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1 I FONDAMENTI DELL’ECONOMIA POLITICA Lezione n. 1 Che cos’è l’economia politica. L’economia politica come scienza. I temi dell’economia politica. 1.1 Che cos’è l’economia politica Il tentativo di definire l’economia politica è un esercizio che si conclude di solito con l’ammissione della parzialità di ogni proposta e con l’avvertimento di non cercare una frase che possa ricordare la varietà e la complessità degli argomenti trattati. L’elenco dei problemi di cui la disciplina si occupa parrebbe sostituire egregiamente le definizioni, ma rischia di essere un catalogo per suscitare l’attenzione degli ascoltatori, e non il tentativo di presentare davvero gli argomenti che si possono incontrare durante lo studio. Merita allora proporre una definizione che sia utile a spiegare l’aggettivo “politica” e una rassegna degli aspetti principali che hanno caratterizzato le diverse scuole di pensiero, grazie alle quali la disciplina è stata fondata ed è evoluta. Si vuole in questo modo suggerire fin dall’inizio la nozione di “sistema”, che deve essere studiato da una pluralità di punti di vista. “L’economia studia i modi di organizzarsi delle persone, che vivono in società e usano risorse scarse per procurarsi i mezzi con i quali soddisfare i loro bisogni”. La parzialità della definizione consiste nel dimenticare la distinzione tra persone e ruoli, ma è voluta per ricordare che il compito della disciplina è giudicare i modi di vivere in società, dal punto di vista della capacità di soddisfare i bisogni delle persone. Il fatto che si dia rilievo a quei bisogni che il linguaggio comune definisce “materiali”, rappresenta una limitazione necessaria, dettata dall’umiltà dello studioso, più che dal voler dividere in ambiti lo studio delle società umane. L’enfasi sul vivere in società appare indispensabile: - per introdurre la nozione di sistema economico; - per non ridurre la disciplina a soli problemi di scelta razionale (dati i vincoli dei mezzi scarsi e la pluralità degli obiettivi, cercare di massimizzare il risultato voluto); - per proporre collegamenti interdisciplinari. I temi di cui la disciplina si occupa possono, a questo punto, essere presentati come elenco degli argomenti che la caratterizzano. L’economia è scienza”: - della ricchezza - del valore - delle decisioni - dei rapporti sociali di produzione - della distribuzione del reddito - dell’allocazione delle risorse. 1.2 Scienza della ricchezza. Questa definizione ha lo scopo di introdurre la distinzione tra ricchezza come fondo (patrimonio) e ricchezza come flusso (reddito). L’insistenza sulla nozione di ricchezza – flusso, contrapposta a quella di ricchezza – fondo permette di presentare la disciplina come teoria dello sviluppo. Il richiamo alla ricchezza, come flusso di beni che in un periodo di tempo consentono a una


2 popolazione di soddisfare i bisogni, è utile infatti per chiarire che oggetto dell’economia politica è il benessere delle persone sia pure definito, in prima approssimazione, come benessere materiale. 1.3 Scienza del valore. La seconda definizione ricorda che tra i temi principali c’è la formazione dei prezzi. Si specifica poi che i prezzi sono di solito indicati in unità monetarie convenzionali, mentre si devono determinare i prezzi relativi delle merci e dei fattori di produzione. Si ricercherà infatti il valore del salario in termini reali, come potere di acquisto, o il rapporto di cambio tra due qualsiasi dei beni che si producono. La ricerca del valore è tuttavia ben di più di un semplice esercizio di calcolo dei prezzi relativi. La definizione di equità (prezzi equi, salari equi) implicita in nozioni più approfondite non potrebbe però sfuggire a elementi di soggettività del ricercatore. Taluni ritengono di poter individuare negli ipotetici prezzi (relativi) che si formano in condizioni di concorrenza perfetta i valori equi. Altri studiosi si dedicano invece a ridiscutere e perfezionare la teoria del valore lavoro per trovare definizioni indipendenti dal contesto istituzionale. La ricerca sulla formazione dei prezzi non può tuttavia esimersi dal pervenire a giudizi di efficienza. Il riferimento ai prezzi di concorrenza perfetta, confrontati con quelli di monopolio, è il caso più noto e l’analisi della perdita per la collettività, in termini di benessere (definito attraverso i surplus), è uno degli argomenti tipici dello studio dei mercati, perché conduce alle riflessioni sulla conseguenza dei processi di concentrazione tra imprese e sui principi che ispirano la disciplina antitrust. 1.4 Scienza delle decisioni. Gran parte della microeconomia appare come un problema matematico: dato un reddito il consumatore cercherà un insieme (paniere) di beni tale da fargli provare il massimo di soddisfazione; data una quantità da produrre un’impresa cercherà la combinazione dei fattori produttivi che le permetteranno di sostenere il minimo costo. Ma la scienza economica non si riduce a un calcolo matematico. E’ facile osservare che a dirigere l’impresa sono imprenditori e non professori di matematica. La facile battuta nasconde la riflessione sulla nozione di razionalità limitata. Questa discussione è presentato, di solito, con la celebre analogia del guidatore di un’auto che deve superare un autotreno, o con quella del gioco degli scacchi. L’analogia dell’autostrada serve a chiarire che le procedure che l’economia presenterà appariranno talvolta astratte, ma servono a esprimere, con un “modello”, un ipotetico calcolo fatto quasi d’istinto dai soggetti che devono decidere. L’analogia con il gioco degli scacchi introduce il tema dell’informazione imperfetta perché incompleta. Nel mondo reale le imprese non possono conoscere tutte le alternative di mercato possibili, come il giocatore di scacchi non può immaginare tutte le successioni di mosse e di contromosse prima di sceglierne una. La conseguenza dell’informazione incompleta è la necessità di concepire un progetto, che l’imprenditore sceglie quando intuisce le potenzialità di sviluppo della propria impresa, come si sceglie un tipo di partita, caratterizzato da sviluppi diversi dei pezzi del gioco degli scacchi. L’impresa è dunque un protagonista del sistema economico che innova continuamente e contribuisce continuamente al cambiamento dell’ambiente in cui agisce.

Il sistema economico opera nel tempo e le decisioni degli operatori sono prese nel tempo. Il tempo è un elemento essenziale nell’analisi dei fenomeni economici. Si sceglie di non consumare oggi, e di


3 risparmiare, per avere una distribuzione ottima delle soddisfazioni nel tempo. Si impiega del denaro per iniziare un’attività produttiva che si svolgerà nel tempo e nel tempo consentirà di recuperare il denaro immesso. Nel tempo ha sede anche l’incertezza. I calcoli matematici delle decisioni sono quasi sempre semplificati, e presentati nelle ipotesi di certezza e completezza di informazione. In pratica l’esistenza dell’incertezza e del rischio determinano il nascere delle imprese in un sistema di decisioni decentrate (sistema di mercato). L’incertezza (intesa come il possibile verificarsi di eventi ai quali non è attribuibile una probabilità oggettiva) contribuisce a spiegare ancora perché la funzione imprenditoriale non è un mero calcolo, e a insistere sul cambiamento continuo cui sono soggette le economie di mercato. 1.5 Scienza dei rapporti sociali di produzione E’ indispensabile presentare la disciplina come analisi di relazioni tra i protagonisti del sistema economico. La loro classificazione dipende però dagli scopi che ci si propone. Per esempio: la tradizionale suddivisione tra Famiglie, Imprese, enti della Pubblica Amministrazione e nazioni che costituiscono il “Resto del mondo” è utile nelle statistiche della contabilità nazionale. Per affrontare tematiche interdisciplinari è però necessario saper usare anche altre classificazioni. L’esempio più importante di questi argomenti di ampio respiro è certamente l’analisi dello sviluppo economico, che deve contenere il suggerimento dell’esistenza di classi e gruppi sociali orientati al cambiamento o alla conservazione dell’esistente. In ambito microeconomico il conflitto nella distribuzione di ciò che si è prodotto, tra percettori di redditi di origine diversa è forse l’esempio più chiaro e più noto. La genesi delle istituzioni come la proprietà o lo Stato rappresentano altri esempi in cui si possono chiamare in causa rapporti tra persone che danno origine a insiemi di norme necessarie per esercitare in modo stabile le attività produttive e farle evolvere. In ambito macroeconomico gli esempi sono più difficili da far comprendere in una serie di lezioni introduttive. E’ utile il richiamo alle organizzazioni sovranazionali e alla necessaria divisione di competenze e poteri con i governi dei singoli paesi. Il Fondo monetario internazionale, interviene nelle crisi valutarie, il WTO (World Trade Organization) è l’ambito in cui si coordinano le politiche di liberalizzazione degli scambi commerciali tra le nazioni. Infine in ogni paese i rapporti tra istituzioni che hanno competenze di politica economica possono dar origine a conflitti: l’esempio più noto essendo quello delle relazioni tra governi e banche centrali nella definizione della politica monetaria. 1.6 Scienza della distribuzione del reddito. I beni prodotti sono acquistati dagli stessi soggetti che hanno contribuito a produrli, ma non tutti hanno lo stesso potere di acquisto; spiegare da che cosa dipende questa diversa capacità di ottenere per sé e per la propria famiglia una quota più o meno grande del prodotto nazionale è il primo tema da considerare e discutere. La distribuzione individuale o familiare è una nozione indispensabile al fine di comprendere i modi di vivere delle persone in circostanze storiche concrete, ma può rivelarsi poco utile al fine di una spiegazione di ciò che accade e dei fenomeni che sono connessi. Sorge dunque l’opportunità di riprendere il tema dei rapporti sociali di produzione al fine di proporre lo studio della distribuzione funzionale, che implica una classificazione dei protagonisti secondo i fattori di produzione di cui sono dotati. La distinzione tra redditi da lavoro e redditi da capitale permette infine di proporre i semplici calcoli dei legami tra retribuzioni, produttività e costi del lavoro per unità di prodotto, che rappresentano un utile esercizio per discutere la competitività delle imprese attraverso i prezzi e i fenomeni di inflazione da costo. 1.7 Scienza dell’allocazione delle risorse. Il giudizio sul modo di operare di un sistema economico può essere formulato con criteri diversi, nessuno dei quali può dirsi estraneo all’economia politica.


4 Un giudizio in termini di equità della distribuzione dei redditi ben difficilmente può essere dato senza ricorrere a dei giudizi di valore, che non possono essere dimostrati con un ragionamento incontrovertibile. Può essere opportuno cercare di rendere il più possibile oggettiva la discussione, per comprendere esattamente dove iniziano le controversie e le divisioni, ma è poi inevitabile ammettere l’insufficienza di una disciplina scientifica nel pronunciarsi in termini di etica. Il caso più semplice è quello ben noto della definizione di “ottimo paretiano”. Tale nozione identifica una allocazione delle risorse che non si può modificare senza avvantaggiare qualcuno e contemporaneamente danneggiare qualcun altro. Può essere adoperato per mostrare come sia indispensabile integrare una deduzione rigorosa con delle scelte di valore. E’ infatti un risultato notevole quello a cui giunge un sistema che riesce a far utilizzare le risorse disponibili fino al punto in cui non è possibile migliorare il risultato per più di una persona, senza danneggiarne altre. Tuttavia, definite le dotazioni iniziali dei fattori, si può pervenire a una molteplicità di ottimi paretiani, compresi quelli in cui la sperequazione è evidente: pochi hanno molto e molti hanno poco. E’ dunque inevitabile in ogni società un giudizio di equità sia sulla distribuzione iniziale delle dotazioni, sia anche sull’esito della distribuzione del reddito prodotto. Resta materia di discussione fino a che punto si debba e si possa intervenire per correggere gli esiti cui perverrebbe un’economia di libero mercato, perché resta questione da decidere quali siano i limiti che rendono intollerabili le differenze nella distribuzione dei redditi originate dalla diversa partecipazione degli individui alla produzione dei beni. Infine, come scienza dell’allocazione delle risorse l’economia politica fa largo uso delle nozioni di efficienza e di produttività (che possono essere adoperati come sinonimi nella maggior parte dei casi). “Produttività” è attitudine a produrre, espressa di solito mediante un rapporto tra ciò che si è ottenuto e i fattori di produzione impiegati per ottenerlo. La definizione più nota è però parziale: tiene conto del solo fattore lavoro ed è il rapporto tra la quantità prodotta e il lavoro impiegato (produttività del lavoro). Questo indicatore può essere il punto di partenza per discutere alcuni criteri di giudizio che l’economia politica deve contribuire a formulare. Se lo scopo per cui le persone si organizzano in società e danno vita al sistema economico è perseguire il benessere, che richiede certamente la fruizione di beni materiali, allora cercare una maggior produttività del lavoro significa far fruttare meglio la fatica. La misura del lavoro impiegato dovrebbe infatti avvicinarsi alla misura dello sforzo fatto, per quanto non possa essere equiparato alla semplice fatica fisica. Le ore prestate sono dunque una misura inevitabilmente imprecisa: un’ora di lavoro non comporta identica fatica in tutti i mestieri; alla fatica si accompagnano talvolta delusioni e estraneità dal risultato della propria attività (alienazione), ma in altri casi si ha soddisfazione per la competenza prestata o addirittura per la propria creatività. La nozione di produttività risulta ben più difficile da precisare di quanto di solito ci si attende. Il perseguire l’efficienza del sistema economico richiede di considerare tutti i risultati dell’attività produttiva, e tutti i costi che la collettività ha subito. L’esistenza delle esternalità (es. danni ambientali), la sostituzione di modi di vivere e produrre consolidati nei secoli, la definizione e la misura della fatica nel lavorare, suggeriscono a chi studia l’economia politica di adoperare le misure oggettive di cui si è capaci senza credere che esauriscano le informazioni necessarie per riflettere su ciò che accade. L’aspetto positivo della disciplina si accompagna infatti inevitabilmente a quello normativo e questo richiede di esprimere, comunicare e confrontare sistemi di Valori. Lezione n. 2 Come adoperare la contabilità nazionale per insegnare che cos’è il sistema economico. Definire i protagonisti. Definire i beni. Il conto economico delle risorse e degli impieghi e il conto della formazione del capitale.


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2.1. Come adoperare la contabilità nazionale per insegnare che cos’è il sistema economico. La contabilità nazionale è utile per introdurre il linguaggio dell’economia politica, soprattutto della macroeconomia, e per illustrare il sistema economico con un ordine logico che va dall’attività di produzione, alla distribuzione dei redditi e all’accumulazione del capitale e del risparmio. La prima nozione da introdurre è certo quella di “produzione”, perché è la grandezza principale che sarà misurata dalla contabilità nazionale, con il Prodotto interno lordo. Definirla come creazione di utilità serve a orientare ancora gli ascoltatori allo scopo fondamentale dell’economia politica: comprendere se e come una popolazione riesce a soddisfare i bisogni. Sono però necessarie precisazioni per distinguere subito i beni di consumo (che procurano utilità in modo diretto) dai beni di investimenti (che serviranno nel tempo per produrre altri beni). Tutti i docenti di economia politica usano cimentarsi con illustrazioni grafiche dei flussi di beni e di denaro tra i protagonisti del sistema. Tali schemi possono però diventare inutilmente complessi, mentre è necessario scegliere gli obiettivi da perseguire e limitarsi a questi. La proposta del sistema economico semplificato in cui operano solo famiglie e imprese, consente di presentare i due protagonisti principali e di affrontare la relazione fondamentale della contabilità: l’uguaglianza tra valore dei beni e valore dei redditi distribuiti ai detentori dei fattori produttivi. Lo schema del sistema economico semplificato, noto talvolta come descrizione dei circuiti reale e monetario, può essere anche motivo per insistere sui ragionamenti aggregati (tutte le famiglie insieme, come se fossero una sola famiglia; tutte le imprese insieme, come se fossero un’unica impresa). Con l’invito a ragionare per aggregati si introduce l’essenziale nozione di valore aggiunto, come definizione del prodotto di un’impresa, dell’insieme di tutte le imprese e della nazione. Con la nozione di valore aggiunto si spiega anche perché il valore della produzione è uguale alla somma dei redditi pagati ai fattori produttivi, compresi naturalmente gli utili delle imprese (siano essi distribuiti o no ai proprietari). Non vi sono particolari problemi nel definire i fattori della produzione, tuttavia il termine “capitale” presenta qualche difficoltà, per la sua doppia valenza di insieme di beni (stock) che consentiranno nel tempo di produrre altri beni, e somma di denaro impiegata per far fruttare un patrimonio. In realtà si tratta di due aspetti di una stessa nozione. Dal punto di vista dell’economia politica l’insistenza sulla nozione reale del capitale è indispensabile per spiegare che cosa si intenda per capacità produttiva e come si definiscano gli investimenti. Nel soffermarsi sui due aspetti della nozione di capitale si presenta un’occasione di interdisciplinarità con le materie aziendali. Si dirà dunque che le famiglie danno alle imprese il fattore capitale in quanto finanziano direttamente o indirettamente l’acquisto delle macchine, delle attrezzature e degli edifici, ma anche l’acquisto delle materie prime e dei semilavorati con cui iniziare l’attività produttiva e le spese per pagare le retribuzioni del lavoro che si devono anticipare prima di ottenere i ricavi dalla vendita del prodotto. Ogni altro elemento che serve a completare la descrizione contabile del sistema economico può essere rinviato all’esame del conto economico delle risorse e degli impieghi che è il documento principale sul quale soffermarsi. 2.2 I protagonisti e i beni


6 Nel presentare la contabilità nazionale si può seguire un percorso graduale, che introduce dapprima le definizioni dei protagonisti e dei beni e in seguito compone i flussi reali e monetari che si stabiliscono tra loro. In tal caso, dopo aver presentato il circuito essenziale del reddito, si possono discutere gli altri protagonisti del sistema, oltre le famiglie e le imprese: la Pubblica amministrazione (che di solito è definita attraverso un elenco di enti), le istituzioni sociali private e le nazioni che costituiscono il resto del mondo. In queste definizioni si deve prestare attenzione: - a ricordare che gli enti della pubblica amministrazione erogano servizi senza venderli sul mercato, investono, prelevano imposte, tasse e oneri sociali e effettuano trasferimenti di reddito con il pagare sussidi e contributi; - a notare come le imprese di proprietà statale o di enti locali non rientrino nella definizione di Pubblica Amministrazione; - a definire le istituzioni sociali private, solo se si ritiene opportuno raggiungere un buon livello di completezza, come organizzazioni che erogano servizi senza venderli (enti senza fini di lucro, associazioni sportive, religiose, culturali). Quanto ai beni è opportuna la tabella a doppia entrata: ad uso immediato ad uso durevole

beni di produzione beni intermedi investimenti

beni di consumo consumi

Nel presentare la classificazione è importante insistere: - sulla nozione di beni di consumo come beni acquistati dalle famiglie per soddisfare i bisogni delle persone; - sulla nozione di beni intermedi, che si incorporano nei beni finali e il cui valore è dunque parte del loro costo; - sulla nozione di investimenti come beni che durevolmente produrranno altri beni; - sull’inserire tra i consumi anche i beni ad uso durevole come l’auto, i vestiti, i televisori ecc., quando sono acquistati dalle famiglie. 2.3 Il conto economico delle risorse e degli impieghi L’identità più importante della contabilità nazionale può essere scritta con diverso grado di dettaglio. La versione più semplice è naturalmente: Risorse = Impieghi cioè: Prodotto interno lordo + Importazioni = Consumi + Investimenti + Esportazioni E’ bene chiarire che il conto ha solo lo scopo di indicare che cosa è accaduto in una nazione durante un periodo di tempo (un anno o un trimestre), senza offrire elementi per un giudizio sul funzionamento del sistema economico, sull’esistenza di situazioni critiche o sul suo grado di efficienza. Le grandezze indicate misurano dunque dei flussi, il cui ordine di grandezza può essere giudicato solo se è definito il periodo a cui sono riferiti. Le risorse sono costituite da tutti i beni che sono stati prodotti nella nazione o che sono stati ottenuti (a qualunque titolo) dall’estero.


7 La nozione di Prodotto interno lordo richiede di insistere sul fatto che è produzione la fornitura di nuovi beni materiali e di servizi al fine di soddisfare i bisogni delle persone (produzione è creazione di utilità). Non rientreranno allora nella misura della produzione: - impieghi di denaro come l’acquisto di azioni e obbligazioni; - i passaggi di proprietà. La ricerca di una definizione del Prodotto interno lordo è un altro utile esercizio didattico. Si potrà affermare che: Il Prodotto interno lordo è il valore complessivo dei beni e servizi prodotti nella nazione al lordo degli ammortamenti, ma al netto dei beni intermedi prodotti da alcune imprese e utilizzati da altre. Il Prodotto interno lordo è anche la somma dei valori aggiunti formatisi presso le imprese operanti nel territorio. (Castellino) (Si richiede la nozione di ammortamento e di valore aggiunto). Varianti: Il Prodotti interno lordo è la somma del valore dei beni finali prodotti nella nazione al netto dei beni importati per produrli. (Si richiede in questo caso la definizione di “finali”, per distinguerli dai beni “intermedi”. “Finali” = che hanno raggiunto la destinazione finale: consumi, investimenti, esportazioni o variazioni delle scorte). Il Prodotto interno lordo è la somma dei redditi percepiti dai detentori dei fattori produttivi (che possono essere residenti nella nazione o non residenti). Uno dei limiti più noti della misura del Prodotto interno lordo è la mancata rilevazione dei beni e dei servizi prodotti all’interno delle famiglie per il soddisfacimento diretto dei bisogni delle persone che ne fanno parte. Si dirà dunque che sono rilevati beni (merci e servizi) prodotti per lo scambio sui mercati e i servizi erogati dagli enti della pubblica amministrazione o dalle istituzioni sociali private. Farlo notare è necessario sia per abituarsi ai confronti internazionali e temporali, sia per apprezzare il pragmatismo inevitabile nella costruzione delle categorie della contabilità nazionale. Si potranno allora comprendere le due più note eccezioni alla regola: le derrate agricole prodotte dai contadini per le loro famiglie e gli affitti figurativi delle case abitate dai proprietari, i cui valori sono di solito stimati e rilevati nel Pil. Gli impieghi altro non sono che la precisazione di quali beni siano stati ottenuti, denominati secondo l’uso che se ne è fatto. Chiarite le voci nei termini più generali, può iniziare la presentazione di versioni più dettagliate. I consumi possono essere distinti in: - consumi delle famiglie - consumi collettivi. I consumi collettivi sono erogazioni di servizi non destinabili alla vendita, comprendono i valori dei consumi pubblici e quelli delle istituzioni sociali private. Con il nuovo sistema di contabilità nazionale (Sec 95) alla dizione “consumi delle famiglie” dovrebbe essere sostituita quella di “consumi individuali” o “consumi finali effettivi delle famiglie”, per indicare che i consumi erogati dalle amministrazioni pubbliche, su richiesta delle persone (istruzione, sanità) non sono inseriti tra i consumi collettivi, nei quali si tende invece a porre solo le erogazioni che hanno carattere di beni pubblici.


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Gli investimenti possono essere scissi in due voci: - investimenti fissi lordi - variazioni delle scorte. Ci si soffermerà sulla consuetudine di comprendere tra gli investimenti la variazione delle scorte, sia essa voluta dalle imprese o subita. Ulteriori definizioni possono essere proposte per chiarire ancora alcuni termini ricorrenti: - l’aggettivo “lordo” che compare accanto a “Prodotto interno “ e a “investimenti fissi”; - la dizione “valori a prezzi correnti” contrapposta a “valori a prezzi costanti” (riportata nelle intestazioni delle tabelle); - la dizione “a prezzi di mercato”, che indica l’uso di prezzi al lordo delle imposte indirette, ma al netto di eventuali contributi alla produzione.

2.4 I compiti della Pubblica Amministrazione. Le operazioni delle amministrazioni pubbliche, considerate dalla Contabilità nazionale sono: - i prelievi - i trasferimenti - l’erogazione di servizi pubblici - gli investimenti effettuati I prelievi. Le imposte dirette e gli oneri sociali sono comprese nei redditi dei fattori produttivi e a loro non corrisponde alcuna voce nel conto economico delle risorse e degli impieghi. Le imposte indirette comportano invece l’uso di prezzi diversi nelle valutazioni dei beni. La nuova contabilità (Sec 95) prevede in proposito la distinzione tra flussi di produzione e di valore aggiunto valutati a prezzi base e flussi valutati a prezzi di mercato. I prezzi base non comprendono le imposte sui prodotti (Iva, imposte di fabbricazione), e non sono neppure influenzati da eventuali contributi ai prodotti (che determinano una riduzione del prezzo praticato rispetto al costo che si dovrebbe recuperare). Le valutazioni fatte per loro tramite sono simili, ma non identiche, a quelle che erano dette “al costo dei fattori” nel sistema precedente (Sec 79). I prezzi di mercato invece sono quelli effettivamente pagati dai clienti e comprendono dunque sia le imposte sui prodotti (Iva, imposte di fabbricazione) sia gli effetti dei contributi ai prodotti (che riducono il prezzo rispetto a quanto dovrebbe essere se si conteggiassero i costi dei fattori). In sintesi: le imposte sui prodotti sono un aggravio dei prezzi base, mentre i contributi rappresentano una deduzione. I trasferimenti E’ utile sottolineare che i sussidi pagati a diverso titolo sono trasferimenti, ma lo sono anche le pensioni e gli interessi sul debito pubblico.

I servizi erogati. Sono valutati al costo e sono definiti come produzione non rivolta al mercato (la dizione ancora in uso è “servizi non destinabili alla vendita”), se i ricavi eventualmente ottenuti in occasione della loro erogazione non superano il 50% dei costi.


9 Gli investimenti Si ricordi che le Amministrazioni Pubbliche effettuano investimenti in infrastrutture, in edifici e nelle attrezzature necessarie per l’erogazione dei consumi pubblici. 2.5 Mettere alla prova la propria comprensione del conto economico delle risorse e degli impieghi Si controlla il grado di comprensione del conto economico delle risorse e degli impieghi con: Semplici esercizi La constatazione del motivo per cui il conto è un’identità. La discussione sulla produzione distrutta. Esercizi. Registrate nelle opportune voci del Conto economico delle risorse e degli impieghi: a) Acquisto di materie prime per un ipotetico valore monetario di 100, comperate per fabbricare ipotetiche auto del valore di 1000, vendute per metà alle famiglie e per metà alle imprese. Soluzione: Pil 900 + Importazioni 100 = Consumi 500 + Investimenti 500 b) La pubblica amministrazione acquista beni intermedi da imprese nazionali per 400, al fine di erogare servizi pubblici che sono valutati 700. Soluzione: Pil 700 = Consumi (collettivi) 700 Il conto economico delle risorse e degli impieghi non può che bilanciare: perché? Soluzione: perché tra gli impieghi si comprende la variazione delle scorte, voluta o subita dalle imprese. La produzione distrutta. Se un’impresa acquista materie prime e semilavorati, paga stipendi e salari, interessi ai finanziatori e calcola degli ammortamenti, ma non riesce a produrre nulla, perché ciò che ha fabbricato è stato distrutto, che cosa registra il conto economico delle risorse e degli impieghi? Soluzione: nulla perché non si è prodotto nulla (!!). Come è possibile che vi sia ancora uguaglianza tra valore della produzione (pari a zero) e redditi pagati ai detentori dei fattori produttivi? Soluzione: perché tra i redditi che costituiscono il Pil vi sono gli utili, ma anche le perdite delle imprese. 2.6 Completare la rappresentazione del sistema economico: la struttura logica della contabilità nazionale In questa lezione si è voluto sostenere che un modo semplice per illustrare il sistema economico è ricorrere agli schemi di contabilità nazionale. Nei paragrafi precedenti si è introdotto il conto economico delle risorse e degli impieghi come strumento per acquisire un linguaggio rigoroso e collocare i principali protagonisti del sistema nelle rispettive funzioni. Si conclude ora con l’argomento più difficile, ma invero più interessante: la contabilità nazionale è una sequenza di conti che presentano gli aspetti fondamentali dell’operare dei protagonisti.. La sequenza logica è molto semplice: dalla produzione dei beni, e dunque del reddito, si passa alla formazione del patrimonio, con l’accumulazione del risparmio che permette di finanziare gli investimenti. Si chiude dunque la sequenza con l’analisi delle variazioni delle componenti patrimoniali. Le variazioni delle componenti reali dei patrimoni sono gli investimenti. La differenza tra risparmi e investimenti rappresenta invece: se positiva, un accreditamento (cioè un accumulo di attività


10 finanziarie o una riduzione di passività); se negativa, un indebitamento (cioè nuove passività o minori attività finanziarie). La successione dei conti può essere presentata per ciascun gruppo di protagonisti (nei conti dei “settori istituzionali”), mentre, a livello aggregato assume particolare importanza per il modo di riassumere i flussi che legano la nazione al resto del mondo. Si spiega la sequenza passando dal conto economico delle risorse e degli impieghi al conto della formazione del capitale. La successione semplificata dei conti, riferita all’intera nazione, è la seguente: Conto economico delle risorse e degli impieghi: Prodotto interno lordo + Importazioni = Consumi + Investimenti lordi + Esportazioni (Gli investimenti lordi comprendono le variazioni delle scorte) Definizione di Risparmio: Risparmio nazionale lordo = Prodotto interno lordo – Consumi Conto della formazione del capitale: Prodotto interno lordo – Consumi = Investimenti lordi + Esportazioni – Importazioni Risparmio nazionale lordo = Investimenti lordi + accreditamento (- indebitamento) con il Resto del Mondo Questa versione semplificata è utile per discutere la relazione tra risparmio e investimento. In mercato chiuso le due grandezze sono uguali, perché tra gli investimenti si comprendono le variazioni delle scorte, siano esse desiderate o no. In mercato aperto all’insufficienza di risparmio si può supplire con un indebitamento nei confronti dell’estero, mentre un eccesso di risparmio permette di finanziare il resto del mondo, o di restituire un indebitamento in precedenza contratto. La relazione tra risparmio e investimento presenta non poche difficoltà sotto il profilo didattico: si tratta infatti di mostrare come l’espressione “finanziamento degli investimenti”, che nel linguaggio corrente fa pensare all’impiego di denaro, abbia un’interpretazione reale: per accumulare beni che accrescono la capacità produttiva è necessario rinunciare a una parte delle possibilità di consumo presente, a meno che non sia l’estero a fornire i beni necessari, con l’eccesso delle importazioni sulle esportazioni. Anche il farsi finanziare o il finanziare il Resto del Mondo richiede di interpretare in termini reali ciò che normalmente fa pensare a flussi di denaro. Un eccesso di importazioni sulle esportazioni fa sorgere un debito, cioè un impegno a fornire in seguito più beni di quanti se ne ricevano. La chiusura del sistema di contabilità nazionale può essere proposta a questo punto. L’accreditamento o l’indebitamento con il resto del mondo è un flusso che modifica il patrimonio esistente. Nuovi crediti si aggiungono e vecchi debito sono cancellati; nuovi debiti si aggiungono o vecchi crediti vengono cancellati. Il conto finale è detto appunto: “conto finanziario” e comprende tutte le attività e tutte le passività finanziarie che possono modificarsi nel tempo, dunque non solo crediti e debiti commerciali, o crediti e debiti tra banche di paesi diversi, ma anche azioni, obbligazioni e titoli di credito in genere che attestano finanziamenti erogati o ricevuti con l’estero.


11 La difficoltà consiste nel mostrare come le variazioni dell’entità del patrimonio finanziario di una nazione nei confronti delle altre dipendano dall’attività produttiva, mentre esistono flussi finanziari (movimenti di capitali nel senso di impieghi di denaro) che modificano la composizione ma non l’entità del patrimonio. L’acquisto di azioni di una società straniera fa aumentare le attività patrimoniali, ma richiede il pagamento, che può avvenire, per esempio, tramite le relazioni tra banche, con l’iscrizione di un debito di una banca italiana nei confronti della banca straniera che ha pagato le azioni su suo ordine. 2.7 I saldi finanziari dei settori istituzionali Si dovrebbe ora far comprendere come tutti i protagonisti dell’economia nazionale risparmino. Le famiglie che guadagnano un reddito, per l’impiego dei loro fattori produttivi, ne cedono una parte alla Pubblica Amministrazione che preleva tributi e oneri sociali, ma ricevono trasferimenti come sussidi e pensioni. Contati i prelievi e i trasferimenti si perviene a una nozione di Reddito Disponibile da destinare a risparmi o a consumi. Le imprese non distribuiscono utili e, siccome il risparmio della contabilità nazionale è definito al lordo degli ammortamenti, il loro risparmio è simile alla nozione aziendalistica di autofinanziamento. Anche la pubblica amministrazione risparmia quando l’insieme delle entrate correnti, comprensivo di imposte dirette e indirette e di oneri sociali, supera la spesa per consumi pubblici e trasferimenti, cioè quando le entrate correnti superano le uscite correnti. Accade spesso peraltro che il risparmio della pubblica amministrazione sia negativo per un eccesso di spesa corrente o per l’incapacità o l’impossibilità di coprirla in misura adeguata con le entrate. Ogni protagonista investe: investono le imprese e gli enti della Pubblica amministrazione, ma investono anche le famiglie con l’acquisto di nuove case di abitazione. Per ciascuno si può dunque rilevare un saldo finanziario, cioè un eccesso di risparmi sugli investimenti o un eccesso di investimenti sui risparmi. Nel primo caso si finanzieranno gli altri soggetti, nel secondo si sarà da loro finanziati. Di solito le famiglie accumulano saldi finanziari positivi finanziando le imprese e la Pubblica Amministrazione. Naturalmente la somma dei saldi finanziari di tutti i protagonisti nazionali sarà uguale all’accreditamento o all’indebitamento con il Resto del Mondo. 2.8 La versione completa del passaggio dal conto economico delle risorse e degli impieghi al conto della formazione del capitale. Introdurre una versione più completa è opportuno solo a un buon grado di approfondimento della contabilità nazionale. La relazione iniziale può essere scritta così: Prodotto interno lordo + Importazioni = Consumi finali interni + Investimenti lordi + Esportazioni (gli investimenti lordi comprendono le variazioni delle scorte). E’ bene controllare se tra gli impieghi vi siano i Consumi finali interni e non i Consumi finali nazionali. L’aggettivo “interno” si riferisce a ciò che accade nei confini geografici della nazione, mentre l’aggettivo “nazionale” si riferisce ai residenti. I Consumi interni comprenderanno dunque i consumi degli stranieri in Italia ma non quelli degli italiani all’estero. (Qualora tra gli impieghi vi fossero i Consumi finali nazionali, nelle importazioni vi sarebbero i consumi degli italiani all’estero e nelle esportazioni i consumi degli stranieri in Italia) Risparmio nazionale lordo = Reddito nazionale lordo disponibile – Consumi finali nazionali


12 Reddito nazionale lordo disponibile = Prodotto interno lordo + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero (I redditi dall’estero sono compensi per l’uso di fattori produttivi, i trasferimenti sono pagamenti senza contropartita come le rimesse degli emigrati, o i contributi a organizzazioni internazionali; l’aggettivo “netti” sta a indicare il saldo tra ciò che si riceve e ciò che si paga). Prodotto interno lordo + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero = Consumi finali interni + Investimenti lordi + Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero Reddito nazionale lordo disponibile = = (Consumi finali interni + consumi degli italiani all’estero – consumi degli stranieri in Italia) + Investimenti lordi + + Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero - consumi degli italiani all’estero + consumi degli stranieri in Italia Reddito nazionale lordo disponibile – Consumi finali nazionali = = Investimenti + eccedenza corrente con l’estero Risparmio nazionale lordo = Investimenti + eccedenza corrente con l’estero Eccedenza corrente con l’estero = = Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero - consumi degli italiani all’estero + consumi degli stranieri in Italia = = accreditamento (+) o indebitamento (-) con il resto del mondo. Si noti che le voci il cui saldo dà l’eccedenza corrente con l’estero possono essere definite come “operazioni correnti con l’estero” o “conto delle transazioni internazionali” (con una minima semplificazione che non è necessario citare). Questo saldo si ritrova nel conto finanziario, che rileva come siano variate le componenti patrimoniali (intese come insieme di crediti e debiti nei confronti del Resto del mondo) durante il periodo di tempo considerato. Si chiude in tal modo la successione dei conti che costituiscono la trama essenziale del sistema di contabilità nazionale.

BIBLIOGRAFIA Lez. n.1 COZZI. T. ZAMAGNI S., 1995, “Elementi di economia politica”, Il Mulino, Bologna, Cap. 1 LIPSEY R. G., CHRYSTAL K.A., 1999, “Economia, Microeconomia”, Zanichelli, Milano, Cap. 1 – 2 – 3 Lez. n. 2 CASTELLINO O., 1997, “Introduzione alla contabilità nazionale”, Giappichelli, Torino (Semplice, utile per acquisire le nozioni fondamentali con assoluta chiarezza)


13 SIESTO V., 1996, “La contabilità nazionale italiana, il sistema dei conti del 2000”, Il Mulino, Bologna (Completo, contiene tutti le informazioni sul nuovo sistema Sec 95, è un testo adatto per approfondimenti, ben oltre il livello introduttivo, utile in corsi specialistici). Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica Relazione generale sulla situazione economica del paese - vari anni (E’ particolarmente utile il primo volume) Internet www.tesoro.it cercare poi in “Documentazione” www.istat.it www.istat.it/homeita.html poi “statistiche per settore”: www.istat.it/Anumital/Astatset/settori.html poi “conti nazionali”: www.istat.it/Anumital/Astatset/conti.htm

Prodotto interno lordo + Importazioni = = Consumi finali interni + Investimenti lordi + Esportazioni (Investimenti lordi comprendono le variazioni delle scorte)

Risparmio nazionale lordo = = Reddito nazionale lordo disponibile – Consumi finali nazionali Reddito nazionale lordo disponibile = = Prodotto interno lordo + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero

Prodotto interno lordo + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero = = Consumi finali interni + Investimenti lordi + + Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero


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Reddito nazionale lordo disponibile = = (Consumi finali interni + consumi degli italiani all’estero – consumi degli stranieri in Italia) + Investimenti lordi + + Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero - consumi degli italiani all’estero + consumi degli stranieri in Italia

Reddito nazionale lordo disponibile – Consumi finali nazionali = = Investimenti lordi + eccedenza corrente con l’estero Risparmio nazionale lordo = Investimenti lordi + eccedenza corrente con l’estero Eccedenza corrente con l’estero = = Esportazioni – Importazioni + Redditi netti dall’estero + Trasferimenti netti dall’estero - consumi degli italiani all’estero + consumi degli stranieri in Italia = = accreditamento (+) o indebitamento (-) con il resto del mondo.

L’economia è scienza: - della ricchezza - del valore - delle decisioni


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- dei rapporti sociali di produzione - della distribuzione del reddito - dell’allocazione delle risorse. Lezione n. 3 Descrivere il sistema economico: i legami tra le decisioni degli operatori e la descrizione generale del sistema dal punto di vista microeconomico.

3.1 I collegamenti tra le decisioni degli operatori e l’uso critico del modello di equilibrio economico generale. Lo schema dei flussi reali e monetari, adoperato per illustrare le nozioni elementari della contabilità nazionale, può essere utilizzato anche per la spiegazione dei legami tra le decisioni dei protagonisti. Si può così richiamare la celebre successione dei problemi che ogni sistema economico deve risolvere: che cosa produrre, come e per chi. La difficoltà consiste nel mostrare che in un sistema di libero mercato queste scelte sono guidate dall’insieme dei prezzi che si stabiliscono come risultato delle decisioni prese. La piena comprensione di queste interrelazioni richiede la discussione di un modello di equilibrio economico generale del sistema, presentato come insieme di equazioni in cui le incognite sono le quantità dei beni prodotti e dei fattori impiegati, e i prezzi (relativi) degli stessi beni e degli stessi fattori (tra i quali si indicano spesso, per semplificazione estrema, un solo prezzo del lavoro e un solo tasso di interesse – detto anche “tasso di profitto”). La discussione sulla natura di tale sistema, sul modo di presentarlo e sull’esistenza di soluzioni, ottenibili senza dover imporre come dato una delle incognite che determinano la distribuzione del reddito (salario o tasso di profitto), è un tema che esula dalla trattazione introduttiva che si vuol qui presentare. Si ritiene invece di particolare importanza la spiegazione, da fornire in termini discorsivi, dei legami tra le diverse decisioni, non presentati come semplici flussi da rilevare in modo contabile, ma come esito di scelte guidate dal formarsi di prezzi in mercati che possono avere caratteri diversi. Naturalmente il carattere preso come riferimento principale sarà quello di concorrenza perfetta, al fine di introdurre la discussione sull’efficienza nell’allocazione delle risorse quando tale ipotesi sia rispettata, e sulle perdite subite dalla collettività, nei casi in cui non lo sia. Per ricordare la necessità di trattare questi argomenti, nello schema semplificato dei flussi si introducono le due aree che corrispondono ai mercati dei beni e a quello dei fattori. Le famiglie, come insieme di consumatori, hanno un reddito e lo destinano in parte a consumi e in parte a risparmi, con l’obiettivo di trarne un massimo di utilità nel presente (grazie ai consumi immediati) e nel futuro (grazie ai consumi trasferiti nel tempo attraverso gli atti di risparmio). Il


16 reddito consumato si traduce in domande aggregate sul mercato dei beni dove il confronto con le decisioni di offerta, provenienti dalle imprese, determina il formarsi dei prezzi. L’esistenza di un gran numero di compratori e di venditori, in competizione tra loro, e la presunta simultaneità delle decisioni, permette di affermare l’esistenza di prezzi di equilibrio che si formano mediante uguaglianza di domande e di offerte. Le imprese conoscono i modi di combinare i fattori produttivi e scelgono quelli che, dati i loro prezzi, permettono di produrre le diverse possibili quantità con il minimo costo. Tra tutte le quantità producibili sceglieranno infine quelle che, dati i prezzi dei beni, permettono loro di massimizzare il profitto in ciascuna delle attività in cui sono impegnate. I fattori produttivi che le imprese adoperano sono richiesti su un altro insieme di mercati. Le domande dipenderanno dalla loro produttività (marginale), cioè dal risultato dell’utilizzo di una loro unità (addizionale): un valore monetario ottenuto dalla vendita del prodotto al prezzo del bene che si è determinato sul suo mercato. Le famiglie offrono i fattori produttivi e la loro offerta può ancora essere spiegata come una conseguenza dei prezzi che possono ricavare. Tali prezzi in questo caso sono dei redditi, con i quali le stessi famiglie si procureranno i beni di consumo. Anche le offerte dei fattori di produzione dipenderanno da scelte orientate a ottenere un massimo di soddisfazione: - la quantità di lavoro dipenderà da un confronto tra i vantaggio di disporre di maggior reddito da destinare ai consumi o di maggior tempo libero (che è un particolare tipo di bene); - l’offerta di finanziamenti dipenderà dall’utilità del flussi dei consumi distribuiti nel futuro, confrontata con quella a cui si rinuncia nel momento presente, dato il tasso di interesse che sarà pagato da chi otterrà i prestiti. 3.2 Dalla descrizione delle relazioni tra gli operatori alla discussione dei vantaggi di un sistema decentrato 3.2.1 Si deve iniziare con l’avvertimento di voler descrivere un sistema con decisioni decentrate e con mercati perfetti, cioè mercati concorrenziali in cui sono verificate le seguenti ipotesi: - il prodotto (o il fattore di produzione) è omogeneo; - è dunque indifferente acquistare da un venditore a da un altro, e non vi sono motivi per preferire di vendere a un acquirente o a un altro; - i compratori sono numerosi e nessuno può singolarmente influire sul prezzo; - i venditori sono numerosi e nessuno può singolarmente influire sul prezzo; - di conseguenza le quote di mercato sono piccole per ciascuno degli operatori; - l’informazione è perfetta e priva di costi, perché i prezzi sono conosciuti da tutti e sono un dato per ciascuno, e le decisioni non riguardano differenze di qualità dei prodotti; - è garantita la libertà di entrata e di uscita. L’ipotesi di concorrenza perfetta e di prezzi perfettamente flessibili su tutti i mercati reca con sé la conseguenza del pieno impiego dei fattori produttivi: un argomento che è il tema cruciale delle analisi di macroeconomia del breve periodo. 3.2.2 La descrizione dei legami tra le diverse decisioni è utile per spiegare il vantaggio principale dell’economia di mercato: la rapida trasmissione delle informazioni che consentono gli adattamenti attraverso il variare dei prezzi.


17 Si può partire da una ipotetica e improvvisa scarsità di una risorsa, di cui se ne acquista di meno perché la catena delle variazioni dei prezzi provoca la riduzione della domanda dei beni finali in cui si incorpora. Si può anche partire dal mutamento dei gusti dei consumatori, per arrivare al modificarsi della distribuzione del reddito a favore dei detentori dei fattori produttivi che più concorrono alla produzione dei beni più richiesti.

3.2.3 Se il sistema di mercato verifica le condizioni di concorrenza perfetta, la libertà di entrata determina equilibri di lungo periodo in cui i profitti si annullano. La nozione di profitto deve però essere intesa come compenso per la remunerazione del capitale proprio dell’imprenditore che eccede quello che si può avere in tutte le altre possibili produzioni del sistema. 3.2.4 Per gli stessi beni e per gli stessi fattori non vi può essere che un unico prezzo. I prezzi dei beni rifletteranno l’utilità dell’ultima unità acquistata. I prezzi dei fattori rifletteranno la produttività dell’ultima unità impiegata. I costi di produzione sono pertanto dei costi opportunità: la produzione a cui si deve rinunciare nella miglior alternativa disponibile, per aver impiegato i fattori nell’attività di cui si vuol giudicare la convenienza. Le imprese in perdita determineranno dunque un danno per la collettività, perché le risorse da loro impiegate le sottraggono più di quanto le danno. Convenienza individuale (per il singolo imprenditore) e convenienza per la collettività finiranno con il coincidere. 3.3 La critica ai modelli di equilibrio generale del sistema Quando si presentano le relazioni tra le decisioni, l’ipotesi di concorrenza perfetta può essere introdotta come mero espediente, ma è facilmente intesa come rappresentazione di una realtà ideale. Mantenerla nell’ambito di una tecnica di ragionamento, per esercitarsi a cogliere interrelazioni è una delle sfide didattiche più ardue per un docente di economia politica, e si comprende pertanto come molti colleghi preferiscano evitare ogni riferimento a un preteso equilibrio generale del sistema determinabile, almeno in teoria, come soluzione di un sistema di equazioni. 3.3.1 Le forme di mercato Il riferimento al caso della concorrenza perfetta è però utile come termine di confronto e di discussione. Il termine “mercati imperfetti” indica i casi di monopolio (l’altro estremo teorico con un unico produttore senza concorrenti attuali o potenziali”) e di “concorrenza imperfetta” o “concorrenza monopolistica” (in cui le imprese sono numerose come nel caso della concorrenza perfetta, ma il prodotto è differenziato e ciascuna può influire, entro certi margini, sul prezzo). Nella realtà prevale una terza categoria di mercati imperfetti: gli oligopoli, nei quali poche grandi imprese competono tra loro in modo consapevole. I vantaggi di un’economia di mercato non possono essere descritti allora con le caratteristiche dei prezzi di concorrenza, ma in termini di capacità di innovare per prevalere sui concorrenti con nuovi prodotti o con la maggior efficienza di nuovi processi. Occorre poi affrontare la discussione sul significato di piccola impresa, ricorrente nelle definizioni di mercati perfetti.


18 L’aggettivo “piccolo” è da intendersi con riferimento alle dimensioni complessive del mercato, ma questo a sua volta può avere limiti dimensionali che impediscono a un pluralità di imprese di operarvi. Non è comunque scontato il vantaggio della dimensione che è piccola in termini assoluti, perché l’esistenza di discontinuità tecnologiche e di rendimenti di scala in molti rami produttivi possono rendere conveniente, per la collettività, la grande dimensione e la conseguente imperfezione dei mercati. La moderna microeconomia studia allora le condizioni che rendono contendibili i mercati oligopolistici, quando sia operante una minaccia di entrata di concorrenti che induce le imprese esistenti a mantenere i prezzi a una soglia di esclusione delle rivali. Tale soglia potrebbe essere tale da annullare i profitti, con esito simile a quello della concorrenza perfetta. 3.3.2 La nozione di equilibrio, il profitto e l’innovazione. La nozione di “equilibrio” generale del sistema è criticata da alcuni economisti che desiderano mettere in evidenza, come il libero mercato sia importante non per le proprietà di un ipotetico esito finale delle scelte degli operatori, ma per il continuo mutare delle condizioni in cui operano imprese e acquirenti. L’equilibrio potrebbe rivelarsi un espediente didattico fuorviante, perché destinato a non essere mai raggiunto. Il tratto saliente dell’attività imprenditoriale, fonte dello stesso dinamismo del sistema, sarebbe invece la capacità di creare continuamente squilibri, grazie alle nuove circostante create dalle innovazioni che si perseguono per trovare occasioni nuove di profitto. Ancora una volta si tratta di decidere se sia opportuno o no presentare modelli di riferimento, come momenti di arrivo di una ipotetica sequenza, rimessa continuamente in discussione dall’operare dei protagonisti. In proposito si deve considerare la nozione di equilibrio di lungo periodo in concorrenza perfetta, nel quale i profitti si annullano. Chi scrive ritiene che menzionare tra i pregi della concorrenza questo esito sia utile per abituare a cercare, accanto ai motivi dell’azione innovativa, anche le forze che permettono di distribuire agli acquirenti i vantaggi della maggior efficienza ricercata e ottenuta. Il profitto non si presenta in questo modo come una particolare tipo di retribuzione, che ricompensa un particolare fattore, ma come un incentivo all’incessante trasformazione delle strutture produttive. 3.3.3 Giudizi di valore impliciti Un tema conclusivo, di grande rilievo, ma anche di grande difficoltà, è se nell’illustrare il modello di sistema di mercato in concorrenza perfetta non si comunichino in modo implicito giudizi di valore. Si noti a tal fine che la natura dei prezzi in un ipotetico equilibrio economico generale, consentirebbe di definirli equi, se si accettasse come giudizio etico il principio della retribuzione dei fattori in base alla loro produttività. Si potrebbe certo discutere la circolarità del ragionamento, che collega la definizione di produttività a ciò che è utile, e questo a ciò che è domandato con una disponibilità a pagare la quale, a sua volta, deriva dai redditi percepiti nel fornire ciò che è definito utile. Tale circolarità potrebbe essere presentata come apparente, e fatta consistere nella soluzione di un sistema di equazioni simultanee, ma ciò non toglierebbe la necessità di formulare una ipotesi iniziale di distribuzione delle dotazioni dei fattori considerata equa. L’equità delle dotazioni iniziali può a sua volta essere fatta risalire: - a doti personali che ciascuno a acquisito in modo voluto e consapevole, e dunque non innate;


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all’accumulazione del capitale, frutto di redditi percepiti in condizioni perfettamente concorrenziali, e alla trasmissione ereditaria non solo legittima ma considerata equa con giudizio di natura etica.


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