Appunti Di Economia Politica

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Steve Rou n d

Ap p u n ti di Econ omia Politica

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Appunti di Economia Politica I fallimenti microeconomici del mercato Il genere dei problemi è come diverse istituzioni economiche (procedure di interazione fra individui sul piano economico; stato e mercato) consentono di meglio soddisfare i principi e gli obiettivi verso i quali dovrebbe tendere la società. Come e in quali condizioni i risultati economici che possono essere conseguiti attraverso l’azione del mercato o dello stato garantiscano il rispetto dei principi di efficienza e di equità. Efficienza ed eq uità Le istituzioni sociali possono essere valutate sulla base del criterio di efficienza e di equità. Adam Smith convinto assertore delle virtù del mercato (concorrenziale). Il concetto della “mano invisibile” esprime la capacità del mercato di garantire che scelte economiche compiute da ognuno in vista del perseguimento di interessi e soddisfazioni personali avessero esiti benefici dal punto di vista dell’intera società (l’uomo mira soltanto al guadagno proprio ed è guidato da una mano invisibile a promuovere un fine che non rappresentava alcuna parte delle sue intenzioni). I concetti di efficienza sono molti ma si distinguono : 1. efficienza allocativa (paretiana). 2. efficienza X. 3. efficienza dinamica. Secondo il criterio paretiano (giudizio di valore; carattere soggettivo su ciò che dovrebbe essere) un insieme di persone migliora la propria soddisfazione passando dalla situazione A a quella B, se alcuni stanno meglio in B che in A e nessuno sta peggio in B che in A. Il criterio paretiano corrisponde a un concetto di efficienza: la possibilità di ottenere più di qualcosa senza dover meno di qualcos’altro con disponibilità date. Dal concetto paretiano può derivarsi quello di ottimo paretiano (efficienza allocativa): una situazione A è ottima in senso paretiano se comunque ci si sposti da essa non è possibile migliorare la soddisfazione di qualcuno senza peggiorare la soddisfazione di almeno un altro membro della collettività. L’ottimo paretiano richiede: 1. efficiente allocazione nel consumo dei beni, quando gli SMS per ogni coppia di beni ,fra i vari consumatori, sono uguali. 2. Efficiente allocazione degli inputs produttivi, quando i SMST per ogni coppia di inputs, fra le varie produzioni, sono uguali. 3. Efficienza generale, quando il saggio marginale di sostituzione fra ogni coppia di beni per tutti i soggetti è uguale al saggio marginale di trasformazione (SMT). Efficienza X è la capacità di scegliere i programmi di produzione tecnicamente efficienti: scelte le tecniche produttive efficienti, si tratta di organizzare la produzione in modo da rendere massima la qualità dell’output; richiede specificazione degli obiettivi dell’impresa. Efficienza dinamica è un concetto meno preciso di quello dell’efficienza paretiana allocativa. 1. Concetto di efficienza adattiva ed è la capacità di apprendimento graduale dei problemi e delle risposte corrette ai problemi stessi (conoscere curva di domanda o abbassare costo di produzione).

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2. Capacità innovativa che consiste nella capacità di introdurre innovazioni di processo (riduz. costi) o di prodotto. I concetti di equità sono numerosi ma in linea generale una distribuzione del reddito o della ricchezza viene considerata equa se essa assicura uguaglianza delle opportunità o delle posizioni finali per i membri di un collettività. Primo teorema fondamentale dell’Economia del benessere La corrispondenza fra equilibrio di mercato di concorrenza perfetta e ottimo paretiano è ottenuta sulla base di uno specifico insieme di ipotesi, strumenti concettuali e metodologie. La corrispondenza rappresenta una precisazione della concezione smithiana della “mano invisibile”. Il teorema che fissa l’indicata equivalenza fra concorrenza perfetta e ottimo paretiano, il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere afferma che: in un sistema economico di concorrenza nel quale vi sia un insieme completo di mercati, un equilibrio concorrenziale, se esiste, è un ottimo paretiano. Il rapporto fra i prezzi di equilibrio di due beni è uguale al SMS e al SMT fra i due beni. Per concorrenza perfetta si intende un regime di mercato caratterizzato, dal lato sia dalla domanda e dell’offerta, da: omogeneità dei beni, numerosità degli operatori, assenza di intese fra essi, libertà di entrata e uscita dal mercato e perfetta informazione. La completezza dei mercati implica l’assenza di esternalità: questi possono essere definiti come vantaggi o danni prodotti dall’azione di un operatore su un altro operatore per i quali il primo non riceve o paga un compenso al secondo. Le esternalità sono relazioni fra operatori non mediate da un rapporto di scambio e per le quali, non esiste un mercato. L’equilibrio walrasiano di concorrenza è quella situazione nella quale esiste un vettore di prezzi tale che su tutti i mercati l’eccesso di domanda è nullo. L’esistenza di tale equilibrio è assicurata se le funzioni di utilità hanno le caratteristiche ipotizzate (continuità, non saziabilità delle preferenze) e non sussistono rendimenti crescenti di scala che porterebbero alla riduzione del costo medio e alla riduzione delle imprese (convessità degli insiemi). La qualifica di ottimo paretiano non sottintende un giudizio di merito sulla sua desiderabilità. Dire che una certa posizione del sistema economico è di ottimo paretiano non significa che essa sia buona o auspicabile ma assicura solo “efficienza produttiva” rispetto a una data distribuzione iniziale delle risorse. Una società può trovarsi in una posizione di ottimo paretiano ma essere “disgustosa”. Allora ci si pone una domanda se si possono raggiungere posizioni di maggiore equità distributiva attraverso i meccanismi di mercato. Il secondo teorema dell’Economia del benessere afferma che se sono rispettate alcune condizioni relative alle funzioni di utilità individuali (insiemi di preferenza convessi) e alle funzioni di produzione (insiemi di produzioni convessi), in presenza di mercati completi ogni posizione di ottimo paretiano può essere realizzata come equilibrio concorrenziale, previa un’appropriata ridistribuzione delle risorse (dotazioni iniziali), fra gli individui. Mercati concorrenziali e realtà dei regimi Nella realtà dei mercati prevalgono situazioni di concorrenza imperfetta o monopolistica, oligopolio. In tutte queste situazioni effettive di mercato viene violata la condizione di uguaglianza fra prezzo e costo marginale, che realizza l’equilibrio delle imprese in concorrenza perfetta e che per il 1° teorema dell’economia del benessere, quando siano soddisfatte le altre condizioni richieste dal teorema stesso, assicura l’ottimo paretiano.

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In una situazione di monopolio riconducibile alla natura dei rendimenti di scala. Se questi sono crescenti nel tratto rilevante della curva di domanda si ha monopolio naturale: infatti la minimizzazione dei costi per la quantità richiesta dal mercato si ottiene quando esista una sola impresa. La presenza di più imprese in un regime di costi decrescenti darebbe luogo a instabilità. Dalla microeconomia il prezzo è quello in corrispondenza del quale il costo marginale e uguale al ricavo marginale. Ma se il monopolista adottasse un prezzo pari al costo marginale esso soffrirebbe una perdita essendo il costo unitario sempre superiore a quello marginale. Per evitare la perdita si aggiungerebbe al prezzo pari al costo marginale un onere in somma fissa (per coprire il costo fisso) a carico di tutti i consumatori del bene. G li N consumatori sopporterebbero un onere pari a 1/N del costo fisso. Stimati inizialmente il numero minimo di consumatori si farà pagare a costoro il costo fisso. Coperto il costo fisso con gli oneri posti a carico dei primi N consumatori, gli ulteriori consumatori non ne sosteranno il peso. A queste condizioni nessuno dei consumatori domanderà inizialmente il bene dovendo pagare la quota di costo fisso in aggiunta. O gnuno tenderà a “fare il furbo” comportandosi da opportunista (free rider). In conclusione al monopolista naturale non è possibile praticare un prezzo pari al costo marginale. L’esistenza di costi decrescenti porta al “fallimento” del mercato, impedendo di soddisfare le condizioni che assicurano l’ottimo paretiano. Se le economie di scala non sono tanto estese da portare al monopolio può esserci l’oligopolio. G li operatori fisseranno i loro prezzi o le quantità prodotte tenendo conto delle reazioni degli altri operatori alle proprie decisioni e assumeranno comportamenti di tipo strategico con la conseguenza che non tutti i possibili equilibri saranno efficienti in senso paretiano. L’intervento pubblico può alleviare il fallimento del mercato essenzialmente attraverso forme di regolamentazione o la costituzione di imprese pubbliche. L’esistenza di economie di scala è la più importante causa di fallimento del mercato ma ci sono risultati analoghi a quelli di concorrenza perfetta anche in situazione di monopolio. Il risultato è vincolato alla contendibilità dei mercati, alla possibilità che nuove imprese entrino liberamente e senza costi sul mercato e ne fuoriescano sempre liberamente e senza costi (mercati contendibili). La tattica del hit and run è resa possibile dalla completa libertà di entrata e uscita. Q uindi la contendibilità deriva dall’assenza assoluta di costi di entrata e uscita, mentre nella realtà tali costi esistono (costi di addestramento, progettazione etc.). L’efficienza che è possibile conseguire nei mercati contendibili è diversa da quella paretiana e consiste semplicemente nel fatto che l’impresa monopolista produce una quantità in corrispondenza della quale il costo di produzione è minimo, tenuto conto del vincolo della domanda complessiva. Solo in un caso questa efficienza corrisponde a quella paretiana, quando la curva di domanda interseca la curva del costo unitario nel punto minimo di questa e in corrispondenza anche del costo marginale. Altri presupposti della concorrenza perfetta: la molteplicità degli operatori non implica concorrenza in presenza di accordi tendenti a limitare la competizione; l’omogeneità dei prodotti è una condizione che potrebbe non verificarsi. Il 1° teorema dell’economia del benessere postula l’esistenza di mercati completi, ma nella realtà può esservi incompletezza dei mercati in relazione: 1. All’esistenza di esternalità. 2. All’esistenza di beni pubblici. 3. All’assenza di taluni mercati a pronti o a termine, a causa di costi di transizione ed asimmetria informativa in ambiente incerto.

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L’esternalità è l’inesistenza di un corrispettivo a fronte del vantaggio o del danno procurati da un operatore ad altri e ciò configura proprio l’assenza di un mercato. Ciò è dovuto: 1. Inesistenza di diritti di proprietà individuali su alcuni beni che risultano di proprietà comune (sfruttamento beni). 2. Esistenza di attività di produzione o consumo congiunto: nel momento in cui un operatore compie un’attività di produzione o di consumo, egli determina il sorgere di un bene per altri operatori (inquinamento). L’effetto che le esternalità provocano sulle condizioni di efficienza paretiana è quello di richiedere che i SMS siano diversi fra i vari individui (est. di consumo) e che i SMST siano diversi per le varie industrie (est. di produzione). Considerando il caso delle esternalità di consumo ogni operatore dovrebbe tener conto di tutti gli effetti delle sue scelte, sia degli effetti sul suo livello di soddisfazione sia di quelli sul livello di soddisfazione degli altri e nella scelta del suo paniere di consumo A dovrebbe considerare anche l’esternalità causata a B. Una condizione di efficienza allocativa del consumo valida in assenza di esternalità porta a una allocazione inefficiente in presenza di effetti esterni. Un efficiente allocazione del consumo in presenza di esternalità negative richiede per il soggetto che causa esternalità negative il SMS fra i beni sia superiore al rapporto fra i prezzi e al SMT. Considerando le esternalità di produzione, queste sono causa di divergenza fra costi privati e costi sociali, ovvero fra prodotto marginale privato e prodotto marginale sociale. Con economie esterne il costo marginale privato è maggiore di quello sociale. Le industrie che causano esternalità negative producono più di quanto sia socialmente ottimale. L’intervento pubblico può rimuovere la divergenza fra costo privato e sociale, rendendo interno il costo o il vantaggio procurato dall’operatore al resto della collettività. Si può far ricorso a imposte pigouviane a carico dei creatori di diseconomie esterne; o introduzione di una regolamentazione che ne vieti la creazione. Le esternalità e il teorema di Coase: l’esistenza di un danno o di un vantaggio non pagati e l’identità dei soggetti che li procurano dipendono da come vengono assegnati i diritti di proprietà. Secondo Coase il problema da risolvere è la scelta delle istituzioni e dei criteri di assegnazione dei diritti di proprietà. Coase enuncia queste 2 proposizioni: 1. Se sono soddisfatte le condizioni (assegnazione diritti di proprietà e assenza costi di transazione), gli operatori interessati dall’esistenza di esternalità possono raggiungere accordi mutuamente vantaggiosi senza intervento del governo; se la posizione che massimizza la ricchezza sociale è unica, gli operatori raggiungeranno quella posizione. (Occorre inoltre la presenza di un’autorità esterna agli operatori che assicuri l’esecuzione dei contratti e l’esistenza di una merce liberamente trasferibile che agisca da numerario del tipo della moneta). 2. In presenza di costi di transazione la possibilità di raggiungere la posizione più efficiente attraverso il mercato può dipendere dall’assegnazione dei diritti di proprietà (la posizione più efficiente non è unica). La possibilità di raggiungere l’allocazione delle risorse più efficiente per la società è condizionata dall’assegnazione dei diritti di proprietà. Pertanto nell’attribuzione del diritto di proprietà lo stato dovrebbe considerare gli aspetti di efficienza ed equità e non privilegiare un solo aspetto. Beni pubblici I beni scambiati mostrano rivalità nell’uso nel senso che l’uso di un bene da parte di un operatore ne riduce la disponibilità per altri operatori. I beni non rivali, tale che l’aumento del consumo da parte di un

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soggetto non riduce la disponibilità per il consumo di un altro, sono detti beni pubblici (difesa nazionale, illuminazione strade etc.). Un bene pubblico è un bene per il quale i costi di produzione sono soltanto fissi (Faro, pag.5 5 ). I costi di costruzione e di esercizio restano largamente invariati al variare della quantità prodotta (caso di economie di scala). L’esistenza di costi fissi e la decrescenza dei costi medi portano al fallimento del mercato creando un incentivo per una soluzione cooperativa: se A sostenesse il costo fisso per la produzione di un bene pubblico, ne trarrebbero vantaggio sia A che B e a B non si potrebbe far pagare se non il costo marginale pari a zero in un bene pubblico puro. Ma ognuno tenderà a fare il parassita in attesa che altri decida di produrre il bene pubblico. Per alcuni beni pubblici non è possibile escludere dal consumo nessun operatore; la difficoltà di esclusione accentua l’impraticabilità del mercato e l’esistenza di problemi di parassitismo. Le due proprietà dei beni pubblici (non rivalità e non escludibilità) forniscono la ragion d’essere dell’intervento da parte di enti pubblici, per produrli o per stimolarne la produzione da parte di altri o per regolamentarne l’uso al fine di evitare la cosiddetta tragedia delle proprietà comuni (commons). La condizione di efficienza generale nell’allocazione delle risorse in presenza di beni pubblici è che la somma dei SMS dei vari soggetti sia uguale al SMT. Guardando il dilemma del prigioniero si arriva al punto che la produzione di beni pubblici deve essere fatta dagli enti pubblici attraverso proventi fiscali. Costi di transizione e asimmetria informativ a I costi di transazione interessano sia i mercati a pronti (il bene è scambiato contro il prezzo nel periodo considerato) sia i mercati a termine (il bene viene scambiato contro il prezzo ad una prestabilita scadenza futura). I costi di transazione sono più elevati in presenza di informazione asimmetrica. Cioè alla diversa informazione disponibile per le due parti interessate ad una transazione, chiamate “delegante” (non completa) e “delegato”(completa). L’informazione asimmetrica da luogo a 2 situazioni: 1. Selezione avversa. 2. Rischio morale. La selezione avversa si ha quando una delle parti (delegante) non può osservare importanti caratteristiche esogene (preesistenti) del delegato o del bene oggetto della transazione o delle situazioni nelle quali possa trovarsi il delegato stesso (Akerlof, Auto Usate, pag.6 2). Il rischio morale sorge quando il delegante, successivamente alla decisione di effettuare la transazione, non riesce a osservare le azioni compiute dal delegato o i caratteri di un bene da esso fornito. Il delegante non è incentivato ad effettuare la prestazione nei termini previsti dalle modalità contrattuali (problemi di incentivo). Il rischio morale causa distorsioni e inefficienze. Per evitare le conseguenze negative delle asimmetrie informative possono essere escogitati vari accorgimenti: contratti dove il pagamento sia legato la controllo della qualità del bene; prestazione di garanzie; certificazioni di qualità da parte di associazioni professionali; ma la soluzione migliore è quelle dell’intervento pubblico: che vanno dalla regolamentazione e creazione di aziende. Secondo il primo teorema del benessere l’equilibrio di concorrenza assicura una situazione di ottimo paretiano. Allora si può pensare che piccoli scostamenti dalla concorrenza perfetta non allontanino di molto dall’ottimo paretiano. Ma il teorema del “secondo ottimo” afferma il contrario, che non è vero che una situazione nella quale un numero maggiore di condizioni di ottimo , ma non tutte, sono soddisfatte è necessariamente superiore a una situazione in cui un numero di esse siano soddisfatte. Ove almeno una delle condizioni necessarie per l’ottimo paretiano non può essere soddisfatta si ha un risultato inferiore e quindi si può raggiungere un ottimo che è di secondo ordine cioè il “secondo ottimo”. Nel caso vi sia un ineliminabile allontanamento dalla concorrenza perfetta in un settore sarà impossibile

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conseguire una posizione di primo ottimo. (è ineliminabile tranne che con un possibile intervento statale). L’allontanamento da una condizione necessaria per l’efficienza richiede l’allontanamento da tutte le altre condizioni necessarie per l’efficienza in un senso non precisabile in generale, in quanto sono numerosi e complessi i rapporti di complementarità e sostituibilità fra i vari beni. I teoremi del benessere mancano di robustezza. Equità: la si può distinguere secondo il criterio delle capacità (uguaglianza dei punti di partenza, appoggiata dalla dottrina liberale) e criterio del bisogno (uguaglianza dei risultati; appoggiata dalla dottrina socialista). La distribuzione del reddito è un indicatore dell’equità secondo gli aspetti economici. È possibile che situazioni efficienti nel senso di Pareto siano caratterizzate da distribuzioni di reddito non eque. La ridistribuzione può disturbare l’efficienza e quindi l’equità può essere raggiunta soltanto a scapito dell’efficienza (trade-off tra efficienza ed equità). L’azione pubblica di ridistribuzione può essere attuata specialmente attraverso: la spesa pubblica, trasferimenti alle famiglie e/o alle imprese; la tassazione, progressività delle imposte; politica dei prezzi. I bisogni meritori sono i bisogni che si vogliono tutelare e i beni dei quali si vuole salvaguardare il consumo. I fallimenti macroeconomici del mercato Sulla capacità dei mercati reali di svolgere il ruolo di “mano invisibile” non si possono trascurare alcuni fenomeni (crisi) non spiegabili con i fallimenti microeconomici, come la disoccupazione, inflazione, squilibri di bilancia dei pagamenti e sottosviluppo. Queste sono manifestazioni della instabilità delle economie di mercato capitalistiche, cioè non solo la mancata convergenza del sistema economico verso un determinato equilibrio ma anche la possibilità che l’economia evolva secondo criteri non ottimali dal punto di vista dell’efficienza e/o equità e permanga in tali posizioni non ottimali. I fallimenti macroeconomici sono quelli connessi con l’instabilità delle economie di mercato. essi sono fallimenti perché denotano la presenza di inefficienze e/o iniquità; sono macroeconomici perché la teoria che meglio li spiega è quella macroeconomica. Con disoccupazione si intende la disoccupazione involontaria; questa sorge quando vi sono lavoratori (potenziali) disposti a occuparsi al saggio di salario (reale) vigente o anche a uno leggermente inferiore, ma la domanda di lavoro è insufficiente per occuparli: l’offerta di lavoro risulta “razionata”. L’esistenza di disoccupazione involontaria configura una perdita di efficienza statica e dinamica per il sistema economico. Dal punto di vista statico essa implica la possibilità di migliorare la posizione di alcuni individui, senza peggiorare quella di altri, e il mancato utilizzo delle risorse umane ne implica il deperimento: per questo la sua possibilità di trovare occupazione si riduce con il tempo. La disoccupazione accresce inoltre l’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. Le conseguenze economiche e sociali della disoccupazione possono essere temperate sul piano personale da interventi pubblici di ridistribuzione del reddito che consentano il pagamento di indennità di disoccupazione o “l’integrazione dei guadagni”. In Italia esiste la Cassa integrazione guadagni per integrare il salario dei lavoratori che vengono occupati a orario ridotto per effetto di una flessione di domanda. L’esistenza di indennità di disoccupazione facilita i licenziamenti o le sospensioni del lavoro (lay-off), con il ridurne il costo per i lavoratori interessati e per le imprese stesse che si trovano di fronte a ridotte resistenze da parte dei lavoratori. L’indennità di disoccupazione costituisce un costo economico per la società nel suo complesso. Questo costo si aggiunge ai costi non economici della disoccupazione che sono ricondotti alla frustrazione, emarginazione, aumento della criminalità etc… l’esistenza di tutti questi costi può spiegare l’impegno a perseguire la piena occupazione assunto nel dopoguerra sotto l’influsso delle soluzioni delle teorie

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Keynesiane. Questo impegno è condizionato perché riguarda solo la disoccupazione involontaria in quanto quella frizionale è normale in presenza di imperfezioni nel mercato. Inoltre la posizione di piena occupazione assume la natura di “precipizio”: 1. perché gli effetti della pressione della domanda di beni si fanno sentire sull’offerta, che in pieno impiego è inelastica. 2. L’assenza di disoccupati capaci di far concorrenza ai lavoratori occupati riduce il timore di licenziamento, il loro impegno nell’attività produttiva e al tempo stesso ne incentiva le richieste di aumenti salariali. L’inflazione è di norma un aumento del livello generale dei prezzi e pertanto la perdita di valore della moneta. I tipi di inflazione sono numerosi, distinti: 1. Dalle cause immediate, inflazione da domanda, da offerta, da profitti, finanziaria etc… 2. Dal ritmo di aumento dei prezzi, inflazione strisciante, moderata, galoppante, iperinflazione. L’inflazione da domanda deriva dalla pressione della domanda che si espande al di là della offerta disponibile in prossimità della piena occupazione delle risorse fisiche o umane. L’inflazione finanziaria deriva dalla crescita della spesa pubblica finanziaria in deficit (senza un pari aumento delle entrate fiscali) in condizione di prossimità al pieno impiego o da eccessiva creazione di credito da parte del sistema bancario. L’inflazione da offerta si ha per effetto di shock che portano a ridurre l’offerta (calamità, guerre etc.); l’inflazione da costi consiste nel trasferimento sui prezzi dell’aumento dei costi dell’impresa (in genere quelli variabili); l’inflazione da profitti è connessa con l’aumento del margine di profitto (si ha con forme di mercato diverse dalla concorrenza perfetta) L’inflazione importata è connessa con un prolungato aumento delle esportazioni del paese considerato stimolate da un eccesso di domanda di un paese estero (inflazione in quel paese), tutto ciò provoca un afflusso di capitali che fanno crescere la base monetaria e stimolano la domanda. Quanto alla misura con la quale l’inflazione si manifesta si ha: strisciante (2-3% annui); moderata (minore di 10% annui); galoppante (tassi annui di 2 o 3 cifre); iperinflazione (tasso annuo di almeno 300%). La misurazione avviene utilizzando i vari indici di prezzo disponibili: deflatore implicito del PIL o di suoi componenti, prezzi all’ingrosso, prezzi alla produzione, prezzi al consumo (gli indicatori differiscono per il contenuto del paniere). Una pressione inflazionistica sorge quando i percettori dei vari redditi monetari (salari, profitti, rendite) cerchino di accrescere la propria quota nella distribuzione del reddito reale prodotto, a scapito degli altri. Dalle resistenze degli altri e/o dalla costanza della produzione reale totale scaturisce l’aumento dei prezzi. L’inflazione implica inoltre una redistribuzione della ricchezza; il valore di un obbligazione che sia fissa in termini nominali si riduce in termini reali: se ne avvantaggiano i debitori (enti pubblici) e risultano svantaggiati i creditori (famiglie); ma con meccanismi di indicizzazione (scala mobile), il salario è adeguato alle variazioni dei prezzi di un predeterminato paniere dei beni di consumo mantenendo invariata la distribuzione del reddito e della ricchezza. Una moderata inflazione può essere benefica per l’intero sistema economico (stimolo all’investimento): le imprese vedono ridurre in termini reali i costi del capitale preso a prestito e l’aumento dei prezzi consente loro di incrementare i ricavi totali. L’inflazione invece ha costi per la società in quando fa sorgere oneri per l’adeguamento dei listini o delle apparecchiature automatiche per il pagamento (menu costs e slot-machine costs) o come conseguenza della più bassa detenzione di circolante; questa è connessa con l’aumento del tasso di interesse che si associa all’aumento del tasso di variazione dei prezzi e con l’aumento del costo

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opportunità della detenzione di circolante: i maggiori costi resi necessari dai più frequenti prelievi dai conti correnti bancari vanno sotto il nome di shoe-leather costs. La riduzione dell’inflazione è un obiettivo di politica economica per 2 motivi: 1. Affievolimento dei conflitti sociali ad essa legati. 2. Timore che si inneschi un fenomeno incontrollabile di iperinflazione. teoria normativa della politica economica Si analizzeranno le potenzialità astratte di intervento di un operatore in un’economia di mercato, con la finalità di correggere il funzionamento di questa istituzione oppure di sostituirla. Si svilupperà la teoria che questo operatore dovrebbe fare agendo razionalmente per supplire le carenze di mercato. Programmare significa adottare decisioni coordinate e coerenti di politica economica. Nel campo dell’azione pubblica ciò implica non procedere a interventi slegati (piece-meal) gli uni dagli altri, ma considerare per ogni problema il complesso delle finalità di politica (obiettivi) e l’insieme delle azioni possibili (strumenti). Il bisogno di interventi coordinati deriva da 3 ordini di considerazioni: 1. Scelta dello strumento adatto per ogni obiettivo considerando l’efficacia relativa di ognuno e il tempo richiesto perché ognuno esplichi i suoi effetti. 2. Non esistono problemi di politica separabili uno dall’altro, per risolvere un problema si farà uso di uno strumento che avrà effetto anche su altre questioni, non necessariamente nel senso desiderato. 3. I problemi di politica hanno natura intertemporale. La soluzione di un problema la presente è legata alla soluzione dello stesso problema in periodi successivi. Gli elementi costitutivi del programma sono: 1. gli obiettivi, è un traguardo di politica economica che si misura in termini di una grandezza (reddito, occupazione). 2. gli strumenti, è una “leva” di cui dispongono i responsabili delle decisioni di politica economica per raggiungere un obiettivo, ossia per influenzare il valore di una variabile-obiettivo. L’analisi economica ci dice sulla capacità degli strumenti di influire sugli obiettivi, e indica le relazioni tra le varie variabili economiche e ci suggerisce la possibilità che la manovra di alcuna di esse consenta di influire su altre. La struttura informativa sulle relazioni fra le variabili economiche può essere espressa da un modello matematico che descriva il funzionamento del sistema economico a livello aggregato (macro) o disaggregato (micro). In conclusione un programma è costituito da 3 elementi: obiettivi, strumenti, modello di analisi. Gli obiettivi di politica economica che i policy makers si propongono di raggiungere possono essere coerenti fra loro (stessa manovra porta al raggiungimento di vari obiettivi simultaneamente) o sostituti l’uno dell’altro (la manovra che implica il raggiungimento di un obiettivo rende più difficile il raggiungimento di un altro obiettivo; trade-off). È possibile individuare 4 modi di esprimere gli obiettivi : 1. metodo degli obiettivi fissi. 2. metodo della priorità. 3. metodo degli obiettivi flessibili con SMS variabile.

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4. metodo degli obiettivi flessibili con SMS costante. Obiettivi fissi: Consiste nell’attribuzione di valori prefissati alle variabili che costituiscono gli obiettivi di politica economica (Tinbergen, esempio su 2 livelli di reddito, e su occupazione; pag.143). Priorità: L’indicazione di obiettivi fissi può non risultare conveniente se non si conosce bene la relazione che lega un obiettivo all’altro. Allora si indicano priorità nel raggiungimento degli obiettivi (si assicura il raggiungimento di un obiettivo massimizzando il raggiungimento dell’altro). In termini analitici si massimizza il valore dell’obiettivo non prioritario, subordinatamente al valore desiderato dell’obiettivo prioritario e al vincolo rappresentato dalla curva di trasformazione. Obiettivi flessibili con SMS variabile: Si indicano in termini flessibili gli obiettivi esprimendo le preferenze. Le preferenze rappresentate con una mappa di curve di indifferenza (che riflettono i desideri della collettività; Funzione del Benessere Sociale), si confrontano con il vincolo di bilancio determinando le scelte nel punto di tangenza, ossia le quantità di beni e servizi che egli deve procurarsi per essere soddisfatto nella misura massima possibile. Se gli argomenti della FBS non fossero dei beni ma dei mali (inflazione e disoccupazione) le curve sarebbero concave con SMS crescenti e curve più vicino all’origine degli assi rappresentano soddisfazioni più elevate. Si parla di approccio ottimizzante perché il valore degli obiettivi non è prefissato, ma definito dal processo di ottimizzazione con il vincolo dato dal modello di funzionamento dell’economia (curva di trasformazione). Obiettivi flessibili con SMS costante: in questo caso si ha una funzione del benessere sociale che è stata resa lineare negli argomenti e ha un SMS costante. La funzione di benessere sociale potrebbe avere la forma W=aYn+bYs dove a e b sono i pesi assegnati al reddito nelle due circoscrizioni (il SMS è costante, dato da b/a). Se gli argomenti della FBS con SMS costante sono p e u la funzione si presenta nella forma W=ap+bu dove a e b sono costanti negative. Nel caso in cui a=b=1 si ha l’indice di malessere di Okun che è pari alla somma del tasso di disoccupazione e di inflazione. Questo indicatore è oggetto di varie critiche: 1. l’indice di malessere indica preferenze che possono non essere condivise in quanto disoccupazione e inflazione hanno lo stesso peso (a=b=1); cioè 1% in più di inflazione e uguale a 1% in più di disoccupazione. 2. La diminuzione del benessere causata da un punto in più di disoccupazione è compensata da una diminuzione di un punto dell’inflazione e viceversa. Se cambiano in misura notevole le posizioni di partenza in materia di disoccupazione e inflazione, mutano i termini del rapporto con il quale si è disposti a scambiare incrementi dell’una con decrementi dell’altra lasciando invariato il benessere. Le variabili sono definite strumenti di politica economica se sono soddisfatte le 3 condizioni: 1. I policy makers possono controllarla e fissarla direttamente (controllabilità dello strumento). 2. La variabile così fissata ha influenza su altre variabili che assumono il ruolo di obiettivi (efficacia dello strumento).

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3. La variabile deve poter essere distinta da altri strumenti in termini di grado di controllabilità e di efficacia; due strumenti che hanno la stessa efficacia costituiscono uno stesso strumento (indipendenza degli strumenti). Lo strumento è una variabile che influenza un’altra/e che è quella rilevante per le preferenze del policy maker. Una classificazione degli strumenti di politica è data da Tinbergen che distingue fra politiche: 1. Quantitative che rappresentano la modifica del valore di uno strumento esistente (variazione della spesa pubblica) 2. Qualitative che corrispondono all’introduzione di un nuovo strumento senza comportare sostanziali mutamenti nel sistema economico (introduzione di una nuova imposta). 3. di Riforma che consistono nell’introduzione di un nuovo strumento che comporti modifiche sostanziali nei caratteri e nelle regole di funzionamento del sistema economico. Si possono distinguere misure di controllo diretto e misure di controllo indiretto. 1. Le politiche di controllo diretto raggiungono obiettivi imponendo un comportamento ad alcune categorie di operatori (per ridurre il deficit commerciale si impone un contingentamento delle importazioni). 2. Le politiche di controllo indiretto raggiungono gli obiettivi non imponendo dati comportamenti ma inducendo gli operatori a comportarsi nel modo desiderato, con l’influire sulle variabili dalle quali le loro decisioni dipendono. Le 3 principali misure di controllo indiretto sono : 1. La politica fiscale (manovra di bilancio): concerne i livelli della spesa pubblica e/o della tassazione. 2. La politica monetaria: opera sulla liquidità del sistema attraverso variazioni della base monetaria e/o della percentuale delle riserve obbligatorie. 3. La politica del cambio: tende a influenzare il tasso di cambio, la quantità di una moneta necessaria per acquistare una unità di un’altra moneta. Le misure discrezionali sono gli strumenti di politica che vengono manovrati a discrezione, ossia a seguito di valutazione specifica della situazione, caso per caso. Le regole automatiche sono gli strumenti di politica che entrano in funzione senza che vi sia bisogno di osservare e decidere caso per caso (stabilizzatori automatici). [regola aurea di Tin]. [le variabili esogene sono quelle variabili che determinano altre variabili ma non ne sono influenzate; le variabili endogene possono determinare il valore di qualche variabile ma il cui valore dipende da altre variabili]. Il messaggio della moderna politica economica sta nella visione di insieme dei problemi di politica che si riflette nella considerazione degli effetti diffusi che derivano dalla manovra di ogni strumento, ossia di effetti che si esplicano non su un singolo obiettivo ma su una molteplicità di obiettivi. L’apparato concettuale descritto consente di impostare i problemi concreti, potendosi calcolare numericamente le soluzione “esatte”. L’impostazione presenta un insieme di limitazioni : natura statica e certa, di carattere logico che risultano vitali (Lucas), realismo della rappresentazione della posizione dei policy makers come rappresentanti di indistinti cittadini. Critica di Lucas La sostanza della critica è che le scelte pubbliche possono influenzare i parametri delle funzioni di comportamento privato, ossia la reattività degli operatori privati alle decisioni pubbliche, ovvero la

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stessa forma funzionale dei comportamenti privati. Se i parametri del modello cambiano riflettendo un mutamento del comportamento del sistema, e viene preso come vincolo nel modello di decisione pubblica il “vecchio” modello, le politiche che se ne derivano non saranno affatto ottimali: lo sarebbero soltanto nel caso in cui il comportamento non mutasse; ma esso muta proprio a seguito dell’intervento pubblico. Il vincolo preso a base per la definizione dell’intervento pubblico non è un vincolo vero, ma muta al mutare dell’intervento pubblico stesso. Dal punto di vista teorico la critica di Lucas evidenzia la presenza di interazioni reciproche fra il comportamento degli operatori privati e dell’operatore pubblico; il privato muta il suo comportamento al variare delle aspettative circa il comportamento del pubblico; i modelli di analisi tradizionalmente usati in economia non ammettono questo genere di interazioni; si dovrà cambiare il tipo di modello analitico utilizzato impiegando la teoria dei giochi, che è strutturata in modo da modellare l’interazione strategica fra soggetti. L’evoluzione dei sistemi economici mentre rende più necessario l’intervento pubblico, sembra anche implicare delle restrizioni sulla gamma di politiche efficaci. I fallimenti del "non mercato" La teoria normativa della politica economica è una “teoria dell’interesse pubblico” e non si pone il problema del grado di realismo delle ipotesi sulle quali essa si basa o del comportamento delle autorità pubbliche che ne discende. La teoria normativa della politica economica ipotizza l’esistenza di un operatore che si faccia carico degli interessi dei singoli soggetti economici, riflettendo in una funzione del benessere sociale la “volontà del popolo”. Ma questa impostazione trascura il fatto che 1. il sistema economico non è composto di operatori indistinti 2. i responsabili delle decisioni di politica non sono anonimi. La teoria normativa assume l’esistenza di individui quasi anonimi caratterizzati da specifiche preferenze e diverse dotazioni iniziali. L’azione pubblica tende a migliorare l’efficienza e la distribuzione riflettendo un’idea di “pubblico interesse” sostenuta dalla considerazione di individui indistinti. Gli individui suggeriscono le preferenze ai responsabili della politica economica i quali le recepiscono nella FBS. Ma il popolo non è un’entità composta di individui più o meno indistinti; questi possono essere aggregati in classi o gruppi, aventi caratteristiche comuni. Fra le caratteristiche di queste classi vi è quella del loro diverso potere, espresso nei rapporti economici reciproci e nell’influenza che essi possono esercitare sulla formazione della FBS. La macroeconomia keynesiana ha introdotto differenze sistematiche nelle posizioni dei vari individui, tali da configurare l’esistenza di diverse classi. La teoria dei gruppi di interesse (cattura) riconosce l’esistenza di gruppi di individui con interessi comuni e vede il governo in larga misura come un riflesso della pressione di tali gruppi. La teoria è stata riformulata dalla scuola delle scelte pubbliche (liberista). Sono emersi nel ruolo di operatori sociali le figure dei capitalisti e dei lavoratori come istituzioni intese a rappresentarli (sindacati, partiti). Anche le figure dei consumatori, lavoratori e imprese sono portatrici di interessi più o meno differenziati e tendenti a sollecitare interventi pubblici a loro favore anche attraverso specifici organismi. Ogni gruppo può desiderare di indirizzare l’azione dell’ente pubblico in numerose circostanze: 1. Negli atteggiamenti più generali (politiche espansive o restrittive etc.) 2. Negli atteggiamenti più specifici che prevedono l’uso di interventi direttamente selettivi (diverse aliquote fiscali etc).

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I modi attraverso i quali i gruppi esercitano la loro influenza sui pubblici poteri sono anch’essi numerosi e includono: il voto, le relazioni personali, le campagne d’opinione, promessa a politici di lucrose future occupazioni. L’identità dei policy makers è trascurata nella teoria classica, non viene riconosciuta la loro natura di agenti degli individui indistinti che essi dovrebbero rappresentare o dei soggetti sociali organizzati in gruppi. Essi non hanno idee personali sulla preferibilità delle varie soluzioni, non hanno interessi propri o interessi altrui da perseguire, a parte l’interesse pubblico. Non esiste un problema di incentivi o di vincoli istituzionali capaci di indurli a perseguire l’interesse pubblico o l’interesse di un gruppo sociale. Nella teoria classica della politica economica gli individui che eseguono le politiche, sono ancora anonimi, perseguono senz’altro gli obiettivi indicati dal “principale”. Allora il soggetto pubblico è costituito da 2 categorie di persone: 1. I politici che hanno origine elettiva e definiscono gli obiettivi dell’azione pubblica. 2. I burocrati (lavoratori dipendenti), traducono in realtà le linee di azione individuate dai primi. (per entrambi sorge problema di delega e perciò di incentivi). Naturalmente anche i policy maker hanno specifiche connotazioni, ognuno è portatore di valori e interessi e interagisce in differenti modi con gli altri attori sociali. Con riferimento ai politici è stata formulata la teoria del ciclo politico-economico (Nordhaus). Una sua prima formulazione è quella di Kalecki il quale sosteneva l’impossibilità per un sistema capitalistico di perseguire il pieno impiego nel lungo periodo: l’eliminazione del ciclo economico attraverso politiche espansive keynesiane e l’istituzione di uno “stato del benessere” (Welfare state) avrebbero ridotto la disciplina dei lavoratori, non sottoposti alla minaccia della disoccupazione. Il ciclo politico-economico di Nordhaus non nasce come effetto secondario di politiche aventi altre finalità ma è il risultato dell’ipotesi che le decisioni dei politici siano espressione di loro preferenze proprie. I politici caratterizzati per il loro status ed esprimono preferenze conseguenti, essi indirizzeranno l’economia in modo da massimizzare i voti attesi, essendo l’obiettivo quello di essere rieletti. I risultati elettorali sono influenzati in modo significativo dall’andamento economico; gli elettori attribuiscono peso predominante alla performance del periodo più vicino alla scadenza elettorale e che siano ignari delle conseguenze negative di lungo termine delle manovre atte in periodo elettorale. Inoltre il governo ha la capacità di espandere nel breve periodo l’economia attraverso strumenti monetari e fiscali, l’espansione nel lungo periodo porterebbe a un’inflazione più elevata; peraltro le conseguenze inflattive sono ritardate e consentono ai politici di godere di posizioni di popolarità nel periodo delle elezioni. Allora le ipotesi di Nordhaus appaiono verosimili, cioè che i politici attribuiscono notevole importanza alla propria elezione, la dipendenza degli umori elettorali dall’andamento corrente dell’economia. Secondo la teoria partigiana ogni partito politico assegna pesi diversi ai vari obiettivi economici per ragioni di carattere ideologico e in quanto assume la rappresentanza di differenti interessi e gruppi sociali. L’alternanza dei partiti al governo implica diverse politiche economiche e dà luogo a un ciclo economico; l’andamento ciclico presenta caratteri di subottimalità, e l’inefficienza può essere eliminata se i partiti riconoscono che l’adozione di una regola politica comune di tipo cooperativo è capace di migliorare nel lungo periodo la posizione di entrambi i gruppi sociali rappresentati. La competizione fra i vari partiti politici ha luogo attraverso non soltanto diverse proposte di politica economica ma anche differenti teorie circa il funzionamento dell’economia. Secondo indagini empiriche non sembra che si manifestino sensibili effetti pre-elettorali sulle variabili economiche e questo può derivare dall’incapacità di influire concretamente sulle variabili economiche, il cui andamento potrebbe dipendere da altri impulsi e circostanze esterne e dal fatto che i politici non tentino affatto di orientare in senso ad essi favorevole le posizioni degli elettori attraverso politiche espansive. Le indagini empiriche mostrano che i risultati elettorali non sono influenzati dall’andamento economico

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in quanto vi è l’evidenza di un ciclo politico di bilancio, ovvero di politiche fiscali e monetarie espansive in periodo pre-elettorale. La burocrazia è costituita dall’insieme delle persone che attuano le misure decise dai politici. Il comportamento dei funzionari pubblici si spiega se si assume che essi tendano a massimizzare la propria utilità. Questa dipende da diversi fattori (esigenze personali) che sono legati alla dimensione dell’ufficio, impresa o agenzia nella quale si opera. Di conseguenza si ha un aumento delle dimensioni dell’attività pubblica e della condizione di monopolio nella quale si trovano i vari uffici (Niskanen). La burocrazia pubblica tende a produrre a costi elevati per l’inefficienza operativa attribuibile in larga misura non solo alla peculiarità del lavoro amministrativo rispetto alle normali attività produttive ma anche alle difficoltà di misurare i risultati, all’ambiguità delle tecnologie, e alla molteplicità degli obiettivi. Al contrario di ciò che afferma Niskanen esistono ragioni di contrasto fra dimensione dell’ufficio e interessi personali dei burocrati: un’espansione dell’offerta di beni e servizi da parte dell’ente pubblico riduce le risorse disponibili per il pagamento degli stipendi dei burocrati. A parte le precisazioni che modificano i vari aspetti della burocrazia pubblica, il vero problema consiste negli aspetti differenziali con l’analogo comportamento della burocrazia privata. I problemi fondamentali relativi all’attività dei burocrati pubblici sono: 1. Specificare i compiti individuali in modi coerenti con le capacità di elaborazione dell’informazione di ogni burocrate. 2. Fare in modo che il burocrate esegua i compiti affidatigli. L’obiettivo dei politici è di evitare l’elusione dei compiti, la corruzione dei funzionari da parte di individui che potrebbero trarre vantaggio da un loro specifico comportamento e la formazione di oligarchie burocratiche tali da sostituire le peculiari preferenze dei pubblici dipendenti a quelle espresse attraverso il processo democratico. Questo obiettivo lo si può conseguire in due modi: 1. Fissazione di procedure amministrative rigide: individuati gli interessi, si indirizzano le decisioni dell’esecutivo verso il loro soddisfacimento, specificando le procedure da seguire. 2. Introduzione di incentivi espliciti e positivi, come quelli legati alla produzione, svolgimento di compiti specifici etc... Quale modo per ottenere il comportamento dei burocrati dipende da numerose circostanze; in linea generale è riconosciuto che il controllo della burocrazia rientra nell’ambito più vasto dei problemi di delega e non esistono soluzioni ottime di primo ordine. L’azione dei politici riflette quella delle classi e dei gruppi sociali più numerosi e/o potenti, quindi va rivista l’idea del governo come di una rappresentanza indistinta della volontà del popolo. Si accetta allora l’idea che ogni azione pubblica abbia effetti diversificati sui vari gruppi sociali, ad esempio che una politica per l’occupazione abbia effetti diversi da una politica antinflazionistica su obiettivi come la distribuzione del reddito nei suoi molteplici aspetti. In definitiva, il governo è una istituzione di una società e tende a sancirne la conservazione o plasmarne il mutamento. Ciò avviene con la spinta delle forze sociali e con la possibilità di indirizzare il processo di formazione e esecuzione delle scelte pubbliche attraverso un sistema di controlli e incentivi ai politici e ai burocrati. A seconda del grado di coesione esistente fra i vari gruppi sociali la politica pubblica potrà avere un maggiore o minore carattere di generalità (rivolte all’interesse generale). Gli obiettivi di efficienza e di equità possono essere meglio perseguiti attraverso l’opera di istituzioni private che pubbliche; questo perché dal mutato funzionamento dell’economia scaturiscono problemi che risulta difficile gestire in termini delle esistenti istituzioni e che danno origine a interventi pubblici poco efficaci. Ci sono inoltre contributi dottrinali quali quello di Coase, di Simon (mercato istituzione più

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adatta) o della Public choice che evidenzia le inefficienze ed iniquità che si associano all’azione pubblica come conseguenza di questa ipotesi di comportamento. Sprechi, calcoli errati, difficoltà a reagire a problemi nuovi si sono verificati e giustificano se non la riduzione dell’intervento pubblico, una sua riforma. Il problema essenziale è se i fallimenti del non mercato (fallimenti del governo o dello stato) possono essere valutati come i fallimenti del mercato e se sono superabili o no. La letteratura economica individua 3 punti rilevanti per l’analisi dell’importanza relativa del rischio morale nelle istituzioni pubbliche e private: 1. Misurabilità degli obiettivi. Non è vero che controllo degli organi esecutivi nell’organizzazione privata risulta più agevole ma gli indicatori di successo dell’azione pubblica sono variegati, dal grado di alfabetizzazione alla durata della vita media. Inoltre la molteplicità degli obiettivi pubblici implica difficoltà di controllo anche se tutti gli obiettivi fossero misurabili. 2. Estensione e natura delle situazioni nelle quali si presentano problemi di agenzia. Nel caso pubblico sono normali situazioni nelle quali si presentano molteplici rapporti di agenzia (fra elettorato, politici e burocrati etc…) e spesso vi sono rapporti di delega e simultanei, come quando i politici sono sensibili a molteplici gruppi di interesse. 3. Effetto delle istituzioni complementari nella soluzione dei problemi di agenzia. Si asserisce che i problemi di incentivo con i managers privati possono essere risolti più agevolmente. Un efficace controllo dei managers privati dipende dalle istituzioni concepite a livello pubblico. In sintesi il rischio morale è un problema comune alle strutture di governo pubbliche e private. Due sono le argomentazioni della maggiore gravità dei problemi di incentivo per le istituzioni pubbliche sono: il maggiore numero di strati nel rapporto di delega e la molteplicità degli obiettivi e degli indicatori di successo nel caso dello stato. Sono numerosi i modi per risolvere i problemi di rischio morale nell’ambito pubblico; ci sono svariate ragioni per le quali le imprese pubbliche possono fornire ai loro managers gli stessi incentivi delle imprese private con ampia base azionaria. Inoltre l’esistenza di regole può certamente limitare l’arbitrio dei politici e dei burocrati e la capacità discrezionale di intervento dei politici per contrastare shocks inattesi, che provochino effetti depressivi (discrezione o inflazione?). Le decisioni di politica economica devono essere viste come il risultato di un processo dinamico che tenta di sviluppare regole e strutture organizzative per far fronte a vari limiti nella informazione e nelle azioni dei vari operatori. Ipotizziamo che i problemi di delega possano essere affrontati nell’ambito pubblico con lo stesso grado di successo ottenibile nell’ambito di istituzioni private. L’obiettivo è di costruire una teoria normativa dell’intervento pubblico consapevole delle alternative esistenti in presenza di una realtà sociale variegata. 1. L’origine dell’intervento pubblico: si ha quando i politici sono consapevoli di un problema, per convincimenti propri o come effetto di dibattiti pubblici o pressioni di individui. 2. L’analisi del funzionamento di altre istituzioni: l’emergere di un problema non implica l’intervento pubblico che si avrebbe quando: o Vi è un fallimento del mercato o di altre istituzioni private (org. private volontarie, imprese etc…) o Lo stato può ottenere effetti migliori di quelli della altre istituzioni da almeno un punto di vista a parità di altre condizioni.

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o

La scelta fra i tipi alternativi di intervento: l’intervento pubblico ha luogo con strumenti diversi, che implicano costi e risultati differenti che devono essere analizzati e poi comparati.

La scelta del tipo di intervento va operata più specificamente nei termini dei seguenti elementi: 1. Fattibilità dal punto di vista burocratico e politico. 2. Fattibilità dal punto di vista delle reazioni dei mercati e delle altre istituzioni. 3. Natura dei risultati, in termini macroeconomici e microeconomici. A parte questi elementi è necessario rafforzare le istituzioni pubbliche: 1. Adottando regole e vincoli efficaci per il funzionamento delle istituzioni pubbliche a tutti i livelli. 2. Ricorrendo ad una maggiore pressione competitiva. 3. Ricorrendo al controllo e alla partecipazione democratica. L’attribuzione a specifici organi dello Stato di alcune funzioni di politica economica può avere una giustificazione in termini di efficienza. Il decentramento può essere verticale o orizzontale: 1. Verticale: la funzione viene svolta da un certo organo dello Stato o da un soggetto pubblico separato con riferimento a tutto il territorio dello Stato stesso (Banca centrale indipendente, authority indipendente). 2. Orizzontale: vi è una differenziazione territoriale delle funzioni delle varie articolazioni dello Stato o di altri soggetti pubblici. Questa forma di stato è detta “Stato federale” (federalismo fiscale). Alla base del federalismo fiscale sta la constatazione che i beni pubblici hanno diverso grado di non rivalità: per alcuni esistono economie di scala per l’intero sistema economico (beni pubblici puri); per altri le economie di scala si esauriscono a livelli inferiori (fenomeni di congestione). L’efficienza allocativa richiede che il governo centrale fornisca i primi tipi di beni (difesa, ricerca) e che le strutture di governo territorialmente decentrate forniscano gli altri beni (istruz.). L’efficienza economica della forma di stato federalista (Tiebout) argomenta che se le persone possono liberamente muoversi sul territorio dello Stato, esse possono decidere di risiedere nella circoscrizione che offre loro il pacchetto preferito di imposte, servizi e regolamentazioni. Ogni circoscrizione che fornisca servizi inefficienti perderà parte della popolazione e delle imposte relative, quindi sarà indotta a migliorare i servizi. Il federalismo può assicurare un sistema di incentivi, risolvendo alcuni dei problemi di azzardo morale nell’azione pubblica; ma ci sono degli ostacoli che rendono difficile il funzionamento del meccanismo della mobilità fra circoscrizioni che assicurerebbe l’efficienza nella fornitura di servizi pubblici. Il funzionamento richiederebbe però alcune condizioni: perfetta informazione delle politiche adottate in ogni circoscrizione, assenza di limiti alla mobilità delle persone, assenza di costi per la definizione dell’ambito territoriale e l’assenza di collusione fra circoscrizioni inefficienti; al governo sono assegnati compiti equitativi. Le autorità indipendenti AAI sono istituzioni che presentano caratteristiche specifiche e margini di autonomia più elevati di quelli tradizionalmente attribuiti agli organi amministrativi. Lo sviluppo delle AAI è in relazione alle tendenze di ridimensionamento e riqualificazione della presenza pubblica nell’economia, configurandosi come un processo di esternalizzazione e di decentramento dell’apparato pubblico tradizionale. Riguardo alla privatizzazione una parte delle funzioni che erano svolte dallo Stato centrale sono svolte dal mercato sotto la vigilanza delle AAI. In UK abbiamo i Quangos, organismi quasi governativi (tecnica-scientifica-culturale, elevato grado di autonomia) e agenzie con il compito di gestire il controllo pubblico sulle imprese privatizzate nei servizi di pubblica utilità. Si individuano 3 gruppi di AAI:

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1. Autorità garanti, come l’autorità garante della concorrenza e del mercato e il garante per la privacy, hanno come obiettivo la tutela di interessi di rilievo costituzionale. I loro poteri sono di natura quasi giurisdizionale. 2. Autorità che svolgono funzioni di vigilanza: CONSOB e la Banca d’Italia. Gli interessi sono di rilievo costituzionale(stabilità moneta, funzionamento del mercato borsistico etc). Le funzioni sono normative. 3. Le autorità di regolamentazione, fanno parte quegli organismi creati per favorire il processo di liberalizzazione e di privatizzazione dei servizi pubblici (autorità per l’energia), determinano tariffe, standard qualitativi, di sicurezza etc.. Le AAI sono idonee a garantire elevati livelli di efficienza e di flessibilità amministrativa, e derivano da un ripensamento della stessa ampiezza e modalità dell’intervento pubblico e della crisi di fiducia verso le forme di rappresentanza politica. Gli obiettivi macroeconomici e la politica fiscale Con politica fiscale si designa la manovra del bilancio dello Stato e di altri enti pubblici con finalità di variazione del reddito e dell’occupazione nel breve periodo. Il settore statale comprende lo Stato, gli organi costituzionali, la Cassa depositi e prestiti, l’ANAS, la Gestione ex foreste demaniali; un contenuto simile hanno le amministrazioni centrali al quale si contrappongono quelle locali (regioni, province, comuni, USL, università, camere di commercio etc.) e gli Enti di previdenza (INPS, INAIL, istituti di previdenza amministrati dal Tesoro). Le amministrazioni pubbliche raggruppano le amministrazioni centrali e locali e gli enti di previdenza. Il settore pubblico include le amministrazioni pubbliche e le ex aziende autonome dell’amministrazione centrale. Il bilancio pubblico e la sua manovra L’identità contabile del bilancio pubblico è : T-Cg-Trc-INT-Ig-Trk = Bs Dove T sono entrate correnti, C consumi pubblici, Trc trasferimenti correnti esclusi interessi, INT interessi sul debito pubblico, Ig investimenti pubblici al netto di disinvestimenti, Trk trasferimenti in conto capitale, Bs saldo di capitale. Le entrate pubbliche sono di 2 tipi: 1. Entrate correnti che sono connesse con i tributi e in minima misura da altri fonti. 2. Entrate in conto capitale derivano da alienazione di beni patrimoniali e aziende pubbliche e dal rimborso di crediti. Le spese pubbliche sono composte da: •

la spesa pubblica per beni e servizi. o Spesa per consumi pubblici che è il costo per il personale aumentato delle spese per acquisti correnti di beni e servizi. o Spesa per investimenti pubblici che è destinata ad ampliare la dotazione di capitale di proprietà pubblica (scuole). I trasferimenti correnti in senso stretto includono: o trasferimenti alle famiglie, aventi finalità redistributive e di fornitura di beni meritori.

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trasferimenti alle imprese, consistono di contributi assegnati alle imprese con varie finalità: miglioramento bilancia dei pagamenti, redistribuzione, aumento della domanda. trasferimenti al Resto del mondo, per contribuzioni a organismi internazionali, cooperazione con PVS etc. Gli interessi sono una voce di trasferimenti correnti; I trasferimenti in conto capitale consistono di pagamenti effettuati alle imprese per sostenere investimenti privati. o

• • •

Il saldo complessivo è la somma algebrica del saldo della parte corrente e del saldo in conto capitale. Il saldo corrente ha la natura del risparmio privato che può essere impiegata per spese in conto capitale; per questa ragione un avanzo corrente positivo denota l’esistenza di un risparmio pubblico (positivo). Scorporando gli interessi dal totale delle spese (Gt=G+Tr) si ha la spesa pubblica primaria (Gp=Cg+Ig+Trc+Trk). Se dal saldo corrente o complessivo si scorpora la spesa per interessi si ha rispettivamente il saldo corrente primario (T-Cg-Trc) o il saldo primario (T-Gp= -Cg-Ig-Trc-Trk). La legge annuale di bilancio che scaturisce dalle linee guida sottostanti il documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF) presentato entro il 15 maggio di ogni anno approva un bilancio annuale e pluriennale; la funzione dell’ultimo bilancio è quella di inserire la politica fiscale annuale in un quadro di più ampio respiro ed è presentato in 2 versioni: 1. bilancio pluriennale a legislazione vigente, che espone l’andamento delle entrate e delle spese sulla base della legislazione in vigore. 2. bilancio pluriennale programmatico, che tiene conto degli effetti sulle entrate e spese degli interventi programmati nel DPEF. La legge finanziaria è lo strumento che dispone il quadro di riferimento finanziario coerente con il DPEF, ed indica: •

• •

il limite massimo del ricorso al mercato finanziario (rappresenta il fabbisogno lordo o disavanzo, ossia differenza fra totale delle spese aumentate dei prestiti da rimborsare e totale delle entrate aumentate di quelle derivanti da accensione di prestiti) e del saldo netto da finanziare (fabbisogno netto, ossia totale delle spese al netto del rimborso dei prestiti diminuito delle entrate al netto dell’accensione dei crediti). Le quote di spese pluriennali destinate a gravare su ogni anno. Le variazioni alle imposte e alle tariffe esistenti.

Reddito, occupazione e imposte Gli effetti sul reddito e sull’occupazione con la manovra delle imposte; la tassazione influisce solo indirettamente il reddito potendo influire sul consumo e/o sull’investimento: C =f(Y,T) I =g(i,T). Si distinguono i casi di imposta: 1. In Somma fissa. Si avrà: Il moltiplicatore della tassazione è minore di quello della spesa pubblica (G); cioè l’incremento di 1 euro di tassazione provoca un decremento di reddito minore dell’incremento di reddito prodotto dall’aumento di 1 euro di spesa pubblica.

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Il minor effetto è dovuto al fatto che la tassazione di 1 euro non entra direttamente nel circuito del reddito. Essa si traduce in minore domanda solo nella misura in cui influenza il consumo che è componente diretta della domanda globale (c euro) 2. Proporzionale Se si suppone inoltre che T=tY, (con t costante) cioè se si ipotizza imposizione proporzionale si ha : L’effetto sul reddito di un aumento dell' aliquota di imposta è sempre negativo in quanto esso comporta un aumento del denominatore del moltiplicatore. 3. Progressiva Se l’imposta è progressiva l’aliquota non è più costante ma è funzione crescente del reddito del contribuente. Se vi sono mutamenti della spesa autonoma che tendono a variare solo il numero dei percettori di reddito, rimanendo invariato il reddito pro capite, l’aliquota media non varierà. Al contrario, variazioni della spesa autonoma che si riflettono anche in variazioni del reddito pro capite tendono a far variare l’aliquota media t; quindi il moltiplicatore aumenterà o si ridurrà al ridursi o all’aumentare della spesa autonoma. Ne discende che l’imposizione progressiva costituisce un caso di stabilizzatore automatico: gli effetti sul reddito reale di oscillazioni nei valori delle componenti autonome della domanda aggregata vengono “smorzati” da variazioni in senso contrario del moltiplicatore dovute a variazioni dell’aliquota media, in presenza di imposizione progressiva. L’effetto stabilizzatore è amplificato con la considerazione dei movimenti di prezzo; l’aumento dell’imposizione in termini reali che deriva dalla compresenza di aumento dei prezzi e progressività della aliquote viene detto drenaggio fiscale. Il finanziamento della spesa La spesa può essere finanziata attraverso tributi (pareggio del bilancio) o in deficit (emissione di titoli del debito pubblico, a parità di BM, o creazione di base monetaria). 1. Pareggio del Bilancio Se il finanziamento avviene attraverso le imposte, l’aumento della spesa ha comunque effetti espansivi, in quanto agisce direttamente sul reddito nazionale, laddove l’incremento dell’imposta influisce soltanto sul reddito disponibile, quindi sul consumo e sul reddito nazionale; l’aumento di 1 euro della spesa pubblica comporta un pari aumento del reddito, l’aumento di 1 euro di imposte comporta una riduzione di c euro del consumo e del reddito. Poiché c è minore di 1 vi è un aumento netto del reddito. Quindi il moltiplicatore della spesa è maggiore di quello dei tributi: Se si ipotizza una variazione della spesa pubblica e dell’imposizione ne deriva Dunque un aumento di spesa pubblica pari a 1 euro finanziato da un pari incremento delle imposte accresce il reddito di 1 euro (teorema del bilancio in pareggio o di H aavelmo); indica la possibilità di conseguire un qualsivoglia obiettivo di reddito anche in assenza di deficit di bilancio, ma con un livello di spesa pubblica pari a quello del reddito e con la pubblicizzazione dell’intera economia. o Finanziamento in deficit Se la spesa pubblica non viene finanziata con imposte, essa determina effetti più elevati sul reddito e sull’occupazione. Se il totale delle spese supera le entrate, ossia se si ha un deficit di bilancio (Bs<0), si ha un disavanzo che può essere finanziato in 2 modi, attraverso la creazione addizionale di base monetaria , , o l’emissione di nuovi titoli

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del debito pubblico, ; le modalitĂ di finanziamento in deficit hanno effetti diversi. 2. Finanziamento con Base Monetaria Il finanziamento con BM è niente affatto costoso se realizzato attraverso emissione di monete o biglietti del Tesoro; è in minima misura costoso se ottenuto nell’ambito di convenzioni fra Stato e Banca centrale o nell’obbligo della Bc di finanziare lo scoperto del Tesoro sul c/c della Tesoreria. La seconda differenza tra finanziamento monetario e finanziamento con titoli di del debito pubblico è da ricollegarsi agli effetti espansivi sul reddito. In termini dello schema IS-LM un finanziamento della spesa addizionale attuato con base monetaria comporterebbe uno spostamento verso destra delle curve (aumento reddito certo mentre non lo è quello di i ); una politica monetaria che assicuri l’invarianza del tasso di interesse è detta accomodante. Il finanziamento monetario può provocare aumenti di prezzi in presenza di pieno impiego o di strozzature settoriali. Se questi effetti fossero presenti i policy makers dovranno scegliere fra piĂš elevati livelli di reddito e di occupazione associati a inflazione o a livelli di reddito e di occupazioni corrisponderebbe monetaria. minori ai quali ! #" $ %'maggior &( ) * + , stabilitĂ - % /.0!1 2 354*6 7 8 6 9;: <,: 4 = > ? : qualificazione professionale; politiche di mobilitĂ e politiche di sviluppo della produttivitĂ e della produzione in alcuni settori. 3. Indebitamento Se l’aumento della spesa pubblica finanziato da emissione di titoli del debito pubblico avesse luogo in presenza di una LM orizzontale (tasso di interesse invariabile) si avrebbe un incremento di reddito piĂš alto che in un modello dove la LM non è orizzontale, perchĂŠ il @ 6 9 <(: 8A9 : 4 B <)6 C > D EGF#H I è piĂš basso per l’effetto freno prodotto dalla costanza dell’offerta di moneta. In questo caso si parla anche di effetto di retroazione monetaria. Infatti l’aumento del reddito comporta in successione aumento della domanda di moneta per motivi transattivi, eccesso di domanda di moneta rispetto all’offerta, incremento del tasso di interesse, riduzione degli investimenti e freno all’aumento del reddito stesso. L’effetto di retroazione corrisponde al termine ak/v che essendo positivo fa aumentare il denominatore del moltiplicatore riducendone il valore. La sostituzione della spesa privata per investimenti da parte di quella pubblica prende il nome di spiazzamento finanziario ed è connessa con l’aumento del saggio di interesse derivante dal finanziamento non monetario della spesa pubblica. L’aumento della spesa pubblica causerebbe uno spiazzamento reale completo, in quanto gli individui si preparano a questa evenienza con il ridurre il consumo attuale. I titoli del debito pubblico non costituiscono ricchezza netta in quanto a un loro aumento nel portafoglio corrisponde una maggiore imposta che saranno necessarie per ripagare il debito pubblico; si ricava l’equivalenza ricardiana che significa che il finanziamento della spesa con l’emissione di debito pubblico in realtĂ equivale al finanziamento mediante imposte. Il finanziamento mediante titoli del debito pubblico provoca aumento del tasso di interesse, un effetto di freno (retroazione) dell’incremento del reddito indotto dall’aumentata spesa pubblica. Debito pubblico Può capitare che il debito pubblico si accumula nel tempo. Quali sono le ragioni della crescita ? Vi è crescita quando nel rapporto B/pY il numeratore aumenta a tassi superiori rispetto a quelli del denominatore. (B-p-Y>0) J KML N O P Q LAPRL SUT 1. se c’è un pareggio primario il debito pubblico può crescere solo per gli interessi maturati sullo stock di debito precedente (iB; cresce solo di i ne deriva i-p-Y>0). Ma i-p è il tasso di interesse

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reale quindi in assenza di deficit primario e di finanziamento monetario il rapporto fra debito pubblico e PIL cresce, se il tasso di interesse reale è maggiore del saggio di crescita PIL. 2. se si ha un deficit primario ci sarebbe un’ulteriore crescita del debito pubblico: questo potrebbe aumentare anche se il tasso di interesse reale fosse pari al tasso di crescita del reddito; al contrario un avanzo primario tende a frenare la crescita del debito pubblico. Negli anni 8 0 e 90 il tasso di interesse reale è stato superiore al tasso di crescita del reddito per varie ragioni: I CCT fruttavano un saggio di interesse reale in media al 7% mentre il PIL era al 2,5%, questo per: • •

la stretta monetaria iniziata alla fine degli anni 70 in USA ha fatto aumentare i tassi di interesse mondiali. Divorzio Banca centrale e Tesoro che portò l’adozione di politiche monetarie restrittive portando un aumento del tasso di interesse reale a livelli superiori.

La diminuzione del finanziamento monetario del Tesoro ha comportato una crescita ulteriore del debito. Se il rapporto fra debito e prodotto risulta crescente si arriverà alla dichiarazione di insolvenza da parte dello Stato o il razionamento del credito da parte del creditore (mercato). La riduzione del rapporto fra debito e PIL (rientro) si ottiene con l’uso di strumenti capaci di influenzarne i fattori dai quali dipende la dinamica del rapporto. 1. Politiche di sviluppo del reddito. Lo stimolo del reddito va affidato a un riorientamento della spesa pubblica e dei tributi che accentui l’efficienza della spesa pubblica e abbia effetti di stimolo per l’attività economica privata (politica di offerta di servizi pubblici efficienti e di una politica industriale capaci di accelerare lo sviluppo). Inoltre si può usare una politica monetaria espansiva, una politica di deprezzamento del cambio, una politica di moderazione salariale. 2. Politiche riguardanti il saldo primario. L’accrescimento del saldo primario è un obiettivo della manovra che porta alla riduzione del rapporto B/PIL, si agisce dal lato della spesa primaria e delle entrate. La riduzione della spesa è una azione possibile ma si rischia di non avere miglioramenti sostanziali nella qualità dei servizi pubblici che si traduce in una perdita del benessere dei cittadini. Una riorganizzazione del sistema tributario e un migliore funzionamento dell’apparato amministrativo, che hanno portato più di recente ad una riduzione dell’elusione e dell’evasione. La privatizzazione di imprese pubbliche contribuisce a ridurre il fabbisogno finanziario netto. 3. Politiche del saggio di interesse. L’abbassamento del tasso di interesse reale sul debito pubblico può contribuire a ridurre il rapporto fra debito e PIL. Si agisce con una politica di gestione del debito pubblico che si proponga di ridurre il costo reale del debito agendo sulle condizioni alle quali viene emesso il debito stesso o sul funzionamento del mercato secondario dei titoli di Stato. Sono state adottate soluzioni tendenti a facilitare l’assorbimento di forme di obbligazioni, con l’introduzioni di strumenti di controllo diretto: obbligo di destinare una quota dell’incremento dei depositi all’acquisto di obbligazioni (vincolo di portafoglio) o prestito forzoso che garantisce l’assorbimento di quantità del debito pubblico. Altre soluzioni per abbassare il tasso di interesse reale sono connesse con i mercati finanziari mondiali.

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Politiche per la bilancia dei pagamenti La teoria della bilancia dei pagamenti La bilancia dei pagamenti è composta da 3 conti: conto corrente, conto capitale e il conto finanziario. 1. Il conto corrente e capitale si riferiscono a esportazioni e importazioni di beni, merci e servizi. Le importazioni dipendono dal livello della domanda (fattori di domanda) M =mY. La propensione a importare dipende da fattori strutturali e da fattori di competitività (qualità e/o prezzo). Basandosi sui fattori di prezzo, dato il tasso di cambio la propensione ad importare aumenta se aumenterà p, diminuirà se aumenta pw. Dati i prezzi la propensione si riduce al ridursi di e. quindi M=m(p+,pw -,e+)Y. Le esportazioni sono le importazioni del paese straniero X=Mw=mw(p-,pw+,e-)Yw Utilizzando le due equazioni si esprime il saldo dei movimenti di beni in termini reali: PC=X-M=f(p-,pw+,e-,Y-,Yw+). Quindi il saldo dipende da fattori di competitività e da fattori di domanda. 2. Il conto al netto della variazione delle riserve ufficiali, esprime i movimenti di capitale non amputabili all’autorità monetaria. Essi dipendono dai differenziali nei tassi di interesse a lungo termine e a breve, da attese di movimenti nel corso del cambio. Ipotizzando che i tassi a lunga siano legati ai tassi a breve, il saldo dei movimenti di capitale MK dipenderà dai saggi di interesse nei due paesi e dalle variazioni attese nel cambio: Le variazioni delle riserve ufficiali è pari alla somma dei saldi del conto corrente e del conto capitale (saldo B. pagamenti). BP= PC + MK. Il saldo della bilancia dei pagamenti dipende dal saldo del conto corrente e del conto capitale che varia in funzione di fattori di competitività di prezzo, del tasso di cambio reale e dai fattori di domanda. Inoltre dipende dal saldo dei movimenti di capitale che dipende dal differenziale di interesse e dalla variazione attesa del cambio. L’equilibrio della bilancia dei pagamenti si ha quando la somma dei saldi dei movimenti di beni e dei movimenti di capitale è nulla. Si ha avanzo quando le riserve ufficiali aumentano e viceversa. La posizione di avanzo è migliore rispetto a quella di disavanzo ma non può essere considerata conveniente perché comporta disavanzi per altri paesi e pressioni inflazionistiche all’interno (avanzo nella BP è fonte di creazione di base monetaria). L’obiettivo dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti si pone nel lungo periodo (pareggio); nel breve può variare a seconda delle contingenze. Meccanismi automatici di riequilibrio I movimenti di capitale possono riequilibrarsi se esiste una loro sufficiente mobilità. Date le attese di variazione del tasso di cambio, l’afflusso netto di capitali indotto da un tasso di interesse interno + elevato che all’estero tenderà a provocare un abbassamento del tasso di interesse interno e un aumento di quello estero, contribuendo a eliminare così il differenziale iniziale. Il riequilibrio dei movimenti di beni se il regime di cambio è fluttuante è assicurato dalla sua flessibilità che incide sulla competitività. Con riferimento a un regime di cambi fissi ci sono 2 meccanismi operanti sui movimenti di beni. 1. Variazione dei prezzi: il deficit della bilancia dei pagamenti di uno stato porta ridurre la quantità di moneta e se sono soddisfatte le condizioni della teoria quantitativa, i prezzi. Il contrario accadrà nello stato dove si ha un avanzo. In conseguenza di ciò si ridurranno i prezzi del primo

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paese relativamente a quelli del secondo paese. Questa variazione dei prezzi relativi darà luogo a un miglioramento del saldo dei movimenti di beni, tale processo proseguirà fino al pareggio. 2. Variazione dei redditi: un altro meccanismo si fonda sui movimenti di reddito associati al manifestarsi di squilibri della bilancia dei pagamenti. Ipotizziamo che vi sia un aumento della propensione ad importare di B, ciò peggiorerebbe la bilancia di B e migliorerebbe la bilancia di A. Ma accade in parte perché le maggiori esportazioni di A provocano un aumento del reddito che tenderà a far crescere le importazioni. Si passa allora ad una riduzione dell’avanzo. Ma il contrario avviene in B, diminuiscono le importazione per via del reddito ridotto e aumentano le esportazioni. Le politiche per il riequilibrio e le cause di squilibrio Il raggiungimento dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti in regime di cambi fissi richiede specifici interventi pubblici che devono essere calibrati secondo le cause di squilibrio. L’equilibrio dei movimenti di capitale è assicurato dall’uguaglianza fra il tasso di interesse interno e il tasso di interesse all’estero ridotto del tasso atteso di variazione del cambio certo per incerto. Dato il tasso di interesse estero essendo in deficit si porta in pareggio, riducendo la base monetaria e l’offerta di moneta per ottenere un innalzamento del tasso di interesse interno fino a quello estero e viceversa (l’aumento dei tassi di interesse in presenza di debito pubblico accrescono l’onere).I movimenti internazioni sono diventati sensibili rispetto alle attese di variazione dei cambi, hanno effetti forti sulle aspettative di variazioni dei cambi e sull’andamento effettivo dei cambi dei tassi di interesse e delle variabili reali. Queste sono il fondamento delle proposte di limitare la libertà dei movimenti internazionali di capitale con strumenti di controllo diretto (norme amministrative) o indiretto (tassa di Tobin). L’effetto di queste limitazioni sarebbe quello di creare un cuneo fra i tassi di interesse interni (+ bassi) e quelli del resto del mondo (+ alti) senza che ciò causi deflussi di capitale. Il saldo dei movimenti di beni è funzione inversa del livello della domanda interna e funzione diretta della domanda estera; i policy makers operano sul livello della propria domanda interna, restringendola per ridurre il deficit dei movimenti di beni o accrescendola quando alla base dell’avanzo dei movimenti di beni sia un difetto della domanda interna rispetto alla capacità produttiva del paese. Gli squilibri nei movimenti dei beni possono derivare anche da eccessi o difetti di competitività oltre che domanda. L’arbitraggio implicherebbe p. e = pw (nessuna convenienza a esportare o importare). Se il primo membro (p.e) è maggiore del secondo vi è un difetto di competitività delle merci europee. Ma lo squilibrio dei movimenti di beni dovuto a difetto di competitività può essere sanato ristabilendo l’uguaglianza se si agisce su ognuna delle 3 grandezze che vi compaiono o sui fattori collegati. Si può operare su p su fattori come salari, produttività e margini di profitto; su pw attraverso politiche protezionistiche; su e svalutando o rivalutando in caso di difetto o eccesso di competitività. Controllabilità del cambio e l’efficacia della manovra Il controllo del cambio si esercita essenzialmente sulla variabile alla quale il cambio è legato, ossia sulla parità o tasso centrale: si varierà il cambio mutando la parità (la fascia nella quale il cambio oscilla). Riguardo al cambio flessibile la controllabilità implica che il cambio rifletta anche gli interventi pubblici e non solo le forze di mercato. L’efficacia implica che le variazioni del cambio abbiano effetto su variabili (livello del reddito o grandezze nella bilancia dei pagamenti). Partendo dal saldo dei movimenti di beni in termini monetari espressi in moneta estera: PCm=(px e)qx – pm qm. (x esportati, m importati). Considerando una situazione iniziale di pareggio (PCm=0) si arriva a px e/pm X qx/qm =1. Una riduzione di e farà aumentare qx e contrarre qm (effetto

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reale) ma ridurrĂ il prezzo delle merci del paese considerato relativamente a quello delle merci del Resto del mondo, ossia peggiorerĂ la ragione dello scambio, RS=px e/pm , in quanto è diminuito e mentre per ipotesi px e pm sono rimasti costanti. Se le quantitĂ non reagissero al deprezzamento (elasticitĂ della domanda estera rispetto al prezzo delle merci del paese considerato fosse pari a 0) l’onere del miglioramento dei movimenti di beni ricadrebbe sul denominatore e qm dovrebbe ridursi in misura superiore alla riduzione di e, ossia l’elasticitĂ delle importazioni dovrebbe essere superiore all’unitĂ ( V W XGY[Z5\ ] ],^;_ ` a ĂŠ migliori il saldo dei movimenti di beni. Se le quantitĂ importate fossero rigide rispetto a variazioni del cambio ( m=0), l’onere da bilanciare la riduzione di e ricadrebbe tutto su qx che dovrebbe crescere b c deb f g h)iRf g j k h(b l h k/m)n o prqtsvu Se si ammette l’elasticitĂ positiva sia delle esportazioni che delle importazioni la condizione per il miglioramento del saldo dei movimenti di beni a seguito di svalutazione è w x y z { |r} ~,€  Â‚ ƒ „ Â… „  Â‚ †Rƒ „ Marshall-Learner per effic. deprezz.). Si è supposto: 1. 2. 3. 4.

px e pm siano dati. inesistenza di limiti all’offerta dei beni da esportare. adeguamento istantaneo delle quantità . assenza di effetti sulle attese di variazione future del cambio.

1. l’ipotesi che px e pm siano dati esprime l’idea che i prezzi dei beni commerciati siano costanti nelle monete nazionali e che al variare del cambio varino corrispondentemente i prezzi sui mercati esteri. Una riduzione del cambio abbasserebbe i prezzi in dollari delle merci europee nella stessa misura del cambio e aumenterebbe il prezzo in euro delle merci estere. La svalutazione dell’euro sarĂ trasferita sui prezzi in moneta estera delle merci esportate e sui prezzi in euro delle merci importate. Ăˆ possibile che il trasferimento (pass-through) non sia completo. Se un bene costasse 80‡‰ˆ‹ŠÂ?ÂŒ ÂŒAÂŽ Â?‘Â?/Â’ “ Â? ” •)– — ˜™—*š › Â’;” Âœ)› —*— Â?‘Â? Â’ “ž˜ Â&#x;  A• Â?A— ›RÂĄ Â? š Â? ÂĄAÂ? ¢ ˜ ÂĄAÂ? • Â? ˜;ÂŁ che misura la svalutazione dovrĂ trasferirsi sul prezzo in $ . Se mantenesse 100$ non si trasferisce niente su tale prezzo e accrescerebbe solo il prezzo in euro. L’impresa è guidata dagli obiettivi aziendali. Tanto è maggiore il trasferimento tanto minore sarĂ il ricavo unitario in euro e tanto minore sarĂ il profitto unitario, ma un piĂš elevato trasferimento farĂ aumentare la domanda estera tanto piĂš quanto maggiore ne è l’elasticitĂ (con economie di scala e trasferimento completo è possibile avere profitti). La misura del trasferimento è tanto piĂš elevata quanto maggiori sono le economie di scala e quanto minori sono l’elasticitĂ della domanda estera e il livello della domanda interna ed estera, in singoli settori e nell’intera economia. 2. affinchĂŠ possa essere soddisfatta la maggiore domanda derivante dalla svalutazione, l’offerta deve essere elastica in tutti i settori rilevanti. Un’elevata elasticitĂ dell’offerta, a livello globale e non in singoli mercati, presuppone il non pieno impiego delle risorse fisiche e di lavoro. Se l’offerta può non adeguarsi in modo sufficiente all’incremento della domanda rende inefficace la svalutazione. Una riduzione del tasso di cambio comporta un incremento di domanda che si traduce nella crescita di tutti i prezzi. In condizioni di inflazione di domanda la manovra del tasso di cambio sarĂ inefficace. Svalutare la moneta non rimedia il deficit dei conti con l’estero, anzi accrescerebbe la pressione della domanda interna accentuando l’inflazione (se dipende da domanda si innescherebbe un circolo vizioso: inflazione-svalutazione-inflazione). 3. La reazione delle quantitĂ esportate e importate alla mutata competitivitĂ si manifesta con ritardo con una svalutazione, laddove peggiora la ragione di scambio, per la riduzione del cambio che fa ridurre il prezzo in dollari delle esportazioni (px e qx<pm qm). Solo dopo qualche tempo gli effetti positivi sulle quantitĂ si faranno sentire e potranno piĂš che compensare gli effetti negativi sulla ragione di scambio (effetto j).

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4. la manovra del tasso di cambio è efficace solo in alcune situazioni: la svalutazione è adatta a una situazione di perdita di competitività, dovuta a costi e margini di profitto superiori a quelli esteri. La svalutazione non è adatta a fronteggiare un deficit dovuto a movimenti di capitale. Le politiche commerciali: liberismo e protezionismo Gli stessi effetti di una diminuzione del cambio sono ottenibili mediante sussidi e dazi generalizzati. I sussidi si traducono in una integrazione dei profitti che nel caso di incentivazione all’esportazione si applica a chi venda ai mercati esteri: il profitto unitario netto risulta incrementato per una parte dell’importo del sussidio, tendendo a indirizzare l’uso delle risorse verso la produzione per i mercati esteri. I dazi hanno natura e finalità molteplici, sono vere e proprie imposte dirette che fanno aumentare il prezzo delle merci estere (entrate fiscali); di norma hanno finalità protettive dei beni e servizi di produzione nazionale rispetto a quelli di provenienza estera (protezione tariffaria). Si sono diffusi numerosi strumenti di protezione non tariffaria rappresentati da: 1. procedure e regolamentazioni spesso in apparenza dirette ad altre finalità ma che si risolvono in aggravi di costi; 2. contingenti (quote) che consistono nella fissazione di limiti di quantità fisiche o valutari alle importazioni; 3. limitazioni varie imposte da un paese all’acquisto di merci estere; 4. limitazioni in materia di appalti, concessioni, forniture pubbliche; 5. sussidiazione e altre forme di incentivazione alle esportazioni come la svalutazione. Gli effetti del dazio sono: 1. 2. 3. 4.

effetti consumo: il dazio provoca un aumento del prezzo che riduce il consumo interno; effetto produzione: il dazio provoca un aumento del prezzo che fa aumentare l’offerta interna; effetto importazione: come conseguenza degli effetti precedenti, le importazioni si riducono; effetto entrate fiscali: le imposte aumentano in misura pari all’aliquota del dazio moltiplicata per la quantità importata; 5. effetto redistribuzione: i consumatori pagano un maggior prezzo ai produttori nazionali e il dazio allo Stato. Il contingentamento delle importazioni viene imposto attraverso la concessione di licenze ad operatori (imprese o consumatori). Questa misura di controllo ha effetti simili a quelli dei dazi e dei sussidi all’esportazione, ma con il contingentamento tendente a ridurre le importazioni il governo non riceve introiti fiscali ma nemmeno ha spese. Il contingentamento comporta una redistribuzione di reddito a danno dei consumatori e a favore degli importatori che godono di rendite di contingentamento. Un’altra forma di protezionismo è costituita dalle limitazioni volontarie alle esportazioni che sono contingentamenti introdotti dal paese esportatore; simili alle limitazioni volontarie sono gli accordi per mercati ordinati che sono restrizioni volontarie alle esportazioni che coinvolgono simultaneamente più paesi. Il requisito di contenuto nazionale minimo della produzione è una limitazione che accresce la quota di valore aggiunto locale dei beni importati: anziché importare parti componenti destinate soltanto ad essere assemblate nel paese, essi tendevano a stimolare la produzione locale di qualche componente. Altre forme di protezione della produzione nazionale dalla concorrenza estera sono crediti agevolati all’esportazione, assicurazione dei crediti all’esportazione, preferenze agli operatori nazionali nelle commesse pubbliche, limitazioni amministrative a fini di igiene e sanitari etc… Il fondamento scientifico del liberismo sta nei vantaggi della specializzazione a livello internazionale con il principio dei costi comparati (David Ricardo): se due paesi hanno diversa abilità relativa nel produrre

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due beni (si riflette nei costi comparati di produzione) potrà convenire loro di specializzarsi, ognuno producendo soltanto il bene il cui costo è comparativamente minore e scambiare l’eccedenza della produzione di quel bene rispetto alla domanda interna per procurarsi la quantità desiderata dell’altro bene, prodotto dall’altro paese. Questo principio presenta delle limitazioni dovute alla natura statica dell’analisi, alla mancata considerazione delle condizioni di offerta e all’ipotesi di piena occupazione. Giustificazioni del protezionismo 1. la difesa delle industrie nascenti: il paese che protegga un’industria nascente può con il tempo acquisire la capacità ed esperienza e porsi in condizioni di competere con vantaggio con il paese che abbia iniziato prima la produzione o finanche pervenire a una posizione di superiorità. È il caso nel quale esistano economie di scala dinamiche derivanti da processi di apprendimento, sono legate alla produzione cumulativamente effettuata nel tempo. La loro esistenza dà luogo alla curva di apprendimento. Il vantaggio della protezione sta nel fatto che mentre si riduce la possibilità per la produzione estera di espandersi ulteriormente sul mercato nazionale, la parte del mercato servita dalle imprese nazionali si allarga e la quantità totale da esse prodotta può crescere. Con la protezione possono essere pure presenti effetti esterni positivi (spillover) sul sistema produttivo del paese. 2. protezione come strumento per migliorare la ragione di scambio: il dazio è un imposta indiretta e da luogo a traslazione. Il fenomeno è improbabile quanto maggiore è l’elasticità della domanda; l’elasticità dell’offerta può essere bassa e questo fattore tende a ridurre la traslazione del dazio sul prezzo. Una rigidità dell’offerta significa che l’impresa è disposta a vendere la stessa quantità a un prezzo minore. Ciò è dovuto all’importanza per l’esportatore estero del mercato del paese che introduce il dazio, e al fatto che il bene viene prodotto in condizioni di accentuate economie di scala. Se si mantiene il prezzo dopo l’introduzione del dazio, la ragione di scambio (RS=px e/pm) migliora per il paese considerato. Perché il prezzo è al lordo del dazio, togliendolo la RS diminuisce; quindi il dazio migliora la ragione di scambio anche nel caso in cui esso venga traslato sul prezzo. 3. la difesa del lavoro straniero a buon mercato: riguardo al problema della protezione generale dell’industria minacciati dal basso costo del lavoro esistente all’estero che rende non competitive le attività nazionali che non siano protette. La tesi è sostenuta in relazione al problema del dumping sociale, la concorrenza sleale esercitata in molti paesi, in virtù del fatto che il costo del lavoro in essi sarebbe basso per effetto della scarsa protezione sociale dei lavoratori. 4. come ausilio ad una politica per l’occupazione: in una situazione di disoccupazione, il protezionismo può essere uno strumento capace di riportare il sistema stesso alla piena occupazione. Si può vedere che il moltiplicatore aumenta se la propensione a importare si abbassa, ciò che può ottenersi attraverso politiche protezionistiche. Ne consegue che un dato livello di spesa autonoma porterà a un accresciuto livello della domanda globale e dell’occupazione. Il protezionismo e la riduzione della propensione a importare abbassano però il livello delle importazioni del paese, se l’aumento del reddito che ne consegue è proporzionalmente minore della riduzione della propensione ad importare. Ma le importazioni del paese sono le esportazioni del Resto del mondo e quindi si avrebbe una caduta della spesa autonoma e del reddito del Resto del mondo; si tratterebbe di una politica che scarica il vicino le difficoltà interne ovvero che impoverisce il vicino, in quanto l’occupazione del paese si accrescerebbe a danno di quella degli altri; il protezionismo usato congiuntamente a politiche monetarie o fiscali espansive, avrebbe realizzato simultaneamente l’equilibrio interno ed esterno (stessa importazione aumentando domanda interna e abbassando la propensione).

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Istituzioni pubbliche internazionali: sistemi monetari e regimi di cambio Per sistema monetario si intende l’insieme di regole che disciplinano gli aspetti monetari del funzionamento di un singolo sistema economico e/o delle relazioni di questo con altri sistemi economici. Un sistema monetario deve contenere norme che: 1. definiscano l’unità monetaria utilizzata in un sistema economico, strumento che assume potere liberatorio legale ed è anche unità di conto; 2. regolino l’emissione della moneta; 3. definiscano i rapporti con le monete estere in termini di valore, circolazione e convertibilità. Il sistema aureo Il valore dell’unità monetaria può essere riferito a quello di una merce, in particolare di un metallo prezioso, se l’unità monetaria viene definita in termini di tale merce e se sono soddisfatte ulteriori condizioni. Si fa tale riferimento per assicurare la stabilità del valore della moneta e di sottrarre la creazione di questa all’arbitrio di una qualche autorità. Le regole che costituiscono i presupposti del sistema aureo (gold standard) sono che: 1. nel paese che adotti questo sistema circolano biglietti emessi dalla Banca centrale aventi potere liberatorio. 2. viene definito il contenuto dell’unità monetaria del paese in termini di oro (un $ contiene un grammo d’oro). 3. la Banca centrale mantiene una riserva di oro in rapporto alla quantità di moneta emessa. 4. l’oro può essere liberamente importato o esportato. Se vari paesi adottano il sistema aureo le unità monetarie di ogni paese sono definite in termini di una base comune omogenea, l’oro, il valore relativo delle unità può essere determinato con il dividerne i contenuti aurei. ($ ha contenuto aureo 1000 volte superiore a quello della lira e varrà 1000 volte di più. Questo rapporto detto parità monetaria, ha il significato di un prezzo relativo di riferimento. Il prezzo effettivo del dollaro in termini di lire potrà discostarsi dalla parità e essere superiore o inferiore a essa, in base alla domanda e all’offerta di dollari in termini di lire che concretamente si esprimano. Le possibili escursioni del cambio sono limitate perché chi debba effettuare un pagamento all’estero può sempre eseguirlo mediante acquisto e invio di oro. Quindi il cambio non potrà eccedere un valore detto punto dell’oro superiore uguale alla parità aumentata delle spese di spedizione dell’oro, oltre questo valore invece che acquistare dollari sul mercato valutario, diverrebbe conveniente convertire lire in oro e spedire oro all’estero. (al contrario se il cambio scendesse). Il gold standard è un sistema monetario sostanzialmente a cambi fissi. In assenza di variazioni del cambio nominale è la variazione dei prezzi nei due paesi che assicura la variazione del cambio reale che può essere necessaria per il riequilibrio. . Il sistema a cambio aureo e il FMI Il sistema a cambio aureo (gold exchange stan.) è un sistema nel quale un paese adotta il gold standard mentre gli altri: 1. fissano il contenuto aureo della propria moneta; 2. adottano la moneta del primo paese e non l’oro come riserva a fronte dell’emissione della propria moneta nazionale. 3. consentono di convertire la propria moneta nella moneta da riserva a un valore prefissato e costante, che è la parità fra le due monete, ossia il rapporto fra i loro contenuti aurei.

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La convertibilità in oro della moneta da riserva è limitata alle sole Banche centrali e la convertibilità della moneta nazionale nella valuta da riserva può essere sottoposta a restrizioni: la moneta di riserva è destinata a puro regolamento dei rapporti con l’estero. Il sistema a cambio aureo si presta a economizzare l’uso dell’oro in caso di scarsità e ha il vantaggio di consentire ai paese che lo adottino di avere riserve fruttifere, essendo tali i crediti in moneta estera detenuti in riserva laddove l’oro è infruttifero. Ma il sistema può essere instabile se le riserve sono costituite non solo da valute, ma anche di oro, e la solvibilità del paese che adotti il gold standard diventa dubbia. In tal caso si avrebbe una corsa degli sportelli a convertire valuta in oro Il cambio fra due paese che adottino il sistema a cambio aureo è fisso intorno alla loro parità; la parità non è intesa come immutabile ma è aggiustabile; in corrispondenza del mutamento della parità sono possibili movimenti del cambio di consistente ordine di grandezza cui si associano i mutamenti nel saldo del commercio con l’estero. Se la convertibilità è limitata le oscillazione del cambio possono essere consistenti; se il cambio aumenta oltre il limite superiore, le autorità monetarie offriranno valuta estera; al contrario domanderanno valuta estera se il cambio è sotto il limite inferiore. Il FMI nasce nel 1944 a Bretton Woods che funzionò fino al 71 come gold exchange standard. In questo sistema era garantita la convertibilità del dollaro in oro a favore delle banche centrali e gli operatori di un paese potevano acquistare valute estere solo per effettuare pagamenti ai non residenti (convertibilità per i non residenti). I paesi partecipanti : 1. dichiaravano il contenuto in oro della propria moneta; 2. intervenivano per consentire un’escursione massima del cambio dell’1% in più o in meno rispetto alla parità; 3. osservavano altre regole tendenti a evitare la possibilità di frequenti e diffuse modifiche della parità. La modifica della parità era ammessa solo per superare squilibri fondamentali. In assenza ogni paese doveva far fronte ai problemi di deficit della bilancia dei pagamenti attraverso opportune politiche economiche. In attesa di aggiustare la bilancia dei pagamenti si prevedeva la possibilità per i paesi in deficit di avere finanziamenti a breve termine dal Fondo per far fronte ai deficit stessi. Il fondo sorvegliava le politiche economiche aventi influenza sull’andamento dei cambi. Un difetto del sistema a cambio aureo emerge se si considera che alla base della fiducia nel sistema stesso vi è costanza nel tempo del contenuto in oro della moneta da riserva; ma se questa costanza viene assicurata il sistema rischia di non fornire sufficiente liquidità internazionale. Se il contrario si rischia di non mantenere il contenuto aureo della moneta da riserva (dilemma di Triffin). Un sistema monetario alternativo si ha quando si costituisca un’organizzazione monetaria internazionale operante da Banca centrale per il mondo, come una Banca centrale nazionale. Sarebbe responsabilità di tale organizzazione creare tutta la liquidità internazionale che essa giudichi opportuna per raggiungere qualche obiettivo riferito al mondo nel suo complesso. Ma la banca centrale sovranazionale sarebbe frutto di una azione cooperativa delle varie Banche centrali. Poiché gli stati nazionali si riservano il diritto di governare direttamente la liquidità interna o di determinare il livello dei cambi, una Banca centrale internazionale creerebbe una moneta internazionale, ad uso delle Banche centrali per il regolamento dei debiti che sorgono fra esse. La moneta utilizzata all’interno dei vari paesi continuerebbe a essere governata dalle banche centrali. Comunque gli accordi internazionali chiariscono: 1. I metodi alternativi per distribuire la moneta internazionale fra i vari paesi; 2. Criteri per decidere la quantità di moneta da creare e l’uso possibile per garantire la stabilità del valore e di assicurare l’aggiustamento della bilancia dei pagamenti;

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Si crearono (FMI) i diritti speciali di prelievo (DSP) che sono unità di conto il cui valore iniziale era pari a quello del dollaro, creati per periodi di 5 anni. I DSP hanno natura scritturale, consistendo in accreditamenti contabili. I paesi che abbiano bilance dei pagamenti in deficit possono effettuare pagamenti o intervenire sul mercato dei cambi cedendo le disponibilità di DSP contro valute convertibili. Il regime a cambi fluttuanti Come per qualsiasi prezzo, le variazioni del cambio dovrebbero essere in grado di assicurare il riequilibrio del mercato delle valute estere: se la domanda di valute estere eccede l’offerta, il cambio sale (prezzo del $ in lire), contenendo la domanda ed espandendo l’offerta (inconvenienti: fluttuazione sporca). Una ragione positiva dei cambi fluttuanti è che la fissità dei cambi favorisce l’attività degli speculatori. Infatti quando la modifica della parità è probabile la fissità del cambio si traduce in premio agli speculatori che possono procurarsi la valuta desiderata a un prezzo fisso e indipendente dagli acquisti fatti. Solo la libera fluttuazione consente alla lira di deprezzarsi parallelamente all’operare della speculazione, in misura sufficiente a non rendere la speculazione stessa profittevole. Ma mentre il cambio si deprezza per effetto degli acquisti speculativi, la previsione iniziale del cambio futuro varia, il cambio previsto a una certa data futura è influenzato dal cambio attuale e dai suoi movimenti. La flessibilità ha svantaggi in termini di incertezza sul prezzo delle valute estere, il che può ostacolare gli scambi di merci e i movimenti di capitale a medio e lungo termine. Il sistema monetario europeo Nel 1979 si istituì un vero Sistema monetario europeo (SME) a cambi fissi (restringimento margini e cambi fissi, serpente). Con un sistema di cambi fissi si tendeva a creare un’area di stabilità monetaria e di accontentare i propositi dei vari paesi, come ridurre le occasioni di svalutazione e accrescere la credibilità di politiche di disinflazione. Lo SME era composto da 2 elementi: 1. gli accordi europei di cambio (AEC) tendenti a ridurre le oscillazioni dei cambi fra le monete comunitarie (necessità di intervento quando il cambio raggiungesse il limite della banda di oscillazione di 2,25%). 2. un meccanismo per fornire credito ai paesi con difficoltà di bilancia di pagamenti. Si prevedeva di calcolare lo scarto del cambio corrente rispetto al valore di una moneta-paniere ECU, composta da tutte le monete europee per risolvere i problemi di asimmetria in relazione al rispetto dei limiti di oscillazione intorno al tasso centrale. Lo SME era un sistema a cambi fissi ma i tassi centrali erano aggiustabili anche se limitati. Lo SME ha funzionato in modo asimmetrico, la Germania è stata l’unico paese in grado di decidere indipendentemente la sua politica monetaria, altri paesi aderendo agli AEC pensarono di introdurre un elemento di disciplina esterno per il comportamento del sindacato e del governo. L’adesione allo SME (Giavazzi e Pagano) svolgerebbe il ruolo di elemento di credibilità delle politiche antinflazionistiche di alcuni paesi, costituendo la garanzia dell’impegno dei paesi più inclini all’instabilità monetaria di attuare politiche antinflazionistiche, un modo per legarsi le mani da parte dei responsabili di politica di questi paesi. Lo SME è servito per assorbire gli shocks esterni inducendo i paesi europei a coordinare le loro politiche economiche. Il rapporto Delors indicò le tappe per il raggiungimento della UEM. Il rapporto fissava 3 fasi, 1. eliminazione delle restrizioni ai movimenti di capitale da parte dei paesi membri. 2. creazione dell’istituto monetario europeo, che ha il compito di rafforzare il coordinamento delle politiche monetarie e preparare la fase finale.

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3. garanzia di una totale convertibilità delle monete, eliminazione di ogni ostacolo ai movimenti di capitale e integrazione del mercato monetario, eliminazione dei margini di fluttuazione fra le monete e fissazione dei tassi di cambio fra le monete e l’euro; cessazione ECU, attribuzione di politica monetaria al sistema europeo di banche centrali per assicurare l’obiettivo della stabilità dei prezzi. La 3 fase interessava ai soli paesi che soddisfacevano i criteri fissati dal trattato di Maastricht 1991: stabilità dei prezzi, convergenza dei tassi di interesse a lungo termine, sostenibilità della posizione finanziaria dell’operatore pubblico. La politica di relativa stabilità del cambio nominale (cambio forte) seguita dai paesi con più elevata inflazione ha avuto per essi conseguenze restrittive che sommate all’orientamento restrittivo della Germania, hanno indotto un aumento della disoccupazione molto più sensibile che per i paesi non aderenti agli AEC, riducendo l’inflazione a livelli comparabili con quelli di tali paesi. Controversie fra sostenitori dei cambi fissi e flessibili: la flessibilità non ha scoraggiato la speculazione, l’accresciuta economia dei paesi è stata illusoria, la fissità senza cambiare parità ha avuto effetti negativi drastici su alcuni sistemi economici. Unione europea I principali organi della UE sono: 1. Consiglio europeo, costituito dai capi di Stato o di governo dei paesi membri e dal presidente di commissione europea, stabilisce gli orientamenti politici. 2. Consiglio dei ministri, costituito dai ministri degli stati membri responsabili della materia iscritta all’ordine del giorno. 3. Commissione europea, composta da 17 membri designati dal suo presidente, di comune accordo con i governi nazionali, è un organo collegiale ha poteri di iniziativa, esecuzione, gestione e controllo. 4. Il parlamento europeo che approva il bilancio, vota la fiducia alla Commissione. 5. Corte di giustizia, corte dei conti e Banca Centrale europea. I benefici dell’ introduzione alla moneta unica consistono nella riduzione dei costi di transazione connessa con il fatto che in presenza di una moneta unica non si richiede il cambio da una moneta ad un’altra per effettuare transazioni commerciali e finanziarie fra i paesi dell’area che adotta la moneta unica; riduzione dell’incertezza dei prezzi dei beni o delle attività finanziarie espresse nella moneta estera degli altri paesi dell’area. L’unificazione monetaria comporta dei costi in presenza di shocks asimmetrici di domanda (variazioni di domanda che interessano un paese). In entrambi paesi si avranno problemi di aggiustamento, in quanto vi sarà una tendenza recessiva in A (disoccupazione), e espansiva in B (inflazione). Questi problemi si risolverebbero con la flessibilità del salario e dalla mobilità del lavoro; tassazione paese B e gettito destinato a paese A, ma sono precluse entrambe. La politica monetaria è responsabilità della SEBC, governato dagli organi decisionali della BCE, presidente, comitato esecutivo e consiglio direttivo. Il comitato attua la politica monetaria secondo le decisioni e gli indirizzi stabiliti dal consiglio direttivo. Il SEBC definisce la politica monetaria dell’UEM e la BCE ha il diritto esclusivo di emettere banconote; svolge operazioni sui cambi per influenzarne il valore; detiene le riserve ufficiali degli stati membri. Non vengono affidati compiti di prestatore di ultima istanza ne compiti di regolamentazione sul sistema finanziario. La SEBC adotta uno schema di inflation targeting L’obiettivo primario è il mantenimento della stabilità dei prezzi (incremento annuale inf. 2%) e dare sostegno all’insieme delle politiche economiche

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dell’Unione favorendo un’allocazione efficiente delle risorse. Il SEBC è l’autorità di politica monetaria dell’UEM dotata di indipendenza politica ed economica. L’indipendenza politica è assicurata dalla possibilità di decidere la misura del tasso di inflazione che definisce in concreto l’obiettivo stesso. L’indipendenza economica è assicurata dalla possibilità di scegliere i mezzi ritenuti più opportuni per realizzare la stabilità monetaria, senza l’intervento di organi esterni. Gli strumenti di politica monetaria di maggior rilievo sono le operazioni di mercato aperto e la riserva obbligatoria, che sono svolte per iniziativa della BCE. Le operazioni di m. aperto sono: operazioni di rifinanziamento principali e a più lungo termine, operazioni di fine-tuning e di tipo strutturale. I tassi applicati nelle operazioni di mercato aperto rappresentano il più significativo indicatore dell’impostazione della politica monetaria. Riguardo alla riserva obbligatoria, la creazione di un fabbisogno strutturale di liquidità consente di garantire quella variazione della quantità di moneta capace di influenzare i tassi di interesse del mercato monetario; le operazioni su iniziativa delle controparti, tendono a immettere o assorbire liquidità overnight a segnalare l’andamento generale della politica monetaria e a fornire un limite alle fluttuazioni dei tassi di interesse del mercato overnight (op. rifinanziamento marginale, di deposito). La UE ha ridotto le barriere esistenti fra i mercati finanziari attraverso la liberazione dei movimenti di capitale, l’armonizzazione delle leggi essenziali in materia finanziaria, principio del riconoscimento reciproco, controllo preventivo del paese di origine su tutte le attività di una banca. Eliminati i tassi di cambio fra le monete dei paesi dell’UEM, nei confronti dei paesi terzi vi è completa libertà di fluttuazione dell’euro, non essendo previsto né un regime di target zones, ne un regime di cambi fissi. Un elevato valore esterno dell’euro non è un indice di elevata credibilità della p. monetaria ma di fattori che coinvolgono anche le politiche monetarie degli altri paesi e che dipendono anche da fattori diversi dalla credibilità. La politica fiscale resta responsabilità dei governi nazionali con i limiti del patto di stabilità e crescita. Il disavanzo massimo consentito in rapporto al PIL è lo stesso previsto dagli accordi di Maastricht per l’ammissione all’UEM. Per assicurare il rispetto del limite ogni stato deve presentare un programma di finanza pubblica di medio termine che specifichi la via di aggiustamento e le principali misure necessarie. In caso di inosservanza si avvia una procedura sui disavanzi eccessivi, che può concludersi con penalità a carico del bilancio pubblico del paese inosservante. Nel pieno rispetto del patto si cerca un maggiore coordinamento fra le autorità di politica fiscale dei paesi membri che potrebbe assicurare più elevati livelli di domanda e di occupazione nei vari paesi. Le politiche industriali dell’UE sono di tipo passivo ispirate ad un orientamento liberista. Il più importante strumento di queste politiche è l’eliminazione delle barriere non tariffarie interne all’Unione, attraverso un insieme di misure tendenti alla creazione del Mercato Unico. Sono state eliminate le barriere derivanti dalla fissazione di standard diversi in materie di salute e sicurezza dei consumatori e da norme preferenziali per le imprese nazionali in materia di appalti e acquisti pubblici. Con riferimento agli standard tecnici si prevede che ci sia armonizzazione ristretta riguardo i requisiti di salute e sicurezza, la redazione delle specifiche tecniche riguardanti i requisiti siano lasciati alle organizzazioni di standardizzazione europea, i nuovi standard europei siano di natura volontaria, valga il principio del riconoscimento reciproco.

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