi senza nome si fosse versato e rappreso in Osvaldo Licini, Amalassunta su fondo blu (part.), 1949-1950
fully free form during the war years, 1940-45, during which he refused to exhibit. He used the time to concentrate on developing an imaginative iconography in constant metamorphosis that employed signs and letters, stylised trees, figures in the form of a moon or a giant C-shaped crescent bearing the face of the Flying Dutchman. The exhibition offers a version of this iconography from the period 1940-44. The figure of the Flying Dutchman was the dominant feature of his paintings during the war years, in which sparing composition was marked by a few letters travelling alone through a space defined by a yellow, blue or red ground. The titles of his works alone create a rapport with this strongly romantic world of omens, curses and wandering based on the story of the Flying Dutchman, a ship condemned by divine justice to roam the seas of the world till the end of time and believed by mariners to be a portent of doom. Wagner based an opera on the theme with the same name. In addition to this figure, which to Licini was purely of mysterious rather than ominous character, the artist conceived others, like the Amalassunta and, in the second half of the 1940s, the Rebel Angels. His art abandoned all dogma and initiated a very personal surrealist fantasy in which nordic influences (his wife was Swedish) and Symbolist and postSymbolist poetry merged with elegiac inspiration to give rise to a series of extraordinary intensity during the 1950s. This series was characterised by total immersion in a world of dream and fantasy, in addition to a reflection on art and his own painting. Elena Pontiggia wrote: “Against the unquiet background of
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una figuratività cosmica, dando luogo a una Eva e a un Adamo luciferini, personificazioni dell’eroe-uomo nietzschiano e insieme emblemi eretici della luna e del sole, chiamati a presiedere all’enigma dei cieli. Amalassunta, come ha voluto spiegare Licini stesso nel 1950, indica ‘la Luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco’.”5 Questo riferimento a un segno celeste potrebbe forse suggerire qualche attinenza al dogma dell’Assunzione, conoscendo l’interesse dell’artista, per quanto agnostico, per le manifestazioni irrazionali, miracolose, misteriose. Ma esso è più probabilmente legato alla leggenda della figlia di Teodorico. Come ricorda Elena Pontiggia: “AmalassuntaLuna, regina degli Ostrogoti e insieme dea mitologica, venerata in tutte le religioni come signora dell’oltretomba, ma anche come colei che governa i parti e le maree, le nascite e le rinascite; Amalassunta, dunque, è la personificazione dell’eros e della vita ultraterrena, l’immagine del loro mistero. Dea, fata e giovane donna, la Luna si presenta in molte vesti e in molti ornamenti.”6 Tuttavia Licini, per la sua rappresentazione, non adotta i canoni figurativi consueti, ma mescola ironia, ispirazione ludica e illusione dell’immagine della donna sotto forma lunare, animata a volte da elementi grotteschi e percorsa da numeri e lettere appartenenti a un’alchimia tutta personale. L’arte di Licini porta l’impronta della libertà, della scoperta, dell’illuminazione interiore, e di credenze in mondi occulti. Negli spazi liciniani vagano anime inquiete come gli Angeli ribelli che fondono in se stessi la sintesi dell’essere al contempo ce-
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the artist’s pictorial research, the extraordinary iconographic inventions of the Amalassunta appeared around 1945-46, followed by the Rebel Angels. It is as though the melting pot of his signs and nameless figures had been overturned and caught up in a cosmic symbolism, giving rise to a diabolic Adam and Eve, personifications of Nietszche’s Overman and heretical symbols of the moon and sun, called to preside over the enigma of the heavens. Amalassunta, as Licini explained in 1950, refers to ‘our beautiful Moon, guaranteed [to shine in] silver for eternity, personified in few words, the friend of every weary heart’.”5 Knowing the artist to be someone attracted to all irrational, miraculous and mysterious manifestations, despite his agnosticism, this reference to a celestial sign may suggest an attachment to the dogma of the Assumption, but it is more likely linked to the legend of the daughter of Theodoricus. As Elena Pontiggia recounts: “Amalassunta-Moon, queen of the Ostrogoths and mythological goddess, worshiped in all religions as the Lady of the Afterworld, but also as she who governs childbirth and the tides, births and rebirths; Amalassunta is therefore the personification of the eros and life in the afterworld, the image of their mystery. Goddess, supernatural being and young woman, the Moon appears in many guises and ornaments.”6 For his representation, however, Licini did not adopt figurative canons but created a melange of humour, playfulness and illusion in the image of a woman in lunar form, at times incorporating grotesque features and characterised by numbers and letters, demonstrating a very personal alchemy. His art bears the stamp
lesti ed eretici, divini e malefici, immagine dell’uomo che in questi tempi di guerra porta distruzione e disgrazia. “Il demone già adombrato nell’Olandese volante rappresenta per Licini l’uomo stesso, o meglio una sorta di superuomo nietzschiano: l’uomo che è giunto a trascendersi, a rovesciare tutti i valori, e trova l’unico valore nel dubbio.”7 In mostra sono proposte varie versioni di questi Angeli che appaiono nella storia della pittura del dopoguerra come un’eccezione culturale, affermandosi in un linguaggio indefinibile tra astrazione e figurazione, al tempo stesso lirica e profondamente epica. Essi offrono una visione dell’uomo nella sua grandezza e nella sua decadenza, sotto forma di un’espressione sommamente commovente e poetica. Nel corso degli anni Cinquanta Licini, privilegiando sempre tematiche fantastiche, reintroduce la geometria soprattut-
Osvaldo Licini, Angelo con coda (il Miracolo di San Marco), part., 1948
of freedom, discovery, spiritual enlightenment, beliefs and occult worlds. Drifting through his world are troubled spirits like rebellious angels, an amalgamation of the celestial and heretical, divine and evil, and an image of man in those destructive times of war. “To Licini, the concealed demon in the Flying Dutchman represents man himself, or better, a sort of Nietzschean Overman: the man who has succeeded in transcending himself, overturning all his values, and finds the only value in doubt.”7 The exhibition presents different versions of these lyrical and deeply epic Angels, rendered in an undefinable language, somewhere between abstraction and figuration, and whose presence is a cultural exception in post-war painting. They offer an eminently moving and poetic vision of man in his grandeur and decadence. In the themes of unreality that he practised throughout the 1950s, Licini reintroduced a geometric approach, above all through his use of triangles, which he used to build his compositions. In the post-war period up till his death in 1958, he perfected his personal language with the incorporation of distinctive expressive and linguistic techniques, a continuous development won him recognition and prestige. He reconnected with Morandi, the friend of his youth, once they were both able to appreciate the genuine aesthetic value and solid formation of the other’s art. In those same years Morandi painted some of his greatest works, producing landscapes and still-lifes in which the balance of the objects and the rarefaction of their representation projects them into a timeless space. Morandi’s art cannot truly be categorised or linked to any specific
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to attraverso l’utilizzo del triangolo di cui si serve per la costruzione dei suoi dipinti. Nel periodo del dopoguerra e fino al 1958, anno della sua scomparsa, l’artista perfeziona il suo linguaggio mediante tecniche espressive e linguistiche che lo contraddistinguono nettamente. Questa affermazione costante di una forza creativa che lo differenzia da tutti gli vale riconoscimenti e prestigio. Ritrova Morandi, l’amico della giovinezza che le dispute estetiche avevano un tempo allontanato, riconoscendosi reciprocamente valori di ricerca autentici e un cammino pienamente maturo. Quanto a Morandi, egli dipinge alcuni dei suoi più grandi
Osvaldo Licini, Angelo ribelle su fondo rosa (part), 1950
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school. The influence of Cézanne is of course apparent, from whom he borrows density of colour and form, but his style is strongly personal, marked by subtlety and refinement of form as much in his landscapes as his still-lifes. The latter are intensely worked in both their design and innumerable shades of colour, leading the viewer to conduct an introspective observation in the manner of works from the Italian Renaissance. His still-lifes were the most important of his works. They generally depict a series of objects – pots, vases, bottles – laid out in a very precise arrangement, sometimes mixed with a piece of fruit or shell. They
capolavori realizzando paesaggi e nature morte in cui l’equilibrio delle cose partecipa a una rarefazione dell’aria che sospende il tempo e lo spazio. La sua arte non può essere realmente identificata o legata a una scuola pittorica definita. Certamente vi è l’influenza di Cézanne, dal quale mutua la densità dei colori e delle forme, ma egli s’impegna anche in un approccio personale molto forte, segnato da una sensibilità formale sottile e raffinata, tanto nei paesaggi quanto nelle nature morte cesellate dalle innumerevoli sfumature dei suoi colori e dal disegno che inducono lo spettatore a una contemplazione introspettiva, sulla scia delle opere degli artisti del Rinascimento italiano. In effetti le nature morte costituiscono la parte più importante del lavoro di Morandi. Esse rappresentano in genere un insieme di oggetti disposti in maniera precisa: brocche, vasi, bottiglie, alle quali si mescolano talvolta un frutto o una conchiglia, posti con meticolosità su uno scaffale o una tavola per essere osservati nei minimi dettagli e dipinti in colori monocromi, con una precisione geometrica, ma forse anche come un impegno a una riflessione filosofica sul silenzio, la semplicità, l’estetica o la distanza da tenere nei confronti del mondo. L’opera di Licini e Morandi costituisce un’intensa testimonianza di una pittura che afferma la propria differenza e contribuisce ad alimentare il dibattito su un’arte italiana che si confronta allora con il resto dell’Europa. Nonostante la volontà di apertura alle influenze moderniste europee, in particolar modo nel primo dopoguerra, il paesaggio artistico in Italia resta isolato in una cultura seque-
Giorgio Morandi, Natura morta (part.), 1942
are set out with absolute precision on a shelf or table so that they can be studied in their every detail, then painted in monochrome colours with geometric precision. They may perhaps be considered as a philosophic reflection on silence, simplicity, aesthetics or maintaining a distance from the world. The oeuvres of Licini and Morandi are intense and distinct forms of painting that contributed to the debate on Italian art compared with that of the rest of Europe. Despite openness to modern European influences, especially immediately after the Great War, the artistic landscape in Italy remained marginalised in a culture repressed by the political desire for a renewal of classicism. However, it should be understood that this was not purely an Italian phenomenon. Whereas most Italian artists “took refuge” in realist figuration, having become disenchanted with the extremes of modernism and the war, they were not alone in doing so in Europe. In France, in particular, Picasso had
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strata da una volontà politica che auspica un rinnovamento
del classicismo. Bisogna tuttavia riconoscere che questo fe-
nomeno non è esclusivamente italiano. Se la maggior parte degli artisti si sono “rifugiati” in una figurazione molto
realista, disincantati dagli eccessi della modernità e dalla
guerra, non sono certo stati gli unici in Europa. In Francia,
specialmente, Picasso, ancora prima della fine della guerra, La Fresnaye, Derain si sono rivolti verso la figurazione. Il periodo italiano tra le due guerre, misconosciuto al di fuori
delle frontiere, ha anche visto esprimersi un buon numero di
grandissimi pittori che per la maggior parte hanno superato i limiti di questa figurazione imposta, per esplorare territori
sperimentali. La sola volontà di artisti isolati non sempre è
bastata a imporre una pittura che spesso è stata considerata inadeguata all’espressione delle nuove tendenze; la spe-
rimentazione, l’arte del comportamento, il rifiuto della tela come supporto della creazione imponevano nuovi dogmi di un pensiero artistico in completa mutazione, che la guerra aveva spostato verso il continente americano.
Lucio Fontana opera questa transizione mentre soggiorna in
Argentina e percepisce il fremito di queste nuove tendenze già alla fine degli anni Quaranta. Da un’adolescenza trascorsa in Argentina, poi in Italia accanto al padre scultore, Fon-
tana ricava le basi di un apprendistato classico. Acquisisce un’autonomia artistica a partire dagli anni Trenta, quando il suo lavoro di scultore diventa più libero e personale e si
sviluppa tra il figurativo e l’astratto. È riconosciuto dai maggiori critici del tempo, partecipa alla Triennale di Milano, alla
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done so even before the end of World War I, shortly followed by La Fresnaye, Derain there were a number of very great painters in Italy between the wars, though they went largely unnoticed in the rest of Europe. Most of them exceeded the limits of the figuration and explored experimental territory. The wishes of marginalised artists were not enough to impose the type of painting that was quickly considered as unsuited to the expression of the new tendencies; experimentation, the art of ideas, and the rejection of canvas as a support encouraged a new approach to art. With the shift of the epicentre of the art world to the United States after World War II, the entire scene was undergoing total change. Lucio Fontana made this transition while he was living in Argentina, and saw the signs of the new trends in the late 1940s. Having spent his adolescence in Argentina working with his sculptor father, he returned to Italy where he received a classic art education at the Accademia di Brera. His work took on a personal direction in the 1930s when his sculpture became freer and more personal, evolving between figuration and abstraction. His work was appreciated by leading critics and he participated in the Milan Triennale, Venice Biennale and Rome Quadriennale. In 1930 he was co-founder of the group of Italian Abstract artists and was given his first solo exhibition. From 1930 to 1940 Fontana was one of the most innovative sculptors and specialised in ceramics. He worked in close relationship with avant-garde architects and explored the potential of new forms using porcelain, ceramics, terracotta, bronze, reinforced concrete,
Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma. Nel 1930 è tra i fondatori del gruppo degli “astrattisti italiani” e tiene la sua prima mostra personale. Nel corso del decennio diventa uno degli scultori più innovativi, specializzandosi in particolare nella ceramica, collaborando strettamente con architetti d’avanguardia, ricercando nuove forme plastiche e utilizzando materiali quali porcellana, ceramica, terracotta, bronzo, cemento armato, vetro, materie plastiche e fosforescenti. Aspira già a superare i limiti della superficie piana del quadro per sperimentare la materia e investire lo spazio. Tra il 1939 e il 1945, tornato a Buenos Aires, lancia una “protesta artistica” contro la guerra e nel 1946 pubblica il Manifiesto blanco e fonda il movimento spaziale. Fontana sviluppa così le sue teorie sullo “spazialismo” integrando i principi di unità universale in un’arte totale che riprende in ogni cosa l’idea di mutazione. Nel 1949 dipinge le sue prime superfici monocrome, le buca, le incide e le intitola Concetti spaziali. In questo modo intende porre l’accento sui principi della dinamica, rispettando gli equilibri e l’armonia, stabilendo una continuità dell’opera con l’ambiente. Mantenendo l’unità classica del quadro egli ne fa esplodere i confini; distruggendo l’unicità piana della superficie, introduce una rottura importante nella percezione dell’opera. Tagliare la tela significa respingere definitivamente il principio di imitazione e di rappresentazione dello spazio; all’illusione egli sostituisce la materializzazione concreta dello spazio nell’opera. Non per questo Fontana rinnega il concetto di quadro. Il risultato è un “oggetto artistico” che sfugge al piano per i suoi “buchi”
glass, and plastic or phosphorescent materials. He was already wondering about going beyond the two-dimensional limitations imposed by painting to incorporate space. Back in Buenos Aires from 1939 to 1945, he made an “artistic protest” against the war and in 1946 published his Manifiesto blanco and created the Spatial movement. He developed a theory of Spatialism which he represented in artworks that integrated the principles of universal unity in a total art in which every element was in a state of constant change. He painted his first monochrome surfaces in 1949 and either cut holes or slashes in them, for which he devised the name Concetto spaziale (Spatial Concept). The purpose of acting on the canvases was to emphasise the principle of dynamism while respecting balance and harmony and establishing a continuity between the work and its environment. While maintaining the classic unity of the traditional painting, he broke through its limitations: in destroying the surface plane, he introduced a major innovation in the perception of the work. By slashing the canvas, he was ridding it permanently of the principle of imitation and the representation of space: he thus substituted the illusion of space with its material reality. He did not, however, reject the concept of the painting. The result was an “artistic object” that avoided planarity through the addition of buchi (holes) and, from 1958, tagli (slashes). The canvas is a monochrome space on which the only possible actions were no longer the addition of colours or forms but subtraction, perforation or laceration of the surface. This achievement of a universal aesthetic vision included a certain classic vision of art. The
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e, a partire dal 1958, per i suoi “tagli”. La tela è uno spazio monocromo sul quale i soli gesti possibili non sono più l’addizione di colori e forme, ma la sottrazione, la perforazione o la lacerazione della superficie. In questa conquista di una visione estetica universale l’artista non rinuncia a una certa visione classica dell’arte. L’opera si rivolge a un universo formale caricato di senso e di una volontà di armonia che non esclude l’utilizzo del colore. Le grandi tinte monocrome comunicano una vibrazione sensuale, “un lusso leggero della forma”8 che, malgrado il valore utopico di un
pensiero per vari aspetti molto radicale, difende anche una visione romantica e spirituale dell’arte, indotta dall’utilizzo di tonalità di base ben precise, anche se l’artista esprime un certo distacco di fronte all’utilizzo dei colori: “Prendo il bianco perché è il colore più puro e meno complicato, ma
Lucio Fontana, Concetto spaziale (part.), 1960-1961
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work itself was a formal universe, with a sense and desire for harmony that did not exclude the use of colour. His large flat monochrome tints give off a sensual vibration, “un luxe léger de la forme”,8 which despite the utopian value of a thought, in certain aspects very radical, also endorsed a romantic and spiritual vision of art induced by the use of precise basic tonalities, even though the artist expressed a certain detachment from the use of colours: “I use white because it is the purest and least complicated colour but it is of no importance in relation to […] my thinking – white or red or yellow.”9 His fondness for white is thus an outcome of pictorial simplification but he also underlines its purity, a concept that is both abstract and spiritual, which in turn are unconnected with informal rationalism. On this subject Lóránd Hegyi remarks: “Even if the forms and general visual appearance of Fontana’s aesthetic vision display links with informal art, his universalist art, its apparent decorative nature subordinated to a hierarchical spiritual system, the provocative sensibility and enigmatic poetry of his formal universe fall much more within baroque pathos and romantic and avant-gardist universalism than the triumphant Informel. His pedagogical emphasis and concentration of the grasping of the dramatic moment or the raising of awareness of the new spiritual energy in art becomes an elementary experience, in other words, the focus on the moment of transition and transformation left its mark on the young artists of this new sensibility, with the amplification of sensual stimuli and radical intensification of visual physical effects emerg-
non ha alcuna importanza, in rapporto agli effetti del mio pensiero, il bianco o il rosso o il giallo.”9 La predilezione per il bianco, quindi, rientra in una semplificazione del gesto pittorico, ma ne sottolinea anche la purezza, concetto al tempo stesso astratto e spirituale molto lontano dal razionalismo informale. A questo proposito annota Lóránd Hegyi: “Anche se le forme, l’aspetto visivo generale della visione estetica di Fontana rivelano certi legami con l’arte informale, la sua idea artistica universalistica, l’apparente decorativismo subordinato a un sistema gerarchico spirituale, la sensibilità provocatoria e la poesia enigmatica del suo universo formale dipendono ben più dal pathos barocco e dall’universalismo romantico e avanguardista che dall’informale imperante. La sua enfasi pedagogica e la sua concentrazione sull’afferrare il momento drammatico o la sensibilità per la nuova energia spirituale dell’arte si fa esperienza elementare, vale a dire che la concentrazione sul momento di passaggio e di trasformazione ha segnato i giovani artisti di una nuova sensibilità, l’amplificazione delle provocazioni sensuali, l’intensificazione radicale degli effetti fisici visivi sfociando sull’esperienza assoluta della trasformazione dell’energia, come pure sulla percezione mentale, spirituale dell’armonia universale.”10
Fontana proietta il concetto di multidirezionalità della pittura in un’opera che investe lo spazio. La chiama Ambiente spaziale – “né pittura, né scultura; [...] suggestione libera immediata che un ambiente, creato da un artista, trasmette allo spettatore”11 – e ne presenta la prima realizzazione
Lucio Fontana, Concetto spaziale (part.), 1965
ing into the absolute experience of the transformation of energy and the mental and spiritual perception of universal harmony.”10 Fontana projected the concept of multidirectionality in painting into an artwork that invested space. He called it Ambiente spaziale (spatial environment), “neither painting nor sculpture; […] a free and immediate suggestion that an ambiente, created by an artist, transmits to the viewer”.11 He first presented this concept at the Galleria del Naviglio
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nel 1949 alla Galleria del Naviglio di Milano con il titolo Ambiente spaziale a luce nera o anche Ambiente nero. In seguito realizza vari Ambienti spaziali, tra i quali nel 1966 l’Ambiente spaziale bianco per la Biennale di Venezia. Gli Ambienti spaziali sono, per Fontana, il luogo dell’esperienza per eccellenza: egli vi concretizza l’illusione dello spazio totale, libero da punti di riferimento cartesiani, e vi materializza le sue ricerche sulla luce aprendo la via all’idea di un’arte totale che fonda insieme pittura, scultura, architettura e design, idea che segna la giovane generazione di artisti che entrano in scena a partire dalla metà degli anni Cinquanta in cerca di un’avventura artistica, spirituale e intellettuale. Anche in Fontana la preoccupazione pittorica conserva il suo carattere prettamente visivo, estetico e sempre legato a un certo ideale artistico. Egli non abbandona mai il campo emozionale, sviluppando attraverso la sua arte un’eloquenza persuasiva seduttrice, propria dell’arte italiana. Se Fontana è riuscito a superare il muro delle avanguardie, è perché il suo linguaggio pittorico ha assimilato i principi provocatori propri dei movimenti che si sono imposti nell’immediato dopoguerra. Egli ha modificato la percezione bidimensionale del quadro conservando una tecnica simile alla pittura, e in questo risiede la sua grande abilità. In fondo, egli è un pitture astratto, spaziale certo, ma allo stesso titolo degli Angeli di Licini, le cui anime volteggiano nel nostro inconscio e abitano lo spazio del nostro immaginario.
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in Milan in 1949 with the title Ambiente spaziale a luce nera, also called Ambiente nero. He subsequently produced different Ambienti spaziali, including a white version in 1966 for the Venice Biennale. For Fontana, his Ambienti spaziali were the quintessential place of experience, where the illusion of space free of Cartesian reference points became manifest. It was also in these environments that he executed his research into light, opening the way to the idea of a total art that united painting, sculpture, architecture and design, and which was to leave its stamp on the young generation of artists who came onto the scene in the mid-’50s in search of an artistic, spiritual and intellectual adventure. Nonetheless, even Fontana’s work maintained an eminently visual and aesthetic nature associated with a certain artistic ideal. He never abandoned the emotional dimension and developed a persuasive and convincing eloquence characteristic of Italian art. If he succeeded in joining the avant-gardes, it’s because his pictorial language was the equal of the disruptive principles developed by the those movements in the immediate post-war period. He changed the two-dimensional perception of a painting while maintaining a technique closely related to the practice of painting. That was the crux of his contribution. He was basically an abstract painter, spatial certainly, but in the same way as Licini’s Angels, whose souls flutter in our unconscious and inhabit the space of our imagination.
Note 1 Jacqueline Munck, in “Dossier de l’Art”, n. 160, febbraio 2009, pp. 7-8. 2 Ardengo Soffici, cit. in Le surréalisme 1922-1942, cat. mostra, Musée des Arts Décoratifs, Parigi, 9 giugno - 24 settembre 1972, p. 58. 3 André Breton, Anthologie de l’humour noir, Pauvert, Parigi, 1966, p. 367. 4 Giorgia Bongiorno, in Alcesti di Samuele d’Alberto Savinio, Centre d’Etude et de Recherche Editer/Interpréter, pubblicazioni digitali del CEREdI. 5 Da Elena Pontiggia, Filosofia di Licini, in Osvaldo Licini. Tra le Marche e l’Europa, cat. mostra, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2008. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Lóránd Hegyi, Lucio Fontana, in Zero. Avant-garde internationale des années 1950-1960, cat. mostra, Museum Kunst Palast, Düsseldorf e Musée d’Art Moderne, Saint-Étienne, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2006, p. 50. 9 In Carla Lonzi, Autoritratto, De Donato, Bari, 1969. 10 Lóránd Hegyi, op. cit., p. 51. 11 Pourquoi est-ce que je fais de l’art spatial, in Fontana, Galerie Karsten Greve, Parigi, 1989.
Endnotes 1 Jacqueline Munck, in Dossier de l’Art, no. 160, February 2009, pp. 7-8. 2 Ardengo Soffici, De Chirico e Savinio, in Lacerba, 1 July 1914, translated from the Italian. 3 André Breton, Anthologie de l’humour noir, Pauvert, Paris, 1966, p. 367. 4 Giorgia Bongiorno, L’Alcesti di Samuele d’Alberto Savinio, CÉRÉdI, http://ceredi.labos.univ-rouen.fr/public/?l-alcesti-di-samuele-d- alberto.html 5 Extract from Elena Pontiggia, Filosofia di Licini, in Osvaldo Licini. Tra le Marche e l’Europa, exhibition cat., Silvana Editoriale, Cinisello Balsano, 2008. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 Lóránd Hegyi, Lucio Fontana, in Zero. Avant-garde internationale des années 1950-1060, exhibition cat., Museum Kunst Palast, Düsseldorf and Musée d’Art Moderne, Saint-Étienne, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2006, p. 50. 9 In Carla Lonzi, Autoritratto, De Donato, Bari, 1969. 10 Lóránd Hegyi, op. cit., p. 51. 11 Pourquoi est-ce que je fais de l’art spatial, in Fontana, exhibition cat., Galerie Karsten Greve, Paris, 1989.
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Giovanni Lista
Il primato della pittura nell’arte moderna italiana
The primacy of painting in modern Italian art
Nell’intento di studiare le componenti individuali della nozione di stile all’interno della produzione artistica collettiva di un’epoca determinata, lo storico d’arte austriaco Alois Riegl ha forgiato nel 1901 il concetto di Kunstwollen per definire il “volere artistico” o la “intenzionalità creativa” che suppone ogni opera d’arte, cioè la cosciente volontà dell’artigiano o dell’artista che innova opponendosi alle esigenze della tradizione e ai condizionamenti che gli impongono i materiali e le capacità tecniche. Detto altrimenti, l’arte, giacché creazione autonoma rispetto ai fattori tecnici e alle condizioni storiche, corrisponde innanzitutto a una volontà d’arte. Rielaborato in senso hegeliano da Erwin Panofsky, il concetto di Kunstwollen è oggi inteso in connessione dialettica con la categoria epocale dello Zeitgeist o “spirito del tempo” per cui tanto le forme simboliche quanto i materiali espressivi dell’arte non sono mai indipendenti dal contesto in evoluzione della storia. L’arte è quindi il frutto della volontà creativa dell’artista, ma anche e inevitabilmente la manifestazione inconscia della sensibilità, della mentalità e delle idee che caratterizzano l’epoca storica in cui è apparsa l’opera. In Italia l’arte moderna è nata insieme alla nazione italiana. La situazione artistica era così percorsa da una problematica che non era riscontrabile in nessun altro paese. Da un
With the aim of studying the individual components of the notion of style within the collective artistic production of a given period, in 1901 the Austrian art historian Alois Riegl coined the concept of Kunstwollen to define the “artistic will” or “creative intentionality” that every artwork supposes, that is to say the conscious will of the craftsman or artist who innovates by going against the demands of tradition and the conditioning that imposes the use of particular materials and technical skills. In other words, art, as an autonomous creation in relation with its particular technical aspects and historic conditions, above all corresponds to the desire for art. Reconsidered from a Hegelian standpoint by Erwin Panofsky, the concept of Kunstwollen is today understood in dialectic connection with the epochal concept of the Zeitgeist or “spirit of the time”, in which the symbolic forms and expressive materials of art are never independent of context in the progress of history. Art is therefore the fruit of the artist’s creative will but also, and inevitably, the unconscious manifestation of the sensibility, mentality and ideas that illustrate the historical epoch in which a work appears. In Italy, modern art came into being with the creation of the Italian nation. In consequence, issues arose that were unique to the country. On one hand, due to the gradual identifica-
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lato la modernità, attraverso la sua graduale identificazione con il progresso tecnologico e industriale, equivaleva a un’impietosa marginalizzazione dei capolavori del passato. Dall’altro le ricchezze artistiche dell’Italia romana, medievale, rinascimentale e barocca dovevano pur essere rivendicate per affermare la grandezza storica e la dimensione identitaria dell’Italia come nuova nazione. In altre parole, in che modo era possibile, per un artista postunitario, affermarsi simultaneamente come italiano e come moderno? Come rivendicare la propria identità di italiano aderendo nello stesso momento al nuovo corso della storia che, con l’avvento della modernità, faceva dell’Italia un “immenso museo all’aperto” secondo la formula di Quatremère de Quincy? Da allora il dilemma che pesava sull’artista italiano postunitario ha ossessionato in modo sotterraneo ma senza sosta tutta la storia artistica dell’Italia moderna. In altre parole, il significato ultimo dell’arte moderna italiana, il suo autentico Kunstwollen, era esattamente in questa ricerca identitaria, facendo sì che, per l’artista italiano, ogni suo “progetto artistico” si trasformasse immediatamente in un interrogativo sul senso della sua italianità. È un dilemma che si è presentato e ripresentato a più riprese in modi diversi, a volte con la scelta dei soggetti o con la tendenza verso una precisa soluzione formale, altre volte con la risolutezza iconoclasta, ma che a posteriori appare come ciò che ha prodotto il più importante fenomeno di un secolo e mezzo d’arte italiana postunitaria: un Kunstwollen orientato in modo specifico verso l’espressione di un’identità.
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tion of modernity with technological and industrial progress, it was tantamount to a pitiless shunting aside of the masterpieces of the past. On the other, claim had to be laid to the artistic treasures of Roman, medieval, Renaissance and Baroque Italy to assert the country’s historic greatness and establish its identity as a new nation. But how was it possible for a post-unification artist to make a name for himself both as an Italian and a modern? How could he establish his identity as a participant in Italy’s new historical trajectory that, with the advent of modernity, turned Italy into an “immense open-air museum”, in the words of Quatremère de Quincy? Since then the dilemma that weighed on post-unification artists has haunted, in a concealed manner, all of modern Italy’s artistic history. That is to say, the ultimate significance of Italian modern art, its authentic Kunstwollen, was to be found precisely in this search for identity, with the result that, for every Italian artist, his “artistic project” immediately turned into a question relating to his “Italianness”. This dilemma has appeared and reappeared on several occasions and in different ways, at times in the choice of subject or a preference for a particular formal solution, at others with a resolute iconoclasticism, but which with hindsight is seen as what produced the most important phenomenon for a century and a half of Italian post-unification art: a Kunstwollen centred specifically on the expression of identity. Following unification, in their search for an answer to the identity dilemma, the Macchiaioli made a clear attempt at creating a synthesis of the ancient and the modern by
All’indomani dell’unità d’Italia, per trovare una risposta al dilemma identitario, i macchiaioli hanno lucidamente puntato su una sintesi tra l’antico e il moderno, riprendendo l’approccio geometrico delle composizioni del Quattrocento per associarlo alla pittura paesaggista all’aperto. Volendo rivendicare la propria italianità all’interno di una tradizione non disgiunta dalla modernità, hanno per questo rifiutato deliberatamente di spingersi fino alla prassi dell’impressionismo, pur avendone avuto l’intuizione. Vent’anni dopo i divisionisti hanno puntato alla dimensione sociale della nascente Italia industriale, che talvolta hanno opposto ai tradizionali riti religiosi, quando invece i simbolisti vicini a d’Annunzio hanno voluto esplorare l’antropologia culturale dell’Italia contadina. Il futurismo, con furore iconoclasta, ha voluto cancellare il glorioso passato dell’Italia per compiere, a occhi chiusi, il salto nel futuro. Di fatto il dilemma identitario era sempre presente: Boccioni, pur inneggiando all’automobile e al progresso tecnologico, si applicava a dipingere il cavallo, uno dei maggiori soggetti ereditati dall’arte classica. E non si può capire l’opera di Modigliani e di de Chirico, entrambi residenti a Parigi, a contatto con le ricerche più innovative del nuovo secolo, senza fare riferimento a quel Kunstwollen identitario che segna profondamente e accompagna tutto il crescere dell’arte italiana moderna. Modigliani era consapevole della novità del cubismo, ma non per questo ha rinunciato a ciò che viveva come la sua italianità: di conseguenza si è ostinato a custodire la nobile dignità della figura umana, conservando nei suoi occhi la dolcezza delle Madonne del Trecento senese,
Giorgio de Chirico, Piazza d’Italia con Arianna (part.), 1948
taking the geometric approach of the compositions of the Quattrocento and associating them with landscape painting direct from the motif. In wishing to lay claim to their Italian nature within a tradition that was not detached from modernity, they deliberately stopped short of the practice of Impressionism despite having had that intuition. Twenty years later, the Divisionists focused on social themes in Italy’s nascent industrial development, which they sometimes set in opposition to traditional religious rites, while the Symbolists around Gabriele d’Annunzio explored the cultural anthropology of agricultural Italy. With iconoclastic fury, Futurism wished to erase Italy’s glorious past and make a blind leap into the future. The identity dilemma was nonetheless present: though extolling the automobile and technological prog-
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nel momento in cui Picasso esaltava il brutto scomponendo e frazionando la figura umana. In questa stessa ottica de Chirico inscenava la civilizzazione urbana e architettonica dell’Italia del passato, ne dava una proiezione allegorica grazie a un’Arianna dolcemente assonnata al centro di piazze deserte, abbandonate dalla Storia e già assediate dalle ferrovie. Osava, soprattutto, riproporre un approccio formale rifiutato già da tempo dall’arte moderna: la prospettiva, il fondamento stesso dell’arte italiana lungo tutta la sua storia. Il sistema prospettico dei suoi dipinti non è tuttavia immune da incoerenze e anomalie che falsano la normale percezione dello spazio: le architetture, le piazze e i monumenti sono colti in un’atmosfera inquietante e malinconica, con un senso di estraneità quasi metafisica. È proprio con de Chirico che compare allora un sentimento realmente doloroso dell’Italia di fronte all’avvento della modernità. In altri termini, l’arte italiana non ignora affatto i molti dibattiti che hanno nutrito la modernità. La sua dialettica, la sua problematica e il suo sviluppo storico li riflettono, ma essi appaiono integrati a ciò che caratterizza maggiormente la sua civilizzazione estetica, cioè il potere dell’immagine, il rapporto con l’esperienza sensibile e lo spazio prospettico. La tradizione della cultura artistica italiana si è fondata sul potere dell’immagine che è sempre stata collegata alle grandi evoluzioni della fede, in particolare alla posizione dell’uomo pensata dalla religione. In ogni caso, che sia l’uomo del Rinascimento, concepito al centro della crea-
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ress, Boccioni still devoted himself to painting the horse, one of the greatest subjects inherited from Classical art. Nor can the art of Modigliani or de Chirico – both of whom were living in Paris in contact with the most innovative artistic research of the century – be understood without reference to the identity Kunstwollen that deeply influenced and accompanied Italian modern art throughout its development. Modigliani was aware of the novelties of Cubism but even so did not turn away from what he considered his Italian background: thus he persisted in painting the noble dignity of the human figure, and maintaining in his depiction of the eyes the gentleness of the Madonnas of the Sienese Trecento, at exactly the same time that Picasso was lauding ugliness in his decomposition of the human figure. De Chirico took the same approach when he portrayed the urban and architectural civilisation of Italy’s past but gave it an allegorical slant with Ariadne slumbering in deserted piazzas, having been abandoned by History and already beset by trains. Most importantly, he dared to take a formal approach by employing perspective, the foundation of Italian art all through its long history, though it had for some time been abandoned by modern art. However, his use of perspective in his paintings was not fully logical, incorporating anomalies and inconsistencies that falsify our normal perception of space: the buildings, squares and monuments exist in a perturbing and melancholic atmosphere with a sense of strangeness that is almost metaphysical. It was with de Chirico that a truly painful sentiment arose, that of Italy confronted with modernity. In other terms, Italian art did not ignore the many debates
zione divina, oppure l’uomo dell’epoca barocca, pervaso dall’inquietudine e dalla ricerca di un nuovo equilibrio, il cattolicesimo romano ha individuato nell’arte figurativa il mezzo per rappresentare queste evoluzioni del pensiero religioso. È questa probabilmente una delle ragioni per cui l’arte italiana ha invaso con estremo convincimento il campo dell’immagine, restandole fedele nonostante i ripensamenti dell’inizio del XX secolo. Anche il futurismo, una fra le più importanti avanguardie della modernità, non ha voluto o non ha potuto distruggere l’immagine. D’altra parte alcune tematiche, quali la poetica del cielo e dello spazio cosmico, sono costanti nell’arte italiana, perché derivano dai suoi più lontani fondamenti culturali: l’eredità grecolatina, il platonismo e la spiritualità cattolica. Per questi stessi motivi l’arte italiana non scivola mai nell’espressionismo corrosivo che caratterizza l’arte tedesca, o nello sterile concettualismo, se non anche nel surrealismo, dell’arte francese. E ignora ugualmente il satanico e il tenebroso del romanticismo del Nord e del Centro europei, poiché la mitologia religiosa del cattolicesimo si è sempre presa cura del lato oscuro dell’essere umano, arginandolo attraverso la sua collocazione nella dottrina esegetica della chiesa. Per spiegare il dominio dell’esperienza sensibile nell’arte italiana Bernard Berenson evoca i “valori tattili” che spingono l’artista a rappresentare le forme e gli oggetti della realtà “in un modo che stimola l’immaginazione a sentirne il volume, soppesarli, rendersi conto della loro resistenza potenziale. Misurare la loro distanza da noi”. In tal modo, attraverso uno sguardo che sente, soppesa, misura la con-
that drove modernity forward. Its dialectics, difficulties and its development reflected those debates but they appeared integral to what mostly typified its aesthetic civilisation, that is to say the power of the image, its relationship with perceptible experience and perspectival space. The tradition of the culture of art in Italy was founded on the power of the images that have always been associated with the changes that occurred in the field of faith, in particular with religion’s notion of man’s position in the universe. Whether its audience was man of the Renaissance, who was believed to stand at the centre of divine creation, or of the Baroque, permeated by uneasiness and the search for a new equilibrium, Roman Catholicism identified figurative art as the means to represent the developments taking place in religious thought. This was probably one of the reasons why Italian art so convincingly focused on the image and remained faithful to it regardless of the new thinking at the start of the twentieth century. Not even Futurism, which was one of the most important avant-garde movements of modernity, wanted or was able to destroy the image. Some themes, however, such as the poetics of the sky and cosmic space, are constants in Italian art because they have come down from its most distant cultural foundations: its Graeco-Latin heritage, Platonism and Catholic spirituality. It is for these reasons that Italian art never adopted the corrosive Expressionism typical of German art, nor the sterile Conceptualism or Surrealism of French art. It also ignored the satanic and sinister Romanticism of North and Central Europe as Catholic religious mythology had always account-
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sistenza e la qualità della superficie, organizzando i dati della percezione in un’idea superiore dei sensi, il sentimento estetico diventa una partecipazione attiva e presente del corpo: l’artista non percepisce soltanto l’oggetto, ma lo vive, e l’oggetto, a sua volta, si scopre vivente e trova una collocazione nel mondo. Questo tipo di sguardo sensibile, che si sedimenta nella cultura estetica italiana a partire dal modello pittorico giottesco e dalle Madonne del Trecento e Quattrocento toscano, genera una vera e propria attitudine visiva endogena della pittura nazionale, fondata quindi sui “valori tattili” che sono “intensificatori di vita”. Il principio
Osvaldo Licini, Angelo con coda (part.), 1946
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ed for the baleful side of man, inhibiting it through its inclusion in the Church’s exegetic doctrine. To explain the sovereignty of perceptible experience in Italian art, Bernard Berenson used to refer to the “tactile values” that prompt an artist to represent the forms and objects of reality “in a way that stimulates our imagination to feel their volume, their weight, their potential resistance, to measure their distance from us”. Thus, by transforming perceptual data into the superior notion of the senses with a glance that feels, weighs, and measures the consistency and quality of the surfaces, the aesthetic sentiment becomes an active and present element of the body. The artist not only perceives the object but experiences it, and in turn the object comes to life and occupies a space in the world. This type of sense-laden glance, found in Italian aesthetic culture since the Giottesque pictorial model and also in the Tuscan Trecento and Quattrocento Madonnas, generates a real endogenous visual stance vis-à-vis Italian painting founded on “tactile values” that are “intensifiers of life”. The “tactile” principle of the Italian pictorial vision has remained like a pulsating organ, motivating the action of the eye that is unable to look at reality in any other than this original, investigative and vital manner. The perspectival space that underlies Italian painting draws attention to the scenography of the image, in the etymological sense given to the word by Vitruvius, its inventor. By this he meant the optical control of the space by means of geometric construction, or a perfectly partitioned structuring of the depth of the image, so as to create an illusory
“tattile” della visione pittorica italiana si conserva nei decenni come un organo pulsante, motivando l’azione di un occhio che non sa guardare la realtà se non in quel modo originale, indagatore e vivo. Lo spazio prospettico che fonda la tradizione pittorica italiana è la scelta di evidenziare, nell’immagine, la scenografia nel senso etimologico che Vitruvio, il suo inventore, dava a questa parola: il controllo ottico dello spazio mediante una costruzione geometrica, o un’articolazione perfettamente suddivisa e scandita della profondità dell’immagine, in modo da ottenere una resa scenica illusiva della realtà rappresentata sul piano. Lo spazio prospettico implica l’acuità e l’ordine disciplinato dei dati della visione, cioè uno sguardo sereno e privo di ambiguità sul mondo. Questi tre fattori, cioè il potere dell’immagine generato dalla cultura cattolica, il rapporto con l’esperienza sensibile tesa verso la qualità tattile dello sguardo estetico di derivazione classica, e lo spazio prospettico cementato sull’immenso patrimonio pittorico e architettonico dell’arte rinascimentale, sono gli elementi fondanti che specificano la tradizione dell’arte italiana. Si tratta di una tradizione esclusiva poiché non trova alcun riscontro in altri paesi. In Germania, ad esempio, cioè in un paese che ha raggiunto l’unità nazionale nello stesso periodo del compiersi di quella italiana, gli artisti non hanno vissuto in modo simile il dilemma identitario. La cultura protestante, il persistere dello stile gotico, un Rinascimento che ha pressoché ignorato il pensiero umanista legato al “bello ideale”, il dominio della filosofia, l’assenza di vestigia del mondo classi-
rendition of three-dimensional reality in two dimensions. Comprehension of perspective entails the perception and disciplined ordering of the visual data, thus a serene and unambiguous outlook on the world. These three factors – the power of the image generated by the Catholic culture, the relationship with perceptive experience in the form of the tactile quality of the Classically derived aesthetic vision, and the perspectival space that permeates the immense pictorial and architectural heritage of Renaissance art – are the fundamental elements that characterise Italian art. This tradition is exclusive, in the sense that it is unlike that of any other country. For example, in Germany, a country that achieved national unity during the same period as Italy, the artists did not experience the same identity-related dilemma. The combination of Protestant culture, the persistence of the Gothic style, a Renaissance that pretty much ignored the humanist thinking linked to the bello ideale, the primacy of philosophy and the absence of any vestiges of the Classic world produced a Romanticism in Germany that glorified sentiment and set it against the rationality of the Enlightenment culture that wished to return to the primordial sources of existence and searched in the myth of the “total work of art” for the most profound expression of the union of the life and soul of a people. The modern language of art suffered a real cultural split when, shortly after World War I, Marcel Duchamp and other exponents of Dada imposed a completely new approach to aesthetics and production when it conferred artistic dignity on ordinary objects and thus cleared the path that led to
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co, hanno prodotto in Germania un romanticismo che ha esaltato il sentimento, contrapponendolo ai valori razionali della cultura dei Lumi, che ha voluto risalire alle fonti primordiali dell’essere e che ha cercato nel mito dell’“opera d’arte totale” l’espressione più profonda dell’unità della vita e dell’anima di un popolo. Il linguaggio moderno dell’arte registra una vera e propria spaccatura culturale quando, nel primo dopoguerra, Marcel Duchamp e altri esponenti dell’area dadaista impongono un inedito modello estetico e operativo che riconosce dignità artistica all’oggetto d’uso comune e apre la strada al ready-made. Quest’ultimo schiude la prospettiva concettuale legittimando una radicalità di approcci, dall’appropriazione dell’oggetto alla manipolazione fisica della materia, confluita poi nelle avanguardie europee e americane del secondo dopoguerra. Questa svolta, che produce lo sganciamento da ogni vocazione rappresentativo-mimetica in nome del primato concettuale dell’idea, del pensiero e del progetto retroattivo rispetto al valore estetico dell’oggetto, nasce all’interno della tradizione estetica francese, che è ben diversa da quella italiana. Come affermava Federico Zeri, l’artista italiano produce sintesi idealizzanti, crea quadri che s’impongono globalmente e al primo colpo d’occhio. L’artista francese procede invece per connessione, dipinge quadri che appaiono come un’accumulazione di sguardi localizzati e giustapposti. Anche la fruizione dell’opera d’arte è culturalmente diversa. L’italiano ha uno sguardo sottomesso e ricettivo, vuole essere sedotto dall’immagine dipinta. Il francese vuole invece afferrarla e penetrarla con
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the ready-made. The ready-made opened the conceptual perspective by legitimising a variety of radical approaches, from the appropriation of the object to physical manipulation of the materials, that was later taken up by the avantgardes of Europe and the United States after World War II. This development, which resulted in the abandonment of all representation and imitation in favour of the conceptual primacy of the idea, thought and preceding design relating to the object’s aesthetic value, arose from within the French aesthetic tradition, which is very different from its Italian equivalent. As has been stated by Federico Zeri, Italian artists produce idealizing syntheses, and create paintings that assert themselves as a whole at first glance. French artists, on the other hand, proceed via connections, creating paintings that appear like an accumulation of localised and juxtaposed elements. Even the appreciation of a work of art is different. Italians are submissive and receptive, wishing to be won over by the painted image. The French want to take hold of the work and enter into it with their eternal analytical scrutiny. Catholic culture prompts Italians to search for the truth and symbolic value of an image, whereas French culture – having had to react to the ideological vandalism unleashed by the revolution of 1789, which obliged it to call into question the value of an image associated with the cult of religion or the power of the king – is naturally only concerned with the aesthetic value of an artwork. By distinguishing the aesthetic value from any symbolic or iconographic content, the French consequently approach art from a more intellectual and literary standpoint.
uno sguardo che è sempre analitico. La cultura cattolica induce l’italiano a cogliere la verità dell’immagine o il suo valore simbolico. Invece, avendo dovuto reagire al fenomeno del vandalismo ideologico scatenato dalla rivoluzione del 1789, che la costrinse a rimettere in causa il valore delle immagini associate al culto della religione o al potere del re, la cultura francese è naturalmente attenta al solo valore estetico dell’opera d’arte. Separando il valore estetico da ogni contenuto simbolico o iconografico, è orientata verso un’arte più intellettuale e letteraria. Il dilemma identitario che si trova all’origine dell’arte moderna italiana produce un’altra differenza. Quando l’artista italiano vuole esprimersi, cerca di fare dell’arte, cioè di aderire ai modelli di una tradizione, o comunque a un approccio idealista e molto alto dell’arte di cui si sente responsabile come erede. L’artista francese, invece, quando vuole fare dell’arte, cerca solo di esprimersi, cioè di dare vita, in totale libertà, all’esigenza di comunicazione che vive in lui. Compiendosi all’interno di questa tradizione francese, la svolta del ready-made scopre l’esistenza, accanto alla tradizionale dimensione della rappresentazione figurativa, di uno spazio dell’enunciazione linguistica, ma soprattutto scardina il sistema gerarchico vigente tra realtà, rappresentazione e significato, lasciando esplodere o implodere ogni figurazione, svuotando di senso e di valore etico l’equivalenza mimetica dell’arte tradizionale. L’arte non è più rappresentazione della realtà immaginata o visiva, ma manipolazione della realtà stessa in quanto tale. La modernità dell’arte italiana matura, al contrario, proprio
The question of identity that underlies the origin of modern Italian art produces another difference. When an Italian artist wants to express himself, he attempts to make art: that is to say, he follows the models of his tradition or an idealistic and elevated approach to the art of which he feels the heir. However, when his French colleague wishes to make art, he attempts only to express himself and, unrestricted in any way, to give vent to his need for communication. Falling within the French tradition, the development of the readymade reveals the existence – in addition to the traditional dimension of figurative representation – of the dimension of linguistic expression, but above all overturns the hierarchical system that encompasses reality, representation and meaning, thus allowing all figuration to either explode or implode, and stripping the mimetic equivalence of traditional art of all sense and value. Art is no longer the representation of imagined or observed reality but the manipulation of that reality, such as it is. In contrast, modern Italian art persisted in the pictorial and figurative tradition from which the ready-made so drastically diverged. Italian artists continued to demonstrate a physiological attraction to painting, still considering it their preferred means for establishing a correspondence between reality and the space of aesthetic expression. This partiality is the outcome of a free and innate sensibility that tends towards a specifically tactile quality of aesthetic appreciation of classical descent, and a choice refined and fortified through the mental concept of perspective, in turn understood as a fundamental paradigm of a philosophical world
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nel solco di quella tradizione pittorica e figurativa da cui il ready-made prende così drasticamente le distanze. Infatti gli artisti italiani continuano a mostrare una fisiologica attrazione per la pittura, riconoscendola ancora, attraverso le epoche successive, come il mezzo privilegiato per stabilire un efficace accordo di corrispondenza tra i dati della realtà e lo spazio dell’espressione estetica. Tale atteggiamento, da un lato, è il frutto di un libero e innato sentire, teso verso una qualità specificamente tattile dello sguardo estetico di progenitura classica, dall’altro è una scelta filtrata e irrobustita attraverso la categoria mentale della prospettiva, a sua volta intesa come paradigma fondativo di un modo filosofico di leggere, rappresentare e ordinare la realtà attraverso la strutturazione dell’esperienza sensibile. In tal modo, scegliendo di non recidere il cordone ombelicale con una cultura materna che si staglia solida alle spalle del tempo come specchio dell’identità storica e antropologica, l’arte italiana accede alla modernità importandovi e declinando in modo inedito proprio l’approccio più tradizionale dell’espressione estetica nazionale, la pittura. Il primato della pittura è un filo rosso che percorre i decenni dell’arte moderna italiana congiungendo una serie di esperienze peculiari, ma diversissime tra loro, quali il futurismo, l’arte metafisica dei fratelli de Chirico, Sironi e il gruppo di Novecento, le ricerche solitarie di Morandi e di Licini, l’informale gestuale di Fontana. Il primato della pittura è il legame di continuità di queste esperienze, il segno di una coerenza culturale ed estetica, attraverso cui tradizione pittorica e avanguardia si saldano l’una sull’altra
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Mario Sironi, L’albero (part.), 1930
of the study, representation and ordering of reality through the structuring of perceptible experience. By choosing not to cut the umbilical cord with its maternal culture, which stands solid through time like a reflection of the people’s historical and anthropological identity, Italian art acceded to modernity, both importing and inflecting in a completely
nell’esperienza italiana, mostrando la forza di una frattura non intesa come negazione, ma piuttosto come rifondazione in senso moderno di un approccio visivo profondamente identitario. Fin dagli esordi, cioè prima di infondere la sua carica rivoluzionaria in ogni campo dell’agire artistico, il futurismo trova e concentra proprio nella pittura le prime soluzioni estetiche realmente inedite, le stesse che avrebbero costruito intorno al movimento la credibilità di un’avanguardia. Rifiutando ogni accademismo Boccioni introduce un nuovo modello formale nato dalla radicalizzazione del divisionismo teorico e pittorico di Previati. Mette così a punto un inedito approccio formale antifigurativo che non vuole più cogliere il dato fenomenico, ma partire da esso per catturare l’energia dinamica in atto, l’evento in cui si consuma la relazione vitale tra corpo e ambiente. Con la poetica dello “stato d’animo” Boccioni elabora una visione soggettiva attraverso la distribuzione fluida di colori capaci di restituire la fusione delle vibrazioni psicologiche. Russolo gioca con la sfilacciatura cromatica o la pennellata puntiforme che smeriglia la luce in una polvere di colore aereo. Carrà approfondisce le potenzialità delle accensioni cromatiche per rendere l’infuocarsi delle luci al tramonto o il moltiplicarsi del dinamismo urbano. Severini indaga attraverso la materia cromatica la dissoluzione pittorica della forma nella luce e nel movimento dinamico della danza. Balla cerca la matrice geometrico-formale dei fenomeni cinetici della realtà. Depero libera il suo gusto ludico attraverso la stesura piatta di un colore saturo antinaturalistico e la scansione
new manner Italy’s most traditional technique of aesthetic expression – painting. The primacy of painting is a thread that winds through the decades of Italian modern art and links a series of peculiar but also very diverse experiences, such as Futurism, the Metaphysical art of the de Chirico brothers, Sironi and the Novecento group, the individual artistic research of Morandi and Licini, and the informal and gestural art of Fontana. The continuity between these experiences is given by the primacy of painting; a primacy whose cultural and aesthetic consistency enabled the fusion of pictorial tradition and the avant-garde in Italy, and demonstrated the strength of a fracture not thought of in terms of negation, but instead of the refoundation of a modern visual approach profoundly bound up with identity. Before it infused its revolutionary charge in every field of artistic creation, Futurism concentrated its first completely innovative aesthetic solutions in painting, and it was these that gave the group the credibility of an avant-garde movement. In rejecting every form of academicism, Boccioni introduced a new formal model that arose from the radicalisation of Previati’s theoretic and pictorial Divisionism. He thus perfected a new anti-figurative formal approach that was no longer concerned with representing phenomena, but used that information as the basis to capture their intrinsic dynamism and energy, the event in which the active relation between body and setting occurred. Employing the poetics of “states of mind”, Boccioni developed a subjective vision by means of the fluid distribution of colours with the
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plastica dei volumi. In ciascuna delle poetiche futuriste avvicendatesi negli anni la tecnica pittorica agisce da perno dello slancio interpretativo, da leva operativa che permette e realizza la reinterpretazione e trasfigurazione dinamica dello scenario moderno in un’intensa visione interiore. Anche la corrente dell’arte metafisica ribadisce la centralità della pittura come linguaggio estetico più adatto a incanalare la sua poetica muta e visionaria. I fratelli de Chirico, peraltro, non salvaguardano solo il mezzo tecnico della pittura, ma recuperano una figurazione integra proprio durante l’imperversare dell’iconoclastia avanguardista. La struttura plastica tradizionale dei corpi e dei volumi viene ripristinata e ricollocata all’interno di un impianto prospettico spaziale connotato in senso mentale e non fisico, ma pur sempre inteso a organizzare e indirizzare la lettura del mondo. I due fratelli elaborano due diverse declinazioni estetiche dello stesso principio di rappresentazione alla base della pittura metafisica. De Chirico raccomanda un’“arte della rivelazione” che dovrebbe svelare la “psicologia metafisica” delle cose, l’aspetto insondabile della loro presenza fisica, mentre suo fratello Savinio parla di un’“idea metafisica” insita nel senso profondo di ogni oggetto. Interiorizzando il pensiero di Schopenhauer e di Nietzsche, de Chirico interroga l’enigma, che contiene la rivelazione, e concepisce la malinconia come la condizione fondamentale della coscienza attraverso cui ogni uomo si pone di fronte al mistero e al non-sense della vita. Questa condizione interiore trova il suo naturale prolungamento ambientale in
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purpose of depicting the fusion of psychological vibrations. Russolo experimented with the unravelling of colour and the punctiform touches of the brush that grind light into a powder of airy colour. Carrà explored the potential of fiery colours to render the blazing light of sunset and the multiplicity of energies radiating in the urban setting. Experimenting with matter and colour, Severini investigated the pictorial dissolution of form in light and in the movement intrinsic to dance. Balla searched for the geometric and formal background that underlies the kinetic phenomena of reality. Depero allowed his light-heartedness to flourish through the flat application of saturated and anti-naturalistic colour and the plastic articulation of volumes. In each of the Futurist poetics experimented with over the years, painting remained the technical lynch pin of the interpretative thrust, the lever that enabled and brought about the reinterpretation and dynamic transformation of the modern world in an intense personal vision. Metaphysical art also recognised the importance of painting as the aesthetic language most suited to expressing its silent and visionary poetics. Moreover, the de Chirico brothers not only made use of the pictorial technique but employed entire figuration during the maelstrom of avantgarde iconoclasm. The traditional plastic structure of bodies and volumes was restored and reinstated within a perspectival spatial framework – in the mental rather than physical sense – designed to organise and direct interpretation of the world. The two brothers conceived different aesthetic inflections of the same principle of representation that un-
uno spazio scenografico che richiama l’originaria terra greca, evocata da scorci di paesaggio mediterraneo, o che appare condensato in ambienti sospesi al di fuori del tempo, spesso puntellati da isolati elementi d’arredo urbano d’epoca classica e limitati da quinte prospettiche architettoniche essenziali che tracciano il punto di fuga verso l’abisso dell’interrogativo. De Chirico costruisce una visione mentale fondata su una spazialità fortemente strutturata, ma chiusa nell’ermeticità ridondante di una serie di elementischermo, quali una statua voltata di spalle, o mura che celano parzialmente il passaggio di una vela o di un treno. Un senso di disorientamento e di chiusura meditativa permea tutta la sua produzione pittorica metafisica, sempre scissa tra la tensione verso la rivelazione e il silenzio di una mancata risposta. L’attesa, sospesa nel tempo e nello spazio, è lacerata dalla solitudine e dall’incomunicabilità dei manichini, rinchiusi nella propria irreale autoreferenzialità, o dall’ermetico mutismo delle figure mitologiche, presenze emblematiche della sopravvivenza del passato nel presente, ma anche testimonianza dell’irrompere dell’irrazionale nella contingenza. La pittura di Savinio partecipa allo stato d’animo di disorientamento metafisico e inquietudine esistenziale espresso dal fratello, condividendone anche il riferimento testuale alla mitologia come memoria storica dell’identità e appiglio culturale residuo in un processo di progressivo scivolamento del senso. Tuttavia il suo universo immaginario non è immerso in quell’atmosfera perturbante e melanconica che impregna gli scenari pittorici di de Chirico,
derlay Metaphysical painting. De Chirico advocated an “art of revelation” that was supposed to reveal the “metaphysical psychology” of things and the unfathomable aspect of their physical presence, while his brother Savinio referred to a “metaphysical idea” implicit in the profound sense of any object. Interiorising the thinking of Schopenhaeur and Nietzsche, de Chirico questioned the enigma that contains the revelation, and conceives melancholy as the fundamental condition of consciousness through which we all put ourselves faced by the mystery and non-sense of life. The natural setting for this inner condition is a dramatic space whose Mediterranean landscapes are suggestive of Ancient Greece, or alternatively seemingly condensed in timeless settings often punctuated with isolated items of Classical era urban furniture and bounded by elemental architectural perspectives that project the vanishing point towards the abyss of the unknown. De Chirico built a mental vision founded on a strongly structured spatiality but closed in the redundant mysteriousness of a series of screen-like elements, such as a statue with its back to the viewer, or walls that partially conceal a passing sailboat or train. All his metaphysical paintings are permeated by a sense of disorientation and introspection, and are always split between a sense of revelation and the silent absence of an answer. As we remain suspended in this timeless and locationless space, existence is marked by the solitude and non-communication of the mannekins, who are enclosed in their unreal self-referentiality, and the hermetic mutism of the mythological figures, whose
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né sembra voler condurre con la stessa irreale e impalpabile leggerezza visiva verso orizzonti metafisici statici e trasognati. Al contrario, nell’universo mentale di Savinio la componente irrazionale e straniante irrompe con violenza nel sistema figurativo, senza mediazione plastica, producendo un’estraniazione e una visionarietà forse più vicine all’impatto estetico di un’opera surrealista che alla pittura metafisica. Si tratta però di una surrealtà che non attinge, come fanno i surrealisti, alla dimensione onirica. Con grande ironia Savinio compenetra corpi umani tratti dalla mitologia e corpi animali, oppure dipinge angeli che lottano tra loro come aquile, vincitori o scacciati e sconfitti. Rompendo così l’integrità plastica e sacrale dell’immagine mitologica, innesca un processo di demistificazione del sistema culturale, che completa calando poi quella stessa dimensione rituale al livello comico e anodino della realtà. L’ironia dissacrante, amplificata dalla giustapposizione tra dettaglio realistico e componente surreale o irrazionale, diventa per Savinio la chiave di volta per penetrare al di là della realtà e promuovere la rivelazione di un aspetto metafisico oscuro e inquietante. Il percorso estetico di Mario Sironi conferma la centralità della pittura su ogni altro mezzo di espressione artistica nel pieno della stagione avanguardista italiana. Non solo: nello sviluppo estetico seguito dall’artista la pittura rimane il perno centrale di una ricerca figurativa che attraversa e congiunge il futurismo, l’arte metafisica e il Novecento di Margherita Sarfatti. Le sue prime opere esprimono già una vocazione plastica che è architettonica, per cui la
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emblematic presences signal the survival of the past in the present but also the irruption of the irrational in the present circumstances. Savinio’s painting also occupies the state of metaphysical disorientation and existential unease expressed by his brother, and also makes reference to mythology as a historic foundation of identity and residual cultural attachment in a process of the progressive lapse of sense. Nonetheless, his imaginative universe was not pervaded by the disturbing and melancholic atmosphere extant in the paintings of de Chirico, nor seems to want to lead to static, dreamy metaphysical horizons with the same unreal and intangible visual lightness. On the contrary, in Savinio’s mental universe, the irrational and alienating component bursts into the figurative system without plastic mediation, producing a sense of estrangement and visionary imagination that are perhaps closer to the aesthetic impact of a Surrealist work than Metaphysical painting. However, unlike the Surrealists, Savinio’s painting does not draw on oneirism. With great irony, Savinio merges animal bodies with human bodies drawn from mythology, or paints angels battling amongst themselves like eagles, either victorious or defeated and driven away. In thus shattering the plastic and sacred integrity of the mythological image, Savinio engages a process of demystification of the cultural system, which he completes by lowering the ritual dimension to the comic and anodyne level of reality. His desecrating irony, magnified by the juxtaposition of realistic details and surreal or irrational elements, becomes the cornerstone for going beyond reality and re-
Mario Sironi, Gigante rosso con scure (part.), 1920-1921
figurazione pittorica non è mai scissa in senso lineare, ma sempre tenuta insieme da una solidità volumetrica che attrae i fasci di linee in una densa ricomposizione della struttura plastica. Anche durante il successivo periodo futurista l’attenzione pittorica di Sironi è concentrata sulla solidità delle masse e sulla densità dei volumi, molto più che sul flusso dinamico colto nel suo divenire plastico. Tale attitudine si acuisce nel corso degli anni, quando nuove suggestioni metafisiche pervadono la sua pittura,
vealing an obscure, disturbing metaphysical aspect. Mario Sironi’s aesthetic trajectory provides confirmation of the centrality of painting over all other means of artistic expression during the high point of Italian avant-gardism. In addition, painting remained the mainstay of the artist’s figurative research as it intersected and passed through Futurism, Metaphysical art and Margherita Sarfatti’s Novecento. His first works already demonstrated an architectonic plasticism in which the elements of the pictorial figuration are
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inoculandosi nelle atmosfere tetre dei paesaggi di periferie industriali. Sironi non ignora temi intimisti o soggetti classici, come la Sacra Famiglia, che traspone in uno stile vigoroso e moderno, ma dipinge soprattutto l’universo urbano deserto attraverso scene in cui ricorre allo spazio prospettico accelerandone le linee di fuga, o in cui esaspera la frontalità dell’immagine. Restituendo atmosfere urbane sicuramente più concrete di quelle smaterializzate negli scenari visionari e intellettualistici di de Chirico, i suoi quadri descrivono, mediante una pennellata sintetica e asciutta, lo spirito di desolazione che percorre le squallide periferie cittadine, orfane di ogni traccia di umanità viva, tagliate da caseggiati monumentali in prospettive oblique, abitate solo da elementi d’arredo di matrice industriale, ciminiere, gasometri, gru, torri di cantiere, relegati in spazi limitati da mura massicce e interminabili. Nei dipinti di Sironi la potente struttura dei palazzi, simili a cattedrali laiche, esprime per Margherita Sarfatti un’energia costruttiva che contrasta con l’asprezza dell’immagine e che è il segno della ritrovata capacità di costruire la forma. È l’emblema stesso del costruire, nel senso più ampio del termine: un costruire sentito come un imperativo categorico e un dovere etico. Il movimento del Novecento italiano, fondato da Sironi con Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Oppi, è sostenitore di una “moderna classicità”, cioè di una forma tradizionale priva di pittoricismi ottocenteschi e filtrata attraverso una sintesi purista. Ancora una volta è la pittura a dare corpo a un nuovo orientamento estetico, questa
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not separated linearly, but remain held together by the solidity of the volumes that pulls the bundles of lines together to form a dense recomposition of the plastic structure. During his subsequent Futurist period, Sironi’s pictorial focus was much more on the solidity of the masses and density of volumes than the transition of the dynamic flux into plastic form. This tendency became more acute over the years, when his painting was infused with metaphysical atmospheres and became implanted in the menacing ambiences of the industrial suburbs. Sironi also turned his attention to intimate and classical subjects, like the Holy Family, which he interpreted in a vigorous and modern style, but he mostly painted views of a deserted city in which his treatment of perspectival space brought the vanishing point close to the viewer, or in which he exacerbated the frontality of the image. Offering urban atmospheres certainly more concrete than the dematerialised versions seen in de Chirico’s visionary and intellectual scenes, and using a dry, synthetic brushstroke Sironi’s paintings describe the spirit of desolation that exists in squalid city suburbs, deprived of all trace of humanity, cut in oblique perspective by monumental blocks of flats, and populated only by such industrial elements as chimneys, gasometers, cranes and buildingsite towers relegated to spaces enclosed by solid, unending walls. For Margherita Sarfatti, the massive structure of the buildings, like secular cathedrals, demonstrates an energy that contrasts with the harshness of the image and is indicative of a rediscovered ability to construct form. It is the symbol itself of construction, in the broadest meaning of the
volta guidato dalla volontà, anche ideologica, di rompere con gli eccessi dell’avanguardismo, futurista in particolare, e di realizzare un “ritorno all’ordine”, un recupero della tradizione pittorica italiana quattrocentesca e cinquecentesca e, attraverso questa, dell’arte classica, depositaria assoluta di un valore che si identifica nella purezza della forma e nell’armonia della composizione. In maniera più generale, nel periodo fra le due guerre, la scelta iniziale fatta dall’arte metafisica di de Chirico è ripresa in diverse direzioni dagli artisti italiani. Con il ritorno ai diversi modelli del passato, dal Trecento al barocco, essi propongono ogni volta una nuova rappresentazione di ciò che vivono come identità antica e profonda di una cultura che chiede di accedere al presente per poter contribuire alla nascita di una Italia moderna. Tutta la pittura italiana degli anni Venti e Trenta è così in bilico tra due possibilità. La ricerca di una modernità immemore si compie attraverso un nuovo impulso del futurismo, l’astrattismo, il ritorno a Cézanne o l’allineamento sul cubismo di Picasso, cioè mantenendo un dialogo con la cultura europea, in base a un atteggiamento di fiducia nella costruzione di un’identità completamente nuova dell’Italia moderna. Di fronte a questa corrente il movimento del Novecento sostenuto da Margherita Sarfatti si oppone all’idea d’avanguardia, mirando piuttosto a riallacciarsi al classicismo inteso come fondamento artistico e culturale di un’Italia ricca di miti e di storia. Il Kunstwollen identitario, che continua a delineare e alimentare queste ricerche, giunge allora a farsi interprete delle posizioni anche più estreme. Ad esempio
term, construction experienced as a categorical imperative and ethical duty. Italy’s Novecento movement, founded by Sironi with Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig and Oppi, endorsed a form of “modern classicalness”, by which was meant traditional form devoid of 19th-century picturesqueness and filtered through a purist synthesis. Once again painting gave substance to a new aesthetic direction, this time driven by the partly ideological wish to break with the excesses of avant-gardism (Futurist in particular) and create a “return to order”, to the pictorial tradition of the Quattrocento and Cinquecento and, by means of this, of Classical art, the absolute depositary of values represented by purity of form and harmony of composition. More generally, during the inter-war period, the initial choice made by de Chirico’s Metaphysical art was taken up in diverse directions by Italian artists. With the return to different models of the past, from the Trecento to the Baroque, they each proposed a new image of what they felt was an ancient and profound identity of a culture that was asking to accede to the present so as to contribute to the birth of a modern Italy. All Italian painting of the 1920s and ’30s was poised between two possibilities. On one hand the drive for a form of modernity that broke entirely with Italian tradition was powered by the thinking of Futurism, Abstractionism, the return to Cézanne or alignment with the Cubism of Picasso, in other words maintaining a dialogue with European culture in the construction of a completely new identity for modern Italy. On the other, the Novecento movement founded by Margherita Sarfatti
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in Massimo Campigli, che ricorre alle figure dalla rigida geometrizzazione dell’arte etrusca, o in Gino Severini, che applica rigorosamente le regole della sezione aurea. L’ampio ventaglio di queste ricerche rimanda ad altrettanti tentativi di dare corpo a una moderna identità italiana, di risolvere cioè il problema ereditato dal Risorgimento. Di fatto, il dilemma cui si confrontava già l’artista italiano postunitario rimane ancora e sempre lo stesso. L’artista del periodo fra le due guerre riesce solo a fornire risposte diverse, ma senza superarlo. Si tratta di un dilemma che può essere riassunto in questo modo: la così giovane nazione italiana deve darsi un solo punto di riferimento, la modernità, sopprimendo quindi il passato, come volevano i futuristi, o deve piuttosto cercare di situarsi attraverso un duplice riferimento, rivendicando tanto l’avvenire quanto il passato che è depositario di ogni significato identitario? La prima scelta significa assimilare sic et sempliciter il modello francese che incarna la modernità dei Lumi. La seconda consiste nell’elaborazione di un modello endogeno in grado di dare il giusto rilievo alla storia specifica dell’Italia, in particolare all’arte nata dalla sua civilizzazione più che millenaria. È la domanda che, nello stesso periodo, impegna instancabilmente Antonio Gramsci, teorico del marxismo che, nei suoi Quaderni dal carcere, opera una continua riflessione su questo argomento dal punto di vista politico. In effetti, accettare senza riserve il modello culturale dei Lumi corrisponde a un atteggiamento superficiale quanto il voler riesumare senza alcuna revisione la grande tradizione del passato
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set itself against the notion of avant-gardism, preferring to reconnect with the classicism of myth and history that was the foundation of Italy’s artistic and cultural heritage. The identity-related Kunstwollen, which continued to define and nourish this research, became the vehicle for even the most extreme positions: for example, the art of Massimo Campigli, who employed geometrical figures derived from Etruscan art, and Gino Severini, who rigorously applied the rules of the golden section. The range of these approaches matched the scope of attempts to give substance to a modern Italian identity and resolve the problem inherited from the Risorgimento. The dilemma that confronted post-unification Italian artists was still the same. Inter-war artists only succeeded in offering a variety of answers but never found a solution. It was a dilemma that could be summarised as follows: should the young Italian nation adopt a reference – modernity – that would enable it to break with the past as the Futurists had wanted, or should it rather attempt to espouse a double reference by laying claim not only to the future but also the past, the depositary of all identity-related signifiers? The first choice meant assimilating sic et sempliciter the French model that embodied modernity as represented by the Enlightenment. The second consisted in developing an endogenous model that would attribute the right importance to Italy’s history, in particular to the art created during its more than millennial history. This was the question to which Antonio Gramsci, a Marxist theorist, tirelessly devoted himself. In his Prison Notebooks, he reflected on this subject
italiano. In campo artistico il passo è breve fra l’antitradizione e il museo, fra il rifiuto della Storia proclamato dalla rivolta futurista e l’allineamento acritico su questa stessa Storia come propongono i pittori del Novecento. La sperimentazione di Osvaldo Licini è forse una delle testimonianze più incisive del primato mantenuto dalla pittura nell’arte d’avanguardia italiana. Muovendosi con libertà da una linea di ricerca estetica all’altra, nel corso dei decenni Licini fa ruotare la sua personalissima espressione sempre intorno alla pittura, declinandola ogni volta diversamente, secondo l’orientamento contingente della propria sensibilità e ispirazione. Dopo l’inaugurale fase figurativa il pittore restringe ogni impianto formale in un sistema geometrico essenziale, utilizzando una linea minimale, sottile, che struttura lo spazio bidimensionale e lo percorre nitidamente, riducendolo a campo mentale di manifestazione pura della forma. La geometria dei ritmi grafici evoca dati naturali e dati mentali attraverso scaglie modulari, reticoli equi-granulari, scomposizioni di poligoni rovesciati e alternati simili all’origami. Allo stesso tempo, però, il ricorso a un trattamento cromatico saturo e brillante fa sì che la linearità astratta non si inaridisca in mero schema geometrico, ma si integri nella vibrazione tonale della superficie tracciandone l’andamento dinamico interno, e più precisamente svelando una breccia in tanta perfezione geometrica, una rottura dell’equilibrio assoluto che richiama l’imperfezione ontologica dell’essere al mondo. Sul finire degli anni Trenta Licini approda invece alla fase
from a political standpoint. Unreserved adoption of the cultural model of the Enlightenment was as superficial an attitude as the desire to revive the great Italian tradition of the past unrevised. In the field of art, it is only a short step from anti-tradition to the museum, from the rejection of History as proclaimed by the Futurist revolt to the acritical falling in with this same History as proposed by the painters of the Novecento. The experimental research of Osvaldo Licini is perhaps one of the keenest attestations of the primacy of painting in the Italian avant-garde. Freely shifting between different lines of aesthetic research, over the decades Licini’s very personal expression revolved around the technique of painting, each time utilised in a different manner in accordance with his sensibility and inspiration. Following his early figurative phase, he condensed his formal framework into a pareddown, geometric language that made use of minimal, understated lines to cleanly structure the two-dimensional space and reduce it to a mental field of the pure manifestation of form. The geometry of the graphical forms is suggestive of natural and mental elements through the use of modular scales, regularly sized latticework, and de-compositions of alternating, upturned polygons similar to origami. At the same time, use of brilliant and saturated colours ensures that the abstract linearity is not relegated to a mere geometric pattern but is integrated into the tonal vibration of the surface, tracing its internal dynamic progression and, more specifically, revealing a breach in the geometric perfection, a rupture of its absolute equilibrium, suggestive of
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più intensamente poetica della sua esperienza pittorica. La matrice figurativa e la successiva forma astratta basata sulla linea lo conducono a suturare le due matrici pittoriche in una poetica del tutto inedita, troppo lanciata verso la smaterializzazione lirica di orizzonti infiniti per essere considerata figurativa, ma altrettanto lontana dal rigore e dallo schematismo geometrico per essere considerata cerebrale espressione astratta. Nella cosiddetta fase del “figurativismo fantastico” si condensano, in effetti, due tendenze dialetticamente contraddittorie: da un lato, i portati della sua apertura all’astrattismo, di cui conserva l’uso espressivo del colore e l’attrazione verso una forma ormai libera, primordiale e intensamente poetica, fluidamente adesa ai percorsi interiori del sentimento e svincolata dai confini fisici della figurazione naturalistica; dall’altro, la forma figurativa, però, non si disincarna definitivamente ma, così dispiegata in accordo con gli andamenti sciolti di una divagazione sognante e ingenuamente poetica, si disfa in materia traslucida e impalpabile, portando letteralmente sulla superficie pittorica la sostanza dell’immaginazione e la consistenza forte ed evanescente del pensiero. Ne deriva un universo immaginario leggero, etereo e diafano, immerso nella sostanza rarefatta e labile di spazi celesti indefiniti e popolato da personaggi altrettanto impercettibili e indistinti. Con gli anni Quaranta i personaggi di questo universo diafano, lirico e sognante si precisano in chiave mitica e favolistica. La serie dedicata all’Olandese volante è forse l’eco di un ricordo: il giovane Licini deve aver assistito, nel
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the ontological imperfection of being. Towards the end of the 1930s, Licini embarked on the most poetic phase of his activity as a painter. He merged his figurative background and the subsequent abstract phase based on the use of lines to create a completely new poetics that was too concerned with the lyrical dematerialisation of endless horizons to be considered figurative but equally remote from precision and geometric schematism to be deemed a cerebral abstraction. The phase referred to as “fantastic figurativism” condenses two dialectically contradictory tendencies: on one hand, the effects of his embracing of abstractionism, of which he maintained the expressive use of colour and the use of an almost free, primordial and intensely poetic form fluidly linked to sentiment and freed from the physical confines of naturalistic figuration; on the other, his figurative form is not permanently disembodied but, deployed in association with a dreamy and ingenuously poetic digression, it dissolves into translucid and intangible matter, literally carrying the substance of imagination and the strong, evanescent consistency of thought onto the surface of the painting. The result is a light, ethereal, diaphanous universe immersed in the rarefied and faint substance of undefined celestial space populated by equally imperceptible and indistinct figures. During the 1940s, the figures in this diaphanous, lyrical and dreamy universe developed into characters from the worlds of myth and fable. The series dedicated to the Flying Dutchman may have been related to a memory: in January 1914, when still a young man, Licini must have been present
gennaio 1914, alla memorabile rappresentazione dell’opera di Wagner al Teatro Comunale di Bologna. Assumendo l’archetipo visionario della leggenda nordica, che racchiude il dramma dell’impossibilità gnoseologica di un’umanità destinata a un viaggio senza scopo e senza fine, Lucini dipinge campiture monocromatiche insature ma brillanti, rese vibranti dalla stesura non uniforme del colore, entro cui interviene con un segno incisivo, di matrice picassiana, per creare un lessico figurativo-fantastico. La riduzione minimalista del segno, arricchita dall’incursione di cifre enigmatiche che marcano l’ermeticità del cosmo e amplificata dall’investimento espressivo del colore, schiude un immaginario visivamente scarno ma intensamente poetico che riconduce l’erranza nello spazio cosmico al percorso intemporale di un viaggio interiore. Il successivo ciclo dell’Amalassunta, carico di contaminazioni fra i regimi del sacro e del profano, presenta un impianto compositivo e figurativo di base, dato dal posizionamento di una forma di volto di donna identificato con la sfera lunare su uno sfondo monocromatico di tonalità accese, generalmente collocato nella parte alta del quadro e decentrato verso uno dei lati. A tale composizione minimalista Licini aggiunge pochissimi altri segni formali: marca la linea ondulata del suolo e la proiezione sinuosa e fluida della donna-luna sulla terra in una relazione ancestrale di circolarità vitale, oppure incide nel tessuto sognante della visione segni alfabetici criptografici, semi di un’indecifrabilità ineluttabile, intimamente connaturata alla struttura dell’universo. Inscritta su uno sfondo blu
Osvaldo Licini, Amalassunta (part.), 1950
at the memorable production of Wagner’s opera of the same name at the Teatro Comunale in Bologna. Embracing the visionary archetype of this Nordic legend that entails the gnostiological impossibility of a humanity fated to experience an endless and meaningless voyage, Lucini painted unsaturated but brilliant monochrome grounds rendered vibrant by the non-uniform application of colour, in which he created an insightful yet fantastic figurative lexicon of Picassian derivation. The minimalism of the sign, amplified by colour and enhanced by enigmatic numbers that emphasise the closed nature of the cosmos, is indicative of a visually meagre but intensely poetic imagination that offers the analogy of wandering in cosmic space to the timeless odyssey of an inner quest. The successive cycle, dedicated to the figure of Amalassunta,
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cobalto intenso, o rosso, verde, giallo saturo, l’Amalassunta domina uno scenario silenzioso e immobile, fatto di materia di sogno, percorso da fasci luminosi e bagliori vibranti, riverberati su una sottile linea di terra che descrive un materno paesaggio collinare. Per la definizione fisiognomica di questa donna-luna, sorta dalla visione poetica di Leopardi, Licini guarda in pochissimi tratti sia al segno di Picasso, con l’occhio frontale, sia al segno di Matisse, con la linea di congiungimento sopracciglio-naso. Il tratto della stilizzazione figurativa è fluido, estremamente libero e disinvolto, ma solo nel disegno della sfera lunarefemminile, mentre è invece totalmente disincarnato nel percorrere con scioltezza lo spazio monocromatico. Se l’Olandese volante è un Ulisse che non ritroverà mai la sua Itaca, l’Amalassunta è una creatura notturna che si staglia nel candore sporco di un segno informe e di una materialità dissolta. Il capitolo pittorico successivo declina al maschile questo stesso tema della creatura decaduta e del cosmo. Il ciclo degli Angeli ribelli è dedicato alla colpa originaria dell’umanità deviata dall’impulso alla conoscenza. Senza connotazione teologica, ma in senso prettamente poetico-esistenziale, Licini è attratto dalla figura dell’angelo decaduto, cioè dal simbolo della ribellione all’ordine, dall’individuo che, avendo voluto sovvertire le leggi, è condannato alla precipitazione dal cielo. In altre parole, guarda all’angelo reietto non in senso demoniaco, ma come proiezione di una condizione negativa che nasce tuttavia da un impeto positivo di conoscenza e che, per-
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was a blend of the sacred and profane. Its compositional and figurative foundation is given by the placement of the face of a woman, identified with the full moon on a vivid monochrome ground, generally in the upper section of the painting and slightly to one side. To this minimalist composition Licini added a few formal signs: the undulating line of the ground and the sinuous and fluid projection of the moonwoman on the earth in an ancestral relationship of vital circularity, or he scored cryptographic and alphabetic signs in the fabric of the vision, seeds of an ineluctable indecipherability and intimately rooted in the structure of the universe. Set against an intense cobalt blue, or saturated red, green or yellow ground, the figure of Amalassunta prevails over a silent and immobile scene, itself formed of dream materials and shot through with dazzling flashes and vibrant beams of light above a thin line representing the ground in the form of a maternal hilly landscape. The physiognomy of this moonwoman is derived from Leopardi’s poetic vision: created in just a few strokes, Licini draws on Picasso for the frontal eye, and on Matisse for the union of the lines of the nose and eyebrows. The line is free and uninhibited in the stylised figuration, but only so in that of the female-lunar sphere, while it is completely discarnate in the figure’s trajectory through the monochromatic space. Whereas the Flying Dutchman is a Ulysses who will never return to his Ithaca, Amalassunta is a creature of the night who stands out against the dirty whiteness of a formless sign and dissolved materiality. In the next stage of his pictorial development, Licini would produce this same theme of a depleted creature and the cosmos but in
tanto, ha in sé un seme benigno, un’aura residua di innocenza non perduta. Disegnati evocando la maniera di Cocteau, gli Angeli ribelli hanno l’incedere elegante e maestoso dei kouroi della scultura monumentale greca del periodo arcaico, il corpo longilineo e serpentino, con la forma trapezoidale della parte superiore del busto che, massiccia e accentuata, sembra predisposta a essere il supporto delle ali. Il modello iconografico dei kouroi greci, che erano le sentinelle delle tombe, è ripreso anche nel sorriso arcaico, nella capigliatura lunga e sciolta che era un segno aristocratico, nel giro di vita snello e ridotto, nella gamba sinistra spinta in avanti che, in Licini, diventa un passo baldanzoso di conquista. Con ali e coda tracciate appena, la creatura decaduta scavalca le acque e scende sul mondo con un’enigmaticità di nuovo segnata materialmente sul corpo, attraverso l’inserto di cifre e segni in corrispondenza del cuore e del ventre. Licini varia poi il tema figurativo trasferendo il salto dell’angelo nelle profondità siderali. Il segno, sempre ingenuamente poetico, descrive la silhouette sinuosa e leggera di una creatura luciferina sullo sfondo di una sfera planetaria blu, dalla materialità solida e porosa, costruendo un contrasto visivo sensibile tra la fluidità diluita della linea del corpo e la sostanza tattile del cosmo. Nei quadri di Licini una sensibilità immaginativa tutta pittorica, intrisa di sogno, ansia proiettiva e intensa ricerca epifanica si traduce costantemente in uno slancio entusiasta per il segno e il colore, entrambi esaltati fino alla massima espressione del loro lirismo.
a male version. The cycle of Rebel Angels was dedicated to original sin and mankind’s deviation from instinct to knowledge. Devoid of theological connotation, elaborated on purely an existential and poetic plane, Licini was attracted by the figure of the fallen angel, the symbol of rebellion against order, the individual expelled from the heavens for wishing to subvert the laws. Thus, Licini portrayed the angel not as a demon but as a projection of a negative condition arising from the positive thirst for knowledge that, in itself, contains a grain of benevolence, a residual aura of innocence. Drawn in the manner of Cocteau, the Rebel Angels have the same elegant and majestic step of the kouroi from the monumental sculpture of Greece during the Archaic period. Their long, curvilinear bodies, with the trapezoidal, solid and emphasised form of the upper bust, seem suited to support wings. Licini took up the iconographic model of the kouroi tomb guardians, complete with archaic smile, long loose hair (a symbol of aristocracy), a small waist, and the left leg advancing, which, in Licini’s work, signifies a confident step of conquest. With their wings and tail barely alluded to, the fallen creatures cross the waters and descend into the world. The enigmatic nature of the event is again marked in a material fashion on their body, with numbers and signs over the heart and stomach. Licini then varies the figurative theme by transferring the leap of the angel into the depths of the universe. Also ingenuously poetic, the light, sinuous silhouette represents a Luciferian creature on the bottom of a blue planetary sphere of solid, porous material-
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La pittura metafisica si è sviluppata su due assi caratterizzanti. In de Chirico, Carrà e Savinio domina la visione culturale e intellettuale metastorica. In Morandi emerge invece il quotidiano, attraverso l’esaltazione dell’oggetto domestico. Se Licini tratta il quadro con la scioltezza e l’immediatezza di un disegno, Morandi lo costruisce attraverso una composizione geometrica di tipo classico. All’inizio le sue nature morte presentano un insieme di brocche, bottiglie e frutti separati gli uni dagli altri su un tavolo, come già in Chardin, secondo una tradizione iconografica classica che risale ai precetti degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola: “Dio, che dona l’essere a tutti gli elementi, è presente in ognuno di essi.” Poi i frutti scompaiono, ma, pur trattandosi esclusivamente di oggetti fatti dall’uomo, Morandi continua a intitolare in modo improprio “Natura morta” queste composizioni che parlano in realtà della vita intima e segreta delle cose più umili dello spazio quotidiano. La presenza delle ombre allungate crea il tono silenzioso e atemporale degli oggetti. In questa prima fase la distribuzione spaziale è più netta in quanto Morandi gioca sulla profondità. Spesso la visione è dall’alto e la linea d’orizzonte più o meno elevata coincide con il bordo posteriore del tavolo. In una fase successiva Morandi dipinge composizioni in cui gli oggetti appaiono raggruppati, perdendo così ogni riferimento individuale e contingente, per assumere la valenza di un paesaggio domestico. Allo stesso tempo il loro affastellamento compresso nello spazio diviene un confronto fra la diversità delle forme. Si tratta di scatole, taz-
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ity, and creates a clear visual contrast between the diluted fluidity of the line of the body and the tactile substance of the cosmos. In Licini’s paintings, an imaginative and fully pictorial sensibility permeated by dreams, protective anxiety and intense epiphanic research constantly translates into a fervent outburst of sign and colour, both of which are taken to the extreme of lyricism. Metaphysical painting was developed on two axes. The production of de Chirico, Carrà and Savinio is dominated by the meta-historic cultural and intellectual vision. That of Morandi, in contrast, is characterised by our experience of daily life through the glorification of domestic objects. Where Licini attacked his painting with the immediacy and freedom of a drawing, Morandi built his using a classic geometric composition. His early still-lifes depict a set of jugs, bottles and fruit that stand separate from one another on a table, as in the painting of Chardin, using a classic iconographic tradition that dates back to the precepts of Ignatius of Loyola’s Spiritual Exercises: “God, who gives existence to all elements, is present in every one of us.” The fruit then disappears but, despite depicting objects made exclusively by man, Morandi continued to title them incorrectly as “still-lifes”. In truth these compositions speak of the reality of the inner, secret life of the humblest of daily objects. The presence of lengthy shadows creates their silent, timeless tone. During this first phase, the spatial distribution is clearer as Morandi was exploring the dimension of depth. The view is often from above and the raised horizon coincides with the rear edge of the table.
Giorgio Morandi, Natura morta (part.), 1947
ze e bottiglie che, riunite su un piano, creano un contrasto di forme convesse, incurvate, scavate, rettilinee, cubiche, cilindriche, scanalate, tozze, slanciate e con un lungo collo ecc. Se c’è asimmetria, essa è all’interno della massa
In a later phase, Morandi painted compositions in which the objects appear in a group, thereby losing every individual and contingent reference and becoming a domestic landscape. At the same time, their condensed mass becomes a comparison of their different forms. They are a collection of boxes, cups and bottles that, set together on a plane, create a contrast of forms: convex, curved, hollow, rectilinear, cubic, cylindrical, grooved, squat, slender, long-necked, etc. If there is asymmetry, it lies within the mass of objects – their totality always lies perfectly symmetrically at the centre of the painting. Deprived of all episodic aspect, the objects are so closely massed that together they become the only subject in the painting. The image is constructed like a “scene”, a microcosm organised such that there is a perspectival frontality and centrality that imbues them with balance, serenity and solemnity. The subject of Morandi’s discourse is everyday reality and a certain mute slavery that is part of the existence of every one of us. He does not tinge ordinariness with heroism but rather condenses it with a metaphysical aura and invests the image with time and slow progress. In producing tonal painting with combinations of grey-blue, greybeige, brown-beige, pale yellow and red, and wan green, he simultaneously focuses on the expressive capacities of the means itself at the limits of abstraction. This essentiality is an expression of purity lauded. In Morandi, pictorial figuration is used for the purposes of aesthetic idealisation. Turning his back on the pathos and febrile contingencies of the avant-gardes, he brings the
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degli oggetti. Ma il loro insieme è sempre, con perfetta simmetria, al centro dell’immagine. Ora, spogliati da ogni aspetto episodico, gli oggetti sono talmente ammassati tra loro da divenire in blocco l’unico soggetto del dipinto. L’immagine è costruita come una “scena”, un microcosmo organizzato con una centralità e una frontalità prospettica che le conferiscono equilibrio, serenità e solennità. Morandi parla della quotidianità e di una certa muta schiavitù che accompagna l’esistenza dell’essere umano. Egli non tinge d’eroismo il quotidiano, lo condensa piuttosto con un’aura metafisica scolpendo nell’immagine il tempo e il suo lento procedere. Facendo una pittura tonale con accostamenti di grigio-azzurro, grigio-beige, marrone-beige, giallo e rosso slavati, verde spento, egli si concentra allo stesso tempo sulle capacità espressive del mezzo stesso, al limite dell’astrazione. L’essenzialità esprime la forma di una decantata purezza. Con Morandi la figurazione pittorica torna al servizio dell’idealizzazione estetica. Fuggendo il pathos e gli scenari febbricitanti dell’avanguardia, nel riservato spazio della propria maniacale meticolosità, l’artista ricentralizza la pittura della natura morta andando oltre le apparenze ottiche, cercando di far affiorare una tensione metafisica dall’oggetto inerte, una poesia visiva e una vibrazione armonica dalla giustapposizione plastica, e trovando nella piccola epifania del quotidiano il lirismo più intenso. Assimilabile a Mondrian per l’ossessione dell’equilibrio perfetto della composizione, Morandi rappresenta la modernità di un ritorno consapevole e maturo alla pittura figurativa
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painting of still-lifes once more back to focus within the bounds of his maniacal fastidiousness, going beyond the visual, attempting to touch upon a metaphysical tension in inert objects, a visual poetry and harmonious vibration in the representation of their physical juxtaposition, and finding intense lyricism in this small epiphany of ordinariness. Like Mondrian in his obsession for the perfect balance of his composition, Morandi represents the conscious and mature return to figurative painting in the great Italian tradition, constructed on precise perspective and the architectonic and chromatic harmony of its parts. He is lyrical rather than Mondrian’s cerebral approach, and therefore falls outside of the avant-garde, but in some ways his painting is equally or even more powerful in the intensity of its pictorial lyricism. The last act in the survival of painting in 20th-century Italian art was given by the extreme and definitive gestural art of Lucio Fontana. The spatialism that the artist began to research in the late 1940s appeared to transcend every traditional aesthetic approach but in fact metabolised and contained – between the lines – the most radical development of pictorial conception founded on the central principle of space. Traditionally represented using perspective, then elaborated and expanded in three dimensions by Boccioni and the dynamic plasticism of Futurism, space in Fontana’s oeuvre is perforated, surgically opened, penetrated by a physical cut, a material laceration. This gash was the outcome of the artist’s conceptual and intellectual intolerance of the physical limits of the pictorial
della grande tradizione italiana, costruita sul rigore della prospettiva e sull’accordo architettonico e cromatico delle parti: scelta lirica e non cerebrale, come avviene invece in Mondrian, quindi compiuta al di fuori dell’avanguardia, ma altrettanto se non, per alcuni versi, più potente per intensità del lirismo pittorico. L’ultimo atto della sopravvivenza della pittura nell’arte italiana del XX secolo è rappresentato dal gesto estremo e definitivo di Lucio Fontana. Lo spazialismo inaugurato dall’artista alla fine degli anni Quaranta costituisce infatti un apparente superamento di ogni approccio estetico tradizionale, ma in realtà metabolizza e contiene, in filigrana, l’evoluzione più radicale di una concezione pittorica fondata sul principio cardine dello spazio, tradizionalmente restituito in senso prospettico, poi sviluppato ed espanso in senso tridimensionale da Boccioni e dal dinamismo plastico futurista, infine, ora, perforato, aperto chirurgicamente e penetrato da un taglio concreto, da una lacerazione fisica. Quest’ultimo gesto nasce da una precisa condizione di insofferenza concettuale e intellettuale di fronte ai limiti fisici dello spazio pittorico, esacerbati dalla conferma della fine storica della prospettiva già svelata dall’aeropittura futurista degli anni Trenta. I concetti di smaterializzazione della pittura e di dispiegamento dinamico della forma, teorizzati da Boccioni, si associano alla necessità di stabilire un principio costruttivo attraverso cui fissare la vitalità della forma nello spazio. La ricerca linguistica di Fontana persegue, in pittura, lo stesso obiettivo ottenuto da Boccioni nel campo della
space, exacerbated by the historical end of perspective in the Futurist aeropainting of the 1930s. The concepts of the dematerialisation of the paint and dynamic unfurling of form theorised by Boccioni were associated with the need to establish a constructive principle through which to fix the vitality of form in space. Fontana’s linguistic research carried forward in painting the same objective achieved by Boccioni in the field of sculpture, and therefore touches on the Futurist attraction to the plastic and dynamic vibration of form in space and the desire to make it perceptible by means of an abstract dimension that takes it out of the painting and into the space and time of the viewer. Whereas on one hand Fontana created his Ambienti spaziali using black curtains and ultraviolet light to restore the dematerialisation of space theorised by Boccioni, on the other he produced the first buchi in the form of a circle, sphere or spiral in which he attempted to render space sidereal by perforating the canvas, and thus immediately objectifying its material nature. This invisible interface between reality and representation in traditional painting thus became a diaphragm that mediates between the physical and imaginary space. By slashing its surface, Fontana was opening onto nothingness, thus he was finding the painting’s fourth dimension. In other words, he was accomplishing the definitive evolution of a painting and taking it beyond its physical limits. The cognitive act of slashing the canvas – of almost surgically perforating the pictorial surface in a downward blow of aggression – destroys the illusion imparted by figurative
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scultura e si gioca, dunque, tra l’attrazione futurista verso la vibrazione plastica e dinamica della forma nello spazio e la volontà di renderla percepibile attraverso una trama astratta che la porti fuori dal quadro, nello spazio e nel tempo dell’osservatore. Fontana, se da una parte crea gli Ambienti spaziali mediante tendaggi neri e luci di Wood per restituire la smaterializzazione dello spazio teorizzata da Boccioni, dall’altra realizza i primi “buchi”, disposti in forma di cerchio, sfera e spirale, nei quali cerca di rendere la spazialità siderale perforando la tela, oggettivandone così, improvvisamente, la materialità e la natura di supporto fisico: la tela, interfaccia invisibile tra realtà e rappresentazione nella pittura tradizionale, diventa ora un diaframma di mediazione tra spazio fisico e spazio fantasmatico. Lacerare la sua superficie vuol dire, per Fontana, aprire al nulla, trovare la quarta dimensione nel quadro. In altri termini, compiere l’evoluzione definitiva della pittura, facendole così superare il suo ultimo limite fisico. L’atto conoscitivo del taglio della tela, della perforazione della superficie pittorica, ferita quasi chirurgicamente, incisa e bucata verticalmente con un gesto fendente, di aggressione, che trapassa la quinta prospettica, distrugge l’illusione della pittura figurativa e la sostituisce con la traccia sensibile dell’azione dell’artista, aprendo una spazialità fisica e mentale che unifica spazio reale dello spettatore e spazio interno all’opera in un’unica dimensione percettiva. Inferto sulla pelle della tela, il taglio crea un cortocircuito tra rappresentazione e realtà, cioè tra locus dell’illusione e spazio fisico, instaurando un campo
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Lucio Fontana, Concetto spaziale (part.), 1946
painting and replaces it with the tangible trace of the artist’s action, opening a physical and mental space that unifies the real space of the viewer with the inner space of the artwork in a single perceptive dimension. Inflicted on the skin of the canvas, the cut creates a short-circuit between representation and reality, between the locus of the illusion
magnetico concettuale che catalizza il passaggio da una dimensione illusoria e rappresentativa a un’esperienza percettiva immanente. Si compie così il passaggio epocale, per l’arte moderna italiana, da un’arte di rappresentazione a un’arte generata dalla piena estensione ed espansione fisica della materia nello spazio. In tal modo il taglio, come una smagliatura nella rete del codice di rappresentazione, rimette in discussione le leggi dell’arte senza screditarne il valore, ma al contrario implementando ed espandendo la dimensione in cui essa si estrinseca, prima ottica ed emotiva, ora anche fisica e concettuale. Fontana, peraltro, contraddicendo la teoria futurista di superamento del quadro, ne mantiene invece la struttura formale, perché investe e coinvolge solo la sua oggettività fisica di diaframma funzionale, la sua concretezza di immagine legata a una sensibilità visiva e tattile. Attraverso il ferimento della tela Fontana apre un varco sull’assoluto, mettendo in comunicazione l’individualità dell’artista e l’immensità cosmica. La pittura, in questo senso, non è superata né negata, ma espansa e determinata, passando da una dimensione di pura rappresentazione a una di pura percezione nella quale l’opera entra nella realtà e viceversa. Rendendo percepibili, al tempo stesso, la materia su cui agisce e la sua volontaria azione incisiva su di essa, Fontana riafferma l’idea di un’arte intesa come gesto fisico. Detto altrimenti, il suo atto prolunga e rilancia la tradizione italiana di un’arte manuale e artigianale, arricchendola dell’intenzionalità dell’artista che opera un intervento diretto sulla materia e quindi sul mondo.
and physical space, and establishes a conceptual magnetic field that catalyses the passage from an illusory and representative dimension to an immanent perceptive experience. The result is an epochal transition in modern Italian painting from an art of representation to an art generated by the full extension and physical expansion of the material in space. In this way, the cut, like a tear in the net of the code of representation, calls the laws of art into question without discrediting their value; on the contrary, it conscripts and expands the dimension in which it is manifested, first optically and emotively, then also physically and conceptually. Although he contradicted the Futurist theory of transcending the painting, Fontana maintained its formal structure as his approach invests and involves only the painting’s physical objectivity as a functional diaphragm, its concreteness as an image linked to a visual and tactile sensibility. By means of the wound he inflicted on the canvas, Fontana created an opening onto the absolute and enabled the communication between the individuality of the artist and cosmic immensity. Painting, in this sense, is neither transcended nor negated, but expanded and determined, passing from a dimension of pure representation to one of pure perception, in which the work enters reality and vice versa. By making both the material on which he acted and his penetrating, deliberate action perceptible, Fontana re-established the notion of art as a physical gesture. In other terms, his action prolonged and relaunched the Italian tradition of manual, artisanal art, enhancing it with the intentionality of the artist who operates directly on the material and, therefore, the world.
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Angelo con la coda (part), 1948
OPERE WORKS
Angelo ribelle su fondo rosa (part.), 1950 74
Osvaldo Licini
Composizione su fondo rosso 1935 olio su tavola / oil on board 15,7 x 21,5 cm Provenienza Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Osvaldo Licini, Comune di Ferrara, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, 1980, cat. n. 47, tav. 47. • Osvaldo Licini. Dipinti e disegni, Palazzo dei Capitani del Popolo, Ascoli Piceno, 1988, cat. n. 34, p. 53. Bibliografia • F. Gualdoni, L. Cavadini, E. Torelli Landini, Osvaldo Licini, Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Lugano, 1992, pp. 120-121.
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Olandese volante 1940 olio su tela / oil on canvas 28 x 36 cm Provenienza Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Osvaldo Licini, Opere, Galleria Tega, Milano, 1993, cat. n. 4. • La libertà oggi: pittori italiani 1945-1995, Cascina Roma, San Donato Milanese, 1995, cat. p. 74 e copertina. • Chagall-Licini e il sopra-naturale in Arp, Ernst, Klee, Miró, Savino, Ascoli Piceno, 2001, cat. p. 105. • L’Uomo e lo spazio. Estetiche della percezione, Centro d’Arte e Cultura di San Paolo, Modena, 2006, cat. pp. 62-63. • Osvaldo Licini. Tra le Marche e l’Europa, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Ascoli Piceno, 2008, cat. p. 149.
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Bibliografia • Osvaldo Licini. Tra le Marche e l’Europa, Galleria Civica d’Arte Contemporanea, Ascoli Piceno, 2008.
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Angelo con la coda 1946 olio su tela / oil on canvas 50 x 60 cm Provenienza Collezione privata, Brescia Esposizioni • Licini, Galleria L’Aquilone, Urbino, 1973, cat. n. 5. • Osvaldo Licini, Galleria La Nuova Pesa, Roma, 1973, cat. n. 26. • Osvaldo Licini, La Casa dell’Arte, Sasso Marconi, 1976-1977. • Ironia e favola. VI Biennale nazionale d’arte figurativa, Galleria d’Arte Moderna Ricci-Oddi, Piacenza, 1980, ripr. • Osvaldo Licini. Mostra antologica, Galleria Bergamini, Milano, 1982, cat. tav. 6. • Osvaldo Licini, Galleria L’Isola, Roma, 1982, n. 14.
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• Osvaldo Licini, Studio Denise Fiorani, Piacenza, 1986, ripr. • Arte astratta nelle Marche 1935 1985, Civica Galleria d’Arte Contemporanea, Palazzo Malaspina, Ascoli Piceno, 1988, cat. tav. 56 p. 70. • Osvaldo Licini. Dipinti e disegni 1919-1958, Kunstverein Wolfsburg e. V. Schloss, Wolfsburg, 1989, cat. p. 71. • Osvaldo Licini. Dipinti e disegni 1919-1958, Wilhelm-Hack-Museum, Ludwigshafen, 1990, cat. p. 71. • Osvaldo Licini, Università di Arti Applicate Heiligenkreuzerhof, Vienna, 1990, p. 71. • Osvaldo Licini, Pinacoteca Comunale Casa Rusca, Locarno, 1992, pp. 150-151.
Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Alfieri, Venezia, 1968, tav. 167, p. 220, n. 233 p. 288. • C. Melloni, Osvaldo Licini. Le opere e i giorni, in Almanacco-annuario delle Marche 1987-1988, Pescara, 1988.
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Angelo con la coda (Il miracolo di San Marco) 1948 olio su tela / oil on canvas 38 x 48 cm Provenienza • Collezione Nanny Hellstrom, Monte Vidon Corrado. • Collezione privata, Londra. • Galleria Lorenzelli, Bergamo. • Collezione privata, Milano. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Retrospettiva di Osvaldo Licini. III Premio Scipione di pittura, Pinacoteca Comunale, Macerata, 1964. • Osvaldo Licini, Ente Bolognese Manifestazioni Artistiche, Bologna, 1969, cat. n. 100.
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• Omaggio a Osvaldo Licini, Associazione Amici dell’Accademia Carrara, Bergamo, 1969, cat. n. 15. • Genius, Cripta del Colleggio, Siracusa, 1997. • Osvaldo Licini, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino, 2010-2011. Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Alfieri, Venezia, 1968, ill. tav. 186 p. 223, n. 250 p. 288.
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Angelo su fondo giallo 1948 olio su carta applicata su tela / oil on paper applied on canvas 38,5 x 48 cm Provenienza • Collezione Tosi, Milano. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • XXIX Biennale internazionale d’arte, Venezia, 1958. • III Premio nazionale di pittura Scipione, Macerata, 1964. • Licini, Galleria La Piccionaia, Lugano. • L’Italia s’è desta 1945-1953. Arte in Italia nel secondo dopoguerra, da De Chirico a Guttuso, da Fontana a Burri, Museo d’Arte della Città di Ravenna, Ravenna, 2011, cat. n. 82. Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Alfieri, Venezia, 1968, ill. tav. 203 p. 226, n. 274 p. 289.
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Amalassunta su fondo blu 1949-1950 olio su carta intelata / oil on paper mounted on canvas 25,5 x 33,5 cm Provenienza • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Osvaldo Licini, Galleria Meneghini, Mestre, 1969, cat. n. 47. • Palazzo Grassi, Chiesa San Samuele, Venezia, 1984, cat. n. 65. • Osvaldo Licini, Galleria Civica d’Arte Moderna, Palazzo dei Diamanti, Ferrara, 1980, cat. n. 95. • Osvaldo Licini, Palazzo Liceo Saracco, Acqui Terme, 1985, ripr. in cat. • Osvaldo Licini. Dipinti e disegni, Palazzo dei Capitani del Popolo, Ascoli Piceno, 1988, cat. n. 69.
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Amalassunta 1950 olio su tela / oil on canvas 30,2 x 39,5 cm Provenienza • Galleria Lorenzelli, Milano (opera archiviata). • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia.
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Angelo ribelle su fondo rosa 1950 olio su tela / oil on canvas 37 x 47 cm Provenienza • Collezione Meneghini, Venezia. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Osvaldo Licini, Galleria Bergamini, Milano, 1969-1970. • Chagall-Licini e il sopra-naturale in Arp, Ernst, Klee, Miró, Savinio, Polo Culturale Sant’Agostino, Ascoli Piceno, 2001. Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Venezia, 1968, tav. LXIV p. 102, n. 310 p. 289.
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Fiore fantastico 1955 olio su carta intelata / oil on paper mounted on canvas 21 x 31 cm Provenienza • Collezione privata, Milano. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Esposizioni • Identità e diversità - Il cappello e la creatività, Palazzo Medici Riccardi, Firenze, 2004, cat. p. 153. Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Alfieri, Venezia, 1968, tav. 385 p. 257, n. 473 p. 294 (con titolo Viaggio fantastico).
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Angelo azzurro 1956 olio su carta intelata / oil on paper mounted on canvas 23 x 16,5 cm Provenienza • Collezione Meneghini, Venezia. • Galleria Peccolo, Livorno. • Galleria Morone 6, Milano. • Collezione Lucio Zanetti, Bologna. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. Bibliografia • G. Marchiori, I cieli segreti di Osvaldo Licini, Alfieri, Venezia, 1968, tav. LXXVIII p. 116, n. 521 p. 294.
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Gigante rosso con scure (part.), 1920-1921 98
Mario Sironi
Gigante rosso con scure 1920-1921 olio su tela / oil on canvas 61,5 x 46 cm Provenienza • Collezione privata, Brescia Bibliografia • Con il titolo Il costruttore della Terza Internazionale la tavola compare nei Consuntivi de “Le Industrie Italiane Illustrate” (rivista cui Sironi collabora dal 1920), giugno 1921. • A. Sironi, F. Benzi, Sironi illustratore. Catalogo ragionato, Roma, 1988, p. 411. • S. Pegoraro, Figura e figure, Bologna, 2003, p. 262. • V. Sgarbi, Mario Sironi. Segni e colori, Bologna, 2004, p. 55.
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Due figure 1928 olio su tela / oil on canvas 110 x 90 cm Provenienza • Galleria Milano, Milano. • Galleria Annunciata, Milano, n. 2407. • Collezione Mazzotta, Milano. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • “Lettere e Arti”, Venezia, luglio- agosto 1946, p. 11.
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L’albero 1930 olio su carta applicata su tela / oil on paper applied on canvas 60 x 50 cm Provenienza • Collezione Giuseppina Ceretti Gussoni, Milano. • Galleria Milano, Milano (1931-32). • Collezione Barbaroux, Milano. • Collezione Lizzola, Milano. • Galleria d’Arte Cairola, Milano. • Galleria Annunciata, Milano. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • Mostra di arte italiana, Kunsthaus, Zurigo, 1940.
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Il sogno di Achille (part), 1926 106
Alberto Savinio
Il sogno di Achille 1926 olio su tela / oil on canvas 73 x 92 cm Provenienza • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Pittori e scultori che recitano a soggetto, Palazzo della Permanente, Milano, 1971. • Italia 1920-1987, Kunstnernes Hus, Oslo, 1988, cat. n. XVII. • Savinio. Gli anni di Parigi. Dipinti 1927-1932, Palazzo Forti, Verona, 1990-1991. • L’idea del classico 1916-1932, Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano, 1992. • L’ame au corps, art set sciences 1793-1993, Galerie National du Grand Palais, Parigi, 1993-1994.
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• Da Monet a Morandi, Palazzo Sarcinelli, Conegliano, 1997. • Da Ca’ Pesaro a Morandi. Arte in Italia 1919-1945, Conegliano, 2002. • Alberto Savinio, Fondazione Antonio Mazzotta, Milano, 2002-2003. • Alberto Savinio - la commedia dell’arte, Palazzo Reale, Milano, 2011 cat. p. 69
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Souvenir d’un monde disparu 1931 olio su tela / oil on canvas 38,2 x 46 cm Provenienza • Collezione privata, Parigi. • Galerie Rive Gauche, Parigi. • Collezione Dino Tega, Milano. • Collezione Cebulli, Milano. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • G. Briganti, Savinio. Gli anni di Parigi. Dipinti 1927-1932, Palazzo Forti e Galleria dello Scudo, Verona, 1990-1991, pp. 296-297 n. 85 ill. Bibliografia • P. Vivarelli, catalogo Milano, 1986, ripr. p. 14 (didascalia errata). • Tavernier, 1994, ripr. in copertina (didascalia errata, riferita al dipinto L’isola portatile).
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• Per il disegno preparatorio cfr. sezione Opere su carta, cat. n. 1931 9. • P. Vivarelli, Alberto Savinio. Catalogo generale, ripr. p. 118 n. 1931 11. • Alberto Savinio - la commedia dell’arte, Palazzo Reale, Milano, 2011 cat. p. 91
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Piazza d’Italia con Arianna (part), 1948 114
Giorgio de Chirico
Costruttori di trofei 1929 olio su tela / oil on canvas 92 x 73 cm Provenienza • Cartiglio Ghiringhelli, 9/07/38. • Galleria Gissi, Torino, n. 5938. • Galleria del Milione, Milano, n. 17 1928. • Collezione privata, Rovereto. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Exposición de pintura italiana contemporánea, Palacio de la Virreina, Barcellona, 1955. • Exposición de pintura italiana contemporánea, Palacio del Retiro, Madrid, 1955. • Exposición de pintura italiana contemporánea, Sala Municipal de Arte, San Sebastián, 1955. • De Chirico nel centenario della nascita, Museo Correr, Venezia, 1988- 1989, cat. tav. 59 n. 56 ill. 116
• Giorgio de Chirico. Pinturas e esculturas, Museo Brasileiro da Escultura Marilisa Rathsam, San Paolo del Brasile, 1998, cat. pp. 33, 109, n. 52 ill. • Die andere Moderne. De Chirico, Savinio, Kunstsammlung Nordrhein Westfalen, Dusseldorf, 2001 cat. p. 268 n. 78 ill. • Die andere Moderne: De Chirico, Savinio, Städtische Galerie im Lenbachhaus, Monaco di Baviera, 2002, cat. p. 268 n. 78 ill. • Pittura italiana contemporanea, Soprintendenza alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Spagna, 1995. • Giorgio de Chirico. La fabrique de rêves, Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Parigi, 2009, cat. p. 158 n. 65 ill.
Bibliografia • R. Carrieri, Giorgio de Chirico, Garzanti, Milano, 1942, tav. XXVIII. • E. Rathke, P. Waldberg, M. Carrà, Metafisica, Mazzotta, Milano, 1968, n. 170. • E. Rathke, P. Waldberg, M. Carrà, Metaphysical Art, Praeger Publishers, New York, 1971, n. 170. • Surrealismo, Levi Arte Moderna, Milano, 1974, p. 72 tav. 30. • P. Baldacci, M. Fagiolo dell’Arco, Giorgio de Chirico. Parigi 1924-1929. Dalla nascita del surrealismo al crollo di Wall Street, Edizioni Philippe Daverio, Milano, 1982, p. 553 n. 252. • Giorgio de Chirico et le mythe grec, Allemandi , Torino, 1995, p. 31 n. 7.
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Piazza d’Italia con Arianna 1948 olio su tela / oil on canvas 50 x 60 cm Provenienza • Collezione Annamaria Ornella Matter. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Giorgio De Chirico. A Metaphysical Journey, Paintings 1909-1973, Galerie Andrea Caratsch - Galerie Micheal Haas, Zurigo - Berlino, 2008, cat. pp. 48-49 ill. n. 15.
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Trovatore 1968 olio su tela / oil on canvas 89,5 x 60 cm Provenienza • Collezione privata, Roma. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia.
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Natura morta (part.), 1942 124
Giorgio Morandi
Natura morta 1942 olio su tela / oil on canvas 30 x 46 cm Provenienza • Galleria del Milione, Milano. • Collezione Giacomo Spadacini, Milano. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • L. Vitali, Morandi. Catalogo generale, vol. I, Electa, Milano, 1977, n. 362.
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Natura morta 1947 olio su tela / oil on canvas 29 x 45 cm Provenienza • Galleria del Milione, Milano, n. 617 #. • Collezione Rollino, Roma. • Collezione privata, Roma. • Collezione Giacomo Spadacini, Milano. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • L. Vitali, Morandi. Catalogo generale, vol. I, Electa, Milano, 1977, n. 574. • L. Vitali, Morandi. Catalogo generale, vol. I, II ed., Electa, Milano, 1983, n. 574.
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Fiori 1958 olio su tela / oil on canvas 23 x 21 cm Provenienza • Collezione Molina, Pavia. • Collezione Nazzi, Torino. • Collezione Gissi, Torino. • Galleria del Milione, Milano. • Galleria Marescalchi, Bologna. • Collezione privata, Milano. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • L. Vitali, Morandi. Dipinti. Catalogo generale, vol. II, Electa, Milano, 1977, n. 1078.
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Concetto spaziale (part.), 1965 132
Lucio Fontana
Concetto spaziale 1954 olio e pietre colorate su tela / oil and colored stones on canvas 65 x 49 cm Provenienza • Collezione Mr. Carlos Aleman. • Collezione Teresa Anchorena. • Collezione privata, Brescia.
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Concetto spaziale 1960-1961 olio su tela argento / oil on silver canvas 45x 35 cm Provenienza • Galleria Il Triangolo, Roma. • Collezione privata, Roma. • Galleria Il Traghetto, Venezia. • Collezione privata, Venezia. • Galleria Agnellini Arte Moderna, Brescia. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Spazialismo, Galleria Civica Palazzo Todeschini, Desenzano del Garda, 1989. • La formula plurale, Museo Civico, Riva del Garda, 1991.
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Bibliografia • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogue raisonné, vol. II, La Connaissance, Bruxelles, 1974, p. 76. • E. Crispolti, Fontana. Catalogo generale, vol. I, Electa, Milano, 1986, p. 265 n. 60-61 O 2 (capovolto e speculare destra-sinistra). • T. Toniato, Spazialismo, Nuovi Strumenti, Brescia, 1989, tav. I. • G.M. Accame, La forma plurale, Riva del Garda, 1991, pp. 51, 91 n. 15. • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni, Skira, Milano, 2006, p. 430 n. 60-61.
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Concetto spaziale 1965 idropittura su tela colore bianco / water-based paint on white canvas 40 x 32 cm Provenienza • Collezione Campiglio, Milano. • Collezione privata, Venezia. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo generale, vol. II, Electa, Milano, 1986, p. 583 n. 65T 130 ill.
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Concetto spaziale 1965 idropittura su tela colore bianco / water-based paint on white canvas 65 x 54 cm Provenienza • Collezione Ch. H. Yalem, Missouri. • Collezione privata, Verona. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Primo ’900. Partecipazione e solitudine dell’arte, Castello Monumentale, Lerici, 1991, p. 31 ill. Bibliografia • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogue raisonné, vol. II, La Connaissance, Bruxelles, 1974, p. 164, n. 65 T 102 ill. • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo generale, vol. II, Electa, Milano, 1986, p. 578 n. 65 T 102 ill. • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo ragionato di sculture, dipinti, ambientazioni, Skira, Milano, 2006, p. 764 n. 65 T 102 ill. 142
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Concetto spaziale 1966 idropittura su tela colore rosso / water-based paint on red canvas 61 x 50 cm Provenienza • Collezione Renzo Riva, Milano. • Galleria Il Punto, Torino. • Vismara Arte Contemporanea, Milano. • Galleria Seno, Milano. • Collezione privata, Brescia. Esposizioni • Galleria Il Punto, Torino, 1966. • Galleria Seno, Milano, 1973, n. 6 riprodotto. Bibliografia • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogue raisonné, vol. II, La Connaissance, Bruxelles, 1974, p. 180. • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo generale, vol. II, Electa, Milano, 1986, p. 632 n. 66T 13 ill.
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Concetto spaziale 1967 idropittura su tela colore rosso / water-based paint on red canvas 46,5 x 38,5 cm Provenienza • Galleria Il Prisma, Cuneo. • Collezione privata, Milano. • Collezione privata, Brescia. Bibliografia • E. Crispolti, Lucio Fontana. Catalogo generale, vol. II, Electa, Milano, 1986, p. 870 n. 67T134 ill.
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Biografie Biographies
Osvaldo Licini
Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado, 1894-1958) si iscrive giovanissimo all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove incontra Giorgio Morandi, Mario Bacchelli, Giacomo Vespignani e Severo Pozzati, con i quali espone nel 1914 presso l’Hotel Baglioni. Le opere presentate in questa prima mostra risentono dell’influenza dello spirito antiaccademico del futurismo, movimento al quale Licini si era avvicinato nel 1913 senza tuttavia condividerne, sul piano pittorico, lo stile e le tematiche. Nello stesso anno scrive I racconti di Bruto, raccolta di brevi brani dallo spirito avanguardista e provocatorio, in cui il protagonista Bruto è un alter ego dello stesso Licini. Nel 1914 si trasferisce all’Accademia di Belle Arti di Firenze per seguire i corsi di figura e scultura e continua ad avere contatti con l’ambiente futurista. L’anno successivo, animato dalla propaganda interventista, decide di partire volontario per la grande guerra. Tornato dal fronte nel 1916 gravemente ferito a una gamba, mentre è ricoverato all’ospedale militare di Firenze realizza una serie di lavori di tema bellico, andati poi perduti. Trascorre quindi un lungo periodo di convalescenza a Parigi, dove la famiglia si era trasferita nel 1902, per stare vicino alla madre, che dirige un atelier di moda, e alla sorella, ballerina dell’Opéra. Qui inizia a frequentare il milieu artistico che anima la scena culturale: conosce Pablo Picasso e Jean Cocteau (nel 1917 assiste alla prima di Parade al Théâtre du Châtelet) e stringe amicizia con Amedeo Modigliani. Si avvicina alla poesia simbolista leggendo Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Partecipa anche ad alcune prestigiose rassegne, come il Salon d’Automne nel 1922 e il Salon des Indépendents nel 1923 e nel 1924. Nella prima metà degli anni Venti si sposta frequentemente: vive
Osvaldo Licini (Monte Vidon Corrado, 1894-1958) enrolled at the Accademia di Belle Arti in Bologna at a very young age. There he met Giorgio Morandi, Mario Bacchelli, Giacomo Vespignani and Severo Pozzati, with whom he exhibited in 1914 at the Hotel Baglioni. The works presented in this first exhibition were influenced by the anti-academic spirit of Futurism, a movement that Licini approached in 1913 without, however, adopting either its pictorial style or themes. That same year he wrote I racconti di Bruno, a collection of short texts that were provocative and avant-garde in spirit, whose primary character, Bruno, is Licini’s alter-ego. In 1914 he moved to the Accademia di Belle Arti in Florence to study the human figure and sculpture while maintaining contact with the Futurist milieu. Fired by propaganda, the following year he volunteered for the Great War. He returned from the front with a serious leg injury in 1916 and, while he was laid up in the military hospital in Florence, he produced a series of works inspired by the war (since lost). He then spent a long time convalescing in Paris where his family had moved in 1902. His mother ran a fashion workshop and his sister was a dancer at the Opéra. In Paris he began to frequent the circles of the art world, meeting Pablo Picasso and Jean Cocteau (he was present in 1917 at the opening night of Parade at the Théâtre du Châtelet) and becoming friends with Amedeo Modigliani. He began to read the Symbolist poetry of Charles Baudelaire and Arthur Rimbaud. His paintings were included in several important exhibitions, such as the Salon d’Automne in 1922 and the Salon des Indépendants in 1923 and ’24. He spent the first half of the 1920s in frequent moves, living for short periods in Florence, Fermo, Saint-Tropez and Paris. In 1926 he married the Swedish painter Nanny Hellstrom, whereupon he
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tra Firenze, Fermo, Saint-Tropez e Parigi fino al 1926, anno in cui sposa la pittrice svedese Nanny Hellstrom e decide di stabilirsi a Monte Vidon Corrado, suo paese natale. Dal borgo marchigiano, i cui paesaggi saranno continua fonte di ispirazione, Licini seguirà gli sviluppi del panorama artistico italiano e internazionale, pur conducendo una vita solitaria e distaccata. Sempre nel 1926 si avvicina al gruppo di Novecento, anche se non ne condivide la poetica e lo stile, e partecipa a Milano alla prima mostra del movimento. Nel 1927, grazie all’interessamento dell’amico pittore Mario Tozzi, prende parte all’Esposizione d’arte italiana in Olanda che si tiene ad Amsterdam e l’anno successivo alla collettiva Les artistes italiens de Paris insieme, tra gli altri, a Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Alberto Giacometti, Amedeo Modigliani, Renato Paresce e Gino Severini. All’inizio degli anni Trenta Licini attua una radicale svolta astratta: infatti non solo abbandona con decisione il realismo, ma arriva a distruggere buona parte delle sue tele figurative. Hanno un ruolo significativo in questo cambio di rotta un lungo viaggio compiuto con la moglie nell’Europa del Nord, con tappa a Parigi (1931), nel corso del quale si documenta sulle espressioni non figurative, assimilando la lezione di Vassily Kandinsky e di Paul Klee con la lettura appassionata di Kn di Carlo Belli (1935). Prima di proporre al pubblico gli esiti della nuova ricerca l’artista attende però alcuni anni: i quadri astratti saranno infatti presentati per la prima volta nel 1935 alla II Quadriennale romana e alla Prima mostra collettiva di arte astratta a Torino. Sempre nel 1935 la Galleria del Milione di Milano, diventata punto di riferimento per un gruppo di pittori astrattisti (tra i quali Reggiani, Melotti,
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settled in Monte Vidon Corrado, his place of birth in the Marche. The countryside around this small village offered him inspiration and it was from there that he followed developments in the art world in Italy and internationally, though cut off physically from both. In the same year his contacts with the Novecento group intensified and, though he did not share either their poetics or painting style, he took part in the first Mostra del Novecento italiano in Milan. Through the interest of his friend and painter Mario Tozzi, in 1927 he was involved in the Exhibition of Italian Art in Holland, which was held in Amsterdam, and the following year in the group show Les artistes italiens de Paris, with Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis, Alberto Giacometti, Amedeo Modigliani, Renato Paresce and Gino Severini. At the start of the 1930s Licini’s painting took a radical shift towards abstractionism. Not only did he abandon realism but he destroyed a good many of his figurative canvases. Contributing causes to this important change were a trip he took with his wife in northern Europe, during which they stopped in Paris (1931) where he studied the painting of Vassily Kandinsky and Paul Klee, and the reading of the essay Kn by Carlo Belli (published in 1935), by which he was very moved. Before showing the results of his new artistic direction to the public, he waited several years. His abstract works were first exhibited in 1935 at the Rome Quadriennale and First Collective Exhibition of Abstract Art in Turin. He was given a solo exhibition, also in 1935, at the Galleria del Milione in Milan, which had become a landmark for a group of abstract artists that included Reggiani, Melotti, Soldati, Fontana and Veronesi. In the exhibition’s presentation
Soldati, Fontana, Veronesi e lo stesso Licini) gli dedica una personale; nella presentazione in catalogo, intitolata Lettera aperta al Milione, l’artista, che non ha mai fatto proprie fino in fondo le componenti rigorosamente razionali dell’astrattismo, espone la natura lirica del suo lavoro, dichiarando che anche “la geometria può diventare sentimento”. Alla fine degli anni Trenta il lavoro di Licini subisce un altro profondo mutamento: l’artista abbandona l’astrazione e dà vita a un nuovo immaginario poetico e figurativo. Le tele si animano così di figure fantastiche e mitiche – gli Olandesi volanti, le Amalassunte, gli Angeli ribelli – capaci di essere allo stesso tempo malinconiche e leggere, ironiche e sensuali. La scelta di questa direzione stilistica è influenzata dalla fascinazione dell’artista per i temi della magia, del mito e della favola trattati nella rivista (di cui esce un solo numero) “Valori Primordiali”, fondata nel 1938 dal filosofo Franco Ciliberti. Nel 1941 questi pubblica anche un manifesto al quale Licini aderisce insieme, tra gli altri, a Bruno Munari, Marcello Nizzoli, Mario Radice, Manlio Rho e Atanasio Soldati. Ritiratosi in completo isolamento a Monte Vidon Corrado durante la seconda guerra mondiale, Licini espone per la prima volta le nuove sperimentazioni alla XXIV Biennale di Venezia nel 1948. Nel corso degli anni Cinquanta sviluppa i temi iconografici creati nel decennio precedente: così le figure angeliche tendono ad assumere forme più geometriche e compaiono nelle tele nuovi elementi figurativi come i Missili lunari. Nel 1958, anno della sua scomparsa, è presente con 53 opere, realizzate tra il 1925 e il 1958, alla XXIX Biennale di Venezia, dove riceve il Gran Premio per la pittura.
text, called Open Letter to the Milione, Licini – who had never adopted the rigorously rational elements of abstractionism in depth – explained the lyrical nature of his work and stated that even “geometry can become sentiment”. At the end of the 1930s, Licini’s work underwent another change of direction: he turned away from abstractionism to create a new poetic, figurative and imaginary world. His paintings were inhabited by figures from myth and fantasy, such as the Flying Dutchman, Amalassunta and Rebel Angels, who could be simultaneously melancholic, light-hearted, ironic and sensual. This new change of direction was influenced by Licini’s fascination for the themes of magic, myth and fable treated in philosopher Franco Ciliberti’s magazine Valori Primordiali (1938), of which only one issue was published. In 1941 Ciliberti also published a manifesto which Licini signed, along with Bruno Munari, Marcello Nizzoli, Mario Radice, Manlio Rho and Atanasio Soldati, among others. Licini went into isolation at his home in Monte Vidon Corrado during World War II, when he did not exhibit any of his new paintings. They were only seen by the public for the first time at the 1948 Venice Biennale. Throughout the 1950s he developed the iconographical themes he had created during the previous decade, as a result of which his angels tended to become more geometric and new figurative elements like Lunar Missiles began to appear. In 1958, the year of his death, an exhibition at the Venice Biennale was dedicated to 53 of his works painted between 1925 and 1958, where he was awarded the Grand Prize for painting.
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Giorgio de Chirico
Giorgio de Chirico (Volos, 1888 - Roma, 1978) frequenta il Politecnico di Atene dal 1903 al 1906. Alla morte del padre nel 1905 la famiglia lascia la Grecia per trasferirsi a Monaco di Baviera, dove de Chirico frequenta l’Accademia di Belle Arti e il fratello Andrea (che dal 1914 prenderà il nome di Alberto Savinio) studia musica. In Germania si avvicina alla filosofia di Friedrich Nietzsche e si dedica allo studio di Arnold Böcklin e Max Klinger. Nel 1909, dopo aver raggiunto la madre e il fratello a Milano, decide di trasferirsi a Firenze. Risalgono a questo periodo i suoi primi dipinti, in cui si sente l’influenza di Böcklin e ricorre il tema dei centauri. Nel 1911 raggiunge il fratello a Parigi. Nella produzione di questo periodo le suggestioni dei pittori tedeschi lasciano spazi a un nuovo linguaggio personale che inaugura, con le prime Piazze d’Italia, la stagione della metafisica. I nuovi lavori vengono esposti per la prima volta al Salon d’Automne di Parigi nel 1912, dove presenta una Piazza d’Italia, un Autoritratto e L’enigma dell’oracolo; partecipa successivamente al Salon des Indépendants (1913 e 1914). Il suo lavoro è notato da Guillaume Apollinaire che recensisce una sua mostra e lo introduce nell’ambiente intellettuale parigino: conosce così gli artisti Giovanni Papini e Ardengo Soffici, Fernand Léger, Constantin Brancusi, Max Jacob, André Derain e Georges Braque, come pure il mercante Paul Guillaume. Nel 1915 è costretto a rientrare in Italia per arruolarsi, anche se a causa delle sue condizioni di salute viene subito destinato a lavorare come ausiliario a Ferrara, dove lo raggiunge il fratello. Suggestionato dall’ambiente urbano e architettonico della città, realizza opere come Il grande metafisico, Ettore e Andromaca, Il trovatore e Le muse inquietanti e comincia a dipingere i primi In-
Giorgio de Chirico (Volos, 1888 - Rome, 1978) studied at Athens Polytechnic from 1903 to 1906. On the death of his father in 1905, his family left Greece for Munich, where de Chirico enrolled at the Fine Arts Academy and his brother Andrea (who from 1914 would take the name Alberto Savinio) studied music. In Germany Giorgio began to read the philosophy of Friedrich Nietzsche and studied the work of Arnold Böcklin and Max Klinger. He moved to Milan in 1909 to join his mother and brother, who had already transferred there, but he then decided to live in Florence. This was the period of his first paintings, which were influenced by Böcklin and the theme of centaurs is recurrent. In 1911 he joined his brother in Paris. At this time the influence of the German painters in his works gave way to a new personal language that marked the start of his Metaphysical paintings, as seen in his early Piazze d’Italia. These new works were shown for the first time at the Salon d’Automne in Paris in 1912, where he presented a Piazza d’Italia, a Self-Portrait and The Enigma of the Oracle. He later exhibited at the Salon des Indépendants (1913, 1914). His works were noted by Guillaume Apollinaire, who reviewed one of his exhibitions and introduced him to the intellectual milieu of Paris. He thus came to know Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Fernand Léger, Constantin Brancusi, Max Jacob, André Derain, Georges Braque, and the dealer Paul Guillaume. De Chirico was obliged to return to Italy in 1915 to enlist in the army though his poor physical health meant he was sent to work as an auxiliary in Ferrara, where his brother was already stationed. Enchanted by the city and its architecture, he painted works like The Great Metaphysician, Hector and Andromache, The Troubadour and The Disquieting Muses and began to paint his first Inner Metaphysics. He got to
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terni metafisici. Nel 1916, a Ferrara, conosce Filippo de Pisis e nel 1917, mentre trascorre alcuni mesi presso l’ospedale militare per malattie nervose di Villa del Seminario, incontra Carlo Carrà. Nasce così quella che in seguito sarà definita la “scuola metafisica”. Nel 1917 si trasferisce a Roma, dove due anni dopo la Casa d’Arte Bragaglia organizza la sua prima mostra personale, nella quale espone opere metafisiche, anche se proprio in questo periodo inizia a rivolgersi alla figurazione classica. Seguono mostre alla Galleria Arte di Milano nel 1921 e alla Galerie Paul Guillaume di Parigi nel 1922. Nel 1924 partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia e con la futura moglie Raissa, una ballerina russa, si reca a Parigi, dove al Théâtre des Champs-Elysées realizza scene e costumi per i Balletti Svedesi e per La giara di Pirandello. Collabora al primo numero di “La Révolution Surréaliste” ed è immortalato da Man Ray in una celebre foto di gruppo. De Chirico inizia in questi anni a introdurre nei propri lavori nuovi temi come gli Archeologi, i Cavalli in riva al mare, i Trofei, i Paesaggi nella stanza, i Mobili nella valle, i Gladiatori. In occasione di una personale nella galleria parigina di Léonce Rosenberg i surrealisti criticano duramente le sue opere più recenti, di ispirazione classica, provocando una rottura con l’artista che negli anni successivi diverrà sempre più netta. Nel 1926 espone alla I Mostra del Novecento italiano e nel 1929 realizza scene e costumi per Le bal di Vittorio Rieti, prodotto dai Balletti Russi di Sergej Djagilev a Montecarlo, e decide di ritornare definitivamente in Italia con Isabella Pakszwer Far, sua nuova compagna, spinto dalla crisi e dalla difficile situazione del mercato artistico. Nel 1936 si reca a New York e rimane in America per più di
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know Filippo de Pisis in Ferrara in 1916 and, a year later, while admitted to the Villa del Seminario military hospital for nervous diseases, he met Carlo Carrà. Together they created what was to be known as the Metaphysical school. In 1917 he moved to Rome where, two years later, the Casa d’Arte Bragaglia held his first solo exhibition. He showed metaphysical paintings although it was in this period that he began to turn towards classical figuration. Exhibitions followed in the Galleria Arte in Milan in 1921 and the Galerie Paul Guillaume in Paris in 1922. His work was shown for the first time at the Venice Biennale in 1924 and, with his future wife Raissa, a Russian ballerina, he went to Paris where he designed sets and costumes for the Ballet Suédois at the Théâtre des Champs-Elysées, and for La Jarre from a story by Pirandello. He also contributed to the first issue of La Révolution Surréaliste and was immortalised in a famous group photograph taken by Man Ray. During these years in Paris he began to introduce new themes, such as the Archaeologists, Horses on the Seashore, Trophies, Landscapes in a Room, Furniture in the Valley, and Gladiators. At a solo exhibition held in Léonce Rosenberg’s Paris gallery the Surrealists heavily criticised de Chirico’s latest classically inspired paintings, causing a split between them and the artist that in the years to come became ever wider. In 1926 he exhibited at the I Mostra del Novecento italiano and in 1929 designed sets and costumes for Vittorio Rieti’s Le Bal, performed by the Sergei Diaghilev’s Ballets Russes in Montecarlo, and decided to return permanently to Italy with his new companion, Isabella Pakszwer Far, as a result of the economic crisis and suffering art market. In 1936 he visited New York and remained in America for more than a year, exhibiting in various galleries, taking part in the Fantastic Art,
un anno, esponendo in varie gallerie, prendendo parte alla mostra Fantastic Art, Dada and Surrealism al Museum of Modern Art di New York e lavorando a commissioni private. Nel gennaio del 1938 rientra in Italia e si ferma brevemente a Milano, per poi trasferirsi a Parigi, disgustato dalle leggi razziali. Tornato nuovamente in Italia alla fine del conflitto, si stabilisce a Roma. Nel dopoguerra si susseguono i riconoscimenti: è nominato membro della Royal Academy of British Artists, accademico di Francia e ottiene la Croce di Grande Ufficiale della Repubblica federale tedesca; contemporaneamente partecipa a prestigiose mostre in Italia e all’estero. Questi sono però anche anni di accese polemiche riguardanti le datazioni e l’autenticità delle sue opere: tra gli episodi più eclatanti, nel 1950 il pittore fa causa alla Biennale di Venezia per aver esposto un falso e organizza nella sede della Società Canottieri Bucintoro di Venezia una “Antibiennale” insieme a un gruppo di pittori “antimoderni”. Dalla fine degli anni Trenta fino a tutti gli anni Sessanta l’artista trae ispirazione dalla pittura barocca: realizza soggetti storici e mitologici, una serie di autoritratti in costume e numerosi d’après di Rubens. Negli anni Sessanta si dedica anche alla scultura in bronzo trattando temi mitologici, per poi passare anche alla produzione di opere argentate e dorate. Dal 1966, negli ultimi anni di attività, rielabora i temi della metafisica dipingendo varianti dei suoi più celebri capolavori. Una sua prima grande antologica viene allestita a Palazzo Reale a Milano nel 1970 con 180 opere fra dipinti, disegni e sculture datate tra il 1909 e il 1970. Nello stesso anno, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, si tiene la mostra I de Chirico di de Chirico, trasferita l’anno dopo a New York.
Dada and Surrealism exhibition at the Museum of Modern Art and working on private commissions. He returned to Italy in January 1938 and briefly stopped in Milan, where his disgust at the racial laws prompted him to move on to Paris. He returned to Italy again once the war was over and settled in Rome. In the post-war period he received various honours: he was made a member of the Royal Academy of British Artists, a member of the Académie Française and was awarded the Grand Cross of the German Federal Republic. His works were also included in a number of important exhibitions in Italy and elsewhere. However, these were years of bitter arguments about the dating and authenticity of his works: one of the most striking episodes occurred in 1950 when de Chirico sued the Venice Biennale for showing a fake in his name and, consequently, organised an “Antibiennale” with a group of “antimodern” painters in the premises of the Società Canottieri Bucintoro of Venice. From the end of the 1930s to the ’60s, de Chirico drew inspiration from Baroque painting. He produced historic and mythological scenes, a series of self-portraits in costume and many works influenced by Rubens. In the 1960s he turned to creating sculptures of mythological themes in bronze, and then passing onto silver and gold patinated works. During the last years of his activity, from 1966 on, he returned to metaphysical themes, painting variants of his most famous masterpieces. The first anthological exhibition of his life’s work was held in Palazzo Reale in Milan in 1970, with 180 paintings, drawings and sculptures, covering the period 1909 to 1970. That same year, the exhibition I de Chirico di de Chirico was held at the Palazzo dei Diamanti in Ferrara, which transferred to New York a year later.
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Alberto Savinio
Alberto Savinio (Atene, 1891 - Roma, 1952), al secolo Andrea de Chirico, studia pianoforte e composizione al Conservatorio di Atene, dove si diploma nel 1903. Dopo la scomparsa del padre, avvenuta nel 1905, si trasferisce con la madre e il fratello Giorgio de Chirico a Monaco di Baviera dopo un periodo di passaggio a Venezia e Milano. Prosegue gli studi musicali con il professor Max Reger e si appassiona alle opere di Otto Weininger, Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche. Nel 1911 si trasferisce a Parigi ed entra in contatto con l’ambiente artistico della capitale francese, dove conosce Pablo Picasso, Blaise Cendrars, Francis Picabia, Jean Cocteau, Max Jacob e Guillaume Apollinaire. Nel 1914, per distinguersi dal fratello pittore Giorgio che lo aveva raggiunto a Parigi, prende lo pseudonimo di Alberto Savinio. Lo stesso anno pubblica in francese, firmando con questo nome, il suo primo testo teatrale, Les chants de la mi-mort, che appare sulla rivista “Les Soirées de Paris” fondata da Apollinaire. Allo scoppio della prima guerra mondiale è costretto, insieme al fratello, a rientrare in Italia. Dopo aver trascorso un periodo a Firenze, vengono entrambi arruolati nella riserva di fanteria a Ferrara, dove incontrano Filippo de Pisis e Carlo Carrà. In seguito Savinio decide di abbandonare la composizione musicale per dedicarsi esclusivamente alla letteratura. Nel 1916, grazie all’interessamento di Giovanni Papini e Ardengo Soffici, inizia a collaborare alla rivista “La Voce”, in cui pubblica l’opera Hermaphrodito. L’anno successivo è mandato dall’esercito come interprete a Salonicco. Alla fine del conflitto si trasferisce a Milano, per poi stabilirsi a Roma (1923), dove continua a pubblicare i suoi testi sulle riviste “La Ronda” e “Valori Plastici”. Nel 1924
Alberto Savinio (Athens, 1891 - Florence, 1952), originally Andrea de Chirico, studied piano and composition at Athens Conservatory, from which he graduated in 1903. After the death of his father in 1905, he moved with his mother and brother Giorgio de Chirico to Munich, passing through Venice and Milan. He continued to study music, under Max Reger, and was greatly taken by the writings of Otto Weininger, Arthur Schopenhauer and Friedrich Nietzsche. In 1911 he moved to Paris and entered the artistic milieu, where he got to know Pablo Picasso, Blaise Cendrars, Francis Picabia, Jean Cocteau, Max Jacob and Guillaume Apollinaire. So as to distinguish himself from his brother Giorgio, who had also arrived in Paris, in 1914 he took the pseudonym Alberto Savinio. With this name he published his first theatrical work, Les chants de la mi-mort, which was printed in the magazine Les Soirées de Paris, founded by Apollinaire. On the outbreak of war, he was obliged to return to Italy with his brother. The pair spent a period in Florence, then both enrolled in the reserve infantry in Ferrara where they met Filippo de Pisis and Carlo Carrà. Savinio then decided to abandon musical composition to focus exclusively on literature. With the support of Giovanni Papini and Ardengo Soffici, in 1916 he began to write for the magazine La Voce, in which he printed his first novel, Hermaphrodito. The following year he was sent to Salonika in Greece by the army as an interpreter. At the end of the war he visited Milan and then settled in Rome (1923) where he continued to publish his writings in the magazines La Ronda and Valori Plastici. In 1924 he was one of the founders of the Compagnia del Teatro dell’Arte directed by Luigi
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è tra i fondatori della Compagnia del Teatro dell’Arte, diretta da Luigi Pirandello, per la quale scrive l’opera Capitano Ulisse. Nel 1927, con la moglie Maria Morino, si trasferisce nuovamente a Parigi, dove si fermerà a vivere per sei anni dedicandosi con costanza alla pittura e dove avrà luogo la sua prima mostra personale, presentata alla Galerie Bernheim-Jeune da Jean Cocteau. Le sue opere d’esordio ottengono subito l’apprezzamento del pubblico e della critica, tanto che si assicura un contratto con la mercante parigina Jeanne Castel, della quale realizza un celebre ritratto. Il mondo figurativo delle sue tele è modellato su quello fantastico e inquietante dell’opera letteraria, ricca di analogie, allusioni e richiami tra conscio e inconscio. Compaiono infatti come temi ricorrenti, oltre a poeti, filosofi e muse, oggetti dell’infanzia, come i coloratissimi giocattoli, alcuni elementi dell’antichità e creature mostruose dalle sembianze animali o primordiali. Ma Savinio è anche influenzato, nella sua produzione pittorica, dal lavoro del fratello Giorgio, un’influenza peraltro reciproca e costante nel tempo e che varrà ai due il soprannome di “Dioscuri”. Rientrato in Italia nel 1933, decide di stabilirsi a Roma, dove allestisce una importante mostra personale, curata da Libero De Libero, alla Galleria Sabatello. Inizia a collaborare con il quotidiano “La Stampa” e alle riviste “Colonna” e “Il Broletto” e l’esercizio della scrittura letteraria e giornalistica lo impegnerà costantemente nel corso degli anni Trenta e Quaranta, a scapito della pittura. In questo periodo infatti Savinio dipinge raramente, preferendo dedicarsi al disegno e alla grafica, illustrando testi suoi e di altri autori. Nel 1938 è l’unico italiano a essere incluso nell’Anthologie de
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Pirandello, for whom he wrote Capitano Ulisse. With his wife Maria Morino, in 1927 he moved back to Paris where he remained for six years, dedicating himself to painting. He had his first solo exhibition at the Galerie BernheimJeune, where the introduction to the catalogue was written by Jean Cocteau. His early works quickly won the respect of the public and critics as a result of which he was offered a contract by the Paris dealer Jeanne Castel, of whom he painted a famous portrait. The figurative world of his paintings arises from the disquieting world of fantasy of his writings, which are filled with analogies, allusions and references between the conscious and subconscious minds. In addition to poets, philosophers and muses, recurring themes are childhood objects, like colourful toys, elements from antiquity and monstrous creatures with animal or primordial features. Savinio’s painting was also influenced by his brother Giorgio’s work but their influence was reciprocal, which earned them the nickname of the “Dioscuri”. Savinio returned to Italy in 1933 and decided to live in Rome, where an important exhibition of his work was mounted by Libero De Libero in the Galleria Sabatello. He began to write for the newspaper La Stampa and magazines Colonna and Il Broletto. Literature and journalism occupied him constantly throughout the 1930s and ’40s, to the detriment of painting. In fact he rarely painted during these years, preferring drawing and graphics, and illustrating his own books and those of others. In 1938 he was the only Italian to be included in the Anthologie de l’humour noir edited by André Breton. In 1939 the
l’humour noir curata da André Breton. Nel 1939 il settimanale “Omnibus”, fondato da Leo Longanesi e con il quale Savinio collabora, viene chiuso a causa di un suo articolo su Giacomo Leopardi considerato irriverente dalla censura fascista. In seguito i suoi problemi con il regime si aggravano, tanto che nel 1943 è costretto a nascondersi perché sospettato di attività antifascista. Alla fine della guerra Savinio prosegue l’attività di giornalista: collabora come critico culturale al “Corriere della Sera” e vince il Premio Saint-Vincent. Porta avanti parallelamente il suo interesse per il teatro, realizzando per la Scala di Milano quattro spettacoli in qualità di scenografo e costumista: Oedipus rex (1948), con musiche di Igor Stravinskij e testo di Jean Cocteau, I racconti di Hoffmann di Jacques Offenbach (1949), L’uccello di fuoco di Stravinskij (1950) e la “tragicommedia mimata e danzata” Vita dell’uomo (1951), di cui è anche autore. Inoltre nel 1949 pubblica Alcesti di Samuele, rappresentato l’anno seguente al Piccolo Teatro con la regia di Giorgio Strehler, e nel 1952 lavora per il Maggio fiorentino a una celebre messinscena dell’Armida di Gioachino Rossini con l’interpretazione di Maria Callas. Savinio viene a mancare proprio a Firenze, poco dopo la rappresentazione dell’opera. Per vedere una grande mostra a lui dedicata bisogna aspettare il 1954, quando la Biennale di Venezia propone una sua personale accompagnata da un testo di Libero De Libero, e il 1955, anno in cui il fratello Giorgio cura una sua ampia retrospettiva nell’ambito della VII Quadriennale di Roma.
weekly Omnibus, founded by Leo Longanesi and for which Savinio wrote, was shut down as a result of an article Savinio wrote about Giacomo Leopardi, which the Fascist censors considered irreverent. His problems with the regime worsened to the point that in 1943 he was obliged to go into hiding as he was suspected of anti-Fascist activities. At the end of the war, Savinio continued to work as a journalist. He was culture critic for Il Corriere della Sera and won the Saint-Vincent Prize. He also continued his involvement with the theatre and contributed as set and costume designer to four productions at La Scala in Milan: Oedipus rex (1948) with music by Igor Stravinsky and text by Jean Cocteau, The Tales of Hoffmann by Jacques Offenbach (1949), The Firebird by Stravinsky (1950), and the “mimed and danced tragi-comedy” Vita dell’uomo (1951), of which he was the author. In 1949 he published Alcesti di Samuele, which was staged at the Piccolo Teatro a year later under the direction of Giorgio Strehler, and in 1952 he contributed to the Maggio fiorentino on a production of Gioachino Rossini’s Armida, sung by Maria Callas. Savinio died in Florence shortly after production of the opera. It was not until 1954 that a large exhibition was dedicated to him, when the Venice Biennale staged a solo exhibition with a text by Libero De Libero. A year later, his brother Giorgio curated a large retrospective as part of the 1956 Rome Quadriennale.
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Mario Sironi
Mario Sironi (Sassari, 1885 - Milano, 1961) compie gli studi superiori a Roma, dove nel 1902 si iscrive alla Facoltà di Ingegneria. Abbandona l’università l’anno successivo, dopo un periodo di crisi, per seguire la Scuola Libera del Nudo. Qui incontra Gino Severini, Giacomo Balla, che lo introduce al divisionismo, e Umberto Boccioni, con il quale stringe una profonda amicizia. Nel 1905 partecipa, sempre a Roma, all’esposizione della Società Amatori e Cultori presentando due opere di ispirazione divisionista. Rimane però scarsa testimonianza di questa sua prima produzione, perché buona parte di quei lavori verranno distrutti dallo stesso artista. Nel medesimo periodo inizia l’attività di illustratore per il giornale socialista “L’Avanti della Domenica”, per il quale realizza tre copertine, e compie i primi viaggi: nel 1906 si reca a Parigi, dove incontra l’amico Boccioni, e nel 1908 a Erfurt, in Germania. Verso la fine del 1913 aderisce al futurismo e l’anno seguente partecipa con sedici opere all’Esposizione libera futurista presso la Galleria Sprovieri di Roma. Nel 1915 si trasferisce a Milano e allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola nel Battaglione volontari ciclisti (insieme a Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Anselmo Bucci, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Luigi Russolo, Ugo Piatti e Carlo Erba), con il quale partecipa alla presa di Dosso Casina. Nello stesso anno firma il manifesto interventista L’orgoglio italiano con Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia e Piatti. Nel 1919 espone alla Grande mostra futurista organizzata da Marinetti a Palazzo Cova a Milano e tiene la sua prima personale alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma, stroncata però da Mario
Mario Sironi (Sassari, 1885 - Milan, 1961) began engineering studies at Rome in 1902 but abandoned university a year later following a period of personal crisis, upon which he joined the Scuola Libera del Nudo. There he met Gino Severini, Giacomo Balla, who introduced him to the divisionist technique, and Umberto Boccioni, with whom he became a close friend. His work was included in the group show (his first) of the Società Amatori e Cultori, at which he presented two divisionist works. Little remains, however, of Sironi’s early work because he destroyed much of it himself. During this same period, he began working as an illustrator for the Socialist newspaper L’Avanti della Domenica, for which he produced three covers. He also started travelling: in 1906 he met up with his friend Boccioni in Paris, and two years later he visited Erfurt in Germany. Towards the end of 1913 he joined the Futurists and a year later showed 16 works at the Free Futurist Exhibition at the Galleria Sprovieri in Rome. In 1915 he moved to Milan and on the outbreak of war joined the battalion of volunteer cyclists with Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Anselmo Bucci, Achille Funi, Antonio Sant’Elia, Luigi Russolo, Ugo Piatti and Carlo Erba, with whom he was involved in the taking of Dosso Casina. That same year he signed the manifesto L’orgoglio italiano with Marinetti, Boccioni, Russolo, Sant’Elia and Piatti. In 1919 he exhibited at the Grande mostra futurista organised by Marinetti at Palazzo Cova in Milan and held his first solo exhibition at the Casa d’Arte Bragaglia in Rome, but this was severely criticised by Mario Broglio, the founder of the magazine Valori Plastici.
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Broglio, fondatore della rivista “Valori Plastici”. Nel 1920 si stabilisce definitivamente a Milano, dove comincia a collaborare come illustratore al quotidiano fondato da Mussolini, “Il Popolo d’Italia”, per il quale si occuperà anche di critica d’arte e lavorerà senza interruzioni fino al 1942. Lo stesso anno, insieme a Dudreville, Funi e Russolo, firma il manifesto Contro tutti i ritorni in pittura, che polemizza con gli artisti vicini a “Valori Plastici” e anticipa alcune istanze del gruppo di Novecento. Fra il 1919 e il 1921 dipinge una serie di paesaggi urbani in cui rappresenta con accenti metafisici la periferia industriale milanese. Nel 1922, divenuto convinto sostenitore del ritorno alla tradizione italiana, è tra i fondatori del gruppo dei “Sette” di Novecento a Milano (insieme a Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig e Oppi) che si presenta per la prima volta alla Galleria Pesaro nel 1923. Nello stesso anno lavora a una serie di ritratti che diventano immagini emblematiche del movimento, presentati alla Biennale di Venezia nel 1924 e in numerose mostre di Novecento in Italia e all’estero. Tra le rassegne più significative a cui Sironi partecipa in questo periodo vi sono la prima e la seconda Mostra del Novecento italiano (1926 e 1929), la Biennale di Venezia (1928 e 1932), la Quadriennale di Roma (1931) e la Mostra della rivoluzione fascista (1932). Nel corso degli anni Trenta l’artista continua a elaborare una poetica classicista, proponendo il recupero di tecniche tradizionali come l’affresco e il mosaico, ed esprime la propria adesione al fascismo realizzando importanti opere di contenuto ideologico. Molti i lavori commissionatigli: una vetrata per il Ministero delle Corporazioni a Roma; due rilievi per la Casa dei
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He settled permanently in Milan in 1920 where he began to work as an illustrator and art critic for the newspaper Il Popolo d’Italia, founded by Benito Mussolini. He continued to work for the paper uninterruptedly until 1942. In 1920 he also signed the manifesto Contro tutti i ritorni in pittura with Dudreville, Funi and Russolo, which engaged in a dispute with the Valori Plastici artists and anticipated what were to become themes of the Novecento group. From 1919 to 1921 he painted, in a gentle metaphysical style, the series of urban landscapes based on the industrial suburbs of Milan. Having become a confirmed supporter of the return to Italian tradition in art, with Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig and Oppi he became one of the founders of the “Sette di Novecento” of Milan in 1922, a group that exhibited for the first time at the Galleria Pesaro in 1923. He also began a series of portraits that were to become emblems of the movement and were presented at the 1924 Venice Biennale and a number of Novecento exhibitions in Italy and abroad. The most important shows in which Sironi’s work was represented in this period were the first and second Novecento exhibitions (1926, 1929), the Venice Biennale (1928, 1932), the Rome Quadriennale (1931) and Fascist Revolution exhibition (1932). Sironi continued to develop a classicist poetics throughout the 1930s, proposing the return to traditional techniques like fresco painting and mosaic, and demonstrated his support for Fascism by creating ideological paintings. Commissions he received were: a glass window for the Ministero delle Corporazioni in Rome; two reliefs for the Casa dei Sindacati Fascisti
Sindacati Fascisti a Milano (1932); il coordinamento degli interventi di pittura murale per la V Triennale di Milano, dove invita i migliori artisti italiani a realizzare decorazioni monumentali, eseguendo lui stesso il grande dipinto Il lavoro (1933) per il Salone d’Onore, oltre a due grandi tele per il Palazzo delle Poste a Bergamo (1934). Negli anni successivi si susseguono le commissioni pubbliche (Università di Roma, 1935; Palazzo di Giustizia di Milano, 1936-39; Università di Venezia, 193637; Palazzo del Popolo d’Italia a Milano, 1938-42). Accanto alle grandi imprese decorative realizza complessi allestimenti architettonici: alcuni ambienti della Mostra della rivoluzione fascista (1932); la Sala della Grande Guerra alla Mostra dell’aeronautica italiana (1934); il Salone d’Onore alla Mostra nazionale dello sport (1935); il Padiglione Fiat alla Fiera Campionaria di Milano (1936); la Sala dell’Italia d’Oltremare all’Exposition internationale di Parigi (1937); parte della Mostra nazionale del dopolavoro a Roma (1939). Negli anni Quaranta torna alla pittura da cavalletto e crea le Moltiplicazioni: composizioni suddivise in scomparti in cui manifesta una nuova concezione dello spazio, influenzato dall’esperienza della decorazione murale e dall’attività di scenografo. Alla fine della seconda guerra mondiale, disilluso dal crollo dei propri ideali civili e politici, si ritira a vita privata, rifiutando di partecipare nel 1952 alla Biennale di Venezia (espone però alla Triennale di Milano nel 1951 e alla Quadriennale di Roma nel 1955). L’anno dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1961, la Biennale di Venezia gli dedicherà un’ampia e rigorosa retrospettiva.
in Milan (1932); coordination of the wall paintings for the fifth Rome Triennale, for which he invited the best artists in Italy to produce monumental decorations, and for which he produced the large painting Work (1933) for the main reception room; two large canvases for the central Post Office in Bergamo (1934). Public commissions in the years that followed included the University of Rome (1935), the Law Courts in Milan (1936-39), the University of Venice (1936-37), and the Palazzo del Popolo d’Italia in Milan (1938-42). In addition to these large decorative works, he produced architectural designs: several rooms in the Fascist Revolution exhibition (1932); the Sala della Grande Guerra at the Italian Aeronautics Exhibition (1934); the reception room at the National Sports Exhibition (1935); the Fiat Pavilion at the Fiera Campionaria in Milan (1936); the Italy Overseas room at the International Exposition in Paris (1937); and part of the Mostra nazionale del dopolavoro in Rome (1939). He returned to easel painting in the 1940s and created Multiplications, compositions divided in compartments showing a new conception of space influenced by his experience as a mural artist and set designer. Disillusioned by the collapse in civic and political ideals, after World War II he retired to private life and refused to take part in the 1952 Venice Biennale, even though he exhibited at the 1951 Milan Triennale and 1955 Rome Quadriennale. The year after his death in 1961, the Venice Biennale staged a large and detailed retrospective of his work.
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Giorgio Morandi
Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) si iscrive nel 1907 all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove si diploma nel 1913. Qui conosce Osvaldo Licini, Severo Pozzati, Giacomo Vespignani e Mario Bacchelli, con i quali espone nel 1914 all’Hotel Baglioni. Le opere d’esordio di Morandi manifestano una propensione alla sperimentazione e una chiara influenza della pittura francese: i riferimenti artistici della sua formazione sono infatti Paul Cézanne, Georges Braque, André Derain, Pablo Picasso e Henri Rousseau. Allo stesso tempo è affascinato dai grandi maestri dell’arte italiana del passato – Piero della Francesca, Giotto, Masaccio e Paolo Uccello – di cui ammira i capolavori a Firenze nel 1910, a Padova e Assisi nel 1914. Nel 1913-14, grazie alla frequentazione di Licini e Vespignani, si avvicina all’avanguardia futurista, attratto dallo spirito antiaccademico del movimento, entrando in contatto prima con Francesco Balilla Pratella e poi con Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni e Luigi Russolo. Partecipa come spettatore a due serate futuriste (Modena, 1913, e Bologna, 1914) e viene invitato a partecipare alla I Esposizione libera futurista (1914) che si tiene presso la Galleria Sprovieri di Roma. Sempre nel 1914, anno ricco di eventi per l’artista, espone alla seconda edizione della Secessione romana e inizia a dedicarsi all’insegnamento come maestro di disegno nelle scuole elementari di Bologna. Nel 1915 viene chiamato alle armi, ma è subito congedato per motivi di salute. Trascorre così gli anni del conflitto, a differenza di molti altri artisti della sua generazione, concentrandosi sul proprio lavoro e facendo sedimentare la lezione delle avanguardie. I temi da lui prediletti in questi anni di formazione
Giorgio Morandi (Bologna, 1890-1964) joined the Accademia di Belle Arti in Bologna in 1907, from which he graduated in 1913. There he met Osvaldo Licini, Severo Pozzati, Giacomo Vespignani and Mario Bacchelli, with whom he exhibited in 1914 at the Hotel Baglioni. Morandi’s earliest works displayed a tendency for experimentation and the clear influence of French painting: his references at this time were Paul Cézanne, Georges Braque, André Derain, Pablo Picasso and Henri Rousseau. He was also attracted by the great masters of Italian art, such as Piero della Francesca, Giotto, Masaccio and Paolo Uccello, whose masterpieces he admired in Florence in 1910 and in Padua and Assisi in 1914. Through his friendship with Licini and Vespignani, in 1913-14 he was introduced to the Futurist avant-garde. Attracted by its anti-academic spirit, he came into contact first with Francesco Balilla Pratella, then Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni and Luigi Russolo. He was a member of the audience at two Futurist soirées (Modena, 1913, and Bologna, 1914) and was invited to take part in the Free Futurist Exhibition at the Galleria Sprovieri in Rome (1914). The same year, an important one for Morandi, he exhibited at the second Roman Secession show and began to teach drawing in elementary schools in Bologna. He was called up in 1915 but was quickly discharged for reasons of poor health. Unlike many artists of his generation, he thus spent the war years concentrating on his work and studying the art and teachings of the avant-gardes. His preferred themes in these years were landscapes, still-lifes and flowers, which were to remain constant throughout his career, even in
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sono paesaggi, nature morte e fiori, soggetti che si ritrovano lungo tutto il suo percorso artistico e anche nel breve periodo in cui si avvicina alla metafisica. Conosciuto il lavoro di Giorgio de Chirico e Carlo Carrà grazie a riproduzione che gli vengono mostrate nel 1918 dal letterato bolognese e amico Giuseppe Raimondi, Morandi rimane affascinato dalle loro caratteristiche atmosfere rarefatte e sospese, che cerca di riproporre in una decina di enigmatiche nature morte. Avrà poi la possibilità di esporre con de Chirico e Carrà nel 1921 nella prima mostra del gruppo di “Valori Plastici”, una rassegna itinerante che tocca Berlino e altre città tedesche. All’inizio degli anni Venti, abbandonato ogni riferimento alla pittura metafisica, si concentra sulle variazioni del colore e sulle forme dando vita a quella che de Chirico denominava “metafisica degli oggetti comuni”. Nel 1926 alcuni suoi quadri esposti a Milano alla prima Mostra del Novecento italiano, alla quale è invitato pur non aderendo al movimento capeggiato da Margherita Sarfatti, riscuotono un certo interesse. Nel 1928 viene invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia, rassegna alla quale parteciperà in numerose altre occasioni. Nel 1930 diventa titolare della cattedra di incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna, assegnatagli per chiara fama e che detiene fino al 1956. In occasione della III Quadriennale di Roma del 1939 gli viene dedicata un’intera sala dove è allestita una sua ampia retrospettiva; la mostra, particolarmente apprezzata dal pubblico, gli vale il secondo premio per la pittura della Quadriennale. Per ricevere un riconoscimento di livello internazionale Morandi deve però aspettare il 1948, quando gli viene assegnato il
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the short period he was attracted to Metaphysical painting. When he was shown reproductions of the works of Giorgio de Chirico and Carlo Carrà in 1918 by his friend and writer, Giuseppe Raimondi, Morandi was intrigued by their rarefied and timeless settings, which he attempted to reproduce in ten or so enigmatic still-lifes. In 1921 he had the opportunity to exhibit with de Chirico and Carrà in the first exhibition of the Valori Plastici group. This travelling exhibition visited Berlin and other cities in Germany. In the early 1920s, he turned away from Metaphysical painting completely and concentrated on variations of colour and form, producing what de Chirico called the “metaphysics of ordinary objects”. Some of his paintings garnered interest at the first Mostra del Novecento italiano in Milan, to which he was invited despite not being a member of Margherita Sarfatti’s group. In 1928 he was invited for the first of many occasions to exhibit at the Venice Biennale. In 1930 he was appointed professor of engraving at the Accademia di Belle Arti in Bologna on account of his fame, a position he would hold until 1956. At the 1939 Rome Quadriennale, he was allocated an entire room in which a large retrospective was mounted. The exhibition was well-received by the public and he won second prize for painting. But for an international prize Morandi had to wait until 1948, when he was awarded first prize for painting at the Venice Biennale. He rarely left his home in Via Fondazza in Bologna, where he was to remain for the rest of his life, with the exception of summer stays in Grizzana, a small village in the Apennines where he painted many views. Although he only made
primo premio per la pittura alla Biennale di Venezia. Il pittore non si allontana quasi mai dalla sua abitazione di via Fondazza a Bologna, dove trascorrerà l’intera vita (compie il suo primo viaggio all’estero nel 1956, a Winterthur, in occasione di una sua mostra antologica presso il Kunstmuseum), salvo soggiorni estivi a Grizzana, borgo dell’Appennino che è soggetto di numerosi paesaggi. Tuttavia si dimostra sempre attento alle occasioni internazionali di rilievo, che conosce e segue. Il riscontro del suo successo al di fuori dell’Italia è confermato nel 1949 dalla presentazione di un’importante selezione di quadri, scelti da Alfred H. Barr e James Thrall Soby, alla mostra XXth Century Italian Art al Museum of Modern Art di New York e dall’acquisto, da parte del museo stesso, di una natura morta. Negli ultimi anni di attività si moltiplicano le occasioni di esporre all’estero, dove Morandi è invitato a partecipare anche alle rassegne più attente a registrare gli sviluppi della modernità, come Documenta di Kassel nel 1959. Nello stesso periodo riceve altri importanti riconoscimenti, come i due primi premi alla Biennale di San Paolo del Brasile nel 1953 e nel 1957 rispettivamente per l’incisione e per la pittura, e il Premio Rubens conferitogli dalla città di Siegen nel 1962.
his first trip abroad in 1956, to Winterthur, where an anthological exhibition of his work was held at the Kunstmuseum, he was always abreast of important international events in the art world. His success outside Italy was confirmed in 1949 by the presentation of an important selection of works – chosen by Alfred H. Barr and James Thrall Soby – at the exhibition Twentieth-Century Italian Art at the Museum of Modern Art in New York, and the purchase of a still-life by the museum itself. During his last years of work, he had many opportunities to exhibit abroad and was invited to take part in exhibitions wishing to illustrate the developments of modern art, like the 1959 Documenta in Kassel. He was awarded various recognitions, such as two first prizes at the São Paulo Biennale (1953, 1957 for engraving and painting respectively), and the Rubens Prize presented by the city of Siegen in 1962.
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Lucio Fontana
Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé, 1899 - Comabbio, 1968) nasce in Argentina da Luigi, uno scultore italiano emigrato una decina d’anni prima, e da Lucia Bottino, attrice di teatro pure di origine italiana. Nel 1905 si trasferisce con il padre in Italia e già nel 1910 inizia l’apprendistato presso la sua bottega. Frequenta a Milano la Scuola per Maestri Edili, ma poi interrompe gli studi e parte volontario per la prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto viene ferito a un braccio: congedato anticipatamente, riceve la medaglia d’argento al valore militare. Nel 1921, dopo la morte del fratello Delfo, torna con la famiglia a Rosario, in Argentina, dove si dedica alla scultura nell’atelier del padre, aprendo poi un proprio studio. Tra il 1925 e il 1927 lavora intensamente, anche a opere di grandi dimensioni, e vince alcuni concorsi. Nel 1928 rientra in Italia per iscriversi all’Accademia di Brera, dove è allievo di Adolfo Wildt; due anni dopo si diploma in scultura e conosce Teresita Rasini che diventerà sua moglie e compagna di tutta la vita. Nel 1935 firma il manifesto della Prima mostra collettiva di arte astratta italiana con Cristoforo De Amicis, Ezio D’Errico, Oreste Bogliardi, Virginio Ghiringhelli, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Mauro Reggiani, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi; la rassegna si tiene a Torino nello studio di Felice Casorati ed Enrico Paulucci. Nel corso di questi anni si dedica con grande impegno alla ricerca scultorea: realizza opere, principalmente in terracotta e gesso, sia figurative che astratte, in cui l’uso del colore si alterna alla sua assenza, giungendo a risultati sempre più liberi e originali. Contemporaneamente si avvicina alla ceramica iniziando a frequentare Albisola (1935) e subito dopo la Manifattura di
Lucio Fontana (Rosario, Santa Fé, 1899 - Comabbio, 1968) was born in Argentina to Luigi and Lucia Bottino. His father was an Italian sculptor who had emigrated ten or so years earlier and his mother a theatre actress, also of Italian origin. In 1905 he moved with his father to Italy and by 1910 had begun his apprenticeship in his father’s workshop. In Milan he studied at the School for Master Builders but interrupted his education when he joined up as a volunteer for World War I. During the conflict he was wounded in the arm as a result of which he was discharged early. He was awarded the silver medal for gallantry. Following the death of his brother Delfo, in 1921 he returned to Rosario in Argentina with his family, where he took up sculpture in his father’s workshop, then opened his own studio. Between 1925 and 1927 he worked hard, including on works of large size, and won several competitions. He returned to Italy in 1928 and joined the Accademia di Brera where he became a student of Adolfo Wildt. He graduated in sculpture two years later and met Teresita Rasini, whom he was to marry and remain with all his life. In 1935 he signed the manifesto of the First Group Exhibition of Italian Abstract Art with Cristoforo De Amicis, Ezio D’Errico, Oreste Bogliardi, Virginio Ghiringhelli, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Mauro Reggiani, Atanasio Soldati and Luigi Veronesi. The exhibition was held in Turin in the studio of Felice Casorati and Enrico Paulucci. During this period he gave himself over to sculptural research: he produced works that were mainly in terracotta or plaster, both figurative and abstract, in which he made use of both colour and its absence, achieving increasingly free and original
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Sèvres in Francia. Queste sue sperimentazioni vengono presentate in numerose occasioni, essendo invitato a importanti rassegne come la Biennale di Venezia (1930), la Quadriennale di Roma (1939), la Triennale di Milano (1936); inoltre la Galleria del Milione di Milano gli dedica diverse mostre personali (1930, 1931, 1932, 1937, 1938, 1939). Nel frattempo continua a partecipare a concorsi in Italia, in Spagna e in Argentina e inizia a collaborare con architetti d’avanguardia, tra i quali il gruppo BBPR, Luciano Baldessari, Luigi Figini e Gino Pollini, per realizzare sculture, monumenti, elementi decorativi e allestimenti di mostre. All’inizio del 1940 decide di trasferirsi nuovamente in Argentina e si stabilisce a Buenos Aires. Qui diviene professore di modellato presso la Scuola di Belle Arti e nel 1946 partecipa alla fondazione e all’apertura dell’Accademia di Altamira: una scuola d’arte privata che diventa un punto di riferimento culturale per la città. Stimolato dall’incontro e dal confronto con giovani artisti e intellettuali, Fontana elabora le teorie che saranno alla base del Manifiesto blanco (1946): il suo primo testo programmatico in cui auspica un rinnovamento totale dell’arte in accordo con i progressi della scienza e della tecnica. Nella primavera del 1947, rientrato definitivamente a Milano, lancia il Primo manifesto dello spazialismo, a seguito del quale ne vengono pubblicati altri quattro (Secondo manifesto dello spazialismo nel 1948, Proposta per un regolamento del movimento spaziale nel 1950, Quarto manifesto dell’arte spaziale nel 1951 e Manifesto del movimento spaziale per la televisione nel 1952). Nel 1949, anno cruciale per l’evoluzione della sua ricerca artistica, Fontana dà vita al ciclo dei “buchi”, opere in cui intervie-
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results. He also became interested in ceramics and began to visit Albisola in 1935, then the Manufactory at Sèvres in France. He exhibited the results of these new directions on many occasions, such as the Venice Biennale (1930), the Rome Quadriennale (1939), and the Milan Triennale (1936); the Galleria del Milione in Milan also dedicated many solo exhibitions to his work (1930, 1931, 1932, 1937, 1938, 1939). He continued to enter competitions in Italy, Spain and Argentina and began to work with avant-garde architects, such as BBPR, Luciano Baldessari, Luigi Figini and Gino Pollini on the production of sculptures, monuments, decorations and exhibition fittings. To avoid the war, in early 1940 he moved back to Argentina, where he settled in Buenos Aires. Here he became a modelling teacher at the Fine Arts school and in 1946 was involved in the founding and opening of the Altamira Academy, a private art school that was to become a cultural landmark for the city. Finding stimulation in his contact with young artists and intellectuals, Fontana developed new theories that were to underlie his Manifiesto blanco (1946). This was his first programmatic text in which he argued for a total renewal of art in accordance with the progress being made in science and technology. In spring 1947 he returned permanently to Milan where he published his first manifesto of Spatialism (four more were to follow: Secondo manifesto dello spazialismo in 1948, Proposta per un regolamento del movimento spaziale in 1950, Quarto manifesto dell’arte spaziale in 1951 and the Manifesto del movimento spaziale per la televisione in 1952). In 1949, a crucial year for the development of his art, Fontana
ne su cartoni o su tele dipinte a olio praticando piccoli fori, e crea il suo primo “ambiente spaziale”. L’installazione, intitolata Ambiente nero e presentata presso la Galleria del Naviglio di Milano, viene realizzata utilizzando lampade di Wood la cui luce fa risaltare i colori fosforescenti che ricoprono forme astratte pendenti dal soffitto. Nel 1957 compaiono per la prima volta, in alcune opere in carta ricoperte da inchiostri, brevi fenditure dalle quali l’anno successivo nasce la serie dei “tagli”, intitolati Concetti spaziali - Attese: tele monocrome sulle quali l’artista interviene praticando una o più aperture. È il 1958, dunque, l’anno in cui avviene in maniera compiuta e rigorosa una vera e propria rivoluzione nel percorso artistico di Fontana. Negli anni successivi l’artista realizza altre serie di opere: le terracotte intitolate Nature (dal 1959), sfere su cui interviene con larghi squarci e che successivamente fonderà anche in bronzo; il ciclo Fine di Dio (1963): oli monocromi di forma ovale, tutti dello stesso formato, costellati di buchi, squarci e lustrini; i Teatrini (dal 1964), cornici in legno sagomato e laccato che racchiudono tele o tavole monocrome forate. Continua contemporaneamente a lavorare con la ceramica, con cui realizza sculture di grande e piccolo formato. La scoperta del taglio rimane comunque il nodo centrale nel lavoro di Fontana, tanto che nel 1966, due anni prima della sua scomparsa, realizza per la XXXIII Biennale di Venezia un ambiente da lui stesso progettato che raccoglie una serie di tele bianche alle quali ha inferto un unico taglio verticale. In tale occasione gli viene assegnato il Gran Premio internazionale per la pittura.
began his series of buchi, works in oils on cardboard or canvas in which he made small holes and created his first Ambiente spaziale. The installation, which he named Ambiente nero, was presented at the Galleria del Naviglio in Milan, and was made using a Wood’s lamps that gave off black light to bring out the phosphorescent colours painted on abstract forms hung from the ceiling. The year 1957 saw the first of a series of works in paper and ink with short slashes. This stimulated the series of tagli the following year that went under the name Concetti spaziali - Attese. These were monochrome canvases in which Fontana made one or several slashes. Thus it was in 1958 that his artistic development underwent a true revolution. In the years that followed, Fontana produced other series: terracottas titled Nature (from 1959), spheres in which he created wide tears and which he would later produce in bronze; the cycle Fine di Dio (1963), oval monochrome oils all of the same format, treated with holes, tears and sequins; and Teatrini (from 1964), shaped and lacquered wooden frames around holed monochrome canvases. He continued all the while with his ceramic works, producing both small and large sculptures. However, the slash remained the central element in Fontana’s work and in 1966, two years before his death, he produced an ambiente for the Venice Biennale, featuring a series of white canvases with a single vertical slash. On this occasion he was awarded the Grand Prize for painting.
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Š 2013 Galleria Agnellini Arte Moderna
Sul retro di copertina / On the cover back Giorgio de Chirico, Trovatore (part.), 1968
Finito di stampare nel mese di marzo presso Printing completed in March at Tap Grafiche - Poggibonsi (SI) - Italy