SCOPRIRE I BALCANI € 16,00
SCOPRIRE I BALCANI Storie, luoghi e itinerari dell’Europa di mezzo
approfondimento
La nuova Slovenia di Stefano Lusa
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È l’est Europa e i Balcani che non ti immagini. Le strade sono pulite, le aiuole curate, la microcriminalità è quasi inesistente, nel paese circolano macchine di grossa cilindrata tirate a lucido, la gente è vestita con un certo gusto, i negozi sono pieni di merci e si presentano con vetrine curate. L’aria che si respira è quella di un certo benessere. Un tranquillo paese tra le alpi e il mare, così appare la Slovenia. Paesaggi stupendi e alcuni scorci da favola. La tipica immagine da cartolina è quella di Bled con il suo castello abbarbicato su un costone di roccia, che sovrasta il lago con tanto di isola munita di romantica chiesetta. A essa si possono aggiungere i panorami mozzafiato che si godono dai monti che sovrastano il lago di Bohinj, le vedute di Pirano con la sua punta che taglia il mare come la prua di una gigantesca nave e quelle della sua elegante capitale, Lubiana, con i suoi draghi. A vent’anni di distanza dalla dissoluzione della Jugoslavia e dall’indipendenza della Slovenia il bilancio di Lubiana è positivo. Le cose per gli sloveni, del resto, sono andate bene sin dall’inizio. Sono bastati dieci giorni di scaramucce per liberarsi dell’esercito federale, che poi la vera guerra è andato a
Pirano, piazza Tartini. Foto di Leonardo Barattin
combatterla in Croazia e in Bosnia. Negli anni novanta Lubiana non si è lasciata ammaliare dalle sirene neoliberiste, che consigliavano consistenti tagli allo stato sociale e liberalizzazioni selvagge. La sanità ha retto e fornisce oggi servizi di base di ottimo livello; la rete degli asili, delle scuole e delle Università è stata rafforzata e l’efficiente sistema scolastico offre un buon servizio. Il tasso di scolarizzazione è altissimo e l’università è accessibile e gratuita. Lo Stato si è premurato di sovvenzionare abbondantemente il mondo della cultura, i teatri funzionano, si pubblicano molti libri, parecchi dei quali grazie a contributi pubblici. I politici sloveni e anche parecchi osservatori internazionali si sono premurati di dire che quella di Lubiana è stata “la storia di un successo”: il paese si è affrancato senza troppi traumi dalla Jugoslavia; le libertà democratiche non hanno fatto fatica ad affermarsi; il rispetto dei diritti umani è sembrato così buono da far sparire il paese, per un certo periodo, anche dai rapporti annuali di Amnesty International. Le cose non sembrarono andar male nemmeno a livello finanziario con i parametri macroeconomici, che sin da subito, si sono dimostrati alquanto buoni. La Slovenia per molti era un
un diletto contrario a forme di divertimento caste, approvate dai codici sociali del tempo. Le cˇ arde e la cultura delle cˇ arde sono frequentate anche dalle classi superiori, come luoghi e tempi dell’illegale. Cornice naturale della produzione di sottoculture, cˇ arda è simbolo di conflitti e accordi – o più precisamente di negoziazioni sociali su cosa sceglieranno per sé gli strati sociali più alti della società nel loro diritto esclusivo ai piaceri della carne e dello spirito. Per usare una metafora, lo stesso poliziotto che di notte paga musicisti e danzatrici rom affinché animino la sua terevenka (sbornia collettiva) con gli amici, il giorno seguente rimane impassibile vedendo i colleghi chiudere una csarda, arrestare e picchiare i musicisti, o in tempi più bui mandarli nei campi di concentramento. L’intera storia dei Balcani è caratterizzata da esplosioni di violenza contro vari tipi di sottoculture. Parallelamente però sono queste ultime ad aver sempre prodotto le forme comportamentali dominanti legate alla sfera del desiderio e del piacere. In assenza di quei codici sociali e di quelle istituzioni che nell’Occidente europeo assicurano trasferimenti più complessi tra gli strati culturali superiori
e inferiori, questa specificità dei Balcani è potuta sfumare negli stereotipi semplificatori che ricoprono la regione: “balcanofili” che credono di poter trovare nei Balcani emozioni e comportamenti autentici come pure “balcanoclasti” terrorizzati da essi, sono entrambi vittime di una percezione edulcorata delle culture sincretiche di queste terre. Esiste allora una formula per comprendere i Balcani? Si, ma non è semplice. Innanzitutto bisogna conoscere almeno una della lingue parlate in questa parte d’Europa; in secondo luogo, aggiungo, almeno due generi musicali dei Balcani. Le correlazioni tra le musiche balcaniche, in termini culturali, sono straordinarie. Quella che forse è la più famosa, il rebetiko greco, conserva tanti elementi della musica rom. Jovan Tsaus, un popolare musicista di rebetiko degli anni venti e trenta del secolo scorso, era un immigrato proveniente dai Balcani centrali. All’altro estremo di questo spazio semantico, nella musica ungherese, è difficile trovare elementi che non siano di origine rom. Tutti questi tipi di musica tradizionale, dal rebetiko a quella ungherese, includendo la tamburaska di Vojvodina e Slavonia, la musica di Costantinopoli,
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UNA POESIA
Miroslav Krleža (1893-1981) è stato una delle figure di spicco del panorama intellettuale e letterario mitteleuropeo del Novecento. Narratore, romanziere, poeta, saggista, polemista, critico letterario, è stato definito un “Voltaire tra gli Slavi meridionali”.
Neve Sul bianco cartellone della neve ora ogni maschera, vicenda o cosa sporca appare. E donne belle, saporose, hanno un grigiore di cera, e le loro labbra vermiglie sono piagate e marce e denti gialli, come vecchi zeri del domino. Le voci sono ottuse e suonano possenti e vane, e la miseria nostra è più chiara e grande quando manca la menzogna dei colori settupla, e tutto è gelido e grigio.
Nel silenzio della neve bianco assennato io cammino e provo un arido dolore. Penso che tutto ciò non durerà a lungo: più veloci della neve le mie orme, sparirà la mia traccia in tutto. E nessuno saprà che anch’io qui sono stato e passato. (Libro di poesie, 1931)
racconto
Fioriscono i tigli di Azra Nuhefendic´ %261,$ (5=(*29,1$
Ăˆ il luogo dei ritrovi, il luogo delle amicizie, il luogo degli amori. Ăˆ il viale Vilsonovo, a Sarajevo, ombreggiato da quattro ďŹ le di tigli secolari sopravvissuti anche alla guerra degli anni Novanta. Quando i tigli ďŹ oriscono, è ora di tornarci. Fioriscono i tigli, è ora di tornare a Sarajevo. In giugno il loro profumo si espande e, in due-tre giorni, avvolge tutta la cittĂ . I tigli in ďŹ ore provocano su di noi l’effetto di una droga leggera. Ci addolciscono, ci scuotono l’anima; diventiamo sentimentali, sul viso ci appare quel mezzo sorriso, un’espressione di chi contempla, di chi si ricorda un segreto, qualcosa di bello, di intimo. Ci ridĂ la voglia di goderci la vita, di darci da fare, di star bene, di trovare gli amici. I tigli, naturalmente, ďŹ oriscono ogni anno, eppure quel particolare stato d’animo che ci provocano, ci sorprende ogni volta. Per un paio di giorni ci sentiamo strani, ci esaminiamo. E poi, una mattina apri la ďŹ nestra e nella stanza irrompe quel profumo che ti fa capire all’istante che cosa sta succedendo. Tutto parte dal Vilsonovo ĹĄetaliĹĄte, è lĂ il focolaio. Ăˆ un viale nel centro della cittĂ lungo circa due chilometri sulla sponda destra del ďŹ ume Miljacka. Sono stati gli austroungarici a piantare i tigli, in quattro
Il viale che conduce a Vrelo Bosne, le sorgenti del ďŹ ume Bosna. Foto di Isotta Ricci Bitti
ďŹ le, cento anni fa. Sempre loro hanno alberato diversi parchi e altri viali, come ad esempio quello splendido che per cinque chilometri ďŹ ancheggia la strada che porta alle sorgenti del ďŹ ume Bosna. Ma nessuno di questi posti suscita lo stesso effetto del viale Vilsonovo. Gli austroungarici che cento anni fa governavano la Bosnia avevano dato a questo viale il nome di “viale Kalejevaâ€?, in onore dell’allora governatore della BiH. La denominazione Vilsonovo viene dal nome del ventottesimo Presidente degli Stati Uniti - Thomas Woodrow Wilson. Nel 1917 aveva dichiarato la guerra che segnò la ďŹ ne dell’Impero Austro-Ungarico e la ďŹ ne dell’occupazione austriaca della Bosnia. Dal 1941 ďŹ no alla ďŹ ne della Seconda guerra mondiale, gli ustascia, i nazionalisti croati, quelli che avevano annesso la BiH allo stato-fantoccio NDH (Stato Croato Indipendente), avevano cambiato il nome del viale Vilsonovo in “viale Mussoliniâ€? in onore del loro alleato. Finita la guerra fu subito recuperato il nome di Vilsonovo ĹĄetaliĹĄte. Strano, le presenti autoritĂ di Sarajevo, che hanno cambiato i nomi di quasi tutte le vie, strade, viali e piazze della cittĂ (perchĂŠ come tanti prima, credono che la storia cominci con la loro salita
MANGIARE E BERE A SARAJEVO FUORI DAI CIRCUITI TURISTICI ŠAHOVSKI KLUB In passato era un club di scacchisti (da qui il nome, club degli scacchi), consigliato a tutti coloro che vogliono provare la cucina tradizionale bosniaca lontano dai ristoranti turistici della cˇaršija. Nei mesi caldi offre inoltre uno splendito cortile coperto da un pergolato di glicini, dove si può fare amicizia con qualche riccio affamato. Tra le specialità della casa il bosanski lonac, gli uštipci con kajmak fresco e un’ampia varietà di dolme (verdure ripiene di carne, riso e spezie). Indirizzo: Prušc´ akova 21 (una traversa di Maršala Tita, il viale principale che parte dalla fiamma eterna). Telefono: 033 217 316 E-mail: info@skbosna.ba Web: www.skbosna.ba
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BISTRO SAMI Un ambiente familiare dove gustare le tradizionali klepe (ravioli ripieni di carne preparati con un impasto particolare) e un’ottima “zuppa ungherese”. Tutti i piatti sono rigorosamente “domac´ i”, fatti in casa. Indirizzo: Ulica Splitska. Quartiere di Grbavica. I DOLCI DI RAHATLOOK All’ombra della vecchia singagoga sefardita, in una piccola traversa di Ferhadia, è aperto dal 2009 Rahatlook – il nome deriva da rahatluk, termine di origine turca difficilmente traducibile ma che rimanda a un’estemporanea sensazione di felicità, come un lieto ricordo o l’inaspettato sorriso di un passante: un delizioso bar curato nei minimi dettagli dove è possibile sorseggiare un caffè bosniaco o un thè alla rosa canina, accompagnati dai dolci preparati dalle sapienti mani di Snježana, la proprietaria. Snježana proviene da una famiglia di fede cattolica, mentre suo marito è di origini musulmane. Da quando si è sposata, la suocera le ha trasmesso ricette e saperi della cucina turca, che si sono aggiunti alle proprie conoscenze riguardanti la tradizio-
ne Austro-Ungarica. Risultato: oggi a Rahatlook è possibile assaporare un’ampia varietà di torte e dolci di entrambe le tradizioni, dalle palacˇinke, la kaiserschmarrn o la torta sacher a hurmasice, orasnica e baklava. Indirizzo: Ferhadia 41 Tel: +387 33 921 461 Web: www.rahatlook.ba UNA GRAPPA DA RUSMIR Per tutti gli amanti della rakija (grappa), vi consigliamo invece di fare un salto a casa di Rusmir a Vratnik, una delle più antiche mahale di Sarajevo, sulle colline dietro a Sebilj. Rusmir produce da anni più di venti tipi differenti di grappa, distillando ogni tipo di frutta, dall’immancabile šljiva (prugna) ai mirtilli, mele, pere sino al melograno e il sambuco. I temerari possono assaggiare il temuto “cocktail” composto da un mix di quattordici tipi di grappe differenti. Accanto alla possibilità di provare (e in caso acquistare) una delle migliori grappe in circolazione (Rusmir rifornisce locali e ristoranti del centro cittadino) conoscerete una persona di grande umanità e simpatia, che difficilmente dimenticherete al vostro ritorno. Rusmir Nalicˇ Indirizzo: Ispod Grada 40 Telefono: + 387 62 531817
Un negozio in Bašc aršija. Foto di Isotta Ricci Bitti
I Presìdi e le comunità del cibo di Terra Madre
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IL PRESIDIO SLOW FOOD DELLO SLATKO DI PRUGNE POZEGACA Nella lingua bosniaca VODWNR vuol dire dolce, ma la parola si riferisce anche a una conserva sciroppata a base di prugne. Oggi si fa in diverse zone di Bosnia, Serbia, e Croazia ma non è più diffuso come un tempo. Nell’alta valle del fiume Drina, vicino alla città di Goražde, in Bosnia-Erzegovina, la sua preparazione è particolarmente laboriosa. L’intero processo di lavorazione è eseguito a mano. Dopo avere lavato le prugne, si procede alla pelatura partendo dal picciolo in modo da asportare la buccia con maggiore facilità. Le prugne sbucciate sono immerse in una soluzione di acqua fredda e calce viva per circa 45 minuti, così da evitare la rottura della polpa al momento della denocciolatura e al fine di mantenere limpido lo sciroppo e soda la polpa durante la cottura. Si procede quindi all’estrazione dei noccioli con l’ausilio di uno spiedino o un ferro da maglia. Infine le prugne sono cotte in acqua e zucchero con l’aggiunta di fette di limone nell’ultima fase di cottura. Altre varianti prevedono l’aggiunta di chiodi di garofano di noci o mandorle all’interno della polpa delle prugne. La città di Goražde si affaccia sul fiume Drina, a 120 chilometri a sud est di Sarajevo, ed è circondata da una bassa catena montuosa che confina con la Serbia e il Montenegro. L’isolamento fisico e culturale, dopo la seconda guerra mondiale, ha reso questa zona la sede ideale per l’industria bellica e chimica ma, prima del comunismo, l’Alta Valle Drina era celebre per la frutta e, prima ancora, per le vigne: oggi i Goraždeni stanno tentando di recuperare i frutteti abbandonati cinquant’anni fa. Storicamente lo VODWNR era fatto in casa per le occasioni speciali. Ora le donne di Goražde stanno cercando di proporlo sul mercato, trasformandolo in una fonte di reddito. Le prugne, ingrediente principale dello VODWNR, appartengono a un ecotipo locale particolarmente robusto di Prunus insistitia conosciuto con il nome di SR]HJDFD. Nell’Alta Valle Drina, le prugne hanno tre utilizzi: da tavola (la prima raccolta), per lo VODWNR (la seconda raccolta, verso metà settembre) e per distillare la VOLYRYLFD. I frutti destinati alla produzione di VODWNR devono
essere a uno stato di maturazione in cui la polpa è soda e la buccia intorno al picciolo presenta una leggera rugosità che ne consenta una facile asportazione. Lo slatko ha un colore che va dal giallo miele al rosa scuro, gusto leggero e consistenza cremosa. Si abbina bene con i formaggi freschi e a Goražde si mangia con il kajmak (una crema a base di panna cruda simile al mascarpone) o con la feta locale a base di latte di pecora. Area di produzione Alta Valle Drina, Ustikolina - Goražde Referente del Presidio Jasmina Sahovic´ Tel. +387 61206467 uz.emina@yahoo.com IL PRESIDIO SLOW FOOD DEL FORMAGGIO NEL SACCO Un grande sacco di pelle di pecora rivoltata di color marroncino chiaro: ecco come si presenta il sir
Foto di Alberto Peroli
itinerario/fotoreportage
Danubio, una grande suggestione europea La diga di Djerdap. Foto di Camilla de Maffei
«ll Danubio scorre grande, e il vento della sera passa sui caffè all'aperto come il respiro di una vecchia Europa...» (Claudio Magris, Danubio, Garzanti, nona edizione 1999) Lungo i suoi 2.888 chilometri che dalla foresta nera tedesca giungono in Romania e Ucraina nel Mar Nero, il Danubio attraversa gran parte dell'Europa centrale, orientale e sud-orientale. Nel suo scorrere da ovest verso est, accoglie importanti affluenti come l'Inn, la Morava, la Drava, la Tisza, la Sava, la Grande Morava, il Prut. La Sava, sorella minore della Donau (i fiumi dell’ecosistema danubiano sono tutti declinati al femminile, Danubio compreso), accoglie altri grandi fiumi come la Una, la Drina, la Bosna… Il medio e basso corso danubiano co-
prono una vasta area che dalla porta di Devin situata non lontano da Bratislava - arriva sino alla foce del fiume sul Mar Nero, nel bacino del delta del Danubio. L'intero bacino del Danubio è primo al mondo per numero di Stati - ben 18 - coinvolti, per una dimensione complessiva di 807,827 km2. Oltre a Germania, Austria, Italia, Svizzera, Polonia e Repubblica Ceca, appartenenti all'alto corso, troviamo Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Croazia, Serbia, Bosnia-Erzegovina, Albania, Macedonia, Bulgaria, Romania, Moldavia e Ucraina. Il bacino del medio corso è racchiuso tra la Porta di Devin e l'impressionante gola del Danubio alle Porte di Ferro, sul confine tra Serbia e Romania. Confina a nord con la catena dei Carpazi, a Est con le alpi Julie mentre a ovest e a sud con le alpi Dinariche.
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"A Lepenski Vir, dove già a Belgrado Vania ci raccontava dell’importante scoperta di una civiltà preistorica fatta durante gli anni della costruzione della diga di Djerdap, un cartello indica l’ingresso al museo. La cittadella è stata spostata 40m più in alto per non essere sommersa dal “nuovo” Danubio ma ora sono in corso i lavori per costruire una copertura. A rimanere aperto è un piccolo bar ospitato da una baracca in legno popolata da operai dell’Anas locale. Qualche chilometro dopo è Donji Milanovac, uno dei maggiori centri turistici della zona ma in inverno paese di alberghi vuoti, bambini appena usciti da scuola, parco lungofiume con sculture, centro commerciale cinese dove comprare un passamontagna e mutande bianche..."
BED AND BREAKFAST “ZVONO” Se siete di passaggio a Plužine, potete fermarvi a dormire presso il B&B “Zvono”, situato nel centro del paese. Vlatko e suo fratello vi accoglieranno in un ambiente caloroso e rilassante, dove potrete mangiare buon cibo, ascoltare un concerto jazz sulla terrazza (durante l’estate vengono organizzate rassegne di musica jazz e folk) e farvi raccontare qualche racconto partigiano dagli osti, grandi appassionati ed esperti della storia recente legata alla resistenza titina in Montenegro. Durante il giorno inoltre “Zvono” organizza gite in barca sul lavo Piva, per immergersi in paesaggi incantevoli fatti di alte rocce e acqua cristallina.
Indirizzo: ul. Baja Pivljanina Montenegro. Sito Web: www.zvono.me Mail: zvono@t-com.me
bb, Plužine,
Info: Tel: +382 69 471 893
approfondimento
di Anna Brusarosco ll Montenegro è sempre più conosciuto per il suo turismo balneare. Ma anche all’interno del Paese si possono trovare mete interessanti, come la località montana di Kolašin, in cui si è puntato ad uno sviluppo ecologico dell’attività turistica, anche grazie al sostegno italiano. Il 20 settembre 1991 il Montenegro si è autodichiarato primo “Stato ecologico” del mondo, valorizzando così anche nella Costituzione il proprio importante patrimonio di biodiversità. Nel contempo, il Paese negli ultimi anni ha puntato molto sullo sviluppo del turismo, soprattutto balneare. Un turismo, tuttavia, sempre più di massa, che sta comportando pressioni antropiche poco o nulla compatibili con una reale tutela delle bellezze naturali delle coste montenegrine. Spostandosi sulle montagne all’interno del Paese, però, è possibile trovare località in cui si è saputo coniugare un’offerta turistica organizzata ed effi-
ciente con la valorizzazione dell’ambiente e delle tradizioni locali. È il caso di Kolašin, una cittadina situata a 954 m, in prossimità del corso superiore dei fiumi Tara e Moracˇa, circondata dalle cime dei monti Sinjavina, Kapa Moracˇka, Maganik, Bjelasica, Vucˇja e Kljucˇ. A pochi chilometri si trova il Parco Nazionale della Biogradska Gora, una delle più antiche aree protette al mondo, situato nella parte centrale del massiccio della Bjelasica. Nel parco si trovano cinque laghi glaciali, il più importante dei quali è il Biogradsko Jezero, circondato dalla foresta vergine della Biogradska Gora, una delle tre ancora sopravvissute in Europa. Kolašin è facilmente raggiungibile dalla capitale Podgorica, da cui dista circa 70 Km. La strada statale, che si inoltra verso nord nella gola formata dalla Moracˇa, è considerata una delle più belle del Montenegro per i suoi panorami mozzafiato. A 30 Km da Kolašin si incontra il Monastero di Moracˇa, costruito nel 1252, che per le sue caratteristiche architettoniche e per i suoi affreschi è uno dei più importanti esempi di arte religiosa montenegrina. Kolašin è stata fondata nel 17° secolo come fortezza ottomana, per proteggere la strada tra Podgorica e Bijelo Polje. Per secoli, l’economia della regione è stata basata principalmente sulla disponibilità di risorse naturali, concentrandosi su agricoltura, 0217(1(*52
Kolašin, turismo “eco”
Associazione Trentino con i Balcani - Viaggiare i Balcani - CAI-SAT Società degli alpinisti tridentini
proposte di viaggio
Trekking nelle Alpi albanesi Kossovo – Montenegro – Albania Avvicinamento Volo diretto Verona- Pristina. Trasferimento in bus a Peja(70 km da Pristina), Val Rugova, Drelaj (Squiponja), Reka e Allages, Hokaj (Ariu) Guest-house consigliata a Drelaj/Squiponja. spartano al Dom Karanfili.
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prima tappa Reka e Allages (Ariu), Bregu i Nike, Quafa e Gjonit – pr. Pepaj, ristorante Muliri, Guri i Kuq km: 18,5 h: 6/7 Dislivello: +980 -850 Si parte dal Kossovo, dalla cittadina di Peja. Alla periferia della città, in corrispondenza di un mo nastero ortodosso, ancora oggi difeso dalle forze internazionali di pace(compreso un contingente italiano), inizia la val Rugova. Subito l’ambiente si fa spettacolare e sempre più aspro. Mano a mano che ci si addentra sono sempre più evidenti le pareti di calcare sono l’ambiente ideale per arrampicare in palestre di roccia. seconda tappa Guri i Kuq, Liqeni Kuqishtes, Jelenk, Babino Polje e transfer auto per Plav fino a Dom Karanfili km: 15,5 h: 6/7 Dislivello: +1020; -870 Percorso molto bello che può diventare impegnativo con condizioni di visibilità non favorevoli se non viene migliorata la qualità della segnaletica sia nell’alta valle sopra i laghi, sia nel lungo traverso di Jelenk. Non facile da rintracciare la traccia di sentiero verso Babino Polje. La valle di Bivoliak che scende a Plav, dove i minareti si mescolano ai campanili cristiani, merita una sosta di conoscenza e approfondimento. Si può pernottare a Plav in albergo o guest-house oppure in un accogliente rifugio della Federazione Montenegrina alquanto
terza tappa Ropojana, Runica, Q.Pejes, Theth km: 19 h:7/8 Dislivello: +720; -1050 Splendida tappa per ambiente e tipo di itinerario. Si percorrono i vari gradi altimetrici e vegetazionali di una valle di antica comunicazione e un passo che congiunge il Montenegro con l’Albania. L’arrivo nella località di Theth è di per sé un’esperienza nel tempo e nello spazio che merita il viaggio. Numerose le guesthouse utili per la sosta(tra cui GH Guesthouse di Pavlin Polia, guida escursionistica, +335(0) 693016781), fino alla chiesa su un poggio, con la vicina Torre del Kanun. quarta tappa Theth; passeggiate nei dintorni km: 5 h:2 Dislivello: +200; -200 Giornata di alleggerimento facoltativa. Nei dintorni di Theth da vedere la cascata presso Vusanje, l’orrido e le sorgenti Oko del Skavkac. D’obbligo la visita guidata alla Torre Canon o del Kanun, al molino, alla chiesa. Difficile il reperimento di informazioni sul Parco nazionale Theth. quinta tappa Theth, Quafa Valbones, Valbone km: 19 h:7/8 Dislivello: +980; - 1000
altre donne del paese e mettere in piedi una vera e propria impresa. Oggi riceviamo ordinazioni non solo dall’Albania ma anche dall’estero, facendomi ben sperare sul futuro della nostra attività”. Quando le chiedo se anche le giovani generazioni hanno appreso questo antico mestiere, allarga le braccia sconsolata: “le ragazze del villaggio vengono a lavorare da me, il problema è che le perdo dopo pochi anni, si sposano a Scutari e nessuno le vede più!”. Torniamo alla macchina parcheggiata di fronte al porticciolo. Sull’imbarcadero riposano piccole
RICETTE
ÇOMLEK, LEPRE SELVATICA AL FORNO (4 – 5 PERSONE)
QUMËSHTOR
Ingredienti
Ingredienti
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barche da pesca, mezzo principale di sostentamento per la comunità locale. Davanti agli occhi si stagliano maestose le Alpi Albanesi, aspre e scoscese, belle di una bellezza violenta. Scriveva Edith Durham durante il suo viaggio su queste montagne: “penso che nessun luogo abitato da esseri umani mi abbia dato una tale impressione di isolamento dal mondo. È un posto dove i secoli rinsecchiscono, il fiume forse è la sorgente del mondo, le sue rive la patria di passioni elementari, rapide ed incandescenti”.
3 litri di latte 250 gr. farina di mais oppure farina di riso 4 uova 200 gr. burro 250 gr. zucchero 50 gr. di farina
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Fare un foglio di farina e metterlo su una teglia di 40 cm bagnata con del burro. Mettere in una seconda teglia farina di mais, zucchero e un pò di latte, mescolare bene finchè si scioglie lo zucchero. Mettere una padella con latte a fuoco fino a bollire ed aggiungere la massa preparata prima e mescolare, aggiungere poi il burro. Mescolare la massa sul fuoco lento finchè non bolle. Togliere dal fuoco e aggiungere 3 uova strapazzate e mescolare di continuo. Mettere la massa sopra il foglio di farina sulla teglia e avvolgere i lati. Aggiungere alla parte rimasta scoperta del foglio un uovo strapazzato coprendo tutta la crema. Mettere al forno ad una temperatura di 220°C finchè non prende un colore rosso leggero, togliere dal forno e lasciare raffredare. Il piatto si mangia freddo.
1 lepre 2 kg cipolla 200 ml vino rosso 1 spicchio d’aglio, pepe nero non macinato, pepe rosso, pepe nero macinato, origano ed alloro.
Mettere a bollire la lepre, friggere le cipolle con aglio, origano, pepe fino a prendere un colore leggermente rosso e spegnere con vino rosso. Aggiungere la lepre ed il brodo a fuoco lento finché la carne non diventa morbida. Mettere poi al forno finché non evapora l’acqua. GLIKO DI CILIEGIA Ingredienti • • • • • • •
1/2 bicchiere di vino rosso 1/4 bicchiere di zucchero di canna 1/4 bicchiere di zucchero bianco 1 cucchiaio di miele 1 fetta di buccia di arancia 1/4 cuucchiaio di esenza di mandorle 650 gr. di ciliege dolci senza semi
Mescolare tutti gli ingredienti, tranne la ciliegia, in una teglia con 1/2 bichiere di acqua a fuoco lento per sciogliere lo zucchero. Aumentare il calore e lasciare bollire la massa finchè si addensa. Aggiungere le ciliege e mettere a bollire, lasciare poi cuocere a fuoco lento per 8-10 minuti. Se necessario togliere la schiuma che generano le ciliege.
Alla scoperta del Kelmend
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Nei primi anni del Novecento Edith Duram, una giovane esploratrice inglese, si avventura nel Malesia e Madhe, la terra della Grande Montagna. Tra mille difficoltà si lascia travolgere dal fascino di una cultura antica ma sempre viva: The land of the living past. Per rivivere le stesse emozioni della Duram proponiamo al viaggiatore di oggi la scoperta del Kelmend, una delle aree più remote e isolate del Nord Albania. L'avventura vi farà godere di paesaggi indimenticabili, natura incontaminata e la scoperta di tradizioni e usanze non ancora dimenticate. I soggiorni si adattano ad ogni tipo di esigenza e sono ricchi di scoperte: calma e tranquillità per le famiglie, accoglienza nelle case tradizionali opportunamente adattate; cucina genuina per i buon gustai; ricca biodiversità per i naturalisti, montagne ardue per gli avventurieri. Guide attente e preparate vi potranno accompagnare alla scoperta di questi favolosi luoghi. Il tutto condito dalla giovialità dei Kelmendas che fanno dell'ospitalità una legge sacra immutata negli anni, la stessa che agli inizi dello scorso secolo fece innamorare la giovane Duram del Nord Albania.
Un progetto dell'ong VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) finanziato dalla Cooperazione Italiana e dalla Conferenza Episcopale Italiana ha aiutato le comunità a valorizzare quello che avevano di più prezioso, il territorio: una natura incantevole che vive in armonia con una cultura secolare. Il Kelmend è un Comune che raggruppa 8 villaggi montani incastonati tra le Alpi Dinariche. La distanza da Scutari (più vicino centro urbano) ha influito negativamente sullo sviluppo economico dell’area ma ha permesso il mantenimento di un equilibrio tra uomo e natura unico e raro nelle terre dell’Europa contemporanea. Il VIS tenendo presente i desideri delle famiglie, ha aiutato ad organizzare una migliore offerta turistica che ha compreso tutti i vari servizi che fanno del soggiorno nel Kelmend una vacanza indimen- ticabile. Le case tradizionali sono state ristrutturate mantenendo lo stile tipico della zona alpina ma garantendo uno standard di accoglienza internazionale. L’organizzazione dell’accoglienza è quella dell’albergo diffuso: per garantire numeri di posti letto e i servizi necessari non si è costruito nulla ma si è messo in rete ciò che già esisteva e l’accoglienza viene garantita dalle famiglie e gestita secondo il calore tipico degli abitanti del luogo. Il servizio di ristorazione e la gastronomia sono un valore aggiunto al vostro soggiorno. Essendo un area prevelentemente ad economia di sussistenza, che solo negli ultimi anni si sta aprendo all’economia di mercato, i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento sono veramente a KM 0 e anche se non certificati rispettano da anni le regole della produzione biologica. Le bevende e i piatti tipici locali acquistano così sapori indimenticabili e ormai sconosciuti ai palati dei viaggiatori europei. Nel villaggio di Lepush potete incontrare Gjystina Grishaj, la rappresentante della comunità del cibo di Slow Food del Kelmend, con cui potrete
itinerario
Skopje, la CˇarĹĄija degli albanesi Ăˆ un vero e proprio barometro socio-culturale nel cuore di Skopje, capitale della Macedonia. Ăˆ il suo antico mercato ottomano, che negli ultimi 20 anni da luogo malfamato sta diventando piĂš trendy che mai. Skopje era il capoluogo di uno dei pasaluk(unitĂ amministrativa ottomana) dei Balcani. Questo suo passato è ancora evidente nella sua “Stara CˇarĹĄijaâ€?, una delle meglio conservate dei Balcani. Strade ampie e facciate neoclassiche mescolate all'architettura ottomana è quel che rimane dell'antico capoluogo ottomano, punto di contatto tra il mondo d'oriente e quello d'occidente. La “Stara CˇarĹĄijaâ€? è ancora al centro della cittĂ , separata dalla parte moderna dal ďŹ ume Vardar e da un ponte storico detto il “Ponte di pietraâ€?. In passato il ponte univa e separava la parte a maggioranza musulmana della cittĂ , dove ora si trova la CˇarĹĄija, e quella ortodossa dove oggi domina la modernitĂ dei boulevard mitteleuropei rivisitati in chiave balcanica. Quella di Skopje non è una çarshija come tutte le altre. Per capire gli stati d'animo di macedoni,
Foto di Camilla de Maffei
albanesi, turchi e tutti gli altri che compongono il ricco ventaglio etnico della Macedonia, occorre tuffarsi tra i suoi vicoli. Quest'ultima è infatti un vero e proprio barometro socio-politico, le sue trasformazioni seguono pari passo i cambiamenti di un Paese: la Macedonia. La çarshija degli albanesi Oggi gli abitanti la chiamano “Stara CˇarĹĄijaâ€?, la vecchia CˇarĹĄija, ma in passato veniva anche chiamata la çarshija turca, poichĂŠ la maggior parte della gente che vi lavorava era di religione musulmana. Ora gli studiosi in gergo la chiamano “la çarshija degli albanesiâ€?. Difatti sono numerosi gli appartenenti a questa comunitĂ che vi abitano e lavorano. Le bandiere rosse e nere e i simboli albanesi si vedono ovunque, non mancano neppure i grafďŹ ti fatti da qualche simpatizzante dell'UCK e i manifesti che invitano gli albanesi a lottare per la formazione dell'Albania etnica, che secondo le ambizioni dei nazionalisti albanesi includerebbe anche Skopje. Nel bazar vive una delle comunitĂ albanesi piĂš povere e piĂš tradizionaliste di tutti i Balcani. Qui l'Islam è visto come baluardo della propria identitĂ ,
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di Mariola Rukaj
itinerario
Tra i misteri dei Rodopi
di Tanya Mangalakova
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Tra sorgenti curative, leggendari misteri e antiche credenze della tradizione si sviluppa il turismo sui monti Rodopi. Negli ultimi anni la località di Ognyanovo è diventata una delle mete più ambite della Bulgaria. Con le sue sorgenti curative, e i suoi misteri legati al mondo delle leggende e della magia Ognyanovo è una delle località termali più attive negli ultimi anni in Bulgaria. Gli hotel a conduzione familiare, qui costruiti negli ultimi 7-8 anni, così come le stanze in affitto nelle antiche case del paese, sono piene di turisti. Lungo il fiume Kanina sono sorti molti alberghi dotati di piscina con acqua curativa, gestiti soprattutto da persone del luogo. Ad attirare i turisti è anche l'atmosfera intrisa di leggende. Gli abitanti di Ognyanovo credono che proprio di qui sia passato san Paolo. E se trovano una biscia in giardino, in casa o nei campi, dicono che si tratti di un "saybiya", vero padrone della casa. In questa regione, le antiche tradizioni e credenze
I monti Rodopi. Foto di Kalina Yordanova
diventano parte integrante dell'offerta turistica, e contribuiscono alla ricetta che sta portando ad uno sviluppo di successo del turismo culturale e alternativo a Ognyanovo. Il "miro", tra leggende e benessere I nuovi hotel sono costruiti in armonia con le tradizioni ancora vive ad Ognyanovo, paese adagiato tra le montagne del Pirin, dei Rodopi, della Slavyanka e dello Stargach, lungo la valle del Mesta. Negli ultimi anni, qui si è assistito al boom del turismo termale. L'hotel "Bohema", lungo il fiume Kanina e un tipico esempio della formula di successo con cui si sta sviluppando Ognyanovo. La sua proprietaria, Violeta Pancheva, è vissuta da piccola nella vicina città di Gotze Delchev, per poi tornare al paese d'origine. Suo padre, come tutti i locali, ama immergersi nel "miro", una piccola piscina creata intorno ad una sorgente di acqua termale. Ad Ognyanovo i "miro" sono cinque, utilizzati da secoli, e soprattutto d'inverno rappresentano la vera attrazione del paese. Il marito di Violeta ricorda il suo stupore quando, in
approfondimento
Slow Food Bulgaria. Per un magico errore Nasce per un magico errore il "sinjo sirene" (formaggio erborinato) di Cherni Vit, villaggio montano della Bulgaria centrale. Un simbolo di riscoperta di antiche tradizioni "Slow Food", che grazie a iniziative come "Terra Madre Balcani" aumentano consapevolezza e voglia di un approccio diverso al cibo “È un paradosso, lo so. Ma il problema è tutto qui. Abbiamo prodotti tradizionali da salvaguardare, di grande qualità, ma le comunità che li producono sono disorientate, disgregate. Per questo la riscoperta del 'sinjo sirene' è importante, anche simbolicamente: non ci sono radici più forti di quelle che passano per la cucina”. Villaggio di Cherni Vit, Bulgaria centrale. Tzvetan Dimitrov mi accoglie in un patio nel cortile erboso del municipio. All'orizzonte fanno capolino le cime scure dei Balcani, catena montuosa che attraversa l'intero paese da ovest ad est, per poi digradare lentamente nelle acque del Mar Nero. Dimitrov è una vera autorità nel piccolo villaggio, che si snoda lungo le acque cristalline del fiume Cherni Vit, da cui ha preso il nome. Sindaco, biologo, punto di riferimento per tutta la comunità. E da alcuni anni “riscopritore” di un'antica tradizione
Il formaggio verde di Cherni Vit. Foto di Camilla de Maffei
culinaria creduta estinta: quella, appunto, del “sinjo sirene”(letteralmente “formaggio blu”) dei Balcani centrali. Questo formaggio (probabilmente l'unico erborinato di tutta la penisola balcanica, di consistenza simile a quella della feta greca) è nato nei secoli da un “errore” nel processo di conservazione. Il formaggio, cagliato in piccole forme tondeggianti da latte ovino e caprino, veniva risposto in salamoia dai pastori della zona in piccoli contenitori di legno cilindrici. Talvolta, però, il legno assorbe la salamoia, o la lascia filtrare tra le assi. Il formaggio, esposto così direttamente all'aria, viene attaccato da funghi del ceppo Rocheford, che provocano un naturale e non controllato processo di erborinizzazione. Per questo ogni forma può presentare diverse combinazioni di funghi, ed essere di colore diverso (verde, bianco, nero) e gusto differente. “Tutti quelli che hanno più di 40-50 anni ricordano bene il gusto inconfondibile e la tradizione del 'sinjo sirene', portata avanti dai nostri padri e nonni”, racconta Dimitrov. “Eppure qualche anno fa il 'sinjo sirene' sembrava un prodotto definitivamente scomparso, sparito nei meandri del tempo”. %8/*$5,$
di Francesco Martino
approfondimento
Le icone su vetro di Sibiel di Giovanni Ruggeri
La pittura su vetro è una tecnica millenaria, diffusa in Transilvania dai primi del ‘700, quando prese il via una grande produzione di icone su vetro. Oggi, il museo di Sibiel raccoglie circa 600 di questi capolavori. 520$1,$
Una storia nella storia, dove cielo e terra, luce e tenebre, gioia e dolore si incrociano costantemente. Proprio come la vita e i suoi colori. A raccontarcela è un singolare, straordinario museo di icone su vetro nel cuore della Transilvania, in Romania, a due passi della città di Sibiu. Un museo di icone su vetro – proprio così – anzi il più grande museo di icone su vetro del mondo (quanto a esposizione), dove sono raccolti circa 600 capolavori dell’arte popolare contadina prodotti in Transilvania tra il ‘700 e il ‘900. Il villaggio in cui questo museo sorge si chiama – quasi volesse echeggiare già nel nome il fascino della bella capitale europea della cultura 2007 – Sibiel, ma la luce di cui brilla è tutta sua e delle icone su vetro che custodisce. Per non dire della straordinaria storia da cui il museo ha preso vita, negli anni bui del comunismo di Ceaucescu, ad opera di un santo prete ortodosso, Padre Zosim Oancea, e della sua comunità di contadini. Micro-epopea di un villaggio romeno in pieno comunismo.
Particolare di una icona su vetro del museo di Sibiel
Contadini che dipingono per contadini. La pittura su vetro è una tecnica millenaria, diffusa in Transilvania dai primi del ‘700, quando – a seguito di un fatto miracoloso in un villaggio del Nord – prese qui il via una grande produzione di icone su vetro. Ad opera prima di artigiani venuti da fuori poi di pittori locali, si avviò un grande fenomeno di arte religiosa, praticata da pittori contadini che vi si dedicavano dopo il lavoro nei campi o quando la stagione non permetteva attività all’aperto. Quello delle icone su vetro in Romania è infatti un fenomeno di popolo, che presuppone la tradizione ortodossa classica, ma ne rielabora temi e stili con originale ispirazione. I soggetti più rappresentati sono la Madonna con il Bambino e la Madonna Addolorata, mentre le numerose icone dedicate a Cristo rappresentano soprattutto la Natività, il Battesimo, l’Ultima Cena, la Crocifissione, la Risurrezione; caratteristica l’icona del cosiddetto Torchio mistico, raffigurante Gesù come radice della vite da cui proviene il vino-sangue eucaristico. Pregando davanti all’icona, il contadino romeno sa di poter contare anche sull’intercessione dei Santi, per questo numerosi
Il Delta del Danubio Sulina. Foto di Camilla de Maffei
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“… Una gigantesca botte di ferro ancorata si dibatteva muggendo spaventosamente fra le onde. È la boa con la sirena, che indica la barra, al limite del banco di melma trasportata dalle acque del fiume - disse il secondo indicando una macchia color caffè che si estendeva sulla superficie del mare. Il Danubio rode, mangia le rive del suo letto, plasma, modifica la forma della crosta terrestre là dove passa, e trasporta col suo cammino una enorme massa di fango, che depone qui sul fondo del mare”. “… Quanti cambiamenti in pochi anni! Sulina agonizzava... la foce del Danubio si impantanava: dove una volta era stata l’acqua, ora era terra. Banchi giganteschi di sabbia, trasportata dal fiume, crescevano come isole affiorando alla superficie, ostruendo il canale. Giorno e notte si lavorava a scavare invano il fondo del mare. La natura non si può vincere. I vapori carichi non pescavano piu sufficientemente; alcuni aspettavano nella rada senza poter entrare; altri, fermi nel porto, non potevano piu uscire. Era un inferno! la navigazione bloccata, il commercio rovinato. La gente preoccupata. Si cominciava ad aprire un’altra bocca del Danubio. Sulina doveva essere abbandonata. La popolazione diminuiva di anno in anno, la citta si vuotava; moriva il porto. ” Jean Bart, Europolis, Milano, Baldini e Castoldi, 1942
La parte romena del Delta del Danubio – un braccio della foce entra nel Mar Nero anche in territorio ucraino – si trova nella Dobrugia, splendida regione situata nel sud-est della Romania confinante a sud con la Bulgaria, a nord con l'Ucraina e ad est col Mar Nero. Ultima regione romena ad esser stata liberata dalla dominazione ottomana alla fine dell'ottocento (a seguito del congresso di Berlino del 1878), la Dobrugia conserva l'infinito passaggio di genti e culture che ne ha contraddistinto la storia: sparse per la regione convivono ancora quindici diverse etnie, russi, ucraini, turchi, greci ed italiani, oltre a una miriade di piccole comunità sparse nei villaggi a ridosso dei canali, discendenti di antichi popoli come i Lipoveni russi o i Greci del Ponto. Interessante notare come sia l'unica regione della Romania a non possedere un costume tradizionale proprio, simbolo quindi di un melting pot di tradizioni e stili di vita diversi che in un qualche modo hanno sempre convissuto senza prevaricare l'uno sull'altro. La presenza di ben tre siti archeologici romani – Hamaris, Capidava ed Histria – costituisce un ulteriore motivo di interesse storico della regione. Ciò che rende la Dobrugia unica è però il Delta del Danubio –