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Società e politica di quei tempi

Se dovessimo prevedere oggi una sagra con la corsa degli asini sarebbe necessaria un’organizzazione non indifferente per reperire i ciuchi e per portarli sul luogo della competizione.

A quei tempi a Novate, poiché le famiglie erano in maggioranza contadine, gli asini erano numerosissimi. L’asino domestico aveva le stesse funzioni del cavallo, ma era meno costoso poiché si accontentava di poco dal punto di vista alimentare. I contadini più poveri lo preferivano al cavallo, da cui la nomea di “cavallo del povero”.

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La magnifica resistenza al lavoro ed alle malattie, la robustezza, la sobrietà e la rusticità rendevano l’asino utilissimo per le nostre zone tanto da renderlo preferibile sia al mulo che al cavallo. Preminente è stato l’utilizzo per soma e cavalcatura nei nostri territori che, a quei tempi, non disponevano di idonee strade carrabili. L’asino può infatti trasportare per lunghi percorsi accidentati carichi ben superiori ai 100 kg. Detto questo, si capisce dunque come la corsa degli asini non fosse una questione di folclore, ma una scelta obbligata dalla povertà di quei tempi.

Una povertà che per noi oggi è inimmaginabile. Vediamo però un po’ di storia, iniziando da lontano.

Novate nel 1861 conta 2.338 abitanti e nella lista elettorale politica sono iscritte 12 persone. Non sono certo contadini, ma sono i benestanti, come prescrive la legge censuaria del 17 dicembre 1860. La lista elettorale amministrativa annovera 196 cittadini. Sarà necessario attendere la riforma elettorale del settembre del 1882 per allargare la base democratica del voto. Solo, però, a coloro che sapevano leggere e scrivere.

Fino a quel momento, la preclusione al voto, impedì di fatto alle classi popolari di incidere sulla politica nazionale. Da qui il grande lavoro svolto da leghe e cooperative nell’organizzare corsi d’alfabetizzazione per dare ad un sempre maggior numero di persone la possibilità di esercitare il diritto democratico del voto.

Sempre nel 1861, i consiglieri comunali a Novate sono 15. Il Comune ha 10 dipendenti, compresi il sagrestano, Giovanni Schieppati, e il tamburino della Guardia Nazionale, Giuseppe Oggioni. Il sacrestano chiede, l’anno seguente, l’aumento del suo compenso poiché, per due volte al giorno, suona anche la campanella della scuola. E’ accontentato: da 100 Lire annue passa a 120 Lire.

Questi sono i consiglieri comunali e la loro professione nel 1861:

Consiglieri AnniProfessio. Domicilio Voti

Mazzoni Carlo, sindaco 54 possidente Milano 89

Cajo Vincenzo, assessore 40 agente Novate 89

Ronchi Angelo, assessore 45 pizzicagnoloNovate 89

Morandi Abbondio 31 fattore Novate 89

Cattorini Carlo, ass. suppl. 51 fattore Novate 87

Bollini Carlo 67 possidente Milano 88

Caimi Giuseppe 75 possidente Milano 85

Colombo Gaetano 35 pizzicagnolo Novate 87

De Cristofaris Malachia 56 possidente Milano 87

Fassi Gaetano 31 possidente Milano 87

Gajoni Luigi 53 mugnaio Novate 87

Mazzola Carlo 44 affittuario Novate 86

Panceri dott. Emanuele 58 medico Milano 22

Pozzoli Pietro 31 fattore Novate 31

Schieppati Luigi 36 falegname Novate 83

contesto socio politico di Novate Milanese

Come si può notare, fra i consiglieri comunali vi sono diversi possidenti - tutti domiciliati a Milano - tre fattori e un medico. Molti tra loro sono parenti: Gaetano Colombo è cognato di Abbondio Morandi che a sua volta è cugino di Cajo e Ronchi; Luigi Gajoni è zio materno di Angelo Ronchi. I consiglieri restano in carica 5 anni e un quinto di loro ogni anno è rinnovato attraverso il sorteggio fra gli iscritti della lista elettorale amministrativa.

Il Consiglio comunale il 4 novembre 1861 istituisce a Novate la scuola serale e quella domenicale alle quali la Prefettura dà il proprio consenso il 14 maggio 1862.

A Novate Milanese nel 1862 i parroci, Gaetano Pirogalli e Giuseppe Annoni, scrivono diverse lettere alla Giunta per aiutare coloro che si trovano in difficoltà. Le lettere, spesso, sono accompagnate dal giudizio del medico. I poveri sono definiti “miserabili”. Ci sono casi strazianti come quello di una vedova con tre figli senza sostentamento che si firma con la croce, ma chi ha scritto la lettera aggiunge “devotissima serva”, e c’è chi è “incapace di guadagnarsi il fitto per viziata costituzione fisica”. La vicenda di una contadina giornaliera, poi, dimostra come molte volte le avversità si accumulino in continuazione. La persona in questione ha tre figli, Giuseppe di 15 anni, Maria di 13, Angelo di 8. In più, Giuseppe Caimi, consigliere comunale e padrone di casa, pretende l’affitto. Il tutore dei figli, don Pirogalli, scrive al sindaco e fa presente che ha mandato Giuseppe come garzone da alcuni contadini, ma “per il suo poco sviluppo” prende 12 franchi l’anno; Maria, in una portineria di Milano e guadagna solo il vitto; Angelo, il bimbo di 8 anni, mandato come dozzinale da una famiglia di contadini, ma “per essere finora del tutto inabile al servizio o al lavoro... necessitano pel mantenimento giornaliero cent. 22 di pane, 10 di minestra o zuppa, 6 in vistito, totale al giorno, 38 centesimi...” La Giunta, impietosita, aumenta da 25 a 35 centesimi al giorno l’indennità alla famiglia.

Nel 1878 ad Agostino Bertani, commissario parlamentare, è affidato l’incarico di un’indagine sulle condizioni dei contadini in Italia. Lo studio, pubblicato poi nel 1890, rivela risultati terribili. Per la prima volta, si ufficializza la situazione dei contadini nelle nostre campagne, si citano le malattie che colpiscono i lavoratori della terra come il colera, tifo, dissenteria, difterite, malaria, polmonite, tubercolosi, pellagra, infezioni sifilitiche, infezione settica e reumatica, gozzo e cretinismo.

Alla fine dell’800 gli uffici dello Stato Civile del Comune di Milano consegnavano, ad ogni famiglia, un libretto di una quarantina di pagine che doveva essere conservato dal capo famiglia e che costituiva una sorta di certificato di Stato di Famiglia storico. In esso erano riportate: diritti e doveri dei coniugi, informazioni riguardanti le norme elettorali, riguardo all’istruzione obbligatoria , il servizio di leva e norme igieniche inerenti l’allattamento dei bambini, piuttosto che la tubercolosi.

contesto socio politico di Novate Milanese

Nel 1884 - scrive Bertani - “i morti in tutta Italia furono 780.361. Fra questi e quelli curati in casa e i 5.632.435 malati si può dire che il Paese, nel 1884, ha pagato alla malattia un tributo di 169.734.208 giornate di cura, un grave danno economico”. Queste cifre fanno dire a Mario Panizza, deputato al Parlamento, il quale scrive la prefazione allo studio di Bertani, che nell’ambiente sociale la prima causa di povertà consiste nella malattia; la seconda nel salario infimo e precario o peggio nella totale mancanza di lavoro.

Il fatto che le malattie la facciano da padrone mietendo fra i contadini numerose vittime è dimostrato dalle motivazioni per cui molti giovani sono considerati inabili alla visita militare. Nella nostra zona, in dieci anni, dal 1868 al 1878, ben 326 giovani contadini sono riformati. Le motivazioni della riforma sono sempre gozzo, gracilità e vizi cardiaci.

Se è vero che in quegli anni l’emigrazione non è più valvola di sfogo, è altrettanto vero, però, che i “coltivatori del suolo rappresentano i tre quarti circa dell’ emigrazione totale”. Agostino Bertani, nel suo studio, cita anche Novate. Lo fa quando parla delle epidemie. Nel 1888 - scrive il ricercatore: “una grave epidemia di vaiolo apparve ... in un solo mese ci furono 60 morti a Novate. Nello stesso anno a Bollate si ebbero 140 casi d’ileotifo”.

Anche i fanciulli sono soggetti allo sfruttamento perché “addetti , dai dieci o dodici anni, alla custodia del bestiame... però non mancano luoghi in cui i fanciulli si ammettono al lavoro anche in più tenera età”. D’altronde, continua ancora Bertani, il contingente di leva alla classe del 1865 contava il 43 per cento d’analfabeti. In Lombardia c’è un asilo ogni 396 bambini (in Calabria 1 ogni 6.168 bambini). Grave anche il problema della mortalità infantile. Nel primo anno di vita muoiono 204 bambini ogni 1.000 nati; in Lombardia, 206 su 1.000 bambini.

Alla fine dell’800 il lavoro domestico su commissione entra in crisi, donne e fanciulli vanno in fabbrica a lavorare; ben visti dal padronato che li paga meno degli uomini adulti presentando, rispetto a questi ultimi, un carattere più docile e remissivo. Nel 1876 in Lombardia lavorano negli opifici 161mila addetti; nel 1903 il numero sale a più di 350mila. Nel circondario di Monza, nel tessile, sono impegnati oltre 22mila operai. Si lavora più di 12 ore al giorno per 50 centesimi i fanciulli, e una lira le donne. Con una lira si possono comprare 3 chili di pane di farina mista. Gli ambienti sono malsani, sporchi, senza aria, inondati da fumi e da miasmi insopportabili. Ad ogni modo, lo sviluppo dell’industria in Lombardia non incide su una rottura netta con il lavoro delle campagne. Terminato il lavoro negli opifici, si ritorna a lavorare la terra: un legame, questo, che continuerà ad esistere anche dopo la Seconda Guerra Mondiale.

I contatti nelle fabbriche, la mobilità per andare nei luoghi di lavoro, l’attrazione per i centri maggiori, le possibilità di maggior guadagno provocano un piccolo terremoto. Si disgregano così alcuni elementi fino a quel momento centrali, come l’autorità paterna. Comincia ad andare in crisi la figura del “reggitore”, il regiur, fino a quel momento dispensatore dei ruoli e gestore assoluto dei guadagni familiari. Saranno i cattolici a preoccuparsi per questa perdita d’autorità. Non a caso, saranno loro a battersi contro l’inserimento delle donne negli opifici.

Ogni mattina da Novate Milanese partono 700 lavoratori. Questi spostamenti preoccupano molto parroci e autorità religiose al punto che il cardinale Carlo Ferrari in una lettera del 1900 rileva “che non solo le persone adulte, ma quelli ancora di più tenera età, giovinetti, per non dire fanciulli, dalla campagna vengono nella città, donde ritornano a casa appena il giorno di festa”. Abbandonati a se stessi “fra tanta seduzione e pericoli d’ogni maniera” questi ragazzi ritornando a casa non erano “più quelli di prima”. Secondo il vescovo era necessario arginare il più possibile questo fenomeno esercitando pressioni sulle famiglie perché desistessero dall’inviare i figli in città: “Parlate ai genitori - era l’esortazione rivolta ai parroci della campagna - scongiurandoli di trattenere nelle loro case il più possibile i propri figlioli, e per un meschino guadagno di non avventurarli a tanta perdita della fede e del buon costume”.

La paura è l’abbandono delle pratiche religiose e l’adesione alle idee socialiste con la città vista come insidiosa tentatrice per i giovani e, soprattutto, per le giovani.

I cattolici sono contrari al fatto che la donna vada a lavorare negli opifici, per la “promiscuità dei sessi”, per il “turpiloquio”, per il comportamento poco edificante dei sorveglianti.

Senza la donna in casa i figli sono abbandonati all’irreligiosità e lo stabilimento è sempre visto come luogo di corruzione e di degrado, dove si perde “ogni freno morale, ogni sentimento religioso, ogni amore alla famiglia, ogni sanità fisica”.

Inoltre, c’è il problema del lavoro festivo e, il curato di Novate,

contesto socio politico di Novate Milanese

don Francesco Bianchi, denuncia che molte volte “gli operai sono costretti a recarsi al lavoro nei giorni festivi fuori dalla parrocchia”.

In quegli anni Novate Milanese non ha grossi incrementi di popolazione, anzi. Se nel 1861 vi erano 2.413 abitanti, nel 1901 sono diminuiti a 2.371. Novate Milanese rimarrà, per lungo tempo, esportatrice di mano d’opera piuttosto che importatrice.

L’altra grande battaglia dei cattolici è quella contro il lavoro notturno e lo sfruttamento dei minori, temi questi che già avevano portato avanti i socialisti e che i cattolici cominciano ad accogliere: “La notte è fatta dalla natura per il riposo; l’impiegarla abitualmente nel lavoro è un andare contro la natura, ed oltre il fare deperire le forze fisiche, inselvatichisce l’animo; ce ne danno esempio quelli che lavorano abitualmente sottoterra, nelle miniere” (Il Cittadino,9 gennaio 1902).

Quanto si guadagna nelle filande? Nel 1896, per una giornata di lavoro che spesso raggiunge anche le 16 ore (d’estate dalle 4 alle 20), si prendono, a Monza, secondo il giornale “Il Lambro”, 90 centesimi. In altre zone, le donne guadagnano 35-40 centesimi. Agli uomini, per 12 ore di lavoro, 1 lira e 80 centesimi. Un chilo di pane, nel settembre 1898, costa 40 centesimi. Nel 1902, per 12-13 ore, si prendono 80 centesimi. Per bambine e ragazze della nostra zona, i salari quotidiani oscillano da 30 a 50 centesimi al giorno.

Nel 1903, secondo un’inchiesta della Società Umanitaria, a Milano ci sono solo 26 persone che guadagnano più di 8 Lire al giorno. “La maggior parte dei lavoratori milanesi, ben 32.371, guadagna fra una lira e una lira e mezza, mentre altri 30.117 lavoratori lavorano ogni giorno per meno di una lira”.

(da “Un mattone lungo un secolo” – 100° anniversario La Benefica – di Adriano Todaro, 2001).

Nell’anno in cui viene inaugurato il nostro Asilo la popolazione residente è di 3.445 abitanti e la Giunta comunale è così composta:

“Vaghi Marino, Sindaco

Vaghi Francesco, Assistente effettivo anziano

Guzzetti Angelo, Assessore effettivo

Rossi Antonio, Assessore supplente Galli Paolo, Assessore supplente

I consiglieri sono: Barbanti Felice, Ceruti Carlo, Guzzetti Angelo, Lodolo Francesco, Galli Paolo, Uboldi Santino, Scorti Cesare, Scorti Giovanni, Rossi Antonio, Vaghi Francesco, Vaghi Marino, Vaghi Luigi, Villa Luigi e Rognoni Arturo. Il Segretario comunale è Robotti Annibale”.

Abbiamo già avuto modo di raccontarvi quale ruolo importante abbia avuto il sindaco, Marino Vaghi, nella nostra storia, poiché non vogliamo ripeterci, per i dettagli sulla sua figura di uomo e di politico vi rimandiamo al primo capitolo. Qui aggiungeremo solo che egli riposa presso lo storico cimitero di Novate Milanese dopo essere deceduto il 23 maggio del 1913.

PRIMI SINDACI DI NOVATE MILANESE

Dopo l’entrata di Novate nel grande Stato unitario italiano possiamo ricordare ancora due brevi, ma interessanti, notizie.

La prima è quella relativa al R.D. n. 982 del 13 Novembre 1862 in forza del quale la denominazione del nostro Comune, da Novate, viene definitivamente modificata in quella di Novate Milanese.

La seconda è quella che si collega al ricordo dei primi sindaci - di cui ci sia pervenuta notizia - dopo l’unità d’Italia; questi risultano essere stati rispettivamente: Vincenzo Cajo, sindaco nel 1866 e Pietro Gianetti, sindaco del nostro Comune nel 1869 e nel 1873. (da “Uomini e istituzioni a Novate Milanese” di Luigi Perego, 2005).

SINDACI DEL COMUNE DI NOVATE DAL 1910 AL 1926 (da “Uomini e istituzioni a Novate Milanese” di Luigi Perego, 2005).

1. Vaghi Marino (dal 10 settembre 1905 al 23 maggio 1913)

2. Rognoni Arturo (dal 15 novembre 1913 al 14 luglio 1914)

3. Bonfanti Clemente (dal 14 luglio 1914 al 29 ottobre 1916primo sindaco socialista)

4. Guzzetti Angelo (dal 1 agosto 1917 al 1919)

5. Uboldi Santino (dal 1920 al 9 agosto 1923) contesto socio politico di Novate Milanese

6. Commissari prefettizi: colonnello Campeis Enrico, 8 giorni; poi Robbiati Alberto (dal 26 agosto 1923 fino al 4 luglio 1924)

7. Pigorini Alfredo (dal 1924 al 4 luglio 1926)

1926 - 4 luglio: abolizione della rappresentanza popolare. La gestione della Pubblica Amministrazione viene affidata al Podestà, assistito dal Segretario Comunale.

PODESTA’ DI NOVATE DAL 1926 AL 1943

1. Pigorini ing. Alfredo (Podestà dal 21 agosto 1926 all’agosto 1930)

2. Maltini ing. Cesare (Podestà dal 16 agosto 1930 all’ottobre 1930)

3. Cogliati Virgilio (già Comm. Prefettizio, poi Podestà dal 31 ottobre 1930 al 22 ottobre 1932)

4. Bracaglia Giovanni (Podestà dal 24 ottobre al 23 novembre 1936)

5. Testori Giacomo (Reggente temporaneo dal 31 gennaio 1937 al 30 giugno 1937)

6. Criscuolo Doria avv. Filippo (Podestà dall’1 luglio 1937 al settembre 1941)

7. Paracchi dott. Pietro (Podestà dal 20 settembre 1941. Nel giugno 43 richiamato alle armi)

8. Scotti Virginio (Commissario Prefettizio dall’1 luglio 1943 al 14 aprile 1945).

SINDACI DI NOVATE DAL 1945 AL 2010

1. Ghezzi Carlo (dal 26 aprile 1945 al 1956)

2. Comodo Angelo (dal giugno 1956 al 1957)

3. Ghezzi Carlo (dal 12 marzo 1957 al luglio 1964)

4. Torriani Pierino (assessore anziano facente funzione dall’8 agosto 1964 al 10 febbraio 1965)

5. Pulga Anselmo (dal febbraio 1965 al novembre 1968)

6. Gorla Ercole (dal novembre 1968 al 1975)

7. Perego Luigi (dal 1975 al 1990)

8. De Rosa Mauro (dal 1990 al 23 dicembre 1992)

9. Lozza Maurizio (dal 23 dicembre 1992 al 1995)

10. Fumagalli Amalia (dal 1995 al 1999)

11. Silva Luigi (dal 1999 al 2009)

12. Lorenzo Guzzeloni (dal 2009 attuale sindaco).

Glossario Delle Vie Novatesi Del 1900

Piazza Vittorio Emanuele II = piazza della Chiesa; nel ‘40, Piazza Costanzo Ciano; oggi piazza della Chiesa.

Piazza Stazione = incrocio tra via Vitt.Veneto, via Repubblica e via Piave.

Via del Tribio = nel ‘900, via Umberto I, poi via Ettore Muti, oggi via Matteotti.

Via del Ponte di Tresa = via Cavour.

Via del Terùn= via Cascina del Sole.

Via Di Murùn = da piazza della Chiesa all’angolo di via Garibaldi, oggi via Repubblica.

Via Nova dela Piaseta = via del Portone.

Piazza della Concordia; dal ‘40, piazza Italo Balbo; oggi piazza Martiri della libertà.

Via dela Crùs = via Garibaldi.

Via dela Cruseta = via Madonnina.

Via dela Misericordia = via Roma.

Via dei Spagnòeu = Via Ferrovia; nel ‘900, Via Vittorio Emanuele II; oggi Via Repubblica.

Strada per Vialba = via Vialba.

Strada per Brànzaa = via Baranzate.

Via per Bùlaa = via Bollate.

Strada per Milan = via Bovisasca.

Via dela Balossa = via Balossa.

Del Strecion = per Brusuglio, Bresso.

Del Streciun-Betulin = per Cormano.

Del Maruncell = via Polveriera.

Dèla Nusea = via Volta.

Dèla Nusea Testa Morta = via R. Sanzio.

Dèla Vigna Granda = via Gran Paradiso;via Marzabotto; oggi piazza Pace.

Del Vignun = via Vignone.

Del Ghisignoo = via Stelvio.

Del Càsin = via Damiano Chiesa.

Dèla Casina Cristina = via Amoretti.

Via Giovinezza, dal ‘32 = via Dante.

Via XXVIII settembre, dal ‘32 = via XXV aprile.

Via S. Carlo, dal ‘31 = via Maddalena.

Via C. Bonfanti; poi via Martiri Fascisti, dal ‘31; oggi nuovamente via Clemente Bonfanti.

Un antico documento del 1683 era il “Cabeo” (che in latino significa descrizione): una mappa che indicava tutti i possedimenti che i “Luoghi Pii Elemosinieri” aveva a Novate. Da quel disegno si poteva confrontare la Novate di oggi con quella del XVII secolo e scoprire che il percorso delle attuali via Bovisasca e via Matteotti (allora chiamata via del Tribbiolo) fino a piazza della Chiesa, ricalcavano il tracciato dell’antica via Maestra per Milano. via Garibaldi, detta allora via della Croce e via Bollate seguono il percorso dell’antica strada per Bollate, così come via Repubblica (detta degli Spagnoli) e via Baranzate riprendono il disegno di un’antica Strada per Baranzate. Anche via Cascina del Sole, via Campo dei Fiori, via Brodolini, via Balossa e via Cavour (detta via Ponte Tresa rispecchiano i percorsi di strade del 1.600. via Roma invece non era segnata nel Cabreo, al suo posto erano indicate case e campi del massaro Fasolo. Al posto di via Dante e via Brunetto Latini, scorreva allora il fontanile “Terrone”. I fontanilicorsi d’acqua che prendono origine da fonti sotterranee - percorrevano il paese a tratti sotto terra e a tratti a cielo aperto, attraversati da vari ponti muovevano le ruote di due mulini, uno dei quali è ancora visibile in Via Bovisasca. Al posto dell’attuale cimitero sorgeva il Lazzaretto (l’ospedale degli appestati). Il “mitico” Garbogera venne scavato nel 1757, per collegare il fontanile Novello con il fontanile Gera. (Storiografia: dr. Lorenzo Caratti)

papi parroci coadiutori

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