CAPITOLO
V
CONCLUSIONI
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Sommario: 1. L’eliminazione della concussione per induzione fraudolenta. - 2. La proposta Cernobbio. - 3. Alcune riflessioni propositive. - 3.1 Le sanzioni accessorie. - 3.2
Le sanzioni pecuniarie. - 3.3 Le sanzioni
sostitutive.
1.
L’eliminazione della concussione per induzione fraudolenta.
Se non pare opportuno introdurre una fattispecie autonoma di concussione ambientale, rimane comunque il già rilevato vuoto legislativo (cfr. cap. IV, par. 1). A tale vuoto si aggiungono i noti problemi interpretativi riguardanti le fattispecie di concussione e corruzione (cfr. cap. III). Resta quindi da valutare la percorribilità di alcune proposte tendenti ad offrire un contributo (non certo dirimente) alla soluzione dei problemi in esame. Di una certa rilevanza può apparire l’eliminazione della forma fraudolenta della concussione per induzione, atteso infatti che l’attuale formulazione normativa dell’art.317 c.p. non consente l’esclusione
dell’induzione
fraudolenta
dalle
modalità
realizzative del delitto stesso, a meno di un’interpretazione abrogatrice1 (cfr. cap. I, par. 3.2) della norma. Nello senso F. ROMANO, La concussione ambientale, in Giur. mer., 1994, p.208, il quale pur sostenendo l’estraneità logica della condotta 1
2
Molti2 hanno già sostenuto la tesi che tende ad escludere la frode tra le modalità realizzative della condotta induttiva. Infatti, la caratteristica propria della concussione, si è rilevato, consiste nel peso sopraffattivo della condotta dell’agente, nell’imporsi di questi al concusso, nel piegare la volontà del concusso e renderla conforme a quella dell’agente e non nel convincerlo mediante false rappresentazioni della realtà, che è invece tipico delle condotte fraudolente. Abbiamo visto come costrizione e induzione siano due condotte distinte, alternative, che in comune hanno la capacità di forzare la libera determinazione del privato (cap. I, par. 3.2). La fattispecie di concussione descrive una situazione di cosciente inferiorità psichica in cui viene a trovarsi il concusso3, mentre le condotte fraudolente comportano l’inconsapevolezza, da parte del privato, del raggiro che sta subendo4. La coscienza fraudolenta rispetto alla concussione, sostiene di non poter escludere la forma fraudolenta dalla configurabilità del delitto di concussione in quanto è la teoria più convincente e conforme alla voluntas legis. 2 PIOLETTI, Concussione, cit., p.9; PANNAIN, I delitti, cit. p. 105 e ss.; MARINI, Questioni in tema di distinzione tra concussione e truffa aggravata, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1997, p.303; M. ROMANO, Delitti, cit., p.106; LI VECCHI, La “induzione in tema di concussione e truffa aggravata, in Riv. pen., 1995, p.9. In giurisprudenza Cass. 13 gennaio 200, Mazzenga, in Cass. pen. 2000, p.149; Cass. 5 ottobre 1998, in Giur. it. 2000, p.2352. 3 PANNAIN, I delitti, cit., p. 108 incisivamente distingue: “nella concussione il privato è consapevole di dare l’indebito, nella truffa la vittima, ingannata, crede di dare il dovuto”. 4 “Deve ravvisarsi concussione quando l’abuso della qualità assuma preminente importanza prevaricatrice, che costringe il soggetto passivo all’ingiusta prestazione che egli sa non dovuta; deve ravvisarsi invece
3
della situazione di inferiorità (causata dall’abuso del p.u.) è il nucleo della concussione, che giustifica il pesante trattamento sanzionatorio tipico, nella sistematica del codice, dei reati implicanti violenza o minaccia mentre i reati fraudolenti ricevono solitamente trattamenti sanzionatori meno gravi. La legge inoltre si limita a richiedere la sola induzione, e non anche l’induzione in errore, che è tipica della truffa (ubi lex voluit dixit)5: questa sembra essere una distinzione rilevante, e non solo terminologica. Sulla base di tali considerazioni potrebbe dirsi opportuno un intervento legislativo volto ad escludere la forma fraudolenta dal delitto di concussione. In tal modo si avrebbero anche notevoli semplificazioni probatorie inerenti la distinzione tra concussione e truffa aggravata dall’abuso di poteri (cfr. cap II, par. 3.2): se il soggetto passivo si determina a seguito di una rappresentazione falsa della realtà, creata dall’abuso ci troveremmo in ipotesi di truffa aggravata; invece la coscienza del carattere indebito della prestazione effettuata integrerebbe la concussione.
truffa aggravata quando la qualità di pubblico ufficiale concorre in via accessoria alla determinazione della volontà del soggetto passivo, che viene convinto con artifici o raggiri ad una prestazione che egli crede dovuta” in Cass. 20 settembre 1991, Guglielmetti. Nello stesso senso anche Cass. 26 ottobre 1998, Sacco, in Cass. Pen. 1999, p.3125; Cass. 16 novembre 1993, Piscitelli, in Cass. pen. 1995, p.1197. 5 Cfr. artt. 640, 643 c.p. stesso rilievo posto da PANNAIN, I delitti, cit., p. 107.
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2.
Le proposte di unificazione delle fattispecie
Le già rilevate difficoltà di distinzione tra la concussione e la corruzione hanno indotto taluni ad elaborare, subito dopo il periodo di “Tangentopoli”, una nota proposta di modifica dell’attuale assetto della concussione: ci riferiamo alla cd. “Proposta Cernobbio”6. Questo progetto prevede la soppressione della figura della concussione: l’attuale forma esplicita (cioè l’attuale concussione mediante violenza o la minaccia, cfr. cap II, par 3.2) verrebbe a costituire un’aggravante speciale dell’estorsione. Invece, la forma induttiva, verrebbe ricompresa in un’unica, ampia fattispecie di corruzione che si estenderebbe fino alla corruzione impropria, con un indifferenziato trattamento sanzionatorio.
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Proposte in materia di prevenzione della corruzione e dell’illecito o
La proposta sposa inoltre una logica premiale, con l’intento di far fronte ad alcune difficoltà processuali e probatorie: viene infatti ipotizzata una speciale causa di non punibilità per il corruttore che entro tre mesi, o comunque prima dell’inizio del procedimento penale, denunci il fatto corruttivo e collabori con l’autorità giudiziaria, e metta a una somma pari a quanto versato o ricevuto. Il progetto, avanzato dal “pool di Mani pulite”, è stato fatto proprio anche in sede parlamentare con la presentazione di alcune proposte di legge7, trovando sostenitori anche in dottrina8. I vantaggi pratici e le semplificazioni probatorie sarebbero indubbie: ogni prestazione indebita che il privato effettui verso il p.u. comporterebbe la punibilità entrambi (salva la richiesta violenta o minacciosa da parte del p.u., la quale configurerebbe una estorsione e quindi la punibilità per il solo p.u.), senza la necessità di ulteriori indagini volte a chiarire la “posizione” dei D.d.l. n. 1043 presentato dal senatore Salvi, e D.d.l. n. 1175 presentato del deputato Pecoraro Scanio. Cfr. anche d.d.l. n. 2606 presentato dal deputato Cento, il quale però non prevede la speciale causa di non punibilità per il corruttore e pene inferiori sia per il p.u. che per il privato. 8 FIANDACA, Esigenze, cit., p.897; FORTI, L’insostenibile, cit., p.505 e ss. Contra GROSSO, L’iniziativa Di Pietro su “Tangentopoli”. Il 7
progetto anticorruzione di Mani pulite fra utopia punitiva e suggestione premiale, in Cass. pen. 1994, p.2344; RAMPIONI I delitti di corruzione e il requisito dell’atto d’ufficio: tra interpretazioni abroganti e suggestioni riformatrici, in Cass. pen., 1999, p.3406, che rileva come questa “reductio ad unum comporta un irrimediabile impoverimento culturale, che non risponde ad alcuna reale esigenza di tipo tecnicoscientifico” (p.3422).
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vari soggetti. La non punibilità garantita al corruttore pentito consentirebbe, si ritiene inoltre, di spezzare quell’omertà che rende impenetrabili gli accordi corruttivi, data la consapevolezza che si sarà comunque puniti. I rilievi critici si incentrano soprattutto sul fatto che si incentiverebbero
più
forme
indiscriminate
di
delazione,
finalizzate a “salvarsi la pelle”, che sinceri atti di pentimento9, a danno di tutto il procedimento penale. Ma può andarsi oltre. Questa proposta, infatti, è stata ripresa e sviluppata più tardi da FORTI10 (che si è ispirato soprattutto alla soluzione americana), secondo il quale il reato sarebbe costituito dalla prestazione indebita “nel senso che la richiesta della tangente da parte del funzionario risulta regolarmente qualificata come estorsione, mentre la posizione del privato lascia aperta la seguente alternativa: responsabilità per corruzione, qualora il pagamento sia stato corrisposto indebitamente (…); esclusione della responsabilità per corruzione, se si sia pagato per avere il dovuto: solo il p.u. verrà punito”11. Si sostiene poi che nei casi dubbi come quello in cui “se non si paga, non si ottiene il dovuto; se si paga, non solo ci si sottrae ad una conseguenza GROSSO, L’iniziativa, cit., p.2345; perplessità su tale forma di “delazione” sono espresse da SCORDAMAGLIA, Etica e diritto penale nella P.A., in Iustitia, 1995, p.301 e ss. 10 FORTI, L’insostenibile, cit., p.502 e ss. 11 FORTI, L’insostenibile, cit., p.503. 9
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pregiudizievole, ma si consegue una situazione di spiccato vantaggio rispetto a chi si è astenuto dalla tangente, (…) non c’è motivo di lasciare impunito chi ha pagato solo perché è stato anche vittima di un’estorsione(!)”12. Tuttavia, questa ricostruzione non è condivisibile, anche considerando la nostra tradizione giuridica13. Si è già rilevato come il criterio del vantaggio e del danno ingiusto (sostanzialmente qui accolto), in realtà, non abbia la capacità di dirimere ogni dubbio (cfr. cap. III, par. 2) riguardante i confini tra la concussione e la corruzione. E’ da rilevarsi anche l’inadeguatezza del trattamento sanzionatorio previsto per il privato, dato che viene considerata secondaria la circostanza dell’aver effettuato la prestazione indebita a seguito di un azione di taglieggiamento. E’ invece
FORTI, L’insostenibile, cit., p.503 PAGLIARO, Per una riforma, cit., p.62. Secondo alcuni (FERRINI, Diritto penale romano, Roma, 1976, p.405), infatti già nel II secolo a.C. la concussione veniva punita, anche se si trattava, più che altro, di un’azione civile volta al recupero dell’indebito. Sicuramente nel II secolo d.C. la concussione costituiva titolo autonomo di reato (distinto dalla corruzione), che prevedeva (oltre alla restituzione dell’indebito) anche sanzioni penali: di carattere pecuniario, interdittivo e infamanti. Elemento centrale era considerato il concutere: con cui si indicava l’azione di scuotere un albero per farne cadere i frutti, per esprimere l’idea dell’azione del p.u. volta ad ottenere l’indebito (BRUCHI, voce Concussione, in Dig. It., vol. VIII, Torino, 1896, p.528). 12 13
8
proprio tale punto, che segna una distanza tra concussione e corruzione così rilevante da sembrare incolmabile14. Eliminare
la
concussione,
poiché
sarebbe
impossibile
individuare i confini con la corruzione15 non sembra una motivazione convincente. Le difficoltà interpretative esistono, ma non
sono
così
insormontabili
da
giustificare
una
resa
incondizionata (cfr. cap. III, par. 3 e 4). La
concussione,
anche
nella
forma
induttiva,
ha
la
caratteristica di incidere sulla libertà di autodeterminazione del soggetto. Sacrificare la lesione a tale bene giuridico, seppur solo nella forma più blanda, in cambio di facilitazioni pratiche, significa svilire un bene di rilevanza costituzionale16. Inoltre si verrebbe ad equiparare non solo il corruttore al concusso, ma anche il corruttore nelle ipotesi di corruzione propria con quello nelle ipotesi di corruzione impropria: il trattamento sanzionatorio infatti è indifferenziato. Il che, atteso il diverso disvalore delle condotte, pare davvero ingiustificato17: l’atto contrario ai doveri può incidere sul corretto funzionamento della P.A.; quello conforme, seppur retribuito, pare essere più un momento Addirittura PALOMBI rileva la distanza ontologica tra la condotta di corruttore e di chi subisce un azione di taglieggiamento, PALOMBI, La concussione, cit., p.35. 15 FIANDACA, Esigenze, cit., p.897. 16 PAGLIARO, Per una riforma delle norme in tema di concussione e corruzione, in Riv. pen. econ. 1995, p.62; PALOMBI, La concussione, cit., p.35. 17 CONTENTO, La riforma minima, cit. p.730 14
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prodromico alla realizzazione di un ulteriore situazione con maggiore disvalore penale (cfr. cap. II, par. 3). Tra l’altro la trasmigrazione della concussione per costrizione nell’estorsione viene giustificata18, riprendendo una pronuncia della Corte Costituzionale sull’oltraggio a p.u., come un ridimensionamento dei beni dell’imparzialità e del buon andamento, poiché la “concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra p.u. e cittadini (…) è estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la quale il rapporto tra amministrazione e società non è un rapporto d’imperio, ma un rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest’ultima”19. La desacralizzazione della figura del p.u. è sicuramente conforme al nostro ordinamento, e ove questo obiettivo non sia ancora raggiunto è auspicabile un urgente intervento: tra l’altro l’abrogazione del delitto di oltraggio a p.u. testimonia un’avvenuta parificazione tra amministratori e amministrati, sul piano della dignità sociale, come riconosciuto dall’art. 3 della Costituzione. Ma la concussione è delitto che si pone a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. e, soprattutto, della libertà di autodeterminazione del privato. La pena si giustifica per l’avvenuta lesione di tali beni, non solo per la
18 19
Corte Cost. 19-25 luglio 1994 n.341, in Riv. pen. econ., 1995, p.48. FORTI, L’insostenibile, cit., p.507.
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qualità
pubblica
dei
soggetti
attivi.
L’estorsione,
nella
formulazione del nostro Codice, non pare garantire un’adeguata tutela dei beni protetti dalla concussione (almeno quelli indicati nell’art. 97 della Costituzione): infatti l’abuso delle funzioni, mediante il quale si costringe o si induce, nelle proposte in esame, sarebbe degradato a circostanza aggravante, esposta quindi al “rischio” del giudizio di equivalenza20.
3. Alcune riflessioni propositive Lo studio fin qui condotto ha rilevato che, nonostante il sistema penale presenti diverse inadeguatezze normative, le modifiche legislative suggerite non sono in grado di risolvere i problemi posti. O almeno le proposte finora avanzate non sembrano funzionali a tale scopo. Può forse dirsi che quello vigente, pur non essendo il migliore sistema penale in assoluto, è migliore di quello chiamato a sostituirlo. I fenomeni corruttivi però esistono, notevoli in quantità e qualità21. Addirittura in una forma strisciante come quella della
GROSSO, L’iniziativa, cit., p.2347. Tra l’altro i beni del buon andamento e dell’imparzialità della P.A. non sembrano superati, ma può affermarsi ancora una loro centralità (cfr. cap V, par. 3, nota 23). 21 Sui danni erariali della vicenda IRI, cfr. SCORDAMAGLIA, Etica, cit., p. 259 e ss. 20
11
concussione ambientale. Una forma più subdola e meno appariscente di quella classica e, forse, anche quantitativamente limitata, ma non per questo meritevole di minor attenzione. Il suo diffondersi, anche in un solo ufficio pubblico, comporta danni pari al compimento di un atto illegittimo, o alla cattiva costruzione di una strada o alla fornitura di scadente materiale ospedaliero. Può ben minare nel profondo la stessa convinzione dei consociati sull’utilità di una amministrazione pubblica (ma anche sull’utilità del pagamento delle tasse, o sul tenere comportamenti corretti). In effetti l’esercizio di un potere pubblico ha una sua ragion d’essere se e quando persegue un fine pubblico. Un potere pubblico è sempre legato ad una funzione, ad un servizio reso alla collettività. Se il fine del potere non è più l’utile delle persone, allora non hanno più senso né il suo esercizio, né il suo rispetto, né le prerogative ad esso collegate. Certo è che il mercimonio del potere (o anche solo la strumentalizzazione della sua funzione), ancora di più quando generalizzato e notorio, comporta il declino del fondamento22 del Particolare attenzione viene inoltre dedicata dal FORTI al fenomeno della concussione ambientale o, più precisamente, a quel fenomeno di diffuso e notorio malcostume dei pagamenti illeciti, dei rapporti tra P.A. e privati legati dalle tangenti sistematiche. L’Autore ritiene infatti che tale fenomeni di corruzione diffusa leghino piani importanti della Politica e dell’Economia e che più che comportare una lesività delle vecchie categorie di buon andamento e imparzialità, rilevino tutta la loro dannosità sociale nel campo economico oltrechè che 22
12
potere stesso, e quindi del suo rispetto da parte della collettività, in un ordinamento costituzionale in cui è il popolo ad essere riconosciuto sovrano (art. 1 della Costituzione). E magari la tenuta stessa della par condicio civium potrà essere a rischio23. Per quel che riguarda la concussione ambientale, forse più che cercare soluzioni su un piano di “ingegneria normativa” andrebbe auspicato un richiamo ad una maggiore trasparenza delle norme
in quello politico-sociale, portando una tale sfiducia da parte dell’ ”uomo della strada” nella politica e nell’amministrazione corrotte, viste più come mercato illecito di pubblici benefici che altro (p.483-486). Pertanto la strada suggerita da FORTI è quella di creare una oggettività giuridica “ad assetto variabile” caratterizzata da un involucro di imparzialità e/o buon andamento più un secondo livello di interessi da individuare di volta in volta in rapporto al tipo di attività della P.A. coinvolta nei fatti di corruzione” (p.508). Tale ricostruzione modulare del bene consentirebbe di tener presente interessi diversi che emergano come più contigui al fatto corruttivo. FORTI, L’insostenibile, cit., p.483 e ss., p.508. Posto che il rilievo sulla dannosità anche economica o patrimoniale non è molto di più di una di una lesività eventuale, rimane che i beni imparzialità e buon andamento meglio di tutti sintetizzano, in genere, la disfunzione che si lega alle pratiche corruttive. Lungi dal perdere valore, dal potersi considerare vecchie, ritengo siano ancora centrali per la loro capacità di sintetizzare la direzione della lesione del fatto. Una ricostruzione variabile oltre che comportare un numero di fattispecie elevatissimo (tante quante le possibili attività della P.A.), creerebbe problemi applicativi notevoli: concorso materiali di reati o concorso apparente di norme tra le varie fattispecie descritte? Nello stesso senso RAMPIONI, I delitti, cit, p.3417 che ritiene le oggettività giuridiche suggerite da FORTI evanescenti e vaghe. 23 “Gli scandali nella attività e nell’amministrazione pubblica, come la storia ammonisce, qualche volta preludono al crollo dello Stato”, SCORDAMAGLIA, Etica, cit., p. 244 e 274 e ss.
13
che regolano i rapporti tra cittadini e P.A.24. Regole che consentano subito al cittadino il controllo sull’operato della P.A. In
questo
senso
programmaticamente,
un
esempio
l’introduzione
può del
essere, cd.
almeno
statuto
del
contribuente (con la L. 27 luglio 2000, n. 212). Alla P.A. si impongono obblighi di chiarezza, informazione e partecipazione nei confronti del cittadino, limiti precisi nell’operare ispezioni ed accessi, ad esempio. Il cittadino ha strumenti concreti che possono tutelarlo, come il Garante del contribuente, un organismo competente, terzo, presente in maniera capillare sul territorio25, che ha poteri (più o meno efficaci) di controllo sulla P.A. e sul suo operato, nonché compiti di monitoraggio costante sull’operato
dell’amministrazione
finanziaria
(mediante
le
relazioni che periodicamente presenta alle autorità competenti, quali il ministro delle Finanze)26. SUTHERLAND, White collar crime, Milano 1987, p.322 che rileva come la mancanza di trasparenza, legata soprattutto all’ipertrofia normativa che non consente una partecipazione cosciente dei cittadini nei rapporti con la P.A., sia un fattore che faciliti il crimine economico. Sulla necessità di una maggiore trasparenza e sui suoi benefici effetti cfr. DAVIGO, La giubba del re. Intervista sulla corruzione (a cura di DAVIDE PINARDI), Bari, 1998, p.175-176. 25 L’art. 13 della L.212/2000 dispone che “presso ogni direzione generale delle Entrate è istituito un garante del contribuente (…) operante in piena autonomia (…) i componenti sono scelti tra magistrati, professori universitari di materie (…); dirigenti dell’amministrazione finanziaria e ufficiali superiori della Guardia di finanza (…); avvocati, dottori commercialisti, e ragionieri collegiati (…)”. 26 Sul Garante in generale cfr. FANTOZZI, Corso di diritto tributario, 2003, p.139-140. 24
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Certo, un conto sono le norme, altro la loro applicazione, altro ancora pensare che tutti i problemi possano risolversi facilmente: in ogni caso le difficoltà che un ufficio pubblico incontrerebbe nell’instaurare una tale prassi di taglieggiamento sarebbero certamente maggiori. Inoltre l’introduzione di norme più trasparenti o anche solo di strumenti che facilitino la comprensione e la coscienza del proprio ruolo da parte dei cittadini, potrebbe consentire anche sensibili passi avanti verso la più efficace (e più difficile da realizzare) forma di prevenzione del crimine: il cd. controllo interno27. In questo solco potrebbe anche pensarsi ad una rivisitazione della risposta sanzionatoria ai fenomeni di corruzione e concussione. Sarebbe certamente opportuno che coloro i quali si siano macchiati di una condanna per corruzione o, peggio ancora, per concussione, non tornino poi a “perseguire l’interesse pubblico” in alcun modo. La minaccia della reclusione, per quanto terribile, non è forse la risposta sanzionatoria più adeguata ai fenomeni di cui ci stiamo occupando. Sulla rilevanza del controllo interno come forma di prevenzione generale cfr. MANTOVANI, Diritto, cit., p.718; FORTI, L’immane concretezza, Milano 2000, p.131 e 135 che spiega come “la fedeltà alle norme inibisca sul nascere o, meglio, impedisca addirittura di prospettarsi la violazione di una regola profondamente e pervicacemente interiorizzata”. 27
15
Il tratto comune dei reati di corruzione e concussione è la strumentalizzazione a fini privati della posizione rivestita o dei poteri pubblici. Tali fini sono quasi sempre economici, o comunque è difficile negarne i riflessi economici28: colui che si macchia
di
simili
reati
è
un
soggetto
che
delinque
razionalmente29, valutando i pro e i contro dell’azione criminale prima di compierla, soppesando vantaggi e svantaggi30. Quindi se se gli svantaggi superassero i vantaggi, o almeno se i vantaggi venissero totalmente annullati dalla sanzione, l’uomo razionale probabilmente non si determinerebbe a delinquere, o comunque si avrebbe una elevata deterrenza: la neutralizzazione degli effetti negativi per certi versi è forse un risultato più apprezzabile dell’applicazione di una pena31, che magari non si sconterà mai. FORTI, L’insostenibile, cit. p.483-486; cfr. SCORDAMAGLIA, Etica, cit. p. 236 e ss, il quale sottolinea la stretta contiguità tra i fenomeni corruttivi e il mondo economico. 29 FIANDACA-MUSCO, Diritto parte generale, cit., p.662, per cui se è vero che il delinquente non è sempre un uomo perfettamente razionale è anche vero che, soprattutto in relazione ai reati economici, lo è spesso. 30 FORTI, L’immane, cit., p.132 e ss., che sottolinea come l’idea dell’uomo razionale sia solo limitatamente utile ai fini criminologici esistendo spinte emozionali, irrazionali, pulsioni non razionalmente valutabili che ne inficiano la validità come proficua spiegazione assoluta del crimine. Rimane una certa utilità in riferimento ai quei reati economici basati proprio sul calcolo. 31 In tal senso può notarsi come SUTHERLAND, White, cit., p.322 e ss., pur spiegando il crimine dei cd. colletti bianchi in base alla teoria della disorganizzazione sociale, metta in evidenza come spesso gli autori di tali reati vedano le norme poste solo come un ostacolo alla realizzazione dei loro scopi economici: una più o meno rilevante certezza circa l’inutilità dell’azione volta ad evitare l’ostacolo non potrebbe essere un ottimo deterrente? 28
16
Alcuni strumenti utili al raggiungimento di queste forme di prevenzione generale e speciale potrebbero individuarsi in una maggiore centralità delle attuali sanzioni accessorie, nonché nell’applicazione di più rilevanti sanzioni pecuniarie, oltre che di misure patrimoniali che neutralizzino i vantaggi (patrimoniali) conseguenti all’illecito32; nell’adozione di sanzioni sostitutive alla detenzione, ma soprattutto in un’applicazione pronta e certa delle pene previste33.
3.1
Le sanzioni accessorie
L’idea retributiva della pena, per quanto abbia perso centralità nell’attuale dibattito penalistico34, appare tuttavia un elemento insostituibile qualora significhi risposta calibrata, proporzionata ed efficace al fatto35. Peraltro sia chi sostiene il superamento36 SCORDAMAGLIA, Etica, cit., p. 248. Sulla massima efficacia generalpreventiva della certezza e prontezza della pena, a prescindere dal contenuto della pena stessa cfr. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Milano, 1764, p.29; FORTI, L’immane, cit., p.129; MANTOVANI, Diritto, cit., p.724; FIANDACAMUSCO, Diritto, parte generale, cit. p.660. 34 FIANDACA-MUSCO, Diritto parte generale, cit., p.667. Sostenuta invece con forza da D’AGOSTINO, La sanzione nell’esperienza giuridica, Torino, 1999, p.110 e ss. 35 MANTOVANI, Diritto, cit., p.723, 750; PAGLIARO, Le indagini 32 33
empiriche sulla prevenzione generale: una interpretazione dei risultati, in Riv. it. dir. proc. pen. 1981, p.447 36 FIANDACA-MUSCO, Diritto parte generale, cit., p.656.
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dell’idea retributiva sia chi ne sostiene la persistente validità37 sottolinea come sia opportuno il ricorso a forme di afflittività più razionali, meglio rispondenti alla tipologia delittuosa da reprimere. Quindi in riferimento ai reati in questione può sostenersi che le attuali pene detentive principali, lungi dall’essere
eliminate,
dovrebbero
essere
ridimensionate,
lasciando spazio ad altre sanzioni dotate comunque di una certa afflittività. La pena prevista per la concussione (da 4 a 12 anni) è davvero eccessiva, e tuttavia la minaccia di questa sanzione non riesce a garantire che il reo non commetterà di nuovo il delitto, poichè ex art. 317bis38 c.p. l’interdizione dai pubblici uffici è solo temporanea39 se la pena principale è inferiore ai 3 anni. Un’interdizione dai pubblici uffici (che sia perpetua, ad esempio, in seguito ad ogni forma di concussione), sembrerebbe avere un contenuto afflittivo notevole. Potrebbero inoltre elevarsi gli attuali limiti di durata dell’interdizione temporanea40: le sue MANTOVANI, Diritto, cit., p.758-759, che sottolinea come l’ipertrofia legislativa ha comunque posto un’erosione della prevenzione generale nella sua funzione intimidatrice. 38 L'art. 317bis recita: “la condanna per i reati di cui agli articoli 314 e 317 importa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nondimeno, se per circostanze attenuanti viene inflitta la reclusione per un tempo inferiore a tre anni, la condanna importa interdizione temporanea”. 39 Solo tre anni, secondo alcuni invece l’interdizione temporanea sarebbe determinata in 5 anni ex art. 29 c.p. Cfr. Trib. Napoli, 22 aprile 1997, Miceli, in Riv. pen. 1997, p.737. 40 VIOLANTE, Contenuto e funzione delle pene accessorie: conseguenze in tema di applicabilità al concorso di persone nel reato, in 37
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possibilità di venire di nuovo a ricoprire funzioni pubbliche sarebbero ridotte (azzerate per il concussore)41. Questa funzione neutralizzatrice42 pare essere prevalente su tutte le altre, dati i rilevanti danni che i fenomeni criminosi possono produrre. Anche per il corruttore potrebbe pensarsi un innalzamento dei limiti di durata (oggi da 1 a 3 anni) dell’incapacità a contrarre con la P.A.43. Beninteso tali innalzamenti sembrano opportuni e consigliabili limitatamente ai reati di concussione e di corruzione, in un’ottica di sostituzione della pena principale qui Riv. it. dir. e proc. pen. 1969, p.274; SCORDAMAGLIA, L’applicazione provvisoria delle pene accessorie, Napoli, 1980, p.3. 41 C’è comunque da ricordare come oggi ex art.32quinquies c.p. la
condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni per i delitti dal 317 al 319ter c.p., comporti l’estinzione del rapporto di lavoro e di impiego nei confronti del dipendente di amministrazioni. Rimangono così “scoperte” tutte quelle ipotesi di condanne per periodi inferiori. Un’estinzione automatica almeno per le forme più grave di corruzione (oltre per tutte quelle di concussione) risponderebbe meglio alle illustrate esigenze specialpreventive. 42 FIANDACA-MUSCO, Diritto parte generale, cit., p.686; CERQUETTI, voce Le pene accessorie, in Enc. dir., vol. XXXII, Milano 1982, p.844. 43 L’incapacità di contrarre con la P.A. è disciplinata dagli artt. 32 ter e 32quater del c.p. Il primo dispone che “l’incapacità di contrarre con la P.A. importa il divieto di concludere contratti con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio. Essa non può avere durata inferiore ad un anno né superiore a tre anni” L'art.32quater dispone i casi nei quali alla condanna consegue l’incapacità di contrarre: “ogni condanna per i delitti previsti dagli articoli 316bis,316ter, 317, 318, 319,319bis, 320, 321, 322, 322bis, 353, 355, 356, 416, 416bis, 437, 501, 501bis, 640 numero 1 del secondo comma, 640bis, 644, commessi in danno o vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa importa l’incapacità di contrattare con la P.A.”
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prevista; non vuol qui sostenersi un generico ed indifferenziato aumento dei limiti edittali degli istituti presi in considerazione44. L’inosservanza degli obblighi derivanti da un’interdizione è attualmente punita con la reclusione da 2 a 6 mesi ex art.389 c.p.
3.2 Le sanzioni pecuniarie.
Dato che i reati in questione sono tendenzialmente a “sfondo economico”, accanto alla già prevista confisca45, potrebbe essere opportuna l’introduzione di rilevanti sanzioni pecuniarie di natura penale. Infatti come (e dove) colpire meglio reati a sfondo tendenzialmente
patrimoniale
se
non
con
sanzioni
che
impediscano, ancor di più, il raggiungimento dello scopo stesso del delitto? In dottrina si sottolinea anche la necessità di facoltivizzare e specializzare rispetto al singolo reato le pene accessorie per consentire così una più facile sostituzione di queste alle pene principali. Si sottolinea inoltre come la funzione specialpreventiva sia in parte vanificata dal fatto che si prescinde da una valutazione della personalità del reo prima di una sua applicazione. Anche nell’ipotesi di cui all’art.29, co.2 c.p., l’interdizione perpetua è la conseguenza di condizioni oggettive quali l’abitualità, la tendenza a delinquere o la professionalità. MANTOVANI, Diritto, cit. p.791-792; LARIZZA, voce Pene accessorie, in Digesto 1985, vol. IX, p.424 e 434. 45 Prevista dall’art. 322ter c.p. per i beni costituenti il profitto o il prezzo del reato commesso, anche per un valore corrispondente se i beni stessi siano indisponibili. Tale articolo è stato introdotto con la L.300/2000, la stessa che ha introdotto il D.Lgs. 231/2001. Cfr. BENUSSI, Trattato, cit., p.421. 44
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Anche l’introduzione di pene riparatorie, come l’obbligo del ripristino dello status quo ante o almeno il risarcimento del danno (nei limiti del quantificabile) rientra in un’ottica di neutralizzazione degli effetti dei reati, con inevitabili ricadute sui “conti” che un uomo razionale farebbe prima di corrompere per aggiudicarsi un appalto o di pilotarlo46. L’utilizzazione di sanzioni riparatorie inoltre può avere anche una logica premiale: se prima della conclusione del procedimento si provvedesse spontaneamente al ripristino dello status quo ante, o al risarcimento o alla messa a disposizione dei beni da confiscare, si potrebbe ipotizzare una riduzione del periodo detentivo o della durata dell’interdizione o della pena pecuniaria prevista47. E ciò comporterebbe
anche
una
immediata
conclusione
del
procedimento, con riduzione dei tempi processuali.
Già nel II (Lex Calpurnia, 149 a.C.) e nel I secolo a.C. (Lex Iulia, 50 a.C.), almeno per quanto riguarda la concussione, erano previste azioni civili volte al recupero dell’indebito, insieme a sanzioni pecuniarie nell’ordine del doppio del valore dei beni estorti. Cfr. FERRINI, Diritto, cit., p.405. 47 L’esempio è sempre fornito dal D. Lgs. 231/2001 che prevede all’art.17 la riparazione delle conseguenze del reato, anche se poi ha anche altre forme non replicabili in quanto legate alla specificità delle p.g. Cfr. anche GENNAI-TRAVERSI, La responsabilità de gli enti, Milano, 2001, p.120. 46
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3.3 Le sanzioni sostitutive
Infine perché non sostenersi l’estensione dell’applicabilità delle sanzioni sostitutive anche alla corruzione impropria? Oltre quindi che ad una riduzione della reclusione prevista, la facoltà, da parte del giudice, di sostituire la pena detentiva entro il limite di due anni con la semidetenzione, entro il limite di un anno con la libertà controllata48. Attualmente l‘art.60 della L.689/1981 esclude tale possibilità per la corruzione impropria. Invece, data la
funzione
di
“intimidazione-ammonimento
e
di
non
desocializzazione” (…) al fine di “esercitare un’efficacia dissuasiva rispetto alla commissione di futuri reati”49, le sanzioni sostitutive sembrano essere anche coerenti con al ratio incriminatrice della corruzione impropria, quella appunto di reato di scopo teso ad evitare la futura commissione di futuri reati più gravi dello stesso tipo (cfr. cap. II, par. 4). In un’ottica sempre specialpreventiva, ma maggiormente legata alla rieducazione si inserirebbero anche le misure, sempre sostitutive della pena, come la pena del lavoro di pubblica utilità Art.53 L.689/1981 sulla Depenalizzazione (come modificato dalla L. 12 giugno 2003, n.134): ”Il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, puo' sostituire tale pena con quella della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, puo' sostituirla anche con la liberta' controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, puo' sostituirla altresi' con la pena pecuniaria della specie corrispondente”. 48
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“tanto più se lo si funzionalizza, in termini per così dire di contrappasso, al tipo di reato (…). E può presentare anche una componente rieducativa, sia per l’effetto di sensibilizzazione alla solidarietà sociale insita nell’utilità sociale della prestazione, sia se viene prestato in certi paesi, nell’ambito di efficienti organizzazioni volontaristiche di assistenza”50. Purtroppo nel nostro Paese la mancanza di efficienti organizzazioni volontaristiche e non, vanifica ogni possibilità applicativa di una simile misura.
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FIANDACA.MUSCO, Diritto, parte generale, cit., p. 659 e 694. MANTOVANI, Diritto, cit., p.767.
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