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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI ECONOMIA Corso di studi in Sviluppo Economico e Cooperazione internazionale Materia di studio: Economia politica Docente: Prof. Nicolò Bellanca Appunti delle lezioni AVVERTENZA: questi appunti risalgono all’anno accademico 2002-03.

INDICE DELLE LEZIONI Parte

Descrizione

1. Presentazione

Modalità del corso e dell'esame; Programma delle lezioni; Problemi didattici

2-3. Introduzione

Sistemi economici alternativi

4. Introduzione

Definizione formale e sostantiva dell'economia

5. Introduzione

Economie di scala e specializzazione

6. Introduzione

Marginalismo, keynesismo e loro variegate eredità

7. Introduzione

Il metodo dell'indagine

8-9. Come funzionano i mercati

Il meccanismo di mercato: la domanda

10. Come funzionano i mercati

Il meccanismo di mercato: l'offerta

11. Come funzionano i mercati

L'equilibrio del mercato

12. Come funzionano i mercati

Il caso del mercato degli appartamenti Efficienza paretiana

13. Come funzionano i mercati

Analisi di politica economica

14-15. Scelta

Dietro la curva di domanda: la teoria delle scelte del consumatore

16. Mercati e benessere

Il surplus del consumatore e del produttore

17. Mercati e benessere

Un'applicazione pratica: il costo dell'imposizione fiscale

18. Mercati e benessere

Il commercio internazionale

19-20. Comportamento delle imprese e organizzazione

Dietro la curva di offerta: l'impresa in concorrenza per-

dei settori industriali

fetta 21. Comportamento delle imprese e organizzazione dei

Il monopolio

settori industriali 22-23. Comportamento delle imprese e organizzazione

L'oligopolio e la concorrenza monopolistica

dei settori industriali

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24. Economia dei mercati di lavoro

I mercati dei fattori

25. Economia dei mercati di lavoro

Le fonti dei differenziali retributivi

26. Economia dei mercati di lavoro

Modelli di discriminazione

27. Economia dei mercati di lavoro

La distribuzione del reddito e della povertà

28. Come funzionano i mercati

Efficienza dei mercati competitivi

29-30. Bilancio problematico della microeco-

Razionalità ottimizzante

nomia

Efficienza dei mercati competitivi Legge dei rendimenti marginali decrescenti

31-32. Economia delle istituzioni

Giochi di strategia

33-34. Economia delle istituzioni

Istituzioni, organizzazioni, agenti Un modello della genesi delle istituzioni

35. Economia delle istituzioni

Incertezza e teoria dell'agenzia

36. Economia delle istituzioni

Aspettative

37. Economia delle istituzioni

Informazione e incentivi

38. Economia delle istituzioni

Equilibri e divisione delle conoscenze nella società

39. Economia delle istituzioni

Esternalità, costi di transazione, contratti

40. Economia delle istituzioni

La formazione delle imprese

41. Economia delle istituzioni

La scelta tra diversi tipi di organizzazioni

42. Economia delle istituzioni

La struttura interna delle organizzazioni

43. Economia delle istituzioni

Fallimenti del mercato e del governo

44. Economia delle istituzioni

La logica dell'azione collettiva e del potere

45. Economia delle istituzioni

Dalla fiducia al capitale sociale

46. Economia delle istituzioni

Competizione posizionale e organizzazioni nonprofit

47. Economia delle istituzioni

Limiti e struttura della grande impresa

48. Economia delle istituzioni

Specializzazione flessibile e integrazione flessibile

49. Economia delle istituzioni

L'economia digitale e immateriale

50-51. I dati macroeconomici

Conti economici nazionali e indicatori macroeconomici

52. Reddito e prezzi

Moneta: aspetti istituzionali e teorici

53. Reddito e prezzi

La macroeconomia prekeynesiana

54-55. Reddito e prezzi

La Teoria generale di Keynes

56. Reddito e prezzi

Confronto tra la macroeconomia classica e quella keynesiana

57. Reddito e prezzi

I modelli reddito-spesa e perdite- immissioni

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58. Reddito e prezzi

Il modello IS-LM

59. Reddito e prezzi

Introduzione alla politica economica

60. Reddito e prezzi

Il modello di domanda e offerta aggregate

61. Reddito e prezzi

Monetarismo e nuova macroeconomia classica

62. Reddito e prezzi

Il rapporto tra inflazione e disoccupazione

63. Reddito e prezzi

Le fluttuazioni economiche

64. Reddito e prezzi

Riassunto: keynesiani e non keynesiani

65-66. La macroeconomia di un sistema a-

Introduzione all'economia aperta

perto 67. Approfondimenti

Consumo

68. Approfondimenti

Debito pubblico

69. Approfondimenti

Ancora su inflazione e disoccupazione

70. Approfondimenti

Finanza e speculazione

71-72. L'economia reale nel lungo periodo

Modelli neoclassici di crescita

73. L'economia reale nel lungo periodo

Un modello keynesiano di crescita

74. L'economia reale nel lungo periodo

Sui limiti dello sviluppo

75. In conclusione

Ulteriori letture e siti di consultazione

Modulo di Microeconomia (3 crediti): lezioni 6-29 e 49. Modulo di Economia delle istituzioni (3 crediti): lezioni 2-5, 7, 25-27, 31-49. Modulo di Macroeconomia (3 crediti): lezioni 6-7, 25-27, 50-74 (senza 65-66).

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1. Presentazione Modalità del corso e dell'esame Programma delle lezioni Problemi didattici Indirizzo e- mail: nicolo'.bellanca@cce.unifi.it. Telefono ufficio: 055-2710.418 Testo adottato: qualunque Manuale introduttivo Micro-Macro va ugualmente bene, purché consult ato in una edizione recente. Tra i migliori segnalo, in ordine alfabetico: A. Balestrino - E. Chiappero Martinetti, Manuale di economia politica, Edizioni Simone, Milano. R.G.Lipsey - K.A.Chrystal, Principi di economia, Zanichelli, Bologna. N.G. Mankiw, Principi di economia, Zanichelli, Bologna. P.A. Samuelson - W.D. Nordhaus, Economia XVII edizione, McGraw-Hill, Milano. J.E. Stiglitz, Economia, Bollati Boringhieri, Torino. Al libro lo studente può affiancare gli appunti delle lezioni, disponibili gratuitamente alla voce "materiali didattici" del sito della Facoltà di Economia dell'Università di Firenze. Poiché non ho seguito da vicino alcun libro, e poiché chiederò (ai frequentanti) in sede di esame soltanto ciò che ho spiegato a lezione, gli appunti dovrebbero costituire un utile riferimento. Avverto peraltro che non sempre ogni pagina degli appunti sarà svolta in aula (è probabile, in particolare, che manchi il tempo di spiegare le appendici ad alcune lezioni). Lo studente dovrà studiare soltanto ciò che è stato esposto in aula. Suddividerò le circa 70 ore di spiegazione in tre Moduli: uno di microeconomia; uno di macroeconomia; uno di economia delle istituzioni e delle organizzazioni. Il superamento con esame di ciascuno dei tre Moduli assegna allo studente 3 crediti (che però non possono essere concessi autonomamente). I tre Moduli sono così composti: Modulo di Microeconomia (3 crediti): lezioni 6-29 e 49. Modulo di Economia delle istituzioni (3 crediti): lezioni 2-5, 7, 25-27, 31-49. Modulo di Macroeconomia (3 crediti): lezioni 6-7, 25-27, 50-74 (senza 65-66). La parte prevalente dei temi del secondo Modulo non sono trattati nei testi sopra indicati. Debbono essere ascoltati a lezione, anche giovandosi degli "appunti stenografici" costituiti dai lucidi a disposizione. Lo studente che non può o non vuole seguire le lezioni integrerà lo studio di un Manuale con la lettura di uno tra i seguenti testi: 1. D.C. North, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell'economia, Il Mulino, Bologna. 2. H.A. Simon, Scienza economica e comportamento umano, Edizioni di Comunità, Milano. 3. A. Mutti, Capitale sociale e sviluppo, Il Mulino, Bologna. 4. P.Steiner, Economia, mercati, società, Il Mulino, Bologna. Per "lettura" si intende una comprensione attenta dell'argomentazione del libro, così da poter dialogare attivamente in sede di interrogazione orale su di esso. Per i frequentanti, l'esame sarà composto da tre esercitazioni scritte in aula (ognuna riguardante un modulo) più un colloquio facoltativo. Il voto massimo che darò sugli elaborati scritti sarà di 28/30. Coloro che nelle tre prove scritte avranno ottenuto un voto medio di almeno 26/30, potranno sostenere una prova addizionale allo scopo di superare i 28/30. Questa esercitazione facoltativa sarà svolta in forma scritta o orale e consisterà nello scegliere un tema da approfondire per proprio conto. Tale tema può essere o studiato su uno dei saggi che proporrò durante le lezioni (anche se qua lche "dettaglio tecnico" potrà sfuggirvi, l'argomentazione dovrebbe apparirvi chiara), o essere elaborato sulla base di commenti di economisti a fatti di attualità (tratti dai siti www.la voce.info ; www.economist.com; nonché da siti di quotidiani), o infine discutendo un capitolo (scelto tra i capitoli da 1 a 6) del libro:

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Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, Oscar Mondadori, Milano, euro 8,26. L'esercitazione non deve limitarsi a riassumere le letture fatte, bensì deve tentare di trarne fuori un "filo rosso" di ragionamento, sul quale svolgere qualche commento personale. L'obiettivo della "e ccellenza" (il "30 e lode") richiede infatti, a mio parere, una capacità di rielaborazione e di critica, che vada oltre la mera intelligente comprensione della materia. Concludiamo questa presentazione con un breve ragionamento intorno al metodo didattico. Didattica e abitudine all'astrazione Everything should be made as simple as possible, but not simpler Albert Einstein Good questions outrank easy answers Proverbio americano

Prima domanda: è possibile insegnare "divertendo"? Riferiamoci a due fra i tanti significati del termine "gioco". 1. Gioco come attività piacevole stimolata da curiosità spontanee. Con l'età adulta, le curiosità restano ma diventano selettive. In questo senso, appare poco plausibile che ogni tema del contenuto specialistico di una materia susciti "curiosità spontanee" in noi. 2. Gioco come attività piacevole fine a sé stessa. Si pensi all'enigmistica: alcune pe rsone provano piacere intellettuale nel solo risolvere rompicapi. In questo senso, alcune parti del corso potranno apparire a quelle persone come un gioco: esercizi logici sottili, che conferiscono soddisfazione in quanto tali. Ma si tratterà comunque di talune parti. La risposta è dunque che, nel complesso, non tutto l'insegnamento sarà divertente. Seconda domanda: è possibile insegnare "interessando"? Al riguardo si può dare, ritengo, una risposta affermativa, alla condizione che lo studente abbia abitudine all'astrazione. L'astrazione è una facoltà intellettuale che, se esercitata, consente di: a) Ricondurre l'esame di casi specifici a schemi di spiegazione via via più generali. Esempio: l'andamento dell'economia filippina negli ultimi 5 anni, mi appare interessante come applicazione della teoria del commercio internazionale. b) Ricondurre l'indagine di casi particolari a indagini di totalità. Esempio: l'analisi del funzionamento dei mercati mi appare interessante in quanto i mercati sono ai miei occhi una parte (un aspetto particolare) dell'assetto sociale in cui vivo. L'abilità di passare dallo specifico al generale, o viceversa, e di passare dal particolare all'universale (o alla totalità), o viceversa, costituiscono ciò che otteniamo usando il nostro potere di astrazione. Lo studente che accede all'Università spesso non è stato abituato all'astrazione.

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Ora, lo studio della storia e delle scienze sociali mette a fuoco tematiche e questioni che stimolano soltanto colui che sia provvisto di un esercizio all'astrazione . Un certo avvenimento appare muto in sé, mentre risulta istruttivo se considerato come l'esemplare di una specie di eventi che giudichiamo rilevante, oppure come la parte di un siste ma che ci riguarda. Se lo studente post-adolescente non ha ancora acquisito l'uso del potere di astrazione, sarà arduo coinvolgerlo in una qualsivoglia ricognizione storica o di discipline sociali. Fin qui prevale una sorta di pessimismo della ragione. Esso non implica, tuttavia, che ogni tipo d'insegnamento sia equivalente. Lezioni dedicate all'Economia delle istituzioni e delle organizzazioni, possono "catturare l'attenzione" di più studenti, rispetto a lezi oni di Microeconomia tradizionale; e una lezione consacrata, poniamo, alla teoria dell'istruzione vi riesce in misura ancora maggiore. Ciò sia in quanto il livello di astrazione è, nei casi menzionati, meno rarefatto ed elevato, ma soprattutto in quanto quei casi discorrono in prevalenza di contesti specificamente attuali. Se quel che precede è ragionevolmente corretto, ne discende che non giova abbassare il livello dell'insegnamento, come alcuni interpreti della recente riforma universitaria sembrano suggerire. Anzi, poiché lo scopo didattico cruciale risiede - come modalità di apprendimento di determinati contenuti - appunto nell'addestrare il giovane all'uso dei concetti astratti, ogni "volgarizzazione" che riduca il grado di astrazione dei concetti rema nella direzione sbagliata.

AVVERTENZE. I materiali didattici contenuti nelle lezioni seguenti sono un cocktail la cui ricetta è all'incirca: 15% elaborazioni mie; 55% tratto da vari manuali di economia; 30% tratto da materiali didattici gentilmente trasmessimi da altri docenti (ringra zio in particolare il prof. S.Perri, nonché i proff. V.Gioia, P.L.Sacco e P.Tani. Segnalo che parte della lezione 28 è tratta da Gioia - Perri, Corso di Istituzioni di economia (parte I), Manni editore, Lecce, 2002, così come l'Appendice alla lezione 46; parte della lezione 46 è tratta invece da appunti di Sacco). Ho cercato di miscelare gli ingredienti dando loro una certa coerenza e un'impronta personale. Ogni inesattezza è mia. Questi materiali hanno un'esclusiva circolazione privata e sono gratuitamente destinati agli studenti del Corso di laurea SECI dell'Università di Firenze . Qualsiasi riproduzione che sia rivolta ad altri utenti e che avvenga a pagamento non è da me autorizzata e avviene sotto la responsabilità di chi la effettua.

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APPENDICE Funzioni Una funzione è una regola che descrive una relazione tra numeri, tale da associare a ciascun numero X un unico numero Y. Una funzione può così essere descritta designando la regola di calcolo, ad esempio "si prenda un numero e lo si elevi al quadrato", Y = X2 , oppure "si prenda un numero e lo si moltiplichi per 3", Y = 3X, e così via. Talvolta vogliamo indicare che qualche variabile Y dipende da qualche altra variabile X, senza precisare la specifica relazione algebrica tra le due variabili. Scriviamo allora Y = f(X), che significa che la variabile Y dipende da X secondo la regola f. Data una funzione Y = f(X), il numero X è chiamato variabile indipendente e Y variabile dipendente: ciò segnala che il valore di Y dipende da quello di X. Qualche variabile Y può dipendere da diverse variabili X1, X2, ecc. In questo caso scriviamo Y = f(X1, X2), per indicare che entrambe le variabili determinano il valore di Y. Funzioni inverse Si è ricordato che una funzione è una relazione che associa a ciascun valore di X un unico valore di Y. Se la funzione è monotòna (costantemente crescente o decrescente), allora vi sarà un unico valore di X associato a ciascun valore di Y. Essa è detta funzione inversa. Se è noto il valore di Y in funzione di X, è possibile calcolare la funzione inversa risolvendo per X in funzione di Y. Funzioni lineari Una funzione lineare è del tipo: Y = aX + b, dove a e b sono costanti. Esempi sono: Y = 2X + 3; Y = X - 99. (A rigore, una funzione del tipo Y = aX + b è chiamata "affine", mentre sono lineari quelle del tipo Y = aX). Le funzioni lineari possono anche essere espresse in forma implicita come aX + bY = c. In tal caso, possono essere convertite nella forma usuale risolvendo per Y in funzione di X: c a Y = ---- - ---- X b b

La lettura dei grafici Un grafico di una funzione ne rappresenta l'andamento. Normalmente gli economisti, al contrario dei matematici, pongono la variabile indipendente sull'asse verticale, e quella dipendente sull'asse orizzontale. Nelle due figure mostriamo una relazione tra due variabili, X e Y. Sull'asse verticale misuriamo X e sull'asse orizzontale Y. La curva Y = f(X) illustra una relazione a linea retta o lineare tale che ad ogni valore di X corrisponde un particolare valore di Y che può essere letto sul diagramma. Una retta è descritta da due caratteristiche: l'intercetta e la pendenza. L' intercetta è il punto di partenza della retta sull'asse verticale, cioè dove essa incrocia (interseca) l'asse verticale. La pendenza misura invece l'inclinazione della retta, ossia di quanto aumenta Y per ogni incremento unitario di X. Una pendenza forte suggerisce che all'aumentare di X, Y cresce molto. Una retta piatta indica al contrario che Y cresce poco all'aumentare di X. Y

Y Y=f(X)

Y=f(X) X

X

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Incontreremo spesso due casi particolari. Uno è il caso estremo di una retta verticale avente pendenza infinita. L'altro estremo è rappresentato da una retta piatta parallela all'asse orizzontale e avente inclinazione nulla o pari a zero. (Infatti, non essendoci alcun incremento della variabile misurata sull'asse verticale, non è rilevante l'entità della variazione di quella misurata sull'asse orizzontale). Nella figura sopra a sinistra la relazio ne tra X e Y è diretta o positiva: valori più alti di una variabile comportano valori più alti dell'altra variabile. Nella figura a destra la relazione è inversa o negativa: valori più alti di una variabile comportano valori più bassi dell'altra variabile. Y

Massimo

Y=f(X)

X

Il grafico sopra mostra una relazione non lineare tra X e Y. Inizialmente, al crescere di X partendo da zero, Y aumenta. Mentre X continua a crescere, Y prima raggiunge un massimo e poi inizia a decrescere. L'inclinazione di una funzione non lineare varia al variare di X: nella parte ascendente la pendenza è positiva, nella parte discendente è negativa, mentre nel punto di massimo essa è zero. Una retta tangente ad una funzione in un punto X è una funzione lineare che abbia la stessa inclinazione della funzione in quel punto. Si dice che una retta è tangente nel punto in cui tocca una curva senza intersecarla. Ancora sulle equazioni lineari Torniamo alle equazioni lineari: Y = aX + b. Il numero b indica l'intercetta verticale, mentre a rappresenta la pendenza della retta. Come si spostano le linee e le curve Finora abbiamo considerato relazioni in cui una variabile Y dipende da qualche altra variabile X. Quando però Y è influenzata da X e da una terza variabile, le variazioni della terza provocano in genere uno spostamento della retta (o della curva) rappresentante la relazione tra X e Y. Variazioni e saggi di variazione La notazione ? X significa "variazione di X". Se X varia da X* a X**, la sua variazione è: ? X = X** - X*

Possiamo anche scrivere: X** = X* + ?X

per indicare che X** è pari alla somma di X* e della variazione di X. Tipicamente ?X rappresenta una piccola variazione di X o, in altri termini, una variazione marginale. Il saggio di variazione è il rapporto tra due variazioni. Se Y dipende da X secondo la funzione Y = f(X), il saggio di variazione di X rispetto a Y è rappresentato come: ?Y f(X + ?X) - f(X) ---- = ------------------?X ?X

Nel caso di funzioni lineari, il saggio di variazione di Y rispetto a X è costante. Dal punto di vista della sua rappresentazione grafica, il saggio di variazione di una funzione corrisponde all'inclinazione di quella funzione. 8


2-3.

Intro- Sistemi economici alternativi

duzione

Esaminiamo un evento sociale. "è accaduto", dunque non poDue almeno sono

teva non accadere

i modi di concepirlo

"è accaduto", ma poteva accadere altrimenti?

Esempi. 40.000 anni fa gli aborigeni australiani possedevano armi, utensili e imbarcazioni molto più avanzati degli europei. Cosa avrebbe previsto un osservatore esterno? Perché la Cina (prima nazione tecnologica del mondo) a un certo punto smantellò la flotta, bandì gli orologi e usò per scopi ludici la polvere da sparo? Perché alla frontiera tra USA e Messico il sistema socio-economico cambia completamente? Cosa sarebbe stato della civilizzazione occidentale se i persiani avessero vinto la battaglia di Maratona?

«Tutti gli storici e gli scienziati sociali, per spiegare ciò che è stato, si chiedono ciò che sarebbe potuto essere» (Raymond Aron). Gli stessi due approcci li troviamo in economia: 1)

Come risorse scarse vengono destinate (allocate) ai diversi usi mediante il mercato.

Siamo qui davanti all'analisi di un assetto sociale che "esiste" e non può non esistere. 2)

Spieghiamo come gli individui, perseguendo i propri fini (tradizionali, di comando o di guadagno mercantile), formino un certo assetto sociale.

Qui la domanda diventa: un tale assetto dev'essere così, o potrebbe essere altrimenti? Quella genesi è l'unica percorribile o gli "stessi" ingredienti possono combinarsi in altri modi e con altri risultati? Durante questo corso concederemo più spazio del solito al secondo approccio. Cominciamo quindi presentando alcuni sistemi economici alternativi.

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La vita materiale

Gran parte dei bisogni e i desideri sono soddisfatti dai beni e dai servizi

La produzione dei beni costituisce la nostra vita materiale

La vita materiale può non essere l’aspetto più nobile della nostra vita, ma certamente è tra gli aspetti più necessari

La natura sociale della vita materiale

Molto spesso i testi di economia cominciavano con qualche esempio sulla vita di Robinson Crusoe

Ma l’economia è una scienza essenzialmente sociale

La vita materiale di qualsiasi società conosciuta presuppone cooperazione e specializzazione

• Grazie alla cooperazione e alla specializzazione si eleva la produttività

Produttività • Rapporto tra il risultato ottenuto e il fattore o i fattori produttivi che sono stati impiegati Quantità prodotta Fattori adoperati

e si forma un surplus sociale – Il surplus sociale è tutto ciò che è prodotto in avanzo rispetto alla produzione necessaria a sostenere la vita materiale secondo il livello di vita standard

• Le società differiscono anche per il modo in cui è controllato e usato il surplus sociale –

Le piramidi dell’antico Egitto, gli edifici e gli eserciti dell’impero romano

Le cattedrali dell’Europa medioevale

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Nella storia umana vi sono tre forme basilari di organizzazione della vita materiale

1) La tradizione 2) Il comando 3) Il mercato La tradizione

• Per la maggior parte della storia la tradizione è stata la forma principale dell’organizzazione sociale –

Si diventava fabbricanti di pentole perché così facevano i genitori

Si gettavano le reti per pescare il primo giorno di luna piena perché si era sempre fatto in questo modo Le tradizioni funzionavano, perché altrimenti la società non avrebbe potuto sopravvivere

Il comando Le piramidi o gli eserciti non potevano essere il prodotto della tradizione Venivano prodotti perché qualcuno comandava la loro produzione Richiedevano pianificazione e amministrazione Il mercato Esempio: il programmatore di computer

– Probabilmente i genitori non erano programmatori – Il governo non ha ordinato a quella persona di fare il programmatore Il programmatore risponde alle forze di mercato: dati i gusti e le abilità, i compensi stimolano a diventare programmatori Esemplificazioni storiche di sistemi economici basati su tradizione, comando e mercato sono rispettivamente: –

Il feudalesimo nell’Europa occidentale del medio evo

La società pianificata dell’Unione Sovietica

Il capitalismo dell’Europa occidentale, degli Stati Uniti e del Giappone 1. Nel feudalesimo abbiamo tre classi principali: nobiltà, clero e servi della gleba. Questi ultimi lavorano parte del tempo per i nobili e pagano in natura le decime al clero: essi dunque non erogano né ricevono denaro. Ogni feudo è un'unità produttiva autosufficiente, e include gli artigiani che, in cambio di parte del prodotto, lavorano per i nobili. Gli scambi con denaro avvengono in occasioni delle fiere e riguardano quasi soltanto beni di lusso. 11


2. Nelle economie pianificate o di comando si ha una centralizzazione delle decisioni su cosa produrre, su come produrre e sulla distribuzione del reddito. 3. Il sistema capitalista o economia di mercato si forma intorno a tre classi sociali: capitalisti, lavoratori e proprietari terrieri. I capitalisti sono proprietari dei mezzi di produzione, pagano un salario ai lavoratori e si appropriano del prodotto finale che vendono sul mercato. I proprietari terrieri affittano le loro terre a imprenditori agricoli, ottenendo in cambio una rend ita. La separazione tra lavoro e proprietà dei mezzi di produzione è la caratteristica dominante. Il mercato ha un ruolo centrale, poiché nessuno produce direttamente ciò di cui ha bisogno: ognuno ottiene il reddito in denaro, che spende per acquistare ciò che desidera. Interazione

• In diversi gradi i tre principi sono presenti contemporaneamente • Il capitalismo è basato sul mercato, ma restano anche il comando e la tradizione –

Ad esempio molti agricoltori seguono la tradizione familiare

Il governo comanda, attraverso le tasse, le risorse per provvedere alla difesa, alla giustizia, all’istruzione e alla produzione di molte infrastrutture

• Ogni società è una combinazione di tecnologia e istituzioni sociali –

La tecnologia e le istituzioni devono essere compatibili

La tecnologia cambia, ma le istituzioni possono scoraggiare i cambiamenti (così avveniva per le corporazioni medioevali)

Nuove tecnologie possono richiedere nuove istituzioni

La classe borghese sostituisce i signori feudali, i vescovi e i principi e nuove istituzioni più appropriate alla nuova tecnologie si consolidano

Il capitalismo è una peculiare combinazione di tecnologia e istituzioni, che nasce e si diffonde con un processo storico preciso - Sostituisce il feudalesimo nell’Europa occidentale tra il 1400 e il 1800 - Con la rivoluzione industriale (Gran Bretagna nella metà del 1700) diviene la "combinazione" dominante - Si espande con la conquista (India), la colonizzazione (America Latina), la volontà di modernizzazione della classe dominante (Giappone) Le caratteristiche del capitalismo 1) Il capitale è molto differente dalle altre forme di ricchezza 12


Il castello del signore feudale è una forma di ricchezza, ma non produce nulla

Un impianto di fabbricazione di microchip è sia una forma di ricchezza che di capitale. Produce beni che hanno un valore superiore alle spese di produzione

Questo valore in più è la forma del surplus sociale nel capitalismo ed è chiamato profitto

2) Tutte le società hanno prodotto beni e servizi, ma non sempre merci

• Le merci sono beni e servizi prodotti per essere venduti (non consumati da chi li produce) • Il mercato diviene una forma di organizzazione prevalente quando la maggior parte dei beni e servizi diventa merce I mercati sono stati per lungo tempo alla periferia della vita materiale: ?? Il contadino autosufficiente portava alla fiera solo le uova o qualche maiale in eccedenza ?? Non c’era mercato per la terra e per il lavoro Gradualmente il contadino e il maiale si trasformano: -

Il maiale diventa una merce allevata per essere venduta

-

La terra e il lavoro sono dirette dalle forze di mercato

-

La terra può essere venduta

-

Il lavoro diventa qualcosa che può essere venduto e comprato per un prezzo

3) Si forma dunque, oltre al mercato dei beni finali e dei beni strumentali, un mercato dei fattori di produzione: I beni e servizi richiedono per essere prodotti:

– Il lavoro (che è un'abilità umana) – La terra (la capacità della terra di crescere il grano è un "requisito naturale") – Il tempo (che è una condizione di funzionamento sia della tecnologia che delle istituzioni) • Nel capitalismo la terra, il lavoro e il tempo sono trattati come merci: –

L’uso della terra è diretto dalle forze di mercato

Il tempo diviene moneta

I salari stimolano la gente a entrare nei diversi impieghi

Riepiloghiamo. I tre passi verso il capitalismo: a] I beni sono divenuti merci b] I prezzi di mercato dirigono la produzione, spostano il lavoro da un impiego all’altro e decidono l’uso della terra c] Il mercante che comprava i beni a buon mercato e li rivendeva ad un prezzo più alto è sostituito

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dal capitalista che organizza i fattori di produzione e produce beni che va lgono più dei loro costi. Lo scambio Merci contro Danaro

• Molti di noi non agiscono come capitalisti • Prendiamo un artigiano idraulico –

Vende la Merce “servizi idraulici”

Acquista con i propri guadagni (Denaro) i beni (Merci) che consuma

In notazione simbolica

M? D? M

La M acquistata è diversa, ma ha lo stesso valore della M venduta

Il Capitalista e i Profitti

• Il capitalista agisce diversamente –

Parte con il denaro, acquista mezzi di produzione (merci), organizza la produzione di altre merci e le vende contro denaro

In simboli: D? M? D‘

Il capitalista si aspetta che D‘>D

I beni prodotti debbono valere più dei fattori che li hanno prodotti

È il surplus sociale che prende il no me di PROFITTO

Finora abbiamo classificato i sistemi economici in base ad un criterio principale: qual è il meccanismo prevalente con cui si coordinano le decisioni economiche? Rivisitiamo questo criterio, classificando in due Tabelle il ruolo del mercato nella storia e nel capitalismo.

THE SOCIAL STRUCTURE OF HISTORICAL MARKETS COMPETITION

INTO

EXCHANGE

The prehistorical market (such as Competition is low and does not ex- Barter and bargaining; ruthless behavmarketplaces at the boundaries of tend beyond the marketplace into so- ior directed towards all exchange parsmall communities)

ciety; few actors in the market

ties, who are from a different community; few and inefficient ways to back up exchanges (extremely high enforcement costs)

The early market for long distance Competition

between

professional There exist several different ways of

(such as the "silk road" around the traders and merchants; trade often in a organizing exchange in cross cultural

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time of Christ)

limited number of luxury items and trade; huge and unpredictable encompetition does not reach deeply into forcement costs, but also extremely the productive organization of society

high profits resulting from the exchange

The market in the Middle Ages Competition is local and firmly regu- Bargaining is typical and the exchange (such as city markets)

lated in the city; competitive behavior is based on not yet standardized goods only reaches into some few areas of (high measurement costs); bargaining society; otherwise economic tradition- is common; peace of the marketplace alism rules

is specially guaranteed, but still high enforcement costs

The modern capitalist market (such Formally free competition, which is as, e.g., capital markets)

Various rational mechanisms exist to

national and international; competitive facilitate the exchange (low search behavior extends deeply into society costs); bargaining only at the margin; ("competition in the market" as well as full machinery of the modern state to "competition in production")

back up the exchange (low enforcement costs)

THE SOCIAL STRUCTURE OF MODERN CAPITALIST MARKETS COMPETITION The labor market

INTO

EXCHANGE

Typically many sellers (individuals) Decentralized exchange (high search versus few and powerful buyers (or- costs); little scope for bargaining due ganizations); competition is regulated to unions, employers' organizations by employers' organizations, by un- and norms of fairness; measurement ions and by legislation; lack of mobil- problems caused by trasmission of ity among sellers often makes comp e- rights related to agency as opposed to tition local

The capital market

property

A limited number of buyers and sell- Often centralized exchange in the ers, most of which are organizations; form of organized clearing mechaprivate as well as public regulation; nisms (low search costs); machinery political interventions; competition is exists to back up exchange but only on national and international in scope

the national level; full property rights are transferred

The consumer market

Typically few sellers (organizations) Fixed prices and no bargaining; decenand many buyers (individuals), who tralized but fixed places of exchanges are unorganized; some public regula- (shops, malls, etc.) means low search tion but otherwise free competition

costs; full property rights are transferred

The industrial market

Typically few buyers and sellers, all of Exchange often takes the form of ne-

15


which are organizations; often net- gotiations and is totally decentralized; works of buyers and sellers in this full property rights are transferred but type of market

seller's obligations may remain; often high search costs

Introduciamo adesso un secondo criterio per distinguere i sistemi economici: quali soggetti detengono la proprietà delle risorse? Questo doppio criterio è detto la combinazione coordinamento-proprietà. Uno schema possibile è questo (ogni casella riporta un solo esempio tra tanti):

Proprietà delle risorse Privata

Collettiva

Tradizione

Mezzadria toscana

Imperi asiatici antichi

Meccanismo

Comando centralizzato

Jugoslavia

Unione Sovietica

di coordinamento

Mercato

Stati Uniti

Germania nazista

Infine, aggiungiamo come criteri a quelli precedenti: 3) la presenza dello Stato nell'economia; 4) il controllo prevalente delle maggiori imprese. Paese

Proprietà privata dei Presenza dello Stato Welfare State mezzi di produzione nell'economia

Controllo prevalente delle maggiori i mprese

USA

***

*

Azionariato diffuso

Regno Unito Giappone

*** ***

** **

Germania

**

***

Francia

**

***

Italia

**

***

Svezia

**

***

Brasile

**

***

Prevalentemente pubblico Famiglie + Stato

India

*

****

Famiglie + Stato

Prevalentemente privato Privato-Pubblico Pubblico-Privato Prevalentemente pubblico Prevalentemente pubblico Stato + famiglie

Paesi Stati Uniti

Tipo di capitalismo "Anglosassone"

Regno Unito

"Anglosassone"

Germania

"Renano" (in trasformazione 16

Azionariato diffuso Banche-industriemanager Banche-industriemanager Tecnocrati (dei noccioli duri) Familiare + pubblico Familiare + Mult inazionali Familiare + pubblico + Multinazionali Pubblico + familiare

Caratteristiche principali Scalabilità delle imprese e grande ruolo dei mercati finanziari Scalabilità delle imprese e grande ruolo dei mercati finanziari Intreccio banche-industrie; notevo-


Giappone Francia

Italia Svezia

Brasile India

le ruolo degli stake holders Intreccio banche-industrie; "Keiretsu" controllati dai top manager Tecnocratico Intreccio Stato-capitale privato nei "noccioli duri" dominati dai tecnocrati delle "grandes ecoles" Familiare Alcune famiglie controllano le maggiori società, molte altre le PMI Neocorporatista fino agli anni '80 Patto sociale fra imprese e sindacati regolato dallo Stato; poi ruolo crescente delle Multinazionali estere e svedesi nei grandi gruppi privati Familiare e dipendente dalle Mul- Le maggiori società sono a tinazionali controllo familiare o filiali delle Multinazionali Statale e familiare Peso rilevante, ma calante, dello Stato, crescente di famiglie e Multinazionali Manageriale

Paesi 1950-99 1950-73 Giappone 4,9 8,0 Italia 3,4 5,0 Germania* 3,3 5,0 Francia 2,8 4,0 India 2,4 1,6 Brasile 2,4 3,8 Svezia 2,2 3,1 USA 2,1 2,4 Regno Unito 2,1 2,5 * Germania Ovest fino al 1990 e poi Germania unificata

1973-92 3,0 2,5 2,1 1,7 2,4 0,9 1,2 1,4 1,5

1992-99 0,4 1,1 0,9 1,5 4,7 1,7 1,8 2,6 2,4

Nell'intero periodo 1950-99 è in testa il Giappone, mentre sono in fondo i Paesi del capitalismo anglosassone. Se prendiamo i soli anni '90, invece, gli USA sono al secondo posto. Dal 1992 gli stringenti obiettivi previsti dai parametri di Maastricht hanno condotto in Europa a una politica deflazionistica cumulativa; inoltre la crisi dei Paesi ex-comunisti ha colpito più la UE che gli USA. Inoltre gli USA hanno beneficiato: a) della maggiore flessibilità del mercato del lavoro; b) della liberalizzazione del movimento dei capitali (che ne ha attratti molti anche dall'Europa).

Chiudiamo questa lezione tornando sul fondamentale concetto di produttività, che misura la velocità del processo produttivo. Accrescendo la produttività, non "creiamo" un sovrappiù fisico di beni, a parità di energia e sforzo; otteniamo soltanto un sovrappiù di tempo col quale o produrre nuovi beni o riposarci-svagarci. Se, ad esempio, percorriamo 360 km a 120 all'ora, anziché a 90 all'ora, impiegheremo 3 ore invece di 4: potremo dedicare l'ora risparmiata o ad altre attività o al tempo libero.

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La produttività totale dei fattori Z, misura il rapporto tra output O e tutti gli input; se come input consideriamo solo il lavoro L, abbiamo: Quantità prodotta O Produttività del lavoro = -------------------------- = Z = -----Numero ore lavorate L

Uno stabilimento produce un certo modello di autovettura. L'output è di 60.000 vetture all'anno; 15.000 sono i lavoratori e ciascuno lavora 40 ore settimanali per 50 settimane all'anno. Dunque: 60.000 automobili 60.000 Z = -------------------------------------------- = ------------ = 0,002 auto per ora 15.000 lavoratori x 2.000 ore annue 30.000.000

Una misurazione più intuitiva è il reciproco della produttività del lavoro, ossia il numero medio di ore di lavoro occorrenti per fare un'autovettura: totale ore lavorate 1 30.000.000 ore lavorate per autovettura = ------------------------ = --------------- = ---------------- = 500 numero automobili produttività 60.000

Si può così effettuare un confronto di efficienza tra due impianti simili che producono lo stesso bene. Si possono altresì confrontare i tassi di crescita della produttività di beni diversi: e questo è importante per l'analisi di sistemi economici alternativi. Ad esempio, possiamo calcolare che nell'industria automobilistica Z è cresciuta del 3%, mentre in quella dolciaria del 5%. Infatti abbiamo, se ne ll'anno successivo il numero di auto sale a 63.000: 63.000 - 60.000 Ot+1 - Ot ? Ot ------------------- = +5% = ---------------- = -------- = o 60.000 Ot Ot

Quindi O indica i livelli, mentre o indica le corrispondenti variazioni percentuali. Supponiamo che il numero totale di ore lavorate cresca da 30.000.000 a 30.600.000, con un incremento percentuale del: 30.600.000 - 30.000.000 Lt+1 - Lt ? Lt ----------------------------- = +2% = -------------- = ---------- = l 30.000.000 Lt Lt

Supponia mo che l'aumento di ore lavorate derivi unicamente da un allungamento dell'orario. Il nuovo livello di Z è: 63.000 automobili

63.000

Z = ------------------------------------------- = ------------ = 0,0020588 auto per ora 15.000 lavoratori x 2.040 ore annue

30.600.000

18


In corrispondenza abbiamo: totale ore lavorate 30.600.000 ore lavorate per autovettura = ----------------------- = ---------------..= 485,714 numero automobili 63.000

Il tasso di variazione della produttività z è: 0,0020588 - 0,002 Zt+1 - Zt ? Zt ---------------------- = +2,94% ˜ +3% = ------------- = ------- = z 0,002 Zt Zt

Allo stesso risultato possiamo pervenire in maniera più semplice: z ˜ o - l = + 3% ˜ (+5%) - (+2%)

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4. Presentazione Definizione formale e sostantiva dell'economia

Le due definizioni storicamente più rappresentative sono: ?? L'economia è l'insieme di attività che hanno a che fare con la scelta individuale di impiego di risorse scarse, che potrebbero avere usi alternativi, al fine di ottenere il massimo dai propri mezzi; ?? L'economia è l'insieme delle attività stabilmente intraprese dai membri di una società per produrre, distribuire e scambiare beni e servizi. La prima è nota come "definizione formale" dell'economia; i fenomeni economici sono per essa quelli che "economizzano", ovvero che applicano il criterio del minimo mezzo, dato l'obiettivo, o del massimo risultato, dati i mezzi. La scienza economica studia dunque i rapporti tra mezzi e fini, ed è indifferente agli uni o agli altri in quanto tali. La seconda è la "definizione sostantiva" e permette di esaminare come il comportamento economico possa assumere forme diverse in società diverse. Ad esempio, nelle società primitive le attività economiche non sono autonome ma si svolgono entro strutture familiari e parentali. Nei grandi imperi dell'antichità è lo Stato che regola le attività economiche. E così via. I mercati staccati dalle norme tradizionali e dagli ordinamenti politici sono un evento occidentale moderno. Consideriamo meglio la definizione sostantiva. In ogni economia si svolgono processi o attività che mirano a trasformare le risorse in prodotti finiti da consumare o scambiare. Se in un'economia si producono quantità di beni uguali alle risorse impiegate, il sistema si riproduce tale e quale, cioè non cresce. Immaginiamo un sistema economico che sopravvive con due soli beni: il grano (destinato all'alimentazione) e il ferro (destinato a strumenti di lavoro). Ciascun ramo di attività produce per sé e per l'altro. Immaginiamo che il grano necessario al sostentamento della popolazione è:

t 600

Per i lavoratori della terra e le loro famiglie

t 400

Per i lavoratori del ferro e le loro famiglie

20


Immaginiamo che il ferro da usare nei processi produttivi dei due settori è:

t 200

Per il lavoro agricolo

t 300

Per produrre strumenti

Se la produzione globale è 1000 t di grano e 500 t di ferro, il sistema è in un regime di "riproduzione semplice":

DESTI NAZIONE PRODUZIONE

Grano

Ferro

Grano

1000

600

400

Ferro

500

200

300

Se un'economia produce in eccesso rispetto alle risorse impiegate, essa genera un surplus. Il surplus o plusprodotto è l’insieme di beni che rimane del prodotto sociale annuo, detraendo ciò che occorre a reintegrare le scorte iniziali di mezzi strumentali e i beni di sussistenza per i lavoratori impegnati nei processi produttivi.

Si definisce accumulazione la destinazione di una parte del surplus ad accrescere la capacità produttiva dell'economia, cioè il suo impiego per costituire beni capaci di produrre altri beni: essi sono detti beni capitale. Se l'agricoltura produce, a parità di input, 1200 t di grano, e il settore del ferro, a parità di input, 750 t di ferro, si realizza un surplus di 200 t di grano e di 250 t di ferro. Se il surplus viene interamente consumato, non si attuano investimenti nuovi, non si generano incrementi di reddito e di occupazione: l'economia non cresce.

L'identificazione e la misurazione del surplus dipendono da circostanze storiche e istituzionali. Questo insieme di beni s’individua quando il prodotto sociale supera i costi, includendo fra questi le anticipazioni ai lavoratori produttivi.

Ma non esiste una maniera univoca con cui fissare i costi; limitandoci al reddito reale del lavoro, esso potrebbe: assicurare la mera sussistenza familiare, garantire un livello e una qualità di consumi ispirati a consuetudini di volta in volta differenti, riflettere altezza e composizione del consumo cor-

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rente, retribuire “equamente” gli sforzi produttivi, remunerare il contributo specifico di ciascuna dose di lavoro all’impresa economica, consentire uno stile di cons umo e di vita programmati, e così via.

Inoltre numerose e differenti sono le destinazioni economiche del surplus: esso potrebbe essere risparmiato e investito, risparmiato e tesaurizzato, speso per scopi bellici o politici o ideologici, trasferito a coloro che forniscono servizi non produttivi, utilizzato privatamente o collettivamente, mantenuto dentro la comunità o scambiato con altri soggetti, consumato per lusso personale o per prestigio, e così via.

Sia il modo di calcolo del “necessario”, sia la forma d’impiego dell’ “eccedente”, codeterminano la grandezza del surplus. Consideriamo alcuni esempi. Immaginiamo una collettività in cui nessun bene avanza oltre il consumo necessario, ma che dispone di un pluslavoro (nel senso che parte dell’anno i suoi membri attivi possono dedicarsi a cerimonie, svaghi o riposi): in questo caso è strettamente la destinazione delle risorse eccedenti a far svanire il surplus. Immaginiamo che un pianificatore si proponga di ottimizzare sia l’impiego delle risorse, sia (nella sua scala di valori) il paniere di consumo dei lavoratori: in questo caso il suo intervento politico cambierebbe la quantità del surplus. Immaginiamo di inserire nella matrice tecnica non soltanto i mezzi di produzione effettivamente attivati, ma tutti i mezzi esistenti; in una società (come la nostra) in cui assistiamo ad una sistematica sottoutilizzazione del capitale anticipato, questa semplice alterazione del criterio contabile rend erebbe assai maggiore l’entità del surplus. Immaginiamo che, data la tecnologia e le risorse, un proprietario fondiario indirizzi una quota del raccolto per nutrire i contadini che dissoderanno nuove terre, anziché per mantenere un nuovo castello: l’uso diverso dal passato di beni comunque prodotti, favorisce la crescita economica (cioè l’aumento della capacità produttiva sociale) e l’aumento del surplus nei successivi periodi. Come osserva Harry Pearson, «l’uomo che vive nella società non produce surplus finché non abbia designato come tale una parte di ciò che ha prodotto, e anche in tal caso gli effetti [e la grandezza] di tale surplus dipendono dalla forma in cui esso viene istituzionalizzato».

Riassumiamo: ?? Il surplus è il concetto-cardine della definizione sostantiva dell'economia. 22


?? Ma il surplus esiste o meno, ha una grandezza o un’altra, a seconda dei criteri con cui selezioniamo la parte “necessaria” e quella “eccedente” del prodotto totale: la sua stessa individuazione e misurazione dipendono da circostanze socio-istituzionali. ?? Se ne conclude che la definizione sostantiva è "storicamente situata" e quindi particolarme nte adatta allo studio di economie premoderne e/o non occidentali. Passiamo adesso alla "definizione formale". Come il concetto-cardine dell'altra è quello di surplus, qui è quello di scarsità. ?? Una risorsa si denomina scarsa se non è disponibile in quantità illimitate a prezzo zero. ?? Il problema economico è come conciliare il conflitto fra i desideri virtualmente illimitati delle persone e la capacità limitata della società di produrre beni e servizi che soddisfino quei desideri. Esaminiamo la frontiera delle possibilità di produzione (FPP) di un'economia immaginaria, in cui vi siano due beni: alimentari e divertimenti. Vi sono inoltre quattro lavoratori.

Possibilità di produzione in un'economia immaginaria Occupazione nel- Produzione di ali- Occupazione nel- Produzione di diverl'industria alimenta- mentari l'industria dei diver- timenti re timenti 4 25 0 0 3 22 1 9 2 17 2 17 1 10 3 24 0 0 4 30 La tabella mostra quanto può prodursi ogni mese di ciascun bene, a seconda del numero dei lavoratori impegnati in ogni settore. Le cifre indicano che l'incremento di prodotto ottenuto aggiungendo un lavoratore, diminuisce al crescere del numero dei lavoratori aggiunti. Il motivo è che vi è una quantità fissa di terra, acqua e altre risorse. Il primo lavoratore dispone di tutte le risorse che gli servono. Col secondo lavoratore, deve dividere le risorse date. È questa la legge dei rendimenti decrescenti: per produrre ogni ulteriore unità del bene X è necessario sacrificare quantità sempre maggiori del prodotto Y. La FPP mostra le combinazioni massime di produzione che l'economia può ottenere utilizzando tutte le risorse disponibili. Essa rappresenta un trade-off (una soluzione di compromesso): una maggior quantità di un bene ne comporta una minore dell'altro.

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Produzione di alimentari 25

A

20

B

15

C

10

D

5 E 0

5

10

15

20

25

30

La FPP che unisce i punti A ed E mostra le combinazioni di livelli di produzione che la società può ottenere efficientemente, cioè massimizzando la produzione di un bene, dato il livello di produzione dell'altro. Punti all'interno della FPP rappresentano una produzione inefficiente. Punti all'esterno della FPP sono irraggiungibili: la società non ha abbastanza risorse per produrre quella combinazione di beni. Nella figura 1.1, sull'asse orizzontale è misurata la quantità prodotta di beni per impieghi militari, mentre sull'asse verticale vi è quella per impieghi civili. Combinazioni come a, b e c sono ottenibili, mentre d non lo è. Se ci spostiamo da a (di coordinate c° e m°) a b (di coordinate c1 e m1), significa che produciamo più cannoni (? M), al costo-opportunità di una riduzione di "burro" (? C). Il punto c rappresenta un uso inefficiente delle risorse. Nella figura 1.2, si vede l'effetto della crescita economica sulla FPP: essa sposta verso l'alto la frontiera, facendo in modo che vengano prodotte quantità superiori di tutti i beni. Prima della crescita della capacità produttiva, i punti a e b stavano sulla frontiera, mentre il punto d non era accessibile. Dopo la crescita, tutti i punti della regione più scura, incluso d, sono diventati raggiungibili. Riassumiamo: ?? La definizione sostantiva dell'economia si basa sull'ottica della riproducibilità: si considerano centrali i beni la cui offerta è aumentabile nel tempo. ?? La definizione formale si basa sull'ottica della scarsità e considera cruciali i beni a offerta fissa, che causano i rendimenti decrescenti.

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Figure 1.1 A Production-Possibility Boundary

Quantity of private sector goods

Unattainable combinations

a

c0

•d

Production possibility boundary

?C Attainable combinations c1

b c

0

?G

g0

g1

Quantity of public sector goods

Consideriamo il famoso paradosso dell'acqua e dei diamanti: come può il prezzo dei diamanti, che sono assolutamente superflui, essere così alto, mentre quello dell'acqua è così basso? ?? La risposta osserva che il bene più utile può anche essere il più abbondante, mentre è la scarsità rispetto alla domanda dei potenziali acquirenti a determinare il prezzo. ?? Scrive Galiani (1750): "Schifissima cosa è il topo; ma nell'assedio di Casilino uno ne fu venduto duecento fiorini per lo gran caro; e non fu caro, poiché colui che il vendé morío di fame, e l'altro scampò". ?? Più esattamente, la scarsità di un bene interagisce con la domanda del mercato di quel bene. Così, una grande quantità di acqua ha un prezzo basso in quanto chi la consuma può usarla anche per gli impieghi meno importanti (ad esempio, per lavare le automobili). Se ho già 100 litri di acqua, coi quali bevo, mi lavo e cucino, se un ulteriore litro di acqua fosse messo in vendita a un prezzo superiore a quello corrispondente all'utilità che avrebbe per me (per lavare l'auto), non lo acquisterei. Dato che ogni litro è uguale all'altro, ciascuno deve ve ndersi allo stesso prezzo dell'ultima unità meno utile. Anche i seguaci dell'approccio della riproducibilità riconoscono che, quando la qua ntità disponibile dei beni (acqua, diamanti) è data, la scarsità è cruciale. Tuttavia sottolineano che l'economia moderna si distingue proprio in quanto - attraverso la cooperazione e la specializzazione - riesce in tanti casi a superare la scarsità attraverso la produzione di unità aggiuntive dei beni, per cui i prezzi sono in definitiva ricondotti alle difficoltà relativa di produzione.

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Figure 1.2 The Effect of Economic Growth on the Production-Possibility Boundary

Quantity of private sector goods

a

d

Production possibility boundary before growth Production possibility boundary after growth

b

0 Quantity of public sector goods

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5. Introduzione

Economie di scala e specializzazione

In questa lezione presenteremo meglio il punto di vista della riproduc ibilità dell'economia, espresso nella sua definizione sostanziale. Secondo Adam Smith, fondatore della scienza economica ed esponente di questo punto di vista, occorre spiegare «la natura e le cause della ricchezza delle nazioni». La sua spiegazione è incentrata sul circolo virtuoso che lega le economie di scala (o aumento più che proporzionale delle quantità prodotte rispetto agli input utilizzati) all'allargamento dei mercati. Vediamo.

Le economie di scala si hanno se, incrementando dello x% la quantità di tutti i fattori impiegati, la quantità prodotta aumenta in misura maggiore dello x%. Più rigorosamente, si hanno se, data la tecnologia e i prezzi degli input, i costi medi si riducono all'aumento della dimensione degli impianti. Esempio. Se i fattori raddoppiano, allora il prodotto aumenta più del doppio. In questa definizione, "scala" significa dimensione dell'impresa, misurata dal suo livello di produzione.

[1] Una prima ragione delle economie di scala è l' indivisibilità del processo produttivo. L'impresa deve avere quantità minime di alcuni fattori per poter operare, ma non deve aumentare di molto questi input al crescere della quant ità prodotta. Ossia: al crescere della scala di operazione, il risparmio di costo è dovuto alla possibilità di "suddividere" qualcuno degli inputs tra il più grande numero di unità di output che si sta producendo. Vediamo questa caratteristica da varie angolazioni: ??Ogni bene strumentale ha una dimensione minima, cosicché una produzione al di sotto della sua capacità comporta maggiori costi unitari. Esempio: un telefono e una scrivania per vari volumi di affari. ??Un'altra forma d'indivisibilità si ha quando una risorsa, una volta acquisita, si presta a essere ut ilizzata senza limitazioni di quantità: progetti, marchi, brevetti. ??Una terza forma d'indivisibilità consiste nelle economie dei grandi impianti. Il costo di fabbric ati e impianti non cresce in genere in proporzione alla loro ampiezza:

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1.

Per costruire un aeroplano gigantesco che trasporti il doppio di passeggeri non devo raddoppiare numero di motori e di ali. I passeggeri aggiuntivi potranno "dividere" coi vecchi i quattro motori e le due ali (anche se probabilmente devo aumentare il numero di cavalli vapore e l'apertura alare). Oppure: una casa editrice sostiene costi elevati per pubblicare un libro (costi di redazione, composizione, impaginazione, ecc.). Se si stampano 100 libri invece di 50, i costi non raddoppiano.

2.

Il funzionamento di un impianto più grande è meno costoso per unità prodotta (meno perdite per scarti, i costi energetici o organizzativi non crescono in proporzione alla sua capacità). Ad esempio, una cartiera produce 3 tipi di carta per cui occorrono 3 assetti della linea di produzione. Se l'impresa è piccola e dispone di un'unica linea produttiva, occorrono due riassetti per la produzione giornaliera dei 3 tipi di carta. Ma se essa triplica la dimensione, dispone di una linea di produzione per ciascun tipo di carta, eliminando i costi di riassetto.

[2] L'altra grande ragione delle economie di scala è la specializzazione delle attività economiche o divisione "verticale" del lavoro. All'interno di ciascuna unità produttiva, i lavoratori svo lgono compiti diversi: addetto alla catena di montaggio, addetto alla manutenzione, impiegato amministrativo, ingegnere progettista, manager, ecc.

Esaminiamo meglio la specializzazione. Cominciamo con la divisione "orizzontale" del lavoro: quella di un sistema economico in vari settori o rami o industrie che scambiano tra loro. Scambiare ha senso, in genere, se quello che ti offro è diverso da ciò che mi offri. Entrambi dobbiamo cioè specializzarci. Chi produce carne di manzo, deve scambiarne parte con indumenti, autovetture, servizi medici, ecc. E viceversa. Ma quali sono i vantaggi della specializzazione o della divisione del lavoro? La principale risposta deriva dal principio del vantaggio comparato. A.

Ipotizziamo che:

1.

In un'ora l'avvocato possa piantare 20 fiori

2.

In un'ora il giardiniere possa piantare 10 fiori. (L'avvocato ha dunque un vantaggio assoluto nel giardinaggio)

3.

Svolgendo la sua attività professionale, l'avvocato guadagni 100 dollari l'ora

4.

Svolgendo il suo lavoro, il giardiniere guadagni 10 dollari l'ora. 28


B.

Domanda: che può fare l'avvocato per avere 20 fiori piantati nel suo giardino?

Opzione 1: piantarli egli stesso, lavorandovi un'ora. Costo: sacrifica i 100 dollari che avrebbe guadagnato nel suo studio Opzione 2: lavorare come avvocato e pagare il giardiniere. Costo: due ore di giardiniere = 20 dollari Vantaggio netto: 80 dollari da spendere per altri beni C.

Conclusione: l'avvocato gode di un vantaggio comparato nella professione le gale. È questo il suo incent ivo a specializzarsi.

Specializzazione e scambio offrono benefici reciproci, i quali, inoltre, non presuppongono l'esistenza di vantaggi assoluti. Fin qui la catena causale dice che se ho un vantaggio comparato in qualche attività, guadagno in efficienza specializzandomi in quell'attività. Vi è però anche una catena causale opposta: se mi specializzo in qualche compito produttivo, per qualche motivo o senza alcuna ragione, sviluppo un vantaggio comparato (o rafforzo quello esistente) come risultato dell'esperienza di lavoro che acquisisco. È questa la teoria della divisione del lavoro basata sul learning by doing: mi specializzo con lo scopo di ottenere, in futuro, un vantaggio comparato.

Torniamo alla divisione "verticale" del lavoro. Abbiamo iniziato notando che uno dei due motivi delle economie di scala è la specializzazione "verticale". Adesso rovesciamo la tesi: il maggior motivo della specializzazione "verticale" sono le economie di scala. Infatti, è al crescere delle imprese che ogni lavoratore può concentrarsi maggiormente su un compito e svolgerlo in modo più efficiente. Esempio della produzione degli spilli. Finché è affidata ad un operaio, costui ne fabbrica 10 al gio rno. Se però passiamo ad una manifattura con 10 operai: uno trafila il metallo, uno raddrizza il filo, uno lo taglia, uno gli fa la punta, uno lo schiaccia all'estremità, uno gli fa la capocchia, uno lo mette nella carta, ecc. Siamo davanti a un cambiamento che provoca altri cambiamenti, i quali reagiscono sul primo e lo stimolano nuovamente ad operare, formando un percorso circolare nel quale ciascun fattore è ora causa e ora effetto.

Completiamo la circolarità del processo. Secondo Adam Smith «la divisione del lavoro è limitata dalle dimensioni del mercato». Infatti, la parcellizzazione delle mansioni aumenta le capacità produttive del lavoro. Ciò comporta un aumento nell'offerta di merci che potenzialmente espande il mercato di altre merci. Ma la maggiore am-

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piezza del mercato stimola un'ulteriore divisione del lavoro, così da innescare una circolarità cumulativa del processo. E’ importante sottolineare che secondo Smith questo processo si autoalimenta. Infatti l’aumento del reddito pro-capite è alla base della crescita della domanda di beni, che a sua volta permette un ampliamento dei mercati. In questo modo la divisione del lavoro può essere ulteriormente approfondita.

Y/N

??

Divisione del lavoro

Ampiezza dei mercati La figura sopra illustra il processo des critto: l’ampiezza dei mercati determina il grado di divisione del lavoro, il grado di divisione del lavoro determina la produttività del lavoro, che a sua volta determina il reddito pro-capite. Quest’ultimo, a sua volta, influenza l’ampiezza dei mercati. Una volta innescato il processo di sviluppo, si crea un circolo virtuoso: la crescita di una grandezza (ad esempio l’ampiezza dei mercati, causata dalla eliminazione delle barriere doganali) è all’origine di una crescita continua di tutte le grandezze economiche.

La crescita economica è dunque vista da Smith come una reazione a catena tra variazioni dell'offerta provocate da variazioni nella stessa direzione della domanda, e viceversa. Esempio. Un operaio produce da solo 10 spilli al giorno. Una piccola manifattura con 10 operai produce 50.000 spilli al giorno. La produttività media di ognuno è di 5.000 spilli, cioè 500 volte quella di prima. Gli spilli ora costano molto meno; occorre però venderne tanti. Il mercato di sbocco dev'essere 5.000 volte più amp io del mercato di prima. Fin qui abbiamo considerato le economie di scala statiche : data la tecnologia e i prezzi degli input. Le economie di scala dinamiche derivano invece dalla crescita dell'impresa. Esempio. L'acquisizione di nuove conoscenze o capacità che consentono di produrre un output a costi minori o migliore. Spesso questo apprendimento è frutto diretto o indiretto della stessa attività produttiva. Altri esempi riguardano i cambiamenti della tecnologia (un'impresa in forte crescita può alimentare R&S, implementando tecniche e prodotti), delle risorse manageriali (può via via reperire i manager migliori e le forme organizzative più efficienti), delle possibilità di finanziamento (può accedere al mercato dei capitali alle migliori condizioni), delle modalità di riduzione dei rischi (può diversificare le produzioni e la localizzazione degli stabilimenti, riducendo i rischi connessi), ecc. Le economie di scala dinamiche sono poco misurabili: se cambia la qualità della tecnica in uso e dell'output, il risparmio di risorse non è calcolabile in termini fisici (crescita più che proporzionale di un dato output al crescere di dati input).

30


Anche in questi casi, le economie di scala danno luogo a circoli virtuosi. Possiamo immaginarle sorgere in ambiti statici, ma dinamicamente esse si rafforzano sempre più. (Se nessun limite sorge sse, un'impresa che gode di economie di scala diventerebbe alla lunga monopolista nel proprio settore). Questo circolo virtuoso può non innescarsi (ad esempio in imprese di servizi come ristoranti o lavanderie; in genere per beni e servizi a domanda frammentata e variabile) o può, ad un certo limite, spezzarsi. Una ragione sono le diseconomie di scala gestionali. La gestione diventa più difficile al crescere delle imprese. Quando esse più che compensano le economie di scala, i costi medi iniziano ad aumentare. L'eccessiva parcellizzazione delle mansioni può poi impoverire le conoscenze e gli stimoli dei lavoratori. Inoltre le grandi dimensioni possono aumentare i conflitti fra lavoratori, dirigenti e proprietà. Infine, in un contesto dinamico, possono aumentare i prezzi di alcuni input: al crescere della scala di produzione, la disponibilità di certi input può scarseggiare.

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Riassumendo:

indivisibilità tecniche specializzazione e organizzative learning by doing

vantaggi comparati specializzazione

vantaggi comparati

"orizzontale" e "verticale"

economie di scala

crescita della produttività ? aumento della produzione ? espansione dei mercati ?

intensificazione della specia-

lizzazione ? eccetera.

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6. Introduzione Marginalismo, keynesismo e loro variegate eredità Per inquadrare i temi di micro e di macro che studieremo, occorre ricordare come sono stati elaborati. Ciò serve sia a renderci conto della prospettiva storica, sia a introdurre sulla scena gli attori dello spettacolo. La teoria microeconomica che studieremo nella Prima Parte del Corso è espressione della scuola marginalistica o neoclassica: 1. Questa scuola adotta la definizione formale dell’economia e pone quindi al centro la scarsità. Il problema è l’allocazione ottimale di risorse scarse applicabili a usi alternativi. 2. Il suo secondo pilastro è l’individualismo, secondo cui l’analisi si appunta sulle scelte del singolo individuo, indipendentemente dalla sua collocazione sociale (imprenditore, salariato, percettore di rendite o interessi). 3. Il suo terzo pilastro è l’utilitarismo, secondo cui il comportamento dei singoli soggetti è condizionato dalla ricerca della massimizzazione dell’utilità. 4. Esistono due mercati sui quali, rispettivamente, vengono scambiati fattori produttivi e beni di consumo; l'interazione tra domanda e offerta sul mercato dei beni determina i prezzi e le quantità scambiate dei beni di consumo; l'incontro fra domanda e offerta sul mercato dei fattori stabilisce l'entità della rendita, del salario e dell'interesse. 5. Alle leggi economiche essa riconosce validità universale, ossia le applica in qualunque luogo, tempo o circostanza. Tra queste leggi, spicca quella secondo cui il libero mercato si mantiene automaticamente in equilibrio ottimale. Il secondo e il terzo pilastro (individualismo e utilitarismo) danno forma alla teoria delle decisioni individuali, che presentiamo telegraficamente (la esporremo meglio in altre lezioni). Essa sostiene che: ?? I soggetti possono e vogliono scegliere fra obiettivi alternativi. Esempio. La risorsa più preziosa di uno studente è il tempo: quante ore studia economia o matematica? Quante ore dedica al riposo, allo svago o a guadagnare? ?? Il costo di ogni azione si misura in termini di opportunità ma ncate, ovvero il costo di qualcosa è ciò a cui si deve rinunciare per ottenerla. Esempio. Sto pensando di dedicare il sabato a un lavoro retribuito, ma un amico m'invita a sciare. Quanto mi costa realmente accettare l' invito?

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Esempio. Vinco un milione alla lotteria. Posso spendere la cifra o depositarla in banca al 5% d'int eresse. Quanto mi costa, in termini di opportunità, spendere tutto sub ito? ?? Gli individui decidono "al margine", cioè confrontando i cambiamenti incrementali. Esempio. All'Alitalia su un certo volo europeo il costo medio per passeggero è di 500 euro. Se però un aereo ha posti liberi alla partenza, conviene vendere a qualunque prezzo più alto del costo marginale (rappresentato dal caffè e dalle noccioline che il passeggero consuma durante il volo). L'analisi marginale si basa sul principio di "additività". Al banco del bar, voglio ordinare una CocaCola. Un bicchiere piccolo costa 1 euro, uno medio 1,2. Dalla misura piccola alla media il costo marginale è 0,2: devo valutare se il beneficio della quantità addizionale (marginale) vale effettivamente 0,2 euro. ?? Il comportamento dei soggetti cambia in funzione degli incentivi loro proposti, ossia al variare dei costi e benefici marginali. Se è vero che scelgo confrontando costi e benefici, il mio comportamento cambia al variare di costi e benefici. L’esempio tipico d’incentivo sta nel collegare la ricompensa di un individuo ai risultati che ha conseguito. Se i suoi interessi coincidessero con quelli delle organizzazioni o delle istituzioni a cui appartiene, gli incentivi non servirebbero. I principali incentivi economici sono il profitto per le imprese e il reddito per le famiglie. La teoria macroeconomica che esamineremo nella Seconda Parte del Corso è espressione anzitutto di John Maynard Keynes: 1. Egli vuole identificare le cause della depressione degli anni ’30 e definire misure di politica economica che possano contrastarla. 2. Il suo problema è di determinare il livello di attività del sistema economico, per stabilire se tale livello consente il pieno impiego delle risorse produttive disponibili (in particolare, la piena occupazione sul mercato del lavoro). 3. La sua risposta è che le cause della crisi stanno nella carenza della domanda totale di beni e servizi, mentre un rimedio consiste nel sopperire con la spesa pubblica all’insufficienza della spesa privata. Egli dunque critica la capacità spontanea del mercato di regolarsi e giustifica in via teorica l’intervento pubblico. Scrive Claudio Napoleoni: «A metà degli anni '60 un manuale di economia ritenuto "completo" trattava della teoria dei prezzi (microeconomia) e della teoria del reddito nazionale (macroeconomia) come di due sezioni distinte e non comunicanti dell'analisi economica: l'una capace di spiegare come le singole unità di consumo e di produzione raggiungono una posizione mutuamente compatibile (una posizione di equilibrio), e l'altra che spiegava come si ottiene l'equili34


brio macroeconomico (cioè al livello del sistema nel suo insieme). L'equilibri macroeconomico - si ammetteva - poteva anche essere quello di disoccupazione e tale da richiedere quindi un'attiva politica di bilancio e monetaria avente per scopo di far salire la domanda effettiva al di sopra del livello che la spesa privata (per consumo ed investimento) era da sola in grado di determinare - tale cioè da richiedere un attivo contributo dello Stato per evitare la disoccupazione di massa. Era questa la concezione ottimistica, di un Keynes addomesticato. Nei manuali di economia, insomma, equilibrio (a livello microeconomica) e crisi (a livello macroeconomico) erano singolarmente i due poli dell'indagine scientifica e dell'insegnamento, i quali da una parte facevano l'apologia del sistema di libera concorrenza e dall'altra ammettevano che in questa società non tutto va nel migliore dei modi possibili». Cerchiamo di capire - al di là dell' uso col quale venne introdotta nella teoria economica - il significato della distinzione tra una spiegazione Micro ed una Macro degli eventi. Ogni fenomeno da spiegare, M, risulta dall'aggregazione di fenomeni m e può essere chiarito solo se questi fenomeni m sono a loro volta chiariti. Abbiamo cioè un circuito Macro-MicroMacro:

Livello Macro

Livello Micro Uno fra i modi con cui questo circuito può applicarsi, è quello di considerare al livello micro le azioni individuali, come fa la Microeconomia. Qualche esempio di effetti di aggregazione non- intuitivi, in cui soltanto un'analisi di processi micro può darci la comprensione: 1. Se scompare una malattia infettiva, tutti saranno tentati di evitare il fastidio della vaccinazione. Di conseguenza la malattia tenderà a ricomparire, e il ritorno alla vaccinazione renderà ciclica la scomparsa della malattia. Ciò non è voluto da nessuno, ma risulta dagli atteggiamenti di ciascuno verso il male e il rimedio. 2. Se tutti vogliono risiedere in un quartiere in cui metà dei vicini appartenga al proprio gruppo sociale, ne deriverà che quasi tutti i vicini di ogni individuo apparterranno al suo stesso gruppo. L'aggregazione delle domande individuali moderate (non essere minoritari) produce un effetto di segregazione. Terza Parte del Corso: sviluppi dei due filoni.

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?? Le eredità del marginalismo: la microeconomia moderna, basata su razionalità limitata e su informazione incompleta e imperfetta, e la teoria dei giochi ?? Le eredità di Keynes: sintesi neoclassica, monetarismo, economia dell'offerta, aspettative razionali, nuovi keynesiani Scrive Augusto Graziani: «Poiché la microeconomia (almeno quella dei manuali correnti) presume che il singolo individuo sia mosso da preferenze autonome e indipendenti e che il reddito sia distribuito fra i singoli in proporzione al contributo dato da ciascuno alla formazione del prodotto globale, ne emerge inevitabilmente il quadro di un sistema economico equo, retto per di più dalla sovranità del consumatore. I difensori del modello tradizionale diranno subito che le loro trattazioni presentano una tipologia assai più ricca, che prevede consumatori irrazionali, imprenditori monopolisti, povertà, ingiustizie sociali, disoccupazione. Questo è vero. Ma il punto è proprio qui: che nel loro sistema queste varietà di comportamenti e di situazioni rappresentano deviazioni dal tronco fondamentale dell'analisi e non la sua sostanza. Di qui la loro prescrizione: restaurate la concorrenza, assicurate la trasparenza del mercato, controllate la correttezza delle contrattazioni, isolate gli speculatori finanziari, e il sistema economico darà i risultati previsti dal modello teorico ». Nella ultima parte del Corso valuteremo in quale modo e misura i giudizi critici di Napoleoni e di Graziani appaiono appropriati.

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7. Introduzione

Il metodo dell'indagine

LA CONCEZIONE TRADIZIONALE DEL METODO DI ANALISI DELL' ECONOMISTA ?? Individuazione del problema (ad esempio, avendo constatato un fenomeno di aumento generale dei prezzi, il ricercatore si propone di stabilire a quali fattori l'inflazione vada attribuita); ?? Formulazione di un'ipotesi (prima spiegazione provvisoria del fenomeno osservato. Ad esempio, il ricercatore può chiedersi se l'aumento dei prezzi è connesso all'aumento dei salari); ?? Formulazione di un modello (l'ipotesi è espressa in modi tali da renderla controllabile emp iricamente in base ai dati statistici disponibili. Ogni grandezza va definita così da poter essere misurata); ?? Prova statistica. L'idea è che lo studioso prima individua e raccoglie i fatti che riguardano un certo problema (economia descrittiva o empirica); quindi ricava ipotesi generalizzando i fatti, movendo dal particolare al generale; infine verifica la correttezza della spiegazione tornando ai fatti. Questa concezione è ormai abbandonata. I fatti non esistono "là fuori"; essi presuppongono una teoria per essere "ritagliati" e intesi. Esempio: ?? Davanti alla lavagna, indico un bastoncino bianco di forma cilindrica e affe rmo: "questo è un gessetto". ?? Presuppongo una generalizzazione teorica rozza: "I bastoncini bianchi che si trovano in ogni classe vicino alla lavagna sono dei gessetti". ?? E se fosse una contraffazione messa lì da un alunno in vena di scherzi? Devo provare la mia affermazione. ?? Più la prova è stringente, più è chiamata in causa la teoria. Se premo il cilindro sulla lavagna lasciando una traccia bianca, presuppongo un'altra generalizzazione: che "premuto contro una lavagna il gesso lascia tracce bianche". ?? Ma oltre al gesso altre cose fanno ciò. E se ricorro all'analisi chimica? Provo che il cilindro è composto di carbonato di calcio e che, se immerso in soluzione acida, libera anidride carbonica. ?? Insomma, per stabilire la verità di una banale proposizione osservativa, ho fatto ricorso sempre più esteso a conoscenze teoriche.

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LA DISTINZIONE TRA AFFERMAZIONI ANALITICHE E SINTETICHE La concezione del metodo scientifico dell'economista ancor oggi più diffusa, distingue tra affermazioni analitiche e sintetiche. ?? Le prime sono vere o false in base alle regole della logica. "Se ogni X ha la caratteristica Y, e se questo elemento Z è un X, allora esso ha la caratteristica Y". ?? Questa frase è vera indipendentemente da cosa sono X, Y e Z. Quindi la frase "se gli uomini sono tutti immortali, e se tu sei un uomo, allora tu sei immortale", è vera anche se non risponde a realtà. ?? Le affermazioni sintetiche sono invece accettabili o meno in base a criteri empirici controllabili. Così, l'asserto secondo cui la Terra ha meno di 5000 anni è stato confutato, mentre la frase "gli angeli esistono e occasionalmente visitano la Terra sotto una forma visibile" è irrefutabile sulla base dei dati empirici disponibili (e, se non sappiamo come provare a confutarla, è una frase "metafisica"). Anche questa concezione del metodo incontra serie difficoltà: ?? Gli enunciati analitici, in quanto proposizioni puramente logiche, sono privi di riferimento al mondo concreto; di conseguenza sono vuoti di contenuto per l'interpretazione dei fenomeni reali. ?? Gli enunciati sintetici, in molti casi, hanno significato non da soli, ma entro strutture teoriche complesse. Essi non appaiono pertanto falsificabili in quanto tali, bensì la loro accettazione o meno dipende da quella dell'intera struttura teorica. Ad esempio, di fronte all'anomalia dell'orbita di Urano, gli astronomi non ritennero falsificata la teoria della gravitazione universale, ma predissero l'esistenza di un nuovo pianeta, che venne in seguito effettivamente scoperto (Nettuno). ?? Ma vale il dubbio: ancor oggi gli astronomi postulano stelle invisibili per spiegare il comportamento irregolare di alcune stelle visibili. Si tratta di ipotesi di comodo, che nascondono difficoltà della teoria, oppure verranno scoperti altri Nettuno? ?? Anche il lavoro dell'economista si nutre dello stesso dubbio: se l'applicazione di una tesi teorica è empiricamente inefficace, egli può sempre invocare ragioni ad hoc, soprattutto ridefinendo di volta in volta la clausola ceteris paribus.

?? Quest'ultimo è il punto cruciale. Se fosse possibile individuare con rigore la clausola ceteris paribus, saremmo in grado di stabilire quando un risultato anomalo dipende dall'inefficacia del modello, e quando dipende invece dalla variazione di ciò che avevamo tenuto fe rmo. Ma

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è quasi impossibile distinguere tutto ciò che stiamo trascurando, e la rilevanza per i nostri fini di ciò che trascuriamo. Esempio (da Daniel Dennett). Un robot è programmato per prendere una batteria in una stanza in cui vi è anche una bomba a orologeria. La versione 1 del robot vede che la batteria è su un carrello, e capisce che spingendo fuori il carrello uscirà anche la batteria. Ma sul carrello c'è anche la bomba… La versione 2 è programmata per considerare tutti gli effetti collaterali delle proprie azioni. Ha appena finito di calcolare che spingere il carrello non cambierà il colore delle pareti della stanza, quando la bomba esplode. La versione 3 è programmata per distinguere fra implicazioni pertinenti e non pertinenti. È seduta lì a valutare milioni di implicazioni, quando, anche questa volta, la bomba scoppia. ?? Insomma: quand'è che l'aggiunta di un'ipotesi ad hoc, o la ridefinizione di una clausola ceteris paribus, è legittima o arbitraria? Solo una struttura teorica può di volta in volta stabilirlo. Ma le difficoltà per gli enunciati sintetici non sono finite. Se essi assumono senso, e sono quindi confutabili, solo dentro una struttura teorica, a sua volta nessuna struttura teorica può a rigore essere considerata né come vera, né come certa. Questo teorema fondamentale dell'epistemologia è chiamato trilemma di Münchhausen e si può enunciare così: si dia una teoria qualunque; essa si fonderà sempre su certe proposizioni "prime" o "principi". Ora, delle tre l'una: o si rinuncia a discutere questi principi e li si tratta come indimostrabili; o si cerca di dimostrarli appoggiandosi su altri principi e così via all'infinito (il che è impossibile; bisognerà fermarsi a un certo punto, ricadendo nel primo caso); oppure si tenta, in maniera circolare, di dimostrare i principi a partire dalle loro conseguenze. Chiunque voglia raggiungere la certezza è nella stessa posizione del barone di Münchhausen, il quale cercava di sollevarsi dallo stagno dov'era caduto tirandosi per i capelli.

LA DISTINZIONE TRA AFFERMAZIONI POSITIVE E NORMATIVE Alla luce delle difficoltà con cui individuare e giustificare le affermazioni sintetiche, possiamo considerare la distinzione tra affermazioni positive e normative. Questa distinzione è un cardine della visione ortodossa della scienza economica. ?? Le affermazioni positive sono opinioni su ciò che accade in realtà, mentre que lle normative sono opinioni su ciò che si vorrebbe accadesse. ?? La frase "è impossibile spezzare gli atomi" è un'affermazione positiva che può essere confutata (e lo è stata), mentre la frase "gli scienziati non dovrebbero spezzare gli atomi" è normativa e dipende dai giudizi di valore su ciò che è giusto e ingiusto, desiderabile e riprovevole. ?? L'economia positiva riguarda dunque ciò che è, ossia descrive il modo con cui il sistema economico funziona. ?? L'economia normativa tratta invece di ciò che dovrebbe essere, fornendo giud izi in merito alla desiderabilità di diverse azioni.

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?? La seconda usa la prima: non può giudicare la desiderabilità di una politica economica senza avere ben chiare le sue conseguenze. Abbiamo tuttavia visto che: a) non si dà alcuna descrizione che non sia carica di teoria; b) a sua vo lta la teoria non è in grado di fondare sé stessa, ma rimanda a "princ ipi" o a "conseguenze" che sono termini valutativi; c) quasi mai si danno affermazioni sintetiche (cioè dotate di contenuto empirico) controllabili da sole (fuori dalla teoria in cui sono espresse). Pertanto una scienza che effettui osservazioni neutre da cui trarre asserti confutabili, non esiste. I valori dello scienziato contribuiscono a selezionare e a giustificare i temi di ricerca, e a individuare le connessioni causali fra i fenomeni. Oltre a ciò, i valori influenzano le procedure e la flessibilità dei criteri di controllo delle va rie proposizioni empiriche o teoriche. L'idea diffusa tra gli economisti è che l'adeguatezza dei mezzi è oggetto di giudizi di fatto o analisi positiva, mentre la desiderabilità del fine è oggetto di giudizi di valore o analisi normativa. Ad esempio, per un'azione militare possiamo dare un giudizio puramente tecnico sull'efficacia dei mezzi scelti per effettuare un attacco di sorpresa, prescindendo da ogni giudizio di valore sulla liceità morale e sull'opportunità politica di quell'attacco. È così? Scrive va Durkheim già a fine '800: «Tutti i mezzi sono essi stessi dei fini, se considerati da un altro punto di vista; per essere messi in pratica, infatti, essi devono essere scelti proprio come è scelto il fine alla cui realizzazione sono vo lti. Vi sono sempre numerose strade che conducono ad una stessa meta; si deve fare quindi una scelta tra di esse. Ora, se la scienza non è in grado di aiutarci nella scelta del fine migliore, come può essa indicarci quali sono i mezzi migliori per raggiungerlo? Per quale mo tivo essa dovrebbe cons igliare il mezzo più rapido invece di quello più economico, quello più sicuro piuttosto che quello più semplice o viceversa? Se la scienza non può esserci di guida nella determinazione dei fini ultimi, essa è egualmente impotente riguardo a quei fini secondari e subordinati che chiamiamo mezzi». Ogni azione - nota Herbert Simon - è al contempo un fine dell'azione precedente e un mezzo dell' azione successiva. Riprendendo l'esempio militare, l'attacco di sorpresa alla trincea è strumentale alla conquista di un fortilizio; questa è mezzo per sfondare le linee nemiche; …; la vittoria è strume nto per rendere più potente il proprio Paese…, e così via indefinitamente. In quanto mezzo, un'azione è soggetta a giudizi di fatto sulla sua idoneità; in quanto fine è soggetta a giudizi di valore. Essendovi un continuum mezzi- fini, vi è anche un continuum tra i due tipi di giudizi.

I MODELLI COME ANALOGIE Una terza e più recente concezione del metodo d'indagine della scie nza economica, riconosce che tutte le scienze ricorrono a modelli: rappresentazioni astratte e semplificate della realtà. Precisa però che in economia l'elaborazione dei modelli è particolarmente difficile, in quanto: ?? È quasi impossibile la simulazione. Se un ingegnere spaziale proge tta un satellite, può, prima di produrlo, costruirne versioni in scala ridotta da testare nelle gallerie del vento. Al con40


trario, l'economista non può costruire delle versioni in scala ridotta dell'economia italiana o della borsa di New York. ?? È impossibile la sperimentazione controllata. Se un fisiologo vuol stabilire gli effetti della penicillina sulla polmonite, può "mantenere costanti gli altri fattori" usando due gruppi di pazienti che differiscono solo in quanto reagiscono o meno al farmaco. Se invece l'economista vuol determinare l'effetto di un'imposta sulla benzina sul consumo di carburante, può essere disturbato dal fatto che, insieme all'imposta, vi è stato un miglioramento dei trasporti del bene (con l'entrata in uso di nuovi oleodotti) e che tant i altri cambiamenti possono aver avuto un'influenza. (Si veda il caso del robot di Dennett, sopra).

?? È quasi impossibile individuare "leggi scientifiche" universalmente valide. Ciò per la natura stessa dell'oggetto che si studia. Più efficacemente di una lunga argomentazione, così il punto è presentato da Gregory Bateson: Papà - Ti ricordi la partita di croquet in Alice nel paese delle meraviglie? [...] L'uomo che scrisse Alice pensava alle stesse cose cui pensiamo noi. E si divertì con la piccola Alice immaginando una partita a croquet che fosse tutto un pasticcio, un assoluto pasticcio. Così stabilì che si dovessero usare fenicotteri invece di mazze, perché i fenicotteri potevano piegare il collo e così il giocatore non avrebbe saputo se la sua mazza avrebbe colpito la palla né come. Figlia - D'altra parte la palla poteva andarsene per conto suo, perché era un porcospino. P. - Certo. Così ogni cosa è talmente ingarbugliata che nessuno ha la minima idea di ciò che può accadere. F. - E poi anche gli archi se ne andavano in giro, perché erano soldati. P. - Certo... ogni cosa poteva muoversi e nessuno poteva dire come si sarebbe mossa. F. - Per far questo pasticcio assoluto era necessario che ogni cosa fosse viva? P. - No... avrebbe potuto fare un pasticcio... no, forse hai ragione. Ecco, questo è interessante. Sì, sì, doveva essere proprio così. Aspetta un momento. E' curioso, ma hai ragione. Perché se avesse creato il pasticcio in un altro modo qualunque, i giocatori avrebbero potuto imparare a cavarsela. Cioè, se il campo di croquet fosse stato accidentato, o se le palle avessero avuto una forma bizzarra, o se le teste delle mazze fossero state semplicemente oscillanti, allora i giocatori avrebbero potuto lo stesso imparare e il gioco sarebbe stato solo più difficile, ma non impossibile. Ma una volta che ci si fanno entrare esseri viventi, diventa impossibile. Questo non me l'aspettavo. F. - Davvero, papà? Io sì. A me sembra naturale. P. - Naturale? Certo... abbastanza naturale. Ma non mi sarei aspettato che le cose andassero a quel modo. F. - Perché no? Invece è proprio quello che io mi sarei aspettata. P. - Sì. Ma la cosa che non mi sarei aspettato è questa. Che gli animali, che sono essi stessi in grado di prevedere un poco le cose, e di agire sulla base di ciò che pensano che stia per accadere - un gatto può acchiappare un topo saltando proprio sul punto dove il topo probabilmente sarà quando il gatto avrà completato il salto - ma è proprio il fatto che gli animali sono capaci di prevedere e imparare che li rende le uniche cose veramente imprevedibili del mondo. E pensare che noi facciamo leggi come se le persone fossero del tutto regolari e prevedibili! F. - O forse si fanno le leggi proprio perché le persone non sono prevedibili e quelli che fanno le leggi vorrebbero che gli altri fossero prevedibili? P. - Sì, forse è così.

Date queste difficoltà, e le altre prima presentate, i modelli economici non pretendono di corrispondere, pur in modo semplificato, ad una certa realtà: essi sono semplici analogie tra una realtà (che in sé non sappiamo analizzare) e qualche altro fenomeno che sappiamo indagare. Se ad esempio esaminiamo un mercato automobilistico come se fosse un gioco strategico in cui i giocatori cercano di accaparrarsi una quota di mercato manovrando il prezzo, il nostro modello è null'altro che un'analogia.

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La nostra scommessa è che quest'analogia possa aiutarci a spiegare e a prevedere i comportamenti effettivi di Fiat, Renault e Volkswagen. Se la spiegazione ci persuade, e se le previsioni ci paiono efficaci, accogliamo l'analogia: il controllo empirico, in quanto tale, non è decisivo. Anzi, a rigore, non siamo in grado (per le ragioni viste sopra) di esercitare alcun controllo empirico che falsifichi o corrobori le singole proposizioni (sint etiche e positive). Quella proposta dal modello rimane un'analogia: non abbiamo più la pretesa che sia una semplificazione iniziale, che riusciremo, con successive complicazioni, a rendere "concreta", ossia a far corrispondere ai "fatti". Eppure l'analogia è un formidabile strumento di pensiero; essa arricchisce il nostro sguardo interpretativo, consentendoci di cogliere problemi e relazioni che, senza di essa, trascureremmo. Il modello come analogia non offre risposte direttamente applicabili, ma ci dà una giuda sapiente nei processi decisionali. Riportiamo tre frasi di Keynes, che sintetizzano quest'ultima posizione: «La teoria economica non fornisce un insieme di conclusioni consolidate traducibili immediatamente in pratica. È un metodo piuttosto che una dottrina, un apparato della mente, una tecnica del pensiero, che aiuta chi lo possiede a trarre conclusioni corrette». «L'oggetto della nostra analisi non è tanto quello di fornire una macchina o un metodo di cieca manipolazione che forniscano una risposta infallibile, ma di fornire a noi stessi un metodo organizzato e ordinato per analizzare problemi particolari; e, dopo che abbiamo raggiunto una conclusione provvisoria isolando i fattori complicanti uno alla volta, dobbiamo poi ritornare sui nostri passi e tener conto come meglio possiamo delle probabili interazioni dei fattori tra loro. Questa è la natura del pensiero economico». «In chimica e in fisica e nelle altre scienze naturali, l'obiettivo consiste nell'assegnare dei valori effettivi alle varie quantità e ai vari fattori che appaiono in un'equazione o in una formula; e quando ciò è fatto, il lavoro è fatto una volta per tutte. In economia questo non avviene, e trasformare un modello in formula quantitativa è distruggere la sua utilità come strumento di pensiero». Ispirandoci a quest'ultima posizione, le nostre lezioni si propongono principalmente di presentare una costellazione di modelli-come-analogie che fornisca uno strument ario di concetti e di forme di ragionamento per "leggere" esperienze economiche complesse.

OLTRE IL SENSO COMUNE E GLI SCHEMI LOGICI CONSUETI Cosa possiamo attenderci dallo studio di un modello economico? In qualunque maniera venga delineato il metodo dell'economista, due requisiti intellettuali rendono particolarmente stimolante il nostro campo d'indagine: a) i procedimenti d'indagine del ricercatore non coincidono con quelli del cosiddetto "uomo della strada". Parecchi dei maggiori risultati della teoria economica contraddicono il cosiddetto senso comune, con ciò arricchendo autenticamente il nostro sguardo sul mondo. Tre esempi importanti:

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?? È difficile distinguere le correlazioni dalle cause. L'errore del post hoc, ergo propter hoc è comune. Se un cambiamento in una certa variabile comporta un prevedibile cambiamento in un'altra variabile, tra le due esiste una correlazione. Ma ciò non dimostra che un fattore causa il mutamento dell'altro: è possibile che altri fattori influenzino entrambi: il gallo canta sempre prima dell'alba, ma ciò non significa che sia responsabile del sorgere del sole. Vi è una correlazione tra livello d'istruzione e reddito. Il senso comune ci spinge a vedere il livello d'istruzione come causa e il reddito come effetto. Ma non potrebbe essere il contrario? O la correlazione va attribuita a altri fattori? ?? È facile confondere la parte col tutto. Quel che vale per una parte, non sempre vale per l'insieme. Ciò crea paradossi controintuitivi: ad esempio, un'azione opportuna per me solo, è assurda per noi due; ad un Paese può convenire ridurre le tariffe sulle importazioni, anche se gli altri Paesi non lo fanno; a un'impresa può convenire svolgere qualche attività sottocosto; eccetera. ?? È possibile una pari plausibilità di spiegazioni differenti dei medesimi fenomeni. Una nota storiella racconta di una spia appostata all' ingresso di una riunione clandestina. Arriva un bandito, la guardia dice: «Ventiquattro!», lui risponde «dodici!», e la guardia lo fa passare. Secondo bandito: la guardia gli dice «dodici!», lui risponde «sei» e passa. Terzo bandito: la guardia dice «dieci!», lui risponde «cinque» e passa. Quarto bandito: la guardia dice «otto!», lui risponde «quattro» e passa. Quinto bandito: la guardia dice «sei!», lui risponde «tre» e passa. La spia ritiene di aver capito. Si presenta alla guardia che dice «quattro!». Lui divide a metà il numero, risponde «due», e la guardia lo fucila. La risposta giusta sarebbe stata «sette» poiché «quattro» è un numero di sette cifre. I banditi sapevano di dover considerare non il numero, ma il suo nome. b) Oltre a contraddire il senso comune, la riflessione scientifica ci spinge a rompere le routines mentali, uscendo dagli schemi consueti per sperimentare risposte nuove e diverse. Un'efficace allegoria di questo atteggiamento è il problema dei nove punti: come collegare tutti i punti, tracciando quattro segmenti rettilinei, senza mai alzare la matita dal foglio, e senza ripercorrere un segmento già tracciato? Per sciogliere questo problema occorre arrestare gli itinerari logici abitudinari, rivisitare criticamente i presupposti del quesito e immaginare uno schema mentale entro cui quei presupposti siano esauditi:

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QUALI SONO I MODELLI RILEVANTI? Come si è visto, la distinzione tra affermazioni positive e normative è difficile da mantenere. Se dunque le valutazioni permeano le nostre analisi, in base a quali criteri valutativi attribuiamo rilevanza ad un certo modello? Semplificando all'estremo, la nostra esposizione si ispirerà a tre criteri: i) È desiderabile che le premesse del modello non annullino il problema che si sta indagando. Una nota barzelletta racconta di tre viaggiatori sperduti nel deserto. Bevuta l'intera scorta di acqua, restano in possesso di una sola bottiglia di vino, sigillata con un tappo di sughero. Assetati, decidono di aprirla con la massima attenzione, così da non sprecare il prezioso liquido. Il primo viaggiatore, che è un meccanico, tenta di costruire una tenaglia: senza successo. Il secondo, che è un architetto, tenta di costruire un piccolo argano col filo di ferro: nulla. A questo punto il terzo viaggiatore, che è un economista, dichiara: «Supponiamo di avere un cavatappi...». ii) È desiderabile che il rigore delle risposte non riguardi esclusivamente il linguaggio con cui il modello è elaborato. Questo pericolo è raccontato con un'altra famosa barzelletta. Dei viaggiatori volano su un pallone aerostatico. Si smarriscono. Scendono di quota e chiedono a un passante: «dove ci troviamo?». Costui risponde: «siete su un pallone aerostatico». E loro commentano: «Deve essere un economista; ha fornito una risposta esatta ma del tutto inutile». iii) Infine, è desiderabile collocare l'analisi dei processi economici nel più vasto quadro dei processi non-economici. Come annota John Hicks: «Nel campo dell'economia, la sovraspecializzazione è doppiamente disastrosa. Un uomo che è matematico e nulla più che matematico potrà condurre una vita di stenti, ma non reca danno ad alcuno. Un economista che è nulla più che un economista è un pericolo per il suo prossimo. L'economia non è una cosa in sé; è lo studio di un aspetto della vita dell'uomo in società. L'economista di domani (e talvolta dei giorni nostri) sarà certamente a conoscenza di ciò su cui fondare i suoi consigli economici; ma se, a causa di una crescente specializzazione, il suo sapere economico resta divorziato da ogni retroterra di filosofia sociale, egli rischia veramente di diventare un venditore di fumo, dotato di ingegnosi stratagemmi per uscire dalle varie difficoltà, ma incapace di tenere il contatto con que lle virtù fondamentali su cui si fonda una società sana. La moderna scienza economica va soggetta ad un rischio reale di machiavellismo: la trattazione dei problemi sociali come mere questioni tecniche e non come un aspetto della generale ricerca della Buona Vita».

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8-9. Come funzionano i mercati

Il meccanismo di mercato: la domanda

Le precondizioni sociali

Devono diffondersi determinate regole sociali di comportamento

– I venditori sono motivati dal profitto – I compratori sono motivati dal volere ottenere il massimo per la moneta spesa •

I neoclassici credono che questi siano tratti della natura umana

Altri credono che questi siano comportamenti culturali appresi

La domanda

• Il consumatore risponde ai cambiamenti di prezzo –

Se il prezzo sale la quantità acquistata diminuisce

La crescita del prezzo di un bene ci fa essere più poveri (effetto reddito)

Si decide di acquistare un bene confrontando il suo prezzo con quello di altri beni (effetto sostituzione)

–Se il prezzo dei CD aumenta possiamo decidere di acquistare meno CD e più videocassette

L’opposto succede se il prezzo diminuisce

La legge della domanda

La legge della domanda dice che quando il prezzo di un bene aumenta la domanda diminuisce e viceversa

– Tuttavia altri fattori influenzano il consumo (il reddito, i gusti e i prezzi degli altri beni)

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La legge della domanda può essere riformulata: Tutte le altre cose rimanendo le stesse, quando il prezzo cresce diminuisce la domanda ecc.

Perché è importante la legge della domanda

• Il prezzo influenza anche l’offerta: possiamo trovare una simmetria tra domanda e offerta • Il cambiamento di prezzo ha un grande effetto, che può essere previsto e in molti casi misurato –

La stessa cosa non vale per i cambiamenti nei gusti (non abbiamo unità in cui misurare i gusti).

L’effetto del cambiamento dei prezzi degli altri beni può essere a volte misurabile e a volte no.

Una definizione più precisa

•La domanda è la volontà e la capacità di comprare una serie di quantità di un bene ad una serie di prezzi, durante un certo periodo di tempo. Tre punti:

•Volontà e capacità. •Serie di quantità e di prezzi. – Ad ogni prezzo corrisponde una distinta quantità

•Un determinato periodo di tempo. Il prezzo di domanda •Il prezzo di domanda è il prezzo massimo che il compratore vuole e può pagare per una data quantità di un bene – Si noti la parola massimo – I compratori sarebbero felici di comprare quella quantità ad un prezzo più basso e più felici

ancora di averla gratis •Quindi ciò che ci interessa è la quantità che sono disposti a comprare ad un determinato prezzo, visto che non possono avere il bene gratis.

La quantità domandata

•La quantità domandata è la specifica quantità di un bene che i compratori vogliono e possono comprare ad un dato prezzo – Il prezzo e la quantità sono due numeri collegati tra loro.

46


•La quantità domandata non è la stessa cosa della domanda. – La domanda è l’intera serie dei prezzi e quantità collegati tra loro a due a due. – La quantità domandata è una specifica quantità collegata ad uno specifico prezzo.

47


La scheda di domanda

• Questa tabella è una scheda di domanda che presenta la relazione tra una serie di prezzi e una serie di quantità (tutto il resto rimanendo uguale o ceteris paribus) 9

La curva di domanda

• La scheda di domanda può essere usata per costruire una curva di domanda. – I punti con le coordinate prese dalla scheda sono uniti e formano la curva. – La curva di domanda ha una pendenza negativa.

10

I fattori determinanti della domanda

•Ceteris paribus è la nozione che tutte le altre cose rimangono uguali. Altre cose, oltre i prezzi, determinano la domanda. – Si possono far variare questi altri fattori per comprendere meglio come funziona il mercato.

48


•I fattori che rientrano nella regola del ceteris paribus sono i fattori determinanti della domanda.

Spostamento della curva di domanda: incremento

• I fattori determinanti della domanda spostano la curva. – Quando si disegna la curva di domanda, i fattori determinanti sono assunti costanti. Un cambiamento di uno dei fattori determinanti può causare: – un incremento della domanda significa che per ogni prezzo i compratori acquistano una quantità 12 maggiore

49


Lo spostamento della curva di domanda verso destra in alto fa sì che allo stesso prezzo sia domandata una quantità maggiore

Spostamento della curva di domanda: diminuzione

• Un cambiamento di uno dei fattori determinanti può anche causare: – Una diminuzione della domanda: per ogni prezzo i consumatori consumano una quantità minore del bene 14

Uno spostamento verso sinistra in basso della curva di domanda fa sì che allo stesso prezzo sia domandata una quantità minore

La variazione della quantità domandata • La variazione della domanda non va confusa con la variazione della quantità domandata lungo la curva, dovuta ad una variazione del prezzo, come nella figura qui sotto P P1 P2 Q1

Q

Q2

16

La diminuzione del prezzo fa aumentare la quantità domandat a (spostamento lungo la curva)

50


Categorie di fattori determinanti

•Le cinque categorie di fattori determinanti sono: – Reddito: il reddito influenza la capacità di acquisto dei consumatori. – Preferenze:ovvero i nostri gusti, influenzano la nostra volontà di comprare. – I prezzi di altri beni: i beni possono essere sia sostituti che complementari. – Le aspettative riguardo ai prezzi futuri. – Il numero dei compratori (più sono i compratori, più alta è la domanda). ?? Dunque altri elementi, oltre al prezzo, possono influire sulla domanda per un certo bene. ?? Questi elementi operano nel corso del tempo. ?? Ma quando si considera la curva di domanda di un bene, in rapporto al prezzo del bene stesso, tutti questi altri fattori vengono trascurati con l'ipotesi del ceteris paribus. ?? Ciò significa che la curva di domanda è una curva statica: non si considerano variazioni concrete dei prezzi e della domanda, che avvengono nel tempo, ma si considerano in via ipotetica livelli diversi di prezzo, e si determina la quantità domandata in corrispondenza di ciascun prezzo, in un istante del tempo logico. ?? Per stabilire un paragone, immaginiamo (nel caso dell'istante di tempo logico) di scattare simultaneamente dieci foto con dieci apparecchi fotografici: ciascuna foto inquadra una coppia prezzo -quantità; immaginiamo invece (nel caso del tempo storico) di scattare in rapida sequenza dieci foto con un unico apparecchio. Si tratta di operazioni ben diverse. Nonostante nel secondo caso molte condizioni di contorno siano rimaste quasi inaltera te (la luminosità e la temperatura dell'ambiente, la posizione del fotografo, ecc.), a rigore va ammesso che la clausola di ceteris paribus non vale più: l'oggetto fotografato è cambiato da uno scatto all'altro, e qualche fattore che lo influenza è pure mutato. ?? Perciò occorre cautela nell'applicare la teoria delle curve di domanda a problemi concreti, che implicano necessariamente variazioni dei prezzi e delle quantità domandate nel tempo storico.

Cambiamenti

•La differenza tra: – Domanda: l’ intera serie di prezzi e quantità correlati a due a due – Quantità domandata, una specifica quantità domandata ad un dato prezzo.

•La differenza tra: – Cambiamento della domanda: si sposta l’intera curva perché è cambiato uno o più fattori determinanti. – Cambiamento nella quantità domandata. Ci muoviamo lungo la stessa curva di domanda, perché varia il prezzo. Solo gli spostamenti di prezzo fanno variare la quantità domandata.

51


Nella figura sotto, vediamo la relazione tra la curva di domanda di un singolo consumatore e la curva di domanda di mercato. Quest'ultima è data dalla somma orizzontale delle curve di domanda individuali di tutti i consumatori presenti sul mercato.

Elasticità della domanda

• Molto spesso siamo interessati a conoscere la sensibilità con cui le vendite crescono o diminuiscono in relazione a un cambiamento di prezzo –

Diverse reazioni:

un incremento del prezzo del 30% dei mandarini può far diminuire la domanda del 70%

Un incremento del prezzo del 50% della benzina può far diminuire la domanda del 10%

Nel primo caso si dice che la domanda è elastica, nel secondo caso che è rigida.

52


3.00 2.00 1.00 3.00 2

Price of eggs [£ per dozen]

[i]. William

4

6

8

Quantity of Eggs [dozen per month]

3.00

Price of eggs [£ per dozen]

Price of eggs [£ per dozen]

Figure 3.2 The Relation Between Individual and Market Demand Curves

2.00

1.00

2

2.00

4

6

8

10

12

14

Quantity of Eggs [dozen per month]

1.00

[iii]. Total Demand William & Sarah 2

[ii]. Sarah

4

6

8

Quantity of Eggs [dozen per month]

Le cause dell’elasticità

• La domanda di un bene tende ad essere rigida (la quantità domandata diminuisce poco all’aumento del prezzo) quando ci sono pochi sostituiti: la benzina

• La domanda tende ad essere elastica quando il bene ha molti sostituti: i mandarini • La domanda tende ad essere rigida se la spesa per quel bene rappresenta una piccola parte del reddito del consumatore (ad esempio il sale). Una definizione più formale

L’elasticità della domanda rispetto al prezzo è il rapporto tra la variazi one percentuale della quantità domandata e la variazione percentuale del prezzo.

Supponiamo di gestire uno stadio di calcio. Dobbiamo fissare i prezzi dei biglietti per massimizzare il guadagno. È me glio stabilire prezzi bassi per ottenere il tutto esaurito, oppure prezzi più alti con dei posti vuoti? Altro esempio. La rete della metropolitana di Milano è in deficit. I suoi costi d'esercizio cambiano poco al variare del numero dei passeggeri. Come ridurre il deficit? Aumentando le tariffe? (Senso comune). Non è detto. In questi casi la risposta dipende dalla reattività della quantità domandata alle variazioni di prezzo. Dobbiamo cioè chiederci:

53


a)

Quali sono gli effetti di una variazione percentuale del prezzo sulla quantità domandata? (Gomma da masticare: 500 lire; 1 automobile: 30.000.000. Non avrebbe senso ragionare - poniamo - sulla stessa variazione assoluta di 1.000 lire al pezzo).

b) Qual è la variazione percentuale nella quantità domandata, a seguito di una variazione del prezzo? (Gomma da masticare: milioni di pezzi; Automobili: decine di migliaia). Indichiamo con D la domanda e con ?D la sua variazione finita piccola a piacere; con p il prezzo e con ?p la sua variazione.

? D/D Quindi

E(d) = _______ = ?D/?p . p/D ?p/p

Ossia: l'elasticità della domanda rispetto al prezzo è il rapporto tra la variazione percentuale (o relativa) della quantità domandata e la variazione percentuale (o relativa) del prezzo. Esempio. Supponiamo che per un prezzo p1 = 100 la quantità domandata sia D1 = 100. Supponiamo che al nuovo prezzo p2 = 110 la quantità passi a q2 = 95. Il prezzo, mutato da 100 a 110, varia del 10%; la quantità passa da 100 a 95 e dunque varia del 5%. Ricordiamo come si calcolano le variazioni percentuali. Se p1 è il prezzo iniziale e p2 è il prezzo modificato, la varia zione percentuale è data dal rapporto tra la variazione del prezzo e il prezzo iniziale: sarà cioè pari a (p2-p1)/p1, che nell'esempio corrisponde a (110-100)/100 = 10/100 = 10%. Analogamente, se D1 è la quantità iniziale e D2 è la quantità modificata, avremo: (D2-D1)/D1 = (95-100) = -5/100 = 5%. In tal caso l'elasticità, che è uguale al rapporto tra la variazione percentuale della domanda e la variazione percentuale del prezzo, è pari a -5%/10% = -1/2 = -0,5. Esempio. Se il prezzo cresce dell'1% e la quantità domandata si riduce del 2%, abbiamo E(d) = -2%/1% = -2 Se il prezzo diminuisce del 4% e la quantità domandata cresce del 2%, allora: E(d) = 2%/-4% = -0,5 Nel primo caso (-2) la domanda è molto più reattiva che nell'ultimo (-0,5). Notiamo che la E(d) è sempre un numero negativo, poiché lungo la curva di domanda una riduzione del prezzo fa sempre aumentare la domanda, e viceversa. Altro esempio. La E(d) dei parcheggi pubblici è -1,5, ossia un aumento dell'1% delle tariffe ridurrebbe la quantità domandata (ore parcheggio) dell'1,5%. Sia la tariffa di 2,50 euro l'ora, e si abbia una carenza di spazio del 15%. Di quanto occorre accrescere la tariffa per eliminare le code? Sappiamo che un incremento dell'1% riduce la quantità domandata dell'1,5%. Pertanto dobbiamo aumentare del 10%, da 2,50 euro a 2,75 euro l'ora. Le elasticità della tabella sottostante sono calcolate con la solita formula. Ad esempio, al prezzo di 22,50 e alla quantità di 10, consideriamo di ridurre il prezzo a 20. La variazione del prezzo è del -11,11% (cioè: -2,50/22,50). L'incremento conseguente della quantità domandata è di 10 unità (da 10 a 20 biglietti), o del 100% (10/10). La E(d) al prezzo di 22,50 è quindi -9 (100%/-11,11%).

Prezzo biglietto

Quantità domandata Elasticità della do- Ricavo totale (prez54


(migliaia per parti- manda al prezzo ta) 10 -9 20 -4,0 40 -1,5 50 -1,0 60 -0,67 80 -0,25 90 -0,17 96 -0,04 100 0

22,50 20 15 12,50 10 5 2,50 1 0

zo x quantità domandata) 225 400 600 625 600 400 225 96 0

Come si vede dalla tabella, la E(d) non è costante lungo la curva di domanda: è alta a prezzi alti, e scende vicino a zero quando il prezzo tende a zero. La domanda è elastica se il valore assoluto di E(d) è maggiore di 1 (ad es. -4). È rigida se minore di 1 (ad es. -0,67). Se E(d) è elastica, una riduzione del prezzo aumenta la quantità consumata del bene, e viceversa. Se dunque torniamo alla tabella dei biglietti dello stadio di calcio, quando E(d) = 1, il ricavo è massimo . Infatti finché E(d) è minore di 1, il ricavo cresce al decrescere del prezzo; quando invece E(d) è minore di 1, il ricavo decresce al decrescere del prezzo. Nel caso dell'elasticità unitaria, l'aumento percentuale del prezzo è esattamente compensato da una corrispondente riduzione proporzionale della quantità domandata, così che la spesa complessiva del consumatore, pari al prodotto tra prezzo e quantità domandata, resta invariata.

Tratto elastico 12,50

-1,0 Tratto inelastico 50

La pendenza e l’elasticità In generale l’elasticità varia lungo la curva anche quando essa sia una retta, cioè abbia pendenza costante. Pendenza ed elasticità sono infatti due concetti molto diversi tra loro: la pendenza misura il rapporto tra la variazione dei prezzi e la variazione della quantità, e ed è espressa in specifiche unità di misura (euro per settimana e chilogrammi per settimana, ecc..) mentre l’elasticità è misurata in percentuali ed è quindi indipendente dalle specifiche unità di misura adottate. Se ad esempio la quantità varia del 40%, questa percentuale resta invariata tanto se abbiamo misurato le quantità in tonnellate che se le abbiamo misurate in chilogrammi. Una normale curva di domanda può essere quindi divisa in diverse tratti. Se per semplicità prendiamo come esempio una retta avremo: •Il tratto relativamente elastico: tra l’asse verticale delle ordinate e il punto di mezzo •Il punto con elasticità unitaria: nel punto di mezzo •Il tratto relativamente rigido: tra il punto di mezzo e l’asse orizzontale delle ascisse.

55


p e>1 e=1 e<1

Q

Nella figura sotto, misuriamo l'elasticità su una curva di domanda rettilinea. Essa dipende dalla pendenza della curva di domanda e dal punto in cui viene misurata. Partendo dal punto A e muovendosi verso il punto B, il rapporto ?p/ ?q è la pendenza della retta, mentre il suo reciproco ?q/ ?p è il primo termine della definizione dell'elasticità in termini percentuali. Il secondo termine è p/q, che è il rapporto delle coordinate del punto A. Poiché la pendenza ?p/ ?q è costante, è evidente che l'elasticità lungo la curva varia al variare del rapporto p/q, che è pari a zero nel punto in cui la curva interseca l'asse delle quantità, e "infinito" nel punto in cui essa interseca l'asse dei prezzi.

Figure 4.4 Elasticity on a Linear Demand Curve

D

Price

B ?p

A ?q

p

0

q Quantity

56


La spesa totale dei consumatori, cioè il prezzo per la quantità (e di conseguenza il ricavo totale dei produttori) per un dato bene in un determinato mercato varia a seconda dell’elasticità della curva di do manda quando varia il prezzo. Come abbiamo visto, se l’elasticità è maggiore di uno (la domanda è relativamente elastica) la quantità domandata varia percentualmente in misura maggiore di quanto non sia variato il prezzo. Questo significa che se il prezzo diminuisce, la quantità domandata aumenterà in misura tale da determinare un au mento della spesa dei consumatori per quel bene. Al contrario, se il prezzo aumenta, la spesa dei consumatori diminuisce. Viceversa, se l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è minore di uno (la domanda è cioè relativamente rigida) la quantità domandata varia percentualmente in misura minore del prezzo. Questo significa che se il prezzo diminuisce, la quantità domandata aumenterà in misura modesta, tale da determinare una diminuzione della spesa dei consumatori per quel bene. Al contrario, se il prezzo aumenta, la spesa dei consumatori aumenta. Per riassumere:

L’elasticità e il ricavo totale totale • Riassumiamo: l’elasticità determina il comportamento del ricavo totale in relazione ad una variazione del prezzo: – Se e(d) > 1, la quantità aumenta più che proporzionalmente al diminuire del prezzo: il ricavo totale aumenta – Se e(d) ? 1, la quantità aumenta proporzionalmente al diminuire del prezzo: il ricavo totale resta lo stesso – Se e(d) < 1, la quantità aumenta meno che proporzionalmente al diminuire del prezzo: il ricavo totale diminuisce 34

57


Le diverse elasticità • L’elasticità della domanda rispetto al prezzo può essere divisa in cinque categorie: – Perfettamente elastica – Relativamente elastica – Elasticità unitaria – Relativamente rigida – Perfettamente rigida Categorie

Valore dell’elasticità ?

Perfettamente elastica

e ???

Relativamente elastica Elasticità unitaria

1<e<? e=1

Relativamente rigida

0<e<1

Perfettamente rigida

e=0

58

25


Domanda perfettamente elastica • e=? • Un piccolissimo cambiamento del prezzo causa una variazione infinita nella quantità domandata • La domanda perfettamente elastica è rappresentata da una retta orizzontale. P

26

Q

Domanda relativamente elastica • 1<e<? – La domanda relativamente elastica si ha quando un cambiamento relativamente piccolo del prezzo causa un cambiamento relativamente grande della quantità – Le curve di domanda relativamente elastiche sono curve con una bassa pendenza P

Q

59

27


Domanda perfettamente rigida • e=0 – La domanda è perfettamente rigida quando un cambiamento infinitamente grande del prezzo causa un cambiamento infinitamente piccolo della quantità. – La domanda perfettamente rigida è rappresentata da una retta verticale P

Q

28

Domanda relativamente rigida • 0<e<1 – La domanda è relativamente rigida quando un grande cambiamento del prezzo causa una piccola variazione della quantità – Una domanda relativamente rigida è rappresentata da una curva molto inclinata P

Q

60

29


Elasticità unitaria • e=1 – Una domanda ha una elasticità unitaria quando la variazione percentuale del prezzo causa una eguale variazione percentuale della quantità. – Una curva che ha sempre elasticità unitaria è un iperbole equilatera P

Q

Altri tipi di elasticità: l’elasticità incrociata della domanda • Misura la reazione della quantità domandata del bene A, a, al variare del prezzo del bene B, pb, cioè la variazione percentuale di a sulla variazione percentuale del prezzo di b.

e pb (a) ?

Da / a Dpb / pb

Due casi: Beni complementari (es. sci e scarponi): all’aumentare del prezzo di B, diminuisce la quantità di A (elasticità negativa) Beni sostituibili (es. birra e vino): all’aumentare del prezzo di B aumenta la quantità di A (elasticità positiva) 35

61

30


Altri tipi di elasticità: l’elasticità della domanda rispetto al reddito • Si tratta della sensibilità della domanda al variare del reddito. Se Y è il reddito, misura la variazione percentuale della domanda del bene sulla variazione percentuale del reddito

e y (d ) ?

?D /D ? Y /Y

In genere l’elasticità è positiva (aumenta il reddito e aumenta il consumo dei beni normali). Tuttavia esistono anche i beni inferiori che hanno elasticità negativa: con l’aumentare del reddito i beni di scarsa qualità vengono sostituiti dai beni di qualità superiore (pesce azzurro rispetto al pesce più pregiato). 36

Le curve di Engel

• Studiando i bilanci familiari, si è visto che al crescere del reddito l’incremento nel consumo dei beni normali può essere differente: –

Beni di prima necessità (es. alimenti): crescono sempre più lentamente (ad un tasso decrescente)

Beni di lusso (es. viaggi all’estero): crescono sempre più rapidamente (ad un tasso crescente)

Beni durevoli (frigoriferi ecc.) hanno una crescita che prima accelera e poi rallenta, fino ad arrivare ad un punto di saturazione

62


La rappresentazione grafica C

C

Beni di prima necessità C

Y

Y

Beni di lusso

Beni durevoli

Y

38

Eccezioni alla legge di domanda

• In alcuni casi la legge di domanda può non funzionare: –

I beni possono essere comprati per mostrare il proprio status sociale: abbassare il prezzo di una particolare linea di vestiti può farli apparire “comuni”, e le vendite possono addirittura diminuire

Il paradosso di Giffen: alcuni beni inferiori (soprattutto alimentari) possono essere la principale fonte di calorie dei poveri. Se il loro prezzo cresce, questi non potranno permettersi l’acquisto di altri beni e aumenteranno il consumo dei beni di Giffen (caso delle patate durante la carestia in Irla nda). Curve di domanda di breve e di lungo periodo

La curva di lungo Dl è più elestica di quella di breve. Sia E° l'equilibrio, col prezzo p° e la quantità q°. Se il prezzo sale a p1, nel breve periodo i consumatori reagiscono lungo la curva di domanda D°, riducendo i consumi a q1' e pervenendo a un equilibrio transitorio E'1. Effettuati tutti gli aggiustamenti, verrà raggiunto un nuovo equilibrio in E1, con la quantità pari a q1. Vi sarà allora una nuova curva D1, passante per E1. Un ulteriore aumento del prezzo fino a p2 provocherebbe dapprima un equilibrio di breve periodo in E'2 con una quantità pari a q'2 e infine un nuovo equilibrio di lungo periodo in E2, con una quantità pari a q2. La curva di lungo è più elastica di quelle di breve, dato che nel lungo periodo il bene più costoso verrà sostituito sempre più con beni simili meno costosi.

63


Figure 4.8 Short-run and Long-run Demand Curves

E2

E’2

p2 E1

E’1

Price

p1

E0

p0

Dl

Ds2

q2

q’2 q1

Ds1

q’1 q0

Quantity

64

Dso


10. Come funzionano i mercati Il meccanismo di mercato: l'offerta

I venditori • Coloro che offrono sono i venditori dei beni e servizi • Il loro obiettivo è ottenere il maggior profitto possibile dalle vendite • Se il prezzo cresce, otterranno profitti più alti e saranno indotti a produrre di più, mentre altri imprenditori saranno attirati nel settore • Al contrario, se il prezzo diminuisce, i venditori offriranno una quantità minore, e alcuni usciranno dagli affari 2

La regola dell’offerta • L’offerta segue regole simili, ma speculari, a quelle della domanda – La relazione tra prezzo e quantità offerta non è così certa come la relazione tra prezzo e quantità domandata – La regola della offerta è più forte quanto più forte è la competizione tra le imprese – La regola dell’offerta è influenzata dal tempo preso in considerazione • Nel breve periodo gli impianti sono dati e si può aumentare l’offerta solo aumentando il lavoro • Nel lungo periodo si possono aumentare gli impianti 3

65


Una definizione più formale • L’offerta è la volontà e la capacità di vendere una serie di quantità di un bene ad una serie di prezzi, durante un certo periodo di tempo. Come per la domanda abbiamo tre punti: • Volontà e capacità. • Serie di quantità e di prezzi. – Ad ogni prezzo corrisponde una distinta quantità

• Un determinato periodo di tempo. 4

Il prezzo di offerta • Il prezzo di offerta è il prezzo minimo che i venditori vogliono e sono capaci di accettare per una data quantità di un bene – I venditori accetterebbero volentieri un prezzo più alto, se potessero ottenerlo

5

66


La quantità offerta • Come per la domanda, il prezzo e la quantità sono numeri collegati due a due. • La quantità offerta non è la stessa cosa della offerta. • L’offerta è l’intera serie di prezzi e quantità collegati due a due. • La quantità offerta è una specifica quantità venduta ad uno specifico prezzo. 6

La legge dell’offerta • La legge dell’offerta è la relazione che lega il prezzo alla quantità offerta, ceteris paribus. • La relazione è diretta: se aumenta il prezzo aumenta la quantità offerta e viceversa. – La legge dell’offerta è più debole della legge della domanda. – La clausola del ceteris paribus è importante anche per la legge dell’offerta. 7

67


La scheda di offerta

• Questa tabella è una scheda di offerta che presenta la relazione tra una serie di prezzi e una serie di quantità (tutto il resto rimanendo uguale o ceteris paribus) 8

La curva di offerta

• La scheda di offerta può essere usata per costruire una curva di offerta. – I punti con le coordinate prese dalla scheda sono uniti e formano la curva. – La curva di offerta ha una pendenza positiva.

68

9


Lo spostamento della curva di offerta: un incremento

• I fattori determinanti l’offerta spostano la curva. – Il cambiamento di uno dei fattori determinanti l’offerta può causare uno spostamento a destra della curva: per ogni dato prezzo i venditori offrono una quantità maggiore. 10

Lo spostamento della curva di offerta verso destra fa sì che allo stesso prezzo sia offerta una quantità maggiore.

Lo spostamento della curva di offerta: la diminuzione

• I fattori determinanti l’offerta spostano la curva. – Il cambiamento di uno dei fattori determinanti l’offerta può causare uno spostamento a sinistra verso l’alto della curva: per ogni dato prezzo i venditori offrono una quantità minore .

12

Lo spostamento della curva di offerta verso sinistra fa sì che allo stesso prezzo sia offerta una quantità minore. 69


La variazione della quantità offerta • La variazione della offerta non va confusa con la variazione della quantità offerta lungo la curva, dovuta ad una variazione del prezzo, come nella figura qui sotto P P1 P2 14

Q1

Q2

Q

L'aumento del prezzo fa aumentare la quantità offerta (spostamento lungo la curva).

I fattori determinanti l’offerta • I fattori che determinano la variazione dell’offerta sono: – I prezzi delle risorse che influenzano i costi di produzione – La tecnologia; un progresso tecnologico fa diminuire i costi per unità di prodotto – Le aspettative dei venditori per i prezzi futuri – Il numero dei venditori: un maggior numero di venditori aumenta l’offerta – Questi fattori includono tutto ciò che influenza l’offerta, esclusi i prezzi 16

70


Cambiamenti • La differenza tra: – Offerta: l’intera serie dei prezzi e quella delle quantità correlati a due a due – Quantità offerta, una specifica quantità offerta ad un dato prezzo.

• La differenza tra: – Cambiamento dell’offerta: si sposta l’intera curva perché è cambiato uno o più fattori determinanti. – Cambiamento nella quantità offerta: ci muoviamo lungo la stessa curva di offerta, perché varia il prezzo. Solo gli spostamenti di prezzo fanno variare la quantità offerta. 17

L’elasticità dell’offerta • Come per la curva di domanda può essere calcolata l’elasticità dell’offerta • L’elasticità della offerta rispetto al prezzo è il rapporto tra la variazione percentuale della quantità offerta e la variazione percentuale del prezzo.

18

71


Il coefficiente di elasticità • Il coefficiente di elasticità è la misura numerica della risposta relativa della quantità offerta al cambiamento del prezzo. • La formula generale per calcolare il coefficiente di elasticità è: e(o) ?

? Q /Q ? P / P

L’elasticità dell’offerta è positiva 19

Se la quantità offerta sale del 20% quando il prezzo sale del 10%, l'elasticità di offerta è pari a 2; se la quantità offerta aumenta invece del 5%, l'elasticità d'offerta è pari a 1/2. Quando l'elasticità è superiore a 1, si dice che l'offerta è elastica, per indicare che basta una piccola variazione del prezzo per provocare una variazione relativamente ampia della quantità offerta. Viceversa, quando l'elasticità è minore di 1, si dice che l'offerta è rigida.

72


11. Come funzionano i mercati

L'equilibrio del mercato

Il prezzo di equilibrio • La combinazione tra forze della domanda e forze dell’offerta stabilisce il prezzo di equilibrio – Domanda: il prezzo e la quantità vanno in direzione opposta – Offerta: il prezzo e la quantità vanno nella stessa direzione

2

Eccesso di offerta • Se c’è eccesso di offerta di un bene, nel mercato è portata una quantità superiore a quella domandata a quel prezzo – Per sbarazzarsi delle scorte, i venditori ribassano il prezzo • Se il prezzo diminuisce, la quantità domandata aumenta • I produttori producono per il futuro quantità minori • Si stabilisce l’equilibrio ad un prezzo più basso, con una quantità scambiata più alta, ma con un’offerta minore

3

73


Eccesso di domanda • In questo caso è presente una quantità minore del bene rispetto a quella domandata al prezzo prevalente – Chi domanda è disposto a pagare un prezzo più alto – Chi offre, ad un prezzo più alto, è disposto a produrre di più – Si stabilisce l’equilibrio ad un prezzo più alto, con una quantità scambiata più alta, con una domanda minore ed un offerta maggiore 4

Il prezzo di equilibrio • E’ quel prezzo al quale chi offre riesce a vendere esattamente la quantità che vuole vendere a quel prezzo e chi domanda riesce ad acquistare esattamente la quantità che vuole acquistare a quel prezzo

5

74


Il meccanismo di mercato • Nel mercato si ha lo scambio organizzato di beni e servizi tra venditori e compratori in un determinato periodo di tempo – Nei mercati si realizzano scambi volontari tra venditori che offrono un bene e compratori che lo domandano

6

Schede di domanda e offerta • La tabella combina le schede di domanda e offerta per le videocassette. Il prezzo varia da 10 a 90. La quantità domandata da 800 a 0. La quantità offerta da 0 a 800. • Legge di domanda: Se il prezzo cresce da 10 a 90, la quantità domandata decresce da 800 a zero. • Legge di offerta: se il prezzo cresce da 10 a 90, la quantità offerta cresce da zero a 800.

7

75


L’equilibrio • Cosa accade se i venditori e i compratori hanno di fronte un prezzo di 50 – La quantità domandata è 400 – La quantità offerta e 400 – Quantità domandata e offerta sono le stesse – Questo è l’equilibrio – L’equilibrio permane finché non cambiano i fattori determinanti l’offerta e la domanda – Questo prezzo è l’unico al quale la quantità domandata e offerta sono uguali 8

Le curve • Combinando le curve di domanda e offerta in un grafico si ha il grafico del mercato – La pendenza negativa indica la legge di domanda – La pendenza positiva indica la legge di offerta 9

76


L’equilibrio tra le curve • Questo grafico mostra l’equilibrio della domanda e dell’offerta. • L’equilibrio si ha nel punto in cui la curva di domanda incrocia la curva di offerta. • In questo punto il prezzo è 50 e le quantità domandata e offerta sono 400. 10

Auto-correzione • Nei mercati è insito un meccanismo di auto-correzione: • Se il mercato è in equilibrio, rimane lì • Se il mercato non è in equilibrio si muove verso l’equilibrio. – Sotto l’equilibrio c’è eccesso di domanda. – Sopra l’equilibrio c’è eccesso di offerta. – Creando eccesso di offerta o di domanda, i prezzi non di equilibrio tendono a variare verso il prezzo di equilibrio. 11

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Eccesso di domanda • Un eccesso di domanda si verifica quando la quantità domandata è più alta della quantità offerta al prezzo corrente di mercato . – In questo caso il prezzo di mercato è 30. – La quantità offerta è 200 e quella domandata è 600. C’è una carenza di 400 videocassette. – La carenza di beni fa crescere il prezzo fino al livello di equilibrio di 50

12

L'eccesso di domanda significa che il prezzo è troppo basso e sul mercato è portata una quantità troppo bassa di beni. Il prezzo tende dunque ad alzarsi fino a ripristinare l'equilibrio.

Eccesso di offerta • Un eccesso di offerta si verifica se la quantità domandata è minore della quantità offerta al prezzo corrente. – Un eccesso di offerta si verifica al prezzo di 70. – La quantità domandata è di 200 videocassette e quella offerta di 600, con un surplus invenduto di 400. – Il surplus fa diminuire il prezzo fino al livello di equilibrio di 50.

78

14


L'eccesso di offerta significa che il prezzo è troppo alto e sul mercato è portata una quantità troppo alta di beni. Il prezzo tende quindi a scendere fino a ripristinare l'equilibrio.

Tradizione, comando e mercato • I vantaggi del sistema di mercato – Le motivazioni si basano sull’interesse personale: • il consumatore cerca di trarre il massimo benessere da un reddito limitato • il capitalista cerca di trarre il massimo profitto

– Il prezzo, se c’è abbastanza concorrenza, tende a riflettere i costi di produzione – Non c’è bisogno di un comando dall’alto: i “comandi” vengono dai cambiamenti dei prezzi – Le forze opposte dell’interesse personale e della concorrenza lavorano per stabilire l’ordine microeconomico 16

Cosa, come e per chi • Il meccanismo di mercato: – Cosa: la ricerca del profitto da parte delle imprese porta a rispondere alla domanda “cosa” produrre. Se c’è eccesso di domanda la produzione aumenta e viceversa. – Come: stesso meccanismo - se c’è eccesso di domanda di lavoro e i salari salgono, le imprese utilizzeranno tecnologie che usano più capitale e meno lavoro – Per chi: dipende dalla domanda e dall’offerta dei fattori di produzione. Se si possiede un fattore con un alto prezzo si avrà un alto reddito e si comanderà un alto consumo e viceversa. • Questo meccanismo non sempre è equo, né democratico (non rispetta il principio “one man one vote”) 17

79


12. Come funzionano i mercati

Il caso del mercato degli appartamenti Efficienza paretiana

Un modo alternativo ma equivalente di ragionare su tabelle e su curve di Domanda e di Offerta ricorre al concetto di prezzo di riserva, che indica la massima (minima) somma che ciascun soggetto è disposto a pagare (ricevere) volontariamente per ottenere (cedere) un certo bene. Ossia: quanto denaro occorre per modificare un comportamento individuale? Il prezzo di riserva indica il "filo di rasoio" (il punto d'indifferenza) che separa la consuetudine (lo status quo) dal cambiamento (dall'innova zione). Tutta la logica dell'analisi marginale si concentra sui "piccoli intorni" dei punti in cui diventa problematico sia agire che non agire. Il prezzo di riserva c'introduce a questa concezione. Esempio: il mercato degli appartamenti non periferici. Se il prezzo d'affitto è 500, soltanto un soggetto è disposto a prendere in affitto; e così via. Ad ogni dato prezzo, il numero degli appartamenti affittati è uguale al numero dei soggetti che hanno un prezzo di riserva uguale o maggiore di quel dato prezzo. Disegniamo la "spezzata di domanda", che diventa una curva in presenza di molti (infiniti) appartamenti.

Prezzo

500

di riserva

490 480

1 Numero di appartamenti

Disegniamo la curva di offerta, che stavolta è una retta verticale. Si ipotizza cioè che a qualsiasi prezzo saranno offerti tutti gli appartamenti disponibili (meglio ricavare poco che nulla). È un caso di offerta assolutamente fissa o inelastica.

80


Questo caso può riguardare o la Gioconda di Leonardo, o qualunque bene nel brevissimo periodo: ad esempio un ponte, una volta costruito, rende (in pedaggi) ciò che il traffico produce, indipendentemente dai costi sostenuti. Così, dati gli appartamenti oggi affittabili, gli offerenti si accontentano del prezzo più elevato che consente loro di locare tutti gli appartamenti. Nella figura sotto, p* è il prezzo d'equilibrio. In sua corrispondenza, il comportamento dei soggetti non ha più motivo di cambiare. L'equilibrio è dunque una posizione di quiete, in cui le varie forze in gioco si bilanciano. Esso è qui anche la posizione scelta dai soggetti, e quindi è una posizione di ottimo. Non sempre i due significati coincidono: si pensi alla disoccupazione involontaria di Keynes (è punto di quiete ma non ottimale).

p*

Cosa accade all'equilibrio, quando mutano le condizioni di mercato? In che modo il nuovo equilibrio è connesso al vecchio? Il metodo della statica comparata risponde confrontando i due stati di equilibrio, senza tracciare il sentiero (fuori dall'equilibrio) che porta dall'uno all'altro. Vediamo un caso elementare: all'aumentare dell'offerta di appartamenti, il prezzo di equilibrio diminuisce.

p* p**

81


Ipotizziamo adesso che un gruppo di appartamenti non sia più dato in affitto, ma posto in vendita. Decrescono tanto l'offerta quanto la domanda di appartamenti locabili. Se dunque le curve di D e di O si spostano a sinistra in eguale misura, p* non muta. Ciò richiede però un'ipotesi non banale: che chi compra casa, sia uno degli ex- locatari non periferici. Non è scontato che chi risiedeva in quella zona da locatario vi rimanga da proprietario. Stiamo ipotizzando che al variare delle alternative i gusti non cambino.

p* non cambia p*

Guardiamo infine come cambia l'equilibrio in seguito ad una tassa comunale sulle abitazioni. Poiché la curva di O è verticale, l'equilibrio non muta. Infatti i proprietari chiedono già il prezzo ma ssimo al quale possono locare tutti gli appartamenti. Non possono quindi trasferire la tassa sui locatari. Fin qui abbiamo esaminato il caso del mercato concorrenziale. Se sul mercato vi è un solo venditore, si ha un monopolio puro. Il monopolista fissa un unico prezzo. Quale? Vende tutte le merci ad un prezzo più basso, o ne vende solo alcune ma ad un prezzo maggiore? Il suo calcolo procede così. Per ogni unità aggiuntiva venduta, egli ricava il prezzo di quel bene, ma subisce una perdita per il fatto di dover vendere la produzione del livello precedente tutta ad un prezzo minore.

OFFERTA E RICAVO TOTALE PER IL MONOPOLISTA PURO Quantità offerta 0 1 2 3 4 5

Prezzo unitario 16 14 12 10 8 6

82

Ricavo totale (Q x P) 0 14 24 30 32 30


Al contrario, l'impresa in concorrenza perfetta può vendere tutto ciò che desidera al prezzo corrente di mercato. Intuitivamente (per il momento; ma si veda lezione 21) si capisce che mentre chi offre in concorrenza, più produce e più guadagna; chi offre come monopolista ha convenienza (per ma ssimizzare il profitto ovve ro il ricavo totale) ad offrire meno che in concorrenza e ad un prezzo più alto. Se il monopolista mette all'asta al miglior offerente un'unità del bene dopo l'altra, si ha un monopolio discriminatore, il quale distingue i vari prezzi di riserva dei client i per ottenere da ogni acquirente il massimo. L'allocazione di ciascun appartamento avviene come sul mercato competitivo, ma non si stabilisce più un prezzo unico per il bene-appartamento. Infatti gli individui ai quali vengono assegnati gli appartamenti sono quelli che valutano questo bene più di p*. L'ultimo paga il prezzo p*, che equivale al prezzo di equilibrio in concorrenza. (Questo è però un caso irrealistico. Su un mercato decentrato, nessun despota può conoscere ex ante i prezzi di riserva di ogni soggetto. Potrebbe imporre coattivamente le sue stime di essi, ma saremmo così fuori dagli assetti contrattuali). Il quarto e ultimo modo di funzionamento del mercato è la sua regolamentazione politica. I controlli sui prezzi sono regolamenti imposti dallo Stato che proibiscono l'aggiustamento dei prezzi per portare il mercato in equilibrio. Supponiamo che venga imposto un equo canone, minore di p*. Si ha un eccesso di domanda. Chi riuscirà ad ottenere gli appartamenti? Qui dall'allocazione mercantile, passiamo ad un'allocazione politica, clientelistica, di clan, ecc. Qual è il modo di allocazione dei beni più efficiente, tra i quattro considerati? Per rispondere, introduciamo il concetto di efficienza paretiana : dati i gusti dei consumatori, date le risorse, data la tecnologia, un'allocazione è efficiente in senso paretiano se non è possibile muoversi ad altra allocazione che migliori la condizione di qualcuno, senza peggiorare la condizione di qua lcun altro. Beni per Susanna Beni per Susanna E

G B

Qs

A

A

C

D

C

F

Beni per Davide

B Beni per Davide

Qd

83


Abbiamo un'economia con due soli individui. L'allocazione iniziale è A. È efficiente? Riorganizzando la produzione, perveniamo a B. Poiché Davide e Susanna desiderano una maggiore quantità di beni ad una minore, B è migliore perché entrambi hanno di più. Lo spostamento da A a B (o a G) è un miglioramento paretiano in quanto Susanna migliora mentre Davide non peggiora. Dunque, se B o G sono accessibili, A è paretianamente inefficiente. C è invece peggiore. Infine, per comparare A con D, E o F occorrono dei giudizi di valore sulla maggiore o minore importanza dell'utilità di Susanna rispetto a quella di Davide e viceversa: infatti in quelle allocazioni uno ci guadagna e l'altro no. L'efficienza paretiana separa efficienza da equità (giudizi di valore). Nella figura a destra, la frontiera AB indica la quantità massima di beni che l'economia può produrre per una persona, data la quantità prodotta per l'altra persona. Tutti i punti sulla frontiera sono efficienti paretianamente: infatti la situazione di Davide può migliorare solo peggiorando quella di Susanna e viceversa. La distribuzione è più equa in C che in A o B, ma i tre punti sono tutti parimenti efficienti. Un paio di osservazioni sul criterio paretiano: riesce a rendere "neutrale" l'analisi economica, lasciando fuori di essa i giudizi di valore? Riesce a separare l'analisi dell'efficienza da quella dell' equità? Sen sostiene che spesso il passaggio da un'allocazione all'altra, anche quando è economicamente vantaggioso per tutti (e dunque esaudisce il criterio di Pareto), può modificare l'allocazione di beni non-economici ma cruciali per il nostro benessere totale. Ad esempio, i diritti politici di libertà assicurano che io abbia una sfera privata intangibile in cui leggo ciò che voglio, credo in quel che mi pare, ecc. Ora, un passaggio in cui tutti, anche i poveri, vedono la loro posizione inalterata, tranne un ricco che diventa ancora più ricco, rappresenta un miglioramento paretiano. Non è così però, nota Sen, nell'ottica del liberalismo, se, poniamo, il ricco acquista o controlla tutti i mezzi d'informazione di massa, togliendo ai cittadini, pur provvisti di redditi e ricchezze invariati, il diritto politico alla libera informazione. Ecco dunque la contraddizione: il marginalismo esalta il libero mercato come il regno degli scambi volontari con i quali ogni individuo può scegliere; d'altra parte, proprio quando il mercato opera con piena efficienza, i diritti liberali possono non essere rispettati. La logica del teorema di Sen può essere compresa ragionando così: si ha efficienza paretiana in una posizione in cui, tra l'altro, sono eguali al margine le utilità degli agenti. Ma se consideriamo altri spazi di scelta (come quello dei diritti di libertà, oppure quello delle capabilities di cui diremo ne lla lezione 27), allora è impossibile eguagliare insieme le utilità e le altre cose. Ciò in quanto le persone sono diverse nei loro tassi di conversione di uno di queste cose in un'altra. Se tu ed io abbiamo tassi diversi di conversione di diritti in utilità, un governo o un mercato può egualizzare le nostre quote di

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diritti, rendendo così ineguali i nostri gradi di utilità (sia totale che marginale), oppure può rendere i nostri gradi di utilità eguali, rendendo ineguali le nostre quote di diritti. Se portiamo all'eguaglianza le utilità marginali – pervenendo all'efficienza di Pareto – non possiamo che rendere diseguali, poniamo, i diritti – negando la figura del Liberale. Vediamo questa "impossibilità del liberale paretiano", esaminando il caso in cui Susanna vuole leggere Versetti satanici, mentre Davide vuole proibire quel libro. X = solo Susanna legge il li- Y = solo Davide legge il Z = nessuno legge il libro bro libro

Davide Susanna

** ***

* **

*** *

Per preservare le preferenze di Davide, nessuno deve leggere il libro (Z preferito a X). Per Susanna Y è preferito a Z, ossia è meglio che il libro sia letto da Davide anziché vietato. Ne segue che, per rispettare le libertà dei due individui, la società dovrebbe preferire Z a X e Y a Z, ossia Y è meglio di Z che è meglio di X. Ma se guardiamo la graduatoria delle preferenze dei soggetti, X è paretianamente superiore a Y, in quanto entrambi preferiscono X ad Y (e il criterio paretiano privilegia gli ordinamenti unanimi delle preferenze).

Un'altra critica riguarda l'interdipendenza delle utilità. Pareto immagina che se tu migliori e io resto fermo al palo, non avrò motivi razionali per oppormi alla tua mossa. Se però i miei guadagni futuri dipendono anche da quanto tu guadagni all'inizio della partita, allora sarà strategicamente razionale oppormi al tuo miglioramento. Concludiamo tornando ai quattro tipi di mercati e confrontandoli in base all'efficienza paretiana. Essa può anche definirsi come un'allocazione in cui tut ti gli scambi volontari sono stati effettuati: infatti soltanto se nessuno si oppone (in quanto danneggiato), è lecito a qualcun altro migliorare. Nel caso esaminato in questa lezione, dati O appartamenti da affittare con gli scambi volontari li otterranno gli individui coi prezzi di riserva più alti. Se infatti immaginiamo che all'inizio l'allocazione degli appartamenti avvenga per sorteggio, con la possibilità di subaffittarli, alla fine essi andranno appunto ai soggetti coi prezzi di riserva maggiori. Tanto il mercato concorrenziale, quanto il monopolio discriminatore sono Pareto-efficienti, pur con distribuzioni del reddito assai diverse (nel secondo meccanismo è il solo monopolista ad arricchirsi: siamo in un punto A o B…). Ciò ribadisce che il requisito dell'efficienza sia separato dal requisito dell'equità.

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Il monopolio puro è inefficiente, poiché alcuni appartamenti restano sfitti (la soddisfazione del monopolista si realizza a danno di quella dei consumatori); l'equo canone è pure inefficiente, dato che se fosse possibile subaffittare esso sarebbe spazzato via dagli scambi volontari.

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13. Come funzionano i mercati

Analisi di politica economica

Per molti problemi di politica economica l'applicazione della legge dell'offerta e della domanda è essenziale. Vediamo qualche caso significativo in una lezione che, pur senza aggiungere molti concetti, addestra al ragionamento economico. Una maggiore repressione poliziesca sposta a sinistra la curva di offerta; se la curva di domanda è inelastica, la spesa dei consumatori aumenta nonostante la riduzione della quantità domandata. Una campagna informativa di dissuasione può ridurre la domanda, spostando a sinistra la sua curva; in questo caso sia il prezzo che la quantità diminuiscono e la spesa totale dei consumatori decresce.

Un'imposta su un bene crea uno scarto tra il prezzo pagato dal compratore e quello incassato dal venditore. Quando si giunge al nuovo equilibrio, il compratore paga un prezzo superiore a quello precedente, mentre il venditore incassa meno. Entrambi condividono l'onere dell'imposta, la cui indidenza (cioè chi la paga effettivamente) è indipendente dalla scelta di chi deve essere chiamato a pagarla. Nella Figura sotto, è rappresentata un'imposta sul consumo. Se è pari a 0,5 euro, la curva di domanda si sposta verso il basso di 0,50 euro, da D1 a D2. La quantità di equilibrio scende da 100 a 90 gelati; il prezzo che riceve il venditore diminuisce da 3,00 a 2,80 euro; il prezzo pagato dal consumatore aumenta da 3,00 a 3,30 euro. Sebbene si tratti di un'imposta sul consumo, sia il compratore che il venditore ne sopportano l'onere.

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Nella Figura sopra, se viene introdotta un'imposta sulla produzione pari a 0,50 euro, la curva di offerta si sposta verso l'alto di 0,50 euro da O1 a O2. La quantità di equilibrio si riduce da 100 a 90 gelati. Il prezzo che riceve il venditore diminuisce da 3,00 a 2,80; il prezzo pagato dal consumatore aumenta da 3,00 a 3,30 euro. Sebbene si tratti di un'imposta sulla produzione, sia il compratore che il venditore ne sopportano l'onere. Nella Figura sotto, un imposta sul monte salari crea un differenza tra il salario che il lavoratore riceve e ciò che l'impresa paga. Confrontando le retribuzioni in assenza o in presenza di imposta sul monte salari, l'onere fiscale è sopportato sia dal lavoratore che dal datore di lavoro. Tale suddivisione non dipende dal fatto che il fisco chieda a una parte, all'altra o entrambe in parti uguali di provvedere al pagamento dell'imposta stessa.

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Nella Figura sopra, nella sezione (a) la curva O è elastica e quella D anelastica. In questo caso il prezzo ricevuto dal venditore diminuisce moderatamente, mentre quello pagato dal compratore au89


menta in maniera consistente. È dunque il compratore che si fa carico della quota maggiore di onere. Nella sezione (b) la curva O è anelastica, mentre quella D è elastica. In questo caso il prezzo incassato dal venditore diminuisce drasticamente, a fronte di una variazione contenuta nel prezzo pagato dal compratore: è dunque il venditore che si assume la quota più rilevante di onere fiscale. Riassumendo, l'onere dell'imposta tende a gravare maggiormente sulla componente di mercato dotata di minore elasticità. Se la domanda è più elastica dell'offerta, l'imposta grava di più sui venditori che sui compratori. Ma se la domanda è meno elastica dell'offerta, l'onere maggiore toccherà ai compratori. Si pensi a due gruppi, uno che compra e l'altro che vende. Uno dei due pensa: "Non siamo tenuti a restare sul mercato; se il prezzo varia a nostro sfavore, ci ritiriamo. Siamo elastici ai cambiamenti". E che l'altro gruppo ragioni: "Siamo costretti a stare sul mercato. Siamo rigidi alle variazioni del prezzo". Il secondo gruppo si accollerà la maggior parte dell'onere dell'imposta. Esempio numerico. Il prezzo della benzina prima del tributo è di 1,5 euro al litro e il tributo è di 1 euro al litro. Il prezzo, dopo il tributo, aumenta meno di 1 euro, passando ad esempio a 2 euro. Ciò vuol dire che per ogni litro di benzina venduto, il produttore incassa 2 euro, di cui 1 viene versato allo Stato e 1 resta a lui. Rispetto a quando incassava 1,5 euro per litro, il produttore sta peggio, ma non tanto peggio in quanto 0,5 euro del 1 euro di tributo sono pagate dal consumatore, che ha visto salire il prezzo da 1,5 euro a 2 euro. LIVELLI MASSIMI E MINIMI DEL PREZZO Il livello massimo è il prezzo più elevato al quale un bene può essere legalmente ve nduto. Se tale livello è più basso del prezzo d'equilibrio, la quantità domandata supera quella offerta e, a causa della scarsità del bene, i venditori devono razionarlo in qualche modo tra i compratori.

Nella sezione (a) della Figura sotto, il governo impone un livello massimo di prezzo pari a 4 euro. Poiché è più elevato del prezzo di equilibrio di 3 euro, il massimale non ha alcun effetto: sia la quantità domandata che quella offerta sono pari a 100 gelati. Nella sezione (b) il livello massimo di prezzo è a 2 euro. Essendo inferiore al prezzo di equilibrio, il prezzo di mercato sarà di 2 euro. A questo prezzo la quantità doma ndata è di 125 gelati, mentre quella offerta è di 75. Si crea una scarsità nella misura di 50 gelati.

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Nella sezione (a) della Figura sotto, vi è il mercato della benzina in assenza di un vincolo di prezzo efficace, in quanto superiore al prezzo di equilibrio P1. Nella sezione (b) un aumento del prezzo del greggio provoca uno spostamento della curva di offerta verso sinistra, da O1 a O2. In un mercato privo di regolamentazione, il prezzo sarebbe aumentato da P1 a P2 ma la presenza del vincolo lo impedisce. Raggiunto il prezzo massimo, i consumatori domandano la quantità Qd, mentre i produttori offrono soltanto la quantità Qo. La differenza (Qd - Qo) è la misura della scarsità di benzina.

Nella sezione (a) vi è l'effetto di breve periodo della regolamentazione dei canoni di locazione: poiché la domanda e l'offerta di canoni di locazione sono relativamente anelastiche, il vincolo di prez-

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zo imposto dalla legge provoca solo una modesta scarsità di alloggi. (Il numero degli appartamenti è fisso e anche la domanda è rigida). Nella sezione (b) si mostrano gli effetti di lungo periodo: a causa della maggiore elasticità di D ed O, la regolamentazione provoca una scarsità molto superiore. (Sul lato dell'offerta non vengono costruiti nuovi appartamenti, e quelli esis tenti cambiano uso; sul lato della domanda, i bassi prezzi incent ivano tanti consumatori a aspirare a locare un appartamento. Ne risulta una forte scarsità di alloggi).

Il livello minimo di un prezzo è il prezzo più basso al quale un bene può essere legalmente venduto. Se il livello minimo è più elevato del prezzo di equilibrio, la quantità offerta eccede quella doma ndata e, a causa dell'abbondanza del bene, la domanda dei compratori deve essere in qualche modo razionata tra i venditori. Nella sezione (a) della Figura sotto, il governo impone un livello minimo di prezzo pari a 2 euro. Poiché il prezzo limite è più basso del prezzo di equilibrio di 3 euro, il vincolo non ha alcun effetto e il mercato riesce a raggiungere l'equilibrio. Nella sezione (b) il livello minimo di prezzo viene posto a 4 euro. Essendo il prezzo limite superiore al prezzo di equilibrio, il prezzo di mercato è di 4 euro. A questo prezzo si crea una scarsità nella misura di 40 gelati.

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Nella sezione (a) della Figura sotto, vi è un mercato del lavoro in cui il salario porta al pareggio domanda e offerta. Nella sezione (b) è introdotto il salario minimo. Poiché esso si comporta come un livello minimo di prezzo, provoca un'eccedenza: la quantità di lavoro offerta eccede quella domandata e si crea disoccupazione.

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14-15. Scelta

Dietro la curva di domanda: la teoria delle scelte del consumatore

Il punto di partenza • A differenza dei classici, i neoclassici si basano interamente sullo scambio per spiegare il valore • Occorre spiegare che cosa determina la domanda e l’offerta • La teoria del valore è sviluppata analizzando le scelte dei consumatori e degli altri soggetti economici sulla base del comportamento dell’homo economicus – Quali sono le regole per cui il consumatore massimizza il proprio beneficio e l’imprenditore il proprio profitto, dati i vincoli di reddito e di risorse? 2

Il consumatore e l’utilità • Il desiderio per ogni bene decresce con l’aumento del consumo per periodo di tempo: – il terzo gelato mangiato in una settimana arreca un beneficio minore del secondo, il quarto un beneficio minore del terzo e così via. – Questa è la legge dell’utilità marginale decrescente: l’utilità di ogni unità extra (marginale) di un bene diminuisce quando aumenta il numero delle unità consumate in un dato periodo di tempo

3

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Utilità totale • L’utilità è il grado di soddisfazione di bisogni e desideri ottenuto dal consumo di beni e servizi • L’utilità totale è la soddisfazione totale ottenuta dal consumo di una data quantità di un bene o servizio – Supponiamo che aumentando la quantità consumata di un bene l’utilità totale cresca – L’analisi del comportamento del consumatore presuppone un confronto tra utilità totali: si sceglie l’alternativa che permette di massimizzare l’utilità totale – Nel mondo reale l’utilità non è misurabile in termini cardinali – Per semplicità, supponiamo che esista un modo di misurare l’utilità, in termini monetari 4

?? Che cosa è l'utilità ? Tutti sono d'accordo sul fatto che l'utilità è una proprietà (o, come alcuni dicono, una attitudine) delle cose (beni materiali o immateriali, eventi, ecc.) a produrre soddisfazione per gli individui. ?? Può l'utilità costituire la base per decisioni pratiche? Ad esempio, posso effettuare delle scelte tra beni, o tra azioni diverse, sulla base dell' utilità che ciascuno genera? ?? Facciamo un esempio. Il progetto, già in corso, della ciclopica diga delle Tre Gole, sul fiume Yuang-Tze, in Cina, comporterà l'allontanamento dalla proprie terre di qualche milione di abitanti, in cambio di vantaggi economici per un numero indefinito di altri abitanti. Come dire se i danni subiti dai primi possano essere compensati dai vantaggi dei secondi ? ?? Ancora: supponiamo che un certo numero di noi sia posto nella condizioni di godere di uno stesso bene: ad es., che l'Università di Firenze organizzi un concerto degli U2 e lo offra gratuitamente a tutti, studenti, docenti e personale dipendente. E' confrontabile l'utilità che io potrei ricevere da questo bene con quello che voi ne ricaverete? E quando si tratta di un aumento di stipendio eguale per tutti i professori di pari ruolo, si può dire che essi ne riceveranno la stessa utilità ? ?? Ma se non posso facilmente misurare l'utilità dei diversi individui, come posso compiere delle scelte pratiche tra le alternative di fronte alle quali posso trovarmi ?

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?? L'utilità non è forse semplicemente una comoda metafora verbale, una sorta di incarnazione di un'idea troppo astratta per poter essere applicata nella vita di tutti i giorni? ?? In effetti, dopo dibattiti secolari, gli economisti hanno finito per arrendersi di fronte alla difficoltà di misurare qualcosa di sfuggente e di soggettivo come l'ut ilità. ?? Nella prospettiva più recente (propria della c.d. New Welfare Economics), "maggiore utilità” viene assunta come sinonimo di "preferenza": se un bene genera più utilità di un altro, il primo sarà preferito al secondo. Se vedrò che Pinco Pallino, nell'alternativa tra il bene X e il bene Y, sceglie il primo, questo vorrà dire che X è per lui fonte di maggiore utilità rispetto a Y. ?? Ma, come si intuisce, in un tale approccio empirico il rischio della tautologia è evidente: un uomo preferisce fare ciò che preferisce fare. ?? Peraltro, non è così ovvio che io preferisco sempre e comunque i beni che generano maggiore utilità. Qualunque psicologo mi potrebbe spiegare tutta una serie di motivi per cui Pinco Pallino ha scelto X pur non essendo X il bene effettivamente più soddisfacente per lui. ?? Insomma l'utilità - concetto venerabile, sul quale è stata fondata la moderna Economia - è un concetto dal significato pratico molto dubbio. Nello stesso tempo, tuttavia, siamo portati a pensare che dovremmo disporre di un qualche modo per misurare il significato (in termini di piacere, di soddisfazione o simili) che i beni hanno per gli individui. ?? L'Economia ha finito per trovare ‘qualcosa’ di assimilabile al concetto primigenio di utilità. Questo qualcosa è individuato nella quantità di denaro che l’individuo - o il gruppo - è disposto a pagare per beneficiare di un cambiamento nel proprio benessere, o per non essere privato del benessere attuale.

?? A parte altre difficoltà che vedremo, questo concetto misura solo ciò che passa dal mercato. Il "teorema d'impossibilità del liberale paretiano" ha però mostrato i limiti gravi di questo approccio.

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La tabella dell’utilità totale Libri acquistati 1

• La tabella mostra l’utilità totale associata al consumo di libri per unità di tempo (es. un mese) • L’utilità cresce, ma sempre meno velocemente (è come se si camminasse su una strada in salita che diventa sempre meno ripida) 5

Utilità totale (£) 80.000

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110.000

3

130.000

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140.000

5

148.000

6 7

153.000 155.000

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156.000

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156.800

10

156.800

La curva dell’utilità totale Utilità Totale

• Dalla tabella dell’utilità totale è possibile tracciare la curva dell’utilità totale, che è una curva crescente concava verso il basso

180000 160000 140000 120000 100000 80000 60000 40000 20000 0 1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

Libri 6

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L’utilità marginale • Anche se l’obiettivo è massimizzare l’utilità totale, è più utile conoscere l’utilità marginale – L’utilità marginale è l’utilità addizionale ottenuta dal consumo di un’unità addizionale di bene o servizio – L’utilità marginale, in altre parole, è la soddisfazione legata al consumo dell’ultima dose di bene o servizio – Una formula utile:

utilità marginale ?

variazione della utilità totale variazione della quantità 7

La tabella dell’utilità marginale Libri acquistati 1

Utilità totale (£) 80.000

Utilità marginale (£) 80.000

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110.000

30.000

3

130.000

20.000

4

140.000

10.000

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148.000

8.000

6 7

153.000 155.000

5.000 2.000

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156.000

1.000

9

156.800

800

10

156.800

0

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• Dalla tabella dell’utilità totale è facile ricavare l’utilità marginale calcolando gli incrementi di utilità associati alle successive unità di libri consumati 8


La curva dell’utilità marginale Utilità marginale 90000 80000

70000 60000 50000 40000

30000 20000

10000 0 1

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3

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5

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Libri

• Dalla tabella dell’utilità marginale si ottiene la relativa curva • La curva dell’utilità marginale è decrescente • Poiché l’utilità è misurata in moneta, la curva rappresenta la curva individuale di domanda del bene 9

Utilità marginale e prezzi L’utilità marginale rappresenta il prezzo massimo che il consumatore è disposto a pagare per la corrispondente unità del bene. –

Nella tabella, pur di avere un libro il consumatore è disposto a pagare £ 80.000 lire. Non pagherà di più, perché altrimenti il costo sarebbe superiore al beneficio (cioè all’utilità).

Per avere una seconda unità il consumatore è disposto a pagare £ 30.000, per la terza £ 20.000.

Se il prezzo dei libri è £ 10.000 il consumatore massimizza la sua utilità acquistando 4 libri.

Il quinto libro ha infatti un’utilità di £ 8.000 e il consumatore perderebbe un’utilità di £2000 acquistandolo.

Non è conveniente neppure fermarsi al terzo libro, perché questo ha un’utilità di £ 20.000, quindi superiore al prezzo. Se continuo gli acquisti posso aumentare il mio beneficio al netto dei costi.

Il surplus del consumatore Il consumatore in realtà paga tutte le unità comprate allo stesso prezzo (£ 10.000). –

Tuttavia per lui la prima unità arreca un beneficio di £ 80.000, la seconda di £ 30.000, la ter-

99


za di £ 20.000 e solo la quarta di £ 10.000. –

Per le prime tre unità il consumatore ha un beneficio netto superiore al costo sopportato (£70.000 per la prima, £ 20.000 per la seconda e £ 10.000 per la terza). In totale questo beneficio netto è pari a £ 100.000

In generale questo beneficio netto è chiamato surplus del consumatore ed è dato dalla somma della differenza tra l’utilità marginale di ciascuna dose acquistata e l’utilità marginale dell’ultima dose.

Il grafico del surplus del consumatore Utilità marginale, Prezzo 90000 80000

70000 60000 50000 40000

30000 20000 10000 0 1

2

3

4

5

6

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8

9

10

• Il surplus del consumatore è rappresentato dall’area compresa tra la curva di domanda e il livello del prezzo

Libri 12

La scelta tra più beni Il nostro consumatore si trova ad effettuare scelte più complesse: ha un vincolo di reddito (o di bilancio) e deve scegliere tra più beni ??La prima cosa che deve fare è confrontare le utilità di più beni, di cui conosce i prezzi. ??Deve quindi dividere un reddito di £ 120.000 tra libri (prezzo £ 10.000) e CD (prezzo £ 20.000). ??Per massimizzare la propria utilità totale deve confrontare le utilità marginali dei beni e vedere se può migliorare la propria situazione aumentando il consumo di libri e diminuendo quello di CD e viceversa.

100


??Più esattamente, egli deve rapportare i valori delle utilità marginali di libri e CD al prezzo dei due prodotti. In effetti, per poter confrontare la soddisfazione aggiuntiva ricavabile da prodotti che hanno prezzi diversi, bisogna rapportare l'utilità marginale al prezzo di ciascun prodotto: essa prende il nome di "utilità marginale ponderata".

La massimizzazione dell’utilità • La regola per massimizzare l’utilità è che l’ultima lira spesa nei due beni arrechi la stessa utilità tanto nel consumo dei libri che nel consumo dei CD – Regola dell’eguaglianza delle utilità marginali ponderate per i prezzi: UMlibri/Plibri = Umcd/Pcd

Se UMlibri /p libri> UMcd/p cd , l’ultima lira spesa in libri arreca una utilità maggiore, quindi l’utilità totale cresce consumando più libri e meno CD Se UMlibri /p libri< UMcd/p cd , l’ultima lira spesa in CD arreca una utilità maggiore, quindi l’utilità totale cresce consumando più CD e meno libri L’utilità totale non può essere ulteriormente cresciuta se le utilità marginali ponderate per i prezzi sono eguali.

14

Cominciamo da un esempio non monetario. Abbiamo soltanto un certo numero di ore per preparare gli esami. Siamo così poco interessati alle materie, da desiderare soltanto di massimizzare la media dei voti. Come divideremo il tempo? Destinando un numero uguale di ore ad ogni materia? Non necessariamente. Bisogna passare dalla storia alla statistica, dall'inglese all'economia, finché l' ultimo minuto destinato ad ogni uso alternativo darà lo stesso vantaggio marginale in termini di voto.

101


Utilità marginali e totali a confronto Libri Utilità acquistati totale (£)

Utilità marginale (£)

CD acquistati

Utilità totale (£)

Utilità marginale (£)

1

80.000

80.000

1

35.000

35.000

2

110.000

30.000

2

65.000

30.000

3

130.000

20.000

3

90.000

25.000

4

140.000

10.000

4

110.000

20.000

5

148.000

8.000

5

125.000

15.000

6

153.000

5.000

6

135.000

10.000

7

155.000

2.000

7

144.000

9.000

8

156.000

1.000

8

152.000

8.000

9

156.800

800

9

159.000

7.000

10

156.800

0

10

165.000

6.000

15

Un esempio di massimizzazione dell’utilità • Dai dati della tabella precedente, sapendo che il prezzo dei libri è £ 10.000, il prezzo dei CD è £ 20.000 e il reddito a disposizione del consumatore è £ 120.000, si può vedere che l’utilità è massimizzata dall’acquisto di 4 libri e 4 CD – L’utilità marginale divisa per il prezzo è per entrambi i beni uguale a1 – L’utilità totale è pari a £ 250.000 (140.000+110.000) – Acquistando 3 CD e 6 libri l’utilità totale sarebbe stata di £ 243.000 – Acquistando 2 libri e 5 CD l’utilità totale sarebbe stata di £ 135.000

• La regola è che gli aggiustamenti vengono fatti sempre sulle grandezze marginali 16

102


Una spiegazione visiva Libri e CD

libri

8

8 7 6 5 Uma/p 4 3 2 1 0

CD 3 1,75

I

1,5

II

2

1,25

1

III

1

IV

0,8 0 , 7 5 0,5 0,5

V

VI

dosi

• Ciascun libro costa £ 10.000 e ciascun CD costa £ 20.000. Il consumatore sceglie via via le dosi dei beni che hanno un rapporto Uma/prezzo più alto e si ferma quando ha esaurito il proprio reddito. Sceglie quindi per primi 3 libri, poi 3 CD e infine 1 libro e 1 CD. In questo modo ha 17 massimizzato l’”altezza” delle utilità totale

Applichiamo adesso la regola di pareggiamento al margine dell'utilità di tutti i beni, o regola di equimarginalità, alla forma più semplice di scambio: un baratto. Siamo in un'economia con due individui (A e B) e due beni (grano e vino). A possiede 5 quintali di grano e 1 ettolitro di vino. B possiede 5 ettolitri di vino e 1 quintale di grano. L'ipotesi è che ogni successiva unità di bene procuri un'utilità via via decrescente. Ecco le tabelle di due individui: B

A

Grano

Vino

Grano

I Ql.: utilità = 5

I Hl.: utilità = 5

I Ql.: utilità = 5

II Hl.: utilità = 4

II Ql.: utilità = 4

III Hl.: utilità = 3

III Ql.: utilità = 3

IV Hl.: utilità = 2

IV Ql.: utilità = 2

V Hl.: utilità = 1

V Ql.: utilità = 1

Vino I Hl.: utilità = 5

Per A il grano ha un'utilità marginale pari ad uno; e così il vino per B. Ogni individuo attribuisce ai beni posseduti in abbondanza dall'altro un'utilità marginale superiore a quella che attribuisce ai beni posseduti abbondantemente da lui stesso. È questa la condizione necessaria e sufficiente perché il baratto avvenga. Pertanto B cede il suo V Hl. di vino, che vale 1, contro un II Ql. di grano che per lui vale 4. Cede poi il suo IV Hl. di vino, che vale 2, contro un III Ql. di grano che per lui vale 3. Fin qui gli convie-

103


ne barattare. Il suo III Hl. di vino vale però 3, così come vale 3 un IV Ql. di grano che potrebbe ottenere in cambio: lì B si arresta. Il baratto volontario si ferma quando sia A che B inizierebbero a perdere: ma è questa la posizione in cui ognuno attribuisce alle due merci la stessa utilità marginale. Lo stato di equilibrio coincide con la condizione di massimo per A come per B.

A? B Grano

Vino

I Ql.: utilità = 5

I Hl.: utilità = 5

II Ql.: utilità = 4

II Hl.: utilità = 4

III Ql.: utilità = 3

III Hl.: utilità = 3

Il principio è insomma quella dell'eguaglianza dei valori marginali: nel distribuire una quantità fissa di un qualsiasi fattore tra un numero d'impieghi alternativi, un'efficiente ripartizione implica che ogni unità del fattore da ripartire sia assegnata così che il vantaggio derivante dal suo trasferimento a un determinato impiego sia esattamente uguale alla perdita conseguente al suo ritiro da un altro impiego. Possiamo notare: ??che la soluzione di massimo esiste se e solo se il processo di trasferimento di un'unità del fattore da assegnare a uno specifico impiego fra tutti quelli possibili è soggetto alla regola dei risultati decrescenti. ??che la regola di equimarginalità si applicherebbe anche se B (o A) avesse vino in quantità dieci, cento o mille volte maggiore del grano posseduto da A (o B). ??che la regola di equimarginalità si applicherebbe anche se B desse un'utilità differente, rispetto ad A, alle varie unità di vino o di grano.

Torniamo al paradosso dell'acqua e dei diamanti, esaminato in una delle prime lezioni. Possiamo ora scioglierlo più esattamente. Secondo la regola di massimizzazione dell'utilità, i consumatori dovrebbero acquistare ulteriori unità di un bene, finché il rapporto tra la sua utilità marginale e il prezzo non è uguale a quello di tutti gli altri beni e servizi acquistati. L'utilità marginale dell'acqua è ridotta, perché è abbondante e il suo prezzo è basso. Se l'acqua fosse offerta a un prezzo superiore a quello corrispondente alla sua utilità marginale, allora quest'ultima unità non potrebbe essere venduta. Perciò il prezzo deve scendere fino al punto in

104


cui si trova esattamente al livello dell'utilità dell'ultima piccola parte, né più né meno. Inoltre, poiché ogni unità d'acqua è identica a ogni altra unità, e poiché in un mercato di concorrenza si ha un unico prezzo, ogni unità deve vendersi allo stesso prezzo dell'ultima unità meno utile. D'altra parte, l'utilità totale che si ricava dall'impiego dell'acqua è molto elevata, per l'enorme quantità che se ne consuma. Viceversa l'utilità totale dei diamanti è modesta, e quella marginale alta, perché il prezzo elevato dovuto alla loro scarsità fa sì che i consumatori ne acquistino relativamente pochi. In breve, l'utilità totale che si ricava dall'acqua è elevata, mentre l'utilità totale che si trae dai diamanti è limitata; tuttavia è l'utilità marginale che influisce sul prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per un bene. E l'utilità di un ulteriore litro d'acqua è di gran lunga minore dell'utilità di un ulteriore diamante.

Misurazione ordinale e cardinale dell’utilità • L’utilità in genere non è calcolabile in termini cardinali – es. il piacere attribuito alla II unità di un bene è 1,3 volte il piacere attribuito alla terza unità

• L’utilità di persone diverse non è confrontabile – Bentham e gli utilitaristi cercarono di calcolare l’utilità – Pareto supera tanto la misurabilità cardinale che la confrontabilità interpersonale – Solo misurazione ordinale dei singoli individui 18

105


L’ordinamento delle preferenze • L’individuo A, di fronte alle alternative x e y può dire: – x è preferito a y (x p y) – y è preferito a x (y p x) – x e y sono indifferenti (x i y) – Le preferenze presuppongono solo una misurazione ordinale – L’analisi ordinale è svolta sulla base delle curve di indifferenza 19

Curve di indifferenza • Scelta semplificata: si sceglie solo quanto consumare di due beni: il confronto è fatto tra combinazioni diverse (panieri) di due beni • Ipotesi di base – L’utilità è funzione crescente della quantità consumata (l’individuo non è mai sazio) – Proprietà transitiva (se x p y e y p z allora x p z) – Dosi successive del bene danno un utilità minore

20

106


Rappresentazione Grafica y A

C

B x • Nel piano sono rappresentati panieri dei beni X e Y • Il punto A rappresenta una combinazione dei due beni • Rispetto ad A tutte le combinazioni nell’area gialla sono preferite mentre A è preferito a tutte le combinazioni nell’area verde (principio di non sazietà) • A p B e C p A quindi C p B • Nel passaggio da B a C si incontra una combinazione D tale che A i D 21

COMBINAZIONI D'INDIFFERENZA Alimenti

Vestiario

?

1

6

?

2

3

G

3

2

?

4

1,5

Il fatto di ottenere di più di un bene, compensa la perdita di una parte dell'altro. Il consumatore è soddisfatto della situazione a esattamente come di quelle ß, ? o d. Le combinazioni "alimentivestiario" che procurano uguale soddisfazione possono essere rappresentate da una "curva d'indifferenza continua".

107


Curva di indifferenza y

y

I3 I2 I1 x

x

• Si ottengono unendo tutti i panieri rispetto ai quali il consumatore è indifferente – Le curve di indifferenza hanno una pendenza negativa (si rinuncia ad una quantità di X solo aumentando il consumo di Y) – Le curve più alte danno una soddisfazione maggiore – Le curve di indifferenza non si incrociano – Sono concave verso l’alto per il principio dell’utilità marginale 22 decrescente

Dimostriamo che due curve d'indifferenza non possono intersecarsi. Y

K

Z

G X Scegliamo tre panieri di beni: K, Z e G, tali che K giace solo su una curva, G solo su un'altra, mentre Z giace sulla loro intersezione. Le curve rappresentano livelli distinti di preferenza, così che K sarà preferito a G (o viceversa). Ma, per costruzione, K è indifferente a Z, e Z è indifferente a G. L'assioma di transitività implica dunque che K è indifferente a G. Ma questo contraddice l'ipotesi che K è preferito a G. Veniamo ora al perché della convessità. Essa indica che di solito i beni vengono consumati congiuntamente. Fino a un certo punto possiamo scegliere un solo bene, ma poi la legge dell'utilità marginale decrescente ci porta a consumare anche dell'altro. Ciò si esprime dicendo che "la media è

108


preferita agli estremi". Consideriamo due panieri sulla stessa curva: (x1, y1) e (x2, y2). Prendiamone (ad esempio) la media aritmetica: (1/2x1 + 1/2y1, 1/2x2 + 1/2y2), che sul grafico sta a metà della retta che congiunge il primo al secondo paniere. Se la curva è convessa, il paniere misto è nell'insieme dei panieri preferiti: Y (y1, x1)

Paniere medio

(y2, x2) X

Il saggio marginale marginale di di sostituzione y Pendenza = SMS

x • La pendenza della curva di indifferenza è il saggio marginale di sostituzione, cioè il rapporto tra la variazione del bene y e la variazione di segno opposto del bene x che lascia il consumatore indifferente

SMS ?

?y ?x

23

Esso è anche chiamato la "disponibilità marginale a pagare": è il saggio al quale al margine accetto di sostituire il bene 1 col bene 2. Esso è decrescente per riflettere l'utilità marginale decrescente, ossia il saggio al quale sono disposto a scambiare y con x decresce al crescere di y.

109


Box 7.2 Shapes of Indifference Curves

I2

I2 I1

I1

I1

0

0 [i]. Packs of green pins

[ii]. Right hand gloves

[iii]. Meat

A good that is not consumed a All other goods

All other goods

All other goods

0

A good that confers a negative utility after some level of consumption I2 I1

An absolute necessity

I2 I2

I1 0 0

A good that gives zero utility Vegetables

I2

Perfect Complements

Left hand gloves

Packs of red pins

Perfect Substitutes

f0

w [iv]. Water

[v]. Food

0

b

I1 [vi]. Good X

Le varie preferenze possono essere rappresentate dalle curve d'indifferenza. Nel caso dei beni perfettamente sostituibili, abbiamo che 100 spilli incartati in pacchi rossi sono indifferenti a 100 spilli incartati in verde. La pendenza è pari a -1. In generale, le curve sono rette la cui pendenza indica il rapporto con cui un bene può essere rimpiazzato da un altro. Il guanto destro e sinistro sono beni perfettamente complementari, non potendosi usare l'uno senza l'altro. Non esiste alcun saggio di scambio a cui si accetta di cedere un guanto destro per uno sinistro. Nel caso di un bene con utilità nulla, le curve sono rette parallele all'asse relativo a quel bene. Si pensi alla carne per un vegetariano. Nel caso di un bene di prima necessità, come l'acqua, il SMS tende a infinito man mano che il consumo si avvicina al livello minimo di sopravvivenza. Nel caso di un bene con un'utilità negativa oltre un certo livello di consumo, come il cibo, oltre quella soglia le curve diventano positivamente inclinate. Nel caso di un bene non consumato, il consumatore sta nella soluzione d'angolo, dove la pendenza della curva nel punto in cui taglia l'asse del bene non consumato è minore della pendenza del vincolo di bilancio (rappresentato dalla retta ab).

110


Il vincolo di bilancio • Il consumatore sceglie sulla base di un vincolo: la spesa complessiva che può dedicare al consumo dei due beni La quantità dei due beni che può essere consumata dipende dai prezzi – Se S è la spesa complessiva px il prezzo del bene X e py il prezzo del bene Y:

• S = pxx + pyy y?

1 p S? x x py py

Questa è l’equazione di una retta che ha px/py come pendenza 24

PROMEMORIA. Si parte da S = pxX + pyY. Si porta la pyY dall’altra parte: - pyY = - S + pxX. Il nostro scopo è isolare la Y. Quindi si divide tutto per - py: py/py Y = - S/py – pxY/py E semplificando: - Y = - S/py – pxX/py. Ma a noi interessa Y. Quindi si moltiplica tutto per – 1: Y = + S/py – px/py X. O, in maniera più elegante, isolando la S: Y = + 1/py S – px/py X.

y

Grafici • Il vincolo di bilancio è una retta

y

x

y

x

– Una variazione del reddito fa spostare la retta di bilancio parallelamente a se stessa – Una variazione di un prezzo fa ruotare il vincolo di bilancio • Se diminuisce il prezzo di X il vincolo di bilancio ruota verso l’alto facendo perno sull’intersezione con l’asse delle y

25

x

Poniamo che il consumatore possa spendere 6 euro al giorno per A (alimenti) e V (vestiario). Un'unità di A ha il prezzo di 1,50 euro, mentre un'unità di V di 1 euro. 111


POSSIBILITA' ALTERNATIVE DI CONSUMO Alimenti Vestiario 4 0 3 1,5 2 3 1 4,5 0 6 Il limite di bilancio alle spese si può indicare con una tabella numerica. I costi di questi bilanci (misurati come euro 1,5A + euro 1V) corrispondono come somma al reddito di 6 euro. Il vincolo di bilancio si rappresenta come una retta di scambio la cui pendenza assoluta è uguale al rapporto pA/pV. 6

Vestiario

4

Alimenti

La scelta del consumatore y y’ I1 x

x’

SMS ?

• Dato il vincolo di bilancio, il consumatore sceglie il paniere che gli arreca maggior soddisfazione I3 – Cerca di raggiungere il I2 paniere nella curva di

indifferenza più alta – La curva di indifferenza più alta raggiungibile è quella tangente la retta di bilancio – Nel punto di tangenza le pendenze sono uguali, quindi il SMS è uguale al rapporto tra i prezzi

px py

26

Quando il prezzo di un bene aumenta, il consumatore tende a mantenere lo stesso livello di benessere sostituendo altri beni a quello divenuto più caro: è l'effetto di sostituzione. La diminuzione del consumo di un bene, determinato dagli acquisti sostitutivi, viene ad essere rafforzata dall'effetto di reddito: poiché si acquista normalmente meno del bene in questione quando il

112


reddito familiare è minore, l'aumento del suo prezzo - che ha provocato una riduzione del reddito reale o potere d'acquisto - determina un'ulteriore flessione del consumo come risultato del più basso reddito reale.

Come i due effetti alterano la linea del bilancio? VARIAZIONE DEL REDDITO . Supponiamo che il reddito giornaliero del consumatore sia dimezzato da 6 euro a 3 euro, restando invariati i due prezzi. Troveremo che la nuova linea di bilancio si è spostata in modo parallelo verso l'interno. VARIAZIONE DI UN SOLO PREZZO . Restituiamo ora al consumatore il suo reddito di 6 euro al gio rno, ma facendo l'ipotesi che il prezzo degli alimenti salga da 1,50 euro a 3 euro. Stavolta la linea di bilancio ruota attorno al punto 6 sull'asse verticale: questo punto resta accessibile, non essendo mutato il prezzo del vestiario. Poiché il prezzo degli alimenti è salito, il punto 4 sull'asse orizzontale non è più accessibile. Costando adesso gli alimenti 3 euro l'uno, se ne possono acquistare soltanto 2 unità. Ne segue che la nuova retta di bilancio andrà dal punto 6 sull'asse verticale al punto 2 sull'altro asse. VARIAZIONI PROPORZIONALI DI PREZZO . Supponiamo che tutti i prezzi raddoppino. È allora esattamente come se si dimezzasse il reddito.

y

Effetto reddito ed effetto sostituzione

B

• Se varia il prezzo di un bene cambia la scelta del consumatore

y2 y1

I2

I1 x1 x2

A

A’ x

Nel grafico il prezzo di x diminuisce. La retta di bilancio ruota verso l’alto facendo perno in B. Il consumatore raggiunge la nuova curva di indifferenza I 2 più alta, aumentando il consumo di X e di Y

113

– C’è l’effetto sostituzione (sono variati i rapporti di scambio) – C’è l’effetto reddito (a parità di reddito nominale è variato il reddito reale) 27


Effetto reddito

y

y’ y1 I2 I1 x1 x’

A

x

Nel grafico è rappresentata la scelta del consumatore se il reddito fosse aumentato permettendo di raggiungere I 2, ma il rapporto tra i prezzi fosse rimasto invariato. Abbiamo l’effetto reddito

• Quale sarebbe stata la scelta del consumatore se il suo reddito fosse aumentato fino a permettergli di raggiungere la curva di indifferenza I2 ma il rapporto tra i prezzi fosse rimasto invariato? 28

Risultato finale y B y’ y2 y1

I2 I1 x1 x’x2 A

A’ x

• Sovrapponendo i due grafici si ottiene la distinzione tra effetto reddito ed effetto sostituzione – L’effetto sostituzione è l’effetto totale meno l’effetto reddito 29

114


Figure 7.7 An Income-consumption Line

Quantity of clothing per week

Income-consumption line

E3 E2 E1 I3 I2 I1 0 Quantity of food per week

La curva reddito-consumo mostra come variano gli acquisti del consumatore al variare del reddito, a parità dei prezzi relativi. Gli aumenti del reddito spostano la retta di bilancio parallelamente verso l'esterno, portando l'equilibrio da E1 a E2 a E3. Congiungendo tali punti otteniamo la curva reddito-consumo.

115


Figure 7.8 The Price-consumption Line

Quantity of clothing per week

a

Price-consumption line

E1 E2

E3

I3 I2 I1 b

c

d

Quantity of food per week

La curva prezzo-consumo mostra come variano gli acquisti del consumatore in caso di variazioni del prezzo di un bene, a parità di reddito e dei prezzi degli altri beni. Diminuizioni del prezzo del cibo (dato il reddito monetario e il prezzo dell'abbigliamento) ruotano la retta di bilancio da ab ad ac ad ad. La posizione di equilibrio si sposta da E1 a E2 a E3. Congiungendo questi punti si ottiene la curva prezzo-consumo.

116


16. Mercati e be -

Il surplus del consumatore e del produttore

nessere

?? In un'economia di mercato, il valore di un bene è costituito dal suo prezzo di mercato. ?? Il fatto che un bene abbia un prezzo di mercato pari a zero, pur essendo prodotto da qua lcuno (di regola, dallo stato) significa che anche il suo valore per la collettività è nullo ? ?? Per fare un esempio limite: negli anni '70, l'azienda municipale dei trasporti del comune di Bologna decise che tutti i passeggeri potevano viaggiare gr atuitamente sugli autobus di linea, in determinate fasce orarie. Poiché, in quelle fasce, il prezzo di un viaggio era zero, avremmo dovuto ricavarne la conclusione che l'utilità del servizio di trasporto era, per i cittadini che ne usufruivano, nulla? ?? L'intuizione ci dice che non può essere così. Molte autostrade sono percorribili gratuit amente. Ciò non significa, peraltro, che i viaggiatori non sarebbero disposti a pagare una somma di denaro positiva (spesso anche considerevole) pur di non dover rinunciare a usufruire di quel bene. Il concetto che ci permette di riconciliare questa apparente contraddizione è quello di surplus del consumatore, che per essere calcolato necessita solamente della curva di domanda del bene. ?? Per capire il surplus è necessario guardare la curva di domanda sotto un altro punto di vista: la curva di domanda mi indica l’utilità di ogni unità aggiuntiva in termini di quanto sarei disposto a pagare per essa. Prendiamo per esempio questa curva di domanda (che ipotizziamo rettilinea per comodità):

117


prezzo

quantità

Ad ogni livello di quantità la curva mi indica quanto sarei disposto a pagare per averlo; ipotizziamo che il prezzo sia p0 , graficamente abbiamo:

prezzo A

B P0

Q0

quantità

?? Al prezzo P0 il consumatore decide di acquistare un numero di unità di quel bene pari a Q0 . ?? Sappiamo, però, che il consumatore, tutte le quantità inferiori a Q0 , le avrebbe pagate più di P0 , quindi ha avuto un “guadagno” pari alla differenza tra quanto avrebbe pagato per ogni unità e quanto ha realmente pagato (P0 ). ?? Questo “guadagno” si chiama surplus del consumatore; come individuarlo graficamente? Essendo la differenza tra quanto sarei disposto a pagare (curva di domanda) e quanto ho pagato (P0 ) il surplus altro non è che l’area del triangolo AP 0 B:

118


prezzo A

B P0

Q0

quantità

?? L’area di un triangolo è facilmente calcolabile (base x altezza\2), ma se abbandoniamo l’ipotesi, piuttosto illusoria, che la curva di domanda sia una semplice retta, il discorso si complica. Possiamo definire il sovrappiù del consumatore anche come la somma massima che i consumatori sarebbero disposti complessivamente a pagare per un bene (servizio), pur di non essere privati della sua disponibilità. In termini geometrici, la disponibilità a pagare per consumare una certa quantità di un bene non è altro che l'area al di sotto della curva di domanda fino a quella quantità. Questa superficie è chiamata surplus lordo del consumatore o beneficio complessivo derivante dal consumo del bene. Sottraendo la somma spesa dal consumatore per acquistare il bene, otteniamo il surplus (netto) del consumatore. In che senso il surplus è una misura della variazione di benessere? Essendo il surplus un “guadagno”, eventuali aumenti di prezzo fanno diminuire la distanza tra quanto sarei disposto a pagare e quanto pago; si riduce di conseguenza l’area, e proprio questa diminuzione misura la variazione negativa del mio benessere. Passiamo ora dal surplus del singolo al surplus di un gruppo; in particolare, del complesso dei consumatori su un certo mercato. - La disponibilità a pagare dei consumatori _________________________________________________________________________________ p E 119


J F

domanda

q O

L

H

_________________________________________________________________________________

Nella figura qui sopra, si noti che tutta l'area del triangolo EFJ rappresenta 'disponibilità a pagare' (cioè utilità), perché essa risulta dalla somma delle disponibilità a pagare dei diversi individui presenti sul mercato in corrispondenza delle diverse quantità rese disponibili. Si guardi ora la figura sotto: ?? Se la quantità del bene messa sul mercato fosse soltanto OM, i consumatori di fatto pagherebbero complessivamente una somma pari all'area OGKM. ?? Ma se la quantità venisse elevata a ON, un certo nume ro di compratori - che erano esclusi in precedenza dal prezzo per essi troppo alto - entrerebbero sul mercato, per acquistare il bene (naturalmente, a un prezzo più basso). ?? La spesa effettiva complessiva di questo secondo gruppo di acquirenti è misurata dall'area ONRS. - Gli effetti di un aumento nella quantità _________________________________________________________________________________ p E

G

K

S

O

R

M

N

H

q

_________________________________________________________________________________

?? Potremmo continuare così, fino a determinare la disponibilità totale a pagare per il bene, includendo via via i consumatori che appartengono ai diversi gruppi. Se i gruppi sono numerosi, avremo una figura in cui ogni rettangolo sta a indicare la disponib ilità a pagare di un particolare gruppo.

120


- La determinazione della disponibilità a pagare complessiva _________________________________________________________________________________ p E

domanda

q O

H

_________________________________________________________________________________

?? Se il numero degli scaglioni di consumatori è sufficientemente alto, l'area che risulta dalla somma dei vari rettangoli tende a coincidere con il triangolo OEH. Applichiamo adesso il surplus del consumatore a interventi pubblici. ?? Sappiamo che una variazione del prezzo del bene considerato determina anche una variazione del surplus. ?? Supponiamo che il comune di Firenze decida di imporre una 'tassa' di ingresso al centro storico, in modo da limitare l'afflusso dei turisti che, specialmente in alcuni periodi dell'anno, rischia di essere addirittura dannoso per i monumenti (e poco gradevole per gli stessi turisti già presenti). ?? In un caso come questo, il 'prezzo' per l'accesso alla città passerebbe da zero a un valore positivo (supponiamo, a p*) e vi sarebbe una perdita di surplus, per i consumatori, pari a OLMp*. - Una perdita di surplus per i consumatori _________________________________________________________________________________ p E

M p*

q

O 121


L

__________________________________________________________________________

?? Fatte le debite modifiche, il ragionamento rimarrebbe identico nel caso di una diminuzione del prezzo, come ad es. da p* a 0 nella fig. precedente. ?? Quest'ultimo potrebbe essere il caso di un bene che fino a un certo momento presentava un prezzo positivo, e da quel momento in poi viene distribuito gratuitamente: ad es., un farmaco in un paese in cui scoppiasse un'epidemia. L'idea su cui si basa lo strumento del surplus del consuma tore è che la somma totale che il soggetto è disposto a pagare per acquistare un bene sul mercato è una misura fedele dell'utilità totale che egli trae dal suo consumo. Ma se la moneta è l'unità di misura, essa, come ogni unità di misura, dovrebbe rimanere costante. La moneta dunque, che è essa stessa un bene, dovrebbe avere utilità marginale costante. Al contrario, quest'ultima varia in generale con l'aumento o la diminuzione del reddito di cui dispone l'individuo. Il problema diventa più grave quando usia mo il surplus per misurare variazioni del benessere di gruppi di consumatori. Ciò significa assumere che una somma di denaro comporta la medesima utilità per tutti gli ind ividui le cui domande contribuiscono a formare la domanda di mercato. Il che appare veramente eccessivo. Noi possiamo definire anche un surplus del produttore, come la misura della differenza esistente tra prezzo di vendita di un bene e il corrispondente costo di produzione. ?? Esso rappresenta quindi il beneficio che il produttore ricava dalla sua attività, ed è un concetto apparentemente simmetrico a quello di surplus del consumatore. ?? La misura di tale surplus è data dall’area compresa tra la linea del prezzo del bene che corrisponde alla quantità prodotta e la curva di offerta. ?? Il costo è rappresentato invece dall’area compresa sotto la curva di offerta. ?? Considerando insieme consumatori e produttori, vediamo che il beneficio di produrre la quantità OL è OEJL, mentre il costo è OGJL. ?? Il beneficio netto è pertanto GEJ, che viene ripartito tra il surplus del consumatore e il surplus del produttore. ?? I produttori ricevono OFJL, ma il loro costo è OGJL: quindi, il loro profitto, o surplus del produttore, è GFJ. - Surplus del consumatore e surplus del produttore

122


_________________________________________________________________________________ p E offerta

J

F

domanda G q O

L

_________________________________________________________________________________

Un'allocazione delle risorse che massimizza la somma del surplus del consumatore e di quello del produttore è efficiente.

123


17. Mercati e be -

Un'applicazione pratica: il costo dell'imposizione fiscale

nessere

Le proposizioni che discuteremo sono: ?? L'imposta applicata su un bene riduce il benessere di compratori e venditori. ?? Questa riduzione dei surplus del consumatore e del produttore di solito eccede le entrate fiscali. ?? Questo eccesso viene chiamato perdita secca. Nella Figura sotto, un'imposta su un bene crea una differenza tra il prezzo pagato dal compratore e quello incassato dal venditore. La quantità venduta del bene diminuisce.

124


Nella Figura sopra, le entrate che il governo raccoglie attraverso le imposte sono eguali a TxQ, ovvero al prodotto dell'ammontare dell'imposta per la quantità venduta del bene soggetto a imposta. Quindi le entrate fiscali equivalgono all'area del rettangolo compreso tra la curva di domanda e la curva di offerta.

L'applicazione di un'imposta su un bene riduce il surplus del consumatore (dell'area B+C) e il surplus del produttore (dell'area D+E). Poiché la diminuzione dei surplus è superiore all'ammontare delle entrate fiscali (area B+D), l'imposizione fiscale genera una perdita secca (area C+E). Ciò accade in quanto, oltre alla riduzione dei surplus, la quantità venduta si riduce da Q1 a Q2 e la dimensione del mercato scende sotto quella ottimale. La perdita secca di benessere indica che le perdite subite da compratori e venditori sono maggiori del beneficio che l'erario ne ricava. Si veda la Figura sotto:

I FATTORI DETERMINANTI LA PERDITA SECCA Maggiore è l'elasticità della domanda e dell'offerta, maggiore è la reattività del mercato alle variazioni del prezzo, e dunque maggiore è la perdita secca (si rimanda alla lezione sull'elasticità). Nelle sezioni (a) e (b) della Figura sotto, si propongono due diverse ipotesi di elasticità dell'offerta a fronte della stessa curva di domanda e di un'imposta di ammontare costante. A una maggiore elasticità dell'offerta corrisponde una maggiore perdita secca. Nelle sezioni (c) e (d) vi sono due diverse

125


ipotesi di elasticità della domanda a fronte della stessa curva di offerta e di un'imposta di ammont are costante. A una maggiore elasticità di D corrisponde una maggiore perdita secca.

PERDITA SECCA E ENTRATE FISCALI AL VARIARE DELL'IMPOSTA Un'imposta crescente genera via via entrate minori, poiché aumenta la perdita secca e riduce sempre più la dimensione del mercato (dati gli stimoli a compravendere meno). Ossia, un'imposta eccessiva è inefficiente anche per il fisco, oltre che per il mercato. Nella figura vediamo che, in presenza di un'imposta di ammontare elevato, l'area del gettito fiscale è piccola, mentre l'area della perdita secca è enorme.

126


È INDIFFERENTE CHE L'IMPOSTA CADA SU CONSUMO O SU PRODUZIONE Un'imposta su un bene crea una differenza tra il prezzo pagato dal compratore e quello incassato dal venditore. La quantità venduta del bene diminuisce. È indifferente se l'imposta cade sul consumo o sulla produzione. Infatti: ??Nel primo caso, la curva di domanda si abbassa dell'ammontare dell'imposta. ??Nell' altro caso, è la curva di offerta a elevarsi in pari misura.

pc

D1 O1

po

pc po

pv

O2 O1

D1 pv D2

Nella figura a sinistra, viene introdotta un' imposta sul consumo. La curva di domanda si sposta ve rso il basso. La quantità di equilibrio diminuisce. Il prezzo che riceve il venditore cala da po a pv, mentre il prezzo pagato dal consumatore sale da po a pc. Sebbene si tratta di un'imposta sul consumo, sia il compratore che il venditore ne sopportano l'onere. Nella figura a destra, viene introdotta un' imposta sulla produzione. La curva d'offerta si sposta verso l'alto. La quantità di equilibrio diminuisce. Il prezzo che riceve il venditore diminuisce da po a pv. Il prezzo pagato dal consumatore aumenta da po a pc. Sebbene si tratti di un'imposta sulla produzione, sia il compratore che il venditore ne sopportano l'onere. In ogni caso, il prezzo pagato da chi acquista cresce, mentre il prezzo incassato dal venditore si riduce. L'onere fiscale è comunque ripartito fra i due soggetti (in misura stabilita dall'elasticità delle due curve). GLI EFFETTI DELLE IMPOSTE SULLA QUANTITÀ DI LAVORO OFFERTA

w° wi

127


qi

Questa figura rappresenta la curva di offerta di lavoro. Sull'asse verticale poniamo il salario; sull'altro asse le ore- lavoro. L'effetto di un'imposizione del reddito nei confronti dell'offerta di lavoro è ambiguo. L'effetto di reddito e l'effetto di sostituzione spingono in direzioni opposte: il primo induce a diminuire la quantità di lavoro, l'altro spinge verso un suo aumento. ??In corrispondenza di un basso livello salariale, l'effetto di sostituzione prevale su quello di reddito: un aumento del salario fa diminuire la domanda di tempo libero e di conseguenza aumenta l'offerta di lavoro. La curva ha inclinazione positiva. ??In corrispondenza di un livello salariale più elevato, l'effetto di reddito può superare quello di sostituzione e un aumento di salario farà diminuire l'offerta di lavoro. La curva gira quindi all'indietro: il miglioramento della qualità della vita assume la forma di maggior tempo libero. ??In corrispondenza di un livello salariale ancora più alto, è plausibile che la scelta sia incerta: un ulteriore aumento del salario aumenta il reddito derivante dal lavoro (effetto di reddito) e rende più costoso il tempo libero (effetto di sostituzione). Cosa prevale? ??Se effetto di reddito ed effetto di sostituzione si compensano, la curva diventa quasi verticale. L'introduzione di un'imposta proporzionale equivale a una riduzione del salario ricevuto. Se ciò accade nel tratto della curva volto all'indietro, aumenta la quantità di lavoro offerta. Nel caso dell'offerta di ore- lavoro, insomma, un'imposta può, in alcuni tratti della curva, sollecitare un elevamento dell'offerta del bene, al contrario che per gli altri beni. Con w° e q° indichiamo il salario e l'offerta di lavoro prima dell'imposta. Con wi e qi il salario e l'offerta di lavoro dopo l'imposta. IMPOSTE DISTORSIVE E IMPOSTE IN SOMMA FISSA ??Se siamo in regime di libero mercato, sappiamo che le risorse sono allocate in maniera efficiente, ossia che è massima la somma dei surplus del consumatore e del produttore. ??Rispetto a questa situazione ottimale, qualsiasi imposta segna un peggioramento del benessere dei contribuenti (trascurando i benefici generati dalla spesa pubblica). ??Infatti l'imposizione fiscale provoca una perdita secca in quanto altera le azioni dei soggetti economici: incentiva il compratore ad acquistare meno e il venditore a produrre meno. ??Così la dimensione del mercato scende sotto il livello di efficienza: quel livello che massimizza il surplus totale (del consumatore + del produttore). ??Alcune imposte, tuttavia, riducono il benessere, a parità di gettito, in misura minore rispetto ad altre. ??Un'imposta è neutrale o non distorsiva se, e solo se, il soggetto colpito non può far nulla per modificare il suo debito d'imposta. ??Un'imposta capitaria o in somma fissa, che tutti debbono pagare indipendentemente dal loro reddito o dalla loro ricchezza, è neutrale. ??L'imposta in somma fissa è l'unico tipo che non dà luogo a inefficienze: a parità di perdita di benessere dei contribuenti, il suo gettito è il massimo ottenibile. ??Ciò in quanto manca l'effetto di sostituzione (dato che l'imposta non è trasferibile) e resta in piedi il solo effetto di reddito (dato che il soggetto tassato dispone di minor reddito). ??L'imposta in somma fissa è insomma quella che meno allontana dallo stato ottimale. ?? Rispetto all'imposta in somma fissa, la dimensione della distorsione impositiva dipende quindi dall'ampiezza dell'effetto di sostituzione: maggiore questo, maggiore la perdita secca di benessere (o eccesso di pressione dell'imposta).

128


18. Mercati e be -

Il commercio internazionale

nessere

Nella Figura sopra, in un'economia chiusa il prezzo di equilibrio pareggia quantità domandata dai consumatori interni e quantità offerta dai produttori interni. Confrontiamo il prezzo a frontiere chiuse e il prezzo a frontiere aperte. Se l'uno è minore dell'altro, il paese ha un vantaggio comparato nella produzione del bene e, all'apertura delle frontiere, ne diventerà un esportatore. Il contrario avviene quando pc è superiore a pa.

Nella Figura sopra, una volta aperte le frontiere il prezzo interno aumenta fino a eguagliare il prezzo mondiale. La curva O individua la produzione nazionale di acciaio e quella D la quantità consumata

129


internamente. Le esportazioni sono la differenza tra la produzione e il consumo interni al prezzo mondiale.

Nella Figura sopra, l'aumento del prezzo interno fino al livello di quello mondiale benefica i vend itori (il surplus del produttore cresce da C a B+C+D) e danneggia i compratori (il surplus del consumatore diminuisce da A+B ad A). Il surplus totale aumenta di un quantitativo pari all'area D, il che indica un aumento complessivo del benessere del Paese.

Esaminiamo nella Figura sopra il caso di un paese importatore. Appena aperte le frontiere, pc diminuisce fino a eguagliare pa. La curva O individua la produzione nazionale di acciaio e quella D la quantità consumata internamente. Le importazioni sono la differenza tra produzione e consumo nazionali al prezzo mondiale. Nella Figura sotto, la diminuzione del pc fino al livello di pa danneggia i venditori (il surplus del produttore diminuisce da B+C a C) e beneficia i compratori (il surplus del consumatore aumenta da A a A+B+C). Il surplus totale aumenta di un quantitativo pari all'area D, il che segnala un aumento del benessere complessivo del Paese.

130


Passiamo infine all'esame degli effetti di un dazio doganale, ossia di un'imposta su un bene importato. Il dazio eleva il prezzo del bene importato e dunque riduce la quantità d'importazioni. I produttori nazionali di quel bene sono avvantaggiati: il surplus del produttore aumenta da G a C+G. I compratori nazionali sono danneggiati: il loro surplus scende da A+B+C+D+E+F ad A+B. Le entrate pubbliche acquisiscono l'area E (pari alla quantità di importazioni dopo il dazio, moltiplicato per il dazio). Il surplus totale diminuisce delle aree D + F. Questi due triangoli rappresentano la perdita secca che deriva dal protezionismo doganale. Traggono quindi vantaggi dal dazio sia i produttori del bene gravato dal dazio che l' erario, ma le perdite subite dai consumatori eccedono questi guadagni. L'analisi cambierebbe poco se discutessimo gli effetti di un contingente d'importazione, ovvero di un limite posto per legge alla quantità importabile di un bene.

131


Ricordiamo (lezione 5) il principio dei vantaggi comparati, secondo cui ciascun soggetto (individuo o Paese che sia) massimizza il proprio risultato specializzandosi ne lle attività col costo opportunità più basso. Applichiamolo al libero commercio internazionale: se un paese ha un prezzo interno basso, ciò segnala che ha un vantaggio comparato nella produzione di quel bene e che gli conviene diventarne esportatore, eccetera. Ne segue che col libero scambio le risorse mondiali verrebbero allocate efficientemente. Esempio. L'economia- mondo è composta di due soli Paesi. L'ammontare totale di beni è di 2 unità di vino e di 2 unità di tessuto. Se l'Inghilterra produce da sola 1 tessuto + 1 vino = 210 ore- lavoro. Il Portogallo è più efficiente in senso assoluto rispetto all'Inghilterra: impiega infatti quantità di lavoro inferiori per entrambi i beni. Ma l'inefficienza inglese è relativamente minore nella produzione di tessuto, poiché qui lo scarto è di 10 ore- lavoro, mentre per il vino lo scarto è di 50 ore- lavoro. In termini relativi o comparati, il vantaggio di produttività del Portogallo è dunque maggiore nel caso della produzione di vino.

ORE DI LAVORO NECESSARIE PER LA PRODUZIONE DI UN' UNITÀ VINO

TESSUTO

Totale scambi

senza Totale con scambi

Inghilterra

120

90

210

180

Portogallo

70

80

150

140

360

320

Economia- mondo

gli

Agli inglesi conviene specializzarsi nel tessuto, che in parte consumano ed in parte esportano: producendo 2 unità di tessuto, l'Inghilterra risparmia 30 unità di lavoro. Anche scambiando tra loro, il volume globale dei beni resta lo stesso: 2 unità di vino e 2 di tessuto. Ma scambiando i paesi risparmiano 40 ore- lavoro che potranno utilizzare per produrre altri beni. È proprio così? Storicamente, domina il protezionismo : quell'insieme di politiche commerciali miranti a limitare l'importazione di prodotti dall'estero con lo scopo principale di sostenere o proteggere la produzione delle imprese nazionali. Tra le tante sue giustificazioni ricordiamo sei argomenti: o La teoria dei vantaggi comparati vale se all'interno di ogni Paese vi è perfetta mobilità dei fattori: chi lavorava vino può passare immediatamente a lavorare tessuti, e viceversa. Ma ciò non succede. o La teoria dei vantaggi comparati vale se non vi è alcuna mobilità dei fattori da un Paese all'altro. Ma se i lavoratori portoghesi di tessuto migrano in Inghilterra, la differente produttività del lavoro nei due Paesi può ridursi.

132


o Le industrie nascenti: Le barriere commerciali servono alle nuove industrie per consolidarsi, proteggendole temporane amente dalla concorrenza di imprese estere più organizzate e potenti, che usano sia il peso eventuale della loro maggiore efficienza, ma pure e soprattutto il peso della "forza" propria e degli Stati in cui sono collocate. o L'autosufficienza militare: Servono a proteggere le industrie nazionali che producono beni strategici per la difesa. È un argomento politico- militare di grande rilevanza storica. o La tutela dell'occupazione: In periodi di recessione, se proteggiamo le industrie nazionali la domanda interna si orienterà in misura maggiore verso di loro, incentivando così la creazione di nuovi posti di lavoro. La risposta canonica, secondo cui alla lunga il libero commercio crea in maggior misura nuova occupazione, sorvola sul fatto che nel breve periodo il processo può provocare disagi pesanti per parecchi. o Gli scambi "ineguali": I paesi poco sviluppati esportano prodotti agricoli o materie prime, ovvero prodotti manifatturieri ad alta intensità di lavoro, mentre importano macchinari, impianti e in genere beni a elevato contenuto tecnologico. Questi scambi penalizzano i paesi più arretrati, in quanto il valore dei loro prodotti è molto basso in confronto a ciò che acquistano dall'estero: il ricavato delle loro esportazioni non basta a pagare le importazioni di cui hanno necessità. Da ciò il loro forte indebitamento. Tutti questi argomenti hanno un ceppo comune, così espresso da S. Finer: Perché il mercato non dovrebbe interferire col governo? Questa semplice domanda è una di quelle questioni di cui nessun economista liberista si è mai occupato. È abbastanza chiaro perché i liberisti sostengono che il governo non dovrebbe interferire con il libero gioco delle forze di mercato. Ma non è assolutamente chiaro perché le imprese individuali o le associazioni imprenditoriali dovrebbero rinunciare a interferire col governo! Se vogliono massimizzare il loro vantaggio, è inevitabile che cerchino di farlo, spingendo il governo a misure particolaristiche (tra cui il protezionismo).

133


19-20. Comportamento delle imprese e organizzazione dei settori in -

Dietro la curva di offerta: l'impresa in

dustriali

concorrenza perfetta

L’impresa • Un’impresa è un organizzazione che combina le risorse per produrre beni e servizi • Il suo obiettivo è la massimizzazione del profitto • Le risorse sono i fattori produttivi: lavoro, terra e capitale 2

Il capitale • Il capitale indica l’insieme dei mezzi di produzione prodotti in precedenza – Si divide in capitale circolante – si consuma integralmente in un ciclo produttivo (es. materie prime) e capitale fisso – è utilizzato per più cicli produttivi (es. macchinario). La parte del valore del capitale fisso inclusa nei costi di produzione è detta ammortamento 3

134


Il profitto • Le imprese hanno l’obiettivo di massimizzare il profitto – Il profitto è la differenza tra ricavi totali ottenuti dalla vendita del prodotto e costi totali – Attenzione! tra i costi totali è considerato anche il saggio di interesse: se l’impresa prende a prestito la capacità d’acquisto, l’interesse è un costo, se investe ricchezza propria l’interesse è un costo opportunità, ciò a cui si rinuncia per organizzare l’attività produttiva. – Se c’è sufficiente concorrenza il profitto (oltre l’interesse) è uguale a zero. Finché è positivo nuove imprese hanno convenienza ad entrare sul mercato: l’offerta aumenta e il prezzo cade 4

La scelta dell’impresa: la combinazione dei fattori di produzione • Una scelta che deve compiere il produttore è la scelta della tecnica, ovvero della combinazione dei fattori produttivi – La teoria postula che ci sia sostituibilità tra i fattori, ovvero che la stessa quantità di un bene possa essere ottenuta con più capitale e meno lavoro e viceversa – La convenienza ad adottare una combinazione piuttosto che un’altra dipende ovviamente dai prezzi – Dipende anche dai prodotti marginali dei fattori (che definiremo tra un istante) 5

Questa scelta, se ottimale, porta alla minimizzazione dei costi nel caso generale: quando le imprese producono molti beni con vari input. Torneremo su questo caso generale nella parte finale della lezione. Adesso concentriamoci sul caso in cui vi è un solo input variabile.

135


Il prodotto marginale • Una definizione: Il prodotto marginale di un fattore è la variazione del prodotto totale che risulta dall’incremento di un’unità di un fattore produttivo, lasciando tutti gli altri fattori costanti. – Ad esempio il prodotto marginale del lavoro mostra quanto cresce il prodotto totale quando un lavoratore addizionale viene impiegato, dato l’impianto. – Il prodotto marginale è dato dal rapporto tra l’incremento di prodotto e l’incremento del fattore considerato. Ad esempio il prodotto marginale del lavoro è:

PMaL ?

?Q ?L

6

La legge della produttività marginale decrescente • Secondo la teoria marginalista, se aumentiamo progressivamente l’impiego di un fattore e teniamo tutti gli altri fattori fissi, da un certo punto in poi il prodotto marginale diviene decrescente . – Si tratta di una legge “naturale” simmetrica a quella dell’utilità marginale decrescente – La ragione è che se si aumentano i lavoratori che utilizzano lo stesso macchinario, alla fine si ostacolano. Non è pensabile che il prodotto aumenti sempre allo stesso modo, altrimenti dovremmo ammettere che impiegando teoricamente una forza lavoro infinita in un unico impianto di dimensioni finite si potrebbe produrre una quantità infinita del bene

7

136


Il grafico del prodotto marginale del lavoro PMa

L • In genere si rappresenta il prodotto marginale (ad esempio del lavoro) come nel grafico – All’aumentare dell’utilizzo di un fattore prima il prodotto marginale cresce, ma poi decresce perché “troppi” lavoratori vengono impiegati in un impianto dato. – Lo stesso andamento hanno i prodotti marginali degli altri fattori 8

Esaminiamo la relazione di breve periodo tra la produzione di grano e l'impiego del fattore lavoro (L), fermi restando gli altri inputs che raggruppiamo sotto il nome di "capitale" (K). La funzione di produzione è:

Qgrano = f(L, K) Poiché K è fisso e costante possiamo trascurarlo e esaminare la relazione tra Q e L. Unità di lavoro Unità di capitale Prodotto totale Prodotto medio Prodotto marg i(L) (K) (PT) (PMe) nale (PMg) Q = f(L) PMe = PT/L PMg = DPT/DL 0 1 0 ----1 1 10 10 (=10/1) +10 (=10-0/1-0) 2 1 30 15 (=30/2) +20 (=30-10/2-1) 3 1 45 15 (=45/3) +15 (=45-30/3-2) 4 1 54 13,5 (=54/4) +9 5 1 60 12 (=60/12) +6 6 1 63 10,5 (=63/6) +3 7 1 63 9 (=63/7) 0 8 1 60 7,5 (=60/8) -3 La produzione di grano è nulla se non viene utilizzata alcuna unità di lavoro. Al crescere della quantità di lavoro, la produzione totale di grano cresce ad un tasso via via decrescente, fino a quando raggiunge un massimo oltre cui inizia a diminuire. Il prodotto medio è il prodotto per uomo e si ottiene dividendo il prodotto totale per il corrispondente numero di lavoratori. ??Quando il prodotto totale aumenta a ritmo crescente, il prodotto marginale deve necessariamente aumentare: ogni successivo lavoratore dà un contributo sempre maggiore. 137


??Quando il prodotto totale aumenta, ma in misura via via minore, il prodotto marginale è positivo ma via via diminuisce: ogni ulteriore lavoratore dà un contributo minore rispetto a quello precedente. ??Quando il prodotto totale raggiunge il massimo, il prodotto marginale è pari a zero. ??Quando il prodotto totale diminuisce, il prodotto marginale diventa negativo. Figure 8.1 Total, Average and Marginal Product Curves

TP

Total product [T/P]

1800 1500 1200 900 600

300

0

2

4

6

8

10

Average product [AP] and marginal product [MP]

2100

300

Point of diminishing marginal returns

250 200 AP 150 Point of diminishing average returns

100

MP 50

2

12

Quantity of labour [i] Total Product

4 6 8 10 Quantity of Labour

1 2

[ii] Average and Marginal Product

Nella figura sopra, la curva a destra mostra il prodotto totale che aumenta cont inuamente, prima a un tasso crescente, poi a un tasso decrescente. Ciò fa sì che le curve dei prodotti medi e marginali (nel grafico a destra) prima crescano e poi decrescano. Si noti che nel punto di rendimenti medi massimi (o punto dei rendimenti medi decrescenti) Prodotto medio = Prodotto marginale.

138


La scelta di equilibrio • L’imprenditore non influenza i prezzi dei fattori • L’imprenditore ha convenienza a aumentare l’impiego di un fattore finché il suo prodotto marginale (in valore = prezzo per il prodotto marginale fisico: VPma) è superiore al prezzo di un fattore – Infatti se VPma > p allora l’uso dell’unità in più del fattore rende più di quanto non costi e i profitti aumentano

L’equilibrio è raggiunto quando i prodotti marginali in valore di tutti i fattori sono uguali ai loro prezzi, ovvero il rapporto tra prodotto marginale fisico e prezzo del servizio è eguagliato per tutti i fattori La legge è simmetrica a quella dell’equilibrio del consumatore 9

La distribuzione secondo i neoclassici • Il ragionamento fornisce anche le basi della teoria della distribuzione neoclassica (o almeno della domanda dei fattori produttivi) – Ogni fattore produttivo è impiegato fino al punto in cui il valore del prodotto marginale eguaglia il suo saggio di remunerazione – A differenza dei classici qui abbiamo un’unica teoria valida per tutti i redditi (profitti, salari e rendite) – La teoria, però non ci dice nulla sulle condizioni sociali della distribuzione e delle classi sociali. Tutto è ridotto al concetto neutrale di produttività marginale 10

Torneremo sul tema della distribuzione del reddito nella lezione 24.

139


L’impresa in concorrenza perfetta • La concorrenza perfetta è definita come quella forma di mercato in cui le singole imprese non possono influenzare i prezzi – Numero elevato di imprese – Tutte le imprese producono un prodotto identico – Acquirenti e imprese hanno una conoscenza perfetta delle condizioni di mercato – Esiste libertà di uscita e di entrata di nuove imprese

• I prezzi dei mezzi di produzione e del prodotto sono dati per la singola impresa 15

CONCORRENZA PERFETTA QUATTRO CONDIZIONI:

1. OMOGENEITÀ DEL PRODOTTO 2. IMPRESE PRICE TAKER 3. MOBILITÀ DEI FATTORI PRODUTTIVI (FREE ENTRY) 4. INFORMAZIONE PERFETTA MOLTE PICCOLE IMPRESE, CHE TENDONO A MASSIMIZZARE IL PROFITTO

140


I ricavi •

I ricavi totali dell’impresa sono dati dalla quantità venduta per il prezzo. R = QP – La rappresentazione grafica è una retta inclinata positivamente con pendenza P

I ricavi medi sono uguali al prezzo: QP/Q = P.

R

Q

P

P=Rme=Rma

– Poiché l’impresa non influenza il prezzo, i ricavi medi sono uguali al prezzo così come il ricavo marginale (un’unità in più venduta fa variare il ricavo totale di P)

16

Q

Il venditore concorrenziale è un price taker: non può modificare il prezzo di mercato. Mentre la curva di domanda di mercato è decrescente, quella di una singola impresa è perfettamente elastica. Se infatti il singolo varia la quantità prodotta, mentre il volume di produzione dei suoi concorrenti resta invariato, gli effetti sull'offerta totale e sul prezzo di mercato sono impercettibili.

Scheda di domanda o del ricavo medio

Ricavi

Prezzo del prodotto Quantità domandata Ricavo totale Ricavo marginale (Ricavo medio) (venduta) 131.000 0 0 131.000 131.000 1 131.000 131.000 131.000 2 262.000 131.000 131.000 3 393.000 131.000 131.000 4 524.000 131.000 131.000 5 655.000 131.000 131.000 6 786.000 131.000 131.000 7 917.000 131.000 131.000 8 1.048.000 131.000 131.000 9 1.179.000 131.000 131.000 10 1.310.000 131.000 La colonna 1 è il prezzo unitario per l'acquirente, ed è il ricavo medio dal punto di vista del venditore. (Il ricavo medio è il rapporto tra ricavo totale e numero di unità vendute; esso indica quanto incassa, in media, l'impresa per ogni unità che vende. Esso coincide con il prezzo. Infatti: Rme = RT/Q = PxQ/Q = P).

141


Il ricavo totale per ogni livello delle vendite (colonna 3) si ottiene mo ltiplicando il prezzo per il corrispondente numero di unità vendute: colonna 1 per colonna 2. Il ricavo marginale è la variazione del ricavo totale dovuta alla vendita di un'unità in più di prodotto: è una cifra fissa, dato che il ricavo totale aumenta di una somma costante per ogni successiva unità venduta. Riassumendo: ??le curve del ricavo medio e del ricavo marginale coincidono con la curva di domanda dell'impresa; ??il ricavo totale aumenta di una somma pari al prezzo del prodotto per ogni ulteriore unità venduta.

I costi totali • I costi totali (C) che l’impresa sopporta per ottenere una data quantità di prodotto si dividono in costi fissi totali (F) e costi variabili totali (V) – F = costi di lungo periodo (impianti, macchinari e spese generali di gestione) – V = spese che si rinnovano nel breve periodo (lavoro, materie prime, energia ecc.) 17

142


Costi medi • I costi medi sono definiti come il rapporto tra i costi totali e la quantità prodotta costo medio (c) ?

C Q

F Q V costo variabile unitario ( v ) ? Q costo fisso unitario ( f ) ?

c=v+ f 18

Costi marginali • I costi marginali sono l’incremento del costo totale che si registra per la produzione di un’unità in più del bene costo marginale (m ) ?

?C ?Q

m

La teoria neoclassica assume un andamento ad u dei costi marginali. Nel breve periodo questo è dovuto alla legge della produttività marginale. Infatti la produzione può essere aumentata solo aumentando i fattori variabili. La loro produttività marginale diminuisce e quindi i costi marginali aumentano 19

Q

143


Costi medi e costi marginali m, c

m

c

Q • All’andamento ad u di m corrisponde pure un andamento ad u di c – Se il costo di un unità in più è decrescente, anche la media deve decrescere – Se m è inferiore a c la media diminuisce – Se m è superiore a c la media cresce 20 – c incontra m nel suo punto di minimo

Perché c incontra m nel suo punto di minimo? Se aggiungo ad una somma un numero maggiore della media aritmetica di tutti i suoi termini, la media deve aumentare. Così, la media dei voti universitari sale solo se nell'ultimo esame prendo un voto superiore alla media di tutti i voti precedenti. Se dunque l'ammontare che aggiungo al costo totale, il costo marginale, è inferiore al costo medio, quest'ultimo diminuisce. E viceversa. Finché la curva m sta al di sotto della curva c, la c deve decrescere. E viceversa. Quindi nel punto in cui m = c, la c ha appena smesso di decrescere e non ha ancora iniziato a crescere: essa è nel suo punto di minimo. Nelle figure sotto, vediamo le curve di costo totale, medio e marginale. Il costo totale fisso non varia al variare del livello di produzione. Il costo totale variabile e il costo totale crescono all'aumentare del livello della produzione, prima a un saggio decrescente, poi a uno crescente. Le curve di costo totale danno origine a quelle di costo medio e marginale. Il costo medio fisso diminuisce al crescere del livello di produzione. Il costo medio variabile e il costo medio totale prima diminuiscono e poi aumentano al crescere del livello dell'output. Il costo marginale si comporta allo stesso modo, intersecando le curve di costo medio variabile e di costo medio totale nei loro minimi. La capacità di produzione si situa nel minimo della curva del costo medio totale, che è un livello di output pari a 1500 nell'esempio.

144


Figure 8.3 Total, Average and Marginal Cost Curves

280

TC TVC

200 Cost [£]

0.70 Cost per unit [[£]

240

160 120

TFC

0.60 0.50 MC 0.40 0.30

80

0.20

40

0.10

ATC AVC AFC

300

600

900 1200 1500 1800 2100

300 600 900 1200 1500 1800 2100

Output

Output

[i] Total cost curves

[ii] Marginal and average cost curves

L’ipotesi dell’andamento ad “u” delle curve dei costi medi • I neoclassici giustificano l’andamento ad “u” della curva dei costi medi e marginali di lungo periodo: – Prima prevalgono i rendimenti crescenti di scala, poi i rendimenti decrescenti di scala – Rendimenti di scala: come varia il prodotto quando tutti gli input variano proporzionalmente – Esempio: rendimenti crescenti – se gli input raddoppiano il prodotto cresce più del doppio – Rendimenti decrescenti – se gli input raddoppiano il prodotto cresce meno del doppio – Rendimenti costanti – se gli input raddoppiano il prodotto cresce del doppio 2

145


Rendimenti di scala • Il prodotto aumenta nella stessa proporzione (es. raddoppia)= rendimenti di scala costanti. • Il prodotto aumenta in misura più che proporzionale (es. diventa più del doppio) = rendimenti di scala crescenti. • Il prodotto aumenta in misura men che proporzionale (es. diventa meno del doppio) = rendimenti di scala decrescenti.

La giustificazione dell’andamento ad “u” • Prevalgono prima i rendimenti crescenti (quindi i costi medi diminuiscono), perché all’aumentare della produzione è possibile organizzare meglio il lavoro • Prevalgono poi i rendimenti decrescenti (quindi i costi medi aumentano) perché da un certo punto in poi aumentano le difficoltà organizzative e alcuni fattori di produzione divengono scarsi (e quindi il loro prezzo aumenta) 3

146


La necessità analitica dell’andamento ad “u” • I neoclassici hanno bisogno di costi medi ad “u” per giustificare il loro modello di concorrenza – Se i costi medi di lungo periodo fossero decrescenti il mercato tenderebbe ad essere un monopolio naturale • L’impresa che si ingrandisce per prima ha costi minori ed estromette le altre imprese dal mercato 4

P*

A C

0

Q1

147

D

B D

Q2

cme Q


La scelta dell’impresa m

m, p

p

Qe Q • L’impresa sceglie la quantità che massimizza il profitto – Finché m < p conviene produrre un’unità in più – Finché m > p conviene produrre un’unità in meno – Il profitto è massimizzato quando m = p – Il tratto crescente di m rappresenta la curva di offerta 21

dell’impresa

In termini diversi ma equivalenti, nel breve periodo un'impresa in concorrenza perfetta massimizzerà il profitto (o ridurrà al minimo le perdite) espandendo la produzione fino al punto in cui il prezzo, ossia il ricavo marginale, risulta uguale al costo marginale. È la regola MR = MC. Poiché, in concorrenza perfetta, prezzo e ricavo marginale coincidono, la regola diventa P = MC. Figure 9.6 The Supply Curve for a Price-taking Firm

MC

£ per nut

5 E2

4 E1 E0

p1

p0

2

1

5

p2 AVC

3

S

p3

4 Price [£]

E3

3

2

1

q0 Output [i] Marginal cost and average variable cost curves

q1 q2 Quantity [ii] The supply curve

148

q3


Vediamo la curva di offerta di un'impresa price-taker. Essa ha la stessa forma del tratto della sua curva di costo marginale al di sopra della curva del costo medio variabile. Il punto E°, in cui il prezzo p° = costo medio variabile, è il punto di chiusura. Per prezzi inferiori a 2 euro, il livello di produzione ottimale è zero, dato che per l'impresa risulta più conveniente non produrre. Se il prezzo sale a 3 euro, l'impresa produrrà q1 anziché zero, poiché otterrà il contributo ai costi fissi rappresentato dall'area della regione ombreggiata. La curva di offerta è riportata a destra. Essa indica le combinazioni prezzo-quantità che l'impresa deciderà di produrre e di offrire in vendita. Essa ha la stessa forma della curva del costo marginale che giace al di sopra della curva del costo medio variabile, dato che per ogni prezzo superiore al costo medio variabile l'impresa uguaglia il costo marginale al prezzo.

I profitti nel breve periodo m, c, p

m M N

c

A

p

B

Qe Q • Nel breve periodo (non possono essere modificati gli impianti, né possono entrare nuove imprese) l’impresa può fare extra-profitti (ricavi superiori ai costi opportunità) – Il profitto è rappresentato dall’area del rettangolo MNBA (profitto unitario (p-c) per la quantità prodotta 22

Per verificare qual è l'ammontare di profitto ottenuto dall'impresa, confrontiamo le grandezze medie: a quale costo medio l'impresa produce quella quantità e a quale ricavo medio, cioè a quale prezzo, vende la stessa quantità. La differenza tra ricavo medio e costo medio è il profitto medio o unitario. Per ottenere i profitti complessivi, bisogna moltiplicare il profitto unitario per il numero di unità vendute, ottenendo l'area gialla dell'ultima figura.

149


L’equilibrio di lungo periodo • Il lungo periodo è quell’intervallo di tempo in cui possono essere modificati gli impianti o costruiti nuovi impianti – Le imprese che fanno perdite escono dall’industria – Se nell’industria si registrano profitti più alti dell’interesse nuove imprese entrano nel mercato – Aumenta l’offerta aggregata dell’industria e diminuiscono i prezzi – Il processo va avanti finché i profitti non si annullano – Nell’equilibrio di lungo periodo in concorrenza perfetta non si registrano né profitti né perdite 23

L’equilibrio di lungo periodo dell’impresa m, c, p

m c p

Qe Q • Nel lungo periodo il prezzo è uguale al costo marginale e al costo medio. – Non si registrano profitti – Poiché c ed m sono uguali solo nel punto minimo di c il costo medio è minimizzato e gli impianti sono sfruttati al meglio: si dice che è raggiunta l’efficienza – I consumatori pagano per il bene il prezzo più basso possibile 24

150


Costo unitario

C2 C0

E2 E0

C1

0

CMLP

E1

Q0

Q1

Qm

Quando tutti gli input possono essere variati, possiamo individuare per ogni livello di output il metodo di produzione che minimizza il costo, a prezzi degli input costanti. La curva di costo medio di lungo periodo (CMLP) segna il confine tra i livelli di costo raggiungibili e quelli non raggiungibili. Se l'impresa desidera produrre Q0, il costo unitario più basso ottenibile è C0. Perciò il punto E0 è sulla curva CMLP. E1 è il metodo meno costoso per produrre Q1. Supponiamo che l'impresa stia producendo al livello E0 e desideri aumentare il livello di output fino a Q1. Nel breve periodo, essa non sarà in grado di variare tutti gli input, e perciò dovrà sopportare dei costi al di sopra di C1, ad esempio C2. Nel lungo periodo può essere costruito un impianto di dimensioni ottimali per produrre Q1 e possono essere ottenuti costi pari a C1. Al livello di output Qm l'impresa produce ai costi di produzione unitari più bassi possibili, dati la tecnologia e i prezzi degli input.

Consideriamo infine la relazione tra le curve di costo di breve e di lungo periodo. Ogni curva di costo medio di breve periodo (CMBP) mostra il costo più basso per ottenere un dato livello di output quando uno o più input sono mantenuti costanti. Nessuna CMBP può giacere al di sotto della CMLP, poiché la CMLP rappresenta il costo più basso possibile raggiungibile per ogni livello di produzione. Quando cambia il livello di output, occorre spesso un impianto di diversa dimensione per continuare a produrre a costi minimi. Nella figura sotto la CMBP giace al di sopra della CMLP per tutti i livelli di output, escluso Q0.

151


CMLP

C0

CMBP

0

Q0

Qm

La CMBP è tangente alla CMLP nel suo punto di minimo al livello di output per il quale la quantità dell'input fisso è ottimale . Nella figura tale livello ottimale è Q0. (Disegna tu la CMBP in quel punto della CMLP, oppure considera la figura successiva). La quantità Q0 rappresenta la minima scala efficiente dell'impresa, ossia indica il livello di output per cui i costi di lungo periodo sono minimi. Per tutti gli altri livelli di output, vi è troppo o troppo poco ammontare dell'input fisso, e la CMBP giace al di sopra della CMLP (come per la CMBP tracciata nella figura). Occorre aggiustare la dimensione dell'impianto dell'impresa.

Cost per unit

Figure 8.6 The Envelope Long-run Average Cost Curve

SRATC

SRATC LRAC

c0

q0

qm Output per period

152


SECONDA PARTE: LA PRODUZIONE CON PIÙ DI UN FATTORE Vi sono in genere molti modi in cui un bene può essere prodotto, usando quantità diverse di vari fa ttori.

Fattori Lavoro Macchine Totale

Processi più automatizzati 50 ore uomo a 20.000 euro l'ora = 1 milione 5 macchine a 1 milione di euro al giorno = 5 milioni 6 milioni

Processi meno automatizzati 500 ore uomo a 20.000 euro l'ora = 10 milioni 2 macchine a 1 milione di euro al giorno = 2 milioni 12 milioni

La tabella presenta due modi alternativi di produrre telai per auto. Ciascun metodo produce lo stesso numero di automobili (10.000 telai al giorno). Assumiamo che tutti i lavoratori siano identici (e dunque pagati con pari salario) e che tutti i macchinari abbiamo eguale costo. Il processo meno automatizzato costa di più. In alcuni casi le possibilità di produzioni alternative formeranno un continuo, dove a un leggero aumento del costo di un input corrisponde una leggera diminuzione del costo di un altro input, a parità di output. È il principio di sostituzione : un aumento del prezzo di un input induce l'impresa a sostituirlo con altri input. I modi alternativi di produrre un certo output si possono graficamente rappresentare con gli isoquanti.

Isoquanti • Analogamente alle curve di indifferenza possiamo definire gli isoquanti – Gli isoquanti rappresentano le differenti combinazioni di capitale e lavoro con cui è possibile ottenere la stessa quantità di prodotto – Gli isoquanti hanno un’inclinazione negativa (se diminuiamo l’uso di un fattore produttivo dobbiamo aumentare l’impiego di un altro per ottenere la stessa quantità di prodotto) – Gli isoquanti hanno una forma concava verso l’alto per il principio della produttività marginale decrescente – L’inclinazione dell’isoquanto è il saggio marginale di trasformazione (o di sostituzione tecnica) (? K/? L) 11

153


Il grafico K K K 1 2 Q3 Q2 Q1

K3 K4 L1 L2 •

• •

L3 L4

L

Il grafico mostra come la stessa quantità di prodotto (Q1) può esser ottenuta con diverse combinazioni di capitale e lavoro (K1 -L1, K 2-L2, K3 -L3 , K4-L4). Le curve più alte indicano quantità più alte di prodotto Per il principio della produttività marginale del lavoro, un’unità di lavoro in più sostituisce una quantità alta di capitale quando il lavoro è poco utilizzato, ed una quantità piccola di capitale, quando il lavoro è utilizzato in grande quantità relativamente al capitale 12

L’isocosto • Per utilizzare determinate quantità dei fattori produttivi, dati i prezzi, è necessario effettuare una spesa. • Analogamente al vincolo di bilancio del consumatore, l’isocosto, posto pK il prezzo dei servizi del capitale e pL il prezzo dei servizi del lavoro, è:

S ? pL L ? pK K 1 p K? S? L L pk pK

Questa è l’equazione di una retta la cui pendenza è data dal rapporto pL/pk 13

154


Massimizzazione del prodotto o minimizzazione dei costi K • K1 Q1 •

L

L1

K

K1

Q3 Q2 Q1

L1

L

155

L’imprenditore vuole minimizzare i costi, data la quantità Q1 da produrre: sceglie l’isocosto più basso L’imprenditore vuole massimizzare il prodotto, dati i costi che può sostenere: sceglie l’isoquanto più alto In entrambi i casi massimizza il profitto In entrambi i casi eguaglia il rapporto tra i prezzi al SMT 14


21. Comportamento

Il monopolio

delle imprese e organizzazione dei settori industriali

Al di fuori di situazioni perfettamente concorrenziali, l’impresa ha un “potere” di prezzo. Ma non si tratta, evidentemente, di un potere assoluto. In che senso e da che cosa questo potere è limitato? E in che modo l’impresa lo può sfruttare al meglio? Quale peso hanno i costi di produzione?

156


RICAVO TOTALE

Il ricavo totale (fatturato) di una impresa in un certo intervallo di tempo è rappresentato dal totale delle entrate monetarie ottenute dall'impresa attraverso la vendita dei propri prodotti.

RICAVO TOTALE

COME VARIA IL RICAVO TOTALE AL VARIARE DELLA QUANTITÀ VENDUTA? LA RISPOSTA DIPENDE DAL TIPO DI MERCATO SU CUI L'IMPRESA OPERA

157


IMPRESA PRICE TAKER SE L'IMPRESA È PRICE TAKER (MERCATO DI CONCORRENZA), IL PREZZO NON VARIERÀ AL VARIARE DELLA QUANTITÀ PRODOTTA (AL PREZZO DI MERCATO L'IMPRESA PUÒ VENDERE QUANTO RITIENE PIÙ OPPORTUNO)

RICAVO TOTALE IN IPOTESI DI MERCATO DI CONCORRENZA PERFETTA, LA DOMANDA CHE SI RIVOLGE ALL'IMPRESA • • •

È INDEFINITA AL PREZZO DI MERCATO, È ZERO A PREZZI PIÙ ALTI, È INFINITA A PREZZI PIÙ BASSI DI QUELLO DI MERCATO

158


RICAVO TOTALE POICHÉ IN IPOTESI DI CONCORRENZA, AL PREZZO DI MERCATO L'IMPRESA PUÒ VENDERE QUANTO RITIENE PIÙ OPPORTUNO, IL RICAVO TOTALE VARIERÀ IN PROPORZIONE ALLA QUANTITÀ VENDUTA

RICAVO TOTALE TR

PREZZO = 30

9000 4500 150

300

159

quantità


NOTA BENE In una situazione perfettamente concorrenziale, l'unica ragione per cui non si abbia un'espansione indefinita delle dimensioni dell'impresa può provenire solo dal versante dei costi Al di fuori di situazioni di concorrenza perfetta, l'impresa troverà difficoltà alla sua crescita anche sul versante del mercato

IMPRESA CON POTERE DI MERCATO LA DOMANDA NON ASSORBIRÀ TUTTO QUELLO CHE L'IMPRESA VORREBBE VENDERE A UN CERTO PREZZO. DI CONSEGUENZA, SE L'IMPRESA VUOLE VENDERE DI PIÙ, DOVRÀ RIDURRE IL PREZZO.

160


IMPRESA CON POTERE DI MERCATO IN QUESTE SITUAZIONI, L'IMPRESA HA DI FRONTE A SÉ UNA CURVA DI DOMANDA DECRESCENTE ALL'AUMENTARE DELLA QUANTITÀ VENDUTA, IL RICAVO TOTALE AUMENTERÀ SEMPRE MENO, E POTRÀ, OLTRE UN CERTO LIMITE, ANCHE RIDURSI.

prezzo 60

curva della domanda rivolta all'impresa

32 18 8,9 50

150

300

450 quantità

TR 5400 4800 4000 3000

RICAVO TOTALE 50 p=60

150 p=32

300 p=18

161

450 quantità p=8,89


RICAVO TOTALE TR 5400 4800 4000 3000

50

150

p=60

p=32

300 p=18

450 quantità p=8,89

RICAVO MEDIO RICAVO MEDIO (AR) È DATO DAL RAPPORTO TRA RICAVO TOTALE E QUANTITÀ PRODOTTA.

AR = TR / Q = p Q / Q = p SE L'IMPRESA PRODUCE E VENDE (AD UN UNICO PREZZO) UN SOLO TIPO DI BENE O SERVIZIO, IL RICAVO MEDIO COINCIDE CON IL PREZZO

162


RICAVO MEDIO PERCIÒ la curva del ricavo medio coincide con la curva della domanda rivolta all'impresa prezzo 60

CURVA DEL RICAVO MEDIO (curva della domanda rivolta all'impresa)

32 18 8,89 50

150

300

450 quantità

Ricavo marginale RICAVO MARGINALE (MR) È LA VARIAZIONE DI RICAVO TOTALE CHE SI OTTIENE, A PARTIRE DA UNA CERTA SITUAZIONE, VENDENDO UNA UNITÀ IN PIÙ DI PRODOTTO

? TR MR ? ?Q

163


Ricavo marginale

IL RICAVO MARGINALE È L’INCREMENTO DEL RICAVO TOTALE A FRONTE DI UN INCREMENTO UNITARIO DELLA QUANTITA’ VENDUTA

Ricavo marginale SE L'IMPRESA PRODUCE E VENDE UN SOLO TIPO DI BENE O SERVIZIO, ED È PRICE TAKER (VENDE IN CONDIZIONI DI CONCORRENZA), IL RICAVO MARGINALE COINCIDE CON IL PREZZO.

164


Ricavo marginale SE INVECE LA DOMANDA CHE SI RIVOLGE ALL'IMPRESA DECRESCE ALL'AUMENTARE DEL PREZZO PRATICATO DALL'IMPRESA, ALLORA IL RICAVO MARGINALE È INFERIORE AL PREZZO

Ricavo marginale QUESTO PERCHÉ SE L'IMPRESA VUOLE VENDERE OGNI SETTIMANA UNA QUANTITÀ AGGIUNTIVA, DEVE RIDURRE IL PREZZO NON SOLO SU QUESTA QUANTITÀ AGGIUNTIVA, MA ANCHE SU QUANTO STAVA GIÀ VENDENDO.

165


RICAVO MARGINALE minore ricavo dovuto alla diminuzione del prezzo maggiore ricavo dovuto all'aumento delle vendite

? P

DOMANDA

? Q

CURVE DEL RICAVO MEDIO E DEL RICAVO MARGINALE ricavi unitari

ricavo medio

quantità ricavo marginale

166


CURVE DEL RICAVO MEDIO E DEL RICAVO MARGINALE SE LA CURVA DEL RICAVO MEDIO (CURVA DELLA DOMANDA CHE SI RIVOLGE ALL'IMPRESA) È LINEARE, ALLORA ANCHE LA CURVA DEL RICAVO MARGINALE È LINEARE, INCONTRA LA CURVA DEL RICAVO MEDIO SULL'ASSE DELLE ORDINATE E HA PENDENZA DOPPIA DELLA CURVA DEL RICAVO MEDIO PROMEMORIA : La funzione di domanda è Q = f(p). La funzione di domanda inversa è p = h(Q), che segnala il prezzo al quale il mercato è disposto ad acquistare ogni data quantità di prodotto. La funzione di domanda lineare inversa è: p = A - BQ. Quando la quantità venduta è Q, il ricavo è pari a RT = pQ = (A - BQ)Q = (AQ - BQ2 ). Ora facciamo aumentare la quantità offerta da Q a Q + ?Q. In corrispondenza di questo livello di quantità, il prezzo sarà p' = A - B(Q + ?Q) ed il ricavo sarà RT' = [A - B(Q + ?Q)]( Q + ?Q). Quindi la variazione del ricavo dovuta allo spostamento da Q a Q + ?Q è pari a ?RT = RT' - RT = [A - B(Q + ?Q)](Q + ?Q) - (AQ - BQ2 ) che, dopo alcuni semplici passaggi, può essere riscritta come ?RT = ?Q(A - 2BQ - B?Q). Se dividiamo entrambi i lati di quest'ultima espressione per ?Q, si ottiene ?RT/?Q = A - 2BQ - B? Q, dove ?RT/?Q rappresenta il ricavo marginale. Se supponiamo che la variazione ?Q di Q sia molto piccola (tenda a zero), allora si ha che la funzione del ricavo marginale è MR = A - 2BQ, in quanto il termine B?Q tende a zero quando ?Q tende a zero. L'inclinazione della curva del MR è 2B, mentre l'inclinazione della curva di domanda da cui essa deriva è pari a B.

167


CURVE DEL RICAVO MEDIO E DEL RICAVO MARGINALE

p ? A ? BQ TR ? ( A ? BQ ) Q ? AQ ? BQ 2

? TR MR ? ? A ? 2 BQ ?Q Funzione di domanda lineare ricavi unitari

RICAVO MEDIO RICAVO MARGINALE

quantità

168


Il monopolio • Si ha monopolio quando nel mercato esiste una sola impresa. Il monopolio può essere il risultato di – conoscenza esclusiva della tecnologia o tutela da brevetto – concessione di licenze o appalti da parte del governo – esistenza di forti economie di scala nell’industria • Nel lungo periodo quando cresce la dimensione dell’impianto il costo medio è continuamente decrescente • L’impresa che per prima si ingrandisce può praticare prezzi più bassi delle concorrenti e estrometterle dal mercato

– In questo caso si parla di monopolio naturale 25

MONOPOLIO

NEL CASO DI MONOPOLIO "PURO" LA DOMANDA CHE SI RIVOLGE ALL'IMPRESA MONOPOLISTA COINCIDE CON LA DOMANDA DI MERCATO

169


CARATTERIZZAZIONE GRAFICA IN TERMINI DI RICAVI E COSTI UNITARI Costi e ricavi unitari p*

COSTO MARGINALE DOMANDA

quantità

q*

RICAVO MARGINALE

Ricavo medio e prezzo p, Rme

P = Rme Q

• L’impresa monopolistica si trova di fronte la curva di domanda di mercato: il prezzo non è più un dato – Con l’aumentare della quantità offerta l’impresa deve abbassare il prezzo per vendere il maggior prodotto – La curva di domanda, in cui il prezzo è uguale al ricavo medio, è inclinata negativamente 26

170


Prezzo e ricavo marginale P, Rme P = Rme r Q • Il ricavo marginale r (incremento dei ricavi totali dovuto all’aumento di un’unità venduta) non è più uguale al prezzo – Il ricavo marginale è decrescente e inferiore al prezzo – Per vendere un’unità in più bisogna diminuire il prezzo anche sulle unità vendute precedentemente • Dal prezzo dell’unità in più venduta occorre togliere la differenza di 27 prezzo sulle unità precedentemente vendute

La scelta del monopolista p, r, m, c m

c

pe

p = Rme r Qe Q • L’impresa sceglie la quantità alla quale costo marginale e ricavo marginale si eguagliano – Se r>c conviene produrre un unità in più – Se r<c conviene produrre un unità in meno – Il profitto è massimizzato quando r = c – Si noti che il prezzo è più alto del ricavo marginale 28

1) Per quanto riguarda i costi, nonostante l'impresa occupi una posizione di monopolio nel mercato del prodotto, ipotizziamo che acquisti le risorse in cond izioni di concorrenza. Le curve di costo sono dunque quelle usuali. 2) Una volta prescelto il livello di produzione corrispondente al punto in cui le curve del costo marginale e del ricavo marginale si incontrano, è facile individuare il prezzo a cui il monopolista venderà il bene. Dato che la curva di domanda è il luogo delle combinazioni possib i171


li di prezzo e quantità, il monopolista usa questa curva per individuare un prezzo coerente con la quantità ottimale.

£ per unit

Figure 10.3 The Equilibrium of a Monopoly

MC

ATC p0

c

AVC

0

MR 0

q0

D = AR

Quantity

Profit-maximizing quantity

Il monopolista massimizza il proprio profitto, fermandosi al livello di output in cui il costo ma rginale eguaglia il ricavo marginale. In quel punto la curva del costo marginale taglia la curva del ricavo marginale dal basso. In corrispondenza di tale livello di produzione q°, il prezzo p° (determinato dalla funzione di domanda) è maggiore del costo medio variabile. Il profitto unitario è dato dalla differenza tra il ricavo medio di p° e il costo medio totale di c°. Il profitto totale è pari al profitto unitario p° - c° moltiplicato per il livello di produzione q° ed è raffigurato dall'area della regione ombreggiata.

172


Il profitto nel monopolio p, r, m, c

m c

pe

p= Rme Qe

r

Q

• Il profitto è dato dall’area del rettangolo colorato di giallo ed è pari alla differenza tra il prezzo e il costo medio moltiplicata per la quantità • Il profitto permane nel lungo periodo perché nessuna nuova impresa può entrare – Né il prezzo né il costo medio sono minimizzati

29

£ per unit

Figure 10.5 No Supply Curve under Monopoly

D”

MC

p1

p0

MR” 0

D’

MR’

q0

Quantity

The same output at different prices

173


Nella figura sopra, si vede l'assenza di una curva di offerta in regime di monopolio. Quando l'impresa presenta una curva di domanda con pendenza negativa, non esiste un' unica relazione tra il prezzo fissato e la quantità venduta, ossia appunto una curva di offerta. Le curve di domanda D' e D" hanno entrambe curve di ricavo marginale che intersecano la curva di costo marginale in corrispondenza del livello di produzione q°. Poiché le curve di domanda sono differenti, q° viene vend uta al prezzo p° quando la domanda è D' e a p1 quando la domanda è D". Come abbiamo verificato nella lezione 12 sul mercato degli appartamenti, a parità di costi sostenuti, un'impresa monopolistica è meno efficiente di un'impresa in concorrenza perfetta perché produce una quantità minore e fissa un prezzo più alto. ??Sia i monopolisti che le imprese in concorrenza perfetta massimizzano i profitti producendo quella quantità in corrispondenza della quale il ricavo marginale è uguale al costo marginale. ??Tuttavia il ricavo marginale per un'impresa in concorrenza perfetta è uguale al prezzo di mercato di un'unità addizionale, mentre il ricavo marginale per un monopolista è minore del prezzo di mercato. ??Siccome in regime di monopolio il prezzo supera il ricavo marginale, i compratori pagano per il prodotto più del costo marginale per produrlo; di conseguenza vi è una produzione minore di quella che vi sarebbe se il prezzo fosse uguale al costo marginale. ??In breve: RM ‹ p; ma in equilibrio RM = MC; dunque p › MC.

Si ha un cartello quando un gruppo d'imprese si accordano per agire come un solo offerente. Nella figura sotto, la cooperazione porta a fissare il prezzo di monopolio, ma gli interessi ind ividuali portano a produrre più che in monopolio. All'inizio il mercato è in equilibrio di concorrenza, col prezzo p° e la quantità Q°. La singola impresa ha un output pari a q° e copre appena i suoi costi. Formatosi il cartello, alle imprese sono imposte quote di produzione che riducono l'output totale a Q1, per cui CM=RM. Il prezzo sale a p1. La quota dell'impresa-tipo è q1. I profitti crescono per l'impresa da zero all'area ombreggiata (posta a sinistra di q1). Ma una volta che il prezzo è p1, ogni impresa vorrebbe produrre fino a q2, dove il CM è pari al prezzo fissato dal cartello. Ciò permetterebbe di estendere i profitti all'intera area tratteggiata (posta tra q1 e q2). Se così facessero tutte le imprese, l'output totale supererebbe Q1 e i profitti di ciascuna calerebbero.

174


Figure 10.8 Conflicting forces affecting cartels

MR ATC

p1

MC

S £ per unit

£ per unit

p1 E p0

E p0

D 0

Q1

q1

Q0

Quantity [thousands of tons]

q0

q2

Quantity [tons]

[i]. Market equilibrium

[ii]. Firm equilibrium

175


22-23. Comportamento delle imprese e organizzazione dei settori in -

L'oligopolio

dustriali

e la concorrenza monopolistica

L’oligopolio • Situazione caratterizzata da forti barriere all’entrata, non insuperabili. Nuove imprese possono entrare sul mercato, ma debbono affrontare alti costi, o partire da una posizione svantaggiata – L’oligopolio è una caratteristica del paesaggio economico odierno – Poche imprese dominano le industrie, soprattutto nel settore manifatturiero – Circa 50 imprese producono circa il 15% dei beni della manifattura nel mondo industrializzato 10

Si dice che le imprese adottano un criterio predatorio di fissazione del prezzo quando calcolano i loro prezzi con l'obiettivo di causare perdite monetarie ai loro rivali, in modo che essi debbano uscire dall'industria. L'atteggiamento alternativo consiste nell'impedire a nuove imprese di entrare nell'industria. Vediamo tre casi importanti: 1) Se le imprese già presenti fissassero un prezzo molto alto (come se fossero monopoliste), stimolerebbero altre imprese ad entrare vendendo ad un prezzo minore. Allora il prezzo stabilito sarà basso quanto basta affinché non sia redditizio per altre imprese entrare nell'industria: è la fissazione del prezzo limite. L'altezza della barriera all'entrata è tanto maggiore, ossia il prezzo- limite è più basso, quanto più la domanda è elastica. Infatti se la domanda è elastica, l'impresa rivale potrebbe entrare nell'industria e vendere molto se solo abbassasse poco il prezzo fissato dall'impresa esistente. Vediamo meglio.

176


Elasticità della domanda e barriere all’entrata p p* p1 p2

S1

S2 D1 D2

Q*

Q2 Q1

Q

• Un nuovo impianto sposta la curva di offerta da S1 a S2. – Se la domanda è elastica la quantità scambiata cresce molto (da Q* a Q1 ) e il prezzo diminuisce poco (da p* a p1) – Se la domanda non è elastica (D2) la quantità scambiata cresce poco (da Q* a Q2) e il prezzo decresce molto (da p* a p1 ) 19

In seguito all’entrata di una nuova impresa la curva di offerta di mercato si sposta da da S1 a S2. La situazione è molto diversa se la curva di domanda di mercato del bene è elastica o rigida. Come mostrato dalla figura sopra, se la domanda è elastica (domanda D1 ) la quantità scambiata cresce molto (da Q* a Q1) e il prezzo diminuisce poco (da p* a p1). La nuova impresa può avere convenienza ad entrare nel mercato, perché permangono buone prospettive di profitto. Se però la domanda non è elastica (D2) la quantità scambiata cresce poco (da Q* a Q2) e il prezzo decresce molto (da p* a p2). In questo caso i profitti diminuirebbero sensibilmente e la nuova impresa sarebbe scoraggiata dall’entrare nel mercato. 2) Oppure si può supporre che le imprese esistenti producano un livello di output tale che la quota di mercato che rimane da coprire è troppo piccola affinché una potenziale entrante possa conseguire il profitto, quale che sia il suo prezzo di vendita. 3) O infine si può ipotizzare che il deterrente all'entrata consista, da parte delle imprese già presenti nell'industria, nel disporre di una capacità produttiva in eccesso. Tali imprese minacceranno così, in modo credibile, di produrre una quantità di output superiore a quella limite, e di vendere le merci ad un prezzo inferiore a quello limite, non appena una nuova rivale tenti di entrare. Grazie alle barriere all'entrata, nell'oligopolio permangono profitti positivi anche nel lungo periodo, e quindi prezzi più alti che in concorrenza. L'altezza dei profitti dipende dall'altezza delle barriere all'entrata.

177


Caratteristiche dell’oligopolio • La quota di mercato: – nel settore poche imprese detengono una significativa quota di mercato (e possono quindi influenzare i prezzi) – Nel mondo esistono circa 150 imprese produttrici di automobili, ma Ford e General Motors, insieme, producono un terzo dei veicoli

• Operazioni su scala globale: – Alcune imprese hanno impianti in varie parti del mondo e possono spostare la produzione da un punto all’altro

• Integrazione verticale – Molte imprese controllano diversi gradini del processo produttivo (Intel produce anche schede madri, alcune industrie automobilistiche possiedono imprese che producono materiale elettrico ecc.) 11

Vediamo ora per quali cause in certi settori tende a prevalere una forma di mercato oligopolistica. Una tra le cause principali è il progresso tecno logico che diminuisce i costi di produzione. Possiamo rappresentare questo progresso come uno spostamento verso il basso della curva del costo medio. Tuttavia, gran parte del progresso tecnologico che ha caratterizzato il XIX e il XX secolo è collegato ad un aumento della scala della produzione. Oltre che spostarsi verso il basso, la curva del costo medio dell’impianto efficiente si sposta anche verso destra. In altre parole, le nuove tecniche più produttive possono essere utilizzate solo se si produce una quantità sempre più grande dei beni. In queste condizioni, chi non si ingrandisce non può utilizzare le tecnologie più produttive ed è estromesso dal mercato. Possiamo rappresentare questa situazione aiutandoci con la figura:

€ cmet1 €t1

cmet2

€t2

0

Qt1

Qt2

178

Q


Nel periodo t 1 un impianto efficiente ha la curva dei costi medi cmet1 e può produrre al costo medio minimo di €t1 la quantità Qt1 . Successivamente il progresso tecnologico permette di costruire, nel periodo t 2 impianti con curve dei costi medi cmet2 , con un costo medio minimo di €t2 , corrispondente alla maggiore quantità di Qt2 . È chiaro che il vecchio impianto non può essere più utilizzato, perché chi per primo utilizza il nuovo avrà costi medi molto minori ed estrometterà dal mercato, praticando prezzi molto più bassi, chi non si adegua alla nuova tecnologia. Tuttavia è altrettanto chiaro che il nuovo impianto, per essere utilizzato efficientemente, richiede la produzione di una quantità di bene molto maggiore di quella prodotta dal vecchio impianto. Le nuove tecnologie richiedono dunque spesso impianti e macchinari più grandi che è conveniente utilizzare solo se aumenta la quantità offerta. Può succedere che la scala delle operazioni efficiente (l’offerta minima che l’impresa ha convenienza a portare sul mercato) cresca più rapidamente della domanda, per cui rimane sul mercato spazio per un numero sempre più piccolo di imprese. È vero infatti che il progresso tecnologico si accompagna in genere ad un aumento della domanda. Da una parte si innesca un processo di sviluppo e di crescita della ricchezza e dei redditi, e questo, come sappiamo, farà spostare la curva di domanda dei beni normali verso destra. Inoltre la diminuzione dei costi legata all’utilizzazione di tecnologie più efficienti e conseguentemente alla diminuzione dei prezzi, di per sé, produce uno spostamento lungo la curva di domanda verso il basso e a destra. Tuttavia non è affatto sicuro che la crescita della domanda sia proporzionale alla crescita della scala delle operazioni efficiente. Quando questo non avviene, il mercato vede restringersi il numero delle imprese esistenti e prevale l’oligopolio. Supponiamo, per esempio, che, per il progresso tecnologico, l’output di un’impresa siderurgica efficiente debba salire di 50 volte, cioè che per utilizzare i nuovi metodi produttivi, che hanno un costo medio minore, debba essere aumentata di cinquanta volte l’offerta portata sul mercato da ogni singola impresa. Supponiamo anche che la domanda di acciaio cresca contemporaneamente, ma solo di 10 volte. Ma allora solo 1/5 (10/50) delle imprese prima esistenti copre, nella nuova situazione, l’intera domanda di acciaio. Il numero delle imprese esistenti cade e il mercato da concorrenziale diviene oligopolistico.

179


L’accrescersi delle dimensioni degli impianti ha come conseguenza l’aumento del valore del capit ale fisso.

Capitale fisso e meccanismi di mercato • L’accrescersi del capitale fisso rende meno pronto l’aggiustamento del mercato – È più difficile uscire dal mercato anche se si fanno perdite – Finché si riesce a coprire i costi variabili conviene continuare a produrre, perché si limitano le perdite – Se in un settore è stato prodotto “troppo” (sovra-investimento) può passare molto tempo (il periodo in cui gli impianti sono efficienti) prima che la produzione diminuisca – Se si è prodotto troppo poco (sotto-investimento) per produrre significativamente di più bisogna aspettare la costruzione di nuovi impianti – Gli errori di previsione hanno conseguenze molto più gravi che nella concorrenza perfetta 13

L’incertezza • L’investimento è sempre fatto in condizioni di incertezza – Quando il capitale fisso è minore il periodo di incertezza è breve – Quando c’e un grande capitale fisso il periodo di incertezza è lungo – Il problema è sapere se la somma dei margini operativi, alla fine del periodo di vita degli impianti, sarà tale da coprire l’investimento iniziale per il capitale fisso più profitti – La vita del capitale fisso è spesso lunga 15

180


Tipi di oligopolio • Oligopolio concentrato – Prodotto omogeneo – Impianti di dimensioni grandi più efficienti di quelli piccoli (economie di scala, esistenza di discontinuità tecnologiche) – La domanda è soddisfatta da un numero limitato di grandi impianti

• Oligopolio differenziato – Ogni impresa ha un proprio mercato – Fedeltà della clientela all’impresa – Diviene difficile farsi una clientela per le nuove imprese (alte spese di pubblicità)

16

Oligopolio differenziato • Le barriere all’entrata sono legate alle spese per conquistare la clientela – Di grande importanza le spese per la pubblicità molto alte quando si tratta di far conoscere un nuovo marchio – Spesso è la stessa pubblicità a creare la differenziazione di prodotti peraltro molto simili – “il nome del marchio è importante solo quando le caratteristiche del prodotto non lo sono”

20

181


I settori produttivi e le forme di mercato • Oligopolio concentrato – settori dei mezzi di produzione (acciaio, ecc.)

• Oligopolio differenziato – Settori dei beni di consumo non durevole (detersivi)

• Oligopolio misto (fedeltà + discontinuità tecnologiche) – Settori dei beni di consumo durevoli (automobili)

• Concorrenza – Agricoltura

• Concorrenza imperfetta (differenziazione + piccole imprese) – Commercio al minuto, servizi privati, edilizia residenziale 17

Il grado normale di utilizzo degli impianti • Le imprese fissano il prezzo e adeguano l’offerta alla domanda – Fanno previsioni circa il grado “normale” della domanda e evitano di produrre il massimo possibile – Lasciano un certo grado di capacità produttiva inutilizzata per fronteggiare periodi di improvvisa crescita della domanda – Obiettivo: non perdere in questi casi quote consistenti di mercato, per non favorire la concorrenza 21

Ma come fissano il prezzo le imprese oligopolistiche? Seguo no spesso un criterio di comportamento empirico consistente nel variare il prezzo in proporzione alle variazioni del costo unitario di produzione: è il principio del costo pieno. Secondo questo principio, i prezzi sono fissati dalle imprese in base al loro costo medio "normale", o di lungo periodo, ottenuto sommando al costo del lavoro e dei beni intermedi per unità di prodotto ("costo primo" o diretto) un primo margine, calcolato in percentuale del "costo primo", per il costo 182


fisso, e un secondo margine, anch'esso calcolato in percentuale del "costo primo", per il profitto normale. La somma dei due margini forma il margine lordo di profitto o mark-up: 1) c (il costo medio) è la somma dei costi fissi medi e dei costi variabili medi, con un grado di produzione normale: c = K/qn + v (K costi fissi, qn quantità prodotta normale, v costi variabili). 2) il prezzo è ottenuto aggiungendo ai costi medi il profitto desiderato g: p = v + K/qn + g. Il costo variabile unitario è composto dai costi in lavoro, energia e materie prime. Il costo del lavoro per unità di prodotto è eguale al salario orario w diviso per la produttività oraria o (cioè il numero di unità di prodotto che il lavoratore normalmente ottiene in un'ora): l = w/o Se il lavoratore riceve un w di 10 euro e in un'ora produce in media 5 unità di prodotto, il costo del lavoro per unità è 2 euro. Se il costo di energia e materie prime è 8, il costo variabile unitario è 2 + 8 = 10. Supponiamo che il prezzo di vendita del prodotto sia 18. Il mark-up (margine proporzionale) è p1/v1 = 18/10 = 1,8. Ossia, 10 euro servono a recuperare il costo variabile unitario, mentre 8 servono a coprire i costi fissi e a dare un certo profitto unitario. Supponiamo che w cresca del 50%, passando da 10 a 15 euro. Invece o non cambia. Il costo del lavoro passa da 2 a 3 euro. Il nuovo costo variabile è 11 euro. L'impresa fissa il nuovo prezzo. Conserva il vecchio mark-up, pari all'80%. Aggiunge dunque al nuovo costo variabile di 11 un margine di 8,8 euro e il nuovo prezzo è di 19,80 euro: p2/v2 = 19,80/11 = 1,8. L'idea alla base di questo procedimento è che i costi fissi si muovono all'incirca in proporzione ai costi variabili. Il principio del costo pieno vale finchè il costo medio "normale" per l'impresa non muta. In un'industria oligopolistica, tuttavia, questa "norma" dipende anche dalle "norme" delle rivali: vi è interdipendenza strategica. La principale implicazione è che non esiste più, com'era in concorrenza perfe tta, un solo comportamento ottimale per l'azienda. Essa può avere un interesse comune, massimizzando i profitti congiuntamente alle altre aziende: in tal caso i prezzi saranno fissati al livello del monopolio. Può anche coltivare interessi divergenti da quelli delle altre, cercando di massimizzare i propri profitti. Quando si mette d'accordo con le altre, essa collude: raggiunge cioè un accordo esplicito o implicito di non farsi concorrenza. Quando rompe gli accordi, essa decide di non-cooperare. Vediamo tre semplici modelli di comportamento non-cooperativo.

183


LA CONCORRENZA ALLA COURNOT q2 A

Y1

C

Y2 K

B

X1

D

X2

q1

Vi sono due sole imprese nell'industria. Ciascuna decide quanto produrre e vendere assumendo che la quantità prodotta e venduta dall'altra rimanga costante. Ognuna esprime cioè la congettura che l'altra mantenga inalterato il livello di produzione. Tale congettura si rivela però sbagliata, poiché l'impresa rivale 2 cambia la propria quantità offerta in risposta alla scelta dell'impresa 1. Ma nessuno impara dagli errori; ognuno continua a formulare la stessa congettura fino a raggiungere l'equilibrio. Sull'asse delle ascisse vi è la quantità prodotta dall'impresa 1; sull'asse delle ordinate vi è la quantità dell'impresa 2. Ad ogni valore OY, fissato dall'impresa 2, corrisponde una quantità OX (curva AB) e a ogni valore OX, fissato dall'impresa 1, corrisponde una quantità OY (curva CD). Il punto di equilibrio K sarà raggiunto dopo una serie di azioni e reazioni: se l'impresa 1 produce la quantità OX1, il concorrente dovrà produrre la quantità OY1. Ma, data questa quantità OY1, l'impresa 1 aggiusterà la sua offerta a OX2, cui corrisponderà una quantità OY2, e così via fino a giungere al punto K, in cui la quantità di merce offerta è maggiore che nel monopolio puro. L'equilibrio di Cournot (dopo tutti gli aggiustamenti) può essere rappresentato così:

184


Curva di domanda di mercato Curva del costo marginale del duopolista P° Curva di domanda del duopolista Curva del ricavo marginale del duopolista

O

Q1

Per un duopolista, la curva di domanda dell'impresa e la curva di domanda di mercato sono parallele, separate dall'ammontare di prodotto che l'impresa rivale ha deciso di produrre. Data la curva di domanda, il duopolista massimizzerà il profitto fissando il ricavo marginale uguale al costo marginale: OQ° è la sua quantità prodotta, mentre Q°Q 1 è la quantità prodotta dal rivale.

LA CONCORRENZA ALLA BERTRAND Ogni impresa fissa il suo prezzo nella convinzione che i rivali lasceranno invariati i loro prezzi. Stavolta le congetture si riferiscono ai prezzi; anche stavolta sono errate e non vengono mai corrette. All'inizio il prezzo del bene nell'industria oligopolistica sia 10 euro. L'impresa 1 decide di calarlo a 9. Essa si aspetta che l'impresa 2 non reagisca: così essa acquisirebbe tutti i consumatori (dato che il bene è identico). Invece l'impresa 2 reagisce e porta il prezzo a 8, pensando di sottrarre tutti i clienti alla rivale. Questo processo di continua discesa del prezzo si ferma quando il prezzo è pari al costo medio: oltre quel punto, le imprese andrebbero in perdita.

LA CURVA DI DOMANDA AD ANGOLO Qui l'idea è che le imprese hanno aspettative corrette sulle reazioni delle rivali; e che quindi tengono stabili i prezzi invece di scatenare la guerra. Ogni impresa ritiene che i suoi rivali reagiranno a riduzioni del prezzo adeguandolo verso il basso, ma invece non lo faranno quando il prezzo cresce.

185


La domanda ad angolo angolo • Le imprese, nel prendere le loro decisioni, debbono tener conto di ciò che faranno i concorrenti (interdipendenza strategica) – La curva di domanda ad angolo: l’impresa immagina che se aumenta i prezzi le concorrenti non la seguono, la domanda è elastica e l’impresa perde quote significative di mercato – Se diminuisce i prezzi le concorrenti la imitano: la domanda è rigida e le vendite aumentano di poco – La domanda ad angolo è una curva di domanda congetturale 23

Questo modello spiega la stabilità dei prezzi in oligopolio, ma non il loro livello. Inoltre assume che un'impresa sappia con certezza come i concorrenti reagiranno a un cambiamento del suo prezzo.

Il grafico p pe

E

Qe

Q

• Il prezzo di equilibrio è pe. L’impresa non ha convenienza né ad alzare i prezzi (perde troppi clienti) né ad abbassarli (le vendite calano troppo). • Le imprese tendono a non variare il prezzo, se non quando variano le circostanze in modo sensibile (esempio: i costi) 24

___________________________________________________________________

186


Concorrenza monopolistica • Una forma intermedia di mercato – Numerose imprese – Prodotto differenziato – Ciascuna impresa ha un certo potere di mercato (clientela affezionata ecc.) – Esempi: i negozi di vendita al dettaglio • Fiducia e conoscenza personale del negoziante • Localizzazione (droghiere sotto casa) • Effettiva diversità del prodotto 30

Per meglio comprendere l'importanza odierna di questa forma di mercato, si rimanda alla seconda parte della lezione 49, in cui si presenta il passaggio dal prodotto al prodotto-servizio.

£ per unit

Figure 11.1 [i] Equilibrium of a Typical Firm in Monopolistic Competition

MC ATC

Es ps

D

MR

Output

qs

[I]. Short-run equilibrium

187


La curva di domanda è molto elastica, ma non infinitamente elastica. Infatti le imprese sono molto meno numerose che in concorrenza perfetta; inoltre i loro prodotti sono simili, ma non perfetti succedanei. Nel breve periodo l'impresa massimizzerà il suo profitto producendo la quantità corrispondente all'intersezione delle curve del costo marginale e del ricavo marginale, per le ragioni che ormai conosciamo bene. L'impresa realizza un profitto (economico) pari all'area segnalata. Nel lungo periodo, tuttavia, il profitto economico tende a zero. Infatti, data la facilità di entrata e di uscita dall'industria, le imprese che ne fanno parte tendono a coprire esattamente i costi.

L’equilibrio nella concorrenza monopolistica p, r, m, c

m

c

pe p= Rme Qe

Q r • Come nel monopolio la curva di domanda è inclinata negativamente (ma è più elastica) e il prezzo è maggiore del ricavo marginale e del costo marginale • Come nella concorrenza perfetta, nel lungo periodo l’esistenza di alti profitti attira nuove imprese: il prezzo cade fino ad eguagliare il costo medio

31

Il raggiungimento dell'efficienza economica richiede - come sappiamo - una triplice uguaglianza tra prezzo, costo marginale e costo medio. La coincidenza del prezzo col costo marginale, indica che alla produzione di ciascun bene è destinata la "giusta" quantità di risorse. La coincidenza del prezzo col costo medio minimo, indica che è stata utilizzata la tecnologia meno costosa. Nella concorrenza monopolistica mancano entrambi i risultati. Manca il primo poiché, nell'equilibrio di lungo periodo, il prezzo supera il costo marginale. Manca il secondo poiché le imprese producono una quantità inferiore a quella corrispondente al costo medio minimo. Per migliorare la propria posizione sub-ottimale, ciascuna impresa punta sulla differenziazione del prodotto: quanto maggiore sarà la differenziazione, minore sarà il numero dei rivali, tanto meno elastica sarà la curva di domanda di quell'impresa. In altre parole, tanto più la situazione sarà vicina al monopolio. 188


La differenziazione del prodotto fa sì che il consumatore in ciascun momento possa scegliere tra un ampio ventaglio di alternative, e ne l corso del tempo ottenga prodotti sempre migliori. Se questi aspetti siano sufficienti a compensare le perdite di efficienza derivanti dalla concorrenza monopolistica, rimane una questione irrisolta. Figure 11.1 [ii] Equilibrium of a Typical Firm in Monopolistic Competition

£ per unit

MC

ATC EL pL pc D MR

qL Output

qc

[ii]. Long-run equilibrium

Per maggiore chiarezza, riportiamo un'altra versione dello stesso ultimo grafico. Qui l'impresa è nel suo equilibrio di lungo periodo El. L'entrata di nuove imprese spinge la curva di domanda delle imprese esistenti verso sinistra sino a che questa non è tangente con la curva del costo medio totale nel punto di quantità ql. Il prezzo è pari a pl e viene appena coperto il costo totale. La capacità in eccesso è pari a qc - ql. Se l'impresa producesse al livello qc, i suoi costi diminuirebbero da pl a pc per ogni unità prodotta.

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24. Economia dei

I mercati dei fattori

mercati di lavoro

Distribuzione del reddito SI PARLA DI DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO QUANDO SI CONSIDERA IN QUALE MISURA I SINGOLI INDIVIDUI (O FAMIGLIE) RISULTANO PERCETTORI DI REDDITO LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO IN UNA CERTA COLLETTIVITÀ VIENE RAPPRESENTATA MEDIANTE INFORMAZIONI DEL TIPO SEGUENTE

Distribuzione personale del reddito REDDITI

NUMERO PERCENTUALE PERCETTORI

< 1000

600

30%

1000-2000

400

20%

2000-5000

800

40%

> 5000

200

10%

190


Distribuzione personale del reddito REDDITI

PERCENT PERCENT CUMULATA CUMULATA PERCETTORI REDDITO

< 1000

30%

7%

1000-2000

50%

18%

2000-5000

90%

63%

> 5000

100%

100%

Distribuzione del reddito SI PARLA DI DISTRIBUZIONE FUNZIONALE DEL REDDITO QUANDO SI CONSIDERA A QUALE TITOLO TALE REDDITO È STATO PERCEPITO, IN RAPPORTO ALLA DIVERSA PARTECIPAZIONE DEL SOGGETTO ALLA PRODUZIONE DI BENI E SERVIZI

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Distribuzione funzionale del reddito REDDITI COLLEGABILI ALLA ATTIVITÀ PRODUTTIVA - REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE - REDDITI DA LAVORO AUTONOMO - REDDITI DA CAPITALE - REDDITI DI IMPRESA - REDDITI DERIVANTI DALLA PROPRIETÀ DELLA TERRA REDDITI DA TRASFERIMENTI

DISTRIBUZIONE FUNZIONALE E DISTRIBUZIONE PERSONALE LA DISTRIBUZIONE PERSONALE DEL REDDITO DIPENDERÀ - DA QUELLA FUNZIONALE - DALLA MISURA IN CUI CIASCUN INDIVIDUO HA TITOLO ALLE VARIE FONTI DI REDDITO - AI TRASFERIMENTI - ALLA FISCALITÀ

La distribuzione personale non coincide con quella funzionale, in quanto un individuo può possedere più di un fattore.

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UNA CLASSIFICAZIONE SEMPLIFICATA DEI REDDITI COLLEGABILI ALLA ATTIVITÀ PRODUTTIVA

SALARI INTERESSI RENDITE PROFITTI

SALARI = SAGGIO DI SALARIO x QUANTITÀ DI LAVORO INTERESSI = TASSO DI INTERESSE x CAPITALE RENDITE = SAGGIO DI RENDITA x QUANTITÀ DI TERRA (EXTRA)PROFITTI = VALORE DELLA PRODUZIONE DI BENI FINALI (SALARI+INTERESSI+RENDITE)

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EFFETTI DEI PREZZI SULLA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO L, T e K producono Y w saggio di salario ? ? saggio di rendita i

prezzo del servizio del capitale (tasso di interesse) P prezzo del prodotto ? ?????profitto

Distribuzione del prodotto sociale (in valore) tra i fattori wL+? T+i K+? =PY

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Il fondamento della teoria marginalista della distribuzione SE TUTTE LE IMPRESE SONO PRICETAKER SIA SUL MERCATO DEL PRODOTTO SIA SUI MERCATI DEGLI INPUT, ESSE IMPIEGHERANNO DI CIASCUN INPUT UNA QUANTITA’ TALE CHE L’ULTIMA UNITA’ IMPIEGATA RENDA ESATTAMENTE QUANTO COSTA

Il fondamento della teoria marginalista della distribuzione L’ULTIMA UNITÀ IMPIEGATA DI UN INPUT FA AUMENTARE I RICAVI NELLA MISURA p MP DOVE p È IL PREZZO DEL PRODOTTO E MP LA PRODUTTIVITÀ MARGINALE DELL’INPUT

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Il fondamento della teoria marginalista della distribuzione L’ULTIMA UNITÀ IMPIEGATA DI UN INPUT FA AUMENTARE I COSTI NELLA MISURA DEL PREZZO DELL’INPUT PERCIÒ, IN EQUILIBRIO, IL PREZZO DI CIASCUN INPUT SARÀ UGUALE ALLA SUA PRODUTTIVITÀ MARGINALE MOLTIPLICATA PER IL PREZZO DELL’OUTPUT

I determinanti i prezzi dei fattori

w = p MP L ? = p MPT i = p MP K p MPL L + p MPT T + p MPK K + ? = P Y

Tranne casi speciali in cui esso è nullo, il profitto puro o economico è la differenza tra il ricavo totale di un'impresa e i suoi costi totali, che sono la somma di tutti i costi impliciti ed espliciti, incluso un profitto normale. I costi espliciti sono i compensi monetari versati dall'impresa a soggetti esterni. I costi impliciti sono la remunerazione delle risorse di proprietà dell'impresa che vengono impiegate. Si pensi al costo-opportunità del capitale finanziario investito nell'impresa. Oppure si pensi a un

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agricoltore che lavora personalmente il proprio terreno e possiede tutte le attrezzature utilizzate. Egli sopravvaluterebbe il proprio profitto puro se si limitasse a detrarre dal ricavo totale i costi espliciti (i pagamenti effettuati ai fornitori in cambio delle sementi, degli insetticidi, dei fertilizzanti e della benzina); deve piuttosto detrarre anche la rendita, il salario e l'interesse impliciti a cui rinuncia quando decide d'impiegare personalmente le proprie risorse, invece di destinarle ad altri usi. [Sul concetto di costo-opportunità si veda, oltre alla lezione 6, l'Appendice a questa lezione] Il profitto normale è il compenso minimo necessario per trattenere l'imprenditore in un determinato ramo di attività: è considerato anch'esso un costo-opportunità. Infine il profitto puro è la remunerazione di una risorsa umana speciale: la capacità imprenditoriale. Esso è giustificato da due elementi: 1. Dai rischi che l'imprenditore corre, sia perché opera in un contesto dinamico, e quindi caratterizzato da incertezza, sia perché introduce innovazioni (torneremo su ciò in una prossima lezione). 2. Dalla possibilità di conquistare potere monopolistico, e così mantenere i prezzi al di sopra del livello concorrenziale.

Torniamo agli altri fattori e ripercorriamo il ragionamento svolto. Stiamo assumendo che i mercati dei fattori siano (sempre) in concorrenza perfetta.

LA DOMANDA OTTIMALE DI FATTORI VARIABILI ??L'impresa impiegherà la quantità di fattore variabile che garantisce l'eguaglianza fra il valore del prodotto marginale e il prezzo del fattore stesso. (Il "valore del prodotto marginale" è dato dal prezzo del bene prodotto moltiplicato per il prodotto marginale del fattore considerato). Cosa accade, infatti, se si decide d'impiegare un'unità in più del fattore? 1. la produzione aumenterà del prodotto marginale, che è appunto definito come l'incremento di produzione derivante dall'utilizzo di un'unità in più di input; 2. questo ammontare di produzione verrà venduto al prezzo di mercato, generando così un ricavo marginale, che corrisponde al valore del prodotto marginale. 3. tuttavia l'impiego dell'unità aggiuntiva di input costerà il suo prezzo. 4. quindi, nel calcolare se aumentare l'impiego del fattore, l'impresa dovrà confrontare il ricavo marginale col costo marginale. 5. il punto ottimale sarà quello in cui queste grandezze sono eguali.

197


W, pPML pPML

w

L*

L

Nella figura si vede che il valore del prodotto marginale (pPML) è decrescente, perché il prodotto marginale è decrescente; invece, il costo marginale (w) è costante, perché un'unità addizionale di input costa sempre w euro (in concorrenza perfetta). Il punto d'incontro fra le due rette dà il livello ottimo d'impiego del fattore: al prezzo w, l'impresa domanda la quantità L* di fattore. In corrispondenza di questo livello, tramite la funzione di produzione, si determina la quantità prodotta che massimizza il profitto. L'OFFERTA OTTIMALE DI FATTORI VARIABILI Abbiamo visto nella lezione 17 che la curva di offerta di lavoro è particolare: alterna tratti con la usuale inclinazione positiva a tratti con inclinazione negativa (o "volta all'indietro"). Per semplicità, supponiamo comunque che l'offerta dei fattori abbia l'andamento convenzionale: all'aumentare del prezzo a cui si riesce a vendere quel fattore, aumenta anche l'offerta di quest'ultimo.

W, pPML 198


pPML

w*

L*

L

L'equilibrio si stabilisce in modo analogo a quello sul mercato dei beni. In particolare, notiamo due punti: 1. Così come, sul mercato concorrenziale dei beni, il prezzo del prodotto e il ricavo marginale coincidono, analogamente sul mercato concorrenziale dei fattori il prezzo di una risorsa e il suo costo marginale sono eguali; 2. La curva del ricavo marginale del prodotto coincide con la curva della domanda del fattore variabile da parte dell'impresa, poiché indica l'ammontare del fattore che l'impresa impiegherebbe in corrispondenza di ogni possibile valore del saggio di retribuzione di quel fattore. ??Alcuni economisti sostengono che, se ciascun fattore produttivo percepisce un compenso pari alla propria produttività marginale, allora la distribuzione funzionale ha un carattere equo poiché ciascuno viene remunerato sulla base di ciò che produce. ??Questa conclusione è molto discutibile. Infatti l'andamento della produttività marginale (in particolare il fatto che sia decrescente) dipende dalla presenza di fattori fissi, che vincolano l'espansione della produzione. ??Se cambia il livello dei fattori fissi, cambia anche il livello della produttività del fattore variabile; e quindi sembra scorretto affermare che il contributo alla produzione di quest'ultimo sia misurato dalla sua produttività marginale. ??Ciò accade in generale: «assumendo che la quantità prodotta possa essere rappresentata come funzione di un certo numero di fattori, la produttività marginale è la derivata parziale della quantità prodotta rispetto alla variazione molto piccola di un fattore, supposti costanti gli altri. Matematicamente, la nozione è indubbiamente valida; ma lo è dal punto di vista economico? La risposta è: no. Il fatto è che ogni tecnologia s'incorpora in determinati capitali fissi che consentono determinate combinazioni di fattori e non altre. Se in una fabbrica tessi-

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le con un dato impianto vogliamo produrre un decimetro quadrato in più di tessuto, noi abbiamo bisogno non solo di accrescere, sia pure di pochissimo, il grado di utilizzazione degli impianti (posto che ciò sia possibile), ma anche di far lavorare qualche minuto in più almeno un operaio, il quale, se non vorrà tessere l'aria, dovrà impiegare un batuffolo di cotone grezzo - se di tessuto di cotone si tratta. La produttività marginale concepita come derivata parziale appare quindi come una nozione priva di qualsiasi corrispondenza con la realtà economica» (P.Sylos Labini). ??Inoltre, la distribuzione funzionale non è ciò che veramente conta per giudicare il benessere degli individui; a tal fine, conta la distribuzione personale.

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APPENDICE: Un approfondimento sul concetto di costo-opportunità ??Ogni volta che, per ottenere un particolare obiettivo, dovremo rinunciare a un obiettivo alternativo, da un punto di vista economico potremo dire che l'ottenimento dell’obiettivo perseguito ha un costo. ??Tale costo è rappresentato dal prodotto sacrificato: se distogliamo dalla produzione corrente di villette per vacanze una certa quantità di cemento per destinarla alla costruzione di una barriera frangiflutti, la differenza, per la collettività, si avverte sotto il profilo del risultato, non sotto quello dei costi. ??Allo stesso modo, colui che rinuncia a percepire un interesse perché si ostina a tenere in forma liquida (sotto il materasso ?) i propri risparmi anziché depositarli in banca, o investirli in qualche altra forma, sopporta a tutti gli effetti un costo. Il fatto che si tratti di un mancato guadagno, (= un 'lucro cessante", e non un ‘danno emergente’), non cambia nulla dal punto di vista economico. ??Posto che l'obiettivo è quello di realizzare il maggiore utile possibile con le risorse date, aver rinunciato a quel denaro comporterà comunque il sacrificio di altre risorse quando egli vorrà procedere ad acquistare un qualunque altro bene. Il significato pratico del concetto di costo-opportunità può forse essere illustrato ricorrendo all’assioma del lattaio : un lattaio che abbia, tra le proprie abitudini, quella di bere latte, non può consumarlo a un costo reale più basso a quello a cui lo consumano i suoi clienti. Se infatti rinunciasse a venderlo al prezzo consentito dal mercato per destinarlo al proprio autoconsumo, perderebbe la possibilità di un introito per una somma corrispondente. A ben vedere, nell'ottica della riproducibilità questo esempio potrebbe essere criticato. Il latte può infatti essere considerato un bene riproducibile in modo illimitato: ve ne sarà sempre altro, in luogo di quello consumato dal lattaio, per soddisfare le esigenze degli altri clienti. Quindi, il lattaio che beve il latte del proprio negozio non rinuncia a venderlo ad altri. Diverso sarebbe il caso di un antiquario che fosse anche collezionista di opere d'arte: in questo caso, destinare alla propria collezione un quadro che si è acquistato a 100, ma che si potrebbe rivendere a 500, comporta un innegabile costo-opportunità, nel senso che il "vero" prezzo pagato dall'antiquario nel momento in cui destina alla propria collezione il quadro - quello che esprime le risorse sacrificate - dovrebbe considerarsi 500. (La conclusione sarebbe diversa se si sostenesse che il piacere di possedere il quadro, opportunamente monetizzato, vale almeno 400 in aggiunta al suo prezzo di acquisto). Dunque, il concetto di costo-opportunità è un concetto fondamentale del calcolo economico.

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??Come gli individui applicano i costi-opportunità ? ??Immaginate di essere degli sciatori appassionati, e di attribuire alla soddisfazione prodotta in voi da una giornata di sci un valore di 200.000 lire. ??Per raggiungere i campi di sci, dovete pagare 50.000 lire. ??200.000 lire sono i 'benefici' di una giornata di sci, mentre 50.000 lire sono i 'costi' che corrispondono a questi benefici. ??L'individuo economicamente razionale, prima di prendere una decisione, è solito confrontare i benefici della decisione con i suoi costi. ??Sulla base del confronto tra i 'benefici' e i 'costi' di una giornata passata a sciare, dovreste trascorrere sciando tutte le giornate della vostra vita ! ??Ma supponete invece di potere rimanere a casa vostra a svolgere traduzioni per un valore di 170.000 lire al giorno. ??Il costo di una giornata di sci, in realtà, non è dato solo dal costo di viaggio (50.000 lire), ma anche dal costo-opportunità, dato del mancato guadagno di 170.000 lire. Il costo totale è quindi 220.000, cioè maggiore del beneficio. In questo caso, non converrebbe andare a sciare. Passiamo a un altro esempio. Supponiamo che vi siano due tipi di campi da tennis. Alcuni sono scoperti e altri coperti Per utilizzare quelli scoperti non è necessario pagare nessun prezzo. Per usare i campi coperti, invece, è necessaria una prenotazione di 20.000 lire all'ora, che non è recuperabile in nessun caso (= nemmeno se si rinuncia a giocare al coperto). Supponiamo adesso che vogliate fissare il campo per una partita da tenersi il 25 marzo del prossimo anno. In primavera il tempo è incerto e quindi decidete di prenotare il campo coperto. Tuttavia, in linea di principio voi - potendolo fare - preferireste giocare all'aperto. Quando viene il giorno della partita, constatate che si tratta di una splendida giornata primaverile, calda e soleggiata. Giochereste al chiuso o all'aperto? Invariabilmente, la maggior parte risponde: al coperto, aggiungendo spiegazioni del tipo, 'Ci dispiacerebbe pensare di avere buttato via il nostro denaro', oppure 'Abbiamo già pagato per il campo coperto' e simili. Tuttavia, una tale scelta è economicamente infondata, poiché abbiamo detto che i costi di prenotazione non sono recuperabili: quindi, le due alternative (aperto o chiuso), a questo punto, hanno lo stesso costo (= zero). Perché allora rinunciare a rendere massimo il proprio benessere scegliendo di giocare all' aperto?

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