book of abstracts
Sessione plenaria Giovedì 25 Ottobre / Thursday 25th October
VENEZIA - Arsenale Sessione plenaria - ore 11:45 Biblioteca Dante Alighieri - Marina Militare F. Mancuso - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Venezia città industriale M. Preite - TICCIH
Patrimonio Iidustriale e rigenerazione urbana in Europa
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Giovedì 25 Ottobre / Thursday 25th October VENEZIA - Arsenale Valorizzazione complesso “ex Zecca” Roma - ore 14:30 Coord: E. Currà Biblioteca Dante Alighieri - Marina Militare F. Bigi - IPZS SPA
Storia recente dell’immobile e proposte di riqualificazione R.M. Villani- IPZS SPA
La Scuola dell’Arte della Medaglia: un patrimonio materiale e immateriale tra Industria e Arts and Crafts S. Colantoni - IZPS SPA
Studi e strategie di recupero e riuso dell’immobile a “fabbrica delle arti e dei mestieri” A. Cherubini - RESPONSABILE DEL CTC
Costituzione di un Comitato tecnico di Coordinamento (CtC) e preparazione elaborati del Documento Preliminare di Progettazione (DPP) F. Rubeo - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
La convenzione con il Dipartimento di Ingegneria Civile Edile Ambientale della Sapienza per lo studio della fattibilità della riqualificazione della Zecca di Via Principe Umberto E. Arbizzani - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
Il concorso di progettazione
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Francesco Bigi Storia recente dell’immobile e proposte di riqualificazione
L’intervento illustra la natura e le attività del Poligrafico evidenziando il ruolo di industria a servizio del Paese per le produzioni di materiali in cui risulta di fondamentale importanza la tutela della fede pubblica e lo sviluppo e la diffusione del patrimonio storico artistico, da sempre connesso alle produzioni di qualità aziendali. In questo ambito si è deciso di riqualificare l’immobile di via Principe Umberto, prima Zecca dell’Italia unita e sede dall’epoca della costruzione della Scuola dell’Arte della Medaglia. Il complesso edilizio, che rappresenta un unicum architettonico e tipologico, ospiterà un polo multiculturale destinato alla valorizzazione delle risorse artistiche e di alto artigianato correlate alle produzioni del Poligrafico. Viene ripercorsa la storia recente dell’immobile a seguito del trasferimento della produzione nella nuova Zecca, avvenuto a causa dell’aumento dei volumi di produzione collegati all’introduzione dell’euro, fino alla definizione del progetto di riqualificazione attuale, denominato “Fabbrica delle Arti e dei Mestieri”, sottolineando i principi alla base del concorso di progettazione in svolgimento, primo passo verso il restauro dell’immobile.
Simona Colantoni Studi e strategie di recupero e riuso dell’immobile a “Fabbrica delle Arti e dei Mestieri”
Nell’intervento vengono ripresi i temi progettuali più importanti che sono stati affrontati nel Gruppo di Lavoro inter-direzionale e successivamente condivisi con il DICEA, che riguardano il riuso del complesso edilizio. Vengono quindi presentati i contenuti delle nuove attività previste all’interno della fabbrica: Il Museo, Le mostre temporanee, Le sale convegni, Il Centro dell’artigianato di qualità, Il Centro servizi, La Biblioteca e l’Archivio Storico, I nuovi laboratori della Scuola dell’Arte della Medaglia, La foresteria e il punto ristoro, Per ogni attività vengono delineati gli elementi per i quali il GdL ha voluto definire contenuti e requisiti da rispettare per dare coerenza all’insieme ed alle singole parti. Le diverse scelte operate sono ben rappresentate nel Documento Preliminare di Progettazione posto alla base del Concorso di Progettazione, che costituisce il punto di arrivo dell’intero processo di progettazione..
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Alberto Cherubini Costituzione di un Comitato tecnico di Coordinamento (CtC) e preparazione elaborati del Documento Preliminare di Progettazione (DPP)
Nell’intervento viene illustrata la funzione del Comitato di Coordinamento, costituito all’indomani della decisione di procedere alla redazione del Progetto di Fattibilità tecnica ed economica tramite Concorso di Progettazione: obiettivo del Comitato è quello di individuare e proporre tutte le attività necessarie allo sviluppo del Progetto di Riqualificazione. Per tale motivo vengono posti in evidenza gli aspetti più di “metodo” che sono confluiti anch’essi nel Documento Preliminare di Progettazione alla base del Concorso: l’organizzazione del complesso e distribuzione generale tra le funzioni, il restauro, il ripristino della originaria struttura, la normativa urbanistica e edilizia, lo studio degli impianti. Per ogni aspetto vengono illustrati da una parte i criteri che dovranno essere rispettati per il raggiungimento degli obiettivi proposti, dall’altro alcune peculiarità della fabbrica che si intende conservare ed enfatizzare.
Eugenio Arbizzani Concorso di Progettazione: criteri e procedure
Dopo la introduzione del codice dei contratti le pubbliche amministrazioni stanno utilizzando lo strumento del concorso di idee e di progettazione con maggiore interesse. Nella scelta del concorso di progettazione in due gradi l’obiettivo principale di IPZS è stato di giungere preliminarmente alla formazione di un gruppo di progettazione multidisciplinare, in grado di sviluppare al meglio tutte le fasi della progettazione esecutiva e di riqualificazione del nuovo Polo Museale delle Arti e dei Mestieri. Ottenere la migliore proposta architettonica, strutturale ed impiantistica per fornire nuova vita al complesso e garantire lo svolgersi ordinato di tutte le attività presenti e future a suo interno e nell’intorno urbano rappresenta un obiettivo ambizioso, raggiungibile solo attraverso una stretta collaborazione fra committente e progettista e grazie alla chiarezza degli intendimenti e degli obiettivi di ciascun soggetto coinvolto nel processo. In primo grado, per la selezione del gruppo di lavoro sono stati adottati diversi criteri di valutazione, sui curricula e sui progetti sviluppati. Nel secondo grado del concorso il Poligrafico si è dedicato esclusivamente alla valutazione delle proposte progettuali.
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Giovedì 25 Ottobre / Thursday 25th October VENEZIA L’Arsenale di Venezia in prospettiva storica - ore 14:30 Coord: P. Lanaro Auditorium Tesa 12 - CNR - ISMAR M. Sclavo - CNR-ISMAR
Presentazione Tesa 12
S. Tosato - RICERCATORE
Trasformazioni dell’Arsenale di Venezia attraverso la cartografia storica P. Ventrice - CENTRO STUDI ARSENALE
Dal legno al ferro. L’Arsenale veneziano, un modello storico di cultura tecnica e del lavoro L. Zan - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
Il “discorso del maneggio”: l’Arsenale tra patrimonio tangibile e intangibile A. Cecchetto - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Cosa ho imparato dall’Arsenale
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Giovedì 25 Ottobre / Thursday 25th October VENEZIA L’Arsenale di Venezia: progetti e restauro - ore 16:00 Coord: F. Mancuso, C. Menichelli Sala conferenze - Palazzina Modelli - Thetis Spa Coord.: F. Mancuso - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA, C.
Menichelli - ARCHITETTO, EX MIBAC
G. Zarotti - AMMINISTRATORE DELEGATO THETIS SPA
Thetis, dall’archeologia industriale al riuso e alla rigenerazione F. Mori - ARSENALE MILITARE MARITTIMO LA SPEZIA
Arsenale di La Spezia, innovazione nel rispetto della tradizione S. De Maestri - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA, C. Menichelli - ARCHITETTO, EX MIBAC, A. Monte - IBAM-CNR
La storia parallela degli arsenali di Venezia, La Spezia e Taranto dall’Unità d’Italia ad oggi J. Keates - VENICE IN PERIL FUND
The Venice in Peril Fund and the Armstrong Mitchell hydraulic crane in the Arsenale, Venice V. Gambelli - ARCHITETTO UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA, S. Rocchetto - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA, T. Fornasiero ARCHITETTO
Arsenale di Venezia: dalla restituzione geometrica delle trasformazioni recenti, alla conoscenza della consistenza materiale del complesso
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Giovedì 25 Ottobre / Thursday 25th October VENEZIA - Arsenale Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale industriale. Strumenti e iniziative a difesa delle testimonianze della civiltà della produzione (Tavola rotonda) - ore 17:00 Coord: C. Ferro Biblioteca “Dante Alighieri” - Marina Militare G. Miccio - SEGRETARIO REGIONALE MIBAC DELLA REGIONE PIEMONTE N. Viziano - PRESIDENTE DEL MU.MA-ISTITUZIONE MUSEI DEL MARE E DELLE MIGRAZIONI, GENOVA A. Monte - CNR-IBAM, ISTITUTO BENI ARCHEOLOGICI E MONUMENTALI -LECCE R. Maspoli - SITDA - SOCIETÀ ITALIANA TECNOLOGIA DELL’ARCHITETTURA A. Caroli - PRESIDENTE ITALIA NOSTRA - TRIESTE
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Sessione plenaria - ore 9:00 Sala Consiliare V. Bison - EKTA
Piazzola sul Brenta: storia di una company town V. Gambelli - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA, A. Verdi, T. Melito, R. Verdi - ARCHITETTI
Lo Jutificio di Piazzola Sul Brenta: riconversione della fabbrica e riqualificazione urbana dell’ambito est
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Valentina Gambelli, Adriano Verdi, Tommaso Melito, Ruben Verdi Lo Jutificio di Piazzola Sul Brenta: riconversione della fabbrica e riqualificazione urbana dell’ambito est
Lo stabilimento per la filatura e tessitura della juta, chiuso definitivamente nel 1978, è stata oggetto di un complessivo progetto di riqualificazione che ne ha modificato la destinazione d’uso, con l’obiettivo primario di restituire alla fruizione pubblica uno spazio che per sua natura è sempre stato recintato e vissuto solo da chi vi lavorava. Lo Jutificio venne costruito, per ampliamenti successivi, a partire dal 1890, all’interno di un progetto più complessivo di company town, con una griglia stradale a maglia quadrata che suddivideva il territorio circostante in campi abbinati alle abitazioni degli operai e delle loro famiglie, oltre che una linea ferroviaria che portava il materiale grezzo proveniente da Calcutta attraverso il porto di Venezia, direttamente all’interno della fabbrica. L’area dell’ambito est, un quadrato di circa 150 metri di lato, costituisce una porzione rilevante del centro storico di Piazzola Sul Brenta e le funzioni previste dal progetto hanno volutamente quell’eterogeneità che caratterizza i luoghi urbani vissuti durante tutto l’arco della giornata: spazi commerciali, residenze, luoghi pubblici all’aperto e al coperto (la sala della filatura), parcheggi. Il progetto ha insistito nel preservare il maggior numero possibile di manufatti storici, in una continua verifica, e sfida, tra conservazione e ri-funzionalizzazione, consapevoli della reciproca necessità, pena la perdita della memoria. Non solo edifici veri e propri (la sala della filatura, una parte della tessitura, la torre dell’acqua, il fronte su viale Camerini, la sala caldaie con la sua ciminiera) ma anche la roggia che attraversa l’area e che fu fonte di energia e il recinto della fabbrica, un sistema fortificato moderno, che in alcuni punti è stato aperto per consentire l’attraversabilità e la fruizione degli spazi, in altri risarcito con l’aiuto dei nuovi interventi. Il progetto ha vinto il 1° Premio Luigi Piccinato nel 2004.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Paesaggi della produzione - ore 10:00 Coord: G.L. Fontana, A. Cardoso de Matos Sala Consiliare R. Gabaglio, M. Ugolini, S. Varvaro - POLITECNICO DI MILANO
Valorizzazione dei luoghi e paesaggi della pomice nel sito Unesco delle isole Eolie: criticità e potenzialità B. Badiani, S. Barontini, B. Scala, M. Tononi, A. Ghirardi, S. Stefani - UNIVERSITÀ DI BRESCIA
Opere idrauliche a servizio di forni, fucine e mulini in Valle Sabbia: (BS) un legame profondo tra lavoro, produzione e risorse ambientali S. Catalino, A. Pancalletti, G. Valeriani - ARCHITETTI
Acqua e lavoro nella forma urbana dell’entroterra marchigiano dalla protoindustria ad oggi E. Capurso - ARCHEOLOGO, P. Trabocchi - STORICO DELL’ARTE
Paesaggi rurali: l’industria armentizia e le attività produttive tra Abruzzo e Puglia S. Tardella - ARCHITETTO
Trame di seta nel paesaggio rurale marchigiano G. Pinna - ASSOCIAZIONE POZZO SELLA
La valorizzazione del patrimonio industriale attraverso gli antichi cammini minerari L.A. Ibáñez González - ARCHITETTO
Patrimonio industrial del sector eléctrico en México: La planta hidroeléctrica El Salto, Jalisco G. Boscaro - MASTER MPI PADOVA
L’idrovia Padova-Venezia
M. Bertilorenzi - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, Philippe Mioche AIX-MARSEILLE UNIVERSITÉ
Gli effetti inattesi dell’allumina. Ambiente, imprese e territorio a Portovesme e a Gardanne-Cassis
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Rossana Gabaglio, Michele Ugolini, Stefania Varvaro Valorizzazione dei luoghi e paesaggi della pomice nel sito Unesco delle isole Eolie: criticità e potenzialità
L’importanza in ambito geologico, naturalistico e archeologico è il motivo per cui l’Unesco, nel 2000, ha inserito le isole Eolie nella “World Heritage List”. Straordinario campo di ricerca per geologi, esse rappresentano un unicum dal punto di vista paesaggistico-ambientale e storico. Il patrimonio degli opifici che, a partire dalla fine dell’Ottocento, ha permesso la produzione della pomice e la commercializzazione in tutto il mondo, costituisce un esempio di stretta relazione tra le logiche fondative di un comparto industriale (insediative, tecnologiche, architettoniche...) ed il suo paesaggio (dalle ex cave di pomice fino al mare). Dal 2007, anno in cui l’attività di escavazione viene vietata pena l’esclusione dalla WHL, questo patrimonio è abbandonato e soggetto a un continuo processo di degrado, architettonico ma anche ambientale e idro-geologico. Si propone un percorso di valorizzazione progettuale che, a partire da una conoscenza approfondita dei luoghi e dei manufatti e del loro dispiegarsi nel paesaggio li reinterpreti, restituendo all’isola una sequenza di spazi pubblici a servizio delle spiagge; stanze museali a cielo aperto e non, capaci di raccontare la storia dell’escavazione e lavorazione della pomice; luoghi per la ricerca a servizio della comunità e delle università accogliendo il suggerimento dell’Unesco riguardante la gestione di un parco geominerario esteso a tutte le isole Eolie. Il progetto deve essere teso prima di tutto alla messa in sicurezza delle ex cave fino al mare, come occasione non meramente funzionale, ma di disegno e conservazione del paesaggio, ad una destagionalizzazione del turismo, cogliendo le potenzialità geomorfologiche delle isole, alla conversione dei luoghi produttivi in spazi aperti, pubblici e collettivi.
Barbara Badiani, Stefano Barontini, Barbara Scala, Marco Tononi, Andrea Ghirardi, Silvia Stefani Opere idrauliche a servizio di forni, fucine e mulini in Valle Sabbia (Brescia): un legame profondo tra lavoro, produzione e risorse ambientali che anima il paesaggio Forni fusori, fucine e mulini hanno costituito per oltre sei secoli (fino al XIX sec.) un elemento essenziale del sistema economico del territorio delle valli bresciane, tra cui la Valle Sabbia. Oggi, seppure spesso trascurati, viene loro riconosciuto un importante valore storico e testimoniale. Un aspetto tuttavia trascurato nella percezione del loro valore è la presenza di un’articolata rete di canalizzazioni idrauliche -di cui si conosce poco - che forniva forza motrice, innervando il paesaggio. La Comunità montana di Valle Sabbia, che crede fortemente nel valore materiale e immateriale di questi edifici, ha scelto di avviare su quest’ultimo aspetto un percorso di approfondimento, di cui si sta occupando l’Università di Brescia nell’ambito del progetto Valli Resilienti, finanziato da Fondazione Cariplo (programma intersettoriale Attivaree) e promosso con la Comunità montana di Valle Trompia. Nel presente lavoro, dopo avere descritto l’approccio adottato per lo studio di forni e fucine – finalizzato alla redazione di un manuale di conservazione programmata per indirizzare interventi che consentano di mantenere visibile ciò che ne resta – si riportano alcuni risultati sulla ricostruzione e sull’interpretazione delle tracce del sistema di canalizzazioni che connettevano le macchine per la produzione di utensili in ferro alle risorse idriche disponibili. L‘interpretazione di queste tracce è una chiave per descrivere aspetti poco noti e intriganti del paesaggio locale e, riallacciando il rapporto tra i manufatti e il territorio, essa fornisce spunti per veicolare efficacemente il sistema dei valori immateriali legato a questo patrimonio.
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Silvia Catalino, Andrea Pancalletti, Gianluca Valeriani Acqua e lavoro nella forma urbana dell’entroterra marchigiano dalla protoindustria ad oggi.
Fabriano, Esanatoglia, Castelraimondo, Pioraco, San Severino, Tolentino formano un grappolo di paesi e piccole città in cui si è sviluppata fin dal medioevo una intensa attività attorno ai corsi d’acqua che li lambiscono; sono sorte così gualchiere e poi cartiere, concerie, luoghi per le lavorazioni dei panni lana. Le cartiere, dalla lunga e preziosissima storia (filigrana e cartamoneta), ancora attive, hanno segnato nel tempo il carattere urbano di questi centri contribuendo a modellare il paesaggio con la loro architettura e con canali, fossi e rogge. La vita di interi paesi si è costruita intorno ad esse. Accanto sono sorti già al medioevo edifici per le conce delle pelli, per la follatura, essiccazione cardatura, filatura dei panni lana, edifici proto industriali con abbinate le case dei lavoratori che hanno composto interi quartieri (quartiere Conce a San Severino Marche) o segnato una lunga via urbana (via delle Conce a Fabriano) ove l’architettura dei luoghi del lavoro si compenetra con la residenza. A Tolentino dal tardo medioevo le cartiere hanno occupato l’area dalle mura urbane al fiume Chienti intercalandosi con le filande, le concerie e i mulini, andando a costituire una vera proto zona industriale, in parte ora trasformata in residenze. La storia di queste attività legate alla presenza dei corsi d’acqua è nota, ancora da esplorare è come queste abbiano influenzato l’architettura della città e del paesaggio alto vallivo che ne è scaturita, evidenziando gli elementi comuni e le diverse declinazioni con cui tali architetture si sono manifestate nei vari luoghi. Interessa soprattutto indicare, attraverso l’interpretazione del farsi nel tempo delle varie parti urbane e del loro rapporto con l’intero centro edificato, quali traiettorie possono essere percorse non solo per il recupero, ma anche per il futuro assetto di questi centri colpiti dai recenti eventi sismici, che possono essere considerati come un potente evidenziatore di problematiche latenti, antiche, recenti e attuali. Con fondi regionali e ministeriali del programma di riqualificazione urbana per alloggi a canone sostenibile, a San Severino, all’interno dell’insediamento proto-industriale di Borgo Conce, sono stati riportati alla luce gli spazi e le attrezzature di due piccole centrali idroelettriche dei primi anni del ‘900, a segnare l’avvio dei Musei Borgo Conce (App scaricabile su PlayStore e AppleStore) che comprendono anche una struttura privata, il Museo del Territorio e il MANI – Museo Virtuale della Manifattura.
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Emma Capurso, Palmina Trabocchi Paesaggi rurali: l’industria armentizia e le attività produttive tra Abruzzo e Puglia.
Lo stretto rapporto tra i diversi aspetti del paesaggio rurale fortemente connessi alle attività produttive ha caratterizzato questi territori, un’intensa attività che si è sviluppata nel corso dei secoli è l’attività transumante. Le comunità di tale distretto hanno lasciato le tracce di quelle che furono le dinamiche insediative proprie del mondo rurale, già attestata in numerose aree archeologiche come documentato dalle attività agropastorali riconducibili a sistemi protoindustriali. La rete viaria era anche costituita da piste e tratturi in terra battuta nati dalla necessità di scambi a carattere fondamentalmente regionale e dunque a raggio medio-corto, ma adatti anche alla transumanza e funzionale a collegare la costa adriatica con le colline murgiane e con l’area ionica; dai monti abruzzesi le greggi attraversano l’Alta Murgia sino a raggiungere le aree geografiche di minore altitudine, durante i mesi invernali e a spostarsi nei mesi estivi verso le murge tarantine e verso la Fossa Bradanica. La transumanza rappresenta un modello di vita pastorale che si colloca in una posizione di passaggio tra il nomadismo e l’allevamento sedentario, si presenta come una forma di economia fortemente istituzionalizzata dai sistemi di mercato, ma il sistema economico è solo un aspetto che il fenomeno di migrazione ha alimentato, accanto al quale c’è senza dubbio un fitto sistema di influssi sociali, di usi e costumi che definiscono il sistema come una ‘civiltà’ della transumanza.
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Silvia Tardella Trame di seta nel paesaggio rurale marchigiano
Nelle Marche, il binomio quasi sacro tra bachi da seta e campagna è stato uno dei fenomeni più interessanti dell’economia agricola regionale, soprattutto dal XIX secolo fino alla metà del secolo scorso, quando la produzione registrò l’ultima crisi definitiva a livello nazionale, con il conseguente abbandono di quasi tutto il settore serico. Il lavoro vuole portare alla luce l’eredità culturale e paesaggistica soprattuto della sericoltura, ovvero la prima fase della fabbricazione della seta legata all’allevamento del baco e dell’industria del seme-bachi che trasforma in particolare, il territorio ascolano in un importante distretto di assoluto rilievo europeo. Un’attività agricola quindi che lascia nel territorio marchigiano tracce importanti per la lettura storica della sua economia e del suo paesaggio rurale, grazie alle numerose tipologie di bigattiere sparse ancora fra le pendici delle colline e ai numerosi filari gelso ai bordi delle strade. Tracce che dalla fine del secolo scorso agli ultimi anni rischiano di diventare sempre meno leggibili a causa del lungo periodo d’abbandono del settore serico e alla graduale conversione della regione a economia industriale, sottraendo di fatto manodopera e vaste aree agricole per il collocamento di fabbriche e capannoni. La volontà di indagare la trama scucita che la produzione della seta lascia nel paesaggio è metafora del tentativo di recuperare il valore storico di un territorio, per la salvaguardia e la qualità dei progetti di intervento, per il futuro del suo sviluppo economico, e per una rinascita culturale e produttiva del settore serico che in alcuni contesti sembra riaffiorare.
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Luis Antonio Ibáñez González Patrimonio industrial del sector eléctrico en México: La planta hidroeléctrica El Salto, Jalisco.
El desarrollo de la industria eléctrica en México inició a finales del siglo XIX como respuesta a las necesidades industriales, lo que condicionó la solución de las plantas generadoras construidas durante una primera etapa que se inscribe principalmente en el Porfiriato (1876-1911), sin embargo, los efectos de la Revolución Mexicana frenaron su crecimiento y hasta finales de la década de 1930 iniciaría una nueva etapa de desarrollo. En la primera etapa, las plantas generadoras del país daban servicio regional, local o de autoconsumo, mientras que en la segunda etapa se concibieron para integrar un sistema nacional de generación, transmisión y distribución de energía eléctrica, por lo que contaron con mayor capacidad de generación y características arquitectónicas, tecnológicas y constructivas distintas de las primeras. A inicios del Porfiriato se instaló un gran número de plantas termoeléctricas en México, pero las condiciones geográficas del país favorecieron la instalación de un mayor número de hidroeléctricas que incorporaron las innovaciones tecnológicas entonces alcanzadas. Actualmente muy pocas instalaciones de la primera etapa se mantienen funcionales, ya que la mayoría de las más antiguas y de menor capacidad se consideraron obsoletas y dejaron de operar, lo que llevó en muchos casos a su desmantelamiento y abandono. El presente trabajo tiene como objetivo presentar la evolución y el estado actual de la instalación hidroeléctrica de servicio público más antigua que existe en México, la planta El Salto, ya que a pesar de encontrarse abandonada y parcialmente desmantelada, su estudio contribuye a la comprensión del desarrollo de la producción hidroeléctrica en su primera etapa de desarrollo en México.
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Graziella Boscaro L’idrovia Padova-Venezia.
Dell’autostrada d’acqua si inizia a parlare nel 1947 ma già nel 1945 Carlo Adorno, in “Economia Veneta”, auspica la realizzazione di un’idrovia Locarno-Venezia. Nel ’60 accantonato il progetto dell’Idrovia italo-svizzera, gli amministratori e diversi enti padovani propongono un canale di collegamento tra Padova a Venezia, con caratteristiche fissate dalle norme C.E.M.T. per le vie navigabili di interesse europeo, di stimolo allo sviluppo economico della zona. Il 3/02/1963, con la legge n. 62, Camera e Senato approvano un finanziamento di L. 6.000.000.000 per la realizzazione dell’intervento; le restanti L. 1.000.000.000 sono a carico dei Comuni di Padova e Venezia. Il progetto è presentato nel 1964, I lavori iniziano nel 1968 a causa di pastoie burocratiche e con finanziamenti a singhiozzo si procede fino al 1992. Le somme stanziate, tra Stato e Regione, sono di L. 35.380.000.000. La legge 27/01/2000 n. 16 “Ratifica ed esecuzione dell’accordo europeo sulle grandi vie navigabili di importanza internazionale” individua l’opera di importanza nazionale. E’ significativo sottolineare come, nello stesso anno, inizia la navigazione da Rovigo al mare grazie alla fine dei lavori di armamento della foce del Po di Levante. Di questa cattedrale nel deserto, che nasce sulla base di un coerente progetto di modernizzazione industriale ispirato soprattutto all’esperienza dell’Europa centrale, si riflette periodicamente per proporre la realizzazione degli argini, il suo completamento, una camionabile, per utilizzarla come invaso per le acque meteoriche o per riequilibrare il sistema lagunare. Lo studio dei documenti, delle varie forme di appropriazione degli spazi ad essa pertinenti, le idee dei diversi protagonisti e una documentazione fotografica possono essere mezzi per individuare realizzabili strade da percorrere.
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Marco Bertilorenzi, Philippe Mioche Gli effetti inattesi dell’industrializzazione. Ambiente, imprese e territorio a Portovesme e a Gardanne-Cassis
Questo paper intende discutere gli impatti sul territorio dell‘industrializzazione pesante e tardiva di Portovesme e i suoi legami con la rigenerazione territoriale e valorizzazione turistica. Sito integrato per la produzione d’alluminio sorto alla fine degli anni 1960, dopo un lunga incubazione che ha coinvolto poteri pubblici italiani e imprese multinazionali, negli ultimi anni è passato attraverso una fase di crisi che non escludeva la sua chiusura definitiva. Quest’industria ha lasciato come eredità al territorio di Portovesme un immenso bacino di “fanghi rossi” (cioè gli scarti della lavorazione dell’alluminio) ubicato a ridosso della costa, che per molti versi potrebbe essere considerato uno sfregio alla bellezza naturalistica della Sardegna del Sud. Tuttavia, questa presenza ingombrante non ha impedito alla zona di diventare la prima meta di turismo “sostenibile” in Europa. Attraverso questo studio di caso, si intendono affrontare alcune considerazioni tra industria e ambiente da un punto di vista di patrimonializzazione.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Tecniche costruttive e architettura per l’industria, innovazioni tecnologiche e progettuali del Novecento ore 10:00 Coord: E. Currà, A. Vitale Sala THRON M. Modica - TECHNISCHE UNIVERSITAT DI MONACO DI BAVIERA, F. Santarella - STUDIOSA DI CULTURA INDUSTRIALE
Paraboloidi, un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna M.V. Santi - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Precast concrete panels for industrial architecture in Italy: evolution of the construction between standardization and design M. Russo - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
Volte sottili a geometria rigata: le coperture di Giorgio Baroni per l’Alfa Romeo al Portello e le Fonderie Vanzetti a Milano V. Cinieri - SPECIALISTA IN BENI ARCHITETTONICI E DEL PAESAGGIO, A. Còccioli Mastroviti - SOPRINTENDENZA ABAP PER LE PROVINCE DI PARMA E PIACENZA, E. Zamperini UNIVERSITÀ DI PAVIA
Fornaci da calce nel territorio piacentino
E. Garda, M. Mangosio - POLITECNICO DI TORINO
La dismissione dell’industria italiana della litoceramica: un patrimonio di cultura tecnica verso l’oblio R. Vecchiattini - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Traguardando la “Grande Genova”: le infrastrutture commerciali come terreno di sperimentazione
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Marcello Modica, Francesca Santarella Paraboloidi, un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna
Per l’ambito tematico “La costruzione per l’industria. Innovazione tecnologica e sperimentazione di materiali, tecniche e procedimenti” si desidera esporre la monografia “Paraboloidi, un patrimonio dimenticato dell’architettura moderna”, pubblicata tre anni fa e già presentata in numerose pubbliche occasioni ma non ancora in un convegno internazionale dedicato al patrimonio industriale. La presentazione potrà essere effettuata mediante esposizione in una conferenza o mediante la realizzazione di pannelli espositivi riassuntivi del fenomeno analizzato. Oggetto del lavoro, la lunga indagine sui circa cento silos orizzontali a copertura parabolica (cd “paraboloidi”) realizzati per lo stoccaggio di materiali polverulenti a partire dagli anni 20 agli anni 70 del 900 su territorio italiano, ora in gran parte dismessi, con un cenno ad esempi europei e ad alcuni recuperi effettuati. Lo studio considera i “paraboloidi” realizzati in cemento armato, dapprima gettati in opera e poi prefabbricati, analizzando l’inscindibile legame tra l’allora nuovo materiale grandemente sviluppato - anche a livello teorico - in Italia, la tecnologia costruttiva, la forma a “catenaria” del telaio seriale che costituisce il silos e la funzione dello stesso. Non ultimo, la grande valenza estetica e formale di questa particolare tipologia di edifici industriali, testimoniata dalle immagini inedite - storiche ed attuali - che corredano il lavoro.
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Maria Vittoria Santi Precast concrete panels for industrial architecture in Italy: evolution of the construction between standardization and design.
The industrial heritage of the late twentieth century in Italy is characterised by specific building types which -considering their prevalence,features and current condition -made evident the relevance of the development of prefabricated system and precast concrete through history, architecture and design.During the twentieth century,in fact,the research into rationalisation of the constructions inspired also architecture to embrace the concept of industrial and serial production, leading to significant outcomes according to the technological advances and, especially, the vision of architects and engineers. In this sense, concrete prefabrication, in Italy, found its major use inthe industrial building sector. Concurrently, the industrial building type evolved according to the technological progresses and especially with the implementation of prefabricated building systems, with which a series of precast concrete elements specific for industrial construction were gradually introduced -pillars, beams, slabs, façade panels and finishing components. Additionally, the remarkable presence of prefabricated industrial building in Italy was characterised by a specific typology of building envelope, made with precast concrete panels. As industrial architecture in Italy has largely concentrated upon concrete construction techniques, the evolution of prefabrication played an important role in the diffusion of the industrial building types which today constitute the diffuse and fragmented landscape of small and medium-sized enterprises. Nevertheless, between the ‘50s and the ‘70s, many Italian designers and companies experimented with the use of concrete elements in industrial construction: several of them took the opportunity to introduce new technologies and brand-images by designing their own precast concrete elements, while others exploited the possibilities presented by prefabrication and standardisation to inject their personal modernist language into industrial architecture. Research into these issues and the identification of remarkable examples provide a critical overview of prefabricated industrial architecture in Italy and highlights some of those unique aspects -such as adaptability, flexibility, standardisation, industrialisation and, above all, experimentation -which characterise this unique industrial heritage.
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Martina Russo Volte sottili a geometria rigata: le coperture di Giorgio Baroni per l’Alfa Romeo al Portello e le Fonderie Vanzetti a Milano
La costruzione per l’industria a inizio ‘900 ha costituito un’opportunità e un incentivo per sperimentare tecniche, brevetti e sistemi in cemento armato. Tra le soluzioni costruttive innovative inizialmente introdotte per la tipologia industriale si possono identificare le coperture a guscio sottile,la ricerca sulle quali cominciò in Germania e Francia durante gli anni ‘20 del XX secolo. Capaci di coprire grandi luci liberando la pianta da pilastri intermedi, questo tipo di coperture incontrano efficientemente le esigenze funzionali degli edifici industriali. In Italia lo strutturista e progettista milanese Giorgio Baroni fu tra i primi ingegneri che studiarono le potenzialità dei gusci sottili, proponendo due brevetti per coperture sottili in forma di paraboloide iperbolico. Le prime due applicazioni di questo sistema sono state nel 1936 per la Fonderia Vanzetti e nel 1937 per l’Alfa Romeo al Portello a Milano. I due progetti costituiscono un esempio di come il fervore sperimentale nel campo della costruzione in cemento armato incontrò le necessità di un settore industriale in sviluppo. L’articolo espone come la tecnica brevettata da Giorgio Baroni fu applicata per la realizzazione di due edifici nei due poli industriali milanesi, mettendo in evidenza il modo in cui l’uso della geometria scelta permise l’ottimizzazione della resistenza strutturale unitamente al risparmio di materiale e alla velocità esecutiva.Illustrando le geometrie e le soluzioni costruttive delle due opere oggi demolite, l’articolo presenta due tra i primi esempi di applicazione del paraboloide iperbolico, divenute poi protagonista estetico del dopoguerra nelle opere di Felix Candela, coniugano leggerezza e resistenza.
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Valentina Cinieri, Anna Còccioli Mastroviti, Emanuele Zamperini Fornaci da calce nel territorio piacentino
Se già il capitano Boccia riportava la presenza di cave di pietra arenaria per uso edile in diverse zone del territorio piacentino (Viaggio ai monti di Piacenza, 1805), in “Cenni statistici intorno ai ducati di Parma Piacenza e Guastalla”(nel suo Vocabolario topografico del 1833) Molossi elenca le manifatture presenti sul territorio e menziona «molte fornaci da calce e da materiale da fabbricare». Nell’Ottocento la calce piacentina era conosciuta ed esportata nella vicina Lombardia, in particolare nell’area del cremonese, come testimoniato dalla documentazione d’archivio relativa alla costruzione di chiese e case private; si trattava della “calce forte piacentina” citata nei trattati (cfr. Cantalupi 1863) e nei regolamenti tecnici (cfr. Gride, regolamenti, tasse e tariffe diverse [...] in vigore alla congregazione municipale, Milano 1850). I calcari adatti alla fabbricazione della calce venivano cavati e cotti nel piacentino, quindi trasportati come calce viva nei cantieri cremonesi e spenti a piè d’opera. Per questa importante attività produttiva erano stati realizzati innovativi impianti, la cui testimonianza è rappresentata dalla copiosa presenza di fornaci, ormai per lo più dismesse, in aree limitrofe alle cave o in comunicazione con esse.Alla fine del XIX secolo il miglioramento dei collegamenti viari e ferroviari e le innovazioni in ambito scientifico-tecnologico agevolarono lo sviluppo e il potenziamento degli impianti di produzione della calce.L’articolo intende affrontare il tema di questo ampio e interessante patrimonio di archeologia industriale e presentare alcuni casi emblematici, quali quello delle fornaci di Albarola – costruite dalle società Bargoni e Cogni – e le fornaci Rossi di Ponte dell’Olio (poi Cementirossi).
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Emilia Garda, Marika Mangosio La dismissione dell’industria italiana della litoceramica: un patrimonio di cultura tecnica verso l’oblio
A partire dagli anni Trenta,con la costruzione del Palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio a Milano si afferma in Italia l’industria italiana della litoceramica, materiale ceramico autarchico, che viene proposto sul mercato come succedaneo del klinker tedesco.Lo sviluppo di questo comparto manifatturiero è direttamente correlato alle nuove esigenze espressive degli architetti del Movimento Moderno, che rendono questo materiale protagonista di soluzioni di rivestimento estremamente interessanti da un punto di vista sia compositivo siatecnologico.La stretta collaborazione tra progettisti e produttori prosegue fino alla fine degli anni Sessanta,quando la chiusura del principale produttore, la Ceramiche Piccinelli di Bergamo, segna l’inizio del declino del settore,in parallelo anche al progressivo mutamento di linguaggio dell’architettura. La stagione della litoceramica si conclude alla fine degli anni Ottanta con la cessazione o la riconversione delle ultime aziende produttrici, quali la SACCER di Torino e la Ceramica Joo di Milano.La dismissione dell’industria italiana della litoceramica determinauna profonda cesura nel processo di conservazione e trasmissione di un patrimonio insostituibile di cultura tecnica,anche a causa della dispersione degli archivi di impresa.Tale criticità è emersa prepotentemente nel momento in cui si è reso necessario intervenire con urgenza e a larga scala su questa eredità materiale del Moderno, che solo recentemente ha iniziato ad entrare in crisi. L’oblio in cui è ormai caduto il magistero edilizio della litoceramica ha purtroppo condotto a numerosi interventi di totale rimozione del rivestimento originale. La riflessione critica sulle modalità di riappropriazione di un sapere tecnico ormai rarefatto diviene quindi l’unico strumento per promuovere progetti di recupero colti e appropriati.
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Rita Vecchiattini Traguardando la “Grande Genova”: le infrastrutture commerciali come terreno di sperimentazione.
La progettazione e la costruzione di strutture commerciali, all’ingrosso e al dettaglio, per le città di fine Ottocento in piena espansione sono state spesso terreno di sperimentazione di nuovi materiali e tecnologie che, nel tempo, si sono affacciate nel cantiere edile: dal calcestruzzo armato all’acciaio, dal vetrocemento agli elementi prefabbricati. Tuttavia, nel caso dei mercati e dei mattatoi, l’innovazione e la sperimentazione hanno riguardato non solo le strutture ma anche l’adeguamento a normative igieniche in cambiamento, sperimentazioni di macchinari e impianti e/o, dal punto di vista compositivo, nuovi parametri e schemi distributivi. Si propone, dunque, il tema dei mercati e dei mattatoi con una chiave di lettura che faccia emergere gli aspetti innovativi che molte di queste strutture, non solo in Italia ma anche all’estero, custodiscono come prezioso portato storico-culturale. Il caso di Genova è particolarmente interessante in quanto amplifica il tema enunciato. Infatti, fino ai primi del Novecento, la rivalità tra comuni vicini in cerca di affermazione e autonomia (in particolare Genova e Sampierdarena) determina la progettazione di strutture indipendenti e innovative, anche se non sempre sostenute da un’adeguata realizzazione. Successivamente, a partire dal secondo decennio del Novecento, la pianificazione e la formazione della “Grande Genova” (1926) dà una svolta alla progettazione di mercati e mattatoi, centralizzando i servizi e adeguandoli alle esigenze di una nuova grande città. In particolare il contributo analizzerà e metterà a confronto due strutture ancora esistenti ma oggi dismesse: il mattatoio e mercato ovo-avicolo a Genova-Sampierdarena e il mercato ortofrutticolo di Corso Sardegna.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Tipi e costruzioni per l’industria: dalla conoscenza al progetto - ore 12:00 Coord: E. Currà, A. Vitale Sala THRON A. Guida, A. Pagliuca, P.P. Trausi - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA
L’architettura per la lavorazione dello zucchero. Le tecnologie costruttive per l’industria italiana del ‘900 R. Falabella, R. Maspoli - POLITECNICO DI TORINO
Proposta di analisi e riqualificazione dell’area Mar.Di.Chi. (Magazzino artiglieria e difesa chimica), ex Stabilimento f.lli Piacenza, di Torino C. Paolini, M. Pugnaletto - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
I tabacchifici della piana del Sele - Il Fortunato Farina di Battipaglia L. Severi - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
Gli zuccherifici dell’Italia centro-meridionale A. Oyarhossein - ARCHITETTO
Explaining the values of traditional ice houses as an example of industrial architecture in Iran’s pre-industrial society by investigating the concept of “endowment” in Iranian urban management system L. Giorgetti - UNIVERSITÀ DI PISA
The hydroelectric plant of Corfino in Garfagnana A.G. Landi - POLITECNICO DI MILANO
Officine e reti del gas illuminante nel Regno Lombardo-Veneto: genesi e sviluppo di un patrimonio “fragile”
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Antonella Guida, Antonello Pagliuca, Pier Pasquale Trausi L’architettura per la lavorazione dello zucchero. Le tecnologie costruttive per l’industria italiana del ‘900.
Sul finire del XIX secolo, in Europa, si assiste ad una profonda rivoluzione nel settore industriale che portò alla sperimentazione di nuovi materiali e tecniche di produzione. L’Italia, che in quel tempo era al passo con le nascenti avanguardie economiche e culturali d’oltralpe, non si fece sfuggire questa occasione per adeguare la sua filiera industriale, pur diversificandola per le attività svolte. Tra di esse, un importante settore (fortemente incentivato dalle politiche governative – Riforme Bieticole) è costituito dall’industria per la produzione dello zucchero. Infatti, circa quarantacinque impianti produttivi, sparsi sul territorio nazionale, nascono nella prima metà del ‘900 segnando in maniera decisa l’economia e i tipi dell’architettura industriale (che rappresentano la moltitudine dei fermenti di innovazione e le nuove sperimentazione di tecniche costruttive e di materiali prettamente “Made in Italy”). In particolare, il meridione italiano, seppur lento nel recepire i fermenti industriali d’oltralpe, si caratterizza proprio per l’importante presenza di zuccherifici che, se da un lato sono frutto della vocazione agricola del territorio, dall’altro sono anche espressione unica della tradizione e innovazione costruttiva del tempo. Tale ricerca, pertanto, trova la sua validazione nell’analisi architettonica e tecnologica dello zuccherificio di Policoro (1955), sulla costa ionica della Basilicata. Questo, infatti, ha assunto una forte valenza socio-industriale in fase di esercizio produttivo per divenire, oggi, una “cattedrale industriale” la cui memoria occorre preservare con un processo di conoscenza approfondito che diventi utile strumento alla collettività per il recupero di questo patrimonio “fragile”.
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Raffaele Falabella, Rossella Maspoli Proposta di analisi e riqualificazione dell’area Mar.Di.Chi. (Magazzino artiglieria e difesa chimica), ex Stabilimento f.lli Piacenza, di Torino.
Lo studio analizza le potenzialità di recupero e rifunzionalizzazione del comparto industriale, e poi militare dismesso, in via Bologna a Torino, in attesa di trasformazione e di cessione da parte della CDP. Le valutazioni ex-ante tecnico-ambientali delle vocazioni d’uso e delle tecnologie appropriate d’intervento, sono alla base degli esiti della diagnosi strutturale e tecnologica. La più attendibile previsione degli interventi e dei costi medi permettono di indirizzare il processo, in particolare per un patrimonio con valenze storico-architettonico e testimoniale, ma non considerabile di valore monumentale, le cui potenzialità di mantenimento sono condizionate dalle potenzialità di riuso.Vincolante al riuso sono le richieste esigenziali e di sicurezza sismica per le quali la normativa attuale, nel caso di padiglioni in cemento armato di inizio ‘900,pone limitazioni stringenti. Qualora non si soddisfino tali requisiti di sicurezza strutturale e antisismica, l’operazione di recupero funzionale declinato in ottica conservativa è tecnicamente e finanziariamente impossibile. Lo studio è oggetto di atelier e tesi di Laura Magistrale in Architettura e Restauro del Politecnico di Torino, in collaborazione con la Direzione Infrastrutture dell’Esercito.L’analisi di prefattibilità si è articolata con un processo analitico-valutativo di:conoscenza e analisi delle condizioni di conservazione, rilievo metrico e costruttivo, (analisi del degrado tecnologico e strutturale con riferimento alla normativa dell’epoca), indagini campioni in situ non distruttive, elaborazione di un modello di calcolo, delineamento di tecniche di adeguamento –rinforzo strutturale (sistema CAMe compositi FRP), analisi economica delle alternative di adeguamento strutturale (sistema CAM, materiali compositi FRP), valutazione della fattibilità del riuso adattivo.
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Cesira Paolini, Marina Pugnaletto I tabacchifici della piana del Sele - Il Fortunato Farina di Battipaglia.
La coltivazione del tabacco, introdotta in Italia sin dal XVIII secolo, ebbe, negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale, un forte impulso che portò alla coltivazione di estese superfici su tutto il territorio nazionale. Nei primi decenni del Novecento in Campania furono realizzati diversi stabilimenti per lacoltivazione e la cura del tabacco che divennero presto poli di notevole importanza nello sviluppo sociale ed economico del territorio e intorno ai quali si svilupparono veri e propri villaggi operai.In particolare nella piana del Sele a partire dal 1920, con la realizzazione del tabacchificio della ditta Biagi a Pontecagnano e di quello della Società Agricola Salernitana a Battipaglia, fuintrodotta, dopo gli studi e le sperimentazioni condotte dal professor Leonardo Angeloni presso ilRegio Istituto Sperimentale per la coltivazione dei tabacchi di Scafati, la lavorazione del tabacco Kentucky pressato forzato. Dopo diversi cambi di proprietà e alterne vicende, dovute anche alla crisi generalizzata del settore, i manufatti sono attualmente in disuso e versano in uno stato diabbandono e di avanzato degrado, ma costituiscono ancora oggi un’interessante rete di opifici che presentano un carattere unitario e sono espressione diun complesso di archeologia industriale ricco di potenzialità di riuso. La riconversione di tale patrimonio deve necessariamente basarsi sudi un’attenta analisi delle caratteristiche costruttive, tipologiche,architettoniche, funzionali e spaziali dei manufatti, finalizzata alla conoscenza fisica dell’oggetto e alla valutazione della capacità dello stesso ad accogliere nuove funzioni. Il presente contributonasce da uno studio relativo Tabacchificio Fortunato Farina di Battipaglia, uno dei primi realizzati nella piana del Sele, che, ampliato in diverse fasi e gravemente danneggiato durante laSeconda guerra mondiale, fu dismesso nel 1970 e dichiarato, nel 2007, bene di interesse storico artistico.
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Laura Severi Gli zuccherifici dell’Italia centro-meridionale.
L’industria saccarifera italiana nasce alla fine del 1800, dopo circa un secolo di tentativi dislocati lungo il territorio nazionale, grazie all’esperienza positiva dell’imprenditore svizzero Emilio Maraini a Rieti che fa da traino all’avvio di un settore produttivo che nei primi anni del nuovo secolo trova terreno fertile e si sviluppa rapidamente, parzialmente nel Centro Italia e in maggior parte nelle regioni del Nord Est, Emilia Romagna e Veneto. Per i decenni successivi il baricentro dello zucchero è spostato verso nord, soltanto negli anni ’30 la politica autarchica promuove lo sviluppo industriale centro-meridionale, politica poi rafforzata nel secondo dopoguerra grazie alle agevolazioni date dai contributi della Cassa del Mezzogiorno. Con l’ingresso nel Mercato Comune Europeo la produzione saccarifera subisce forti contrazioni e quasi tutti gli stabilimenti italiani vengono chiusi, molti ad oggi sono stati demoliti. Nonostante l’industria dello zucchero, durante i suoi 130 anni di storia, sia stata prevalentemente centrata nelle regioni settentrionali, anche il Centro Sud ha ospitato realtà che hanno svolto un ruolo importante nel settore e nell’economia dei territori locali. Come nel resto d’Italia parte di questi stabilimenti sono stati demoliti, ma sussistono ancora fabbriche dismesse che richiedono un’approfondita conoscenza finalizzata ad interventi di salvaguardia del patrimonio. Il contributo si propone di riportare una ricognizione storica e geografica degli stabilimenti, demoliti ed esistenti, e di illustrare le caratteristiche spaziali e costruttive delle fabbriche dismesse rappresentative dei tre periodi di sviluppo dell’industria saccarifera centro-meridionale: i primi anni del 1900, gli anni ’30 e gli anni ’50, mettendo in evidenza l’evoluzione della costruzione per l’industria specificatamente per le finalità produttive degli zuccherifici.
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Anahita Oyarhossein Explaining the Values of traditional ice houses as an Example of Industrial Architecture in Iran’s Pre-industrial Society by Investigating the Concept of “Endowment” in Iranian urban Management System. Ice houses are considered as one of the most significant architectural structures in Iran, whose role as important industrial heritage has been forgotten.The traditional production of ice, which has been mostly used in hot and arid cities of Iran since 1970, has been totally dependent on ice houses as industrial units. Iranian ice houses, in addition to having technical and architectural values, are evidence of the socio-economic system of the Iranian society before industrialization.This research by explaining the values of traditional ice houses, tries to recognize the importance of industrial and productive aspects of these structures.One of the most important factors in the formation and development of these industrial heritage is their management system, which follows the concept of “endowment”laws.Public endowment was one of the main regulations in the development of Iranian cities, and many of the remarkable and valuable elements of urban architectural elements such as Qanats (subterranean canals),water reservoirs and ice houses were built on this principle without government intervention.In fact, this concept means “construction and development of facilities, urban infrastructure, or any architectural element needed by society, by people and for the people.”The aim of this research is to investigate the concept of public endowment in emerging, developing and managing traditional Iranian ice houses as important industrial heritage in the socio-economic system of Iranian cities.
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Angelo Giuseppe Landi Officine e reti del gas illuminante nel Regno Lombardo-Veneto: genesi e sviluppo di un patrimonio “fragile”.
Nel Regno Lombardo-Veneto le prime reti di distribuzione del gas illuminante furono realizzate a partire dal quarto decennio del XIX secolo: la realizzazione dell’officina, della ramificata rete di distribuzione e dei corpi illuminanti, rappresenta la prima occasione concreta in cui la città è dotata di un servizio a rete moderno, industriale. Nonostante i numerosi precedenti in ambito inglese, francese e tedesco, il dibattito pubblico, anche nel Regno Lombardo-Veneto, si articola tra la risoluzione di problemi tecnici (condizioni di pericolo, localizzazione delle officine, approvvigionamento dei combustibili, ...) ed il confronto su temi di natura sociale e politica (monopolio di imprese straniere, rapporto tra interesse pubblico e investimenti privati, ...). La complessità tecnologica di tali reti, ancora sconosciuta negli stati pre-unitari, fu nella maggior parte dei casi importata dalle stesse imprese estere, che lasciarono a qualificati ingegneri stranieri il compito della progettazione e costruzione delle officine del gas illuminante. La definizione della rete, in ogni singola città del Regno, rappresenta l’esito di un (estenuante) dibattito, locale e non, il cui esito determina la realizzazione delle strutture e la sottoscrizione di concessioni. L’esito delle trattative era poi influenzato dalle condizioni di contesto, laddove lo sviluppo repentino delle città capoluogo, l’Unificazione ed il perfezionamento tecnico, per citare alcuni temi principali, determinarono l’ampliamento della rete stessa o il fallimento di numerose società. Il paper si propone di analizzare e valutare le scelte tecniche e le strategie gestionali proposte dalle società del gas (straniere) in alcune città del Regno Lombardo-Veneto, definendo in primis i processi che hanno orientato la costruzione delle officine e delle reti: la tutela delle poche strutture superstiti, costruite nel XIX secolo al di fuori delle mura e poi inglobate nella città contemporanea (tanto da essere, a partire dagli Anni Ottanta, oggetto di interventi speculativi), passa di necessità attraverso un processo di conoscenza anche storica che ne individui valori e prerogative.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Musei e Strumenti per la valorizzazione del patrimonio industriale - ore 12:00 Coord: A. Monte Sala ENAIP 1 A. Ottanelli - MUSEO DELLA CARTA
Cartiera “Le Carte”
M. Ghirardi - FONDAZIONE CHIERESE PER IL TESSILE
Il Museo del tessile Chierese ed il suo territorio
F. Antoniol - STUDIO ASSOCIATO VIRGINIA, M. Biancardi, A.Tricoli - TEXTURE-SERVIZI INTEGRATI PER L’ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
Trentino Trasporti Archivio & Museo (TtrAM): una struttura integrata per la conoscenza e la valorizzazione della storia dei trasporti pubblici in Trentino A. Pinna - SERVIZIO MUSEI, ARCHIVI E BIBLIOTECHE DELLA REGIONE UMBRIA, M.M. Montella - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
Regione Umbria e AIPAI per la fruizione del patrimonio documentario V. Da Canal - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO
Il libretto del fabbricato industriale
T.A. Galiani - ITALIA NOSTRA PUGLIA
Alberobello: Lingua parlata e lingua scritta - Raccontare un borgo per valorizzare le sue specificità M.L. Venuta - MUSIL BRESCIA
Il quartiere di San Bartolomeo: un giacimento a cielo aperto
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Andrea Ottanelli Cartiera “Le Carte”
L’antico opificio, situato lungo il torrente Pescia, risale al 1712. Acquistato nel 1860 dai Magnani, cartaipesciatini attivi fin dal 1783, ha continuato a fabbricare carta “a mano” sino al 1992. La cartiera conserva intatti tutti gli impianti Sette –Otto e Primo Novecenteschiper la fabbricazione e l’allestimento.Nel 2003, grazie ad uno sponsor privato,la cartiera è stata donata all’Associazione Museo della Carta di Pescia Onlus che nel 2010 ne ha iniziato il restauro. Nel 2016 è stata inaugurata la prima ala che ospita l’Archivio Storico Magnani: 600 metri lineari di documenti notificati dalla competente soprintendenza nel 1978. Attualmente è in corso il restauro delle parti restanti. Dal 2008 è in corso la catalogazione, in collaborazione con l’Ufficio Catalogo di Firenze e l’ICCD di Roma, dei circa 7000 pezzi che compongono le collezioni: forme da carta, cere da filigrana, punzoni, timbri e teli. Si tratta della prima catalogazione in Italia con la sperimentazione, in particolare, della scheda PST. Nel novembre 2017 il Museo ha registrato l’antico marchio “Enrico Magnani Pescia” e ha promosso nel marzo 2018 la costituzione dell’Impresa Sociale Magnani Pescia Srl che riprenderà la produzione di carta fatta a mano filigranata potendo contare sull’utilizzo oneroso del marchio stesso. Il recupero complessivo di questo patrimonio materiale e immateriale è inserito nel progetto di sistema La Via della Carta della Toscana che vede compartecipare tutti i portatori di interesse, pubblici e privati, della province di Lucca e di Pistoia e del Distretto Cartario di Lucca, il più grande d’Europa.
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Mario Ghirardi Il Museo del tessile Chierese ed il suo territorio.
Telai, orditoi, strumenti di misurazione e peso, piante tintorie, libri, riviste, tesi di laurea, antichi e preziosi cataloghi di campionari e tavole di figurini acquerellati. Il Museo del Tessile di Chieri fondato nel 1996 si distingue per le ricche collezioni di attrezzature e strumentazioni, che ripercorrono dal Medioevo al Novecento l’evoluzione tecnica di quel settore industriale che diede fama e ricchezza alla città per ben sei secoli. Importanti sono anche gli archivi, ricchi di spunti e documenti per l’approfondimento e lo studio, documenti che servono a comprendere la storia del tessile nel Chierese e che costituiscono un intelligente stimolo per lo sviluppo di tutto il comparto. La sede principale si trova nel pieno centro di Chieri, in via Demaria 10 angolo via Santa Clara, nei locali del quattrocentesco convento delle Clarisse; un’altra sede è nel ristrutturato edificio dell’ex fabbrica dell’Imbiancheria, caratterizzata da un’alta ciminiera. Nel 2018 la Fondazione ha affiancato alle attività tradizionalmente svolte dalla quarantina di suoi volontari (recupero e restauro di telai storici, visite guidate alle collezioni, attività didattica nelle scuole, conservazione e catalogazione dei beni, ricerche storiche) la Sartoria Sociale che offre lavoro a giovani neodiplomati del settore moda e abbigliamento e organizza corsi di cucito e taglio aperti a tutti con il coinvolgimento di associazioni, istituti scolastici e centri dei servizi socio assistenziali. In parallelo si svolgono corsi per la tintura naturale dei tessuti, grazie anche alla creazione di un orto botanico specializzato nella coltivazione delle piante tintorie. L’antica cappella del convento è stata trasformata in sala espositiva dei prodotti della Sartoria Sociale, dell’orto botanico e in sala mostre e conferenze. I visitatori sono accolti all’esterno da un’originalissima ‘Porta del Tessile’ creata con i tessuti delle aziende locali.
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Francesco Antoniol, Michela Biancardi, Alessandro Tricoli Trentino Trasporti Archivio & Museo (TtrAM): una struttura integrata per la conoscenza e la valorizzazione della storia dei trasporti pubblici in Trentino.
Inaugurato a Trento nel dicembre del 2015, Trentino Trasporti Archivio & Museo (TtrAM) è una struttura destinata alla conoscenza e alla valorizzazione della storia dei trasporti pubblici del Trentino. Lo spazio rappresenta la conclusione di un percorso iniziato nell’agosto del 2012, quando Trentino Trasporti spa e l’allora Sovrintendenza ai Beni Artistici, Storici e Culturali della Provincia Autonoma di Trento avevano firmato un protocollo d’intesa per la valorizzazione dell’archivio storico della società. Situata all’interno della sede principale di Trentino Trasporti spa (nata nel novembre del 2002 dalla fusione delle due storiche società di trasporto pubblico della provincia di Trento: Ferrovia Trento Malè, fondata nel 1905, e Atesina, fondata nel 1922), TtrAM si configura come uno spazio polifunzionale organizzato in quattro distinte aree: - l’area espositiva, dove vengono presentati al pubblico numerosi materiali, anche provenienti da collezioni private, legati alla storia del trasporto locale in Trentino; - l’archivio storico, che raccoglie la documentazione delle società di trasporto Ferrovia Trento-Malé e Atesina;la sala consultazione, spazio di supporto dell’archivio storico dove è possibile dedicarsi allo studio del materiale documentario; - la sala corsi e conferenze, all’occorrenza convertibile in uno spazio per mostre temporanee. A completamento del percorso museale, l’allestimento prosegue, in esterno, con l’esposizione di strutture e mezzi d’epoca relativi al trasporto su ferro e su gomma. La parte scientifica, archivistica e museologica sono state curate dallo Studio Associato Virginia, l’allestimento dello spazio interno è stato progettato dal gruppo Texture - Servizi Integrati per l’Archeologia Industriale, mentre la realizzazione grafica da Akei.
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Antonella Pinna, Marta Maria Montella Regione Umbria e AIPAI per la fruizione del patrimonio documentario.
La Regione Umbria ha avviato da tempo un’attività di conoscenza e valorizzazione dei siti di archeologia industriale, riconoscendone l’importanza per la cultura e per lo sviluppo del territorio e di tale lavoro è stata data anche evidenza con la pubblicazione di diversi volumi all’interno della collana “Catalogo regionale dei beni culturali dell’Umbria”. La verifica della consistenza del patrimonio documentario relativo ai beni di archeologia industriale nella regione è stato oggetto di uno studio approfondito realizzato con la collaborazione scientifica dell’Associazione Italia per il Patrimonio Archeologico Industriale (AIPAI), che ha consentito di costruire un sistematico database delle conoscenze finora acquisite, presupposto imprescindibile per progettare e realizzare attività di tutela, conservazione e valorizzazione di tale patrimonio. Il Report è consultabile nel sito istituzionale (http://www.regione.umbria. it/cultura/archeologia-industriale) mentre, grazie alla sistematizzazione degli studi e delle ricerche ad oggi svolti, si apre alla fruizione pubblica l’archivio cartaceo del patrimonio documentario di archeologia industriale della Regione Umbria. La collaborazione scientifica con AIPAI, permetterà inoltre di proseguire l’attività di aggiornamento del database e l’individuazione di possibili itinerari di archeologia industriale, reali o virtuali, che potranno essere proposti a studiosi e cittadini anche attraverso il portale regionale www.umbriacultura.it.
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Valerio Da Canal Il libretto del fabbricato industriale.
La ricerca riguarda principalmente l’edilizia esistente, in particolare lo studio di nuovi metodi per poter approfondire adeguatamente le conoscenze edilizie, urbane e territoriali indispensabili per poter pianificare e progettare correttamente la rigenerazione edilizia e urbana.AbstractE’ stato bello finché è durato, questo potrebbe essere lo slogan che sintetizza in modo eloquente il ruolo ormai ricoperto dalle molte aree industriali dismesse. Con questa affermazione si vuole manifestare apertamente l’immenso vuoto che hanno lasciato le aree industriali all’interno del tessuto territoriale e urbano. Le varie fasi industriali hanno di fatti impresso dei segni indelebili all’interno di molte città, che inevitabilmente caratterizzano e regolano il loro futuro sviluppo.Oltre all’impronta fisica lasciata sul territorio, questi vuoti si possono però leggere anche da un punto di vista conoscitivo. Con l’obiettivo quindi di prevedere una futura riconversione delle aree industriali e una loro necessaria ri annessione all’interno delle città,risulta essenziale incrementare le informazioni che le caratterizzano,salvaguardando il loro contenuto culturale e storico.Per coprire il lungo percorso di conoscenza necessario per ottenere una reale rinascita di queste aree, appare utile adottare uno strumento già proposto per l’edilizia ordinaria, cioè illibretto del fabbricato.In questo approfondimento in particolare si vuole proporre una soluzione possibile per avviare l’approntamento di un nuovo strumento specifico, interdisciplinare e multi scala come il libretto del fabbricato industriale.Lo scopo che si vuole raggiungere è di fornire nuovi strumenti utili a gestire la situazione dei patrimoni industriali esistenti e dismessi, attraverso una necessaria condivisione di interessi tra i vari soggetti coinvolti nei processi di rigenerazione delle città.
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Tommaso Adriano Galiani Alberobello: Lingua parlata e lingua scritta. Raccontare un borgo per valorizzare le sue specificità.
Nell’assetto urbano alberobellese, la capacità architettonica contadina ha concorso a definire gli ormai noti spazi comuni con le sue tecniche tradizionali, i suoi valori, le specifiche declinazioni della spazialità; la lingua colta ha invece tentato di creare un legame con fenomeni culturali nazionali, grazie all’influenza di stili condivisibili. Il rapporto tra linguaggio architettonico dialettale e nazionale è essenziale per definire in una diversa chiave di lettura l’originale spazio urbano di condivisione che si è venuto a creare sul finire dell’Ottocento e nel primo Novecento anche nella progettualità imprenditoriale. A seguito dell’epidemia di filossera e peronospora che aveva attaccato la Francia fu stipulato un accordo commerciale che, dal 1863, diede impulso alla produzione enologica. Tutto ciò non comportò un’accelerazione nella costruzione delle Ferrovie del Sud-Est barese, aspetto che arrestò l’affermazione di un’agricoltura su base industriale. È per questo che il valore di ogni simbolo scultoreo otto-noveventesco ritrovato su opifici, magazzini e palazzi con funzione commerciale, sia esso apotropaico, religioso, borghese o massonico - riscoperti solo recentemente grazie a studi appena pubblicati - andrebbe raccontato. Perché il limitante concetto di “locale”, nel suo essere proteiforme e contestualizzato, perde di forza nel momento in cui ci si rende conto che non può prescindere da un “globale” e dalla sua complessa storicizzazione.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Bilanci, esperienze e proposte per gli archivi d’impresa - ore 10:00 Coord: G. Bonfiglio-Dosio, C. Lussana Sala ENAIP 2 M. Bianco, R. Cosentino - ACTAPROGETTI SRL
Gli archivi del tessile e della moda. Particolarità, difficoltà archivistiche, importanza per l’imprenditoria C. D’Angelo - FONDAZIONE FASHION RESEARCH ITALY
Ripopolare e reinterpretare le strutture produttive con il patrimonio archivistico E. Todde - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Nuovi progetti per la valorizzazione del patrimonio archivistico delle miniere in Sardegna I. Zilli - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE, C. Damiani FONDAZIONE BANCO NAPOLI–ARCHIVIO STORICO
L’Archivio Storico del Banco di Napoli e il “Progetto Cartastorie” come esempio di valorizzazione della storia produttiva di un territorio N. Valente - MEMORIA SRL
La Sartoria Litrico: il potere dell’eleganza C. Lussana - FONDAZIONE DALMINE, MUSEIMPRESA
Cultura industriale, archivi, heritage, company town: l’esperienza della Fondazione Dalmine
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Marinella Bianco, Rosanna Cosentino Gli archivi del tessile e della moda. Particolarità, difficoltà archivistiche, importanza per l’imprenditoria.
Gli archivi del tessile e della moda. Particolarità, difficoltà archivistiche, importanza per l’imprenditoria.La nostra società si occupa di archivi del tessile e della moda da un decennio circa. Tutto iniziò con un censimento di oltre 100 archivi di aziende tessili biellesi e continuò con il censimento delle aziende tessili chieresi all’interno del progetto Archivi della moda del 900 di ANAI nazionale e anche per il Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo e per la Regione Piemonte. Questo diede origine al Centro Rete Biellese degli archivi del tessile e della moda, poiché la scoperta di un patrimonio ricchissimo emerso per il 50% grazie ai censimenti ci ha portati a voler creare una rete tematica in un progetto unico nel suo genere. La seconda fase del percorso biellese vide i riordini degli archivi di 7 aziende, ognuna diversa dalle altre e quindi con varie problematicità: Cappellificio Cervo (che conserva archivio in senso stretto, pubblicità, macchinari, modelli in carta velina, fotografie); Liabel (archivio del prodotto), Tallia di Delfino e Guabello di Marzotto, Vitale Barberis Canonico, Botto Giuseppe, Tollegno 1900(lanifici).A seguire ci siamo occupati a Chieri dell’archivio del Cotonificio ex Tabasso e della tessitura Pertile e successivamente dell’archivio Frette di Monza (BM) e dell’archivio Lanerossi di Schio (VI). Le catalogazioni di materiali eterogenei quali tessili, messe in carta, prodotto, macchinari e altro hanno rappresentato una prima difficoltà da affrontare; la seconda ha riguardato la ricostruzione delle serie tipologiche secondo la loro formazione a partire da miscellanee di carte sciolte conservate in scatoloni; la terza è consistita nella scelta del materiale da digitalizzare e del metodo di valorizzazione. Il lavoro di inventariazione deve anche considerare quanto possa essere utile per la comunicazione della storia aziendale. Per le aziende ancora in attività, infatti, la costruzione del brand heritage è un asset importante: difende l’azienda dal mercato globale, affascina i clienti e li rende sicuri delle scelte, inorgoglisce i dipendenti, contribuisce al consolidamento del patrimonio culturale nazionale. L’heritage aziendale deve necessariamente basarsi sulle carte di archivio che certificano l’eccellenza scaturita dal know-how secolare senza mai essere cedere alla nostalgia del passato.
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Claudia D’Angelo Ripopolare e reinterpretare le strutture produttive con il patrimonio archivistico.
Nel contesto culturale che vede recentemente al centro del dibattito archivistico le imprese di moda, si registra un certo fermento attorno al concetto di Brand Heritage. Locuzione straniera che rivela radici profondamente familiari, legati, come siamo, ad un patrimonio artistico e culturale profondamente connotato che, nel corso del ’900, ha funzionato da volano creativo per l’intero comparto manifatturiero della moda. Il panorama industriale italiano, infatti, vanta un numero significativo di imprese del settore che si sono rivelate strategiche, non solo in termini di fatturato, ma anche per precisi investimenti di natura culturale che, sempre più, collimano con il sistema archivistico italiano. Sul territorio emiliano-romagnolo, spicca il caso della Fondazione Fashion Research Italy voluta dal presidente Alberto Masotti –già patron del gruppo La Perla – per sostenere le attività delle piccole e medie imprese attraverso una serie di iniziative concrete, tra cui un programma di sensibilizzazione alla cultura d’archivio che si avvale anche di importanti momenti formativi. A dimostrare la lungimiranza di questi intenti, è la sede stessa della Fondazione bolognese: gli spazi della ex sede produttiva del già citato leader della lingerie di lusso, infatti,sono stati riconvertiti in un polo tecnologico per ospitare al meglio il Fondo Renzo Brandone, archivio d’impresa acquisito nel 2015 che vanta un patrimonio di più di 30.000 disegni tessili su carta e su tessuto, nuovamente restituito a creativi e aziende. Un esempio virtuoso in cui la valorizzazione del patrimonio industriale scorre su due piani distinti, ma comunicanti: da un lato il recupero di un importante edificio industriale, dall’altro la valorizzazione di un suo prodotto, un archivio d’impresa catalogato, riordinato e completamente digitalizzato per ritornare protagonista della filiera produttiva.
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Eleonora Todde Nuovi progetti per la valorizzazione del patrimonio archivistico delle miniere in Sardegna.
L’attività estrattiva in Sardegna si è protratta senza soluzione di continuità dall’inizio del XIX secolo fino ai primi anni Novanta del Novecento. La storia della “rivoluzione industriale”sarda è ben testimoniata dall’ingente patrimonio documentario sia delle società esercenti,che hanno gestito gli aspetti produttivi e organizzativi del comparto estrattivo,che del Distretto Minerario, ente statale periferico del Corpo Reale delle Miniere, che si occupava di concessioni e polizia mineraria.Questo patrimonio, inizialmente conservato presso gli stabilimenti industriali ormai dismessi, ha visto crescere negli anni un’interessante attività di recupero e valorizzazione. Si è preliminarmente privilegiato la formazione di diversi poli conservazione, nell’ottica del recupero e salvaguardia della documentazione, in prospettiva della realizzazione di un Archivio di Concentrazione Minerario, che ad oggi non è stato istituito. Purtroppo le travagliate vicende conservative e la poca lungimiranza degli enti coinvolti ha portato ad una frammentazione del patrimonio; i vari fondi archivistici risultano quindi suddivisi in diverse sedi, a dispetto della tradizione che vede privilegiata la sedimentazione archivistica per soggetto produttore.Ci si è successivamente dedicati all’aspetto della valorizzazione degli archivi con mostre e seminari divulgativi, oltre a progetti di ricerca accademici tesi allo studio di aspetti peculiari della storia mineraria sarda (ad esempio la nascita dei villaggi e degli ospedali minerari) e alla creazione di portali descrittivi (SISMA-Sistema Informativo Storico Minerario Archivistico).Il presente contributo pone l’attenzione sui progetti di studio e valorizzazione del patrimonio archivistico delle miniere sarde portati avanti negli ultimi anni dal Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, in collaborazione con la Soprintendenza Archivistica della Sardegna.
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Ilaria Zilli, Concetta Damiani L’Archivio Storico del Banco di Napoli e il “Progetto Cartastorie” come esempio di valorizzazione della storia produttiva di un territorio.
L’Archivio storico del Banco di Napoli è uno dei complessi documentari più ricchi, e fino ad oggi poco conosciuti al di fuori di una ristretta cerchia di addetti ai lavori, relativi all’economia del Mezzogiorno, dall’età moderna ad oggi. Ottanta chilometri di scaffali lo rendono infatti il più grande archivio storico bancario del mondo e i pagamenti effettuati dal 1573 ad oggi dagli antichi banchi contengono una miniera di informazioni che consentono di delineare i tratti delle attività produttive della Capitale e del Regno. Negli ultimi anni l’archivio - al fianco delle classiche attività scientificogestionali -ha trovato una nuova ed originale forma di comunicazione con la realizzazione del progetto IlCartastorie, ideato per valorizzare anche a fini didattici il patrimonio documentale, con la tecnica del digital storytelling. All’interno dei locali di deposito dell’Archivio è stato quindi creato un Museo virtuale di grande suggestione, che racconta appunto le storie della città, dei suoi artisti, dei suoi artigiani attraverso un suggestivo mix di immagini, suoni e narrazioni. La sfida è stata quella di realizzare una strategia complessiva di conoscenza e tradurne la specifica visione in iniziative capaci di avvicinare i comuni cittadini alle carte e di favorire l’acquisizione di una memoria-identità. Lo spazio museale viene costantemente vivacizzato attraverso eventi teatrali, musicali, letterari prevalentemente ispirati dalle storie evocate dalle carte dell’Archivio, ma che si avvalgono anche della forte suggestione determinata dal luogo in cui si svolgono. Il paper racconta del Progetto e dei suoi risultati, evidenziandone la capacità di valorizzazione di un patrimonio culturale fino a poco tempo fa ignorato dalla città e dal territorio.
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Nicoletta Valente La Sartoria Litrico: il potere dell’eleganza
La Maison Litrico nasce a Roma negli anni Cinquanta grazie al talento del catanese Angelo Litrico, giunto nella capitale pienod’entusiasmo e creatività. Inizia la sua attività come apprendistanell’Atelier Marinelli del quale diviene proprietarioin pochissimo tempo.Litrico è il primo aorganizzare sfilate maschili eabbinare modelli da uomo con capi femminili presentati alle grandi case di moda nel 1950. Il successo, nazionale e internazionale,è quasi immediato, gli verrà richiesto di vestire: Giacomo Manzù, Renato Guttuso, Salvatore Quasimodo, Richard Burton, Vittorio Gassman, John FitzgeraldKennedy, Tito,Sandro Pertini, re Hussein,Richard Milhous Nixon,Nikita Krusciov, solo per citarne alcuni,con quel suo stile unico, fatto di dettagli e piaceri al tatto dovuto alla scelta delle pregiatissime stoffe.L’attività prosegue oggi con Luca Litrico,primogenito di Franco(fratello di Angelo), sensibile e attento alla conservazione e valorizzazione del patrimonio materiale e immateriale della maisonLitricoa partire dall’Archivio composto da due fondi, uno relativo all’opera dei fratelli Litrico e l’altro della creatrice di moda Clara Centinaro, acquisito nel 1993. L’intero patrimonio archivistico è composto da circa9700 unità di cui: 70 abiti, 5000 bozzetti, 100 premi, 46 albumcon ritagli di stampa nazionale e internazionale, 3000 fotografie, 65 video, 5 cassette audio, a cui si aggiungono alcunimodelli di macchine per cucine, ferri da stiro e altri oggetti utilizzati nell’attività della sartoria.Attualmente è in corso un progetto di ricostruzioneattraverso un attento studio, supportato dai racconti e dalle memorie di Luca Litrico,dell’atmosfera della sartoria,delle attività svolte dai collaboratori,delle fasi dicreazione e realizzazione dei modelli, avvolti in una coltrenube di fumo, già perché in sartoriaera assolutamente normale tagliare e cucire con una sigaretta in bocca.Il prossimo progetto sarà quello di dedicare a questa prestigiosa sartoria di famiglia una mostrache racconti la storia di un’eccellenza della moda maschile conosciuta in tutto il mondo.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Il patrimonio industriale nella rigenerazione urbana e territoriale 1 - ore 10:00 Coord: C. Natoli Sala della Biblioteca M. Ramello - ARCHITETTO
Conoscere per conservare. Progettare la rigenerazione E. Ranucci - INGEGNERE, M. Russo, L. Severi, E. Tomassini SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
L’ex cartiera Amicucci-Parmegiani a Tivoli: strategie progettuali per la valorizzare del patrimonio industriale e paesaggistico A. Oldani - POLITECNICO DI MILANO
Strategie e metodi per la rigenerazione urbana e territoriale dei paesaggi della produzione. Esperienze di “Research by design” a Bergamo e Magenta (MI) E. Bascherini - UNIVERSITÀ DI PISA
Il recupero e la riqualificazione del complesso industriale dell’ex polverificio Sipe Nobel in Forte dei Marmi S. Dassi - SEGRETARIO REGIONALE DEL MIBAC PER IL PIEMONTE
Andare oltre. Studi d’artista. I “luoghi di produzione dell’Arte” A. Camesasca - MEMBRO DI GIUNTA DELEGATO AL TURISMO CAMERA DI COMMERCIO DI COMO
L’Ecofrazione di Baggero: un nuovo modo di riqualificare, progettare e vivere gli spazi
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Elettra Ranucci, Martina Russo, Laura Severi, Eleonora Tomassini L’ex cartiera Amicucci-Parmegiani a Tivoli: strategie progettuali per la valorizzare del patrimonio industriale e paesaggistico.
Il territorio di Tivoli può essere considerato uno dei distretti industriali cartari principali del Lazio per ricchezza e storia, costituito da un sistema di beni industriali oggi patrimonio sorti già a partire del XV secolo attorno al fiume Aniene. La cartiera Amicucci-Parmegiani si inserisce nel contesto di un’area archeologica sottoposta a vincoli paesaggistici, nel quale si possono leggere i segni del passato della città, sia antecedente che posteriore al processo di industrializzazione. Nell’ottica del recupero delle singole costruzioni e della tutela del sistema è necessario ricercare approcci progettuali compatibili sia rispetto alle esigenze funzionali e prestazionali dei beni edilizi sia rispetto al contesto storico paesaggistico nel quale si inseriscono. L’articolo è una sintesi del lavoro di ricerca svolto nell’ambito del laboratorio di tesi di laurea in “Progetti per la ristrutturazione e il risanamento edilizio” del prof. Edoardo Currà (corso di laurea in Ingegneria Edile - Architettura UE). La ricerca vuole contribuire alla documentazione dei caratteri di una delle cartiere che interessano il territorio di Tivoli, attraverso la descrizione della fabbrica, delle sue fasi costruttive e la lettura della relazione con il paesaggio circostante. In particolare, sarà messa in evidenza la necessità di un approccio progettuale che tenga in considerazione, accanto al valore storico della cartiera, il contesto paesaggistico nel quale si inserisce, coniugando la valorizzazione delle stratificazioni storiche del sito, le relazioni con il centro storico e la conservazione della memoria del lavoro.
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Andrea Oldani Strategie e metodi per la rigenerazione urbana e territoriale dei paesaggi della produzione. Esperienze di “Research by design” a Bergamo e Magenta (MI).
ll contributo intende porre all’attenzione del convegno gli aspetti teorici, metodologici e gli esiti sperimentali di due esperienze di “research by design” condotte a Bergamo e Magenta(Mi) nel corso della ricerca PRIN“Re-Cycle Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio”.I due casi riguardano il tema della rigenerazione urbana e territoriale dei paesaggi della produzione, e li esplorano a partire da due ambiti di studio distinti ma comparabili che si pongono come campioni esemplificativi di dinamiche di dismissione relative a situazioni urbane che, pur partecipi della grande conurbazione milanese, costituiscono realtà autonome nel costruire importanti nodi di transizione verso la dimensione territoriale locale. Il primo caso, a Bergamo, assume il problema del recupero di un sito industriale dismesso e della rigenerazione di una vasta fascia periurbana a partire dalla necessità di individuare nuovi possibili criteri per il riciclo del patrimonio esistente, la rimessa a sistema di una serie di spazi di risulta, l’individuazione di strategie di rigenerazione paesaggistica,in grado di far corrispondere la richiesta di qualità degli spazi con esigenze di natura ecologica, economica e temporale. Il settore di studio pone all’attenzione del progetto la necessità di escludere previsioni progettuali compiute in favore di processi aperti, in grado di avviarsi con risorse minime e di auto integrarsi e completarsi nel tempo secondo un criterio incrementale di sperimentazione, addizione e verifica. Il Nucleo Minimo di Riciclo (N.M.R.), una micro integrazione architettonica sostenibile, economica e autosufficiente costituisce la realtà in grado di impostare un processo rigenerativo sperimentale capace di completarsi nel tempo attraverso una ri-verifica periodica delle premesse, delle azioni e degli effetti. Questa logica viene applicata anche al secondo caso studio che riguarda il tema delle Company Towns e tenta una soluzione in favore di nuove forme della produzione a seguito della crisi e dismissione dell’azienda S.A.F.F.A. che diede origine al nucleo urbano di Ponte Nuovo di Magenta. La comprensione del valore delle parti, lo studio del territorio e delle sue dinamiche,oltre che la messa a sistema delle questioni riguardanti le nuove possibili forme d’uso e la loro logistica, permettono la definizione di un processo rigenerativo aperto a partire dall’insediamento dei N.M.R. come premessa essenziale per l’avvio di un percorso incrementale, aperto, implementabile, verificabile. La ricerca dimostra come sia possibile la fuoriuscita dai limiti imposti dai procedimenti di rigenerazione standardizzati ai fini della innovazione e sperimentazione tramite progetti pilota.
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Enrico Bascherini Il recupero e la riqualificazione del complesso industriale dell’ex polverificio Sipe Nobel in Forte dei Marmi
La Versilia, come sappiamo è terra di villeggiatura, di mare, di divertimento, con le sue cittadine turistiche ed artistiche, a Pietrasanta con le sue caratteristiche botteghe e gallerie d’arte, ai numerosissimi depositi marmorei, alle tipiche statue astratte sparse per le città, allo scenario di fondo caratterizzato dalle Alpi apuane., A fronte di questo preponderante aspetto turistico, proprio a Forte dei Marmi, nei primi decenni del 900, sorgeva il polverificio più grande e più importante di tutta la Toscana, se non addirittura di tutta Italia. Questo enorme stabilimento ( SIPE NOBEL) specializzato nella produzione di proiettili e bombe, attivissimo durante la prima guerra mondiale, e smantellato completamente alla fine di questa, dalle cui ceneri è successivamente sorta la cittadina di Vittoria Apuana. L’intera struttura costituita da grandi copri di fabbrica, è leggibile attraverso diversi edifici collabenti, ed in particolar modo risultano ben definite le vecchie strutture atte al deposito delle polveri esplodenti. Nonostante questi edifici appaiano come ruderi malmessi, mostrano ancora la loro particolare forma, donatagli dal grosso spessore murario delle pareti laterali ed una particolare forma austera ed affascinante allo stesso tempo. La vastissima area, di circa 150.000 metri quadri, è per lo più occupata da campo agricolo: le strutture esistenti sono quindi immerse in tutto questo enorme spazio aperto. L’intervento di recupero e ristrutturazione, nonché di rigenerazione urbana, è finalizzato a creare un’area nella quale edifici e spazi verdi siano ben interconnessi tra di loro, senza alterarne questo rapporto preesistente.
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Stefania Dassi con Francesca Sernia Andare oltre. Studi d’artista. I “luoghi di produzione dell’Arte”.
Le aree ai margini, dove il patrimonio industriale dismesso è una presenza “muta” e ingombrante, rappresentano autentiche occasioni per andare oltre, ponendole al centro di un confronto obiettivo, libero da pregiudizi. Ma ancor più esse devono costituire una opportunità per coloro che ci vivono, troppo spesso emarginati da chi, da “fuori”, si erge a giudice implacabile di negatività certamente presenti, ma affrontabili. La rigenerazione può avvenire pianificando per queste aree una trasformazione che risponda ai bisogni di una comunità che, pur segnata da criticità evidenti, sia posta nelle condizioni di sfruttare le proprie potenzialità per far crescere il benessere di tutti secondo interessi comuni, attraverso il coinvolgimento attivo lungo tutto il processo di chi questi luoghi le vive. La sfida sarà vinta solo se i beneficiari di tale rigenerazione saranno in primis i protagonisti della quotidianità, a cui potrà far seguito il richiamo di tutti coloro che sapranno andare oltre i propri limiti e confini, così che non ci siano barriere ma solo percorsi liberi.Gli artisti da sempre partecipano della vita della comunità e i loro studi sono luoghi di produzione dell’arte che per vocazione vanno ad insediarsi dove in passato ci sia già stata “produzione”. A Torino il progetto del MiBAC/SR-PIE, Circuito Studi d’Artista quest’anno è andato proprio a intercettare l’attività creativa che si svolge nella periferia al di là del fiume Dora, ove è fortemente presente un patrimonio industriale che in un recente passato è stato l’anima di quei quartieri. Per un futuro di ri-generazione, già iniziato, che porti alla diffusione della conoscenza della trasformazione e a una partecipazione sempre più ampia, questi luoghi animati dagli artisti concorrono all’evoluzione del processo evolutivo contemporaneo.
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Andrea Camesasca L’Ecofrazione di Baggero: un nuovo modo di riqualificare, progettare e vivere gli spazi
La frazione di Baggero di Merone rappresenta un’area di antica formazione, posta tra le province di Como e Lecco nell’alta Brianza . Area d’ importante pregio ambientale, in quanto caratterizzata da suggestive anse del fiume Lambro e delle sue rogge, notevoli aree verdi incontaminate e sinuosi campi agricoli ancor oggi coltivati. Originariamente questa frazione fu sede sia di rilevanti attività agricole ed opifici grazie al prospero fiume Lambro. Con lo sviluppo economico queste importanti risorse naturali vennero assorbite dai frenetici processi industriali, fino a trasformare l’area in un grande serbatoio di risorse per l’industria: nacque così una cava mineraria al servizio della cementeria, le cascine vennero abbandonate, molte aree verdi vennero trasformate e, sulle anse del fiume, al posto delle attività artigianali, si crearono nuove industrie, una fra tutte la ex Speri, dove si produceva finta pelle. Oggi siamo di fronte alla necessità di riqualificare l’area e reperire nuove soluzioni per rilanciarla, dopo anni di abbandono. Nasce così l’idea dell’ECOFRAZIONE DI BAGGERO, ovvero ripensare l’intera frazione in chiave ecosostenibile, creando sinergie e reti di servizi e strutture al servizio della tutela ambientale e della promozione del territorio. Un tassello importante per chiudere il cerchio della riqualificazione è costituito dall’area ex speri, ovvero di una grande azienda dismessa, che necessita una riqualificazione importante e in linea con il contesto sopraccitato. I patners dell’Ecofrazione di Baggero hanno investito importanti capitali catalizzando una cifra superiore i 20 milioni di Euro, esempi sono: Riqualificazione stazione di Merone – Tre Nord Produzione di Biogas ed copertura innovativa vasche – Asil Ecomuseo dei Mulini, hotel in classe A – Il Corazziere srl Hotel in classe A – Il Corazziere srl Piazzola ecologica – Comune di Merone Ecoostello – ParcoValle Lambro Percorsi del Lambro – Parco Valle Lambro.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Il patrimonio industriale nella rigenerazione urbana e territoriale 2 - ore 12:00 Coord: M. Ramello Sala della Biblioteca M. Preite - TICCIH
Fabbriche recuperate: patrimonio industriale e progetto di architettura in Italia 1993 - 2018 C. Natoli - SOPRINTENDENZA ABAP TORINO, SOPRINTENDENZA ABAP NOVARA
Criticità e sostenibilità della rigenerazione fra conservazione e progettazione. Casi a confronto S. De Maestri - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
La centrale termoelettrica del porto di Genova, per una riqualificazione urbana A. Massarente, M. Suppa - UNIVERSITÀ DI FERRARA, C. Vullo - ARCHITETTO
Ritratto di Alc.Este. Processi di rigenerazione di un’area industriale dismessa S. Capone - GIÀ SINDACO E DEPUTATO, R. Covino UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA, A. Monte - CNR-IBAM, A. Romano - PROJECT MANAGER
Dal processo di patrimonializzazione alla rigenerazione urbana: il caso della distilleria Nicola De Giorgi a San Cesario di Lecce M. Ugolini, C. Gallizioli - POLITECNICO DI MILANO
Da fabbrica a caserma, da caserma a città. L’area ex Innocenti a Rubattino, Milano E. Currà - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA, R.M. Villani - IPZS SPA
La Zecca dello Stato: fabbrica, scuola e palazzo nel cuore della capitale del Regno
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Massimo Preite Fabbriche recuperate: patrimonio industriale e progetto di architettura in Italia 1993 - 2018.
Il patrimonio industriale ha svolto e continua a svolgere un ruolo centrale nei processi di rigenerazione urbana e di rivitalizzazione delle città. In Italia già da tempo le forze migliori dell’architettura contemporanea risultano impegnate nella riconversione degli spazi industriali dismessi a nuove funzioni urbane di eccellenza. Negli ultimi 25 anni, fra il 1993 (anno in cui si inaugura un nuovo auditorium all’interno dell’ex stabilimento Fiat di Lingotto a Torino) e il 2018, si moltiplicano gli interventi di trasformazione delle vecchie fabbriche in poli dell’innovazione, musei, università, centri espositivi, biblioteche, sedi di grandi stilisti, ecc. Le esperienze di riconversione che saranno presentate sono state selezionate in modo da mettere in luce due aspetti fondamentali del riuso del patrimonio industriale in Italia. Il primo aspetto riguarda la valutazione degli effetti urbanistici del riuso industriale: è facilmente dimostrabile che essi sono apprezzabili solo valutando l’insieme dei progetti, più che il progetto singolo, in quanto è il loro amalgama che innesca i processi di rigenerazione urbana in atto; a questo fine saranno esaminati alcuni quartieri industriali, all’interno di città italiane come Torino, Milano, Roma e Venezia, dove il riuso degli spazi industriali, per quanto risultato di in una somma di eventi occasionali, si traduce di fatto in vera e propria forza sistemica in grado di promuovere la rinascita di pezzi cospicui di città. Il secondo aspetto da rilevare riguarda invece il fatto che gli interventi realizzati si ispirano a strategie diverse di adattamento degli spazi industriali dismessi a nuove funzioni diverse da quelle per cui furono originariamente concepiti. Dall’insieme dei casi analizzati, si possono enucleare almeno tre strategie distinte: - nella prima, l’obiettivo della conservazione del manufatto architettonico è prioritario rispetto alle altre scelte di progettazione; in tal caso il progetto sviluppa soluzioni pienamente rispettose della configurazione morfologica e volumetrica dell’edificio, limitando al massimo le trasformazioni adattive; - nella seconda, il progetta sviluppa soluzioni che, pur contenute entro la sagoma volumetrica dell’edificio industriale, ne modificano l’articolazione interna e le partiture esterne, anche con l’impiego di materiali diversi dagli originali; - nella terza, il progetto prevede la creazione di nuove volumetrie che si aggregano agli edifici industriali preesistenti, in taluni casi obbedendo alle regole compositive del già costruito, in altri con deliberate trasgressioni che operano inedite contaminazioni tra nuova architettura e antichi luoghi di produzione.
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Sara De Maestri La Centrale termoelettrica del Porto di Genova, per una riqualificazione urbana.
La Centrale termoelettrica del Porto fu costruita a Genova sotto la Lanterna, alla radice dei moli San Giorgio e Idroscalo, dalla Società Anonima “CONSORZIO CENTRALI TERMICHE”(CONCENTER) nel 1929 per favorire lo sviluppo delle attività industriali e portuali della ‘Grande Genova’, una città in forte espansione. L’impianto, che rimane perfettamente funzionante fino al 2016 e alla definitiva chiusura nel 2017, costituisce una testimonianza particolarmente significativa di quello che era la città e il patrimonio industriale nei primi decenni del ‘900. L’interesse per la conservazione è inoltre motivato dalla valenza architettonica del manufatto originario che, anche a fronte delle necessarie integrazioni proprie diun sito industriale, si è conservato pressoché inalterato, e dalla qualità e integrità delle macchine e degli impianti, conservati nella loro completezza, Aipai, con Italia Nostra Genova e la Scuola Politecnica dell’Ateneo genovese, ha chiesto che ilcomplesso sia vincolato e che il progetto di riuso preveda la conservazione della struttura nel suo assetto architettonico e impiantistico con una destinazione d’uso compatibile e che nel progetto diriqualificazione sia tenuto in considerazione l’intero settore con particolare riguardo per le valenze storico-architettonico-paesaggistiche della Lanterna di Genova. La localizzazione del complesso, attualmente all’interno dell’area operativa portuale, comporta notevoli problemi, anche dal punto di vista dell’accessibilità. L’ipotesi di una riappropriazione della struttura industriale a uso urbano ha suggerito diverse proposte sia nel riuso che nella destinazione delle aree limitrofe. La conservazione di una parte degli impianti costituirà in ogni caso, come testimoniano lepiù recenti riqualificazioni di strutture analoghe, un valore aggiunto al progetto di riconversione e valorizzazione dell’area.
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Alessandro Massarente, Martina Suppa, Claudia Vullo Ritratto di Alc.Este. Processi di rigenerazione di un’area industriale dismessa.
Il complesso delle ex Distillerie Alc.Este a Ferrara è una testimonianza tra le più interessanti dell’addizione industriale, dapprima legata agli zuccherifici, successivamente evoluta nel polo chimico, che ha definito un nuovo landscape urbano tra la città estense e il Po. Il lavoro di ricerca, tuttora in corso, è articolato in tre fasi: la prima, conclusa nel Master di secondo livello in Conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio industriale, ha sviluppato la lettura critica dei dati storici, cartografici, urbanistici; la seconda, svolta nel Laboratorio di sintesi finale in Progettazione architettonica del Corso di Laurea in Architettura dell’Università di Ferrara, ha approfondito la simulazione progettuale e valutativa di possibili scenari di rigenerazione; la terza, in fieri, voluta da REF (Real Este di Ferrara), proprietaria dell’area, in accordo con l’Amministrazione comunale, consta nell’attivazione di un percorso partecipato orientato a definire le strategie possibili per la riattivazione del sito. Lo studio ha evidenziato tali contraddizioni: la ricomposizione della memoria storica, antropologica e sociale di un luogo industriale è azione necessaria, ma non sufficiente per tenerlo in vita; la valutazione delle potenzialità dell’area in relazione al contesto storico e territoriale è azione complessa e necessita del confronto con le dinamiche economiche e di mercato; il progetto d’intervento per la rigenerazione di complessi produttivi storici rileva l’inadeguatezza degli strumenti urbanistici posti a tutela del patrimonio industriale. Il TekneHub (Tecnopolo dell’Università di Ferrara) dal 2016 è parte della rete di multi-stakeholders aderendo al processo partecipativo per avviare azioni di co-progettazione e rigenerazione dell’Alc.Este. Il percorso rappresenta uno dei processi innovativi formulati nel campo della valorizzazione e rigenerazione urbana del patrimonio industriale dismesso.
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Salvatore Capone, Renato Covino, Antonio Monte, Andrea Romano Dal processo di patrimonializzazione alla rigenerazione urbana: la distilleria Nicola De Giorgi a San Cesario di Lecce
A San Cesario di Lecce, piccolo centro alle porte del capoluogo salentino, noto come la “Città delle distillerie”, l’industria dell’alcol ha scritto e un’interessante pagina di storia economica e sociale, lasciando peculiari testimonianze nel Salento, in Puglia e nel Mezzogiorno d’Italia di un patrimonio di manufatti: le distillerie, meglio note come “Fabbriche di spirito” perché destinate alla fabbricazione dell’alcol etilico. Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del secolo successivo, erano attive sei distillerie; attività svolte tutte a livello artigianale, molte con impiego di alambicchi semplici a fuoco diretto. Solo intorno agli anni venti del Novecento compaiono le prime distillerie industriali. Gli imprenditori di San Cesario di Lecce (i De Bonis, i De Giorgi, i Pistilli, i Cappello) convertirono subito i loro vecchi impianti con quelli industriali a colonne. Si sviluppa cosi l’industria della distillazione, che forniva alcol alle note ditte Sarti, Buton, ecc. A partire dalla fine degli anni novanta del secolo scorso, l’amministrazione comunale promosse uno studio sul patrimonio industriale cittadino, con particolare riguardo alle distillerie che ormai non erano più attive. Fu siglato un Protocollo d’intesa tra Comune, Facoltà di Beni Culturali-Cattedra di Archeologia Industriale, CNR-IBAM e Manni Editori, a cui partecipò in seguito anche AIPAI. Iniziò cosi l’attività di patrimonializzazione delle distillerie. Convegni, incontri pubblici, libri, mostre, attività culturali partecipate, e altro, hanno contribuito a far prendere consapevolezza ai cittadini dell’interessante patrimonio che andava recuperato e restituito alle comunità locali, perché attraverso la memoria si identifica una comunità. L’amministrazione ha posto l’attenzione al recupero e conservazione della Distilleria di Nicola De Giorgi che, nel 2000, dopo 90 anni di attività chiuse per fallimento. Il 6 luglio del 2005 lo stabilimento venne dichiarato bene di “interesse culturale”. La Distilleria il 16 marzo 2011 è stata acquistata dal fallimento dalla Fondazione “Rico Semeraro” che nel 2012 la donò al Comune di San Cesario di Lecce con destinazione a fini culturali e sociali. Con questa donazione il comune partecipò ad un bando regionale su: Rigeneriamo le aree e gli edifici dismessi Progetto finanziato con il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (P.O. FESR Regione Puglia 2007-2013)Asse VII – Linea 7.2 Azione 7.2.1. Tra febbraio 2016 a marzo 2017 si sono svolti i lavori del II° lotto grazie al Fondo di Sviluppo e Coesione 2007-2013 del CIPE n° 92/2012 “APQ Aree Urbane-Citta”, Azioni Pilota Programmate “Patto Città-Campagna”. Il “caso-studio” della Distilleria Nicola De Giorgi (con i numerosi studi fatti e la redazione di un progetto generale di rifunzionalizzazione e conservazione del sito industriale) ha attivato processi di partecipazione unici nella realtà dell’Italia meridionale, tanto che l’opera di patrimonializzazione della distilleria è un “caso di studio” per diverse realtà sia nazionali che europee.
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Michele Ugolini, Caterina Gallizioli Da fabbrica a caserma, da caserma a città. L’area ex Innocenti a Rubattino, Milano.
Un isolato rettangolare. Circa 400 metri per 200. Una figura semplice dai margini netti. Definito sul perimetro da un muro di cinta continuo, monotono e tutto uguale. Quattro strade a contorno ne ribadiscono la figura. In due punti il muro è interrotto da grandi porte di accesso all’area. Entrambe in mattoni delicatamente sormontate da una sottile pensilina dagli spigoli raccordati incurva. Tracce di una precedente storia industriale, attualmente richiusasi a caserma. Oltre il muro spunta il lungo profilo dei quattro capannoni della dismessa fabbrica Innocenti (250 x 100 ml). E solo di scorcio si intravedono le loro potenti e scheletriche facciate dal caratteristico profilo di copertura arcuato e ogivale. A est appaiono tre singolari figure architettoniche. Sono in cemento armato consunto dal tempo. Curiosamente appuntite, dimensionalmente fuori scala. Appaiono completamente prive di aperture: enigmatiche. A tal punto da divenire imprevedibili riferimenti urbani. Bunker per i dipendenti dell’Innocenti durante la guerra. I quattro lunghi capannoni, i tre bunker, le due eleganti porte d’ingresso all’area,la semplice figura allungata della palazzina per uffici collocata sul lato nord acquistano il ruolo di catalizzatori di un nuovo sistema di relazioni architettoniche. Mentre il netto andamento orizzontale del suolo dell’intera area diviene il piano di gioco per nuove tensioni spaziali e decise riconoscibilità urbane. Elementi di ancoraggio alla città nello svolgersi del progetto. La strategia di progetto chiarisce gli edifici a cui si attribuisce valore. Si delineano con maggior nitidezza soprattutto gli spazi e le loro misure, le loro potenzialità di relazione quali figure aperte poste in continua successione entro cui ci muoviamo e abitiamo. Il primo atto progettuale di demolizione si è concentrato sul muro di cinta. Aprire è atto necessario per far fluire nuova aria nelle soffocate maglie urbane di questo luogo. L’obiettivo è quello di definire un nuovo sistema di ambiti aperti e pubblici, vere e proprie sequenze urbane in un contesto periferico ad alta densità di edificazione. Annodando i fili delle spazialità interne al perimetro di progetto con gli esigui luoghi pubblici delle zone limitrofe e rinsaldando la relazione con i fronti urbani e le strade di bordo si è cercato di dare centralità all’area rispetto al disordinato contesto circostante. All’interno del vecchio e potente fabbricato industriale nel gioco ripetuto delle quattro profonde navate, tra loro diversamente trattate - giocate in una sequenza ritmata di spazi con profondità e visuali diverse, una delle quali è lasciata interamente libera e trattata a verde, con ampie aperture sulla copertura - viene a strutturarsi un sistema di laboratori, negozi, ambiti sportivi e locali di ritrovo che lo rendono il cuore multifunzionale della strategia di rigenerazione urbana.
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Edoardo Currà, Rosa Maria Villani La Zecca dello Stato: fabbrica, scuola e palazzo nel cuore della capitale del regno
Il 27 dicembre 1911 il re, Vittorio Emanuele III, inaugura la nuova Zecca dello stato italiano. Per i primi 50 anni del Regno d’Italia erano state mantenute in attività diverse zecche degli stati preunitari, fino a che, nel 1892, tutte le produzioni si erano concentrate nella antica zecca pontificia di Roma. Nel realizzare la nuova Zecca si portò a compimento un processo generale di innalzamento della qualità artistica e della capacità produttiva della moneta e della medaglia, nell’ambito della generale opera di costruzione dello stato che caratterizzò l’età Giolittiana. Per Roma sono gli anni ormai leggendari del blocco popolare dell’amministrazione del sindaco Ernesto Nathan (1907-1913) che contribuì più di altri adinnalzare la politica e l’assetto di Roma al rango di Capitale. Il nuovo edificio perciò ospita innanzitutto una fabbrica: l’intera catena di produzione della moneta e delle medaglie, secondo un percorso che viene adeguato alle migliori innovazioni industriali del tempo, dalle fonderie, alla laminazione, alla realizzazione dei tondelli, alla stampa della moneta. Contestualmente e complementarmente vengono predisposti tutti gli spazi per le fasi ideative, creative e prototipali della moneta e della medaglia, con i laboratori di disegno e incisione, quelli di modellazione e i pantografi. Vi sono inoltre i laboratori per leanalisi chimiche e le verifiche di qualità. Ma come si è detto, per lo sviluppo delle arti legate alla moneta e alla medaglia durante laprogettazione dell’edificio il Governo volle attuare nel complesso industriale la Scuola dell’Arte della Medaglia, un luogo di formazione e ricerca artistica, istituita nel 1907 e attiva dal 1908. Per la scuola, per il Museo della Zecca, concepito per raccogliere le collezioni storiche e dare testimonianza delle arti e della storia, per gli uffici della Zecca viene perciò realizzato unedifico in forma di palazzo che si integra con la sequenza di ambienti industriali per lafabbrica. Ne deriva un organismo architettonico multifunzionale che occupando un isolato della città compatta che si era costituita all’Esquilino a partire dal 1870, vede il settore produttivo industriale occupare l’intero piano terra, con una sequenza di ambienti disposti ai lati di tre corti interne. Su di un lato dell’isolato si innesta un corpo su quattro livelli, destinato quindi alle funzioni direttive, formative e culturali. Alla fabbrica e agli altri usi si accede da due portali che si aprono sulla facciata del palazzo e quello che nei siti industriali periferici si realizza con la costruzione di più padiglioni, nella zecca, edificata all’interno della città compatta, porta alla ideazione di un unico tipo edilizio complesso che in sé racchiude e distribuisce i diversi usi. 66
L’ideatore del progetto è l’ing. Carlo Mongini del genio civile, cui si devono diverse opere per Roma capitale, coadiuvato nel suo lavoro da Enrico Bucci e Enrico Bacchetti. Oggi, mentre le funzioni formative e terziarie sono ancora vitali, la produzione industriale è stata trasferita in altre sedi e il piano terra si presenta in disuso. A tal fine è stato condotto uno studio, da Sapienza e IPZS, che ha portato alla messa in luce delle qualità che a ricchezza tipologica della zecca mette a disposizione per il rafforzamento delle funzioni esistenti e laloro integrazione con usi culturali compatibili con le vocazioni dell’organismo e lecaratteristiche e le necessità della zona.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Settori e strutture del patrimonio industriale - ore 15:00 Coord: R. Covino Sala Consiliare N. Fava, R. Garrido i Puig, M. Carrasco i Bonet - UNIVERSITAT DE GIRONA
Patrimonio industriale e sviluppo rurale: i mercati municipali della provincia di Girona E. Capurso - ARCHEOLOGO, A. Monte - CNR-IBAM
L’industria molitoria in Puglia e Basilicata. Tra grano e patrimonio industriale I. Zilli - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL MOLISE
Industria molitoria in Molise tra vecchie e nuove forme di utilizzo P. Durante, S. Giammaruco - ZOOMCULTURE LECCE, A. Monte - CNR-IBAM
Il Molino Coratelli di Corigliano d’Otranto (LE) e il percorso di ricerca multidisciplinare, di patrimonializzazione e valorizzazione sviluppato dal Progetto In-Cul.Tu.Re A.Monte - CNR-IBAM, C. Sasso - AIPAI
Il molino “a cilindri” Scoppetta di Pulsano (TA): dalla conoscenza al recupero A. Monte - CNR-IBAM
Dalla conoscenza alla valorizzazione dei molini e dei pastifici di Stigliano (MT) B. Cavalieri, A. Cavalieri - PASTIFICIO CAVALIERI, R. Covino UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA, A. Monte - CNR-IBAM
Il pastificio Benedetto Cavalieri a Maglie (LE) nel centenario della sua fondazione fra tradizione e modernità L. Clerici - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
La cartiera di Vivaro (Dueville, Vicenza)
V. Pagnini - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II, E. Bertini - ARCHITETTO
Fabbrica e paesaggio: il caso della Solvay di San Vincenzo F. Giusti - POLITECNICO DI MILANO
Il patrimonio industriale Henraux nel bacino marmifero della Versilia: un’esperienza-pilota di recupero, tra cave, lavoro e arte 68
Nadia Fava, Romà Garrido i Puig, Marta Carrasco i Bonet Patrimonio industriale e sviluppo rurale: i mercati municipali della provincia di Girona.
Negli ultimi dieci anni gli studiosi hanno messo in luce come le riflessioni e gli studi sul patrimonio industriale non siano soltanto una descrizione del patrimonio come una sorta di monumento, oggetto e produttore di memoria e di identità. Questo patrimonio, infatti, è sempre più rappresentato come dispositivo e stimolo capace di innescare processi, innovazioni e mutamenti tendenti allo sviluppo locale sostenibile. Questa comunicazione vuole discutere la relazione tra patrimonio e sviluppo sostenibile, studiando come caso studio il sistema di mercati municipali agroalimentari della provincia di Girona. Questi servizi pubblici, non tutti catalogati, sono stati costruiti durante ultimo quarto del XIX secolo e la prima metà del secolo XX, utilizzando sul piano architettonico il materiale in ferro delle industrie del territorio. In questo senso i mercati municipali agroalimentari a strutture a base di ferro rappresentano un patrimonio architettonico urbano strettamente relazionato al territorio che si stava trasformando per la presenza della industria. I mercati di questa zona mai hanno perso la loro funzionalità. D’altro canto richiedono un progetto di riadattamento costante per adeguarsi alle nuove formule commerciali e alle necessità e costumi alimentari cambiamenti. Questa sorta di continua rifuzionalizzazione non solo mette in questione il dibattito tra conservazione o cambiamento, ma apre un pensiero sul ruolo dei mercati nelle politiche di gestione urbanistica in campo alimentare. Più in particolare queste politiche riguardano la produzione delle risorse alimentari la loro commercializzazione ed il modello di città rispetto a specifiche politiche volte a valorizzare la prossimità e i valori sociali e territoriali, in cui si attuano. Questo patrimonio industriale in questo modo diventa luogo di una memoria collegata all’innovazione. Così potrà leggersi come un capitale culturale, capace di recuperare una memoria creativa, attorno al tema dell’alimentazione e della catena ed in tal modo facilitare progetti non omologanti del futuro dei mercati municipali.
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Emma Capurso, Antonio Monte, L’industria molitoria in Puglia e Basilicata. Tra grano e patrimonio industriale.
Una importante vivacità produttiva anima il Mezzogiorno d’Italia sin dalla seconda metà dell’Ottocento, il commercio legato alla produzione di grano duro vede l’intensificarsi delle colture cerealicole in tutte le buone aree coltivabili della Puglia e della Basilicata. Accanto alle attività strettamente agricole è attestata una crescente attività molitoria, in parte documentata sin dall’antichità e successivamente sviluppatasi in linea con i processi di industrializzazione. Le comunità di tale distretto hanno lasciato le tracce di quelle che furono le dinamiche insediative proprie del mondo rurale, costituito da una tradizione produttiva, già attestata in numerose aree archeologiche che, via via hanno interessato gli spazi urbani, come documentato dalle attività vitivinicole e dalle attività molitorie, di olio e grano. Lo stretto rapporto tra i diversi aspetti del paesaggio rurale, fortemente connessi alle attività produttive, ha caratterizzato questi territori di confine; la presenza di aree coltivabili ai piedi dei pendii, i solchi vallivi a regime torrentizio tra le lame murgiane, alternate alle distese pianeggianti della Capitanata, hanno favorito l’impianto e lo sviluppo di una efficiente attività molitoria, testimoniata dalla presenza di aree produttive protoindustriali e dalla costruzione, a partire dal XVII° secolo, di diversi opifici per la macinazione dei cereali. La testimonianza di tale produzione è documentata dai numerosi mulini che si distribuiscono nell’area che interessa la Puglia e la Basilicata, molteplici sono le testimonianze appartenenti al patrimonio industriale, costituito da beni mobili, immobili e immateriali che hanno determinato il delinearsi di un paesaggio antropico e ambientale rendendolo peculiare (paesaggi urbani storici della produzione), dagli aspetti architettonici e funzionali, in alcuni casi ancora leggibili, in altri, ricostruibili, sono divenuti oggetto di studio rilevabili nella prospettiva della conservazione e della valorizzazione.
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Ilaria Zilli L’industria molitoria in Molise fra vecchie e nuove forme di utilizzo.
L’importanza del comparto delle farine nel panorama industriale delle regioni meridionali è un dato ampiamente riconosciuto dalla storiografia economica italiana. L’industria molitoria, seppur senza significativi miglioramenti delle tecniche adottate, registrò nel corso della seconda metà dell’800 un notevole incremento sia in termini di volumi prodotti sia, seppure in misura minore, in termini qualitativi partecipando all’industrializzazione dell’età giolittiana e poi proseguendo il suo sviluppo nei decenni successivi. Il percorso di trasformazione portò in tutto il paese ad una progressiva concentrazione degli impianti produttivi e il conseguente abbandono delle vecchie strutture di piccole dimensioni e solitamente estremamente disperse sul territorio. Il caso molisano è un esempio emblematico di questa lenta trasformazione e del progressivo abbandono di moltissimi impianti produttivi. In una regione che nei secoli aveva trovato nell’industria molitoria un suo tratto caratterizzante il numero di vecchi mulini dismessi appare particolarmente cospicuo e, in anni più recenti, ci si è interrogati sull’opportunità/necessità di loro recupero e sulle modalità con cui poi eventualmente valorizzarli. Il paper propone una lettura del sistema molitorio locale che, a partire dalla mappatura dai vecchi impianti, attraverso alcuni casi esemplari, analizza le diverse scelte di recupero e valorizzazione effettuate nell’ultimo decennio e dando conto di alcune nuove soluzioni su cui stanno lavorando alcuni piccoli mulini molisani.
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Paola Durante, Sofia Giammaruco, Antonio Monte Il Molino Coratelli di Corigliano d’Otranto (LE) e il percorso di ricerca multidisciplinare, di patrimonializzazione e valorizzazione sviluppato dal Progetto In-Cul.Tu.Re. Il contributo esamina lo studio condotto sul molino “a cilindri” Coratelli di Corigliano d’Otranto (LE) e il percorso di ricerca multidisciplinare, patrimonializzazione e valorizzazione intrapreso ai sensi della L. R. della Puglia 27/01/2015 n°1 Valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale. Il lavoro è stato attuato nell’ambito del Progetto di ricerca e innovazione sociale In-Cul.Tu.Re. INnovazione nella CULtura nel TUrismo e nel REstauro,vincitore del bando under 30 “Smart Cities and Communities and Social Innovation” del MIUR, con diversi partner: Laboratorio di Diagnostica non Distruttiva PoliTO; CNR-IBAM di Lecce; ISMB di Torino; Soc. Coop. C.R.E.S.Co.Al fine di generare un quadro conoscitivo aggiornato, necessario ai proprietari per conservare il bene culturale e affrontare la progettazione di interventi di recupero e restauro, sono state realizzate: ricerche d’archivio e bibliografiche, campagne di rilievo architettonico e fotografico, indagini diagnostiche per la conservazione, analisi del comportamento energetico della struttura, attività di valorizzazione del bene e del suo contesto. Il programma diagnostico -con gli obiettivi di indagare stato di conservazione, tecniche costruttive, materiali e degradoha previsto: indagini termografiche; indagini geofisiche mediante georadar, geoelettrica, indagini microgeofisiche; indagini di caratterizzazione (MO, SEM-EDS, TG-DSC). L’analisi del comportamento energetico dell’edificio ha compreso un Audit Energetico, un Masterplan su un lotto di intervento sperimentale e uno Studio di fattibilità per l’inserimento di impianti a basso consumo energetico. Diverse le azioni di promozione e valorizzazione, tra cui: la pubblicazione I molini e l’industria molitoria in Puglia. Il Progetto IN-CUL.TU.RE. e il Molino Coratelli e Imparato a Corigliano d’Otranto; la Giornata di studi “L’acqua e la farina: I sistemi di approvvigionamento idrico e l’industria molitoria nella Grecìa salentina” (organizzata nell’ambito di E-FAITH per l’Anno Europeo del Patrimonio Industriale e Tecnico 2015, con Ibam-Cnr e AIPAI).
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Antonio Monte, Chiara Sasso Il molino “a cilindri” Scoppetta di Pulsano (TA): dalla conoscenza al recupero.
Lo stabilimento industriale “Mulino a cilindri Ditta Francesco Scoppetta” è ubicato a Pulsano (TA); esso rappresenta uno dei primi insediamenti sorti nel Mezzogiorno d’Italia per la molitura dei cereali. Per le sue peculiarità intrinseche costituisce un eccezionale esempio di bene del patrimonio archeologico industriale perché al suo interno sono conservate tutte le macchine utilizzate nel ciclo di produzione. Il mulino fu costruito a partire dall’ultimo quarto dell’Ottocento; infatti già dal 1883 era attivo un molino a vapore che, dopo le innovazioni tecnologiche resta in funzione e intatto fino al 1970 anno che ne decreta definitivamente la sua chiusura. Il sito prende il nome dal suo fondatore Francesco Scoppetta; l’impianto industriale venne ideato e pensato per il futuro con un modernissimo apparato molitorio -attualmente in situ-, che venne fornito quasi totalmente dalla ditta italo-svizzera “Fratelli Buhler, UzwilMilano” nel 1911. Le ricerche condotte sull’industria alimentare del territorio pugliese e, in particolare sull’industria molitoria, hanno messo in luce una realtà con pregevoli potenzialità di carattere storico-architettonico e acheoindustriali che rappresentano una risorsa in termini di turismo culturale. Pertanto, si propone la conservazione e il recupero della struttura molitoria che mirano alla valorizzazione, musealizzazione e fruizione del bene industriale dichiarato di “Interesse culturale” nel 2001. Di qui l’opportunità di creare, oltre al Museo dell’arte molitoria, anche un Centro di documentazione sull’industria molitoria del Mezzogiorno d’Italia. Il contributo illustra il percorso attivato partendo dal processo di patrimonializzazione sino al progetto di restauro.
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Antonio Monte Dalla conoscenza alla valorizzazione dei molini e dei pastifici di Stigliano (MT).
L’industria della molitura dei cereali ha costituito tra il XVIII° secolo e la prima metà del secolo XX°, una fonte di sviluppo economico e ha favorito, soprattutto, la costruzione di mulini e fabbriche di “paste da minestra”. In questo arco temporale si assiste al passaggio dell’utilizzo di impianti molitori protoindustriali (molini a palmenti del tipo idraulici o a “sangue”) a quelli industriali con l’introduzione, da parte degli imprenditori, di moderni cicli produttivi e impianti costituiti da laminatoi del tipo “a cilindri”, da buratti e da plansichter. Questo, favorì la costruzione di numerosi pastifici. La Basilicata, cosi come la Puglia, storicamente sono state considerate le regioni italiane dove c’era la maggiore produzione di grano duro e rappresentavano il principale bacino di approvvigionamento della materia prima utilizzata nei pastifici e per la panificazione. La coltivazione del grano in alcuni territori della Basilicata era molto estesa questo, pertanto, ha favorito la costruzione di strutture destinate alla macinazione dei cereali e alla produzione di paste alimentari. Il contributo prende in esame un piccolo comune della provincia di Matera: Stigliano, dove vi erano grandi estensioni di campagna coltivate a grano; questo permise la realizzazione di quattro molini e due pastifici.
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Benedetto Cavalieri, Andrea Cavalieri, Renoato Covino, Antonio Monte Il pastificio Benedetto Cavalieri a Maglie (LE) nel centenario della sua fondazione fra tradizione e modernità.
Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo quarto del Novecento la Terra d’Otranto aveva numerosi impianti molitori e fabbriche di “pasta da minestra” sparsi su tutto il territorio dei quattro circondari (Lecce, Gallipoli, Taranto e Brindisi). Oggi, i segni dell’industria molitoria e dei pastifici nel Salento sono ancora ben visibili all’interno del paesaggio urbano; infatti, svettano “silenziosamente eloquenti” nei centri storici le ciminiere dei numerosi molini (azionati con forza “a vapore”) e dei pastifici, pronte a testimoniare il loro intenso passato produttivo. Uno dei protagonisti indiscusso, che da cent’anni continua a produrre pasta considerata un’eccellenza del made in Italy, è il pastificio Benedetto Cavalieri di Maglie. Il pastificio fu voluto, nel 1918, da Benedetto senior col preciso intento di produrre pasta di qualità. La tradizione di famiglia va avanti con la quarta generazione (Benedetto senior, Andrea senior, Benedetto Maria junior e Andrea Maria junior). La dinastia Cavalieri affonda le proprie radici già a partire dal 1872; Benedetto acquistò da un fallimento un molinopastificio ubicato in via Garibaldi. Il 7 luglio 1918, furono inaugurati ufficialmente il “Molino e pastificio S. Giuseppe, Benedetto Cavalieri Maglie, Pasta di semola extra”. Da padre in figlio l’attività è stata tramandata con rigore e serietà e ogni passaggio è stato foriero di aggiornamento e perfezionamento. La pasta prodotta con metodo “tradizionale”, nel 2001 (con gli spaghettoni) e nel 2002 (con la ruota pazza) ha ottenuto due prestigiosissimi Oscar al “Fancy Food Show” di New York e numerosi riconoscimenti, primo fra tutti quello della rivista Wine Spectator(ottobre 2000), la bibbia dei gourmet, che ha scelto la pasta “Benedetto Cavalieri” come la migliore pasta italiana “...for its excellent grain flavor and delightful chewiness”.
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Luca Clerici La cartiera di Vivaro (Dueville, Vicenza).
La comunicazione presenta il caso della cartiera di Vivaro, villaggio del Vicentino dove nel 1595 essa fu fatta impiantare da Iseppo da Porto sulle preesistenti strutture di un mulino, sfruttando le acque della roggia Molina. In una mappa del 1667 essa risultava composta di due corpi di fabbrica, dotati di tre ruote complessive. Dopo un primo passaggio di proprietà a Giovanni Battista Farina, nel 1791, la cartiera fu acquistata nel 1849 da Gaetano Longo, che portò il numero di ruote a cinque e fece conoscere all’impianto il momento di maggior espansione. Nel 1885 esso fu rilevato da Gaetano Busnelli, che introdusse una macchina continua per produrre carta paglia. Dopo ulteriori vicende, la cartiera storica chiuse i battenti nel 1978, con il contestuale avvio di un nuovo impianto nelle adiacenze. La comunicazione affronta anche il tema dello stato di conservazione e delle iniziative di recupero della struttura, inserita tra i “luoghi del cuore” del Fondo per l’Ambiente Italiano.
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Valeria Pagnini Fabbrica e paesaggio: il caso della Solvay di San Vincenzo
Nell’ambito delle sempre più pressanti esigenze di tutela ambientale e del territorio, la presenza della fabbrica costituisce un problema ineludibile, avvertito da amministrazioni locali e compagini sociali. Emerge, infatti, una diffusa consapevolezza del rischio ambientale, che colloca in netto contrasto fabbrica e territorio, esigenze economiche e istanze di salvaguardia dell’ambiente e della vita dei cittadini, e questo rapporto problematico assume una vistosa rilevanza non solo in relazione alla dimensione ‘strutturale’ degli impianti produttivi, ma anche a quella tipologica, come nel caso dell’industria chimica. La tendenza più diffusa è quella di abbattere gli impianti dismessi, perché sentiti ormai come elementi estranei e di disturbo del territorio. D’altro canto, la nozione di paesaggio, messa a punto negli anni più recenti, lo definisce come somma delle impronte – tangibili e intangibili – lasciate sul territorio dalle comunità che vi si sono costituite, e ne svincola decisamente la valutazione da criteri estetici, per recuperarne invece la storicità. In questa riflessione si colloca il caso paradigmatico della fabbrica Solvay di San Vincenzo (LI), le cui strutture furono in parte progettate tra il 1926 e il 1937 da Luigi Nervi. La fabbrica negli ultimi anni si trova al centro di un acceso dibattito tra le istanze economiche della ditta belga, che vorrebbe abbattere le strutture in disuso, e quelle culturali delle amministrazioni locali e degli abitanti. Non bisogna dimenticare, peraltro, che la fabbrica è stata il motore primo dell’insediamento della comunità di San Vincenzo: evidenziarne la funzione memoriale, ‘ricollocando’ la struttura nella dimensione dell’immaginario e della conoscenza, significherebbe quindi non solo recuperare un rapporto di comunicazione tra le diverse istanze, ma soprattutto esplicitare l’identità di un territorio, che ha scoperto solo più tardi la dimensione turistica e balneare.
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Francesca Giusti Il patrimonio industriale Henraux nel bacino marmifero della Versilia: un’esperienza-pilota di recupero, tra cave, lavoro e arte.
Nel contesto della via del marmo, tema centrale della conversione di un paesaggio industriale parzialmente dismesso, s’inserisce il caso della Fondazione Henraux. La società è stata fondata nel 1821 da M. Borrini e J.B. Henraux con l’intenzione di riaprire e sfruttare gli agri marmiferi del Monte Altissimo a Seravezza. Da quel momento l’impresa, grazie anche alle innovazioni tecnologiche dell’epoca, si sviluppa notevolmente fino alle seconda metà del Novecento. Oggi l’Henraux dispone di un patrimonio industriale solo in parte attivo. Il progetto di una fondazione d’arte diventa motore di un processo di conversione in atto di varie strutture situate tra le Alpi Apuane: una prospettiva destinata a fare sistema in un contesto che dovrà tendere sempre più alla riconquista di un paesaggio complesso, parte integrante di un processo produttivo. L’idea guarda al passato e riprende l’iniziativa di Erminio Cidonio che negli anni Settanta ha favorito la nascita di un polo internazionale della scultura frequentato da artisti come Henry Moore, Hans Harp, Jean Mirò. Il progetto consiste nell’istituzione di un’archivio, nell’allestimento di un museo e nella realizzazione di un atelier del marmo e di scultura. In particolare l’atelier, frequentato da designer, artisti e artigiani per sperimentare le diverse tecniche di lavorazione e impiego del marmo, sarà un importante polo culturale, assicurando una continuità in termini moderni di questa esperienza-pilota. Se il fne della Fondazione è quello di valorizzare il proprio patrimonio storico, artistico e produttivo, andando a recuperare i manufatti esistenti e rafforzando così il legame tra materiale, produzione, territorio e arte, tale esempio va inserito in un sistema diffuso che vede nelle cave e nel marmo non più solo una fonte di degrado, ma un punto di forza per una più estesa convivenza di arte lavoro e usi alternativi legati a tali specificità storico-ambientali.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Restauro e recupero - Studi, progetti e interventi - ore 15:00 Coord: R. Maspoli Sala ENAIP 1 M. Bonanziga - STUDIO TECNICO BONANZINGA E ASSOCIATI
Valorizzazione del Mercato Orientale di Genova
F. Marinotti - FONDAZIONE FABBRICA DEL CIOCCOLATO
“In fabbrica”. Progetto di riqualifica del comparto industriale ex Cima Norma S. Trenta - MUSEO CIVICO LUGNANO IN TEVERINA, M. Pennini - RESTAURATRICE
La Fabbrica di Lugnano in Teverina: dalla luce delle lampadine a quella della cultura. Prime note per una ricerca C. Caione - ARCHITETTO
Strategie di intervento e linee guida per il riuso compatibile. L’ex Maglificio Fratelli Bosio
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Matteo Bonanziga Valorizzazione del Mercato Orientale di Genova.
Il Mercato Orientale ha una storia strettamente legata a quella della vicina chiesa di Nostra Signora della Consolazione e a quella dell’annesso chiostro del convento, mai terminati; qui, nel 1893 il Comune decide di trovare la nuova collocazione del mercato all’aperto che si svolgeva in p.za S. Domenico, incaricando l’ingegnere comunale Veroggio di progettare un nuovo spazio per il mercato.Nel 1897 viene edificata una tettoia di ferro ma è l’anno seguente che si decide di sostituirla con una costruzione completamente di cemento armato, uno fra primi casi d’Italia, realizzata con il sistema Hennebique. In questa sono notevoli le soluzioni strutturali davvero innovatrici per l’epoca, dalla struttura a telaio poggiata su muratura piena ai solai sorretti da travi incrociate.L’intervento di trasformazione nel suo complesso è un insieme di lavorazioni finalizzate ad avviare la valorizzazione del piano rialzato del Mercato Orientale, sia dal punto di vista architettonico, sia dal punto di vista commerciale, in risposta alla deliberazione della Giunta Comunale nell’ambito della quale venivano richieste complementarietà con l’attività del mercato privilegiando la somministrazione di prodotti di filiera corta e di alta gamma, l’artigianato sempre del settore alimentare ed eventuali campagne di educazione alimentare, con lo scopo di rilanciare le potenzialità del mercato consapevoli del suo valore storico e sociale.Gli interventi constano nel restauro dell’involucro nelle sue parti fondamentali (pilastri, vetrate, tamponamenti, lucernari, prospetti esterni della lanterna, scala monumentale di accesso), nella costruzione di un nuovo solaio completo dei collegamenti verticali (ascensore e scale) e nella realizzazione dei servizi principali.
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Franco Marinotti “In Fabbrica”. Progetto di riqualifica comparto industriale ex Cima Norma.
Creazione di uno spazio indipendente di produzione artistica: il progetto curatoriale con i suoi contenuti programmatici, è pensato come laboratorio artistico di analisi sull’interazione fra arte, nelle sue diverse forme espressive, e territorio, inteso come patrimonio culturale, sociale, politico in divenire, ed in particolare sugli impatti sul tessuto sociale della Valle di Blenio, che nel tempo ha sperimentato la contrapposizione di contesti economico culturali, di carattere sia locale che globale. Collocazione del progetto come suggerito dalle autorità locali nell’ambito di un progetto con ricadute di carattere strategico territoriale così come specificamente indicato per quell’area nel Master Plan voluto dall’Associazione dei comuni e ripreso dall’Ente regionale di sviluppo: gli obiettivi principali della Fondazione sono: la gestione e lo sviluppo di attività culturali nell’ex complesso industriale; la salvaguardia, la protezione e il mantenimento del patrimonio archeologico-architettonico dell’ex Fabbrica; la trasformazione del luogo in un centro di promozione culturale e artistica; lo stimolo alla cooperazione tra le varie discipline artistiche; l’avvicinamento degli ambienti dell’economia, della finanza, dell’industria e delle scienze all’arte e alla cultura; il sostegno delle tradizioni e della cultura regionali. Come si può evincere dalla descrizione, un progetto questo, poliedrico oltre che ambizioso, nel quale l’arte in quanto tale occupa un ruolo centrale di catalizzatore e allo stesso tempo trasversale di motore nella generazione di opportunità in termini di ricadute economiche per la Valle con evidenti effetti di carattere sia sociale che politico. La responsabilità sociale nell’interpretare le necessità/desideri della popolazione locale: la gestione di una realtà così complessa e fortemente integrata in un contesto ex industriale quale la Cima Norma, e dunque non una presenza creata ad hoc, bensì un drastico cambio di destinazione, comportano necessariamente una delicata operazione di ricontestualizzazione storica mediante un’attenta analisi, nell’ottica di riprendere le fila di complessi equilibri di carattere anche e soprattutto etico sociale, politici, territoriali e di appartenenza, spesso disattesi dai programmi di riconversione delle attività industriali dismesse e dai processi di riqualifica del comparto messi in atto da chi pianifica e di conseguenza spesso irrimediabilmente a danno della collettività.
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Sonia Trenta La Fabbrica di Lugnano in teverina: dalla luce alle lampadine a quella della cultura. Prime note di una ricerca.
La Fabbrica può considerarsi il simbolo e la memoria dell’economia agricola e dei tentativi di industrializzazione di Lugnano in Teverina, un piccolo borgo rurale ai confini meridionali dell’Umbria affacciato sulla vallata del Tevere. Fu costruita nei primi anni del 1900 dal conte Giovanni Vannicelli-Casoni su disegno dell’Ingegner Paolo Zampi di Orvieto. La costruzione imponente nasce a ridosso dell’antico centro medievale ed è ben inserita nel contesto urbano. La struttura ha un’elegante pianta ad U, grandi finestre, cornici in travertino e cornicione a dentelli. L’interno ha conservato molte delle parti antiche. Venne utilizzata dal conte Filippo Vannicelli, intorno al 1920, per una Industria per la fabbricazione di lampadine, denominata Helios, liquidata nel 1922. Successivamente ospita una mola e un pastificio, dotato di generatori di corrente. Con il fallimento dei Vannicelli passa di proprietà ad Ottorino Pimpinelli, poi al Santori che la utilizzano come centro agricolo: mola dell’olio, cantina, deposito di frumenti e cereali. Negli anni ‘90 viene acquistata dal Comune di Lugnano e, con un progetto a scopo prevalentemente culturale, in varie fasi vengono ristrutturati tutti e quattro i suoi piani. La fabbrica sta diventando il Centro Culturale, ricreativo e di promozione turistica del paese, accoglie l’Antiquarium comunale prevalentemente costituito dai prestigiosi reperti della Villa romana di Poggio Gramignano e recentemente trasformatosi in vero e proprio Museo civico e della Grande Guerra; il ricco archivio storico di Lugnano, di cui fa parte l’antico statuto comunale del 1508, “Statuta Communitatis Terrae Lugnani”; il teatro “Spazio Fabbrica” con una scuola di danza classica e moderna che ospita ogni anno una importante Stagione Teatrale.
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Cosimo Caione Strategie di intervento e linee guida per il riuso compatibile. L’ex Maglificio Fratelli Bosio.
La pressante omologazione culturale innescata dai fenomeni economico-sociali della globalizzazione ha posto in risalto, a partire dagli anni ’70 del XX secolo, la necessità di un processo di patrimonializzazione dell’eredità industriale. Si tratta di definire un insieme di pratiche tramite cui riconoscere e attribuire un valore ai manufatti dismessi nella concezione dell’eredità come bene culturale, costituendo i luoghi del nuovo progetto urbano e dando vita ad una nuova percezione degli spazi stessi. Considerando l’intervento legato al processo di dismissione come un’importante occasione di trasformazione dello spazio urbano attuale, la consueta modalità operativa limitata alla classificazione dei manufatti secondo una supposta casistica ha evidenziato la sua esiguità. Per tale motivo la trattazione si pone come obiettivo l’approfondimento di una nuova metodologia di censimento legato alla dismissione, una strategia che consenta di differenziare e ripensare l’intera struttura urbana, soprattutto valutando comparto per comparto la convenienza economica e la relativa fattibilità. Si propone il progetto di riqualificazione dell’Ex Maglificio Bosio1 sito in Sant’Ambrogio di Torino; si tratta di uno scenario di fattibilità e intervento sviluppato in relazione con l’amministrazione comunale, che ha permesso di approfondire il legame tra gli spazi della dismissione e le dinamiche di ricostruzione di un’identità territoriale. L’introduzione di una schedatura multicriteriale offre supporto alla definizione delle linee guida del progetto nell’ottica di una rifunzionalizzazione flessibile. Progetti di contesto e di complesso che portano a definire un quadro d’insieme, valutando potenzialità, criticità, obiettivi e azioni da perseguire per attuare l’idea di intervento. La ricerca pone un accento sull’identificazione di scelte tipologico-progettuali mirate sia all’adeguamento futuro della struttura sia alla delineazione di ipotesi di esecuzione sostenibili, utili alla riqualificazione di edifici e aree industriali esistenti, fissando come punto di partenza una conoscenza dettagliata del contesto di intervento.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Restauro e recupero - Studi, progetti e interventi - ore 15:00 Coord: R. Maspoli Sala ENAIP 1 F. Hachez-Leroy - CILAC
Le Comité d’information et de liaison pour l’archéologie, l’étude et la mise en valeur du patrimoine industriel (CILAC) A. Feliu Torras - TICCIH SPAGNA
El papel de la Sociedad Civil en la salvaguardia del Patrimonio Industrial: nuevos retos G. Vachino - ARCHITETTO
Il DocBi: dall’Archeologia al Patrimonio industriale F. Antoniol, I. Dal Toè, I. Franco - ASSOCIAZIONE LACHARTA
La Charta e la Cartiera Gradenigo di Vas (BL). La storia continua
R.A. Caltabiano - ASSOCIAZIONE AMIDERIA CHIOZZA
Associazione cercasi AAA
D.S. Russo - ARCHITETTO
Il patrimonio industriale come Bene Comune nell’esperienza del progetto Co-City Torino A. Patanè, R. Sisti - ISPRA-ISTITUTO SUPERIORE PER LA PROTEZIONE E RICERCA AMBIENTALE, M. Ramello - ARCHITETTO
La Giornata Nazionale delle Miniere e la Rete dei musei e parchi minerari italiani
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Assumpció Feliu Torras El papel de la Sociedad Civil en la salvaguarda del Patrimonio Industrial: nuevos retos.
La sociedad civil siempre ha tenido un papel importante en la reivindicación de la cultura en general y, también de manera decisiva, en la del Patrimonio Industrial. En la mayoria de paises europeos y americanos podemos constatar la existencia de múltiples asociaciones (con un número de asociados y àmbitos de actuación muy dispares) dedicadas al estudio, valoración y divulgación del Patrimonio Industrial y cuya actuación ha sido decisiva en muchos casos para lograr la protección efectiva de materiales y elementos industriales por parte de la Administración.Y, aunque parezca que la sociedad en general valora cada vez más este patrimonio,entendemos que las asociaciones debemos continuar con nuestra labor, pero como? La ponencia, a partir de una reflexión de como hemos actuado hasta ahora, abordará el tema de nuestro papel en el futuro immediato y a largo plazo. Como deberemos actuar? Frente a quienes? Con qué métodos e instrumentos? Para poder debatir nuestra actuación futura en un mundo cada vez más global, con un concepto de valor cultural cada vez más amplio pero al mismo tiempo con un mayor peso de la valoración puramente económica, con la recuperación de conceptos históricos pero que se reinventan (como la sostenibilidad) y con unos con unos instrumentos informáticos cada vez más desarrollados que abren un futuro incierto pero lleno de posibilidades.
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Giovanni Vachino Il DocBi: dall’Archeologia al Patrimonio industriale .
Il DocBi - Centro Studi Biellesi è stato costituito nel 1985 a seguito di un’iniziativa finalizzata all’allestimento della mostra “Archeologia Industriale in Valsessera e Valle Strona”. Da allora l’associazione ha prodotto con continuità un lavoro di ricerca, studio, conservazione e messa in valore del patrimonio industriale biellese, che è stato definito “uno dei più interessanti in Europa”. L’acquisizione e il successivo recupero della “Fabbrica della ruota” ex Lanificio Zignone di Pray, edificato nel 1878 (che conserva l’unico esempio funzionante di teledinamia), ha fornito il “contenitore” nel quale è stata collocata una miriade di iniziative, eventi e realizzazioni. Tra queste il “Centro di Documentazione dell’Industria Tessile”, che conserva oggi decine di fondi archivistici, migliaia di fotografie d’epoca e una biblioteca specializzata. Il CDIT - che detiene il più antico filmato conosciuto sulle lavorazioni tessili - è la fonte primaria alla quale attingono i ricercatori per produrre mostre e pubblicazioni. Gli esiti di oltre tre decenni di studi sono stati divulgati attraverso l’allestimento di decine di mostre e convegni, che ne hanno approfondito e pubblicizzato i molteplici aspetti. Il progetto della “Strada della lana”, realizzato in sinergia con il Politecnico di Torino, ha come finalità la restituzione al territorio di quanto secoli di attività laniere hanno prodotto e sedimentato. Il “Centro Rete degli Archivi Tessili e Moda”, del quale il DocBi è capofila, rappresenta un’esperienza pilota in Italia finalizzata alla promozione del territorio laniero. Il più recente progetto, denominato “Muovere - Museo Virtuale delle Opere Restaurate”, rappresenta un inedito tentativo di far dialogare le varie componenti del patrimonio culturale a vantaggio dello sviluppo anche economico del territorio.
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Francesco Antoniol, Ivan Dal Toé, Ida Franco La Charta e la Cartiera Gradenigo di Vas (BL). La storia continua.
L’oggetto del contributo verterà sulla vicenda che ha visto il costituirsi dell’Associazione di Promozione Sociale La Charta e la sua attività di gestione e valorizzazione del sito della Cartiera Gradenigo di Vas, in provincia di Belluno. Si prenderanno in esame le fasi amministrative di costituzione, dell’analisi del sito e del contesto che hanno portato alla formulazione del progetto di gestione, risultato poi vincente; si valuteranno gli intenti che hanno indirizzato la stesura della convenzione di gestione e le attività messe in campo, dal luglio 2015, per la valorizzazione del sito. Attività che variano da quelle di carattere più spiccatamente ludico e di intrattenimento, a quelle formative, sino alla riattivazione del sito, anche se in ottica artigianale, con la produzione attuale di carta fatta a mano. Verranno brevemente illustrate le partnership messe in atto, tra cui anche quella con l’Università degli Studi di Padova e il Master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del Patrimonio Industriale, e le criticità tipiche affrontate dall’Associazione nella gestione del bene.
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Raffaele Antonio Caltabiano AAA : Associazione cercasi.
Una associazione tra individui nasce generalmente per la volontà di alcuni uniti da una “passione “condivisa, così è stato per l’Associazione Amideria Chiozza, in sette hanno condiviso nel gennaio del 2014 la passione nei confronti dell’Amideria Chiozza quasi fosse una persona piuttosto che una fabbrica abbandonata nel mezzo della campagna friulana. Una passione subito tramutata in voglia di fare in una lotta continua contro il passare tempo che tutto stava degradando. La road map disegnata ha permesso in quattro anni di raggiungere alcuni obiettivi : la messa in sicurezza dell’archivio storico della fabbrica , la raccolta della memoria di chi vi aveva lavorato e la realizzazione di uno spettacolo teatrale,le convenzioni con le Università di Udine e di Trieste , la convenzione con l’AIPAI, la raccolta firme per i Luoghi del Cuore , una serie di attività di promozione e sensibilizzazione cha hanno portato al consolidamento di contributi statali per la salvaguardia , restauro e rifunzionalizzazione per oltre 7 Milioni di €. Oggi nuove sfide si presentano, se da un lato gli stanziamenti potrebbero consentire la realizzazione del master plan elaborato dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Trieste, le procedure previste per le opere pubbliche soprattutto per il piccolo comune di Ruda proprietario del complesso non lasciano intravedere soluzioni implementative a breve termine. Come un’associazione può contribuire alla realizzazione e gestione di una eredità industriale di tale dimensione? Quali dovrebbero essere i dispositivi legislativi da utilizzare o da “creare “per consentire ad associazioni di volontari di operare con un approccio imprenditoriale e trasformare rapidamente un bene culturale destinato alla rovina in un’opportunità culturale ed economica di un territorio? Domande aperte su cui intavolare una discussione costruttiva con lo scopo di elaborare una linea guida utile per proposte di legge specifiche.
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Damiana Sarah Russo Il patrimonio industriale come Bene Comune nell’esperienza del progetto Co-City Torino
Le associazioni e i cittadini “attivi” rivestono oggi un ruolo cruciale nei processi di riuso e rigenerazione urbana. Lo conferma il fatto che un numero sempre crescente di comuni italiani – oggi più di 150 – ha approvato un Regolamento per l’amministrazione condivisa dei commons, beni materiali e immateriali riconosciuti dalla comunità di riferimento come portatori di valori. Torino, dove le strutture industriali sorte nel secolo scorso innervano l’intero tessuto urbano, ha approvato il Regolamento nel 2016 ed è auspicabile che questi “beni comuni industriali” siano coinvolti nella sperimentazione di forme di gestione condivisa. Tuttavia, le problematiche legate al recupero del patrimonio industriale (economiche, di bonifica e messa in sicurezza, gestionali, ...) riducono la possibilità di esperienze di questo tipo. Grazie alla vittoria del progetto Co-City Torino nella prima call europea per Urban Innovative Actions, la città dispone di fondi UE da investire nell’implementazione del Regolamento. Tramite avviso pubblico, sono state raccolte 18 proposte di “patti” per la gestione condivisa di 13 edifici totalmente o parzialmente dismessi: fra questi, quattro sono beni industriali. I risultati della consultazione avviata dalla città e la fase di co-progettazione in atto costituiscono un fertile terreno di ricerca anche per chi si occupa di patrimonio industriale, sia per l’approccio dell’Amministrazione e i modelli organizzativi creati ad hoc, sia per la risposta di cittadini e associazioni locali. Il processo è in corso e i primi risultati concreti si avranno nel 2019, ma la sua analisi offre spunti critici per l’elaborazione di un modello di gestione partecipata dei beni industriali.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA L’archeologia industriale in Campania: le dismissioni - ore 15:00 Coord: S. De Majo Sala ENAIP 2 P. Ascione - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
Tecnologia, ambiente e tutela: il caso dell’Olivetti di Pozzuoli A. Citarella, N. Ostuni - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MAGNA GRÆCIA DI CATANZARO
La fabbrica d’armi di Torre Annunziata
S. De Majo - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II, A. Vitale - AIPAI
Cosa rimane oggi dell’Ilva di Bagnoli?
V. Ferrandino - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SANNIO
La fabbrica Saint Gobain di Caserta
A. Lepore - Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli, S. Palermo, UNIVERSITÀ TELEMATICA PEGASO
La dismissione tra storia e racconto: il caso Bagnoli
S. Potito - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI PARTHENOPE, A. Pomella - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA CAMPANIA LUIGI VANVITELLI
I magazzini generali, tra il passato e il futuro del porto di Napoli M. Santillo - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SALERNO
La fabbrica Marzotto di Salerno
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Paola Ascione Tecnologia, ambiente e tutela: il caso dell’Olivetti di Pozzuoli.
Nel 1955 Adriano Olivetti inaugura lo stabilimento di Pozzuoli presentandolo come uno degli esempi “dell’Italia migliore”. Luigi Cosenza, incaricato del progetto, restituisce alla committenza una fabbrica che sovverte i canoni dell’architettura industriale:la parete vetrata rende visibile natura e panorama all’operaio che vi lavora;la logica dei percorsi funzionali reinterpreta il ciclo produttivo sviluppato su piani e livelli differenti, il tradizionale capannone viene sostituito dall’impianto a croce, lo spazio interno è dotato di flessibilità per eventuali sostituzioni di macchinari,il disegno indica anche la collocazione di eventuali futuri ampliamenti. Raro esempio della felice relazione tra architettura e contesto, paesaggistico e climatico, l’artefatto dialoga con le risorse naturali. Ogni elemento della composizione si configura per aderire ad una precisa funzione, ad un ruolo specifico all’interno del sistema che capta e traduce in ‘energia’ la risorsa (acqua, sole, verde)senza mai“violentare la natura” con la tecnica. Tutti questi aspetti riguardano temi di grande attualità e non a caso sono citati in una recente proposta di estensione del vincolo di interesse, oggi limitato all’involucro esterno dell’edificio. Il complesso, divenuto comprensorio per attività terziarie, di formazione e ricerca, è oggi in parte occupato dal TIGEM, centro all’avanguardia per la ricerca sulle malattie genetiche. Tuttavia, la progressiva frammentazione dello stabilimento in differenti unità date in uso ad aziende diverse, e la presenza di parti attualmente ancora dismesse, rischia di determinare alterazioni non reversibili facendo perdere caratteristiche essenziali e connotanti il progetto moderno, afferenti a quel patrimonio di esperienze e valori recentemente riconosciuto in sede Unesco per l’inserimento della cittadella Olivetti di Ivrea nella lista del patrimonio mondiale.
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Anna Citarella, Nicola Ostuni La fabbrica d’armi di Torre Annunziata
Durante il periodo borbonico, nel regno di Napoli la fabbricazione delle armi da taglio e da fuoco assunse quasi la connotazione di una filiera tecnologica. La prima e principale fabbrica fula Mongiana, nella Sila piccola Calabrese, che sostituì la vecchia di Stilo, che era stata collocata in prossimità dell’unica vena di minerale di ferro individuato in tutto il Mezzogiorno. Il trasferimento fu probabilmente imposto dallo sfruttamento intensivo del legno, che serviva da combustibile, che cominciò a scarseggiare nei pressi della vecchia ferriera. Nella Mongiana, collocata a quote altimetriche più elevate tra fitti boschi, si continuò a fondere principalmente barre di ferro, che si utilizzavano per costruire fucili, sciabole e altri armi in fabbriche che sorsero nel corso del Settecento e dell’Ottocento. Tra queste la Real Fabbrica di Armi di Torre Annunziata può essere considerata la principale, anche perché negli ultimi anni fu dotata di un forno di fusione che le consentì, almeno teoricamente, di eseguire tutta la linea di produzione delle armi che produceva. Una rilevante importanza assunsero anche le fabbriche di Lancusi, di Sparanise e di Napoli, nel Castenuovo. In esse si producevano polvere da sparo, si lavoravano le barre di ferro prodotte in Calabria per produrre pezzi come acciarini, cavastracci, aste per pressare la polvere da sparo nei fucili ad avancarica, che erano successivamente assemblati. Questo intervento intende individuare i motivi alla base di una scelta produttiva così apparentemente moderna e il ruolo che nella filiera assunsero le varie industrie, per verificare se gli stessi motivi che determinarono la nascita e il relativo successo della fabbrica di Torre Annunziata, furono anche la causa principale della sua dismissione.
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Silvio De Majo, Augusto Vitale Cosa rimane oggi dell’Ilva di Bagnoli?
Nella maggior parte delle grandi dismissioni industriali della fine del secolo scorso, sulla spinta del mercato immobiliare, di volontà politiche o di azioni locali dal basso, si sono attuate, nel corso degli ultimi decenni,riconversioni e rigenerazioni, spesso ben riuscite.Nel Mezzogiorno, anche nelle sue aree di più antica industrializzazione, debolezze strutturali hanno portato a risultati negativi e spesso ad insuccessi. L’insufficiente radicamento nel tessuto sociale ha messo in crisi un intero universo sociale, preda della instabilità politica e di mali ancor più profondi, a cui spesso sono seguite solo deboli forme di mobilitazione sociale e scarse voci della politica e degli intellettuali. In molti casi le tracce fisiche, pur ricche di emergenze e singolarità, sono finite alla mercé dell’incuria, di scelte immobiliari errate e di inconsapevoli cancellazioni. Il caso dell’area siderurgica Ilva a Bagnoli, in cui alla chiusura (1990-92) e dal conseguente smontaggio, vendita parziale e rottamazione degli edifici e degli impianti (1995-2000) hanno fatto seguito scelte carenti o contraddittorie, è segnato dalla grande distanza tra gli obiettivi (anche di policy urbana) e gli atti amministrativi e tecnici che hanno segnato gli anni dall’inizio del secolo ad oggi, consegnandoci una situazione di forte degrado e di grave ritardo. La relazione vuole mettere in luce le strategie seguite nel salvataggio, nella conservazione e tutela di alcune singolari testimonianze della fabbrica, unitamente al suo archivio, raffrontandoli alla azione di governo del territorio svolta nel contempo e constatando come a distanza di molti anni da quelle date, il contesto socio-urbanistico sia molto cambiato e quali nuove sfide pone la conservazione delle tracce della storia della fabbrica.
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Vittoria Ferrandino La fabbrica Saint Gobain di Caserta.
Molti economisti del Novecento, tra cui Schumpeter, hanno considerato il fenomeno della crescita della concentrazione dell’impresa una tendenza storica, una condizione ciclica, motivata da elementi tecnologici ed organizzativi, quali ad esempio le economie di scala e di diversificazione.Il lungo ciclo di crescita post-bellico e la competizione internazionale determinata dall’entrata in vigore del MEC, determinarono l’ondata di fusioni che caratterizzarono le economie degli anni Sessanta di tutti i Paesi industrializzati.Proprio in uno dei settori cardine dell’industrializzazione italiana, la vetreria, si inserì la multinazionale francese Saint-Gobain. Basti pensare allo sviluppo delle industrie automobilistica, edilizia e ferroviaria.Di fronte all’aumento della domanda, nel 1956, l’azienda francese decise di scartare la soluzione più facile ed economica, ovvero ampliare la sede di Pisa, già operante in Italia dal 1889, costruendo invece una nuova fabbrica in Campania, precisamente nel sud di Caserta. La“Fabbrica pisana di specchi e lastre colate di vetro Saint Gobain” presentò all’Isveimer una richiesta di finanziamento per la costruzione di un nuovo stabilimento, finalizzato alla produzione di cristalli e vetri stampati. Il consiglio di amministrazione dell’Isveimer, il 27 luglio del 1956, deliberò un primo finanziamento di 2,5 milioni di lire sui fondi della Banca Mondiale e, un secondo, nell’ottobre del 1959, di un miliardo. In totale, ben nove i miliardi necessari per realizzare l’opera. Iniziato nella primavera del 1957, alla fine del 1960 lo stabilimento era già in piena attività, con una potenzialità di 8.600.000 mq all’anno di cristalli, 19.750.000 mq all’anno di vetri stampati e 950 dipendenti. Scopo del presente lavoro è ricostruire le vicende che hanno portato alla chiusura dello stabilimento di Caserta da parte del colosso francese ed evidenziare l’evoluzione successiva dell’impianto dismesso, tra intervento pubblico e iniziativa privata, avvalendosi soprattutto di fonti archivistiche e giornalistiche.
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Amedeo Lepore, Stefano Palermo La dismissione tra storia e racconto: il caso Bagnoli.
La storia dell’Ilva di Bagnoli, ampiamente studiata dalla storiografia economica, è parte integrante di quella dello sviluppo italiano del Novecento. L’intervento dell’industria siderurgica nell’area occidentale di Napoli prende corpo a inizio secolo,come risultato di una chiara strategia di public policy volta a consentire al Paese e a un pezzo strategico del Mezzogiorno l’aggancio alle forme più avanzate della seconda rivoluzione industriale europea. Il progetto produttivo di ispirazione nittiana, tuttavia, nel secondo dopoguerra segue la parabola della dinamica italiana all’interno dei cicli economici globali: dalla grande ascesa dell’età dell’oro, alle difficoltà attraversate nella coda della silverage, fino alla crisi e alla chiusura nell’ultimo scorcio del Novecento, che segna l’allontanamento dell’Italia e del Sud dal centro del sistema economico internazionale. Nelle antinomie che contraddistinguono questa storia, tra crescita e crisi, industrializzazione e deindustrializzazione, convergenza e divergenza meridionale, ascesa e declino della grande industria pubblica e privata, si colloca una vicenda che caratterizza il panorama urbano e industriale di Napoli, come metafora di una parte almeno del Paese, e – dato non meno rilevante – i mutamenti del suo tessuto sociale e civile. Dalla storia economica, dunque, si dipana il racconto di un territorio del Mezzogiorno, l’evoluzione della sua coesione e disgregazione sociale, il rapporto tra la città e l’industria, la formazione e la crisi di una grande concentrazione operaia, l’interazione tra i diversi protagonisti istituzionali, economici e sociali, le illusioni e le disillusioni che conseguono ad alterni eventi. Una vicenda che, descritta attraverso varie angolazioni ed esaltata nei caratteri della dismissione nella narrazione di Ermanno Rea, è stata affrontata carsicamente nella letteratura, sui giornali, sulle riviste e nelle arti visive, cinema e televisione in primo luogo. Obiettivo di questo contributo è, quindi, quello di esplorare la diversa documentazione disponibile (articoli, riviste, libri, produzioni filmiche, ecc.) in un percorso di lettura multimediale,evidenziando così i nessi ed eventualmente le disarmonie tra storia economica e narrazione pubblica di una storia ricca e difficile come quella di Bagnoli.
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Serena Potito, Andrea Pomella I magazzini generali, tra il passato e il futuro del porto di Napoli.
I Magazzini Generali, ispirati al modello dei docks inglesi e dei magazzini francesi – e regolamentati da una legge del 1871 - si diffusero nelle maggiori città italiane negli ultimi decenni del XIX secolo. Il loro scopo era di provvedere alla custodia delle merci, rilasciando speciali titoli di commercio, e di agevolare l’incontro tra produttore e acquirente, riducendo, così, i tempi di negoziazione. Essi sono, dunque, da annoverare fra gli strumenti commerciali con cui si intendeva intensificare e favorire i traffici di merci nel periodo in cui il commercio internazionale accompagnato dallo sviluppo e ammodernamento delle infrastrutture andava riducendo le barriere tra paesi. Questa ricerca prende il suo avvio dagli studi inerenti il tentativo italiano di ritagliarsi un ruolo durante la prima globalizzazione, anni in cui i Magazzini Generali di Napoli, furono i più importanti d’Italia. La fase di declino del porto di Napoli, che si accentua ad inizio ‘900 finì inevitabilmente per interessare i Magazzini Generali. Durante il ventennio fascista si tentò di rilanciarne le attività, l’imponente edificio di impianto razionalista progettato da Marcello Canino rappresenta idealmente questo sforzo. Purtroppo dopo la Seconda guerra mondiale, i Magazzini Generali vissero il loro irreversibile declino. La loro dismissione si è presentata da subito molto problematica, i progetti di rilancio dell’area hanno interessato diversi ambiti, da quello culturale a quello inerente il settore crocieristico. Più recentemente si è avanzata l’ipotesi che i Magazzini Generali possano diventare la sede di un museo dedicato alla storia delle immigrazioni. La ricerca si pone l’obiettivo di ricostruire le vicende salienti della storia dei Magazzini General iconcentrandosi sulla sua problematica dismissione, tema che riguarda strettamente il rilancio, urbanistico ed economico, di un asset fondamentale per lo sviluppo della città.
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Marco Santillo La fabbrica Marzotto di Salerno.
Nel gennaio del 1958, grazie ad un finanziamento erogato dall’Isveimer su fondi della International Bank for Reconstruction and Development prendeva vita a Salerno la «Marzotto Sud» azienda di confezioni del Gruppo Marzotto. Nasceva, la consociata salernitana, con l’obiettivo strategico –da parte della proprietà e del management della Capogruppo veneta - di entrare corposamente nel segmento di mercato (relativamente nuovo) delle confezioni mettendo in opera un moderno stabilimento a forte specializzazione in un’area del Mezzogiorno rientrante nella politica di intervento straordinario inaugurata dalla creazione della «Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale» nel 1950, prorogata e rifinanziata nel 1957 con obiettivi dichiaratamente orientati in chiave industrialista. Tra gli anni ’70-’80, nonostante le continue iniezioni di liquidità da parte della Cassa, la «Marzotto Sud» registrò ricorrenti quanto pesanti cadute dei livelli di produttività, tali da costringere la proprietà, nell’ottobre del 1983, a mettere improvvisamente in liquidazione l’Azienda e a chiudere contestualmente lo stabilimento salernitano. Quest’ultimo, dopo annose controversie e dopo l’aggiudicazione definitiva (luglio 2017) del lotto, da parte del tribunale fallimentare di Napoli, alla società «Iniziative immobiliari», è ancora in attesa di definitiva risistemazione, con una probabile destinazione a fini turistici che rischia quindi di cancellare con un colpo di spugna una vicenda imprenditoriale ricca di storia, simbolo della crisi del modello di industrializzazione attuato con l’intervento straordinario.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Tecnologie innovative della geomatica. Dalla conoscenza alla narrazione - ore 15:00 Coord: A. Spanò Sala della Biblioteca M. Biancardi, A. Massarente, M. Suppa - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Nuove Tecnologie e Strumenti Multimediali per la narrazione di Sistemi Culturali Diffusi. Il caso studio “Eridano” C. Torti, M. Grava - UNIVERSITÀ DI PISA
L’uso dei GIS (Sistemi Informativi Geografici) in Archeologia Industriale: il caso-studio delle manifatture toscane in epoca preunitaria C. Balletti - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Dalla nuvola di punti alla replica: la stampa 3D per la conservazione e conoscenza del patrimonio culturale D. Visintini - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE, M. Ballarin - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA, G. Furfaro, A. Guastella GEOMETRI, M. Piras, V. Di Pietra - POLITECNICO DI TORINO
Il rilevamento 3D da drone del patrimonio industriale pericolante: l’esempio della Fornace Penna di Scicli (RG)
A. Scianna - ICAR-CNR , C. Castagnetti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA, F. Matrone POLITECNICO DI TORINO
HBIM per la conservazione del patrimonio industriale dismesso. La Fornace Penna a Sampieri-Scicli (RG)
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Michela Biancardi, Alessandro Massarente, Martina Suppa Nuove Tecnologie e Strumenti Multimediali per la narrazione di Sistemi Culturali Diffusi. Il caso “Eridano”.
In una dimensione contemporanea, segnata dalla velocità del cambiamento tecnologico, che inequivocabilmente condiziona la percezione e l’assimilazione di tutto ciò che ci coinvolge, risulta sempre più necessario potenziare e sviluppare nuovi linguaggi virtuali e multimediali, capaci di raccontare e valorizzare il patrimonio culturale. Il racconto, nella sua struttura narrativa emozionante e coinvolgente, è al centro del sistema museale diffuso Eridano: ricostruire relazioni tra storia, luoghi e paesaggi , restituendo ai fruitori i valori storico-archeologici e ambientali del paesaggio fluviale. Tramite l’applicazione delle ITC – dagli strumenti FOSS (Free and Open Source Software), in particolare del software open source QGiS, per la realizzazione di cartografie tematiche, alle ricostruzioni virtuali, che consentono di vivere esperienze immersive attraverso i cardboards (visori di cartone lanciati da Google) - è possibile trasmettere il valore patrimoniale di un territorio, garantendone una fruibilità innovativa e inclusiva. I risultati del progetto sono documentanti in uno Studio di Fattibilità, in fieri, in cui si individuano le possibili applicazioni - principi, metodologia, strategia narrativa e di sviluppo – nel campo della cultura materiale per la costruzione di reti culturali e museali diffuse. Il progetto, cofinanziato dalla DGMusei del MiBAC attraverso il bando MuSST1, è frutto della partnership tra: Polo Museale dell’EmiliaRomagna, Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, Abbazia e Museo di Pomposa, Museo Civico Archeologico G. Ferraresi di Stellata, Museo del Territorio di Ostellato, Museo Civico di Belriguardo, Museo Delta Antico di Comacchio e lo Scavo della Terramara di Pilastri, con il supporto scientifico del TekneHub - Laboratorio dell’Università di Ferrara e il partnerariato di TryeCo 2.0 srl.
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Cristiana Torti, Massimiliano Grava L’uso dei GIS (Sistemi Informativi Geografici) in Archeologia Industriale: il caso-studio delle manifatture toscane in epoca preunitaria.
Nella comunicazione si analizzano i risultati di una ricerca, cofinanziata tra il CIST (Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio) e il SITA (Servizio Informativo Territoriale e Ambientale) della Regione Toscana, e dedicata alla georeferenziazione delle manifatture toscane della metà del secolo XIX. Sono stati creati una serie di livelli georeferenziati di tutte le manifatture dell’area, rintracciando oltre 16.000 strutture lavorative distribuite su una superficie di circa 25.000 km2,presenti alla data di attivazione dei catasti preunitari toscani (Catasto Generale della Toscana, Catasto Borbonico e Catasto Estense). Il geodatabase, realizzato mettendo a confronto la cartografia georeferenziata nell’ambito del progetto CA.STO.RE. (CAtasti STOrici REgionali) e i registri catastali conservati nei vari Archivi di Stato della Toscana, con ogni probabilità èal momento il più grande database geografico mai realizzato; oltre al resto, esso consente di individuare la localizzazione esatta di tutti gli opifici toscani presenti all’epoca, in modo da poterne eventualmente controllare lo stato ed operare confronti diacronici e sincronici. La pubblicazione online di questi livelli informativi sul portale cartografico della Regione Toscana sarà l’ultima tappa di una ricerca che, tanto per numero quanto per densità di “opifici”, si configura come uno straordinario esempio di sintesi tra ricerca storico-archivistica e uso di nuove tecnologie.
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Caterina Balletti Dalla nuvola di punti alla replica: la stampa 3D per la conservazione e conoscenza del patrimonio culturale.
Negli ultimi anni lo sviluppo di tecnologie 3d applicate ai Beni Culturali ha portato a risultati di grande impatto sia dal punto di vista della conservazione, che della valorizzazione, della trasmissione/comunicazione e della fruizione del nostro patrimonio. In particolare abbiamo assistito a molteplici esperienze interdisciplinari dove, grazie all’integrazione tra campi di ricerca diversi, si sono ottenuti risultati ottimali proprio grazie al trasferimento tecnologico, dalla computer graphics a quello della documentazione, dall’ingegneria industriale a quello della conservazione e fruizione dei Beni Culturali. Si vuole quindi fare particolare attenzione alle attuali tecnologie per la stampa solida (digital fabbrication) impiegate per la realizzazione di copie fisiche, quindi “tangibili”, di modelli digitali tridimensionali virtuali.La prototipazione rapida è una tecnica che permette di produrre copie fisiche di oggetti con geometrie complesse direttamente dal modello matematico in tempi relativamente brevi e con costi spesso contenuti. In anni recenti, questa tecnica ha subito un forte sviluppo grazie alla larga diffusione sul mercato delle desktop 3D printers, stampanti dal costo e dalle dimensioni ridotti, che utilizzano spesso una tecnologia additiva di tipo FDM, in grado di creare modelli fisici attraverso la sovrapposizione di strati di materiale.L’evoluzione tecnologica recente ha visto la diffusione massiccia sul mercato globale della stampa solida. Negli ultimi anni l’avvento della stampa 3D ha aperto nuovi scenari e nuove possibilità legate alla produzione di oggetti di uso comune, soprattutto quando i costi di queste macchine si sono notevolmente abbassati, rendendo alla portata di un pubblico sempre più ampio l’utilizzo di questi strumenti.
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Domenico Visintini, Martina Ballarin, Giuseppe Furfaro, Aldo Guastella, Marco Piras, Vincenzo Di Pietra Il rilevamento 3D da drone del patrimonio industriale pericolante: l’esempio della Fornace Penna di Scicli (RG). Fase preliminare alla conservazione, restauro e recupero del patrimonio industriale è la conoscenza dettagliata e precisa dello stesso: relativamente alla conoscenza geometrica, sono sempre più diffuse le tecniche fotogrammetriche dette Structure from Motion (SfM) su immagini acquisite da drone, strumentazione ideale per rilevare edifici di grandi dimensioni.Per testare potenzialità/problematiche del rilevamento da drone, la Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia (SIFET) ha istituito un gruppo di lavoro che nel febbraio 2017 ha realizzato 21 voli con i droni Parrot Bepop, DJI Phantom 4, Flytop Flynovex, acquisendo ben 1.958 immagini e 45’ di riprese video della Fornace Penna di Scicli (Ragusa), nota al grande pubblico come “La Mànnara” nello sceneggiato “Il Commissario Montalbano”. Questo stabilimento di 86,8x25,2x14,8 m costruito in località “Punta Pisciotto” nel 1909/1912 (progettista ingegner Ignazio Emmolo, committente barone Guglielmo Penna), ha prodotto mediante un forno tipo Hofmann ingenti quantità di laterizi fino all’incendio doloso del 26 gennaio 1924. Da allora è pericolante e abbandonato, senza copertura/solai in legno, con crolli anche recentissimi delle pareti e della sommità della ciminiera alta in origine 41 m.Questo esempio è quindi emblematico delle situazioni di patrimonio danneggiato/pericolante, rilevabile soltanto attraverso immagini aeree. I dati acquisiti sono stati distribuiti per un benchmark fra università/professionisti che hanno inviato in totale 37 pacchetti di elaborazioni ottenuti utilizzando 8 diversi software SfM, che sono stati opportunamente analizzati e confrontati. Non si entra qui nel dettaglio dei risultati, ma si sottolinea come sia stata confermata la grande potenzialità del rilevamento da drone per ottenere ricostruzioni 3D di grande efficacia, anche per navigazioni virtuali e simulazioni di intervento.
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Andrea Scianna, Cristina Castagnetti, Francesca Matrone HBIM per la conservazione del patrimonio industriale dismesso. La Fornace Penna a Sampieri-Scicli (RG).
La realizzazione di modelli digitali tridimensionali ad oggetti è un’attività fondamentale per la descrizione del patrimonio architettonico e per fornire un supporto alla sua conservazione, nonché alle possibili attività di restauro e rifunzionalizzazione. La modellazione BIM (Building Information Modeling), sempre più diffusa, ha raggiunto negli ultimi anni un buon livello di maturità, consentendo di descrivere non solo la geometria degli edifici, ma anche le caratteristiche costruttive, le proprietà fisico-meccaniche e gli interventi che si sono succeduti nel tempo. Dal momento, però, che la modellazione di edifici di carattere storico presenta ancora diverse criticità, che devono essere analizzate e affrontate opportunamente, la Società Italiana di Fotogrammetria e Topografia (SIFET), nel 2018, ha organizzato un Benchmark avente come titolo “Restituzione di modelli 3D/HBIM da nuvole di punti ottenute con rilievi UAV o laser scanning terrestre”. Quest’attività ha visto la partecipazione di 10 gruppi, tra aziende, professionisti e ricercatori universitari e l’elaborazione di 8 differenti modelli HBIM (Historical Building Information Modeling) per sperimentare le possibilità di tale modellazione a supporto delle attività di conservazione e gestione di un complesso edilizio di archeologia industriale. Il caso studio è la Fornace Penna a Sampieri-Scicli (RG), un ex stabilimento per la produzione di laterizi realizzato tra il 1909 e il 1912, oggi in stato di abbandono e in buona parte crollato. Attraverso il processo “Scan2BIM” e tenendo conto del carattere storico dell’edificio, i partecipanti hanno interpretato e strutturato modelli 3D differenti, ciascuno finalizzato a uno specifico scopo. Tra i risultati pervenuti si segnalano molteplici finalità tra cui la creazione di un database a supporto della conservazione dell’edificio (contenente informazioni sui materiali e sui degradi), la formulazione di ipotesi di ricostruzione e il calcolo strutturale. É stata infine condotta un’analisi critica dei risultati comparando i modelli circa la qualità dell’applicazione delle texture, l’interoperabilità tra i diversi software utilizzati e lo scarto geometrico fra la nuvola di punti, utilizzata come base per la modellazione, e i modelli HBIM.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA
Heritage telling - dalla conoscenza alla narrazione- ore 16:30 Coord: M. Ramello, C. Natoli Sala della Biblioteca A. Spanò, G. Sammartano, E. Colucci - POLITECNICO DI TORINO
Lo spazio del paesaggio diffuso dei cementifici nel Monferrato Casalese: la documentazione digitale per la gestione e la valorizzazione integrata del patrimonio industriale G. Casaletto - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BASILICATA, G. Ferrarese - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO
Narrare il lavoro in Basilicata: viaggio virtuale nello stabilimento Anic di Pisticci
M. Cubría Piris - STORICA E MASTER IN PATRIMONIO STORICO E DEL TERRITORIO
Bicèri de patrimonio industrial: una experiencia divulgativa P. Durante, S. Giammaruco - ZOOMCULTURE LECCE, A. Monte - CNR-IBAM
Il patrimonio industriale dell’Acquedotto Pugliese: una narrazione tra reale e virtuale per la conoscenza e la valorizzazione B. Scala, B. Badiani - UNIVERSITÀ DI BRESCIA, S. Lonati ISTITUTO TECNICO SUPERIORE BATTISTI (SALÒ, BRESCIA)
Narrazione attiva: il forno fusorio di Livemmo. Come gli studenti diventano autori-protagonisti del viaggio nella conoscenza, nella conservazione e nell’appartenenza E. Leoni - STORYTELLER E GIORNALISTA
Un cantiere didattico per Chieri, città del tessile
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Nannina Spanò, Giulia Sammartano, Elisabetta Colucci Lo spazio del paesaggio diffuso dei cementifici nel Monferrato Casalese: la documentazione digitale per la gestione e la valorizzazione integrata del patrimonio industriale La dimensione paesaggistica del patrimonio industriale e le sue relazioni territoriali, sono attualmente un tema aperto nei dibattiti alla scala regionale, dove in maniera diversificata vengono proposti e attuati lavori di inventariazione, catalogazione e studio dei beni appartenenti al patrimonio industriale dismesso nei processi di rigenerazione urbana e territoriale italiana. L’impiego di un approccio metodologico integrato che coinvolga la creazione e la gestione di informazioni geografico-numeriche di tipo 3D tramite tecniche geomatiche avanzate di rilievo e spazializzazione di dati, nonché di gestione di database di informazioni, si può presentare oggi come un valore aggiunto nei progetti di documentazione e di catalogazione, e nelle proposte di percorsi fruizione virtuale/digitale/interattiva di questo patrimonio diffuso dalla forte valenza territoriale.All’interno del paesaggio del Monferrato Piemontese, il territorio del casalese è caratterizzato da un ricco e diffuso patrimonio architettonico e dell’archeologia industriale legato alla presenza, nel paesaggio e nell’identità locale, dei cementifici e delle attività connesse. Nonostante rimanga ancora non attuata la proposta di legge n°150/2015 a favore dell’individuazione, salvaguardia e promozione culturale di emergenze paleoindustriali in Piemonte, il Piano Paesaggistico Regionale (agg.2017) riconosce alcune aree e siti specifici di archeologia industriale come elementi caratterizzanti di rilevanza paesaggistica. Sono state sperimentate in queste aree da parte del gruppo di Geomatica del Politecnico di Torino,delle strategie integrate di documentazioni a grande scala, basate su tecniche avanzate di acquisizione di dati 3D tramite scansioni LiDAR e fotogrammetria terrestre consolidata, insieme alle recenti evoluzioni della fotogrammetria aerea tramite SAPR (sistemi aerei a pilotaggio remoto). Questi approcci range-e image-based permettono l’acquisizione di grandi quantità di dati geometrici e radiometrici ad elevato dettaglio, anche laddove l’accessibilità degli spazi risulta compromessa come è tipico delle strutture dismesse.In questi contesti, infatti, è stata cruciale l’integrabilità e interoperabilità di dati eterogenei, come quelli di natura geometrica, con quelli storico-economici del territorio e naturalistico-geologicimineralogici dei suoli, così come le informazioni dei principali siti produttivi/estrattivi, nonché la loro documentazione materiale e immateriale. La possibilità di questa gestione è mirata alla lettura, analisi e rappresentazione di fenomeni che hanno portato alla creazione ed evoluzione fino a oggi di questo patrimonio industriale.
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Giovanni Casaletto Narrare il lavoro in Basilicata: viaggio virtuale nello stabilimento Anic di Pisticci.
Come è possibile riscontrare, con diverse gradazioni, in gran parte del Mezzogiorno, la ricostruzione e il racconto della storia del lavoro in Basilicata sono fortemente appiattiti sul lavoro contadino, rappresentato come dimensione produttiva di una società rurale pre-industriale.Viene completamente trascurata la storia industriale che ha caratterizzato con maggiore intensità alcune aree della regione a partire dal secondo dopoguerra. Sul territorio regionale, infatti,proliferano i musei della civiltà contadina, mentre quasi del tutto assenti sono gli archivi e musei di impresa.Tale assenza è conseguenza diretta della scarsa diffusione di una moderna cultura di impresa, ma anche della dispersione del materiale documentario e della non fruibilità degli ex siti industriali a causa di complesse vicende di dismissione e del loro pesante lascito sotto forma di inquinamento ambientale.In questo complesso e non agevolequadro l’IresCgilBasilicataha dato corpo ad un progetto di ricostruzione e valorizzazione della storia e del patrimonio industriale lucano che ha tentato di superare le difficoltà sopra descritte mediante l’utilizzo delle più moderne tecnologie sviluppate nel settore della realtà virtuale e aumentata (oculus rift). Partendo da un lavoro di recupero delle fonti e di ricerca storica e combinandolo con tecniche informatiche (fotogrammetria, modellazione 3D) e di storytelling è stato possibile sviluppare un viaggio virtuale ed immersivo nei luoghi identitari del lavoro industriale lucano. Tra questi lo stabilimento chimico dell’Anic di Pisticci. L’effetto finale è un vero e proprio salto nel tempo che permette al visitatore di passeggiare tra gli operai e le macchine in opera di quella che è stata la più grande fabbrica lucana dal 1964 al 1985.
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Monteserrat Cubría Piris Bicèri de patrimonio industrial: una experienca divulgativa
Fra le diverse tipologíe patrimoniali, l’industriale é senz’altro quello piú sconosciuto e per ció molto fragile. La divulgazione, fare arrivare alla societá la sua importanza ed il suo significato é fondamentale per coinvolgere e sensibilizzare ad un pubblico generico. Partendo dall’idea che per riuscirci “tutto é poco”, cosí come riflettendo sulla propria esperienza ed il percorso che, a me personalmente, ha portato ad interessarmi ed appassionarmi di patrimonio industriale, é nata l’estate scorsa l’iniziativa “Nuevos Usos de Patrimonio Industial”, un ciclo d’incontri informali ispirato agli incontri “A pint of Science” sorti nel 2013 della mano di Michael Motskin e Praveen Paul. Tenuto fra novembre 2017 e maggio 2018 con scadenza mensile in una rinomata taberna marinara di Santander (Spagna), presso l’antica stazione di pompaggio che dava servicio ad un bacino di carenaggio di fine XIXº secolo, monumento storico dal 2000, il ciclo é consistito in sette monografici nei quali, volta per volta, si sono analizzati altrettanti esempi internazionali di recupero e riuso d’industrial heritage. Una sorta di gite virtuali nelle quali, mediante lo storytelling, abbiamo avvicinato ai presenti diversi esempi di buone (e anche meno buone) pratiche, fornendo loro le chiavi per capire e apprezzare. Fra gli obiettivi non solo familiarizzare un pubblico non esperto con il patrimonio industriale ma, soprattutto, contribuire a far capire l’importanza della sua salvaguarda, gli interessi dietro alle possibili scelte, il potenziale per dinamizzare la comunitá ed il territorio e l’importanza del ruolo della societá civile nel riuscirci.
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Paola Durante, Sofia Giammaruco, Antonio Monte Il patrimonio industriale dell’Acquedotto Pugliese: una narrazione tra reale e virtuale per la conoscenza e la valorizzazione.
La valorizzazione del patrimonio industriale dell’Acquedotto Pugliese -gigantesca opera idraulica che si sviluppa tra tre regioni, Puglia, Campania e Basilicata- ha avuto un forte input con il progetto di realizzazione della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, individuata e finanziata dalla programmazione regionale e nazionale: un vero e proprio itinerario narrativo, un percorso cicloturistico ed escursionistico di 500 km che si sviluppa lungo le piste di servizio dell’acquedotto. La sua realizzazione, ancora in corso, è frutto di un lungo e complesso processo che vede il coinvolgimento della Regione Puglia, di Acquedotto Pugliese SpA e del Coordinamento dal Basso per la Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, un comitato che conta oltre 100 tra associazioni e imprese delle tre regioni e che si mobilita per la realizzazione di un progetto unitario di ciclovia da Caposele (AV) a Santa Maria di Leuca (LE). La Cicloguida della Ciclovia dell’Acquedotto Pugliese, a cura di Roberto Guido, approfondisce il tracciato per i cicloviaggiatori mentre una monografia (in corso di preparazione), realizzata nell’ambito del progetto “Di Cultura Saziami”, si propone di dare un nuovo apporto alla ricerca sul patrimonio industriale dell’acquedotto partendo da un inquadramento generale e approfondendo dei casi studio significativi con uno sguardo al turismo industriale. Ad essa si affiancano un documentario dal taglio narrativo, con interviste e contributi di tecnici, funzionari, operai e testimoni della storia dell’acquedotto, e una soluzione di fruizione ICT, nel dettaglio un virtual tour, di un bene rappresentativo e inaccessibile di tale patrimonio industriale arricchito da contenuti multimediali esito di interviste e della ricerca d’archivio.
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Barbara Scala, Barbara Badiani, Stefano Lonati Narrazione attiva: il forno fusorio di Livemmo. Come gli studenti diventano autori-protagonisti del viaggio nella conoscenza, nella conservazione e nell’appartenenza. La proposta di contributo s’inserisce nelle attività previste nel progetto Valli Resilienti, ideato dalle Comunità Montane di Valle Trompia e Valle Sabbia, nell’ambito del programma Attivare e finanziato da fondazione Cariplo. Nel percorso di alternanza scuola lavoro, previsto nel programma Attivare e, in cui sono state coinvolte alcune classi della scuola superiore C.Battisti di Salò (Brescia), affiancate dall’Università di Brescia, il ricco patrimonio di archeologia industriale presente nella Valle Sabbia è stato oggetto di uno studio multidisciplinare, in cui sono state messe a frutto le competenze acquisite nelle attività didattiche relative: a tecnologie S.A.P.R. (strumenti aeromobili a pilotaggio remoto) e H.B.I.M. (historical building information modelling), a ricerche archivistiche e alla lettura diretta delle tecniche costruttive locali. Nel paper si restituiscono, sia la narrazione della metodologia e delle attività svolte dagli studenti, sia i risultati della rilettura dei processi economici, industriali e tecnologici che hanno interessato quest’area. Le informazioni desunte nello studio del patrimonio edilizio sono state messe in relazione alle ricostruzioni interattive elaborate dagli studenti, con l’obiettivo di comprenderne le trasformazioni nel tempo all’avanzare della tecnologia, fino alle cause dell’abbandono dei processi industriali che ne hanno determinato la decadenza. Questo approccio ha consentito di avanzare delle interpretazioni, sia scientifiche, che di carattere divulgativo: uno storytelling che ha responsabilizzato i protagonisti dell’attività scolastica e nello stesso tempo la comunità locale nel riappropriarsi del valore del luogo.
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Elisa Leoni Un cantiere didattico per Chieri, città del tessile
A Chieri, città del tessile piemontese,si è avviata nel 2018 una valorizzazione del Museo e della Fondazione del Tessile, per farne un polo di riferimento cittadino e sviluppo socio-culturale.Tra gli strumenti canonici (rifacimenti architettonici, eventi)si dà voce all’intervento anche attraverso lo storytelling, che diviene fil rouge tra i tre grandi ambiti dellariqualificazione: passato, presente e futuro.Il passatosi delineada un lato raccogliendo memorie in prima persona, sempre emotivamente connotate, a testimoniare il legame del luogo con la popolazione,il suo portato identitario. Dall’altro ricostruendo in archivio le riscritture successive dell’edificio (convento, opificio e museo), per tracciarne un diario coinvolgente,che ne riveli con chiarezza le complessità e ricchezze storico-sociali.Il presente raccontale storie dellarigenerazione: voci, volti che approdano al Museo rinnovato e vi trovano una realtà che si propone come casa, trait d’union sociale, occasione lavorativa (ad esempio, una giovane stilista che scopre e vive la nuova Sartoria Sociale).Il futuro. Il linguaggio scelto per narrarlo è la realtà virtuale,che consente di recuperare in modo ludico e tecnologico antichi saperi come l’utilizzo dei telai(conoscenza),“vivere”in una fabbrica del tessile(esperienza)e ammirare le riscritture architettoniche dell’edificio(memoria).Quello che ne risulta è un quadro delineato per racconti (destinati a reading, perché la restituzione dell’identità avvenga in una modalità collettiva,e per viva voce),narrazioni VR e un video trailer. Un quadro che prende il patrimonio conservato e lo rimette in circolo, rendendolo testo di base per una riappropriazione del luogo e, con esso, della storia e dell’identità.
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Inducult2.0 - Entrepreneural culture and industrial heritage ore 15:00 Coord: M. Bertilorenzi Sala THRON C. Debes - DISTRICT OF ZWICKAU, GERMANY
Inducult2.0 project, the value of Industrial Culture for the development of Central Europe D. Simic - UNIVERSITY OF GRAZ
Transnational strategies for the valorisation of Industrial Culture and Heritage: which lesson from InduCult2.0 project? A. Galeota - CAMERA DI COMMERCIO DI PADOVA
InduCult2.0 project: the actions for Veneto Region, which benefits for companies, workers, students? R. Dal Pos - CONFINDUSTRIA PADOVA
Confindustria’s strategies and actions for the promotion of industrial culture and heritage MUNICIPALITY OF IVREA
Industrial heritage, from Olivetti to the UNESCO recognition M. Giampieretti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
IMPACT-Impresa, Patrimonio, Cultura, Territorio: Presentation ASSINDUSTRIA VENETOCENTRO
Presentation Discussion
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Venerdì 26 Ottobre / Friday 26th October PIAZZOLA SUL BRENTA Patrimonio Industriale e la World Heritage List dell’UNESCO - ore 17:00 Coord: M. Preite Sala THRON R. Lavarini - ZBD TECH SRL
Un piano di gestione innovativo per un Patrimonio innovativo P. Bonifazio - POLITECNICO DI MILANO
Ivrea industrial city of the XX century, ovvero le eredità non sono mai banali M. Giampieretti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dark side of the Moon. La salvaguardia del patrimonio culturale immateriale R. Maspoli - POLITECNICO DI TORINO
Il patrimonio del motorismo: la valorizzazione e le prospettive di designazione UNESCO G. Ravasio - FONDAZIONE CRESPI D’ADDA
La cultura che ri-genera i luoghi e l’economia A. Molina Giménez - UNIVERSIDAD DE ALICANTE
Investing in the future to preserve the past. Middle Age dams in Alicante Province (Spain)
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Renato Lavarini Un piano di gestione innovativo per un Patrimonio innovativo
Nel panorama dei Siti mondiali iscritti nella World Heritage List UNESCO, alcuni riguardano il patrimonio industriale. Ognuno con le sue caratteristiche peculiari che lasciamo agli storici dell’architettura e dell’urbanistica definire. La città industriale del XX secolo di Ivrea, la cosiddetta Ivrea olivettiana, ha proprie caratteristiche e peculiarità che hanno costituito e costruito i valori che UNESCO ha riconosciuto validi per un passo così importante come la Lista del Patrimonio Mondiale. Tali valori, uniti alle caratteristiche di integrità e autenticità del Sito, vengono ricondotti al sistema organizzato del Piano di Gestione che, in assenza di guideline specifiche, è stato strutturato ex novo e potrebbe costituire un punto di riferimento per gli altri siti industriali. Il contesto di riferimento fornito da UNESCO è stato semplicemente quello delle cosiddette 5C: coordination, conservation, capacity building, communication, community. All’interno di questo contesto si è realizzato un programma/processo costituito da 5 piani d’azione comprendenti ciascuno una serie di misure strutturate, a loro volta, in azioni. Il tutto è stato inserito in un orizzonte temporale di quattro fasi: fatto, a breve termine, a medio termine e a lungo termine. L’obiettivo generale: una valorizzazione condivisa, progettata e gestita.
Patrizia Bonifazio Ivrea industrial city of the XX century, ovvero le eredità non sono mai banali
Il paper intende presentare le modalità attraverso le quali si è istruito il dossier di candidatura del primo sito industriale italiano nel XX secolo iscritto nella World Heritage List.Tale lavoro ha posto al centro della sua attenzione il tentativo di rileggere la storia della città e l’esperienza di Olivetti e della Olivetti alla luce della letteratura e delle scuole storiografiche sulla città industriale e di confrontarsi con i materiali promossi dal World Heritage List inerenti la classificazione dei patrimoni industriali e le possibili articolazioni che assumono in epoca contemporanea concetti chiave come quello di authenticity e integrity.Sullo sfondo la consapevolezza del ruolo giocato dalla fabbrica e dalla figura di Adriano Olivetti nelle memorie individuali, in quella sociale e collettiva che hanno assunto negli ultimi anni alternativamente un ruolo conflittuale e che ancora oggi determinano una lettura mitografica e retorica dell’esperienza Olivetti e della sua azione a Ivrea.
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Rossella Maspoli Il patrimonio del motorismo: la valorizzazione e le prospettive di designazione UNESCO
Le trasformazioni indirizzate dalla mobilità su ruote hanno avuto un grande impatto sull’ambiente e sul paesaggio per oltre un secolo, non solo fabbriche, ma showroom, garage, parcheggi, stazioni di rifornimento ... così come infrastrutture territoriali quali le autostrade. L’automobilismo ha lasciato - e lascia - un segno indelebile, dagli aspetti meramente tecnologici a quelli socio-culturali, mail riconoscimento e la storicizzazione degli esiti di questa industria nuova è ancora limitato. La percezione di tutto il patrimonio come valore storico comune emerge nel XXI secolo, in diverse prospettive, con valenze globali: il territorial brand heritage che caratterizza il passato e le prospettive future di corporate brand delle aree storiche della produzione (Detroit, Torino, Wolfsburg, Stoccarda, Goteborg, Nagoya ....); le potenzialità socio-economiche e per la conservazione del turismo industriale dell’automobile; la presenza universale di musei storici dei veicoli e di strutture associative. Se a partire dagli anni ‘60, il movimento per la conservazione e il restauro di veicoli storici è crescente, sono avvenute in controllate demolizioni dei siti storici della produzione e della diffusione, oltre a trasformazioni dei siti che molto parzialmente hanno mantenuto elementi di memoria. Seppure si tratti di un settore essenziale nel XIX-XX secolo, nel quadro delle iniziative dell’UNESCO non sono presenti siti nella “Lista del patrimonio mondiale”; una sola iniziativa ha riguardato la “Memoria del mondo”, con l’inserimento del brevetto Benz da parte della Germania; né sono presenti iniziative per il”patrimonio immateriale”, in connessione con il know-how tecnico e il design; nel network Creative Cities sono presenti alcune città di tradizione motoristica. Il paper intende analizzare le potenzialità del quadro UNESCO per la valorizzazione e la conservazione delle memorie di questa cultura.
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Giorgio Ravasio Turismo culturale industriale: accessibilità e valorizzazione territoriale
Crespi d’Adda rappresenta un caso emblematico di come la valorizzazione culturale possa riscoprire un patrimonio, creare economia, generare posti di lavoro, salvaguardare il territorio e ridare una nuova possibilità a contenitori industriali dismessi. Indebolita la sua vocazione originaria, quella di una manifattura tessile e di un paese asservito al cadenzato ritmo di fabbrica, Crespi d’Adda avrebbe potuto trasformarsi in un luogo socialmente e architettonicamente decadente oppure diventare preda di ambizioni speculative che ne avrebbero compromesso l’identità e la fisionomia urbana. Invece, l’intraprendenza giovanile locale che, grazie alla competenza ed alla visione, ha avviato un percorso di valorizzazione (1991 – costituzione del primo servizio di narrazione del luogo), prima, e di coinvolgimento istituzionale (1995 – inserimento nel Patrimonio dell’Umanità), poi, ha permesso a questo luogo, per lunghi anni sconosciuto e dimenticato, sia emerso all’attenzione di tutti. Un lungo percorso di costante e perseverante attività di accoglienza, di organizzazione, di formazione, di partecipazione e di comunicazione sul campo, durata venticinque anni, ha consentito ad un luogo che aveva perso la sua vocazione originaria di avere una seconda possibilità. Oggi, il sito Unesco di Crespi d’Adda, grazie al recupero del valore delle sue memorie, vive un momento di rinascita. L’interesse generale e l’afflusso turistico e scolastico, ha riconsegnato il luogo alla vita. L’edificio scolastico è diventato (2017) la sede di un punto informazioni, di un centro di interpretazione e dell’archivio storico. Nell’edificio del Dopolavoro, chiuso per trenta anni, è stato aperto (2014) un ristorante. La centrale idroelettrica, inattiva da quaranta anni, è stata ristrutturata e riattivata, oltre che riaperta al pubblico (2015). E la fabbrica è stata acquisita (2013) da un imprenditore bergamasco che intende farne la sede delle sue imprese e farne riacquisire una identità. La cultura ha creato una economia sostenibile e rigenerato un luogo senza più futuro e speranza. Una impresa esemplare per tutto il nostro Paese.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Company towns, quartieri e villaggi operai - ore 9:00 Coord: G. L. Fontana, F. Mancuso Aula Magna V.B.M. Herédia - UNIVERSIDADE DE CAXIAS DO SUL, G.L. Fontana - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Industrial patrimony and Italian immigration in the South of Brazil: the case of Galópolis C. Ostorero - POLITECNICO DI TORINO, A. Ferro - INGEGNERE
L’ex Cotonificio di Collegno di Napoleone Leumann. Virtuoso esempio di mecenatismo ed impresa M. Ceva, C. Tuis - UNIVERSIDAD NACIONAL DE LUJÁN
Construcción de una villa obrera y re-construcción de su pasado. Villa Flandria, Argentina (1928-2015) M. Morandi - ARCHITETTO, M. Marandola - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
Colleferro: una città operaia del XX secolo
D. Celetti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Il quartiere operaio UralMash (Ekaterinburgo, Russia). E. Valcovich - INGEGNERE
Alcune considerazioni sul processo di recupero del Villaggio di Panzano a Monfalcone L. Ciardi - FONDAZIONE CDSE
La briglia di Prato: dal villaggio fabbrica all’eco-quartiere. Memoria condivisa e progettazione partecipata per la rigenerazione di un’area ex industriale G.L. Fontana - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, F. Mancuso- UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Schio: ritorno al futuro?
G.L. Fontana - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, A. Gritti - POLITECNICO DI MILANO
Presentazione del progetto editoriale “Architectures at work. Towns and landscapes of industrial heritage” A. Caroli - ISPETTORE ONORARIO MIBAC
Il Porto Vecchio di Trieste
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Vania B.M. Herédiae, Giovanni Luigi Fontana Industrial Patrimony and Italian Immigration in the South of Brazil: the case of Galópolis
The study aims to present the relationship between working cultures of the nineteenth and twentieth century, between workers who left the city of SchioItaly,and came as immigrants to the South of Brazil, carrying in their baggage a wealth of technical knowledge which led to the creation of a textile cooperative. The industrial heritage that emerges from these two cultures shows the strength of immigrant labor as social mobility, and ethnicity, as a link between cultures that talk to each other, stemming from the origin of their ancestors, who lived in a society in transition where the textile industry was a space of work, of “social status” and worker identity. The results of the study show the presence of two distinct worlds that intersect and that constitute the strength of the industrial patrimony that remain until the present day, giving life to this working village. Through oral history, the narratives of descendants of Italian immigrants who worked in this textile industry show the richness of this history that can be expressed by their patrimony.
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Carlo Ostorero, Andrea Ferro L’ex Cotonificio di Collegno di Napoleone Leumann. Virtuoso esempio di mecenatismo ed impresa
La borgata Leumann di Collegno sorse a seguito di un bando di concorso promulgato nel 1865 dall’amministrazione Torinese che, mediante agevolazioni fiscali, intendeva favorire gli investimenti anche da parte di imprenditori stranieri. La famiglia di origine Svizzera Leumann decise di trasferire i propri stabilimenti di Voghera a Collegno in località Cascine Vica –Terracorta che si presentava particolarmente favorevole per l’affaccio sulla importante arteria di comunicazione da Torino verso la Francia (la via di Francia) e per l’altrettanto importante presenza di una notevole disponibilità di canali irrigui utilizzabili per la produzione della forza motrice. L’area di oltre 72.000 metri quadrati nel suo sviluppo mano a mano si arricchì di una vera e propria infrastrutturazione cittadina da quando iniziò ad operarvi l’ingegner Pietro Fenoglio, professionista protagonista della stagione Liberty e della progettazione di impianti industriali. Il complesso urbano si arricchì nel tempo, oltre alle abitazioni per le maestranze e per i dirigenti, anche di un albergo per ospitare i montatori degli impianti industriali,di un convitto delle “Giovani Operaie”, dei bagni pubblici, di una chiesa,di un teatro sport club e di altri edifici di servizio quali la “stazionetta” che costituiva fermata ferroviaria dedicata nella tratta Torino –Rivoli.Perfettamente conservata e recuperata, la borgata Leumann costituisce uno dei più riusciti e funzionali esempi di città industriale del XIX secolo in Italia al pari del villaggio di Crespi d’Adda o del complesso industriale Rossi di Schio. Il suo attuale uso (in una porzione dell’ex edificio produttivo) come showroom e spazio commerciale collegato all’industria tessile ne garantisce una continuità ideale rispetto alla gloriosa tradizione che ne favorì il sorgere.
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Mariela Ceva, Claudio Tuis Construcción de una villa obrera y re-construcción de su pasado. Villa Flandria, Argentina (1928-2015)
La presentación se concentrara en una experiencia de trabajo que tuvo por eje central la preservación y conservación de fuentes históricas locales a través de la creación de un archivo documental y de la fundación de un museo textil. Ambas actividades se desarrollaron en el predio que ocupó la empresa textil Algodonera Flandria en Argentina. Es importante resaltar la singularidad de lo realizado, esto es: un museo y un archivo ubicados en un predio privado pero encuadrados en un acuerdo con una universidad nacional, con el municipio y con diversas instituciones locales. La misma construcción de este escenario permitió una experiencia poco común formulada a través de la integración de una variedad notable de áreas y esferas educativas. Entre los objetivos del proyecto de re-habilitación se encontraban: preservar y conservar el patrimonio histórico local; afianzar vínculos comunitarios a través de la recuperación del pasado; contribuir a la elaboración de una memoria local y brindar un ámbito para la investigación de los procesos históricos del siglo XX. Para alcanzarlos fue fundamental establecer vínculos con la comunidad lo que permitió lograr el proyecto a partir de la reconstrucción de la memoria local y del sentido de pertenencia que la misma tenía con la empresa textil. Fue la memoria común de los habitantes de la localidad y la interpretación histórica de la presencia de la empresa en la zona la que permitió construir las bases necesarias para la definición de una identidad particular, que contribuyó a fortalecer local y regionalmente la presencia de este enclave industrial.
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Maurizio Morandi, Marzia Marandola Colleferro: una città operaia del XX secolo
Colleferro è una città del Lazio di 21.460 abitanti fondata all’inizio del XX secolo che è stata per lo più ignorata dalla storiografia urbanistica. Dal 1912 ha avuto tre fasi di sviluppo. La prima fase inizia con l’apertura della BPD, impresa fondata da Carlo Bombrini e Leopoldo Parodi Delfino: sono edificati un piccolo nucleo di case per operai e successivamente un villaggio operaio di buona qualità con tipologie residenziali differenziate e edifici di servizi per la collettività. Dopo la 1° guerra mondiale, con l’aumento della produzione, Leopoldo Parodi decide di incrementare residenze e i servizi, di trasformare il villaggio in una città operaia dotata di istituzioni a livello urbano. Parodi affida la progettazione di questa città operaia al giovane ingegnere Riccardo Morandi che progetta il piano regolatore, il nuovo insediamento residenziale con tutti gli edifici pubblici e direzionali realizzando così la seconda fase di sviluppo di Colleferro. Dopo la guerra e nel 1945 la morte di Leopoldo Parodi, inizia il terzo periodo di espansione della città sempre attorno al sistema delle fabbriche e sempre con la collaborazione di Riccardo Morandi.Nel 1968 la BPD cede le quote azionarie e il patrimonio immobiliare alla Snia Viscosa. Negli anni successivi e fino ad oggi sono state localizzate una serie di eccellenze industriali e Colleferro diviene sempre più un riferimento per l’intorno territoriale. In relazione alle molteplici iniziative avviate Colleferro vince il bando regionale per “Città della cultura” della regione Lazio: ciò comporterà un ulteriore sviluppo della città e la necessità di valorizzare la città storica operaia e di riqualificare la città diffusa che la circonda.
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David Celetti Il quartiere operaio UralMash (Ekaterinburgo, Russia)
Nel 1926, in accordo con il primo piano quinquennale, inizia la costruzione della fabbrica “Uralmash”, destinata in breve tempo a diventare una delle più importanti aziende metalmeccaniche dell’Unione Sovietica. L’obiettivo è dotare il paese di un grande produttore di macchinari industriali, scavatrici, forni e presse in primo luogo. All’apice del suo sviluppo l’impresa occupa oltre 30.000 addetti e produce un ampio raggio di prodotti, oltre ai forni e presse per metalli, comprendono gru, scavatori, camion e materiale militare – carri armati, cannoni e perfino missili. Sorta in un tratto di aperta campagna ai margini della città di Ekaterinburgo – all’epoca Sverdlovesk – negli Urali centrali, necessita fin dai primi anni di strutture abitative per accogliere migliaia di lavoratori e le loro famiglie. Così fin dal 1928 è elaborato un ambizione progetto per la costruzione della “città operaia”. Include abitazioni per operai, tecnici, dirigenti ed anche esperti stranieri (per lo più tedeschi) che erano stati chiamata a portare il loro contributo in termini di competenze; strutture sanitarie, sportive e d’intrattenimento; asili e scuole; oltre che una buona – e ancor oggi esistente – rete di trasporti che ne collega i diversi e punti e l’unisce all”antico” centro cittadino. Del resto la “città sociale” presto compete con il vecchio centro amministrativo per importanza economica, sociale e anche politica, i rappresentanti del Partito Comunista presso la fabbrica avendo di fatto una rilevanza pari, se non superiori, agli organi d’amministrazione cittadina. Il quartiere diviene una “città entro la città”, costituendone l’effettivo centro di gravità. Quest’aspetto non muta durante gli anni del “socialismo maturo”, anzi si rafforza. La fabbrica s’ingrandisce e, in parallelo, vengono costruite nuovi edifici abitativi e infrastrutture civili. Da un punto di vista economico-industriale lo sviluppo vede rafforzarsi le produzioni militari – presenti fin dagli anni della guerra – così come una diversificazione produttiva tipica dei “combinat” socialisti tesi a realizzare quanto più possibile al proprio interno l’intero ciclo produttivo, ma anche a sovvenire ai bisogni quotidiani dei dipendenti e della cittadinanza. Ai cannoni si affiancano le cucine, le lavatrici, perfino radio e televisioni. Il crollo dell’Unione Sovietica segna una trasformazione, traumatica, della fabbrica e del quartiere operaio. Gettata nel caos degli anni Novanta, l’Uralmash è largamente controllata da gruppi criminali e il quartiere diviene l’epicentro di scontri spesso violenti tra opposte fazioni il lotta per il controllo dell’impresa. Più recentemente, inserita in un nuovo e più controllato ordine economico nazionale, l’Uralmash ha vissuto una nuova fase di sviluppo. La “città sociale”, tuttavia, ha definitivamente perso i suoi connotati originari, divenendo a tutti gli effetti uno dei grandi quartieri del quarto centro urbano del paese, dopo Mosca, San Pietroburgo e Novosibirsk. Il presente contributo ricostruisce la storia del quartiere operaio Uralmash. Dopo aver delineato il progetto del 1928 e la realizzazione dello stesso durante gli anni Trenta, focalizza la propria attenzione sulle evoluzioni sul periodo post-staliniano fino alla caduta dell’Unione Sovietica, quando il quartiere, di fatto integrato entro la città, ne divenne una delle parti più importanti, pur senza perdere i suoi connotati “operai”e fortemente legati alla vita dell’azienda dalla quale era nato. Le fonti includono documenti conservati presso l’Archivio di Stato della regione di Sverdlovsk (Gosydarstvennyi Archiv Sverdlovskoi Oblasti), letteratura scientifica, riviste (tra cui l’intera collezione del giornale d’azienda “Uralmash”), interviste realizzate tra il 2011 e il 2014 a dipendenti della società. 123
Edino Valcovich Alcune considerazioni sul processo di recupero del Villaggio di Panzano a Monfalcone
Il quartiere di Panzano venne costruito tra il 1908 ed il 1927 nelle dirette vicinanze del Cantiere Navale Triestino per dare una residenza stabile alle maestranze del Cantiere stesso che si insediò, a partire dal 1908, nel bacino di Panzano a Monfalcone. Le prime residenze furono costruite nel 1908, ma solo con la costituzione dell’Associazione Edile di Pubblica Utilità (1913), il Villaggio avvia un programma di realizzazioni che, con l’interruzione drammatica del primo conflitto mondiale, si completerà nel 1927.Il Villaggio a quella data era costituito da circa 900 alloggi ed era caratterizzato da due aree residenziali: una destinata alla residenza operaia, una agli impiegati e dirigenti. Le diverse tipologie edilizie utilizzate, proponevano qualità architettoniche gerarchicamente corrispondenti al ruolo svolto dai singoli addetti all’interno dello stabilimento. Ricca anche la dotazione di servizi: due alberghi, uno destinato agli operai celibi, uno agli impiegati celibi, uno stadio per il calcio e l’atletica leggera, un teatro arricchito da interessanti tele del pittore Vito Timmel ed altri ancora. A partire dagli anni ’50 per il Villaggio inizia un processo di lento ma inesorabile degrado architettonico ed urbanistico. Il tentativo da parte della AEUP, che gestisce all’epoca ancora la gran parte del patrimonio immobiliare, di applicare la legge sull’equo canone (fine anni ’70), avvia un processo di riconoscimento del valore del Villaggio e la costituzione di un Comitato dei proprietari che pone il problema dell’unitarietà del patrimonio culturale e del ruolo urbanistico del Villaggio stesso. Questa decisione mette in crisi il tacito accordo all’epoca esistente tra AEUP ed affittuari: bassi affitti e scarsa o nulla manutenzione, in gran parte affidata agli stessi affittuari. E’poi dei primi anni’80 il primo Piano di Recupero del Quartiere e gli approfondimenti culturali da parte di vari studiosi. E’ però la decisione di dismettere il patrimonio immobiliare da parte di Fincatieri nei primi anni ’90 a mettere in sostanziale crisi l’equilibrio sociale del Villaggio. Decisiva risulta l’iniziativa politica avviata a seguito di tale decisione che porta all’approvazione di un legge regionale (di carattere speciale) per il Villaggio che consente di avviare il processo di riqualificazione attualmente in atto. Tale legge consente il passaggio di una gran parte del patrimonio all’Ente pubblico e rende disponibili i primi fondi per l’azione di recupero infrastrutturale. A tale iniziativa segue poi l’avvio (primi anni 2000) del programma di recupero previsto dai “Contratti di Quartiere” del Ministero dei LL.PP. e varie iniziative private tra le quali va ricordata quella intrapresa con lo strumento del Progetto di Finanza da una società privata che ha consentito di recuperare l’edificio dell’Albergo degli Impiegati Celibi”. Fondamentale in tale processo di riqualificazione risulta infine l’iniziativa comunale che, utilizzando fondi europei e regionali e con il decisivo apporto di AIPAI, ha portato alla realizzazione del Museo della Cantieristica (Mu-Ca) inaugurato nel 2017 che sta attualmente svolgendo un’importante azione di conoscenza e divulgazione di temi collegati allo sviluppo industriale del territorio del monfalconese, al Cantiere Navale ed allo stesso Villaggio.In conclusione quindi si tratta di riassumere, con l’intervento proposto, il processo di recupero del Villaggio avviato oltre quarant’anni fa e non ancora concluso. Si tratta di una vicenda che viene portata all’attenzione del Convegno con l’obiettivo di riflettere sui caratteri della sua specificità ma anche su quelli di quella più ampia generalità che, per molti versi, lo caratterizza. 124
Luisa Ciardi La briglia di Prato: dal villaggio fabbrica all’eco-quartiere. Memoria condivisa e progettazione partecipata per la rigenerazione di un’area ex-industriale L’ex-villaggio fabbrica Forti, situato presso La Briglia nel comune di Vaiano (Prato), è un’importante testimonianza di archeologia industriale. La sua parabola inizia nel‘700 con una cartiera, continua alla metà dell’800 con una fonderia di rame legata agli investimenti della comunità anglo-fiorentina, e vede il suo massimo sviluppo nel ‘900 con l’esperienza del lanificio Forti e la costruzione di un insediamento integrato tra la fabbrica ed il villaggio operaio. Dopo la chiusura del lanificio nel 1954, altre attività produttive si sono succedute nei locali ormai parcellizzati dell’ex Forti, portando a una situazione di degrado con forte rischio di disaffezione anche da parte dei brigliesi storici. Nel tentativo di elaborare un progetto di rigenerazione urbana, il Comune di Vaiano in collaborazione con la Fondazione CDSE, il gruppo di architetti Epsus-Musa, Cantieri Animati e con il sostegno della Regione Toscana, ha dato vita al percorso partecipato di conoscenza e valorizzazione Eco-Briglia: fabbrichiamo insieme l’Ecoquartiere. Il percorso di community planning è durato circa 9 mesi e ha visto diverse fasi e livelli di coinvolgimento. -Una prima fase di indagine storica e ascolto della comunità, con raccolta di interviste, focus group, trekking urbani, volti ad individuare gli aspetti identitari che sopravvivono del villaggio industriale. -Una seconda fase di progettazione partecipata, con la cooperazione di enti pubblici, privati e comunità locale e che ha scelto “la piazza” come elemento di riappropriazione identitaria. -Una fase di restituzione, che ha portato ad incontri con i referenti regionali e a vari eventi pubblici. La Fondazione CDSE ha dato vita ad un archivio della memoria del lavoro, che raccoglie le fotografie originali, i documenti e la memoria orale condivisa della comunità de La Briglia e che viene utilizzato per esperienze di Public History (creazioni di video, visite guidate teatralizzate con i figli degli ex operai, storytelling urbano) e soprattutto a fini di valorizzazione territoriale con iniziative di industrial tourism(collaborazioni con TAI- Tuscan Art Industry con installazioni di sound art site specific, performance teatrali e concerti, tour del patrimonio industriale pratese).Il presente paper, opportunamente declinato, potrebbe essere inserito in vari ambiti tematici: - Storia e cultura del lavoro - Associazionismo: realtà ed esperienze - Narrazione del patrimonio - Il patrimonio industriale nella rigenerazione urbana e territoriale - Turismo culturale industriale: accessibilità e valorizzazione territoriale.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Paesaggi culturali del ‘900 economico e industriale in Sardegna - ore 9:00 Coord: A. Cherchi Aula STO1 A. Cherchi - ANAI-ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARCHIVISTICA ITALIANA
Introduzione: Paesaggi culturali e sviluppo locale
M.L. Di Felice - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
La bonifica della piana di Terralba: moderna architettura sociale e del territorio E. Pinna - LIBERO RICERCATORE
Granelli di sale tra le carte: l’archivio storico delle Saline Conti Vecchi F. Pino - GRUPPO ITALIANO ARCHIVISTI DI IMPRESA ANAI
Storie d’impresa. Archivisti e storici d’impresa una comunità plurale S. Pisu - ARCHIVIO STORICO INTESA SANPAOLO
(Ri)dare credito al territorio. L’archivio del Credito Industriale Sardo come patrimonio storico e culturale S. Ruju - LIBERO RICERCATORE
La lunga parabola delle miniere sarde
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Augusto Cherchi Introduzione: Paesaggi culturali e sviluppo locale
Le date, la mappa dei patrimoni archivistici e di archeologia industriale e ambientale, i modelli di sviluppo locale sono i tre nodi intorno al quale intessere nuove ipotesi di narrazione del paesaggio sardo per progettare nuove economie locali. Gli interventi del panel saranno guidati a tenere sullo sfondo delle interpretazioni e delle proposte queste tre chiavi: le tappe della storia economica, industriale, sociale della Sardegna; l’obiettivo di costruire una mappa organica e condivisa dei patrimoni archivistici, propedeutica alla conoscenza dei siti di archeologia industriale e delle comunità; immaginare modelli di sviluppo locale produttivi, sostenibili e rispettosi dell’ambiente che siano in grado di coniugare la conservazione dei patrimoni culturali con modalità innovative di racconto del territorio oltre la musealizzazione e l’imprenditorialità (dall’indotto della cultura a quello del turismo a quello delle infrastrutture).
Maria Luisa Di Felice La bonifica della piana di Terralba: moderna architettura sociale e del territorio La bonifica della piana di Terralba-Arborea venne realizzata dalla SBS - Società Bonifiche Sarde, nata nel 1918 per risanare, colonizzare e destinare all’agricoltura circa 20 mila ettari, invasi dalle paludi e devastati dalla malaria. La bonifica costituiva un momento centrale del progetto dell’ingegnere A. Omodeo che mirava alla modernizzazione del Mezzogiorno con la creazione di bacini artificiali, atti ad assicurare acqua ed elettricità indispensabili a incrementare le attività agricole e sviluppare quelle industriali. Come ben testimoniano l’archivio storico della SBS e le numerose testimonianze orali raccolte, la bonifica intendeva modificare l’ambiente naturale e socio-economico della piana, non solo eliminando le paludi e impiantando un’agricoltura intensiva ed irrigua, alternativa all’asciutta sarda, ma anche insediando famiglie di coloni provenienti dal Nord-Est d’Italia. Nella bonifica, chiusa e isolata dal resto del territorio, la Società esercitò un potere pressoché assoluto sul territorio e sui coloni fino al secondo dopoguerra. Nel 1933 la SBS era passata all’IRI e, nel 1956, venne assorbita dall’Ente preposto alla riforma agraria. Nella piana fu fondata Mussolinia, oggi Arborea. L’architettura del suo paesaggio agrario e urbano, come le carte dei suoi archivi, fonte primaria di conoscenza e di appartenenza, raccontano le vicende di un patrimonio sociale e imprenditoriale del tutto originale in Sardegna, La bonifica, patrimonio materiale e immateriale, ragione di una florida economia, manifesta l’alterità di un territorio, di una struttura urbana, di un’economia e della cultura di una comunità che, fuggita dalla miseria e dalla precarietà, ha vissuto in un difficile contesto ambientale e sociale, sviluppando complesse dinamiche di coesistenza con le comunità sarde.
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Enrico Pinna Granelli di sale tra le carte: l’archivio storico delle Saline Conti Vecchi
La salina Conti-Vecchi, nata nel 1927 grazie all’intuizione del suo fondatore, il generale Luigi Conti-Vecchi, è stata la salina più tecnologica del Mediterraneo, la prima a sfruttare integralmente l’acqua del mare per ricavare prodotti per l’agricoltura e l’industria. A partire dal 2017, è stata oggetto di un intervento di valorizzazione culturale affidata dall’ENI, proprietaria degli impianti, al FAI, Fondo per l’Ambiente Italiano. L’intervento ha comportato il recupero dell’antica officina e del laboratorio chimico che sono il fulcro di un percorso storico, attraverso l’archeologia industriale del sito, che comprende anche un villaggio aziendale, edificato con un connubio di tecnologie moderne abbinate a tecniche tradizionali sarde. La ricomposizione dell’archivio aziendale permette di tracciare un percorso storico trasversale che, insieme al patrimonio di archeologia industriale, in parte valorizzato, presente sulle sponde della laguna cagliaritana, è la base per la narrazione storica e sociale della prima industrializzazione della Sardegna meridionale e della grande bonifica operata dalla Conti-Vecchi a partire dal 1924 che ha lasciato tracce indelebili nella geografia della laguna. La valorizzazione attuata dal FAI, attraverso l’apertura del Museo del sale e di un percorso di visita del sito industriale (tuttora produttivo), costituisce un esempio di conservazione virtuosa di un patrimonio di cultura industriale ed ambientale di grande impatto, che coniuga la valorizzazione storica e la fruizione turistica di un sito che segue i ritmi della natura, mantenendo intatte le sue preziose caratteristiche ambientali grazie alla presenza di un gran numero di specie ornitiche, anche rare, che abitano o nidificano nella salina.
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Francesca Pino Storie d’impresa. Archivisti e storici d’impresa una comunità plurale
Il recupero, la valorizzazione e le narrazioni dei paesaggi culturali attraverso i patrimoni archivistici sono il frutto del lavoro convergente di una comunità a più voci. Il GIAI - Gruppo italiano di archivisti di impresa dell’ANAI favorisce la conoscenza reciproca e la cooperazione tra archivisti, storici, specialisti delle più diverse discipline, e quanti lavorano sulle fonti aziendali, attraverso incontri e conferenze e soprattutto attraverso una sistematica attività di formazione e aggiornamento professionale. Gli archivisti di impresa, infatti, possono svolgere un ruolo centrale attraverso un’importante opera di advocacy interna (l’importanza dell’archivio per la mission istituzionale dell’impresa, la funzione di supporto alla governance) e esterna (con strategie di comunicazione diversificate per pubblici tradizionali e nuovi).
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Stefano Pisu (Ri)dare credito al territorio. L’archivio del Credito Industriale Sardo come patrimonio storico e culturale
Il Credito Industriale Sardo - CIS, ente di credito di diritto pubblico, nasce nel 1953 con una dotazione iniziale di 600 milioni di lire, alla quale contribuirono soprattutto la Cassa del Mezzogiorno, la Regione autonoma della Sardegna nata nel 1948 e il Banco di Sardegna. L’esercizio del credito a medio termine sviluppato dal CIS a favore delle piccole e medie imprese industriali e artigianali, doveva valorizzare le risorse economiche della Sardegna e incrementarne l’occupazione. La sua azione fu incisiva soprattutto negli anni 1962-1973, e conobbe l’apice con la gestione dei fondi del secondo Piano di rinascita dell’isola, 600 miliardi destinati al riassetto del settore agropastorale e alla promozione della piccola e media impresa. Negli anni Ottanta l’istituto fu riorganizzato e nel 1992 divenne una SPA. La relazione mira a promuovere, presso la comunità degli archivisti e degli storici, la conoscenza e l’utilizzo della documentazione del CIS - in primis le pratiche dei mutui capaci di offrire un quadro originale delle profonde trasformazioni sopraggiunte nell’economia sarda del secondo dopoguerra -, conservata dal 2016 presso l’Archivio di Stato di Cagliari, in seguito all’intervento dell’Archivio Storico Intesa Sanpaolo in collaborazione con il MIBACT. Si vuole, inoltre, attirare l’attenzione sull’importante sinergia fra attori privati e pubblici del mondo archivistico, nonché la volontà di restituire al territorio patrimoni, al contempo materiali (carte dei progetti, relazioni tecniche, fotografie) e immateriali (il loro valore memoriale), che ne compongono il paesaggio culturale.
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Sandro Ruju La lunga parabola delle miniere sarde
Le miniere sarde hanno costituito una parte significativa della storia economica e sociale della Sardegna contemporanea. Riconosciute dall’Unesco “patrimonio dell’Umanità”, sono oggetto di recupero e di valorizzazione dopo che nel 2001 il Ministero dell’Ambiente, il Ministero delle Attività produttive e il MIBACT, di concerto con la Regione Sardegna, hanno deciso la creazione di un Parco geominerario che comprende i territori dell’Iglesiente, del Sulcis, del Guspinese e i centri minerari di Villasalto, di Lula e dell’Argentiera. Dopo aver delineato le principali fasi che hanno caratterizzato queste diverse realtà produttive, l’intervento fornirà un quadro sintetico dei principali siti isolani nell’ottica dell’archeologia industriale.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Criticità della dismissione - ore 10:30 Coord: E. Currà, A. Vitale Aula STO1 T. Fuligna - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI URBINO CARLO BO
Patrimonio Industriale di Pesaro e Urbino
G. Iacovone, P. Gruosso - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA BASILICATA
La dismissione delle piattaforme off-shore: cast them off? E. Ruspini, N. Vismara - UNIVERSITÀ DI MILANO BICOCCA
Ricerche per la memoria collettiva: Bicocca prima della Grande Fabbrica G. Setti - POLITECNICO DI MILANO
Produzione/Dismissione: condizioni e cambiamenti C. Zanirato - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Costruire altre opportunità di lavoro F. Facin - INGEGNERE
Il valore degli immobili industriali speciali
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Tiziana Fuligna Patrimonio Industriale di Pesaro e Urbino
Nella provincia di Pesaro e Urbino, sono molti gli edifici nati sotto l’egida delle locali realtà industriali che hanno subito il completo abbandono negli ultimi decenni. Se ancora negli anni Novanta del secolo scorso se ne poteva parlare nell’ottica di un possibile recupero, oggi la loro fine sembra purtroppo segnata in un’unica direzione: quella dell’abbattimento per lasciare spazio a strutture architettoniche di più facile sviluppo economico (supermercati, appartamenti, centri commerciali). Sono costruzioni che hanno segnato i luoghi di storia come il Lanificio Carotti di Fermignano o la Fornace Volponi di Urbino, il mulino Albani di Fano o la Colonia dei figli dei postelegrafonici di Pesaro. Perderne la memoria significherà perdere un pezzo della memoria collettiva e dell’identità di quelle comunità.
Pierpaolo Gruosso, Giovanna Iacovone con Lucia Cappiello, Luigi Stanzione La dismissione delle piattaforme off-shore: cast them off? Le piattaforme off-shore, inserite da decenni nel paesaggio ravennate, hanno rappresentato nel tempo un’opportunità di sviluppo industriale ed economico per il comparto della coltivazione degli idrocarburi. Giunte a fine vita del ciclo produttivo, alcune strutture sono in bilico tra dismissione e progetti di riuso.La ricerca approfondisce, in primo luogo, ipotesi di processi di patrimonializzazione, provenienti da istanze locali relative alla conservazione e volte alla valorizzazione piuttosto che alla dismissione completa. Un’analisi dell’asset geografico permetterà di stimare in quali termini il riutilizzo di questa risorsa possa ancora contribuire allo sviluppo locale. Alcune tra le proposte formulate in favore del riuso, non solo nell’ottica della valorizzazione turistica, saranno considerate all’interno del quadro giuridico internazionale in materia di decommissioning, sulla base delle principali convenzioni internazionali e del quadro normativo italiano che, con l’approvazione nel 2018 delle “Linee guida nazionali per la dismissione mineraria delle piattaforme per la coltivazione di idrocarburi in mare e delle infrastrutture connesse”, al fine di assicurare la valutazione dei relativi impatti ambientali, ai sensi del comma 6, dell’art. 25 del D.Lgs 16 giugno 2017 n.104, rappresentano il punto di partenza per una programmazione puntuale in materia.E’ proprio in accordo con queste recentissime disposizioni giuridiche che si rende necessaria un’analisi di carattere interdisciplinare delle dinamiche relative al patrimonio archeologico industriale in questione, la cui conservazione potrebbe avviare fenomeni di riterritorializzazione e di riconversione produttiva tali da generare esternalità positive, rappresentando un nuovo driver per lo sviluppo locale.
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Elisabetta Ruspini, Novella Vismara Ricerche per la memoria collettiva: Bicocca prima della Grande Fabbrica
Il quartiere Bicocca ha conosciuto un’importante operazione di rigenerazione che ha trasformato completamente l’aspetto che l’area aveva assunto dalla fine del XIX secolo: da fabbrica a quartiere d’innovazione, cultura e abitazioni. Parlando del quartiere di Bicocca a Milano, per fabbrica si intende, in genere, la Pirelli, sulle cui macerie è sorto il quartiere disegnato dallo Studio Gregotti Associati International, ma non si deve mia dimenticare che la rigenerazione ha riguardato anche altre aree industriali dismesse, quali l’insediamento della Breda, che, per molti versi, sono state maggiormente preservate, come nel caso di Hangar Bicocca, che ha sede in capannoni industriali ex Breda. L’edificazione e la distruzione delle fabbriche prima e la costruzione del nuovo quartiere hanno portato a rapidi cambiamenti nella composizione degli abitanti della zona, agli inizi del XX secolo, come oggi. E’, quindi,necessario offrire a quanti si trovano oggi ad abitare gli spazi vecchi e nuovi del quartiere lacerti della storia dell’area, anche di un passato più antico di quello della fabbrica scomparsa, per contribuire alla costruzione di un’identità che tenga conto dell’intera storia dell’area e per impedire che si instauri l’idea che la zona sia priva di storia o che essa si esaurisca nella fabbrica. Partendo dalla rigenerazione urbana che la distruzione degli stabilimenti Pirelli di Bicocca ha operato, si desidera contribuire alla creazione di questa identità con la rievocazione della battaglia che si è combattuta nell’area nel 1522. La manifestazione si presenta come un momento di aggregazione ed un’occasione per rileggere il passato e per gettare le basi per una rilettura della storia più recente e della contemporaneità.
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Giulia Setti Produzione/Dismissione: condizioni e cambiamenti
Strategie di recupero e modificazione di tessuti e architetture industriali. Il caso di Aubervilliers, Parigi. Oggi assistiamo ad un cambiamento radicale di condizioni, memorie, usi e valori dello spazio industriale, un cambiamento in grado di rimettere al centro del dibattito i luoghi della produzione. I materiali della dismissione industriale costituiscono una materia operante sulla quale agire per trasformare luoghi industriali in spazi ancora produttivi. Le forme recenti di dismissione (industriale e non) hanno caratterizzato il paesaggio italiano ed europeo, l’abbandono ha portato a situazioni segnate da forme di corrosione destinate ad essere oggetto di radicali processi di modificazione e recupero.La ricerca, condotta a partire dal 2012,descrive il ri-attrezzarsi della cultura di progetto davanti alle recenti forme di dismissione industriale. Partendo dalla descrizione di territori in condizione di crisi e dalla lettura delle forme di abbandono, il testo presenta una risposta possibile attraverso la determinazione di strategie progettuali, urbane e architettoniche, in grado di definire nuove metodologie per il recupero di spazi produttivi. Aubervilliers (Parigi)è il caso scelto per provare a descrivere, con incertezze e originalità, le trasformazioni e i processi che stanno interessando un ampio tessuto industriale in corso di riconversione. Attraverso processi di riuso, demolizione e nuova costruzione, Aubervilliers mostra l’alternarsi di tempi diversi della dismissione e il consolidarsi di processi modificativi in grado di favorire l’insediamento di nuove forme di produzione. Il progetto diventa strumento di azione, prova a scardinare abbandoni e rovine per recuperare e trasformare ciò che resta; Aubervilliers mostra come la relazione città-produzione sia cambiata, l’innesto di attività terziarie e di forme di produzione locali consentono di dare qualità allo spazio e favoriscono processi virtuosi di modificazione in un territorio per lungo tempo compromesso e instabile.
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Claudio Zanirato Costruire altre opportunità di lavoro
In un’epoca in cui il valore del marketing urbano dovrebbe essere fatto anche dalla riconoscibilità dell’identità territoriale di cui si è portatori, le tante distruzioni degli insediamenti industriali storici hanno rappresentato la dissipazione di un patrimonio comune irrecuperabile (se non solo virtualmente). Il tentativo oggi di ri-affermare le “capitali territoriali”, legando le città alle loro peculiarità produttive, rimpiange indubbiamente la carenza di tali testimonianze insediative frettolosamente rimosse e che hanno costituito di recente una parte significativa della “territorialità” che si vorrebbe invece di nuovo esaltare.Ne sono prova gli oramai consolidati interventi di ”Fondazioni” aziendali con la creazione di centri di promozione/divulgazione di attività economiche sistemiche,di sovente con modalità filantropiche: solo a Bologna, per esempio, spiccano il Gelato University (Carpigiani), il MAST (gruppo GD), l’Opificio Golinelli(Sigma-Tau) e Fashion Research Italy (La Perla). Questi esempi fattivi superano il concetto del Museo dell’Industria (pure presente con il recupero di una delle due fornaci Galotti, mentre l’altra attigua è stata convertita per spazi universitari e di ricerca) per diventare promotori e divulgatori dei nuovi modi di fare lavoro. Sono queste significative iniziative non tanto per ricordare e commemorare un’attività aziendale ancora attiva o meno, bensì per sostenere ed incoraggiare il nuovo lavoro “che verrà”, preservando il capitale umano e conoscitivo ancora disponibili. Queste costruzioni si trovano inserite “volutamente” nelle aree produttive consolidate e/o in corso di riconversione (nei pressi delle rispettive sedi storiche quindi, riconvertite o ricostruite), con inediti interventi di trasformazione radicale e nuove architetture di qualità, segnando in maniera eclatante la volontà di preservare e trasformare un rapporto tra il lavoro, la società e le città di convivenza, da rilanciare.
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Franco Facin Il valore degli immobili industriali speciali
L’argomento (Il Valore degli Immobili Industriali Speciali) propone, mediante esposizione di analisi, metodiche e criteri specifici, “un approccio” in grado di rappresentare il valore di tali immobili in relazione ad uso attuale, futuro o di trasformazione, parziale/totale, dello specifico compendio o del più ampio complesso di cui fa parte. Sia cioè, correlandolo a varie ipotesi progettuali, supporto economico a specifiche decisioni in merito al loro “destino”.Per questo si propone un rapido escursus (un po’ di teoria) circa criteri e metodologie di generale accettazione (metodi del mercato -reddito -costo), l’ambito di applicazione delle stesse, scopo dello studio valutativo, problematiche connesse ed attendibilità dei risultati.Prima di entrare nel dettaglio dell’iter valutativo, verranno proposti esempi (mediante proiezione di slide e/o simili) di compendi industriali “non ordinari” (acciaierie, cementifici, cartiere, vetrerie ed altri). Con riferimento a casi concreti di dismissione/riutilizzo parziale e/o totale,verranno quindi proposti schemi esemplificativi dell’iter valutativo da seguire, comprendenti: * analisi delle condizioni generali ed al contorno; * definizione delle ipotesi operative più congrue; * ipotesi di continuità operativa(compendio in attività); * necessità di “realizzo”(monetizzazione) in tempi predefiniti o immediato; * valore di trasformazione del compendio e/o di tutto il comprensorio di cui fa parte; * concetto di massimo e migliore utilizzo della proprietà; * fattibilità e fattore tempo.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Il patrimonio ferroviario - ore 9:00 Coord: M. Bottini Aula STO2 M. Bottini - ITALIA NOSTRA
Ferro che cura: treni, comunità, paesaggi A. Cardoso de Matos, F. de Lima Lourencetti - UNIVERSIDADE DE ÉVORA
They City and the Railway Heritage: destruction, preservation and reuse K. Sang - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
The narrow-gauge railway in Yunnan: its technological values in the early 20th century S. Maggi - UNIVERSITÀ DI SIENA
Ferrovie, dispositivi e treni d’epoca R. Lloga Fernández - ARCHITETTO
Le Chemin de Fer de l’Ouest comme élément clé dans la conformation productive, spatiale et sociale du territoire occidentale de Cuba C.I. Astrella - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
Associazionismo e patrimonio ferroviario: un confronto tra Gran Bretagna e Italia R. Del Prete - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SANNIO
L’Officina Manutenzione Locomotive di Benevento e i treni storici e turistici di Fondazione FS
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Massimo Bottini Ferro che cura: treni, comunità, paesaggi
Il patrimonio ferroviario italiano in questo ultimo decennio vive una grande stagione di notorietà Dal 2009 con l’attivazione della linea alta velocità è cresciuta parallelamente l’attenzione al patrimonio infrastrutturale che dalle prime linee ottocentesche hanno determinato l’unificazione del paese e la sua modernizzazione costruendo la rete del nuovo grand tour nel Belpaese La nascita Comodo (confederazione della mobilità dolce) e la recente costituzione di Amodo alleanza di associazioni nazionali impegnate per la diffusione della mobilità lenta sono indicatori dell’attualità del viaggio sempre più strumento di conoscenza e formazione dell’economia circolare Se, nel passato, si è creduto nel trasporto ferroviario, aiutati anche dal fatto che si trattava del sistema più all’avanguardia per l’epoca, l’avvento della motorizzazione individuale, ha portato, in Italia, all’affossamento delle ferrovie ed alla forte contrazione del trasporto merci, con soppressione quasi totale di quello diffuso ed a piccole partite. Paradossalmente, nemmeno la saturazione del sistema stradale ha fatto invertire questa tendenza nel nostro Paese, mentre all’estero, le ferrovie, che, peraltro, non hanno mai conosciuto il nostrano declino, sembrano godere di un rinnovato splendore, tanto da rivitalizzare linee credute, erroneamente, secondarie. Queste linee sono necessarie ad assicurare il servizio a quelle aree geografiche i cui abitanti, in caso contrario, sarebbero costretti a sobbarcarsi lunghi tragitti in autovettura od in autobus, mentre i percorsi alternativi, oltre ad essere l’unica via possibile in caso d’impedimento sul percorso principale abituale, rappresentano una via più breve per collegare località che, limitandosi ad usare il più possibile la cosiddetta rete principale, sarebbero connesse da un percorso di lunghezza maggiore, con tempi, spesso, non compensati dalle migliori potenzialità delle linee. Compito di chi programma i trasporti e il futuro del paese, ovviamente, prevedere l’istituzione di tali collegamenti, senza relegare queste linee al puro traffico regionale o suburbano.
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Ana Cardoso de Matos, Fernanda de Lima Lourencetti They City and the Railway Heritage: destruction, preservation and reuse
The aim of this presentation is to exhibit the most current strategies and planning of railway landscape regeneration and reuse: Industrial Museum; Place for Artistic Manifestation; Commercial offices; Educational Spaces; Multifunctional Spaces and Cultural Centers; Residential Complexes; Urban Spaces. The systematization of references, where railway infrastructures have new use, illustrates the ability, the interest and the concern about the integration between the urban regeneration strategies and the railway heritage preservation. The focus of this is to highlight some of the impacts related to the use of the railway heritage in different kinds of urban dynamics. The urban sprawl, the new ways of mobility and the mismatch between technology and use, took place throughout some railway lines history, which led their infrastructure to the deactivation or, like some other cases, the use of only a part of it. The railway heritage study is a part of the urbanism and the landscape architecture fields; because of that, the planning and strategies developed to reuse the railway complex are supposed to be followed by an analysis of the correlation between its whole infrastructure and its urban ecosystem. A reuse and preservation plan should have an ongoing and flexible design to fit the “good practices�, due to the responses that the city organization and operation gives to the social, cultural and economic needs.
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Kun Sang The narrow-gauge railway in Yunnan: its technological values in the early 20th century
Yunnan Vietnam Railway, originally constructed in 1910 by France for invading China and the Indochina peninsula,is an important and valuable railway in the Chinese modernhistory.It witnessed the WWII and Chinese Civil War, currently,it is regarded and protected as a railway heritage and in the Chinese national list of industrial heritage. The values of this railway lie not only in the history of cultural exchanges but also related to the technology and science utilized for achieving the special narrow-gauge railand the mountain connections.This article firstly presents the geographical conditions of the area which the railway is passing through, from the aspects of topography and hydrology to reveal the difficulties of the engineering constructions, for example,the famous NamtiBridge. From site surveying, planning and design, construction to management, it applied the most advanced technologies in the early 20th century to build the railway system of 855 km.Thus, the second part will analyze the engineering value of this railway, taking the examples from its climbing lines, locomotives, tunnels and train stations.Finally, comparing with other mountainrail ways in the World Heritage, such as Darjeeling Himalayan Railway and the Bernina Express, it will conclude the universal value,unique characters, and potentials of Yunnan-Vietnam railway, laying the foundation for further research of the assessment and management of this railway heritage.
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Stefano Maggi Ferrovie, dispositivi e treni d’epoca
Le vecchie “strade ferrate” e i treni d’epoca possono essere considerati a pieno titolo come opere di “archeologia industriale”, visto che la ferrovia è stata fondamentale per la rivoluzione industriale. Il movimento per salvare le linee ferroviarie e per conservarne le peculiarità dell’epoca pionieristica fu avviato in Inghilterra all’inizio degli anni ‘50 di fronte a un notevole scetticismo: si sottovalutava infatti l’estensione del supporto monetario e di manodopera che il railway preservation movement–come fu ben presto denominato – poteva attrarre. Neppure i promotori avevano ipotizzato che nel successivo mezzo secolo una grande quantità di appassionati avrebbe potuto restaurare e gestire direttamente varie tratte ferroviarie dismesse mantenendone le caratteristiche originarie. In Italia, fin dai tardi anni ’70 nella penisola circolano convogli a vapore speciali sulla rete delle Fs, come convogli turistici. Dopo un periodo di difficoltà, la costituzione della Fondazione Ferrovie dello Stato ha rilanciato i treni turistici, facendo anche restaurare e mantenere presso le proprie officine diversi rotabili d’epoca, in modo da incrementare l’offerta per far fronte alle continue richieste. Nell’ultimo periodo, inoltre, pure le maggiori ferrovie in concessione hanno ripristinato o stanno attrezzando il vecchio materiale per l’effettuazione di convogli straordinari. Si è quindi compreso il valore anche commerciale del treno d’epoca, ma rispetto alle esperienze estere manca ancora un movimento volto a preservare le linee ferroviarie, realizzando sulle stesse forme alternative di gestione finalizzate alla valorizzazione culturale e turistica, recuperando anche l’infrastruttura e i dispositivi d’epoca.
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Rolando Lloga Fernández Le Chemin de Fer de l’Ouest comme élément clé dans la conformation productive, spatiale et sociale du territoire occidentale de Cuba.
Le Chemin de Fer de l’Ouest fut construit entre 1861 et 1908, en étapes successives, a fin de lier le port de La Havane aux zones agricoles de Pinar del Río à l’Occident de l’Ille de Cuba. Le tabac, matière première des célèbres cigares Puros, fut le facteur essentiel qui a motivé aux propriétaires fonciers et marchands d’investir dans cet infrastructure. L’arrivée du chemin de fer aux territoires les plus à l’Ouest du pays a dynamisé d’une façon extraordinaire l’économie locale, à partir de l’occupation spatiale et productive progressives, ainsi que l’installation des immigrants dans une région presque vierge, isolée et très peu peuplée jusqu’au ce momentlà. Comme résultat de ces processus ce territoire a vécu une majeure spécialisation dans la culture du tabac ce qui a conformé une identité locale bien définie. Si bien ce chemin de fer, en tant que colonne vertébrale de la zone, a porté de passagers et une grande variété de produits locaux et importés, la transportation du tabac a été un facteur clé pour son activité, laquelle continue jusqu’à nos jours. À cet effet, le patrimoine associé au Chemin de Fer de l’Ouest constitue une ressource indispensable pour le développement présent et futur du territoire.
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Consuelo Isabel Astrella Associazionismo e patrimonio ferroviario: un confronto tra Gran Bretagna e Italia
La riscoperta del patrimonio ferroviario, come parte del più ampio ambito del patrimonio industriale, e la sua tutela e salvaguardia, è stata sempre legata alla passione dei volontari, i cosiddetti enthusiasts, grazie ai quali è stata possibile la conservazione di alcune linee destinate alla dismissione o all’abbandono. Se si pensa al caso anglosassone, precursore già negli anni Cinquanta delle strategie messe in atto per la preservazione del patrimonio ferroviario, è proprio grazie all’interesse degli appassionati che si sono venute a creare le prime società o associazioni per la tutela di alcune ferrovie, quali la Tallylyn, la Ffestiniog e la Bluebell Railway. Oltre all’acquisto della proprietà dei tracciati, il ruolo delle associazioni di volontari è stato soprattutto quello di recuperare e restaurare le locomotive e i convogli delle specifiche ferrovie e di rimetterli in funzione con viaggi turistici che facessero comprendere ad un pubblico sempre più vasto il valore di un patrimonio appartenente alla collettività oltre che ai territori attraversati. Le stesse problematiche, sebbene con ritardo, si sono riproposte anche in Italia quando, per valorizzare alcune tratte chiuse o dismesse, si sono creati gruppi e associazioni di volontariato per far rivivere talune linee. La finalità turistica ha giocato un ruolo importante suscitando l’interesse del pubblico ma anche delle istituzioni. A seguito di queste spinte propulsive, infatti, nel 2017 è stata emanata la prima legge italiana sulle ferrovie turistiche, individuando diciotto tratte ferroviarie ad uso turistico. Il contributo intende quindi sottolineare il ruolo centrale dell’associazionismo e del volontariato nella conservazione e valorizzazione del patrimonio ferroviario, proponendo in particolare un confronto tra il mondo anglosassone e quello italiano e ponendo l’accento sulle pratiche messe in campo per uno sviluppo turistico e conoscitivo che ne scongiuri l’abbandono.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Restauro e riuso - Storia e analisi di vicende e interventi del passato e del presente - ore 11:30 Coord: C. Menichelli Aula STO2 M. Docci - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
La storia si ripete: il destino dell’industria romana e delle opere di Tullio Passarelli (1869-1941) nell’area Ostiense-Marconi V. Minicozzi - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA TOR VERGATA
La storia dell’Ex Mattatoio al Testaccio e l’intervento di riqualificazione del Complesso della Pelanda M. Montuori - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
Fruition in new function: the impact of the Ford Point plant adaptive reuse to the landscape regeneration of the Marina Bay, Richmond, CA. P. Trabocchi - STORICO DELL’ARTE
Il nuovo rinascimento dell’Arsenale Clementino Pontificio di Roma da cantiere navale a centro d’arte contemporanea A. Cutullè - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
La Ceramica Ligure Vaccari di Ponzano Magra (La Spezia)
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Marina Docci La storia si ripete: il destino dell’industria romana e delle opere di Tullio Passarelli (1869-1941) nell’area Ostiense-Marconi
Nel 1956 Alberto Caracciolo (Roma Capitale) nel tracciare un quadro dell’industria a Roma dall’Unità d’Italia ai primi decenni del Novecento affermava: “La conclusione è sempre una. Anche a trenta, quaranta anni dal 20 settembre non si impiantano a Roma industrie, o quelle che si impiantano hanno breve vita”,notando poi come “In alcuni momenti di accentuata espansione edilizia assistiamo addirittura allo smantellamento di officine per sostituirle con case d’abitazione”.Da allora molte altre fabbriche dismesse sono state demolite o trasformate in complessi residenziali,commerciali, per uffici e poco o nulla sembra rimasto del ‘sogno’ di trasformare il quadrante Ostiense-Marconi “da distretto industriale a villaggio globale”(Alessandrini, 2005), se si escludono poche, significative realizzazioni, prive, però,di quel disegno d’insieme che il “Progetto Urbano”del 1999aveva, forse,fatto sperare.Il contributo prende spunto dalla recente sorte dei Magazzini del Consorzio Agrario Provinciale di Roma, per riflettere sul destino di alcune architetture di Tullio Passarelli (1869-1941),nel più ampio quadro del patrimonio industriale romano dell’area Ostiense-Marconi.Costruiti nel 1920, del complesso dei magazzini al Porto Fluviale resta solo –a dispetto di numerosi e ripetuti appelli di cittadini, università e associazioni, tra le quali l’AIPAI–un triste lacerto dell’edificio d’ingresso, degno di un parco a tema. Sicuramente più interessante il recupero dei Magazzini Generali, costruiti da Passarelli fra il 1909 e il 1912, mentre, sulla sponda opposta del fiume,il Silos granario del Consorzio Agrario Cooperativo,dopo una prima, aggressiva riprogettazione in “Città del Gusto”del Gambero Rosso,definita“una metafora delle trasformazioni culturali vissute dalla società italiana contemporanea” (Vaquero Piñeiro, 2012), è oggi ridotto ad uno scheletro sofferente, in attesa di essere nuovamente convertito, potenza della speculazione,in un complesso residenziale.
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Valentina Minicozzi La storia dell’Ex Mattatoio al Testaccio e l’intervento di riqualificazione del Complesso della Pelanda
La necessità di intervenire sul patrimonio industriale esistente, caratterizzato da livelli di efficienza energetica, sicurezza sismica, inclusività, comfort abitativo e destinazione d’uso inadeguati alle attuali esigenze,è uno dei temi che ricorrono più frequentemente, poiché è indispensabile renderli più fruibili, sicuri e funzionali .E’ necessario valorizzare i beni della civiltà industriale, che caratterizzano il tessuto urbano delle nostre città,e restituirli al pubblico come patrimonio culturale collettivo, valorizzandone anche gli aspetti storici e costruttivi di particolare interesse. In questo contesto si prende in esame il progetto dell’Ex Mattatoio al Testaccio a Roma,partendo dalla sua storia nelle sue trasformazioni nel tempo,fino al progetto di recupero e riqualificazione del complesso. Il progetto di recupero è stato realizzato attraverso la collaborazione degli Arch. Massimo e Gabriella Carmassi, con Risorse per Roma, e le opere strutturali degli Ing. A.M. Michetti, G. Silvetti, S. Campagna, F. Rovelli, R. Di Lieto.L’intervento,svolto tra il 2005 e il 2012,riguarda in particolar modo il complesso della Pelanda dei Suini e dei Serbatoi dell’acqua dell’Ex mattatoio al Testaccio destinato al “Centro produzioni culturali giovanili”; in questo progetto si è cercato di combinare le scelte tecniche e prestazionali con l’esigenza di tutela e valorizzazione delle specificità architettoniche, cercando di ridonare a tale complesso l’importanza che aveva un tempo, riqualificando l’impianto urbano nel quale si definisce e regalando nuovi spazi culturali e di aggregazione sociale.
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Manlio Montuori Fruition in new function: the impact of the Ford Point plant adaptive reuse to the landscape regeneration of the Marina Bay, Richmond, CA.
The reuse of the Ford Assembly Building, nowadays known as the Ford Point, means taking away a testimony of industrial architecture to oblivion, transforming a car assembly plant into a reference model of sustainable urban regeneration, aware of the pre-existing values. The Richmond plant in California, designed by Albert Kahn, the Ford Motor Company’s reference architect for the construction of several production buildings, synthesizes the pioneering solutions, which Kahn adopted, from 1903, in the construction of the No. 10 building of the Packard Motor Car Company in Detroit. The use of reinforced concrete allowed to build a structure with a wide span between pillars which, incorporated into the perimeter wall, rhythmically punctuate the brick masonry walls and, above all, leave an extensive space to the glazed openings, for an optimal lighting of the interior. Another distinctive component is the asymmetry in the plant development, shaped by functional causes for the assembly line and the efficient materials supply. In fact, the Craneway pavilion was designed 90° rotated with respect to the main longitudinal plant development and, regarding the shoreline, was advanced above the water and surrounded on three sides by docks which, still today, ensure ships wharf. Therefore, facing the deterioration caused by the plant abandonment and the severe damages inflicted by the 1989 Loma Prieta earthquake, the architects Marcy Wong and Donn Logan designed convincing solutions both in the preservation of existing buildings, in compliance with the regulations of the National Park Service and the State of California Historic Preservation Office, as well as in giving contemporary form to new insertions. The solution adopted for the fruition of large spaces with a steel frame truss saw-tooth roof is remarkable, in fact, the arrangement of small-scale buildings, which serve as offices or conference rooms, makes up a small human-scaled village. Thus, the primary interest relates to the industrial plant as a whole (i.e., buildings and machineries), but not secondary is the attention to the social role of the site, concerning the landscape values and the cultural activities promoted by the new destination.
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Palmina Trabocchi Il nuovo rinascimento dell’Arsenale Clementino Pontificio di Roma da cantiere navale a centro d’arte contemporanea
L’interesse verso l’Arsenale Pontificio di Ripa Grande, unica testimonianza dell’attività cantieristica navale pontificia a Roma, e il progetto Waterfronts Heritage nasce nel 2000, in occasione delle ricerche per la tesi di laurea. Lo studio si è poi trasformato in un monitoraggio, ormai quasi ventennale, nel corso del quale è stato possibile registrare le varie fasi evolutive del cantiere navale, grazie anche alla documentazione fotografica da me prodotta. L’Arsenale pontificio venne edificato fuori Porta Portese nel 1713 per volere di Clemente XI Albani, a questo primo corpo di fabbrica, elegante testimonianza di architettura funzionale settecentesca, fu annesso nel 1860 circa l’edificio della corderia e successivamente il magazzino del sale, utilizzato per lo stoccaggio dei generi sottoposti a dazio. L’attività cantieristica restò attiva sino alla fine del XIX secolo quando, con la realizzazione degli argini del Tevere, tutte le attività legate al fiume cessarono. Per alcuni decenni l’intero cantiere venne utilizzato come deposito di materiali edili sino a quando nel 2008 l’Agenzia del Demanio riprese il controllo del bene e venne consegnato alla Soprintendenza per i restauri.
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Alice Cutullè La Ceramica Ligure Vaccari di Ponzano Magra (La Spezia)
La Ceramica Ligure Vaccari di Ponzano Magra (La Spezia) può considerarsi un esempio emblematico di archeologia industriale: da fabbrica fiorente di inizio Novecento, con una produzione di piastrelle ceramiche all’avanguardia e con un villaggio operaio nato grazie alla lungimiranza della dirigenza, a un caso di recupero in chiave culturale.Se infatti a seguito della chiusura nel 2006 si è cercato di mantenere vivo il sito con grandi eventi sporadici, successivamente si è deciso, per merito dell’intraprendenza dell’amministrazione locale,di creare un polo culturale eterogeneo.E’ nato quindi nel 2013 “Progetto NOVA”, un’idea di rivitalizzazione degli spazi della fabbrica, grazie ad una innovativa partnership tra pubblico e privato,nel quale le imprese giovanili avrebbero avuto la precedenza. Tramite dei bandi pubblici i vari capannoni messi a disposizione sono stati assegnati a delle attività culturali che avrebbero dovuto innescare un radicale cambiamento della realtà industriale precedente. Ad oggi bisogna interrogarsi se questa operazione di valorizzazione abbia determinato un totale recupero dell’area,in termini di sviluppo territoriale e di coesione sociale. Inoltre la scelta di creare un archivio focalizzando l’attenzione solo sul tema identitario del lavoro nella Val di Magra pare limitare l’enorme potenzialità che questo possiede,in quanto conserva documenti eterogenei sulla storia della fabbrica, che potrebbero essere utili per studiosi di varie discipline. La sfida è quella di mantenere la memoria storica, tenendo conto del valore identitario della comunità, e allo stesso tempo concentrarsi sulle ricadute positive che un’attenta pianificazione di riuso potrebbe avere sul territorio.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Storia e cultura del lavoro - ore 9:00 Coord: A. Caracausi, R. Cella Aula STO3 A.D. Basso - STORICO DELL’ARTE, C. Spagnol - ARCHITETTO
Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna M. Simon - UNIVERSITÉ DE ROUEN NORMANDIE
Etudier et patrimonialiser une société industrielle par le prisme de la mémoire : l’exemple d’un projet de recherche sur la Seconde Révolution industrielle en basse vallée de Seine F. Bachis - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
Fai minas. Memorie delle tecniche del lavoro minerario nel Sulcis-Iglesiente (Sardegna) F. Conia - SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
La petrolchimica e la Sardegna: come l’industria cambiò la Nurra. Dagli archivi storie di lavoro e di lavoratori J. Grossutti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Saperi artigianali e culture imprenditoriali tra l’Italia e l’America Latina A. Pernet - CULTURAL HERITAGE MANAGER
Marseille, Sète, Port-Vendres : comment se réinvente le port
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Annalisa Donatella Basso, Claudio Spagnol Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna
Tra il 1923 e il 1924 l’ingegnere Cesare Vecelli, direttore generale della società belga Vieille Montagne, leader mondiale nel settore minerario, che aveva numerose concessioni estrattive in Sardegna, costruì a Masua, nel Sulcis-Iglesiente, Porto Flavia. Un porto alto sul mare che si apre nella falesia. Un cenno di costruito sulle aspre rocce costiere, nella vastità di un ambiente selvaggio e struggente. Esempio di perfetta rispondenza alle necessità imprenditoriali dell’epoca oltre che di rispetto per il contesto paesaggistico in cui si situa. Esempio unico, irripetuto e oggi testimonianza straordinaria di archeologia industriale, Lì venivano convogliati i minerali estratti dalle miniere circostanti e riversati direttamente nelle stive di grandi mercantili alla fonda nelle profonde acque sottostanti, in una zona riparata dai venti che, in quei luoghi, spesso soffiano impetuosi. Di fronte al porto la presenza di uno scoglio elevato e solitario, di candido calcare, il Pan di Zucchero, crea una sorta di schermo naturale all’impetuosità degli elementi naturali. L’idea generale che sottostà al progetto era quella di creare una sorta di enorme contenitore all’interno della falesia, alimentato continuamente dai convogli ferroviari che giungevano dalle miniere circostanti. I minerali, stoccati nei silos, potevano essere riversati dall’alto, grazie a ingegnosi meccanismi, direttamente nei bastimenti diretti a varie industrie in Europa. I vantaggi della struttura industriale furono innumerevoli. Innanzitutto sotto il profilo economico in quanto venivano notevolmente accorciati i tempi di carico. Le operazioni che prima richiedevano molti giorni potevano così essere attuate in poche ore. Significativo il miglioramento delle condizioni di lavoro delle maestranze costrette a operare in condizioni di grave difficoltà e di pregiudizio per la salute. L’impianto produttivo fu dismesso negli anni sessanta del secolo scorso. Oggi è compreso nel Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, e rientra tra i Geoparks riconosciuti dall’ U.N.E.S.C.O..
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Marine Simon Etudier et patrimonialiser une société industrielle par le prisme de la mémoire: l’exemple d’un projet de recherche sur la Seconde Révolution industrielle en basse vallée de Seine. La basse vallée de la Seine devient un pôle industriel au début du XXe siècle. La désindustrialisation des années 1970 laisse une partie de la population orpheline et, avec elle, une mémoire brûlante.Cette communication s’attachera à présenter une démarche à la fois scientifique et patrimoniale à propos de l’histoire industrielle d’un petit territoire en Seine-Maritime.En effet, dans le cadre d’un projet appelé «Le Monde du Travail», le Parc naturel régional des Boucles de la Seine Normande, en partenariat avec l’Université de Rouen, a créé un fonds d’archives orales constitué de témoignages d’ancien·ne·s travailleur·se·s de l’industrie. Afin de comprendre le territoire étudié comme un «espace vécu»1, il semblait essentiel d’explorer l’histoire culturelle, des représentations et les mémoires de l’industrie. Absentes des sources écrites, ces problématiques peuvent désormais être abordées grâce à l’enquête orale. Cette dernière a permis de nourrir une réflexion plus globale sur l’histoire du travail, indissociable de la valorisation et de la compréhension du patrimoine industriel. Souvent méconnue, cette histoire a façonné les paysages, transformé l’urbanisation et bouleversé les vies quotidiennes sur le «temps long»2.Il s’agit donc aujourd’huide réexplorer cette histoire et d’en faire atout pour un territoire dont le tissu industriel ne cesse d’évoluer. La mémoire est, par conséquent, un enjeu réel qui permet de donner du relief au patrimoine industriel bâti existant dans ces communes.
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Francesco Bachis Fai minas. Memorie delle tecniche del lavoro minerario nel Sulcis-Iglesiente (Sardegna)
A partire dalla metà dell’800 il settore estrattivo in Sardegna è divenuto parte importante della storia mineraria europea (Rollandi 1981). La chiusura delle principali miniere nell’ultimo decennio del ‘900 è stata accompagnata da politiche di valorizzazione che hanno generato un ampio dibattito, principalmente tra storici e antropologi (Ortu 2009, Atzeni 2017), sulle modalità di emersione e restituzione delle memoria dei minatori, talvolta in conflitto con le stesse politiche di patrimonializzazione (Bachis 2017). A partire da una pluriennale ricerca di terreno sulle storie di vita dei minatori sardi, l’intervento intende affrontare le principali forme di performance della memoria delle tecniche del lavoro minerario attraverso gli strumenti audiovisivi, con particolare attenzione alle tecniche di volata. L’esigenza dei lavoratori di restituire una miniera “senza minatori” ha condotto alla elaborazione di strategie comunicative che si configurano al contempo come una rappresentazione dell’apprendimento non formalizzato e una possibile modalità di restituzione nei siti minerari.
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Flavio Conia La petrolchimica e la Sardegna: come l’industria cambiò la Nurra. Dagli archivi storie di lavoro e di lavoratori
Dagli ultimi anni ’50 del Novecento l’area della Nurra, nel nord – ovest della Sardegna, cambiò in modo irrimediabile nel suo paesaggio, nella sua cultura e nella sua struttura sociale. Il Piano di Rinascita, i progetti della Cassa del Mezzogiorno, del Credito Industriale Sardo e l’arrivo di Nino Rovelli e della sua Sarda Industria Resine (SIR) hanno definitivamente modificato i luoghi, la socialità fondata su ritualità, i tempi di vita prima scanditi da pastorizia e agricoltura, poi stravolti dai fumi delle ciminiere, l’aria irrespirabile, turni di lavoro estenuanti e kilometri di viaggio verso la fabbrica. Il forte intreccio tra politica ed industria che portò allo scoppio del caso IMI – SIR nel 1977 e la cosiddetta “guerra chimica” tra Montedison, ENI e SIR, lasciarono alla Sardegna un’eredità complessa da gestire: i radicali cambiamenti intervenuti hanno lasciato ferite profonde, ma hanno portato anche alla crescita di una cultura politica, sindacale, associativa. L’obiettivo del paper è la ricostruzione dell’evoluzione sociale, culturale e politica della provincia di Sassari in virtù dell’ascesa e del declino della petrolchimica guidata dal noto imprenditore lombardo Rovelli. Grazie alle fonti d’archivio si può ricostruire il “terremoto” industriale che ha scosso la Nurra e le sue conseguenze, riportando storie di lavoro precedenti e successive all’arrivo della petrolchimica, ricomponendo un quadro quanto mai frammentato e mai ancora ricucito, vista la contemporaneità delle vicende e i profondi legami con la politica nazionale e i suoi protagonisti di spicco del fine Novecento italiano.
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Javier Grossutti Saperi artigianali e culture imprenditoriali tra l’Italia e l’America Latina
La relazione si propone di analizzare la circolazione di know-how e capacità imprenditoriali dalle regioni dell’Italia settentrionali ad alcune aree dell’America latina dalla seconda metà del secolo XIX fino agli anni Sessanta del Novecento. Saranno presentati il trasferimento di saperi artigianali, conoscenze tecniche e culture imprenditoriali all’origine delle fortune di famiglie e dinastie italo-discendenti e la formazione di sistemi produttivi specializzati in diversi settori e regioni di insediamento, con particolare riferimento all’area rioplatense (Argentina e Uruguay) e al sud del Brasile (stati del Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Parana e São Paulo). In queste regioni del subcontinente latino americano, infatti, il contributo degli italiani ha permeato in modo determinante le diverse fasi del popolamento, il processo d’industrializzazione e di sviluppo economico, gli assetti urbani e infrastrutturali, la costruzione delle diverse culture e identità nazionali. La relazione rivesta un carattere innovativo in quanto gli studi sull’emigrazione italiana nel continente americano hanno lungamente insistito sulla componente unskilled dei flussi, mentre hanno di regola tralasciato il contributo dato da artigiani esportatori di conoscenze e patrimoni materiali e immateriali.
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Anne Pernet Marseille, Sète, Port-Vendres : comment se réinvente le port
Dans cette communication, nous traiterons du patrimoine portuaire, en nous appuyant sur l’étude des villes méditerranéennes françaises de Marseille, Sète et de Port-Vendres. Il s’agira de définir la notion d’identité portuaire comme une identité territoriale structurée par les activités productives liées au port et déterminée par l’horizon commun offert par la mer. Le patrimoine portuaire, ou ce que le port offre en partage, est l’une des facettes de cette structuration.Comment le travail lié à la mer et les industries ont-ils façonné les villes portuaires et leurs identités collectives ? Nous en définirons les formes et les mutations. transformations du monde du travail. Nous sommes en présence d’un nouvel âge du port, celui de la muséalisation du port de plaisance et de la tertiarisation de l’économie. Laports ont mis en oeuvre des stratégies pour inventer un avenir commun. La patrimonialisation de la désindustrialisation est l’un des fondements d’un nouveau récit du port. Marseille et Sète ont pris le chemin de la reconversion industrielle par l’économie touristique et culturelle. Nos trois ports se battent aussi pour conserver des activités portuaires. Que reste-il du port dans les mentalités et les comportements sociaux? Nous partirons à la recherche des traces, matérielles et immatérielles, de ce type de patrimoine industriel spécifique qu’est le patrimoine portuaire. Enfin, le port peut être appréhendé comme un laboratoire de la valorisation du patrimoine industriel. Pour donner du sens aux reconversions, en prenant en compte notamment l’histoire et la culture du travail.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Il ruolo dei patrimoni sindacali archivistici, biblioteconomici, di immagini e di storie orali nelle strategie di rigenerazione dei patrimoni industriali dismessi - ore 11:00 Coord: A. Caracausi, E. Castellano Aula STO3 E. Castellano - FONDAZIONE GIUSEPPE DI VITTORIO R. Del Prete - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SANNIO D. Migliucci - ARCHIVIO DEL LAVORO SESTO SAN GIOVANNI M. Romanato - CENTRO LUCCINI, PADOVA
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Elisa Castellano
Gli Archivi storici, le Biblioteche e ei Centri di documentazione della Cgil propongono gli usi sociali e culturali delle memorie che appartengono a persone o a gruppi del mondo del lavoro. Nelle strategie dei riusi dei siti, delle sedi, dei luoghi di lavoro e di produzione è molto importante il ruolo che possono svolgere i patrimoni sindacali archivistici, biblioteconomici, di storie orali, di immagini. Il ripensamento e la rigenerazione dei siti, delle sedi e dei luoghi di produzione se nella maggior parte dei casi propongono la storia dello sviluppo dell’azienda, delle tecniche e delle tecnologie di produzione, quasi mai propongono la storia della vita di fabbrica, delle persone, del passato prossimo e remoto delle lavoratrici e dei lavoratori di quello specifico sito o luogo di produzione.Per paradosso succede che proprio in quei luoghi industriali che vengono trasformati in spazi culturali o poli museali si creino separazioni se non contrasti con la loro precedente funzione di ambienti di lavoro che hanno impiegato centinaia di migliaia di lavoratori. Ciò che risulta assente è una visione integrata in grado di fare emergere quel composito contesto di storia sociale e di storia locale,di storie e memorie di emancipazione e di affermazione di nuovi soggetti come le donne e i lavoratori migranti di ieri e di oggi. Al contrario è necessaria una visione integrata in grado di restituire la storia dei luoghi di produzione con le loro memorie, anche quando queste sono contrapposte, a chi la conosceva e di donarla a chi non la conosceva.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Il patrimonio industriale nella rigenerazione urbana e territoriale 3 - ore 9:00 Coord: M. Ramello, C. Natoli Sala Bortolami - Palazzo Jonoch R. Gabaglio, M. Ugolini - POLITECNICO DI MILANO
L’ex Fabbrica Martinetta a Rovellasca: valorizzazione di un patrimonio industriale tra città e torrente G. D’Incà Levis - DOLOMITI CONTEMPORANEE
Il riuso temporaneo e la trasformazione dei siti depotenziati in cantieri sperimentali della produzione culturale e artistica L. Accurti - SOPRINTENDENZA ABAP PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI TORINO, P. Facta - SPS STUDIO PROGETTAZIONE STRUTTURALE
Ex Opificio Leumann di Collegno (TO) - Tutela e valorizzazione culturale, rigenerazione urbana G. Yildiz - POLITECNICO DI TORINO
Transformation process of industrial heritage places; case study: Northern Industrial Zone of Ayvalık, Turkey S. Mornati - UNIVERSITÀ DI ROMA 2 TOR VERGATA
Il mercato coperto come opportunità urbana: il Mercato Metronio e il Mercato dei Fiori a Roma L. Guiye - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Research on the revitalization and utilization of industrial heritage under the renovation of creative park - Taking Guangzhou Xinyi Creative industrial park as an example
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Rossana Gabaglio, Michele Ugolini L’ex Fabbrica Martinetta a Rovellasca: valorizzazione di un patrimonio industriale tra città e torrente
Si propone un percorso di indagine e progetto sulla fabbrica Martinetta a Rovellasca, nella bassa provincia di Como, dove, a partire dagli anni Trenta del Novecento, era insediato il ricamificio Luigi Cattaneo. La sfida è quella di promuovere nuovi luoghi di urbanità e nuove economie attraverso strategie di riuso e ricomposizione, assumendo come guida il progetto di architettura che si confronta con il patrimonio industriale, le forme del paesaggio e la fragilità ambientale esistenti. L’integrazione tra l’ambiente costruito e quello naturale e golenale del torrente Lura, attraverso il mix di funzioni urbane, la valorizzazione dei manufatti esistenti, la facile accessibilità dalla media/ lunga distanza e la messa in rete con i percorsi brevi e lenti sono le premesse per la realizzazione di un intervento di rigenerazione urbana. La“Martinetta”ha la potenzialità di diventare un piccolo distretto produttivo ad alto contenuto di innovazione offrendo spazi flessibili, servizi moderni e, soprattutto, l’accesso a network professionali specialistici utili a sostenere l’autoimprenditorialità. Sono state individuate funzioni di interesse sovracomunale interpretando la collocazione territoriale del comparto della Martinetta come una potenzialità strategica: il comune di Rovellasca è infatti snodo infrastrutturale significativo per l’essere vicino all’autostrada che collega Milano alla Svizzera, alla nuova pedemontana e al ramo delle ferrovie nord che risale verso Como. Si sono delineate proposte progettuali, approfondite in tesi di laurea di architettura del Politecnico di Milano, che si configurano nei loro margini, divisori e arredi, cogliendo nell’internità il carattere specifico dello spazio e individuano in luce, materia, forma, geometria, misura e proporzione le specificità dell’architettura di cui il progetto, di conservazione e d’architettura, si fa interprete, in una linea di continuità tra nuovo ed esistente.
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Lisa Accurti, Pierluigi Facta Ex Opificio Leumann di Collegno (TO) Tutela e valorizzazione culturale, rigenerazione urbana
Nel quadro di una riorganizzazione industriale degli stabilimenti dei gruppi cui la Società proprietaria - la N. Leumann spa - faceva capo, si è dovuta registrare nel 2007 la cessazione dell’attività produttiva all’interno del complesso - creato da Napoleone Leumann a partire dal 1875 e, nel contesto delle iniziative sociali affidate all’edilizia aziendale integrato dal 1890 al 1915 dal Villaggio omonimo - variando contemporaneamente variato l’assetto societario, che vede oggi una unica Società proprietaria. Quest’ultima, intendendo valorizzare gli immobili - in parte da tempo abbandonati - costituenti il nucleo originario dell’Opificio Leumann, ne ha variato la destinazione d’uso a Terziario, attuando un articolato intervento di recupero edilizio per consentire una futura fruizione qualitativamente degna dell’importanza culturale da sempre attribuita allo storico complesso Fabbrica - Villaggio operaio. L’iniziativa, attualmente completato per parte dei manufatti, offrirà l’opportunità di intraprendere non solo il recupero conservativo e la riattivazione funzionale dei fabbricati industriali, ma anche la valorizzazione a scala urbanistica dell’intera area. A tal fine, oltre agli interventi di restauro conservativo e adeguamento funzionale e impiantistico intrapresi con il coordinamento degli Uffici di tutela torinesi, è stata messa a punto una programmazione di carattere urbanistico, concordata con l’amministrazione comunale di Collegno, volta a integrare l’intervento puntuale con le esigenze della comunità cittadina - in termini di offerta funzionale - e a connettere il sito con una dimensione territoriale extralocale, inserendolo in una scala di pianificazione territoriale più vasta che prevede il passaggio attraverso i sedimi aperti – resi pubblici – del complesso produttivo di vie ciclabili appartenenti al sistema ecologico e di mobilità sostenibile ‘Corona Verde’ della Città Metropolitana Torinese. Il contributo illustrerà, sotto il profilo progettuale e pianificatorio, e negli esiti attuativi in itinere, lo sviluppo dell’ambiziosa iniziativa, che ricomprende dunque i temi della rigenerazione industriale, della valorizzazione culturale, della tutela monumentale, della salvaguardia dell’identità storica del sito, grazie ad una convenzionata azione strategica integrata pubblico-privato che sottende il potenziale riconoscimento di reciproci benefici.
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Gözde Yıldız Transformation Process of Industrial Heritage Places; Northern Industrial Zone of Ayvalık, Turkey
Case Study:
Ayvalık is a pioneer settlement in Western Anatolia with an olive-based industry since its establishment. ‘Ayvalık Industrial Landscape’ is defined by a specific geography which accepted on the tentative list of UNESCO in 2017 as an outstanding example of social and economic structure of 19th-century industry based on olive oil production in Western Anatolia. During the development of Ayvalık as an industrial center in 19th-century, introduction of the factory buildings with large program that are mostly located in the northern industrial zone along the coastline for taking an advantage of sea water and being closer to the port, was the main impact to the urban settlement pattern of Ayvalık. However, due to fast technological developments, changes in production systems and relocation of the industrial activities, industrial heritage buildings have remained as reminders of their times. Although some of them have converted into new uses, they usually lost their functions which caused a large stock of derelict industrial buildings within the city center. The aim of this paper is to discuss the transformation process of northern industrial zone of Ayvalık by re-reading the current state of the northern industrial zone in order to find the principles and strategies for the conservation of industrial heritage of Ayvalık according to its indigenous values, potentials and new demands.
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Stefania Mornati Il mercato coperto come opportunità urbana: il Mercato Metronio e il Mercato dei fiori a Roma
Nel vasto repertorio di architetture industriali è possibile inserire anche i grandi complessi architettonici destinati al mercato coperto. Alcuni di essi costituiscono il risultato dello studio di importanti professionisti italiani e in qualche caso ben rappresentano una fase significativa della storia materiale della città novecentesca. Capillarmente diffusi nell’area urbana e riconoscibili dalla comunità cittadina, questi manufatti hanno visto ridurre la loro originaria funzione con il moltiplicarsi di strutture destinate alla grande distribuzione. I grandi spazi disponibili e l’equilibrata sintesi tra dispositivi strutturali e scelte architettoniche che hanno caratterizzato questi organismi li rendono oggi suscettibili di destinazioni d’uso alternative, in linea con quanto sta accadendo in altri paesi europei. La conoscenza delle matrici costruttive si pone come momento imprescindibile per una loro adeguata rifunzionalizzazione, nel rispetto dei valori funzionali di cui essi\ sono portatori. La proposta si incentra quindi sull’analisi in chiave tecnico-costruttiva di due importanti casi di studio dell’area romana: il Mercato Metronio di Via Magnagrecia, di Florestano di Fausto e Riccardo Morandi (1956-57), e il Mercato dei Fiori di via Trionfale (1965), di cui non si conosce la paternità, che esibisce una interessante soluzione strutturale.
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Lin Guiye Research on the revitalization and utilization of industrial heritage under the renovation of creative park -- Taking Guangzhou Xinyi Creative industrial park as an example Industrial heritage is an important party of urban cultural heritage. In recent years, with the adjustment of urban industrial structure and the rapid development of urban construction, more and more industrial heritage that with important historical, aesthetic and architectural values were disappeared rapidly from cities. In order to protect the characteristics of the industrial heritage and the historical information, it is necessary to inject the new elements into it, replace new function and physical space reconstruction. Xinyi Creative industrial park is a typical case of reuse of industrial heritage and upgrading and traditional industry in Guangzhou. Through the research and in-depth interviews. This study has understood the development process of the Xinyi Creative industrial park, the protection and transformation of industrial heritage, and the status of industrial transformation and upgrading. Based on this, discussing the problems and contradictions existing in the reuse of industrial heritage, and developing the strategies.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Il patrimonio industriale nella rigenerazione urbana e territoriale 4 - ore 11:00 Coord: C. Natoli, M. Ramello Sala Bortolami - Palazzo Jonoch G. Rosso Del Brenna - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Patrimonio industriale e arti contemporanee
A. Marin - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE
Trieste città industriale, un “atout” per la rigenerazione del capoluogo giuliano e del suo territorio S. D’Armento - POLITECNICO DI MILANO
La fabbrica dei loft
F. Gómez Díaz - UNIVERSIDAD DE SEVILLA
El patrimonio industrial de la Bahía de La Habana G. Pagliara - ARCHITETTO
Resilienza urbana il caso di Scheepvaartkaai in Hasselt R. Maspoli, A. Roncarolo - POLITECNICO DI TORINO
L’ex Comparto Laniero Rivetti di inizio ‘900 a Biella. Analisi e scenari di riuso D. Babalis - UNIVERSITÀ DI FIRENZE
Philips workers’ neighbourhood in Eindhoven. Character, types and urban regeneration
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Giovanna Rosso Del Brenna Patrimonio industriale e arti contemporanee
La lettura/riscoperta dei resti dell’era industriale da parte di artisti latu sensu (fotografi, pittori, scultori, autori e registi cinematografici e teatrali, designers, stilisti..) per farne non solo l’oggetto principale della loro produzione artistica ma anche il luogo privilegiato per abitare e/o rappresentare/esporre/conservare le loro opere, data da molti decenni e coincide - se non li precede - con gli anni della nascita della disciplina “archeologia industriale”Considerato eretico, anni fa, dagli specialisti, o comunque un “dirottamento”non autorizzato, l’interesse per questo fenomeno – che ho condiviso per diversi anni con gli allievi della Scuola di specializzazione in beni storico artistici dell’Università Cattolica di Milano e dell’Università di Genova - è diventato in seguito di grande attualità, poi di moda, e risulta oggi, come ci indicano molti segnali, piuttosto ovvio e quasi obsoleto. Ritengo quindi che sia giunto il momento, anche grazie a questa relativa distanza temporale, di riprendere a indagare il tema con rinnovata attenzione, in quanto componente rilevante della riscoperta e valorizzazione culturale del patrimonio industriale, anche da un nuovo punto di vista estetico. E di cercare di ricostruirne la storia, attraverso lo studio di una serie di operazioni - precarie, temporanee o di lunga durata - che hanno fatto della “fabbrica abbandonata” una delle chiavi di lettura più suggestive e stimolanti del secondo Novecento: dalle performances del Living Theatre alla messa in scena de Gli ultimi giorni dell’Umanità al Lingotto; dal museo personale di Donald Judd in Texas ai Seccatoi di Roberto Burri; dal loft di Manhattan all’hangar Bicocca.
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Alessandra Marin Non solo porto. Trieste città industriale, un “atout” per la rigenerazione del capoluogo giuliano e del suo territorio
Fin dalla sua “reinvenzione” come città-porto dell’Impero Asburgico, alla metà del XVIII secolo, Trieste inizia ad affermarsi anche come città manifatturiera prima e industriale poi, sommando le iniziative dedicate allo sviluppo della portualità e dei traffici marittimi con quelle capaci di produrre valore aggiunto per il territorio giuliano. A partire dalla fondazione dei cantieri navali, che da Trieste si estendono a Muggia e Monfalcone, per giungere all’infrastrutturazione e alla costruzione di poli di servizi dedicati vuoi all’industria, vuoi ai suoi lavoratori, Trieste si costruisce in relazione non solo alla portualità e ai commerci, ma anche alla sua capacità produttiva, che nel secondo dopoguerra trova collocazione nell’ambito sud-est della città, dove nuovi spazi del lavoro e nuovi quartieri a questa idea di “città industriale” devono la propria nascita. L’atteggiamento nei confronti di questi patrimoni storici è stato bivalente: dalla completa demolizione di storici cantieri navali come il San Marco, negli anni’80 e ‘90, si è passati a un progressivo riconoscimento del valore di questi luoghi, che in alcuni casi si sono configurati come tra i primi contesti di sperimentazione di piani e programmi per la rigenerazione urbana. È possibile oggi immaginare che la Trieste industriale, e con essa una parte rilevante della Trieste del Novecento, venga riconosciuta come elemento imprescindibile e strutturante nelle strategie di rigenerazione urbana e del territorio? A partire da alcune recenti esperienze e da nuovi programmi operativi che il Comune sta approntando, l’intervento intende dare una risposta a tale quesito.
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Stefano D’Armento La fabbrica dei loft
Il paper proposto tratta dei loft come particolare tipo di riutilizzo del patrimonio industriale minore,concentrandosi sul caso di Milano. L’esperienza dei loft nel contesto italiano viene trattata solo da un punto di vista di abitazione alla moda o liquidata come particolare fenomeno laterale nei testi riguardanti la trasformazione di areeindustriali.La trasformazione di aree industriali in loft costituisce invece un fenomeno ampio e dalle molteplici sfaccettature, foriero di diverse riflessioni sul presente e sul futuro delle città e delle relazioni in profondo cambiamento tra società, lavoro e spazi del vivere e del lavorare.A differenza degli interventi pianificati sono riusciti a produrre un’innovazione tipologica nella città post-industriale, ovvero la ripresa di un antico modello di casa-lavoro che nel passato ha caratterizzato le città, ottenendo paradossalmente l’obiettivo di mixité che i piani che hanno spesso raso al suolo le aree industriali si erano prefissati e in cui hanno sostanzialmente fallito, sfruttando la flessibilità dell’architettura industriale e inoltre preservando la memoria industriale in diverse forme.Le fabbriche così trasformate sono diventate fabbriche di loft. Pur con alcuni aspetti controversi, il loft ha permesso la distribuzione e convivenza di usi e funzioni diverse all’interno dei complessi e delle unità stesse, ha consentito un continuo e rapido cambiamento, di funzioni e di dimensioni,tramite notevoli possibilità di aggregazione e disaggregazione di unità, sfruttando al massimo la flessibilità offerta dalle molte architetture industriali così tornate a nuova vita.
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Francisco Gómez Díaz El patrimonio industrial de la Bahia de La Habana
El hecho fundacional de La Habana es precisamente su bahía, una bahía de bolsa con tres ensenadas, en cuyo margen occidental se fundó la ciudad en 1519, con un sistema de murallas que se demolió en el último tercio del siglo XIX. El auge de la ciudad hizo que todo el sistema de industrias se fueran instalando en el perímetro de la bahía, sellando paulatinamente la relación ciudad-bahía, especialmente a lo largo del siglo XIX. De hecho, el Plan de Sert para La Habana (1958) consolidaba todo el perímetro con un uso exclusivamente industrial. Este rico patrimonio industrial ha caído paulatinamente en desuso, especialmente durante la Revolución, generando un paisaje de abandono, donde los elementos industriales tienen un potencial de transformación de usos enorme y, de hecho, la Oficina del Historiador de la Ciudad ha emprendido una labor de rescate de algunos edificios de almacenes –tal vez el más significativo sea el Muelle de San José para dotarlos de una nueva función, generalmente vinculada a los nuevos recursos económicos como el turismo. Uno de los elementos más significativos es la Central Eléctrica de Tallapiedra, un ejemplo magnífico de patrimonio industrial obsoleto, sobre el que se ha interesado la Fundación Guggenheim para estudiar su posible conversión en museo. El muelle de contenedores de Regla, la refinería de petróleo de Triscornia y los astilleros de Casablanca, son sólo algunos de los ejemplos de ese patrimonio industrial obsoleto que se encuentran en el perímetro de la bahía. En 2009 se hizo un Plan de recuperación de la Bahía de La Habana, con un programa de 25 años, de manera que la bahía se convirtiera en elemento central de la ciudad, rehabilitando ese patrimonio industrial para destinarlo a usos urbanos que permitan que la bahía vuelva a oler a mar.
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Giulia Pagliara Resilienza urbana, il caso di Scheepvaartkaai in Hasselt
Ho avuto modo di misurarmi con il mio interesse sul tema del paesaggio industriale, dei suoi caratteri e dei possibili scenari di riconversione, in occasione del lavoro di studio svolto in Belgio, nella città di Hasselt per la riqualificazione di un ex area produttiva che affaccia sull’Albert Canal. Il Belgio ha un territorio caratterizzato dalla presenza di una fitta rete infrastrutturale. I corsi d’acqua sono sempre stati un’importante risorsa per la crescita economica del paese, poiché, rispetto ad altre vie di comunicazione, consentono un trasporto veloce ed economico. La maggior parte dei canali sono stati realizzati per consentire il trasporto del carbone direttamente dalle miniere alle industrie. Oggi, i due canali più importanti sono quelli che collegano i fiumi Scheldt a Meuse e i maggiori centri economici del paese: il canale tra Antwerp e Charleroi e l’Albert Canal tra Antwerp e Liege. Lungo le più importanti vie infrastrutturali sorgono i maggiori centri di produzione, per questo motivo le sponde dei canali belgi sono sempre stati caratterizzate da un paesaggio prevalentemente industriale. Nel caso specifico, la cittadina di Hasselt, non fà eccezione. A causa dell’espansione della città, l’area produttiva sviluppatasi lungo il canale, è stata inglobata nel tessuto urbano, creando un conflitto sempre più evidente tra luoghi di produzione e realtà cittadina. Il ramo del canale che prima raggiungeva il confine della città oggi si trova completamente assorbito in essa, e le industrie, che una volta si trovavano in quest’area, sono state sostituite da complessi residenziali. Lo stesso fenomeno di rigenerazione urbana sta interessando l’area di Scherrpvaartkaai a nord della città di Hasselt affacciata sul corso principale dell’Albert Canal. La differenza tra una zona e l’altra è però sostanziale: lo zoning residenziale del centro cittadino è qui sostituito dalla coesistenza di diverse realtà produttive, commerciali e creative. Questa zona, dal carattere resiliente, è stata in grado di reinventare e riadattare se stessa.
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Rossella Maspoli, Andrea Roncarolo L’ex comparto laniero Rivetti di inizio ‘900 a Biella. Analisi e scenari di riuso
La testimonianza architettonica e culturale,lasciata alla città di Biella dalla famiglia Rivetti, riguarda un’ampia area divenuta col tempo parte centrale della città stessa. Lo studio preliminare dei beni presi in esame, il comparto degli edifici di inizio ‘900 in attesa di intervento e in crescente degrado,riguarda la ricerca storica per poter svolgere un’analisi dello stato di fatto degli edifici,identificando la tecnologia costruttiva, i materiali e permettendo così di focalizzare l’importanza della valorizzazione patrimoniale dell’esistente mediante nuove funzioni in relazione al piano regolatore vigente e alla prospettiva di variante.Lo scenario di recupero consiste nel costruire uno scenario delle funzioni adatte ai complessi edilizi analizzati, tali da prospettare la rigenerazione urbana attraverso il riuso adattivo,attento alla sostenibilità ambientale e allalimitazione di consumo del suolo.La prospettivaè inoltre di recupero dei due edifici adiacenti nell’ottica di recupero della valle Cervo creando un percorso storico culturale. Il primo edificio si sviluppa in verticale su 3 piani,nei quali la fattibilità di riuso è per attività di co-working, terziario e produzione compatibile al piano terra oltre alla residenza ai piani superiori. Il secondo, invece,si sviluppa orizzontalmente con una copertura a shed e può prevedere spazi ricettivi,spazio comune tra piazza coperta e parte espositiva museale,al fine di mantenere e testimoniare la memoria storica del luogonella fattibilità del riuso.Si è proposta una soluzione tecnologica, che migliori la capacità strutturale e che risponda alle aspettative attuali di prestazioni dell’involucro edilizio, in coerenza con le attività inseribili.
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Dimitra Babalis Philips Workers’ Neighbourhoodsin Eindhoven. Character, Types and Urban Regeneration
Within the industrialisation period, the creation of workers’ houses and villages become the expression of the theoretical models based mainly on socialist conception. However,industrialisation that effects both cities and small towns brought to the most important changes such as the balance of human and natural resources with industrial development. This phenomenon led to the need to provide new houses for worker sfor much social and urban quality. Therefore, the planned housing areas were developed as workers’ cities, villages or company towns.The aim of this paper is to show how Eindhoven’s workers’ neighbourhoods, directly linked to Philips’ industry were developed in order to bring more order within industrial activities, allowing the workers to live close to the industry and to their family.Specifically,will be taken into consideration the Philips’ Strijp District, distinguished for workers’ houses that were developed according to social benefits and urban lifestyle.From 1910 to 1925 the PhilipsDorp,Drents Dorpand Barrier neighbourhoods were developed. They are built at different times, but with a distinctive spatial configuration and a clear urban form including kindergartens, primary schools, churches, parks and other social facilities. Following the Strijp S Regeneration Plan, undertaken by the Eindhoven City Council and proceeding with the revitalisation of the entire Strijp District, the preservation and regeneration of the main Philips workers’ neighbourhoods can bring urbanity and continuity with the rest of the City of Eindhoven.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA La città industriale - ore 14:00 Coord: F. Mancuso Aula Magna E. Castore - UNIVERSIDADE FEDERAL DE BAHIA
La città come palinsesto: le trasformazioni dell’ex-zona industriale di Salvador de Bahia S. De Majo - STORICO ECONOMICO, D. Camardo HERCULANEUM CONSERVATION PROJECT, M. Notomista ARCHEOLOGO
Gragnano da città dei mulini a città dei pastifici: un processo plurisecolare (fine 500-900) L. Franzen Ghignatti - ARCHITETTO
São Luis, ville portuaire
L. Moretto - ARCHITETTO
L’industria e la città: la Cogne e Aosta, storia di un secolo. Architettura, siderurgia, territorio C. Olivati - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Gli Ex-Magazzini Generali e la città di Verona
S. Palomares Alarcón, P. Viscomi - UNIVERSIDADE DE ÉVORA
El patrimonio industrial del barrio de la Macarena del s.XX como regenerador urbano de la Sevilla del s.XXI (España) A. Pozzati - POLITECNICO DI TORINO
Fenoglio per l’industria
J. Rogent i Albiol - TICCIH SPAGNA
Il riuso del Patrimonio Architettonico Industriale, strumento urbanistico per il rinnovo urbano: il “Piano 22@” a Barcellona C. Ferro - UNIVERSITÀ IUAV DI VENEZIA
Il macello di Venezia: matrici di un complesso industriale ed eredità C. Gutermann - GIORNALISTA, A. Zanini - INFN TORINO
Borgata Leumann e i villaggi operai in Piemonte
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Elena Castore La città come palinsesto: le trasformazioni dell’ex-zona industriale di Salvador de Bahia
Conosciuta per il suo centro di origine coloniale, dichiarato dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità nel 1985, la città di Salvador de Bahia vanta un importante passato industriale, ancora oggi poco conosciuto e valorizzato. Basta allontanarsi di pochi chilometri dal suo centro antico, nella Cidade Alta (Città Alta), e addentrarsi, verso nord, nel territorio della Peninsula de Itapagipe, nella Cidade Baixa (Città Bassa), per rendersi conto, che, in un passato non troppo remoto, Salvador fu sede di un grande parco industriale, oggi completamente dismesso. Decine e decine di edifici industriali, oggi in rovina, sono la testimonianza di una storia industriale, iniziata durante la prima metà dell’Ottocento con l’installazione di alcune piccole fabbriche in diverse zone della Cidade Baixa, e proseguita, con la consolidazione, fino alla prima metà del XX secolo, di una zona industriale, nella tranquilla periferia a nord della città, all’epoca scarsamente abitata, sede di piccole attività produttive, terra di pellegrinaggi e zona balneare dell’alta società soteropolitana1. L’insediamento di diversi tipi di attività industriali e, dagli anni ‘50 del secolo scorso, la sua graduale dismissione, hanno operato profonde trasformazioni in questo territorio, che, nel corso degli ultimi 150 anni, ha modificato ripetutamente il suo volto. L’obiettivo del paper è evidenziare la funzione dell’industria nei diversi processi di trasformazione di questa zona della città, dove, oggi, in uno spazio urbano profondamente stratificato, convivono elementi che ne sono i testimoni diretti. Si vuole, altresì, riflettere sulla presenza delle rovine dell’industria soteropolitana, in questo territorio così profondamente trasformato, e sulla necessità di un suo riconoscimento come patrimonio.
1. Si usa questo aggettivo per indicare qualsiasi cosa che si riferisca alla città di Salvador, cosìcome chi nasce e/o vive nella città di Salvador.
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Silvio De Majo, Domenico Camardo, Mario Notomista con Francesca Caiazzo Gragnano da città dei mulini a città dei pastifici: un processo plurisecolare (fine 500-900)
Già nel Medioevo sorsero a Gragnano lungo il torrente Vernotico mulini idraulici. Poi, a partire dalla fine del Cinquecento la famiglia patrizia Chiroga edificò numerosi mulini, dove affluivano i carichi di grano provenienti dalla Puglia; gli sfarinati erano destinati all’approvvigionamento della popolosissima città di Napoli. Le costruzioni continuarono nei secoli successivi per cui a fine Settecento a Gragnano erano in funzione una trentina di mulini. Nell’Ottocento ne furono costruiti ancora altri: alla fine del secolo se ne contavano più di quaranta. Da fine Cinquecento all’Ottocento quindi Gragnano è la città dei mulini, lungo due direttrici: da Sud-Esta Nord, dalla montagna di Pimonte verso il centro della cittadina, in quella che ancora oggi è la Valle dei mulini (i resti di una dozzina di mulini, immersi in un paesaggio campestre); da Est ad Ovest, dal centro della cittadina verso Castellammare, una direttrice che è dentro la città attuale, completamente sommersa da edifici costruiti a fine Ottocento o nel primo Novecento. Molti edifici sono pastifici che hanno contribuito a ridefinire la conformazione urbanistica della città: da città della macinazione del grano a città della produzione della pasta, ovvero da città protoindustriale a città industriale. Questa trasformazione è avvenuta a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, quando sono stati installati mulini a cilindri in cinque stabilimenti dotati di macchine a vapore. In questi stabilimenti e in alcune decine di piccole e grandi fabbriche la episodica lavorazione manuale della pasta di antica tradizione è stata sostituita da quella diffusa e meccanica, propria di una città industriale otto-novecentesca.
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Luisa Franzen Ghignatti São Luis, ville portuaire
Le présente article, vise présenter la ville de São Luís du Maranhão come une ville portuaire, en mettant en évidence le fait que l’implantation, développement etl’embellissementde la ville, que lui a rendu l’hétéronomie de petit ville de porcelaine, ont été possible grâce à son port et au commerce portuaire. Le vieux port de Saint-Louis a été classé comme un port de grandes marées, avec des oscillations atteignant 7 mètres et donc comparables aux ports de Dunkerque et Livepool. Ces caractéristiques ont eu une grande influence sur la configuration de la ville qui s’est développée grâce à son port.La fondation de la Compagnie Générale de Commerce de Grão-Pará et Maranhão en 1755 et l’ouverture des ports aux nations amies de 1808 ont changé la ville.En 1780, on construit la Place du Commerce dont la zone se spécialisera dans l’activité portuaire et deviendrait le centre économique de la ville.La prospérité économique résultant de l’activité portuaire a eu un impact dans la configuration de la ville, entraînant une territoire urbain, la verticalisation des bâtiments et la redistribuition de la population. Jusqu’à 1750, la zone urbaine de São Luís était concentrée de dans le réseau routier de 1615. Au siècle suivant, la ville s’étendrait, gagnerait plusieurs mètres de terre donnant naissance au quartier Praia Grande. Les années 1960, amènent des nouvelles politiques et importants projets d’infrastructure sont construits, comme le nouveau port Itaqui.Cependant, le vieux port fonctionne toujours comme terminal de transport de passagers, preuve de son importance relevant.São Luís a fait face à un manque important de voies de communication, ce qui a nui le commerce et à retardé le développement. Le port de Praia Grande a établi un commerce portuaire international pertinent, dont la dynamique a été fondamentale dans la fondation, la formation et la consolidation du quartier de Praia Grande, de l’imaginaire et de la culture ludovicense.
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Luca Moretto L’industria e la città: la Cogne e Aosta, storia di un secolo. Architettura, siderurgia, territorio
All’inizio del Novecento in Valle d’Aosta si insedia un complesso siderurgico che chiameremo la “Cogne” – di dimensioni “fuori scala” rispetto al contesto, il cui impatto comporta il passaggio di Aosta da villaggio a città. Il ciclo industriale è completo, dall’estrazione del minerale (ferro e antracite) dalle miniere di Cogne e La Thuile, alla sua trasformazione nell’altoforno aostano, e comprende le infrastrutture atte al trasferimento di materiali e persone, con un sistema misto di teleferiche e ferrovie (le miniere di Cogne si trovano a quota 2400 mslm), gli stabilimenti di Aosta (acciaieria), le case per operai, impiegati e minatori, le centrali idroelettriche etc. La trasformazione del paesaggio è “catastrofica”: ad Aosta l’area dello stabilimento arriva ad avere una estensione superiore di quasi tre volte quella della città intramuros (1.200.000 mq rispetto i 403.000 mq del centro storico); l’area del quartiere operaio, costruito fuori mura, ha un’estensione iniziale di circa 325.000 mq. La città si dota di nuovi edifici pubblici. Il sistema integrale collega la montagna al mare, con terminale gli stabilimenti Ansaldo di Genova. L’intervento condensa la parabola/avventura industriale della “Cogne” e dei suoi riflessi su Aosta e la sua valle, ed illustra cosa ne rimane oggi e quali sono le forme di patrimonializzazione in atto o previste.
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Camillo Olivati Gli Ex-Magazzini Generali e la città di Verona
Il caso dei Magazzini Generali di Verona testimonia l’incontro tra i cardini del contesto produttivo cittadino, l’agricoltura ed il commercio, e le nuove tecnologie applicate al servizio della logistica. La stessa localizzazione di questo intervento, sorto su un’area precedentemente occupata da un forte austriaco,evidenzia plasticamente il passaggio di Verona da città militare ad importante snodo commerciale sulle direttrici nord-sud ed ovest-est. L’intervento, realizzato negli anni ’20 e ‘30, consisteva nell’urbanizzazione di una vasta area che venne recintata ed all’interno della quale vennero collocati vari edifici volti ad ospitare i numerosi servizi che i Magazzini avrebbero offerto, quali la sezione doganale dedicata, l’ufficio gestione merci, gli uffici per spedizionieri ed operatori economici ed altri.Venne infine costruita la stazione frigorifera specializzata, edificio di pianta circolare sormontato da una grande cupola. Tecnologicamente all’avanguardia, era dotata al suo interno di una piattaforma girevole adibita allo smistamento dei vagoni ferroviari all’interno di apposite gallerie poste a raggiera intorno alla sala centrale. IM.G., oggi posti all’intersezione tra le maggiori direttrici viarie cittadine, rappresentarono il nucleo di quella che sarebbe diventata la zona d’insediamento della Fiera e delle attività industriali novecentesche, la Z.A.I. (zona agricolo industriale).A seguito del trasferimento dell’attività dei M.G. in una sede più idonea negli anni ’80 e di un periodo di abbandono e degrado della struttura si sviluppò in città un dibattito sul recupero dell’area e degli edifici,(alcuni dei quali sottoposti a vincolo da parte della Soprintendenza nel 1998) inserito all’interno di un organico insieme di interventi da eseguire sull’area della Z.A.I. e di Verona sud. La soluzione che venne prospettata per i Magazzini fu la creazione di un “polo culturale” cittadino. Tale destinazione venne però successivamente ridimensionata, privilegiando quella dirigenziale e commerciale. Ad oggi i Magazzini ospitano al loro interno: l’Archivio di Stato, la “cittadella delle professioni”, gli uffici direzionali di una banca, il Musalab (Museo archivio laboratorio del teatro, dedicato a Dario Fo e Franca Rame).La stazione frigorifera specializzata, nella quale si insedierà una nota catena del settore agroalimentare, è oggi in corso di restauro.Nelle fasi preliminari è stato realizzato un importante lavoro di ricerca e catalogazione degli apparati tecnologici ancora esistenti al suo interno. Ulteriori interventi sono in corso in alcune palazzine del complesso, nelle quali è previsto l’insediamento di uffici pubblici.
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Alice Pozzati Fenoglio per l’industria
Pietro Fenoglio (1865-1927), figura dominante il liberty torinese, nel corso della sua attività professionale deve confrontarsi spesso con il progetto di edifici industriali, sia per la produzione che per la residenza: fabbriche,case operaie e il villaggio Leumann sono firmati dall’architetto. Analizzando questi progetti si possono ritrovare problematiche tipiche del patrimonio industriale, ma non solo. Infatti, se i fabbricati industriali, sono destinati a deteriorarsi velocemente a causa della rapida obsolescenza e degli esigui finanziamenti per la manutenzione, e hanno vissuto, quindi, una breve esistenza “attiva”, le costruzioni di Fenoglio per l’industria possiedono un ulteriore deficit di tipo formale. Com’è noto,Pietro Fenoglio si afferma sul panorama internazionale come “architetto del liberty”e la maggior parte dei suoi progetti più celebri sono residenze urbane commissionate da una ricca e raffinata borghesia (villa Scotto villa La Fleurne sono due rinomati esempi). Durante la sua carriera, tuttavia,si trova in diverse occasioni a doversi esprimere forzatamente in un lessico architettonico più contenuto a causa delle ragioni funzionali e dei principi di economicità propri dei cantieri industriali. Approfondire questo tema, studiando i singoli progetti, mettendo a sistema questi oggetti di archeologia industriale e ponendoli in relazione con la Torino di fine XIX secolo, dinamica e produttiva, può, oggi, rivelare nuovi inediti aspetti di un protagonista importante ma ancora in parte oscuro della scena architettonica italiana.
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Jordi Rogent i Albiol Il riuso del Patrimonio Architettonico Industriale, strumento urbanistico per il rinnovo urbano: il “Piano 22@” a Barcellona
Dopo la completa distruzione della zona industriale d’Icaria (la parte del quartiere di Poblenou piú prossima al mare) nell’anno 1986 per creare la Villa Olimpica per i giochi della 25ma Olimpiada, il comune di Barcellona cambió la forma d’intervento nella città costruita. Nell’anno 2000 viene approvato il “Piano 22@” per la trasformazione di una altra parte del Poblenou, quartiere dove fin dalla prima metà del s. XIX, coesistevano edifici residenziali e impianti industriali di diverse scale. E, per prima volta nella storia dell’urbanistica barcellonese il recupero del Patrimonio Architettonico Industriale è uno degli obiettivi di un piano d’intervento per rinnovare il tessuto urbano. Il mio intervento spiegherà alcuni risultati dei primi quindici anni di applicazione del Piano 22@, il piú importante intervento urbanistico degli ultimi venticinque anni, a Barcellona, nella città consolidata e dove il Patrimonio Architettonico Industriale à un ruolo importantissimo. Nuovi concetti di “uso industriale” (le chiamate “industrie .com”), maggiore edificabilità a cambio di conservazione di costruzioni industriali, il passo del riconoscimento dell’edificio individuale al riconoscimento dell’insieme, ... sono aspetti a spiegare cosí come l’elenco tanto degli interventi riusciti come di quelli non riusciti. Un tentativo, con luci e ombre, di rinnovo di un quartiere dove sempre hanno coesistito residenza e industria con l’obiettivo che, nel secolo XXI, prosegua questa situazione approfittando contruzioni e insiemi industriali di valore patrimoniale.
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Chiara Ferro Il macello di Venezia: matrici di un complesso industriale ed eredità
Le vicende dell’attivazione del macello veneziano (1843) e del suo progressivo adeguamento alle necessità di una città ancora viva consentono di leggere nelle trame di una storia articolata gli interrogativi di una metropoli di fronte alle istanze della modernità. Il complesso scrive e riscrive il suo futuro, in un percorso tortuoso che pone via via come prioritari l’economia, l’organizzazione, e anche il linguaggio dell’architettura. La storia complessa del macello è stata già indagata in alcuni preziosi contributi, l’ultimo, anche con un saggio dell’autrice, è stato pubblicato nel 2006 (Il Macello di San Giobbe un’industria, un territorio, a cura di Giovanni Caniato, Renato Dalla Venezia, edizioni Marsilio). La ricostruzione delle complicate tappe che si alternano per definire il programma funzionale, tra proposte, progetti e invenzioni, possono ulteriormente essere approfondite con una chiave di lettura che ponga il tema dell’innovazione industriale al centro delle possibili analisi. I documenti conservati, testi e disegni, sono cospicui e si prestano a letture trasversali, a possibili confronti nell’indagine delle ragioni che portarono a scegliere quella ipotesi. Il percorso industriale della lavorazione della carne nelle sue diverse fasi traspare quindi dai documenti così come dalle fabbriche. Un approfondimento ulteriore può riguardare l’interrogativo ulteriore sul destino dopo l’abbandono, con la nuova destinazione a sede universitaria, per il quale la Soprintendenza veneziana si è impegnata con il suo ruolo di garante delle istanze di tutela di questo come di altri complessi industriali, dopo l’indifferenza di Le Corbusier che lo cancellava invece con un gesto progettuale assai noto.
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Carla Gutermann, Alba Zanini Borgata Leumann e i villaggi operai in Piemonte
Il villaggio operaio di Borgata Leumann, presso Torino, è uno degli esempi più significativi in Italia della tipologia delle “ Company town” di fine ‘800, per la sua architettura, opera di Pietro Fenoglio, uno dei più importanti “ingegneri salubristi” e per l’organizzazione sociale instaurata da Napoleone Leumann. Numerosi altri esempi di villaggi operai sono presenti in Piemonte, molti di questi tutt’ora riconoscibili come interessanti esempi di archeologia industriale. Infatti Torino, perso nel 1864 il ruolo di capitale del Regno d’Italia, esce dalla grave crisi economica che investe tutto il Piemonte, lanciando un appello agli industriali italiani e stranieri e incoraggiandoli ad investire in Piemonte. In risposta arrivano soprattutto imprenditori svizzeri e tedeschi, per lo più nel campo del tessile (Abegg, Du Pont, Gütermann, Leumann, Crumière, Wild, Remmert, per citarne alcuni) e portano in Piemonte una diversa cultura imprenditoriale e un nuovo approccio nei rapporti tra proprietà e lavoratori; nascono così numerosi esempi di villaggi operai, nelle valli dell’ Orco, del Chisone, della Dora, a fianco delle nuove fabbriche. Gli autori hanno realizzato uno studio e una mostra fotografica, sponsorizzata dal Consiglio Regionale del Piemonte, ( Maggio-Giugno 2017, PALAZZO Lascaris, Torino) sulle realtà piemontesi e sulla loro evoluzione, a partire dal Villaggio Leumann (1875), fino alle realtà del XX secolo, quali il villaggio SNIA di Torino (1927), il villaggio RIV SKF di Villar Perosa e le realizzazioni degli Olivetti a Ivrea, con un cenno alla realtà poco nota dei villaggi rurali del capitalismo agrario.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Cinema e fotografia al servizio dell’industria - ore 14:00 Coord: A. P. Desole Aula STO1 A. Ramos - UNIVERSIDADE DE ÉVORA
Cine-Património, roteiro cinematográfico do Cinema Industrial Português F. Trisoglio - FONDAZIONE AEM
Memoria, tradizione e innovazione: il patrimonio industriale di Fondazione Aem S. Palomares Alarcón, P. Viscomi - UNIVERSIDADE DE ÉVORA
Fototecas portuguesas: el patrimonio industrial del s. XIX a través de sus fotografías N. Ilic - UNIVERSIDADE DE ÉVORA
Former factory Fotokemika as a museum of photography C. Zanirato - UNIVERSITÀ DI FIRENZE
Atlante emiliano. Fotostorie
A. Jeanroy - UNIVERSITÉ DE TOURS
Les promoteurs du programme électronucléaire français : le rôle de l’architecte dans la communication d’Électricité de France
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Alexandre Ramos Cine-Património, roteiro cinematográfico do Cinema Industrial Português
Em 1896, Aurélio Paz dos Reis realiza aquele que é conhecido como o primeiro registo fílmico efetuado por um português - A Saída do Pessoal Operário da Fábrica Confiança - e que é simultaneamente a primeira fonte de imagens em movimento sobre a indústria portuguesa.Este momento marca o início da profícua relação estabelecida entre a indústria e o cinema em Portugal. A Indústria procurou o cinema, essencialmente através do documentário, para se promover e ao fazê-lo deu aos cineastas um contexto/pretexto criativo. Embora os documentários tivessem como função primordial a promoção, muitos extravasaram esse fito para se revestirem artisticamente. Com isso, ganharam uma posição relevante na história do cinema português, até porque uma parte significativa destas produções se deve a realizadores de renome no panorama cinematográfico nacional, e internacional como Cottinelli Telmo ou Manoel de Oliveira. Conquanto, o documentário enquanto fonte documental na generalidade dos estudos sobre Património tem sido amplamente preterida em detrimento da documentação escrita. Neste sentido, este ensaio tem como objetivo demonstrar a pertinência do cinema na investigação do Património Industrial e como através dele propaganda do Estado Novo procurou construir imaginários coletivos sobre o trabalho e o progresso.
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Fabrizio Trisoglio Memoria, tradizione e innovazione: il patrimonio industriale di Fondazione Aem
Fondazione Aem fu costituita nel 2007 allo scopo di preservare il patrimonio storicoindustriale dell’Azienda elettrica municipale di Milano (Aem), una delle più importanti imprese energetiche italiane (oggi Gruppo A2A), istituita nel 1910 dal Comune di Milano. Durante la sua storia centenaria l’impresa ha prodotto un vasto patrimonio culturale che comprende oggi archivi storici, edifici di interesse archeologico-industriale, fonti orali e molto altro ancora. Di particolare rilevanza è il grande archivio storico fotografico, dichiarato di interesse storico-culturale e composto da circa 200.000 immagini, che testimoniano non solo lo sviluppo della municipalizzata ma anche la storia della crescita industriale a Milano e in Lombardia. Diviso in diversi fondi, l’archivio raccoglie le numerose campagne fotografiche commissionate dall’impresa a grandi fotografi del calibro di Antonio Paoletti, Guglielmo Chiolini, Gabriele Basilico e Francesco Radino. A partire dagli anni Venti, ogni singola “stagione iconografica” ha rappresentato una particolare politica aziendale e strategia industriale per la municipalizzata, conservando per ogni epoca documenti visivi eccezionali e densi di significato. Allo scopo di diffonderne e ampliarne la conoscenza, dal 2013 Fondazione Aem promuove mostre annuali e nuove prestigiose campagne fotografiche sul suo patrimonio storico.
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Sheila Palomares Alarcón, Pietro Viscomi Fototecas portuguesas: el patrimonio industrial del s.XIX a través de sus fotografías.
La fotografía es una herramienta de investigación valiosa como fuente documental en el estudio y puesta en valor del patrimonio industrial. En 1839 la prensa portuguesa ya se hacía eco del invento de la fotografía y desde ese momento fueron diferentes los fotógrafos itinerantes, algunos de ellos incluso extranjeros, que se encargaron de retratar el patrimonio portugués. Por citar algunos ejemplos: Frederick William Flower, Joseph James Forrester, Antero Frederico Ferreira de Seabra da Mota e Silva, Carlos Augusto Mascarenhas Relvas de Campos, Emilio Biel o Francisco Rocchini. A partir de este momento también las Casas Comerciales fotográficas empiezaron a instalarse en el país, consolidándose la fotografía como un elemento imprescindible en la nueva sociedad industrial. Diferentes Fototecas portuguesas llevan años inventariando y documentando el patrimonio cultural, entre el que se incluye el industrial, tanto a nivel local como a nivel nacional. Cabe destacar la labor realizada por el Centro Portugués de Fotografía (Oporto) o por el de la Fundação Calouste Gulbenkian (Lisboa), que incluyen entre sus colecciones numerosos archivos de fotógrafos que trabajaron en el país lusófono desde el siglo XIX. Con esta comunicación se pretende estudiar y analizar el patrimonio fotográfico vinculado al patrimonio industrial portugués del s.XIX presente en algunas de las más importantes fototecas del país con el objetivo de ponerlo en valor y reflexionar sobre su futuro.
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Nevena Ilic Former factory Fotokemika as a museum of photography
In the transition process from analog to digital photography, a phenomenon that started taking place at the end of the 20th century, most of the analog photo factories shut down. As a result, production of photo equipment is substantially diminishing and centuries old tradition of analog film photography is disappearing into history. This work explores the case study of Fotokemika factory (1947-2012), once a famous and respectable photo factory during Yugoslavia period, later the Croatian Republic, as an example of the shutdown of an industrial unit that produced equipment for processing film photography. The study examines the history of the factory, the achievements in the fields of science, technology, technique, advertisement, design and influence on development of analog film photography in the territory of Croatia. It also aims to create criteria to valorize analog film photography as a cultural heritage and to contribute to a better understanding of the position of film analog photography processes and techniques in the 21st century.The research aim is to examine how museums like an institution for protection and safeguarding of heritage, especially after the new definition, can give a solution in maintaining industrial heritage in a process of reusing former industrial buildings into museum.
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Claudio Zanirato Atlante emiliano. Fotostorie
Nel panorama manifatturiero italiano, il modello economico emiliano, in particolare, è prossimo a quello a specializzazione diffusa, essendo basato sulle piccole imprese per produzione di piccola serie, di sovente concentrate in aree specializzate (distretti economici). Il settore industriale vede da tempo anche qui diminuire costantemente la sua centralità e ha subito profondi processi di trasformazione che riguardano tipi e modi di produrre e, pertanto, il modo di rapportarsi con il territorio con le sue costruzioni utilitarie.L’impiego selettivo della ripresa fotografica, operato continuativamente per alcuni decenni, ha permesso di fissare le costanti e le varianti del paesaggio industriale nel suo divenire, nella sua percezione spaziale e nella sua evoluzione temporale, in un momento cruciale di passaggio epocale.L’analisi fotografica fa emergere la trasposizione dell’immaginario collettivo della grande industria alla scala minore della fabbrica diffusa, resa quasi“addomesticata” nella sua capillare distribuzione, spingendosi quasi ai minimi termini identificativi di un orizzonte quotidiano. Il rimando ai grandi scenari delle città-fabbrica è solo oramai in latenza, in un confronto con altri tempi svanito e di cui rimane solo un flebile ricordo, un’impronta in dissoluzione. Il silenzio di molti di questi luoghi, che emerge dalle fotografie, è anche in parte il lascito del lavoro che se ne è andato altrove o è rimasto ma in altre forme, trasformato dai tempi e reso ancora meno riconoscibile.Da queste immagini, emerge lo scenario di un paesaggio metaforico dilatato a scala territoriale, dominato dalla fotogenia dell’utilitarietà dei luoghi del lavoro da cui estrarre frammenti “memorabili”, ritagliati da una spazialità identitaria ripetitiva e dilagante, diventata consuetudine visiva di una narrazione regionale.
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Audrey Jeanroy Les promoteurs du programme électronucléaire français: le rôle de l’architecte dans la communication d’Électricité de France
Le lancement du Plan Messmer en 1974 entraîne une remise à plat des poncifs de la communication de l’entreprise publique française, EDF. L’augmentation prévue du nombre de réacteur nucléaire doit être accompagnée d’une campagne d’informations à grande échelle sur les enjeux énergétiques, les risques, le potentiel économique et l’esthétique des nouveaux paysages. Pour y répondre, l’entreprise décide de diversifier son message en misant sur de nouveaux supports (télévision, revues,manuels, dessins, photographies) et de nouveaux acteurs (économistes, paysagistes, électriciens, ingénieurs). Parmi ces nouvelles voix, celle de l’architecte se distingue, car il initie un discours inusité sur l’esthétique et la pollution visuelle. Acteur nouvellement intégré au processus créatif de la naissance d’une centrale nucléaire, il trouve rapidement sa place comme agent de la communication du programme industriel. EDF donne alors carte blanche à des architectes, notamment à Claude Parent (1923-2016), pour projeter par le dessin et par le texte le nouveau visage des sites nucléaires français du Plan Messmer. La production graphique est abondante et souvent spectaculaire. Reste à savoir quels rôles vont jouer ces dessins utopiques dans la communication, souvent technique, de l’entreprise.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Criticità della dismissione - ore 16:00 Coord: E. Currà, A. Vitale Aula STO1 G. Della Germania - REAL ESTATE BUILDING MANAGER
Progetto di recupero del “mulino e pastificio Alvino” a Matera N. Protti, E. Suraci - ARCHITETTI
Pascoli a San Gimignano
L. Comino - SEGRETARIO REGIONALE MIBAC, S.G. Lanza SOPRINTENDENZA ABAP PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI GENOVA E LE PROVINCE DI IMPERIA, LA SPEZIA E SAVONA
Quale futuro per le aree industriali dismesse? Il caso della costa del ponente ligure D. Pozzi - LIUC-UNIVERSITÀ CARLO CATTANEO
Corporate heritage: sfide e opportunità per la Storia e il Patrimonio industriale
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Giuseppina Della Germania Progetto di recupero del “mulino e pastificio Alvino” a Matera
Matera, Capitale europea della cultura 2019: una sfida che passa anche attraverso l’archeologia industriale, tramite il recupero dello storico “Mulino e Pastificio Alvino”, luogo simbolo dello spirito imprenditoriale citta di nodi fine ‘800.Lo studio, volto a sondare una proposta progettuale alternativa, ha trovato spunti di riflessione importanti nell’analisi delle soluzioni costruttive impiegate,al punto da prevedere un’intera sezione dedicata al rilievo architettonico. Tramite indagini sul campo e confronto con la manualistica storica, si approda alla restituzione grafica del manufatto in quattro scale diverse di dettaglio, capaci di rivelare come di volta in volta forme e tipi dell’architettura materana si declinano in un’inedita versione industriale,sintesi tra materiali, più o meno tradizionali(tufo, legno, laterizio, ferro, ghisa e cemento), ed esigenze economiche e prestazionali della media impresa nel Mezzogiorno d’Italia: è questa la chiave di lettura trasversale alle differenti fasi produttive, funzionali e morfologiche che il Mulino Alvino ha attraversato durante un secolo di attività.L’impianto architettonico del 1884, ad opera del progettista Ridola, vede perdere, già dopo i primi ampliamenti, le caratteristiche di ordine e simmetria che avevano ispirato il disegno originario, in favore di aggiunte e modifiche, rispondenti ai bisogni di praticità ed efficienza. Le scelte progettuali, l’impiego di tecniche distanti dagli esempi di architettura civile coeva, la sperimentazione e le commistioni inusuali fra materiali e procedimenti costruttivi diventano così testimonianza di eventi storici o contingenti, imprescindibili per la conoscenza del fabbricato. Il lavoro include, infine,un’ipotesi di consolidamento di un elemento strutturale in presenza di azione sismica.
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Emanuele Protti, Niccolò Suraci Pascoli a San Gimignano
San Gimignano è un comune italiano di 7.780 abitanti situato in provincia di Siena, in Toscana. Il paesaggio turrito del piccolo centro toscano presta il proprio nome a quello che resta della fabbrica di grafite V EB Elektrokohlesituata nel quartiere di Lichtenberg, Berlino. Il sito abbandonato nel 1990 viene parzialmente abbattuto e bonificato, a seguito della caduta del muro, prima di essere privatizzato attraverso un’operazione immobiliare governata dalla municipalità. Ciò che resta, quando Arno Brandlhuber e Christopher Roth arrivano per la prima volta a Lichtenberg, è poco più di due grandi torri in cemento armato. Si tratta di un vano distributivo e di una torre di raffreddamento, inconsapevoli rimanenze simboliche e memoriali di un passato industriale di breve durata, ma storicamente significativo, come quello della DDR. Da sito produttivo, l’intervento di riuso ne propone la trasformazione in spazio di prototipazione architettonica e artistica sfruttando le sue qualità dimensionali, insieme ad un locale magazzino, uno ad uso ufficio e un piccolo prato per il pascolo degli ovini. Affondando le proprie radici nella natura funzionale della fabbrica, nei processi intrinseci di trasformazione e stratificazione dei sistemi produttivi, L’exi sito della VEB Elektrokohle subisce operazioni di razionalizzazione e trasformazione sempre volte a ristabilirne l’utilizzo all’interno di un intricato sistema normativo. Una ricerca del massimo potenziale spaziale salvaguardando l’economicità dell’intera operazione. Attraverso l’analisi del caso presentato il paper vuole dare un contributo al dibattito sulle strategie e pratiche di recupero del paesaggio industriale, descrivendo un processo di riuso che incontra i temi della memoria, della dismissione e dell’identità dell’area, suggerendo uno sguardo critico all’approccio con il quale il paesaggio industriale è indagato, trasformato, salvaguardato.
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Lorenza Comino, Simona G. Lanza Quale futuro per le aree industriali dismesse – il caso della costa del ponente ligure
La riqualificazione delle aree industriali dismesse costituisce oggi un argomento di particolare interesse per i numerosi e diversi temi coinvolti, dai fattori economici a quelli culturali e paesaggistici, a quelli politici e sociali che si intrecciano nel definire una trasformazione possibile.Nel ponente ligure tale complessità viene accentuata dalla loro localizzazione in prossimità della linea di costa, in aree di rilevanza paesaggistica, che porta le vicende progettuali a raggiungere, in alcuni casi, un arco temporale piuttosto lungo, quasi decennale, rimarcando la difficoltà delle scelte e l’incertezza stessa delle strategie attuali sia in termini di tutela delle coste sia di conservazione dei manufatti. Se da un lato la logica degli insediamenti produttivi di inizio Novecento appare oggi indifferente al valore paesaggistico dei luoghi, dall’altro, il loro successivo abbandono ha portato al progressivo degrado di un tratto di costa oggi da reinventare nel difficile bilanciamento degli interessi di tutela e di sviluppo. Inoltre le realtà industriali oggi non più esistenti o pesantemente già trasformate rischiano di essere ulteriormente sacrificate con la perdita delle testimonianze del passato industriale. Esse costituiscono anche un importante patrimonio immateriale, intendo con questo termine il valore di testimonianza di una memoria della vita anche sociale che ancora conservano e che deve essere salvaguardata in quanto ormai parteintegrante della nostra storia.Il presente lavoro, che prende spunto da alcuni casi concreti, propone alcune riflessioni in merito al fatto se sia ancora possibile, nella difficile situazione ligure, costituita da un territorio avaro di spazi, proporre un modello insediativo di seconde case e speculazione edilizia che potrebbe comportare la perdita delle stratificazioni culturali che fanno parte del vissuto storico, o non sia possibile confrontarsi in maniera diversa con queste complesse realtà.
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Daniele Pozzi Corporate heritage: sfide e opportunità per la Storia e il Patrimonio industriale
La relazione presenta una panoramica degli sviluppi più recenti del tema del corporate heritage nell’ambito degli studi aziendali (con particolare riferimento all’area di ricerca del marketing) e si interroga sulla possibilità di un dialogo con altri settori disciplinari come quello della storia dell’impresa e gli studi sulla tutela e valorizzazione del patrimonio industriale. A fronte di un crescente interesse degli studiosi di business per il tema dei valori storici del brand e dell’impresa, gli studiosi che, tradizionalmente, si occupano del rapporto tra l’industria e il passato sembrano relativamente poco interessati a una traduzione in termini “operativi” di questi elementi, tanto che la domanda proveniente dalle aziende per servizi relativi alla valorizzazione dell’heritage o allo storytelling viene soddisfatta da figure professionali del tutto estranee a questi ambiti. D’altro canto, la Storia di cui le imprese sembrano sempre più “affamate” ha spesso ben poco a che vedere con una ricostruzione basata su criteri scientifici e su un’indagine critica e obiettiva che tenga conto della fonte rappresentata dal patrimonio industriale (condizionando anche i criteri con cui quest’ultimo viene conservato e utilizzato). Si tratta di sfere del tutto separate che, per puro caso, si occupano in maniera totalmente differente di un oggetto simile, il passato dell’impresa, oppure – pur mantenendo le specificità di ciascun ambito di studio o attività – esiste una possibilità di dialogo tra corporate heritage, storia d’impresa e patrimonio industriale?
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Terrevolute: patrimonio materiale e immateriale dei Consorzi di bonifica - ore 14:00 Coord: E. Novello Aula STO2 E. Novello - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Il lavoro della bonifica nelle fonti orali: luoghi, macchine e territorio A. Vacilotto - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Alle origini di un territorio: dall’archeologia industriale all’archeologia classica S. Zaggia, A. Giordano - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA, G. Pradella - ARCHITETTO
MuRi: museo diffuso Regionale dell’Ingegneria. Il bacino del Piave come itinerario turistico culturale R. Simonetti - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Gli archivi dei consorzi di bonifica: gestione e valorizzazione E. Fiordaligi - ARCHITETTO, V. Fiordaligi - INGEGNERE
Presentazione: La botte villoresi - Una straordinaria opera idraulica sottopassante il fiume Secchia S. Lenzi - CONSORZIO DI BONIFICA PER IL CANALE EMILIANO ROMAGNOLO
Il Canale Emiliano Romagnolo nello sguardo di Enrico Pasquali A. Massarente - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA
L’architettura della bonifica e la costruzione del territori: reti, palinsesti, paesaggi M. Negri - EUROPEAN MUSEUM ACADEMY
Musei della Bonifica: tre casi, tre prospettive
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Elisabetta Novello Il lavoro della bonifica nelle fonti orali: luoghi, macchine e territorio
Le fonti orali possono offrire un importante contributo per comprendere quale percezione abbia l’uomo dell’ambiente nel quale vive e opera, e come interpreti gli effetti sulle risorse naturali di attività economiche e scelte politiche. Certamente, uno dei temi che maggiormente attira l’attenzione degli studiosi è quello delle emergenze idrauliche, la cui origine può essere ‘naturale’ ma le cui conseguenze sono spesso aggravate dall’incapacità dell’uomo di prevedere gli effetti della propria azione sull’ambiente. In questo caso la storia orale, come dimostrano ormai molti progetti di ricerca, aiuta a comprendere il rapporto conflittuale esistente tra uomo e natura, le strategie di resilienza adottate e i loro esiti. Talvolta alcune emergenze ambientali sono direttamente collegabili alle attività umane: inquinamento del suolo, dell’acqua e dell’aria. Anche nell’analisi di questi temi, la raccolta di testimonianze può aiutarci a capire, per esempio, quanto la popolazione sia cosciente dei rischi che corre vivendo in un determinato territorio. La storia della bonifica rappresenta un ambito di studio che offre notevoli possibilità di indagine per la storia ambientale e che implica l’analisi di molti temi che possono essere efficacemente studiati anche grazie alla metodologia della storia orale. Al fine di analizzare la percezione del ruolo svolto dai Consorzi di bonifica nella salvaguardia del territorio veneto a partire dagli anni Sessanta del Novecento, sono state analizzati i racconti di 32 testimoni che hanno rivestito nel corso della loro carriera diversi ruoli: escavatoristi, collaboratori tecnici, capi-settore, idrovoristi, responsabili di zona, responsabili del catasto. Sono stati, inoltre, intervistati alcuni Direttori, Presidenti e membri del Consiglio e della Giunta dei Consorzi. Alcuni testimoni hanno prestato servizio per più di tre decenni e hanno avuto modo di vivere in prima persona l’evoluzione dell’Ente per cui hanno lavorato e del suo comprensorio.
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Alice Vacilotto Alle origini di un territorio: dall’archeologia industriale all’archeologia classica
La bonifica novecentesca di vaste superfici del nostro paese ha trasformato profondamente l’assetto e la fisionomia del territorio con ripercussioni sulla sfera storico-economica, sociale e ambientale. Le terre di bonifica ospitano ancora oggi quelli che potremmo definire alcuni dei simboli di questo radicale cambiamento, basti pensare ai vecchi impianti idrovori costruiti per smaltire le acque, alla rete di infrastrutture realizzata per servire le zone riscattate, ai ruderi degli insediamenti rurali che punteggiano le campagne e agli stabilimenti industriali dismessi che sostenevano la produzione e la trasformazione delle colture industriali (barbabietola, colture oleaginose, tabacco, ecc.). Riportare l’attenzione su questi elementi, valorizzando anche il paesaggio di cui sono parte integrante, è certo un’operazione onerosa, ma non impossibile. La definizione di tour guidati sperimentata durante la prima edizione di Terrevolute | Festival della bonifica si è rivelata, per esempio, una formula vincente per far conoscere il patrimonio di queste terre, ma anche le criticità e il passato recente di ambienti costantemente in bilico tra terra e acqua. Più complessa da sfatare è invece la comune convinzione, diffusa soprattutto in Veneto, che i territori di bonifica prima degli interventi moderni non fossero altro che estese aree paludose, disabitate e inospitali. In realtà questi luoghi sono ricchi di testimonianze storiche e archeologiche capaci di raccontare una storia plurisecolare di relazioni uomo/ambiente, una storia di bonifiche, di gestione e sfruttamento delle risorse idriche, di produzione agricola, vitivinicola e industriale (ceramica, lana, ecc.) nell’accezione antica del termine. Per ora si è dato inizio al censimento di alcune di queste realtà nell’ottica di approfondirne lo studio e definire itinerari di conoscenza integrati (archeologia, ambiente, storia, archeologia industriale, ecc.), che si servano anche di nuove tecnologie per rendere visibile l’invisibile restituendo valore storico al territorio e a produzioni che affondano le loro radici in tempi antichi.
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Stefano Zaggia, Andrea Giordano, Giorgio Pradella MuRi: museo diffuso Regionale dell’Ingegneria. Il bacino del Piave come itinerario turistico culturale
Gli obiettivi che MURI, progetto basato sull’integrazione scientifica multidisciplinare, sono quelli di poter offrire alle comunità comprese all’interno del bacino del Piave, un prototipo di itinerario, o meglio, di rete di itinerari collegati che possano essere fruibili dal pubblico, sulla base delle modalità che l’iniziativa si è posta: sviluppare un turismo consapevole, adatto ad un ampio ventaglio di gruppi di interesse, da quello scientifico a quello culturale, fino a quello didattico con vari livelli di scolarità. L’obiettivo è quello di elaborare un nuovo modo di conoscere ed esplorare il paesaggio in cui le infrastrutture e le opere di ingegneria (canali, torrenti, strade, sentieri e ferrovie ponti, centrali, opifici, dighe, laghi e bacini artificiali, sbarramenti, argini, opere di bonifica e idrovore) saranno la trama e le mete degli itinerari. L’idea è fondata sul concetto che le opere d’ingegneria e le infrastrutture sono custodi dell’evoluzione del pensiero e del lavoro dell’uomo, ma anche traccia della storia. Così esse diventano nel progetto l’occasione per offrire al pubblico una straordinaria chiave di lettura del territorio e delle sue trasformazioni fisiche, sociali ed economiche: una modalità nuova per vedere il paesaggio attraverso la sua storia e per interpretarne le trasformazioni alla luce delle attività antropiche.
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Remy Simonetti Gli archivi dei consorzi di bonifica: gestione e valorizzazione
I consorzi di bonifica sono una realtà che ha marcato profondamente la storia ambientale, sociale ed economica del Veneto negli ultimi due secoli. Gli archivi dei consorzi contengono una grande quantità di documenti riguardanti i progetti e le attività di bonifica, irrigazione e valorizzazione economica del territorio e rappresentano una fonte importante per gli studiosi. Gli studi preparatori, le relazioni tecniche, i progetti e le perizie redatte in occasione degli interventi di bonifica contengono infatti una grande quantità di informazioni che non riguardano soltanto la qualità dei suoli e il loro potenziale produttivo, ma anche la qualità di vita, lo stato di salute, i bisogni e le speranze delle popolazioni che vivevano nelle aree di bonifica. A tutto ciò si aggiunge la cartografia, che permette di seguire da vicino l’evoluzione del territorio su un periodo relativamente lungo. Ai documenti propriamente detti, le res signatae, si affianca il patrimonio architettonico, rappresentato dagli impianti idrovori e dai manufatti annessi, costruzioni che fanno ormai parte del territorio e spesso hanno qualità estetiche tutt’altro che trascurabili. Non meno importanti per la ricostruzione dell’evoluzione tecnologica risultano i macchinari che hanno animato ed animano gli impianti idrovori (motori, turbine ecc.). Il progetto TerrEvolute si propone di superare le difficoltà di accesso a questo materiale, sia documentario che tecnico, attraverso un lavoro di inventariazione e riordino degli archivi storici dei consorzi e successiva messa a disposizione degli studiosi e del pubblico dei dati acquisiti attraverso l’omonimo portale web. L’obiettivo non è solo quello di stimolare la ricerca storica sulla bonifica, ma anche quello di promuovere la coscienza dell’importanza del lavoro di manutenzione ambientale e di incentivare la valorizzazione delle terre di bonifica attraverso la realizzazione di circuiti storico-turistici nell’ambito di un turismo consapevole e sostenibile.
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Elena Fiordaligi, Vito Fiordaligi La botte villoresi - Una straordinaria opera idraulica sottopassante il fiume Secchia
Il volume raccoglie lo studio relativo al nodo idraulico, struttura di bonifica di altissima valenza storica e culturale, realizzata all’inizio del ‘900 presso S. Siro, nel comune di San Benedetto Po (MN), per consentire alle acque provenienti dal comprensorio e raccolte nel collettore principale, di sottopassare il fiume Secchia e proseguire, tramite il canale emissario, sino a Moglia di Sermide dove vengono immesse in Po. Solo all’inizio del novecento, grazie all’istituzione dei Consorzi di Bonifica, la perseveranza di eccezionali uomini e l’ingegno di grandi tecnici, fu possibile questa estesa ed incisiva opera di regimazione idraulica e risanamento ambientale, trasformando ulteriormente i territori dell’Oltrepò mantovano in un paesaggio artificiale. Progetto e realizzazione dell’intero sistema di bonifica furono considerati all’avanguardia per epoca e furono presi d’esempio da altre bonificazioni dello Stato. Nella ricerca si è studiato il progetto di ingegneria idraulica, l’iter burocratico per l’autorizzazione ed il finanziamento dell’opera, ma anche tutte le fasi di cantiere, con le difficoltà ed i problemi che si dovettero affrontare, sia sotto il profilo economico, che tecnico ed organizzativo (la gestione delle maestranze, le tecnologie ed i materiali utilizzati, ecc). La Botte Villoresi, così come canali e gli altri impianti idraulici, preserva intatte le funzioni di salvaguardia dalle acque, mantenendo il sistema di scolo ed irrigazione sempre efficace ed efficiente, e tutt’oggi è strategica e di vitale importanza per questi territori della pianura così altamente produttivi e fertili.
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Sonia Lenzi Il Canale Emiliano Romagnolo nello sguardo di Enrico Pasquali
Visualizzare il contesto storico e sociale nel quale si decide finalmente di realizzare un’opera di cui si sente l’esigenza dal XVII secolo, è fondamentale per capire quali sono le sue funzioni attuali: una infrastruttura indispensabile per assicurare l’apporto idrico a un territorio di oltre 3.000 Km2, caratterizzato dalla presenza di un’agricoltura idroesigente e da diffusi insediamenti civili ed industriali. Il Canale Emiliano Romagnolo o CER ha consentito la trasformazione e lo sviluppo dell’economia di una Regione, l’Emilia-Romagna. Attraverso le immagini di Enrico Pasquali (1923-2004) chiamato a documentarne la costruzione fin dagli anni Cinquanta, si comprende il valore insito già nell’avvio dei cantieri, che si traduce oggi in 330 Mm3 d’acqua distribuiti lo scorso anno, di cui 30 Mm3 al settore civile e 20 Mm3 all’Industria, per un incremento di 400 M€ di PLV. Un grande fotografo neorealista alle prese con un incarico tecnico, che ha saputo arricchire di immagini indimenticabili di uomini al lavoro. Il CER deriva acqua dall’impianto del Palantone sul Po a Salvatonica di Bondeno, nel ferrarese, e la trasporta per 135 Km sino alla Provincia di Rimini, L’area interessata è quella di Ferrara, Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e in minima parte di Modena. Il Consorzio che gestisce il CER dispone di due concessioni di derivazione idrica, dal fiume Po e dal fiume Reno a uso irriguo ed industriale ed è punto di riferimento internazionale sul fronte della ricerca e sperimentazione agronomica e sul risparmio delle risorse idriche.
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Alessandro Massarente L’architettura della bonifica e la costruzione del territorio: reti, palinsesti, paesaggi
Anche nei territori della bonifica quando si leggono le interazioni delle trame territoriali con le architetture e i luoghi che li connotano, è possibile far emergere i legami con le reti che tali paesaggi hanno nel tempo caratterizzato:-reti infrastrutturali che hanno influito nell’articolazione, alle diverse scale, delle modalità insediative con cui il territorio si è trasformato, con cui i centri urbani si sono strutturati nel tempo; -reti ecologiche che sono state sempre più spesso riconosciute lungo corsi d’acqua e corridoi ambientali, a designare arcipelaghi più che isole nel territorio, da preservare e tutelare;-reti energetiche per la produzione, lo stoccaggio, il trasporto e la distribuzione di diverse forme di energia, spesso visibili e alcune volte invisibili, ma sempre fortemente correlate alle morfologie con cui i territori produttivi si sono trasformati nelle diverse fasi e nelle successive transizioni energetiche. Queste reti, che nel loro intreccio formano una “rete di reti”, costituiscono propriamente i territori, permettono di decifrare, secondo Corboz, il “palinsesto”delle loro storie e talora delle loro archeologie, narrate da edifici, manufatti idraulici, piani di bonifica, nonché le possibili diverse strategie di rigenerazione con cui gli stessi territori possono essere condotti verso nuovi scenari, siano questi scenari normativi e/o esplorativi.KeyWord: reti infrastrutturali, reti ecologiche, reti energetiche, scenari normativi, scenari esplorativi.
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Massimo Negri Musei della Bonifica: tre casi, tre prospettive.
Se c’è una tipologia di musei che intrinsecamente sostanzia la sua ragione d’essere con il territorio ed i paesaggio questa è quella dei musei della bonifica o comunque delle cosiddette “reclaimed lands” cioè territori sottratti alle acque , siano esse di palude o di mare. In questa comunicazione esaminiamo tre musei completamente diversi per dimensioni e ispirazione e proprio per questo forse di specifico interesse per chi si trovi a dover elaborare proposte progettuali in questa materia. Il primo è l’Ecomuseo di Argenta (Fe) che si struttura su più sedi di cui la più grande è appunta quella degli impianti di sollevamento del Saiarino, cuore di un complesso sistema di regolamentazione delle acque che interessa territori assai vasti tra Ferrara Bologna. Il secondo è il Museum of the Polders di Lelystad dall’iconico “tubo” di Benthem Crouwel Architects, il terzo il piccolo Polder Museum di Heerhugowaard. Questi ultimi solo due tra i tanto che trattano il tema delle tecniche della storia degli Olandesi contro il mare sovente trattata all’interno di musei regionali o comunque di storia locale.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Percorsi di visita fra poli e territori dell’industria - ore 14:00 Coord: M. Bottini, M. Preite Aula STO3 M. Preite - ERIH
La mission di ERIH network (European Route of Industrial Heritage) e lo sviluppo della rete in Italia F. Antoniol, M. Biancardi, L. Giusto - TRATTOPUNTO
TrattoPunto. Italian Industrial Tourism Network
S. Fasana, M. Zerbinatti - POLITECNICO DI TORINO
Gestione innovativa e valorizzazione del patrimonio diffuso degli impianti delle centrali idroelettriche Iren in ambito alpino e prealpino A.K. Almeida - ARCHITETTO
Città, acqua e industria: elementi chiave per la valorizzazione del paesaggio industriale nel XXI secolo. Il caso di Saõ Luís, Brasile A. Draganić, M. Szilágyi - UNIVERSITY OF NOVI SAD
Integrity versus commodification in industrial heritage promotion. Beer routes through Vojvodina L. Papi - ARCHITETTO
La SMART ROUTE: Percorsi tematici e multimediali lungo il Nera, dalla Cascata delle Marmore ad Orte A. Brignola - INGE
InGE-Cultura e Percorsi Industriali a Genova
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Massimo Preite La mission di ERIH network (European Route of Industrial Heritage) e lo sviluppo della rete in Italia
ERIH è un network transnazionale dei luoghi più prestigiosi del patrimonio industriale; esso comprende una ricca varietà di siti: miniere di carbone e acciaierie, impianti industriali e infrastrutture di trasporto, fabbriche e centrali elettriche. La sua istituzione, avvenuta nel 1999, ha tratto ispirazione dalla celebre Route der Industriekultur della Ruhr in Germania che fina dalle origini ha registrato un enorme successo in termini di attrazione turistica. L’esempio di tale riuscita ha suscitato l’idea di estendere tale modello all’intera Europa con l’intento di: - accrescere l’interesse del pubblico per il patrimonio industriale - aumentare il numero dei visitatori e promuovere il turismo industriale - impiegare la valorizzazione e il riuso del patrimonio industriale per la rigenerazione dell’economia locale e il rafforzamento identitario delle comunità; - creare un marchio europeo di qualità per la valorizzazione turistica dei siti industriali. Dal 2012 la rete ERIH in Italia si è significativamente allargata. Precedentemente a tale data non esisteva alcun Anchor point, adesso se ne contano sette: la Fabbrica Campolmi di Prato (Museo del Tessuto e Biblioteca Lazzerini) nel 2012, il Centro Italiano della Cultura del Carbone (CICC) nel 2012, le Distillerie Poli di Schiavon nel 2015, il Museo dell’Energia Idroelettrica di Cedegolo (Musil), il Museo della Centrale & Immaginario Scientifico di Malnisio nel 2015, il Museo dell’Arte della Lana a Stia (Fondazione Lombard) nel 2015 e il Museo del Patrimonio Industriale di Bologna nel 2016. L’impegno di ERIH nei mesi a venire dovrà concentrarsi su tre assi principali: - consolidare ulteriormente la rete attraverso il reclutamento di nuovi Anchor point e ERIH member; - promuovere la creazione di Regional Route in Italia; questo segmento della rete ERIH è fin adesso del tutto assente nel nostro paese; ma ci sono tutte le condizioni per promuovere Route del patrimonio industriale di enorme rilevanza e originalità in quanto rientra nelle specificità del nostro patrimonio industriale lo stretto legame che esso intrattiene col paesaggio e col territorio, inteso come inesauribile deposito di tracce lasciate da una lunga sequenza di modelli produttivi che si sono succeduti nel tempo.
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Francesco Antoniol, Michela Biancardi, Lidia Giusto TrattoPunto. Italian Industrial Tourism Network
Il contributo intende mostrare quale sia l’intento che sta alla base della fondazione del network; ovvero la volontà e la necessità di creare uno strumento che organizzi tale tipo di movimentazione turistica, quali le sinergie da mettere in campo, quali le prescrizioni a cui attenersi e quali le criticità da affrontare. Il tutto partendo da un caso reale: il tour italiano progettato per INCUNA -associazione asturiana di archeologia industriale, e realizzato nel giugno 2018.
Sara Fasana, Marco Zerbinatti Gestione innovativa e valorizzazione del patrimonio diffuso degli impianti delle centrali idroelettriche Iren in ambito alpino e prealpino La ricerca presentata nel contributo si rivolge ad un particolare tipo di “patrimonio industriale” rappresentato dagli impianti per la produzione di energia Idroelettrica, con speciale riferimento ai manufatti realizzati durante i primi decenni del secolo scorso in ambito alpino e prealpino. Si tratta di un vasto patrimonio diffuso nel territorio; di carattere “estensivo”, se paragonato alla “densità” di altri tipi di Patrimonio industriale; ibrido, se così si vuol dire, poiché ogni impianto si compone di un complesso di edifici di differente natura, dimensione, stato di uso e conservazione, la cui identità di sistema ha subito, caso per caso, una progressiva erosione, con inevitabili, significative ricadute sulle realtà territoriali che le ospitano. In generale, differenti cause tra loro concomitanti rendono sempre più precaria la conservazione unitaria di questi patrimoni da parte delle società che gestiscono la produzione energetica, e che progressivamente ricorrono all’alienazione dei beni dismessi dall’uso. Viceversa, occorre promuovere un’azione concertata e sinergica, in grado di coinvolgere con un programma innovativo di gestione e valorizzazione pluriennale le medesime società gestori e gli enti locali, per convertire questo patrimonio in rinnovata risorsa strategica di promozione territoriale. Con questo ambizioso obiettivo, è in corso di definizione una Convenzione di ricerca tra Iren e Politecnico, che si caratterizza per una forte trasversalità (in termini tematici e in termini di scala di intervento, per esempio) e interdisciplinarità. Tale ricerca si focalizzerà in particolar modo sugli edifici situati in territorio alpino e prealpino, dove sono più evidenti i segni di degrado su manufatti anche di elevato pregio architettonico, e dove, per contro, il programma in questione potrebbe in modo più significativo incidere sulla realtà economica delle unità locali.
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Anna Karla Almeida City, water and industry: key elements for the valorization of the industrial landscape in the XXI Century. The case of São Luís Island, Brazil.
This proposal concerns the presentation of the case study at São Luis, an island at the Northeast of Brazil, Unesco World Heritage Site since 1997 and the biggest conjoint of colonial architecture in Latin America. The Bacanga River took part of the National Park of Bacanga, which conserves a part of the Amazonian forest. The hypothesis is based on the report between the patrimonial city with its waterfront to develop themes bound for the valuation of the industrial heritage and your landscape. This rich natural environment is menaced with deforestation, destruction of property and real estate speculation and some of this industries are menaced by this factors. The plan of valuation of the industrial heritage was taking account the relation between the patrimonial city center and your industrial zone placed in the edge of the Bacanga River, considerate into the research as the “red wire” of a transformation process in urban and territorial regeneration of the contemporary city. With flagship projects, the proposal foresees river routes in the Bacanga river for the visit and integration of the local community in the preservation of this environment through tourism and sustainable development. For the results together with the oral presentation, will be presented a graphics panel with the maps and program proposals. The paper is an extract of a thesis project coordinated by Prof Giovanni Luigi Fontana into the Master Techniques, Patrimoines, Territoires de L’Industrie, of Panthéon-Sorbonne University, University of Padova and University of Evora.
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Anica Draganić, Måria Szilågyi Integrity versus commodification in industrial heritage promotion. Beer routes through Vojvodina
Beer routes through Vojvodinais a project addressed to tourists as well to locals, since Vojvodina is not a traditional tourist destination attractive to foreigners, although it possesses outstanding natural and cultural qualities. The specificity of the region and its most important resource is a particular socio-cultural context, defined by different traditions. The three hundred years long tradition of brewing is one of them. Our research has shown that conservation approach to industrial heritage is a complex process that should be theoretically based and practically verified, on the following premises: criteria for the industrial heritage authenticity valorisation must include both, tangible and intangible, characteristics of the monument; goal of the industrial heritage reuse must be preservation of its specific, socially recognised, values in a way which allows its contemporary use; indicator of success of the industrial heritage conservation and presentation is the level of project sustainability and the degree of community development. We have identified the qualities of five historical breweries in Vojvodina: traditional methods in the production of special types of beer, inheritance of exceptional personalities who were holders of the regional development, heritage of German ethnic community, once a majority today almost non-existent in this area, as well as historical, technological, architectural, and social values of industrial architecture. By establishing criteria, objectives and indicators in the process of valorization of these breweries, a segment of the conservationplanning process was defined, which represents a methodological framework for the standardization and development of the model of preservation and presentation of their specific values in the local as well as regional cultural route.
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Laura Papi La SMART ROUTE: Percorsi tematici e multimediali lungo il Nera, dalla Cascata delle Marmore ad Orte
Il progetto Smart Route è concepito come un sistema di percorsi tematici e multimediali lungo il fiume Nera, atto ad innescare un nuovo modello di relazioni sociali e di rapporto con i luoghi. Prevede la individuazione di: Percorsi tematici, Nodi di scambio, Comunicazione multimediale. La Smart Route è intesa come una messa in rete delle risorse e dei servizi presenti nella zona, per intercettare un’utenza che altrimenti sfiorerebbe le numerose possibilità che il territorio offre, senza saperlo. La multimedialità e la tecnologia verranno utilizzate allo scopo di attirare l’attenzione della gente, per coinvolgere, per accrescere la vitalità dei luoghi, per rendere più smart l’approccio, per divertirsi di più.
Gli Obiettivi: - La promozione e valorizzazione del patrimonio culturale; - La messa a sistema delle risorse esistenti; - La creazione di una rete multimediale ed innovativa.
La Ricerca: Sono state indagate le risorse ed i sistemi lineari e puntuali del territorio, ed inoltre è stata effettuata l’analisi percettiva consistente nell’osservare i luoghi dal vero.
Il Progetto: I Percorsi individuati sono: - Del Verde e dell’Acqua (dello sport e dello svago/relax); - Delle Emergenze Storico-Artistiche (della cultura e dell’architettura); - Del Lavoro e delle Aree Industriali (della testimonianza del lavoro come recupero della memoria storica locale e del patrimonio industriale). I Nodi di scambio sono ambiti dedicati all’accoglienza, agli incontri, agli eventi, intesi come elementi di servizio per il tessuto urbano sociale e culturale, diventeranno luoghi di incontro, luoghi di scambio, luoghi di vita. Percorsi e Nodi saranno occasioni per rigenerare luoghi e valorizzare spazi che la rete lambisce, inducendo nuove abitudini, un nuovo uso degli spazi intesi come luoghi della socialità. La Comunicazione prevede: - Azioni di marketing territoriale atte a favorire la conoscenza delle risorse del territorio alle comunità locali e visibilità a livello nazionale; - Promozione ai fini di una fruizione culturale turistica e sociale, dei beni materiali ed immateriali; - Divulgazione delle varie tematiche attraverso pannelli informativi touch-screen, connessione gratuita wi-fi, indicazioni stradali, sito web, social.
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Alessandra Brignola InGE-Cultura e Percorsi Industriali a Genova
Nata nel Giugno del 2015, inGE è l’Associazione per la Promozione e la Diffusione della Cultura e del Patrimonio Industriale a Genova e in Liguria. Fondata da tre esperti di patrimonio e percorsi industriali con ampie esperienze all’estero nel settore, inGE si pone al servizio del territorio perché possa occupare il posto che gli spetta nel panorama internazionale dell’archeologia e del turismo industriale: settori in espansione in Europa, negli Stati Uniti e in Australia. Settori volti a valorizzare il passato industriale ed intenderlo come possibile risorsa. inGE crede che la valorizzazione del patrimonio ligure e genovese debba includere il suo passato industriale, il quale ha avuto un ruolo fondamentale a livello locale, nazionale ed internazionale. In qualità di soci e/o di sostenitori, sono coinvolti esperti e studiosi, studenti e cittadini, enti pubblici e aziende private a cui si offre l’occasione di scoprire, conoscere e promuovere la storia dell’industria genovese e ligure. L’Associazione si pone come obiettivo quello di attivare sul territorio genovese e ligure iniziative e percorsi volti a valorizzare il patrimonio industriale locale; e a diffondere ed incentivare la cultura dell’industria, dell’architettura industriale e delle produzioni locali. In sede AIPAI porta esempi di due percorsi di turismo industriale cui sta lavorando nel corso di questo biennio 2018-2020.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Esperienze di turismo industriale e valorizzazione dei luoghi - ore 16:00 Coord: R. Maspoli Aula STO3 D. Pittaluga - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA
Un bilancio di quasi 10 anni di attività di restauro e valorizzazione a Cogoleto delle fornaci da calce M. Pinna - INGEGNERE
Rinasce Pozzo Sella
M. Grisoni - POLITECNICO DI MILANO
L’eredità Caproni: architetture per l’industria del cielo e della terra in un piccolo borgo M.C. Mason, S. Minguzzi, A. Zannini - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI UDINE
Archeologia industriale, cultural heritage, turismo culturale. Il caso Amideria Chiozza
G. Parotti, N. Vismara - UNIVERSITÀ DI MILANO BICOCCA
La memoria della fabbrica negata: il caso di Busto Garolfo G. Rosato - INGE
Una guida per l’archeologia industriale del Porto Antico di Genova
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Daniela Pittaluga Un bilancio di quasi 10 anni di attività di restauro e valorizzazione a Cogoleto delle Fornaci da calce
Per il Comune di Cogoleto, sulla riviera ligure tra Genova e Savona, la produzione della calce è stata la principale attività economica per molti secoli. Nel XVIII secolo entro il solo abitato di Cogoleto si contavano 13 gruppi di fornaci (accorpate a due/tre elementi per gruppo) attive. La Fornace Bianchi, poco a monte del centro cittadino è una delle ultime strutture produttive realizzate. Essa risale all’Ottocento ed è stata in funzione sino agli anni Cinquanta del Novecento. Nel 2011 si è concluso un intervento di restauro conservativo (iniziato nel 2008) che ha restituito alla fruizione dei visitatori quest’area, con due forni da calce in elevato, che risalgono a due diverse fasi di costruzione, e buona parte degli ambienti di lavorazione pertinenti ad un terzo forno adiacente, andato perduto poco prima dell’inizio del cantiere di restauro. Nel dicembre dello stesso anno è stata costituita l’associazione di promozione sociale e culturale “Fornace Bianchi Cogoleto” con l’obiettivo di promuovere iniziative culturali per valorizzare le tradizioni locali legate alla fabbricazione della calce con particolare attenzione ai ragazzi in età scolare. In seguito l’associazione ha ottenuto da parte del Comune l’affidamento temporaneo della gestione archeologica dell’area della fornace. Nel 2013 il comune di Cogoleto ha ufficialmente titolato l’area della Fornace Bianchi come “Area di Archeologia Industriale Tiziano Mannoni”. Ad oggi l’Area di Archeologia Industriale Tiziano Mannoni sta diventando sempre più un centro di ricerca e sperimentazione che travalica i ristretti ambiti territoriali con le numerose attività didattiche e divulgative, con le collaborazioni scientifiche tra Università, CNR, Scuola Edile, ISCUM, organizzazioni locali e culturali di vario tipo che ruotano intorno a questa fornace. Questo insieme di iniziative di fatto stanno coinvolgendo anche le altre tre fornaci ancora presenti sul territorio. Nell’articolo che si propone per il convegno si tenterà dunque un primo bilancio di questa attività decennale con le relative ricadute sull’indotto sia culturale, turistico ed economico.
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Michele Pinna Rinasce Pozzo Sella
Progetto, dell’Associazione Pozzo Sella, di riconversione e valorizzazione Museale del “Pozzo Sella”, sito di archeologia industriale, tra i più importanti edifici minerari, presso la miniera di Monteponi ad Iglesias, nel Sulcis-Iglesiente. La Sardegna e questi territori sono stati caratterizzati da millenni di estrazioni minerarie, dal neolitico al periodo medievale, fino al 1848, anno di sviluppo della grande epopea dell’industria mineraria sarda. Un importantissimo Patrimonio storico-culturale dell’umanità, riconosciuto nel 1997 dall’Unesco e valorizzato con la nascita del Parco Geominerario nel 2001.L’edificio è costruito nel 1874, su progetto dell’Ingegnere Adolfo Pellegrini, nasce per l’installazione di tre grandi pompe per l’estrazione delle acque di falda ed è dedicato a “Quintino Sella”, ex parlamentare ed ex direttore della Miniera. Funzione durata 15 anni, sostituita da una galleria di scolo, risulterà comunque un bene di grande utilità per tutte le miniere del bacino metallifero Iglesiente. Nel 1889 la struttura viene riconvertita a officina meccanica e sala forge al piano terra, falegnameria al primo piano, raggiungibile con una bellissima scala a chiocciola in ghisa, nel piano mansardato viene collocato l’orologio principale della miniera, con la sirena, che scandisce i turni di lavoro. Il sito “rinasce” grazie alla collaborazione di ex operatori e volontari che hanno ripristinato alcune sale dell’edificio, tramite il progetto “ alternanza scuola lavoro”, con l’aiuto di studenti, delle scuole superiori, si sono recuperati diversi strumenti come torni, trapani e carri ponte. Pozzo Sella è ormai pronto all’inaugurazione e rientrerà nel circuito, dei siti già fruibili dai turisti, promossi dal Parco e dai Comuni.
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Michela M. Grisoni L’eredità Caproni: architetture per l’industria del cielo e della terra in un piccolo borgo
Nel 1906 c’era chi riteneva Vizzola Ticino il cuore pulsante della cosiddetta ‘Manchester d’Italia’(come si definiva il comparto industriale posto tra Gallarate, Busto Arsizio, Legnano e la Valle d’Olona). La nomea si legava alla nota centrale idroelettrica, apprezzata opera di ingegneria idraulica, inaugurata nel 1901. Oggi Vizzola Ticino si può dire un piccolo borgo della provincia varesina che conserva la voluminosa eredità di un passato recente. Vi hanno infatti attecchito le radici di un’imprenditoria industriale duplice e singolare :prima(1910) il sogno del volo poi (1928) il ritorno alla terra: l’aeronautica e l’agricoltura. Protagonisti Gianni e Federico Caproni, intraprendenti fratelli, tanto visionari quanto avveduti che, giunti in Lombardia dal Trentino, nel 1910 trovano nella brughiera di Gallarate il campo ideale (i terreni aridi della Cascina Malpensa) per il primo decollo di un aereo pionieristico (il CA1) e lo spazio necessario per architettare un provvisorio hangar di legno. Nel 1918 i due fratelli acquistano la vastissima tenuta di Vizzola Ticino che oltre alle desiderabili terre limitrofe al campo volo, include un borgo, cresciuto intorno ad un antico castello, che comprende, tra l’altro, una villa settecentesca e i resti di una chiesa. Sono queste le architetture che ampliano ed adattano ad uso di un’industria ideata per solcare tanto il cielo che la terra. La storia, di una famiglia e di una società, di un’economia e di una cultura, di un borgo e delle sue architetture, è affascinante e, anche in risposta alle sollecitazioni lanciate dal convegno, si presta ad essere narrata e ridiscussa sotto diversi punti di vista, alcuni ancora inediti. Vi è evidentemente un tema di storia dell’architettura che fin dalla costruzione si intreccia a questioni di restauro. Se infatti la costruzione degli edifici necessari all’industria aeronautica è più linearmente e notoriamente riconducibile ad un tema di industrial heritage, la trascrizione dell’architettura dell’antica Vizzola in un moderno borgo di impronta medievaleggiante proverebbe la ricerca di soluzioni tipologiche adatte all’industria ma più consone ai propagandati ritorni alla terra, innescando un complicato e caotico intreccio di suggestioni e contaminazioni che, noti i committenti, richiedono invece ancora qualche precisazioni sui progettisti e sul cantiere. Di questo si intende riferire, necessariamente ma brevemente per poi spostare l’attenzione sulle questioni legate all’attuale gestione di questa ingombrante eredità. Se l’architettura industriale per il volo ha seguito un suo itinerario di riuso e valorizzazione sfociato in ‘Volandia’,Parco e Museo del Volo, l’architettura della cosiddetta ‘Bonifica Caproni’ appare stretta nella morsa di convenienze più spicce ed episodi che, priva di un condiviso programma di tutela nonostante le molte proposte. La proprietà ora è frammentaria; l’utilizzo conseguentemente vario: la vitalità dei modesti locali destinati alla residenza stabile si smorza nella desolazione della lussuosa villa saltuariamente in locazione per eventi; i magazzini per il raccolto, vuoti e cadenti, si specchiano in quello per il grano, già asilo-scuola, riconvertito per primo a grand hotel. Sostare nella piazza di Vizzola Ticino in un giorno qualsiasi significa sperimentare il contrasto di un borgo quasi del tutto disabitato sfiorato dai milioni di viaggiatori annualmente in transito dall’aeroporto intercontinentale di Milano Malpensa ma incredibilmente inafferrabili. Ma significa anche contare gli sparuti avventurieri di itinerari più corti e più lenti ad un indicare, forse, un indirizzo di valorizzazione più accessibile e sostenibile. 221
Michela Cesarina Mason, Simonetta Minguzzi,Andrea Zannini Archeologia industriale, cultural heritage, turismo culturale. Il caso Amideria Chiozza
La fabbrica di amido fondata da Luigi Chiozza nel 1865 in Comune di Ruda (Udine), costituisce uno dei manufatti di archeologia industriale più interessanti della Bassa Friulana. Le sue vicende riassumono la storia di questo lembo d´Italia che in 150 anni ha cambiato cinque volte almeno sovranità; la sua struttura, tuttora intatta, è quella di un opificio della prima rivoluzione industriale che ha continuato a produrre fino al 1986. Questo intervento interdisciplinare si propone di considerare il significato della valorizzazione del complesso Amideria Chiozza nella prospettiva dell’industrial heritage tourism inteso come attività che trova la sua ragion d’essere nel visitare e conoscere testimonianze industriali del passato. L’ obiettivo è quello di analizzare le potenzialità di sviluppo che tale sito culturale può assicurare al territorio non solo in termini di ricadute economiche ma anche in termini di ricadute sociali e civili per la popolazione del luogo e per i turisti. A tale scopo si prenderà in considerazione: ·il recupero dell’ Amideria Chiozza come esempio di recupero della storia della cultura del lavoro industriale, delle storie e della tradizione del lavoro di fabbrica in un contesto agricolo; ·la storia dell’ Associazione Amideria Chiozza come esempio di crescita dal basso della consapevolezza del proprio territorio, della coscienza del patrimonio culturale industriale e del suo significato civile; ·l’industrial heritage tourism come forma di riflessione su gli effetti che lo sviluppo di tale settore può avere nel garantire la valorizzazione del territorio incrementando il turismo e il coinvolgimento delle comunità locali; ·l’opportunità di inserire la valorizzazione dell’ Amideria Chiozza nel contesto delle possibilità offerte dalla vicinanza con i Siti Unesco di Palmanova, Aquileia e Cividale, come forma di completamento di un’esperienza di turismo culturale.
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Giulia Parotti, Novella Vismara La memoria della fabbrica negata: il caso di Busto Garolfo
Busto Garolfo è un piccolo centro dell’area della Grande Milano che conobbe un importante sviluppo industriale tra la fine del XIX secolo e la fine del XX secolo come polo dell’industria tessile. La città non pare voler ricordare questo suo glorioso passato, e le poche tracce di esso che ancora sopravvivono non sono tutelate in alcun modo. Rimane però la memoria di quanti lavorarono nella fabbrica, che consente di precisare alcuni aspetti delle vicende legate alla vita in fabbrica, che può aiutare a costruire un itinerario in tono ai resti per cercare di tutelare la memoria.
Guido Rosato Una guida per l’archeologia industriale del Porto Antico di Genova
L’intervento tratterà della ri-scoperta del mondo del lavoro portuale attraverso le tracce materiali conservate nel Porto Antico di Genova, area che è diventata, con le grandi trasformazioni cominciate con l’Esposizione colombiana del 1992, parte integrante della città dopo essere stata per secoli fulcro delle sue attività marittime. La conoscenza di questo patrimonio di archeologia industriale è attuato attraverso lo strumento di una guida, per ora cartacea e, a breve, digitale, che accompagna il visitatore, di molo in molo, a ritrovare le testimonianze di quella che è stata ed è ancora oggi, la più grande fabbrica della città. Mezzi di sollevamento, tracce della ferrovia, magazzini portuali, bacini di carenaggio, edifici per le compagnie di navigazione, senza dimenticare i manufatti più antichi, sono beni culturali che vanno conservati e valorizzati per preservare quella memoria storica del lavoro, e non solo, che ci permette di guardare al futuro con maggiore consapevolezza critica.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Iniziative, strategie e orientamenti per la tutela, la valorizzazione e il recupero del patrimonio industriale 1 - ore 14:00 Coord: R. Maspoli
Sala Bortolami - Palazzo Jonoch M. Di Sivo - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI G. D’ANNUNZIO CHIETI-PESCARA
La manutenzione nella conservazione del patrimonio industriale J. E. Carranza Luna - BENEMÉRITA UNIVERSIDAD AUTÓNOMA DE PUEBLA
La resiliencia del patrimonio industrial
A. Pane - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
Patrimonio industriale e conservazione: bilanci e prospettive future M. Parini - AVVOCATO, P. Bernardi - CONSERVAZIONE DI BENI CULTURALI
Riuso compatibile degli edifici industriali dismessi
C. Verazzo - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI G. D’ANNUNZIO CHIETI - PESCARA
Industrial Heritage in Abruzzo between relevance and decadence
B. Billeci, M. Dessì - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI
L’architettura della produzione in Sardegna. Atlante
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José Eduardo Carranza La resiliencia del patrimonio industrial
La capacidad resiliente del patrimonio industrial, es algo hasta cierto punto normal, habida cuenta de que se trata de construcciones de un alto nivel constructivo, tanto por los materiales empleados, como por las características físicas que los conforman, la mayoría de estas instalaciones ofrecen una resistencia a la devastación ecológica, a los efectos del calentamiento global y a los eventos telúricos, que nos han afectado en México, a últimas fechas. En su construcción nunca se escatimó dinero, su solidez y estabilidad actual, se debe en gran parte a ello, gruesos muros de mampostería de piedra, con enmarcamientos de tabique les permitieron durar hasta nuestros días. Las techumbres sin embargo sucumbieron al paso de los años. El rescate, rehabilitación y salvaguarda de algunos de los edificios fabriles más antiguos de América Latina, ubicados en la periferia urbana y en el centro de la Ciudad de Puebla, sobrevivieron porque resultaba más cara su destrucción que su conservación. Las catastróficas problemáticas ambientales requerirán más y mejores respuestas, para superar los retos que estas imponen, el patrimonio cultural es sin lugar a dudas el que mejor preparado está, para resistir, absorber y tolerar las alteraciones y perturbaciones que le infringen los factores de estrés, y trastornos ecológicos, sociales y económicos. El uso y la explotación racional y sostenible del patrimonio industrial, es una opción viable en la lucha contra la mercantilización destructiva que impulsa el neoliberalismo. En el presente trabajo se señalan los destinos culturales que se han instalado en estos edificios como una posibilidad de uso del patrimonio industrial que aún se conserva a pesar de las presiones y situaciones límites que el medio social y natural le impone.
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Andrea Pane Patrimonio industriale e conservazione: bilanci e prospettive future
Sono più di quarant’anni che un intenso dibattito culturale –avviato in Gran Bretagna a partire dal secondo dopoguerra –ha progressivamente focalizzato , anche in Italia, l’attenzione verso il patrimonio industriale, conducendolo a pieno titolo nell’alveo della disciplina del restauro e della conservazione (Hudson, 1976; Varagnoli 2006).A partire dalla costituzione della Società Italiana per l’Archeologia Industriale, fondata nel 1977 da Eugenio Battisti, anche la disciplina della conservazione – tradizionalmente legata ad oggetti patrimoniali più aulici e cronologicamente distanti dalla contemporaneità –ha iniziato a confrontarsi con le tematiche della tutela, del restauro e della trasmissione al futuro di un patrimonio più debole e meno riconosciuto dal grande pubblico rispetto a quello tradizionalmente inteso come «monumentale. La progressiva dismissione di numerose architetture industriali, dovuta a radicali innovazioni tecnologiche e alla crisi dell’industria, ha dunque proiettato nel campo del patrimonio beni che fino a pochi decenni prima erano considerati esclusivamente per il loro valore produttivo. Ciò è avvenuto, spesso, senza una adeguata maturazione degli strumenti critici e tecnici della disciplina della conservazione, producendo la pedissequa applicazione di protocolli definiti per altri ambiti del patrimonio. In più, la disciplina della conservazione si è dovuta per la prima volta confrontare, in modo più esteso e spesso drammatico, con la deperibilità dei materiali della contemporaneità, nonché con gli aspetti di rifunzionalizzazione e retrofitting tecnologico, intrecciandosi con le discipline attinenti al campo del recupero edilizio. È tempo ,dunque, di fare qualche bilancio su questo rapporto, non sempre felice, tra patrimonio industriale e conservazione, e soprattutto di aprire prospettive nuove. È quanto ci si propone con questo paper, che alla luce di esempi italiani più e meno recenti, intende evidenziare i principali nodi critici del tema, delineando scenari sostenibili per il prossimo futuro.
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Marco Parini, Paola Bernardi Riuso compatibile degli edifici industriali dismessi
Il contributo verte sull’importanza del riuso degli ex edifici industriali per due ordini di ragioni: l’importanza di non cancellare tracce di memoria storica e la necessità di non consumare nuovo suolo per edificare. Entrambi gli argomenti hanno assunto un’importanza sempre crescente nel dibattito pubblico; la difesa dei propri “simboli”(legati alla storia del lavoro) da parte delle comunità si è mostrata in tutta la sua incisività (attraverso la costituzione di comitati ad esempio), tanto che le potenziali azioni di trasformazione degli ex insediamenti industriali di questo hanno dovuto tenere conto (aprendo dibattiti pubblici e concertazioni coi cittadini). Ma è soprattutto l’argomento “ambientale” a divenire centrale dal punto di vista del governo del territorio e della politica: il riuso delle aree industriali dismesse, al fine di risparmiare nuovo suolo, nelle pratiche e nell’applicazione dei regolamenti (e varianti) sta determinando una nuova funzione amministrativa basata sull’ orientamento (che riconosce il principio che il suolo è una risorsa esauribile e non rinnovabile) delle attività di trasformazione urbanistico-edilizie non più verso le aree libere ma operando sulle aree già edificate e dismesse, riqualificandole. (si v. leggi regionali in materia, e, in corso di esame in commissione Senato, il disegno di legge sul “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato”). Al contempo ciò che preme sottolineare è l‘importanza di estendere numericamente i vincoli storico artistici sui beni industriali, in quanto è troppo alta la discrepanza tra l’esistente, a livello di “resti” archeologico industriali, e ciò che è riconosciuto come bene culturale in archeologia industriale. Il Codice dei Beni Culturali, poggiandosi sull’evoluzione storica della stessa nozione di bene culturale, offre parametri precisi (soprattutto con la modifica introdotta nel 2008) attraverso cui poter legittimamente riconoscere, in questo settore, un bene industriale come bene culturale. Partendo dal presupposto che non tutto può essere vincolato è bene, laddove sussistano detti parametri, innescare comportamenti da parte dei privati e nel pubblico, che portino più velocemente al vincolo (molte sono le regioni impegnate da anni in attività di catalogazione dei propri beni industriali). Vincolo come strumento necessario per offrire tutela del bene e garantirne la conservazione . E, durante le procedure di riuso, è attraverso il vincolo che, ponendosi quale strumento principale di tutela, si possono arginare azioni che porterebbero ad un riuso troppo lontano dai caratteri storici dei beni (art.20 Codice dei Beni Culturali), trasformando quindi l’operazione di riuso da un’azione di valorizzazione del bene ad un’azione invasiva di cancellazione della memoria storica. Importanza della compatibilità della nuova destinazione d’uso (con il carattere storico artistico del bene).
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Clara Verazzo Industrial Heritage in Abbruzzo between relevance and decadence
The need to redevelop and enhance the industrial heritage, neglected or abandoned, comes from the creative involvement that it implies on contemporary designers. Hence the need to preserve what today is considered part of the cultural heritage of a country, and also to reuse and convert buildings or spaces of production, for cultural, social and administrative purposes. Thanks to the availability of space, these artefacts appear suitable for any kind of new use, but their being cultural heritage imposes rigid criteria for their protection, bringing back the issue of conversion as part of the relationship between design and conservation. The contribution focuses on some case studies in Abruzzo that show how it is possible to redesign the territory today, turning the industrial sites into nature reserves, agricultural parks, offices for social services and for local economy. It is hoped to arrive to a new recovery culture, where the knowledge of industrial sites and monuments relates both to the governance and planning of the territory and to their economic management. It seems to be the only security able to transform industrial archaeology in common heritage and to link its luck to contemporary processes for local development that call into play the community, individuals and technicians, with the common aim of reducing the loss of land and recovering the landscape through the reuse of existing buildings.
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Bruno Billeci, Maria Dessì L’architettura della produzione in Sardegna. Atlante
Individuare “il cosa”, “il perché”e “il come” si restaura sono stati aspetti centrali nell’ambito della disciplina del restauro, sin dalle sue origini, ma risultano essere ancora di grande attualità nel periodo storico in cui stiamo vivendo. Se da una parte abbiamo un aumento di richiesta di beni storici da riutilizzare, d’altra parte vi è l’impossibilità reale di gestire l’intero patrimonio storico inutilizzato, per ovvie ragioni economiche. Risulta così indispensabile sviluppare un atto critico che permetta di individuare metodologie differenti a seconda dei tipi di architetture doverose di recupero, operando nella logica del minimo intervento possibile e della massima economicità. Tale tema è estremamente attinente alle architetture funzionali (caserme, strutture difensive, alloggi collettivi, etc.) per i quali una volta cessato l’uso e in assenza di elementi architettonici di particolare pregio, transitano in una situazione di oblio dalla quale risulta impossibile riscattarli. Lo studio presentato riguarda il vasto patrimonio industriale disseminato in Sardegna, un’isola dove vi sono pochi abitanti e un gran numero di beni architettonici inutilizzati, esito della cessazione dell’attività produttiva. Queste imponenti architetture (siti minerari, villaggi abbandonati, concerie, cartiere, ecc.), non facilmente possono rispondere all’approccio canonico “scientifico” della disciplina di restauro, intesa come atto di conservazione materiale, in quanto non sembra essere possibile l’esecuzione di una continua manutenzione necessaria per la conservazione, se non con eccessivi investimenti. Sembra quindi opportuna una strategia alternativa di fruibilità in sicurezza, studiando come interventi minimi possano congelare la situazione attuale, in attesa di tempi migliori in cui, si auspica, le richieste di utilizzo dei beni e le risorse economiche saranno maggiori. Costruito un atlante di tale patrimonio e dello stato di abbandono si individuano gradi di interventi, dal raggiungimento della sola messa in sicurezza (con minimo investimento), fino al totale restauro per accogliere una nuova funzione (con un maggiore investimento, ma che spesso oggi non è attuabile), valutando gli esiti e ogni potenziale sostenibilità.
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Sabato 27 Ottobre / Saturday 27th October PADOVA Iniziative, strategie e orientamenti per la tutela, la valorizzazione e il recupero del patrimonio industriale 2- ore 16:00 Coord: C. Menichelli
Sala Bortolami - Palazzo Jonoch E.M Garda, V.M. Mamuscia, M. Mangosio - POLITECNICO DI TORINO
Dismissione e piattaforme offshore: alla ricerca di una nuova identità R. Leone, S. Bertano, F. Passano - SOPRINTENDENZA ABAP PER LA CITTÀ METROPOLITANA DI GENOVA E LE PROVINCE DI IMPERIA, LA SPEZIA E SAVONA
La Centrale Termoelettrica del Porto di Genova, per la tutela di un elemento identitario della città
V. Tiné, C. Arcolao, R. Leone - SOPRINTENDENZA ABAP DELLA LIGURIA
Ex Silos Granari “Hennebique” nel porto di Genova, un percorso condiviso P. De Rosa - ARCHITETTO
Recupero e innovazione dei sistemi insediativi produttivi. Tecnologia e progetto per i pastifici in Torre Annunziata (NA) F. Ribera, P. Cucco, A. Gallo - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL SALERNO
Rovine industriali, ruderi moderni. Il riuso sostenibile dell’ex stabilimento ‘Marzotto’ a Salerno
V. Ferramosca, N. Foggetti, - INGEGNERI, A. Monte - CNR-IBAM
Un “simbolo” dell’industria del tabacco nel Salento: l’ACAIT di Tricase tra recupero e valorizzazione Y.A. Kwon - EHESS
L’évolution de la reconversion des bâtiments et des sites industriels : approche comparée France – Grande Bretagne (1976 – 2016)
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Emilia Garda, Vincenzo Michele Mamuscia, Marika Mangosio Dismissione e piattaforme offshore: alla ricerca di una nuova identità
Il fenomeno della dismissione delle piattaforme petrolifere offshore ha assunto ai giorni nostri dimensioni ormai ragguardevoli. Se esso nasce come diretta conseguenza del progressivo esaurimento dei giacimenti marini di idrocarburi, tra le cause più recenti vi sono l’obsolescenza delle strutture, ma soprattutto il crollo del prezzo del greggio e l’impiego crescente di fonti di energia rinnovabile, fattori che hanno determinato il declino degli investimenti sull’attività estrattiva.I potenziali rischi ambientali correlati all’abbandono di questo consistente patrimonio di architetture industriali sono rilevanti e hanno suscitato negli ultimi anni un ampio dibattito critico sul suo futuro.La soluzione più indicata appare il recupero di queste strutture, riconvertendole a nuovi usi e ad una nuova vita, dopo un adeguato intervento di bonifica.Lo smantellamento dell’impianto di estrazione si prospetta infatti come una soluzione sempre meno percorribile a causa della complessità e dei costi delle operazioni di rimozione delle parti e di smaltimento sostenibile dei materiali. Le proposte di riconversione sostenibile contemplano sia la parte sommersa della piattaforma, che può diventare un hot spot di biodiversità marina, fruibile dal turismo subacqueo, sia la parte emersa, che può essere impiegata per sfruttare fonti energetiche rinnovabili, o trasformata in ottica ecosostenibile per accogliere stazioni scientifiche di ricerca, residenze temporanee opermanenti, parchi acquatici.A partire da una sintetica illustrazione delle caratteristiche tecniche delle piattaforme offshore, il contributo intende contribuire alla riflessione sui possibili scenari di riuso sostenibile di questo singolare patrimonio industriale, attraverso l’analisi di casi internazionali significativi, ponendo infine particolare attenzione alla realtà italiana.
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Roberto Leone La Centrale Termoelettrica del Porto di Genova, per la tutela di un elemento identitario della città
Il complesso costituito dall’edificio della centrale termoelettrica del Porto di Genova, inaugurato nel 1929, e dai macchinari e impianti che consentivano la produzione di energia rappresenta un elemento identitario della città. La centrale fu infatti realizzata a seguito della costituzione della “Grande Genova” (1926) per consentire il grande sviluppo industriale e urbanistico della città, e ne seguì poi tutte le fasi; il suo valore simbolico è rafforzato dalla localizzazione di fronte alla Lanterna. I macchinari e gli impianti sono di estremo interesse perla storia della tecnica: per lopiù risalenti almeno ai primi anni Cinquanta (ma non mancano elementi dell’originaria dotazione impiantistica della centrale), permettevano la produzione di energia attraverso cicli integrati che sono ancora presenti e leggibili, in ottimo stato di conservazione in quanto funzionanti fino alla recentissima dismissione. L’edificio della centrale, inoltre, rappresenta nel contesto degli anni Venti un’architetturafunzionale e moderna, razionalmente concepita come giustapposizione di volumi ciascuno dedicato ad una attività, con un disegno ‘classico’ dei fronti, modernamente caratterizzati dalla distinzionetra struttura metallica a vista e tamponamenti laterizi. La Soprintendenza, sulla base degli studi effettuati da Aipai ela Scuola Politecnica dell’Ateneo genovese (DICCA, DIME), ha intenzione di avviare il procedimento per dichiarare l’interesse culturale del complesso, invertendo il procedimento di smantellamento già in atto. Unprimo passo verso una auspicabile fruizione pubblica di un pezzo di storia dell’industria genovese posto all’interno dell’area portuale, pertanto chiusa e inaccessibile alla città.
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Carla Arcolao, Roberto Leone, Vincenzo Tiné Ex Silos Granari “Hennebique” nel porto di Genova, un percorso condiviso
ll primo atto della costruzione dei silos granari è datato 12 febbraio 1897, quando gli ingegneri A. Carissimo, G. Crotti, G.B. De Cristoforis presentarono un istanza ai Ministeri dei Lavori Pubblici, delle Finanze e della Marina per la concessione dei 7.500 mq della calata Santa Limbania e i 1.200 mq dello specchio acqueo antistante, allegando il progetto del nuovo edificio e dei relativi impianti. Il silos vennero realizzati molto rapidamente e all’inizio del XX secolo (1901) entrarono in funzione. L’edificio venne concepito come una ‘macchina’ composta da un susseguirsi di moduli di cemento armato progettati per risolvere il problema della spinta delle granaglie che, al termine degli ampliamenti susseguitisi nel tempo, raggiunse le attuali considerevoli dimensioni e fu considerata per buona parte del XX secolo la più complessa costruzione in conglomerato cementizio armato al mondo. La struttura fu dismessa negli anni ‘70 e da allora è inutilizzata e versa in stato di degrado. Le vicende più recenti dell’imponente edificio riguardano il suo riconoscimento come bene culturale ai sensi del Codice BCP nel 2006 e i tentativi, fino ad ora falliti, di recuperarlo a nuova vita con diverso utilizzo. Per superare questa situazione di stallo e giungere finalmente al restauro e al recupero del manufatto, la Soprintendenza ABAP della Liguria si è fatta parte attiva nel promuovere un percorso partecipato con i diversi soggetti pubblici coinvolti nel processo di riqualificazione (Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale, Comune di Genova, Regione Liguria, Università di Genova – Scuola Politecnica). Questa sinergia sta perseguendo con successo l’obiettivo dell’analitica conoscenza dell’edificio e del suo stato di conservazione, nonché delle potenzialità di recupero e trasformazione, attraverso la redazione congiunta della “scheda tecnica” prevista del nuovo Regolamento attuativo del Codice dei Contratti Pubblici. Sarà così possibile individuare preliminarmente gli scenari di possibile evoluzione tecnica e funzionale di questo monumento iconico della grande stagione industriale e marittima di Genova.
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Patrizio De Rosa Recupero e innovazione dei sistemi insediativi produttivi. Tecnologia e progetto per i pastifici in Torre Annunziata (NA)
Oggetto dell’abstract sono i paesaggi urbani produttivi, piccoli insediamenti fortemente connotati, nel passato, sul piano delle attività manifatturiere in cui è avvenuto un processo di dismissione delle attività nello scenario del III millennio. Il recupero può costituire la strategia per avviare un nuovo sviluppo in tali sistemi insediativi, di cui si compone in massima parte il territorio Italiano, promuovendo l’interazione tra valori sedimentati e nuova produzione attraverso l’innovazione tecnologica. La tesi sostenuta è che la manifattura possa offrire nuove opportunità per i piccoli insediamenti legando vocazioni locali e produttività, secondo il paradigma dell’industria 4.0. Affiancando all’approccio sistemico esigenziale-prestazionale della cultura tecnologica, il concetto di compatibilità al riuso, la ricerca sperimenta un processo per il recupero dei paesaggi della pasta, caratterizzati da trasformazioni di tipo costruttivo e da dismissioni produttive. Caso studio è il sistema insediativo produttivo di Torre Annunziata (NA), il cui aspetto connotante è una produttività capace di valorizzare al contempo qualità del prodotto e qualità del sito. Focalizzando su un sistema flessibile, in funzione anche delle trasformazioni che ha già subito, confrontando caratteristiche e prestazioni degli edifici, esigenze attuali dell’utenza, requisiti e fattori abilitanti per il progetto di recupero, la ricerca individua il potenziale abilitante della cultura materiale e le attitudini del paesaggio produttivo a soddisfare i requisiti di contenibilità, adattabilità, flessibilità, correlazione degli spazi. Lo scenario verso cui tende la sperimentazione è la fabbrica diffusa, radicata nel territorio, che si integra con il costruito esistente, puntando ad abbattere i confini tra sé e l’ambiente circostante.
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Pasquale Cucco, Anna Gallo, Federica Ribera Rovine industriali, ruderi moderni. Il riuso sostenibile dell’ex stabilimento ‘Marzotto’ a Salerno
Rem Koolhaas nel suo volume Junk space descrive gli edifici e i paesaggi dismessi come il residuo della modernità che utilizza il territorio a proprio piacimento e lo getta via, generando numerose reliquie architettoniche. Nasce, così, l’idea di rudere moderno o rovina contemporanea che, a differenza di quella classica, non rimanda a riflessioni esistenziali sulla caducità della vita umana, bensì solleva moti di indignazione e rassegnazione alternati a tentativi di demolizione o riuso. Lo stabilimento tessile Marzotto-Sud di Salerno rappresenta uno dei tanti resti che la modernità ha disseminato sul territorio italiano ma, allo stesso tempo, è una delle esperienze più significative del settore manifatturiero in Campania. Realizzato nel gennaio del 1958 sul tratto orientale del lungomare di Salerno,con un impianto tipico delle manifatture dell’epoca, ha avuto grande peso nello sviluppo economico del territorio fino al 1983 quando chiude definitivamente i battenti consegnando l’opera al degrado e all’abbandono. Il presente contributo, a partire da una profonda conoscenza storico-tecnologica dello stabilimento, intende dimostrare come le potenzialità e i valori architettonici insiti nelle costruzioni industriali siano ancora validi e capaci di suscitare nuove idee, ricerche ed emozioni.In quest’ottica si inserisce la proposta di riuso sostenibile della fabbrica come luogo di produzione della lana rigenerata, finalizzata a restituire alla città un luogo emblematico rilanciando, attraverso la cosiddetta “economia circolare”, la tradizione della produzione tessile salernitana.
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Vito Ferramosca, Nives Foggetti, Antonio Monte Un “simbolo” dell’industria del tabacco nel Salento: l’ACAIT di Tricase tra recupero e valorizzazione
I primi tentativi di sperimentazione dei tabacchi levantini, per concessione speciale, ebbero inizio in Terra d’Otranto tra la fine dell’Ottocento e i primi lustri del Novecento e furono legati essenzialmente Consorzio Agrario del Capo di Leuca (dal 1938 ACAIT-Azienda Cooperativa Agricola Industriale del Capo di Leuca). L’ACAIT fu il primo Consorzio agrario cooperativo di Terra d’Otranto sorto a Tricase (in provincia di Lecce) nel dicembre del 1902. Il Consorzio cominciò ad essere operativo solo nel 1904 quando tre grandi Ditte attive nel campo della tabacchicoltura (F.lli Allatini, Hartog e Holtmann) commissionarono la coltivazione e l’acquisto di 2000 quintali di tabacchi levantini per la produzione di sigarette. Il magazzino fu voluto e fatto costruire dalla nota Casa dei F.lli Allatini di Salonicco; la Cooperativa dopo una lunga, gloriosa e travagliata storia venne messa in liquidazione nel novembre del 1995. Dopo circa due decenni di abbandono, nel 2003, il comune di Tricase acquisisce nel proprio patrimonio comunale la storica fabbrica, considerata un “monumento” del patrimonio industriale del Mezzogiorno d’Italia, non fosse altro per la peculiare testimonianza -economica, sociale e umana- che ha lasciato sul territorio. Pertanto, l’amministrazione comunale ha messo “in cantiere” una serie di progetti di recupero, tra cui uno con fondi europei sulla rigenerazione urbana, e restauro per la conservazione e valorizzazione del “simbolo” dell’industria del tabacco. L’intervento illustrerà le diverse attività e fasi di analisi e studio fatte (e in corso) sulla fabbrica, comprese sia quella della nuova destinazione d’uso che quella per il reperimento dei fondi che vengono dalle misure attivate con fondi europei.
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Kwon YoonAh L’évolution de la reconversion des bâtiments et des sites industriels: approche comparée France –Grande Bretagne (1976 –2016)
Cette thèse s’inscrit dans un vaste mouvement d’études du patrimoine industriel à l’échelle internationale qui vise à comprendre les interactions entre ce patrimoine et ses acteurs politiques, académiques, industriels ou issus de la société civile. Le choix d’une approche comparée entre la France et la Grande-Bretagne est justifié par les thématiques et les enjeux traités sur les recherches dynamiques autour de la conservation et la transformation de l’héritage industriel. Pour ce faire, on se basera sur une méthodologie explicite :l’exploration de données numériques des deux revues spécifiques: l’Archéologie industrielle en France(revue française) et l’Industrial Archaeology Review(revue anglaise), l’observation précise de l’évolution de la reconversion du patrimoine industriel et la relève fondamentale de l’ampleur de ce patrimoine, en déterminant la chronologie, les acteurs, les formes et les modalités de la mise en œuvre architecturale et urbanistique.
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