una pagina una storia

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Progetto a cura di Enzo Pelli Graphic design e realizzazione: Paola Rezzonico e Vince Cammarata

Ringraziamenti Peter Aeberhard Roberto Conte Nicola Gardin Severino De Angeli


Gruppo Calligrafia Ticino

Ogni pagina una storia Testi di grandi scrittori nell’interpretazione di 18 calligrafi

Biblioteca cantonale di Lugano 18 ottobre – 30 novembre 2012


La piÚ grande opera letteraria, in fondo, non è che un alfabeto in disordine. Jean Cocteau


Gerardo Rigozzi

Il cammino della parola scritta

Platone, nel Filebo e nel Fedro, afferma che la parola scritta altro non è che una copia del Logos scritto nell’anima. Le scritture esterne, inerti o tecniche, sarebbero soltanto il riflesso dell’interiorità. In realtà il fenomeno della scrittura è qualcosa di più complesso, per il semplice fatto che, se non ci fossero stati dei supporti, mai l’anima si sarebbe pensata come un libro: essa sarebbe rimasta forma “anemus”, spirito informe che avvolge il corpo. In un certo senso ha ragione Jacques Derrida allorquando afferma che “nulla esiste fuori del testo”. Non si sa come e quando nacque la scrittura. Si presume che ciò avvenne oltre 5’000 anni fa in Mesopotamia attraverso i segni impressi su tavolette di cera. Dalla scrittura pittorica si è poi passati alla scrittura ideografica e poi analitica, su su fino alla scrittura sillabica e alfabetica. In quel lungo percorso, possiamo affermare che abbia prevalso l’arte dello scrivere in belle forme, la calligrafia appunto. Chi non ricorda gli straordinari codici miniati dell’Occidente cristiano medievale? Oppure le scritture arabo-islamiche orientate alla Gnosis e alla mistica? Oppure ancora i Romani che scolpivano le loro lettere con le aste che terminavano in un’espansione detta “grazia”? Lettere equilibrate, leggere ma forti, certamente eleganti, frutto dell’incontro tra la leggerezza e l’eleganza del pennello con la forza e la solennità della scrittura. C’è inoltre chi sostiene1 che tra i segni visivi della scrittura e i segni uditivi delle parole ci sarebbe un legame profondo, risalente alla più remota preistoria dei graffiti paleolitici delle incisioni sul fondo delle caverne. A mio parere, le opere dei 18 calligrafi esposte in Biblioteca – che si confrontano in un dialogo sottile con Dante, Bradbury, Baricco, Kundera, Pusterla, Montale, Murakami e altri ancora – sono un ten-

Cfr. Alfred Kallir, Segno e disegno. Psicogenesi dell’alfabeto, Milano 1994

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tativo riuscito di ripercorrere questo lungo cammino della scrittura per ritrovare gli antichi archetipi, naturalmente reinterpretati nel nostro tempo. I supporti utilizzati dai 18 calligrafi con perizia e abilità gestuale - i collage, le carte e cartoncini, le incisioni, le tempere, gli acrilici, i pastelli, ecc. - pur attingendo al magma archetipico della filogenesi 6 (l’anima in senso platonico), conferiscono nuova sostanza e pienezza iconica. Si avvera qui quanto sostenuto da Barthes2 , ovvero che una lettera può dire tutto, se liberata dal suo ruolo linguistico; e può per così dire infrangere il diaframma tra il nome e la cosa rappresentata per reinventare una nuova porzione di realtà, nuovi significati nelle parole, nei ritmi e nella forma di una poesia. Questo andare oltre la dimensione del discorso e della consuetudine è ciò che caratterizza l’impronta dell’artista, come sottolineava il filologo Giovanni Pozzi: “L’artista sommo non è tanto colui che infrange la regola, quanto colui che varia la convenzione, così come il buon giocatore non è il baro, ma l’inventore di soluzioni inconsuete”3 Farebbe bene la scuola a chinarsi su queste modalità espressive dei nostri calligrafi, e a recuperare un po’ di senso del bello, del ritmo e dello stile, che purtroppo spesso viene trascurato. Come dare torto a Umberto Eco che in un’intervista pubblicata nel quotidiano inglese The Guardian giudica la perdita della calligrafia una vera tragedia nella formazione dei giovani? E come non pensare che i caratteri che hanno fatto la fortuna di Apple e di Windows sono stati inventati ben 250 anni fa da Giambattista Bodoni, che seppe interpretare lo spirito dei Lumi traducendolo nelle forme neoclassiche dalle proporzioni piene e un po’ altere?

Cfr. Roland Barthes, L’ impero dei segni, Torino 2002 Cfr. Giovanni Pozzi, La parola dipinta, Milano 1981

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Renato Giovannoli

Il paradosso della calligrafia

1. Gli ambigrammi, dei quali Francesca Rigotti scrive in queste stesse pagine, sono certo un caso molto particolare di calligrafia, il quale tuttavia è emblematico del carattere in generale paradossale della calligrafia. Non è un caso che gli ambigrammi siano stati studiati dal filosofo americano Douglas R. Hofstadter (1945), che ha fatto del paradosso l’argomento principale della propria ricerca fin dal fortunato libro di esordio1 Gödel. Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante (1979), e che anzi crede di aver trovato nel paradosso la soluzione del mistero della coscienza.2 Sto parlando dei paradossi nel senso che a questo termine attribuisce la logica moderna, o per usare un sinonimo, delle antinomie. Prendiamo, per fare un esempio, il celebre “paradosso del mentitore”. Normalmente le proposizioni assertive che pronunciamo sono vere, se corrispondono allo stato del mondo che descrivono, o false, se non gli corrispondono. La proposizione «Sto mentendo», invece, non è vera né falsa (i logici dicono che è “indecidibile”). Ammettiamo infatti che corrisponda allo stato del mondo che descrive, cioè che io stia effettivamente mentendo. Essa dovrebbe essere vera, ma allora (attenzione!) una frase di questo tipo è vera solo se è falsa, cioè appunto se sto mentendo. Viceversa, se essa è falsa, se cioè io non sto mentendo, ciò significa che sto dicendo la verità, dunque essa è falsa solo se è vera. Non tentate di risolvere questo rompicapo, non ci riuscireste. Se la proposizione «Sto mentendo» viene pronunciata, scatta il paradosso ed è impossibile uscirne. È possibile però comprendere come questo singolare fenomeno possa prodursi. Bertrand Russell nei Principia Mathematica (1913) scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead, suggerì che i paradossi siano una conseguenza della confusione tra “tipi logici”. Facciamo un esempio. La proposizione «Il cane ha quattro zampe» non è dello stesso tipo logico, o per dirla in maniera più intuitiva non è allo stesso

Douglas R. Hoftadter, Gödel. Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante. Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll [Gödel. Escher, Bach: an Eternal Golden Braid], Milano, Adelphi, 1984. 2 Si veda in particolare idem, Anelli nell’ io [I Am a Strange Loop, 2007], Milano, Mondadori, 2008. 1


livello logico della proposizione «“Cane” ha quattro lettere». La prima parla del mondo, la seconda parla del linguaggio: la prima appartiene al linguaggio, la seconda al “metalinguaggio”, cioè al linguaggio che parla del linguaggio. (Nella seconda proposizione “cane” è tra virgolette, proprio per segnalare che non si tratta dell’animale ma di una parola.) E così come parliamo del linguaggio con il metalinguaggio, possiamo parlare del metalinguaggio con il meta-metalinguaggio, 8 per esempio se diciamo: «“ ‘Cane’ ha quattro lettere” è composta di quattro parole». Questa proposizione è di un altro tipo logico ancora, collocato a un diverso livello rispetto al tipo logico della precedente. Torniamo al paradosso del mentitore. La frase «Sto mentendo» di cosa parla? Di me che sto parlando, ed è dunque una frase del normale linguaggio, o di se stessa, e appartiene dunque al metalinguaggio? Parla di me e di sé, ed è proprio qui che sta il problema. È una frase che parla del mondo, ma è anche una frase autoreferenziale, che parla di sé stessa, il che provoca una confusione tra linguaggio e metalinguaggio. Una confusione ineliminabile: è impossibile mettere virgolette dentro quella frase per distinguere il “linguaggio oggetto” dal metalinguaggio. Se avessi detto «La frase “Oggi piove” è falsa» non sarebbe successo niente di strano. Ma se dico «La frase che sto pronunciando è falsa» (che è un’altra formulazione del paradosso del mentitore) sono guai. Hofstadter definisce i paradossi con la metafora “strani anelli”, e pensa che la coscienza non sia altro che uno strano anello che una mente non cosciente, come può essere quella di un calcolatore, ha prodotto autoreferenzialmente con se stessa, divenendo per così dire meta-mente di se stessa. Nel caso del paradosso del mentitore è uno strano anello anche il circolo vizioso che si produce tra verità e falsità (se la proposizione è vera allora è falsa, ma se è falsa allora è vera, e se vera allora è falsa…), ma al fondo di questo come di tutti i paradossi c’è uno strano anello che unisce due tipi logici che dovrebbero invece restare rigorosamente separati.

2. Ancora un po’ di pazienza e arriviamo alla calligrafia. Prima devo parlarvi di un altro filosofo americano, Gregory Bateson (1904-1980), il quale è stato il primo a formulare il concetto di “paradosso pragmatico” o “doppio vincolo [double bind]”, in seguito ampiamente applicato in ambito psichiatrico. Un doppio vincolo è l’incresciosa situazione di chi è sottoposto a un’ingiunzione contraddittoria che non gli permette né di ubbidire né di disubbidire. Se qualcuno vi dice: «Sii spontaneo!», oppure «Dimmi che mi vuoi bene, ma non perché ti ho detto io di dirmelo!», potete disubbidire, ma se tentate di ubbidire


vi trovate comunque a disubbidire. Come vedete si tratta di qualcosa di analogo al paradosso del mentitore, ma che non riguarda le proposizioni assertive e il loro valore di verità, bensì proposizioni che appartengono piuttosto all’ambito degli “atti linguistici” e la loro efficacia. Secondo Bateson, doppi vincoli subiti ripetutamente in ambito familiare potrebbero all’origine della schizofrenia, ma non è questo che qui ci interessa. Per noi è più interessante il fatto che i doppi vincoli più subdoli siano quelli in cui l’ingiunzione contraddittoria si produce grazie a una cornice metacomunicativa che contraddice l’enunciato comunicativo. Per esempio, una madre dice alla figlia, piangendo mentre lava i piatti: «Esci, cara, è giusto che tu vada a divertirti!» Secondo il contenuto dell’enunciato la madre sta invitando la figlia a uscire, ma il contesto metacomunicativo dice che farebbe meglio a restare in casa a far compagnia alla mamma. Tutti i giorni, in realtà, contraddiciamo o, meglio riqualifichiamo, i nostri enunciati, cioè le proposizioni che diciamo, attraverso i modi della loro enunciazione, cioè con l’atto di dirle. In genere il messaggio è chiaro perché uno dei due livelli logici prevale sull’altro e non avviene tra di loro una vera confusione. Posso manifestare il mio affetto per un amico insultandolo allegramente, e più in generale fare dell’ironia dando tutti i segnali che non sto parlando sul serio. Ma se il mio interlocutore resta perplesso perché non capisce se parlo sul serio o sto scherzando, ecco che non siamo lontani dal paradosso e dal doppio vincolo.3 Buona parte dei contenuti metacomunicativi che riqualificano i nostri enunciati sono veicolati attraverso il tono della voce. Eccoci alla calligrafia, che utilizzata in funzione espressiva, è per molti aspetti, nell’ambito della lingua scritta, un analogo dell’intonazione. Per fare subito un esempio di calligrafia paradossale, nella quale l’enunciazione contraddice l’enunciato, immaginiamo la parola “pace” scritta con i caratteri gocciolanti sangue utilizzati spesso nei titoli dei film horror. O ancora la parola “immobilità”, scritta con i caratteri del logo delle storie del supereroe Flash, dotati di quei “segni di movimento” che nei fumetti significano che un oggetto o un personaggio si sta muovendo velocemente. Anche con la calligrafia possiamo fare dell’ironia, e, se rendiamo indecidibile il senso del nostro messaggio, compiere degli atti linguistici contraddittori e paradossali.

Di Gregory Bateson si veda in particolare Una teoria del gioco e della fantasia [A Theory of Play and Fantasy. A Report on Theoretical Aspects of the Project for Study of the Role of Paradoxes of Abstraction in Communication, 1955] e Verso una teoria della schizophrenia [Toward a Theory of Schizophrenia, 1956], entrambi in idem, Verso un’ecologia della mente Milano, Adelphi, 1976. 3


Anzi, la calligrafia è in qualche modo intrinsecamente paradossale, perché in essa il tipo logico del contenuto comunicativo enunciativo e quello del contenuto metacomunicativo enunciazionale lungi dall’essere ben distinti sono uniti in un unico segno. Per di più nella calligrafia si confondono i livelli del digitale e dell’analogico, del verbale e del figurativo. Pittura o scrittura? È una domanda che ci viene spontanea di fronte alle opere esposte in questa mostra. In qualche 10 caso non facciamo fatica a dare la risposta, o almeno a notare che uno dei due codici prevale sull’altro. Ma talvolta restiamo indecisi, preda del paradosso. 3. Ben più neutro, da questo punto di vista, è il disegno dei caratteri tipografici, che pure è senza dubbio un proseguimento della calligrafia, nella cui storia affonda le proprie radici. Anche i caratteri tipografici hanno una loro semantica connotativa (tra un carattere con le grazie e uno senza c’è una differenza non solo stilistica, ma persino ideologica), ma tendono alla pura digitalità, alla comunicazione delle sole informazioni necessarie alla loro lettura in quanto segni di suoni della lingua. Anche nella calligrafia manoscritta bisogna per altro fare una distinzione tra i caratteri alfabetici e quelli ideografici. Per i primi vale in parte il discorso appena fatto a proposito della tipografia, mentre nei secondi la confusione tra il piano figurativo e verbale è certamente più forte. In un ipotetico carattere cuneiforme raffigurante un cane, potremmo davvero trovarci di fronte a un cane con quattro “lettere” che sono anche quattro zampe. È per questo motivo, probabilmente, che la tradizione della calligrafia si è indebolita in Occidente dopo la diffusione della stampa e che il recente revival della calligrafia occidentale è così fortemente influenzato dalla calligrafia orientale, come credo anche questa esposizione dimostri. Permettetemi di schizzare uno schema molto astratto della storia della calligrafia. La calligrafia occidentale, proprio per il suo carattere alfabetico (digitale), ha sempre avuto come prima funzione la leggibilità. Basta guardare i caratteri romani, sia quelli supporto su cartaceo che su supporto lapidario. È noto però che i caratteri alfabetici derivano da quelli ideografici, e che non hanno mai perduto del tutto un aspetto figurativo.4 Vanno così considerate importanti eccezioni

Non si può non citare a questo proposito quello che è ormai un classico: Alfred Kallir, Segno e disegno. Psicogenesi dell’alfabeto [Sign & Design. The Psychogenetic Source of the Alphabet, [1980], Milano, Spirali, 1994. 4


all’affermazione che ho appena fatto, per esempio l’uso figurativo dell’alfabeto nelle iniziali maiuscole dei manoscritti nel Medioevo, o certi alfabeti figurati déco. In Oriente, invece, la calligrafia (shufa in cinese, shodo in giapponese, “la via della scrittura”) è sempre stata una forma di pittura, realizzata non a caso con il pennello e non con lo stilo di canna o il pennino come la calligrafia occidentale. Soprattutto certi esempi di calligrafia zen, corredati talvolta da piccole illustrazioni, fanno sì che ci domandiamo, come Roland Barthes nella didascalia (manoscritta e quasi calligrafata) di una di queste opere: «Où commence l’écriture? Où commence la peinture?»5 Un caso a parte è la calligrafia araba, che pur essendo alfabetica ha dato esiti decisamente “pittorici”. Questa particolarità deriva probabilmente dal fatto che l’interdizione della raffigurazione della figura umana e animale e quindi di fatto della pittura nell’Islam, ha favorito il nascere di una calligrafia figurativa, di una vera e propria arte del calligramma. Dicevo che con l’invenzione della stampa la tradizione calligrafica occidentale è stata sul punto di spegnersi. Va registrata una prima rinascita per opera di William Morris e del movimento, contiguo al neomedievismo dei Preraffaelliti, Art & Crafts, che però ha avuto ricadute soprattutto nella tipografia (basti pensare al fantasioso design dei font di epoca liberty). Il recente revival della calligrafia in Occidente, non avendo un vero background tradizionale su cui svilupparsi, ha così dovuto intrecciare il proprio albero genealogico con rami provenienti dal mondo arabo ed estremo-orientale (il che non significa che non abbia salvato e rivitalizzato ciò che rimaneva della tradizione calligrafica occidentale). La nuova calligrafia ha inoltre fatto tesoro dell’uso del carattere alfabetico da parte della pittura delle avanguardie novecentesche. L’alfabeto era pressoché scomparso dalla pittura occidentale alla fine del Medioevo. Esso ricompare con prepotenza nell’arte delle avanguardie, nel cubismo per esempio, proprio mentre tende ad assumere una qualità figurativa nella grafica e nella tipografia della stessa epoca, in particolare nei futurismi. 4. In alcuni autori, e ricorderò soprattutto Paul Klee, più che vere lettere alfabetiche compaiono però delle “fantagrafie”. Con questo termine, coniato da Guido Ceronetti,6 dobbiamo intendere quel disegno o

Roland Barthes, L’empire des signes [1970], Paris, Flammarion, 1980, p. 31. Lo prendo a prestito dal titolo una mostra di Orio Galli. Cfr. Orio Galli, Fantagrafie, con un testo di Ceronetti e uno di chi scrive, edizione a cura dell’autore, 2003.

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quella pittura che imitano la scrittura, che appaiono come ideogrammi o caratteri alfabetici ma che sono in realtà segni astratti, non vera scrittura. La pittura del Rinascimento conosce per esempio dei caratteri “ebraici” del tutto fantagrafici, e al nome di Klee si dovrebbero aggiungere i nomi di Saul Steinberg, di Cy Twombly, dello stesso Roland Barthes in veste di pittore e di molti altri, tra cui alcuni dei partecipanti a questa mostra. 12 Anche nella fantagrafia abbiamo un paradosso: quello di un segno che si presenta come scrittura, e al tempo stesso si sottrae alla lettura. Ma la fantagrafia non è che il caso limite della normale calligrafia, dal momento che ogni segno alfabetico o ideografico in cui l’aspetto figurativo tenda a prevalere su quello digitale mette a rischio la propria leggibilità. È proprio in ciò, d’altra parte, che risiede il piacere della calligrafia, perché – se non convince l’ipotesi che la coscienza sorga da uno strano anello – è dagli strani anelli che nasce il piacere della mente.


Francesca Rigotti

Calliambigrammi

Gli ambigrammi Per onorare l’arte della calligrafia cui è dedicata questa mostra condurrò alcune riflessioni intorno a un tipo molto particolare di esercizio calligrafico, e ai suoi legami con filosofia e creatività: l’ambigramma. Che cos’è l’ambigramma? E’ un modo di giocare con la parola scritta; è un disegno calligrafico che possiede due letture, talvolta della stessa parola, talvolta di due parole diverse, e in cui si passa da una lettura all’altra cambiando l’angolo visuale o esercitando uno sforzo di decisione percettiva. La definizione è di Douglas Hofstadter, l’autore di un libro molto famoso negli anni ‘80, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid, uscito nel 19791, il cui titolo è già un gioco di lettere, GEB, EGB. Hofstadter è uno studioso e professore americano le cui ricerche sono rivolte al pensiero analogico, alla creazione artistica, alla scoperta scientifica ecc. Nell’ottobre del 1988 Hofstadter venne invitato a Locarno a partecipare ai lavori della Terza Conferenza internazionale su Scienza e Società e io andai a Locarno, quell’ottobre, portandomi dietro la baby-sitter e i due figli più piccoli, i gemellini nati quell’anno e che ancora allattavo. Non riuscii certo a partecipare ai lavori del convegno, fu un viaggio più che altro simbolico, ma due anni dopo mi procurai, alla sua uscita, il libro che raccoglieva i contributi del simposio, Creativity in the Arts and Science, a cura di William R. Shea e Antonio Spadafora 2 , tra i quali il saggio di Hofstadter dal quale sono tratte, accuratamente citate, alcune asserzioni che qui riporterò, accompagnate da mie personali ricerche e riflessioni. Gli ambigrammi dunque, di cui qui presento alcuni esempi. Quello di sinistra (fig.1) è un omogramma, cioè un ambigramma le cui lettere sono identiche perché vi si legge la stessa parola rotandolo di 180°:

fig.1

fig.2

La fig.2 è invece un eterogramma: le lettere sono diverse e le parole che si leggono sono due: Inversions e Scott Kim, il titolo di un libro e il nome del suo autore.


Ambigrammi e metafore Ma perché mi interessano gli ambigrammi, anzi gli eterogrammi o ambigrammi che contengono parole diverse? Per lo stesso motivo per il quale mi interessano le metafore, tanto che continuo a lavorarci sopra da trent’anni e passa. Perché hanno la proprietà di condensare 14 più messaggi in una sola forma espressiva. Perché mi intriga il meccanismo mentale tramite il quale dicendo «il prato ride» sto affermando che il prato fiorito è come un volto sorridente. Lo sto dicendo in forma abbreviata, contratta e compatta, con una similitudo brevis, come definiva la metafora il retore romano Quintiliano. Dico «il prato ride» e evoco con tre parole l’idea di un prato coperto d’erba e di fiori in una giornata di sole, sereno come un volto dove la bocca si apre al sorriso. E gli altri, quel che più conta, mi capiscono. La metafora a livello verbale, come l’ambigramma a livello grafico e ognuno con le sue modalità espressive, è insomma figura della duplicità nell’unità, compresenza di molti nell’uno, connessione di identità e alterità, uno e molti, endiade e persino paradosso, in quanto affermazione di un’apparente falsità, di una conclusione apparentemente inaccettabile (i prati non ridono). Ma non è anche ogni calligrafia paradossale nella sua forma di scrittura-pittura che scrive e dipinge insieme? La definizione di metafora non ha niente a che fare con l’apparenza visuale della frase che la esprime, eppure se dovessi immaginare l’«essenza» della metafora la riprodurrei con un ambigramma, come se i due fossero lontani cugini che condividono un’aria di famiglia; oppure anche con una di quelle immagini doppie, endiadi anch’esse, testa/vaso (o coniglio/anatra o vecchia/giovane o il cubo di Necker (fig. 3), che tutte oscillano tra due letture: e ciò che conta in questa storia è proprio, lo vedremo alla fine, l’oscillazione.

fig.3


Ambigrammi e calligrafia Torniamo però ora agli ambigrammi e veniamo ad occuparci del loro rapporto con la calligrafia o bella scrittura, l’arte visiva della quale il catalogo e la mostra raccolgono mirabili esercizi. Dopo gli studi seminali di Hofstadter, che ne coniò anche il nome, benché tali figure fossero state scoperte ben prima di lui, gli ambigrammi hanno ricevuto negli ultimi anni molte attenzioni per l’essere stati rilanciati alla ribalta da Dan Brown che ne inserì uno nel suo romanzo Angeli e demoni, la parola «illuminati» che ambigrammata si legge una seconda volta rotando il foglio di 180° (fig. 4):

fig.4

Ora, l’ambigramma dipende strettamente dalla scrittura del carattere, dalla grafia e dalla calligrafia, a differenza del palindromo o parola che si legge nei due sensi in qualunque modo si scriva, per es. OSSO (che è anche, casualmente, un ambigramma naturale. Dalla calligrafia, ovvero dalla bellezza della scrittura. E’ essenziale che l’ambigramma sia un oggetto elegante dal punto di vista calligrafico; la linea deve essere armoniosa e dimostrare uniformità di stile senza eccessivi ghirigori. Ma la bellezza e l’uniformità di stile sono soltanto componenti estetiche o qualcosa di più? Certo sono essenziali alla calligrafia, che deve per definizione essere bella. Ma sono anche essenziali alla composizione dell’ambigramma e fondamentali per la sua comprensione? Certo. Per creare un ambigramma devo inventare ogni volta un nuovo alfabeto, anzi non tutto l’alfabeto quanto soltanto le lettere che compongono i nomi e le parole che voglio unificare con questo esperimento grafico. Per esempio se voglio unire Kim e Scott posso farlo in questo modo (fig. 5):

fig.5

ma non arriverò ad alcun risultato ambigrammatico se cercherò di ripetere con la stessa grafia gli stessi caratteri che compongono Kim e Scott in un’altra combinazione, es. mots kitc. Lo studio calligrafico ambigrammatico concerne quindi ogni volta solamente i caratteri dell’alfabeto che compongono quelle parole e solamente quelle. Per tale motivo gli ambigrammi eterogrammi sono


molto più interessanti degli omogrammi, che scrivono una sola parola in maniera leggibile secondo più orientamenti. Oltre a ciò non avrebbe senso inventare, magari al computer, un alfabeto ambigrammaticale buono per tutte le stagioni perché le lettere non sarebbero combinabili se non con un procedimento ad hoc. E dal momento che le combinazioni sono innumerevoli, forse infinite, quali criteri si 16 privilegeranno nella selezione? Semplicità, comprensibilità, eleganza estetica, che sono gli stessi criteri di ogni calligrafia. Semplicità, comprensibilità, eleganza estetica La semplicità è uno dei criteri preferiti, non solo da me, in ogni ordine di creazione mentale. Il suo impiego viene chiamato in filosofia «il rasoio di Occam», dal nome di un monaco francescano inglese vissuto nel sec. XIV, William of Ockham, importante pensatore nominalista che insiste sulla necessità di tagliar via il superfluo e preferire la sobrietà nel numero di enti. E’ un principio di parsimonia ed economia che, esteso alla logica, consiglia di scegliere, tra più ipotesi in competizione, quelle che offrono la spiegazione più semplice con il minor numero di assunzioni. Il principio di semplicità, lungi dal collidere con quello di gradevolezza estetica, accentua l’eleganza della soluzione e contribuisce alla comprensibilità del tutto grazie alla riduzione di complessità data dall’eliminare le pieghe in cui si annida l’oscurità («semplice» e «complesso» significano etimologicamente «con una sola piega» e «con molte pieghe»). I calliambigrammi - gli ambigrammi belli, e già che ci siamo, meglio definibili come amfigrammi, per mantenere le radici greche di entrambe le componenti del termine - presentano, proprio come la calligrafia, il giusto equilibrio, più difficile da definire che da percepire, tra il disegno elegante e l’arzigogolo gratuito e imperdonabile. Come in ogni esercizio calligrafico anche nella scrittura ambigrammatica le lettere devono essere piegate in molti modi, talvolta facendo compiere loro curve inusuali, talaltra tagliando piedini e gambette, talaltra ancora aggiungendo riccioletti, affinché la distorsione delle linee e l’amputazione o l’aggiunta dei trattini facilitino la doppia lettura. Creare ambigrammi Per creare ambigrammi occorrono – precisa Hofstadter3 - tre doti principali: buona immaginazione per guardare una cosa e vedere in quella molte altre; capacità di autocensura per capire se e quando l’operazione risulta troppo forzata, nonché abilità manuale nel tracciare curve eleganti, linee rette, angoli ecc. Aggiungerei, da parte mia, un requisito filosofico, anzi metafisico: conoscenza dell’«essenza» di


una lettera, la sua «A-ità» o «B-ità» ecc. Quando una A finisce di essere una a, una B una b? Fino a che punto posso forzare la mente e l’immaginazione e chiederle di riconoscere una M in due T, o due T in una M come nell’ambigramma KIM/SCOTT della fig. 5? Una volta negli Stati Uniti, a una scuola di lingua dello YMCA, una signora coreana mi disse che nel mio esercizio avevo «sbagliato» a scrivere la p, perché avevo tracciato un anello tornando in su dalla gambetta. Questa non è una p, mi sgridò compunta la mia compagna di corso, per la quale la mia p corsiva non era evidentemente riconoscibile, probabilmente perché i suoi criteri di definizione ontologica della p erano molto più rigidi di quelli di una persona abituata a scrivere in caratteri latini. Credo che, per avvicinarci alla conclusione, sia importante riconoscere una buona dose di creatività alla base del processo di composizione di un ambigramma, che coincide in gran parte con la creatività richiesta per esercizi calligrafici non banali come quelli presentati in questa mostra. La componente creativa è data dalla capacità di cambiare, di muoversi, di oscillare, di vedere le cose in più modi, di andare e tornare prendendo e portando ogni volta qualcosa di nuovo, anche così piccolo da apparire insignificante, come mi è capitato di scrivere in un mio libro4 . Occorre insomma praticare un’interazione costante tra le lettere intese come categorie astratte, nella loro «letterità» (A-ità, B-ità ecc.) e le forme delle lettere come figure geometriche, cercando soluzioni nuove e anche azzardate che però garantiscano leggibilità e comprensibilità. Lo spirito della creatività è infatti quello di uscire dal seminato, creare nuovi collegamenti e agganci senza trascendere nel mistico e nell’indicibile, che è un’altra storia che ha a che fare con la creazione divina, non con la creatività umana. Senza dimenticare che la ricerca di una soluzione creativa, i.e. semplice, comprensibile e esteticamente gradevole è faticosa, quanto il raggiungimento del risultato, nel nostro caso un buon ambigramma o un bell’esito calligrafico, è liberatorio e appagante.

Douglas R. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid, Hassocks, Harvester Press, 1979 2 William R. Shea e Antonio Spadafora (editors), Creativity in the Arts and Science, Canton, MA, Science History Publications, 1990, che contiene il contributo di Hofstadter, Ambigrammatics and Creativity, pp. 26-54. 3 D. Hofstadter, Ambrigrammatics and Creativity, cit., p. 42. 4 Francesca Rigotti, Il pensiero pendolare, Bologna, il Mulino, 2006.

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Eliana Auguadri auguadri@bluewin.ch

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Che nessuno insegua il passato, aspettative per il futuro, perché non c’ è più e il futuro non è a rivato...Che nessuno insegua il p coltivi aspettative per il futuro, passato non c’ è più e il futuro cora arrivato...Che nessuno inseg ato, né coltivi aspettative per perché il passato non c’ è più e il f è ancora arrivato...Che nessuno passato, né coltivi aspettative per perché il passato non c’ è più e il f è ancora arrivato...Che nessuno passato, né coltivi aspettative per perché il passato non c’ è più e il f è ancora arrivato...Che nessuno passato, né coltivi aspettative per Tra due onde acquarello e inchiostro su carta, 29 x 29 cm, 2012

Domani potrebbe sopraggiungere la morte acquarello, inchiostro e cotone su carta, 29 x 29 cm, 2012

da Corrado Pensa, Il silenzio tra due onde


né coltivi é il passato ancora arpassato, né , perché il non è angua il pasil futuro, futuro non insegua il r il futuro, futuro non insegua il r il futuro, futuro non insegua il r il futuro,


Loredana Baccianti lorebaccianti@ticino.com

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…La parola “vita” è la regina e parole. Una regina attorniat grandi parole: “avventura”, “ “speranza”! …Possiamo rimpro gesto, una frase, ma non un sent di esso non abbiamo alcun potere nata un’amicizia? Sicuramen alleanza contro le avversità, u enza la quale l’uomo si sarebb disarmato di fronte ai suoi nem oggi un’alleanza di questo ge rappresenta più una necessità v La parola “vita” è la regina d parole. Una regina attorniata grandi parole: “avventura”, “ “speranza”! …Possiamo rimpro gesto, una frase, ma non un sent La finestra dell’anima inchiostro su carta di cotone e foglia d’oro, 108 x 78 cm, 2012 L’identità inchiostro, stampa su carta di cotone, appoggio su tela con collage e acrilico, 100x80 cm, 2012

da Milan Kundera, L’identità


a di tutte ta da altre “avvenire”, overaci un timento; su e…”Com’ è nte come un’alleanza be trovato mici. Forse enere non vitale”. … di tutte le a da altre “avvenire”, overaci un timento; su


Lorenza Buzzi lobuzz@hotmail.it

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Gojko, s’accese una sigaretta, n nemmeno un tiro. Si mise le m accia e cominciò a singhiozzare f ritegno. Guardavo quella sigare consumava tra le dita chiuse e certo punto cadde, morì in terr pianto terribile, sgraziato come una bestia. Con quelle mani incol osteneva le macerie di quel futu che ormai lo aveva raggiunto. Se o che per me quel pianto fu l’ in guerra. Gojko, s’accese una siga diede nemmeno un tiro. Si mis ulla faccia e cominciò a singhioz enza ritegno. Guardavo quella che si consumava tra le dita chiu un certo punto cadde, morì in ter Gojko tecnica mista su carta, dittico, ogni foglio 70 x 25 cm, 2012

da Margaret Mazzantini, Venuto al mondo


non diede mani sulla forte, senza etta che si e che a un ra. Fu un e quello di llate al viso uro tragico e ci ripenso nizio della aretta, non se le mani zzare forte, a sigaretta use e che a rra. Fu un


Gabriela Carbognani Hess gabriela@calligraphicdesign.ch

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Libri gli bombardavano le spalle, l viso volto all’ insù. Un volume s docilmente, come un colomba bia ue mani, le ali tremule. Nella vacillante, una pagina rimase ape ed era come una penna nivea, co delicatamente dipintevi sopra. quella confusione, quella fretta ebbe soltanto il tempo di leggere ma quella riga gli fiammeggiò n nel minuto successivo come se vi mpressa con un ferro rovente. “ è assopito nel gran sole del merig gli bombardavano le spalle, le viso volto all’ insù. Un volume s docilmente, come un colomba bia ue mani, le ali tremule. Nella Censura libro bruciato posto in un cubo di plexiglass, 30 x 30 cm, 2012

Alchimia pagina bruciata e calligrafia con foglia d’oro, 32 x 22 cm, 2012

da: Ray Bradbury, Fahrenheit 451


, le braccia, scese, quasi anco, tra le luce fioca, erta e ferma on le parole In tutta a, Montag e una riga, nella mente i fosse stata Il tempo si ggio�. Libri braccia, il scese, quasi anco, tra le luce fioca,


Martine Chardin martinechardin@bluewin.ch

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Être sans sujet aucun de livre, sa dée de livre, c’est se trouver, se devant un livre. Une immen Un livre éventuel. Devant rien comme une écriture vivante et nu terrible, terrible à surmonter. Je a personne qui écrit est sans idé qu’elle a les mains vides, la tête vid ne connaît de cette aventure du ’ écriture sèche et nue, sans avenir ointaine, avec ses règles d’or, élém ’orthographe, le sens. Être sans su de livre, sans aucune idée de liv trouver, se retrouver devant un mmensité vide. Un livre éventue rien. Devant comme une écriture nue, comme terrible, terrible à s Écrire installazione, 110 x 20 cm, + 4 quadri, ognuno 30 x30 cm

da Marguerite Duras, Écrire


ans aucune e retrouver nsité vide. n. Devant ue, comme e crois que ée de livre, de, et qu’elle u livre que r, sans écho, mentaires : ujet aucun vre, c’est se livre. Une el. Devant e vivante et surmonter.


Nathalie Conte nathalie.Conte@hispeed.ch

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I numeri primi sono divisibili so 1 e per sé stessi. Se ne stanno al nell’ infinita serie dei numeri chiacciati come tutti fra due, ma u à rispetto agli altri. Sono numer e solitari e per questo Mattia meravigliosi. Certe volte pensa quella sequenza ci fossero finiti p che vi fossero rimasti intrappo perline infilate in una collana. A nvece sospettava che anche a lo piaciuto essere come tutti, solo d qualunque… I numeri primi son oltanto per 1 e per sé stessi. Se al loro posto nell’ infinita serie d naturali, schiacciati come tutti fr un passo in là rispetto agli altri. So Tormento inchiostro e acquarello su carta, 100x70 cm, 2012 Gabbia inchiostro e acquarello su carta, 70x50 cm, 2012

da Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi


oltanto per l loro posto naturali, un passo in ri sospettosi le trovava ava che in per sbaglio, olati come Altre volte, oro sarebbe dei numeri no divisibili ne stanno dei numeri ra due, ma ono numeri


Giovanna Croci Maspoli - Pozzi ziagi@bluewin.ch

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Alice cominciava a non poterne p eduta sulla sponda accanto al enza far niente; una volta o d provato a sbirciare il libro che eggeva, ma non c’erano figure né “e a che serve un libro” aveva pen “senza figure e senza dialoghi?”. R cui stava tentando di decidere fra che poteva, perché il caldo della a faceva sentire torbida e istu l piacere di confezionare una margherite sarebbe valso la pena e cogliere i fiori, quand’ecco che d e passò accanto di corsa un conig dagli occhi rosa. In questo non c’er tanto notevole; né ad Alice parve così straordinario sentire un Con Vedo quello che vedo tecnica mista (carta, inchiostro, acrilico, tessuto), 120x100 cm, 2012

da Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie


più di stare lla sorella, due aveva la sorella é dialoghi, nsato Alice Ragion per a sé (meglio a giornata upidita) se collana di a di alzarsi d’un tratto glio bianco ra niente di e dopotutto oniglio dire


Manuela Ferretti manuela.ferretti@bluewin.ch

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Sapeva leggere. Fu la scoperta più i di tutta la sua vita. Sapev Possedeva l’antidoto contro il veleno della vecchiaia. Sapev Ma non aveva niente da legger eggere. Fu la scoperta più imp tutta la sua vita. Sapeva leggere. ’antidoto contro il terribile ve vecchiaia. Sapeva leggere. Ma n niente da leggere. Sapeva legge coperta più importante di tut vita. Sapeva leggere. Possedeva contro il terribile veleno della Sapeva leggere. Ma non aveva eggere. Sapeva leggere. Fu la sc mportante di tutta la sua vit eggere. Possedeva l’antidoto contro Sapeva leggere I inchiostri su carta 50x65 cm., 2012

Sapeva leggere II inchiostri su carta 50x65 cm., 2012

da Luis Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore


importante va leggere. l terribile va leggere. re. Sapeva portante di . Possedeva eleno della non aveva ere. Fu la tta la sua l’antidoto vecchiaia. niente da coperta piÚ ta. Sapeva o il terribile


Cinzia Giambonini c.giambonini@bluewin.ch

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Dolce tesoro mio, come stai? An ho cercata al telefono e tu non c’ nella tua lontananza, ti trattano raccomando, se solo ti sfiorano u tu mandami a dire, che con la corpo mi mangio le strade e ti ra dopo voglio proprio vedere. Dolce t come stai? Anche oggi ti ho cercata e tu non c’eri, ma lì, nella tua lon ti trattano bene? Mi raccoman ti sfiorano un capello, tu manda che con la rabbia del corpo mi trade e ti raggiungo, e dopo vogl vedere. Dolce tesoro mio, come st oggi ti ho cercata al telefono e tu ma lì, nella tua lontananza, t bene? Mi raccomando, se solo t Mandami a dire linoleografia stampata a mano, su carta, 70 x 50 cm, 2012

da Pino Roveredo, Mandami a dire


nche oggi ti ’eri, ma lÏ, o bene? Mi un capello, rabbia del aggiungo, e tesoro mio, a al telefono ontananza, ndo, se solo ami a dire, mangio le lio proprio stai? Anche u non c’eri, ti trattano ti sfiorano


Anita Gianinazzi ginger73@bluewin.ch

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…Jasper Gwyn ebbe d’un tratto ensazione che quanto faceva ogni guadagnarsi da vivere non era p a lui. Voleva in qualche mod palle al muro perché sapeva c quel modo avrebbe avuto una trovare, in se stesso, quello che c risoluzioni definitive si prendon e soltanto per uno stato d’anim è destinato a durare. Jasper Gw nsegnato che non siamo persona torie. Ci fermiamo all’ idea di personaggio impegnato in chi avventura, anche semplicissima che dovremmo capire è che noi si a storia, non solo quel personaggi bosco dove cammina, il cattivo ch Possibilmente imperscrutabile inchiostro su carta Fabriano e legno di faggio, 77 x 57 x 6 cm, 2012

da Alessandro Baricco, Mr. Gwyn


la limpida i giorno per piĂš adatto do mettersi che solo in chance di cercava. Le no sempre mo che non wyn mi ha aggi, siamo i essere un issĂ quale a, ma quel iamo tutta io. Siamo il he lo frega,


Nicoletta Locarnini nilo@rcme.net

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“Padre,” disse il mattino del suo com n riva al fiume argentato, “voglio poeta.” “La poesia non è un mest passatempo. Le poesie sono acqua Come questo fiume.” Yuko tuffò nell’acqua silenziosa e lesta. Poi si l padre e disse: “ È esattamente voglio fare. Imparare a guardar che scorre.” “Padre,” disse il matti compleanno, in riva al fiume “voglio diventare poeta.” “La p è un mestiere. È un passatempo. ono acqua che scorre. Come que Yuko tuffò lo sguardo nell’acqua e lesta. Poi si voltò verso il padre esattamente quello che voglio fare a guardare il tempo che scorre.” Il tempo che scorre collage, inchiostro, tempera su carta velina, 48 x 19 cm, 2012

Yoko amava l’arte dell’haiku, la neve e il numero 7 collage, inchiostro, tempera su carta velina, 33 x 20 cm, 2012

da Maxence Fermine, Neve


mpleanno, o diventare tiere. È un a che scorre. lo sguardo i voltò verso quello che re il tempo ino del suo argentato, poesia non . Le poesie esto fiume.” a silenziosa e disse: “ È e. Imparare .” “Padre,”


Maurilia Minoli - Sposetti maurilia@ticino.com

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Mi segui con un pensiero, sei u che non devo nemmeno pensare brivido mi strini piano la pelle, occhi verso un punto chiaro di lu ricordo perduto e luminoso, sei il enza sogno e senza ricordi, la chiude e apre sulla corrente di mpetuoso. Sei una cosa che nessu può dire e che in ogni parola risu ’eco di un lento respiro, sei il mi oglie e primavere, la voce che c un posto che non so e riconosco e Sei l’ululato di un lupo, la voce vivo e ferito a morte. Il mio corp Mi segui con un pensiero, sei u che non devo nemmeno pensare brivido mi strini piano la pelle, Corpo stellare 7 inchiostro e gouache su carta velina e cartone, 70x50 cm, 2011 Corpo stellare 1 inchiostro e carboncino su carta 68 x 55 cm, 2012

da Fabio Pusterla, Corpo stellare


un pensiero e, come un muovi gli uce. Sei un l mio sogno porta che un fiume una parola uona come io vento di chiama da che è mio. e del cervo po stellare. un pensiero e, come un muovi gli


Enzo Pelli enzo.pelli@bluewin.ch

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Il vento che stasera suona attento un forte scotere di lame -gli stru fitti alberi e spazza l’orizzonte di trisce di luce si protendono come a cielo che rimbomba (Nuvole in viag reami di lassù! D’alti Eldoradi porte!) e il mare che scaglia a scag muta colore lancia a terra una chiume intorte; il vento che nasc nell’ora che lenta s’annera suona tasera scordato strumento cuor che stasera suona attento - ricord cotere di lame -gli strumenti dei e spazza l’orizzonte di rame dov uce si protendono come aquilon che rimbomba (Nuvole in viagg reami di lassù! D’alti Eldoradi Scordato strumento tecnica mista su carta, 84 x 55 cm, 2012 Meriggiare tecnica mista su carta, 56 x 42 cm, 2012

da Eugenio Montale, Ossi di seppia


o - ricorda umenti dei rame dove aquiloni al ggio, chiari malchiuse glia, livido, tromba di ce e muore asse te pure re Il vento da un forte fitti alberi ve strisce di ni al cielo gio, chiari malchiuse


Aymone Poletti aymonep@gmail.com

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Sospes a sull’abis degli abitanti d’Ottavia è meno he in altre città. Sanno che più a rete non regge Sospesa sull’abi degli abitanti d’Ottavia è meno i n altre città. Sanno che pi a rete non regge Sospesa sull’abi degli abitanti d’Ottavia è men che in altre città. Sanno che più a rete non regge. Sospesa sull’abi degli abitanti d’Ottavia è meno i n altre città. Sanno che più d rete non regge. Sospesa sull’abis degli abitanti d’Ottavia è men alt re città. Sanno che più di ta non regge Sospesa sull’abisso, la abitanti d’Ottavia è meno ince Ottavia, la città invisibile elaborazione digitale, 30x30 cm, 2012

da Italo Calvino, Le città invisibili


sso, la vita o incerta c 첫 di tanto isso, la vita incerta che i첫 di tanto isso, la vita no incerta 첫 di tanto isso, la vita incerta che di tanto la sso, la vita no ince in anto la rete vita degli erta che in


Paola Rezzonico parezzonico@gmail.com

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…lo spazio è il respiro dell’arte: Fr Wright …lo spazio è il respiro Frank Lloyd Wright …lo spazio dell’arte: Frank Lloyd Wright … l respiro dell’arte: Frank Lloyd W o spazio è il respiro dell’arte: Fr Wright …lo spazio è il respiro Frank Lloyd Wright …lo spazio dell’arte: Frank Lloyd Wright … l respiro dell’arte: Frank Lloyd W o spazio è il respiro dell’arte: Fr Wright …lo spazio è il respiro Frank Lloyd Wright …lo spazio dell’arte: Frank Lloyd Wright … l respiro dell’arte: Frank Lloyd W o spazio è il respiro dell’arte: Fr Wright …lo spazio è il respiro Qualcosa da sentire collage fotografico su carta cotone, 50 x 75 cm, 2012

da Axel Vervoordt, Dove il tempo diventa arte


rank Lloyd o dell’arte: è il respiro …lo spazio è Wright … rank Lloyd o dell’arte: è il respiro …lo spazio è Wright … rank Lloyd o dell’arte: è il respiro …lo spazio è Wright … rank Lloyd o dell’arte:


Luisa Serandrei luisa.serandrei@swissonline.ch

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“E se si considerasse la questio punto di vista diverso? Se il prob osse mio, ma del mondo che mi Se l’anomalia non avesse orig mia coscienza o nel mio spirito l mondo intorno a me ad a una trasformazione sotto l’ influ orza incomprensibile?….Allora portare ancora più avanti la sua “A generare disordine non sono mondo”. “A un certo punto il m conoscevo è scomparso, o uscito e gli si è sostituito un altro mo quando la corsia di un treno de binario all’altro.“…..E’ meglio c un nome adatto per la nuova situ cui mi sono venuta a trovare. Ser Andare in un luogo sconosciuto a incontrare una persona sconosciuta inchiostro su carta, 32,5x25 cm, 2012 Cose che non si possono contare sulle dita inchiostro su carta, 32,5x25 cm, 2012

da Haruki Murakami, 1Q84


one da un blema non i circonda? gine nella o, ma fosse aver subito usso di una a decise di riflessione. o io, ma il mondo che o di scena, ondo.Come evia da un che pensi a uazione in rvirĂ anche


Philipp Vogt studio63.78@gmail.com

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L’esperienza è un passaggio forte quotidiana: un luogo in cui la del reale si raggruma in pietr ricordo e racconto. È il momen ’umano prende possesso del suo r un attimo ne è padrone e non s esperienza di qualcosa, significa Non è detto che sia sempre L’esperienza è un passaggio forte quotidiana: un luogo in cui la perc reale si raggruma in pietra milia e racconto. È il momento in cu prende possesso del suo reame. Per ne è padrone e non servo. Fare di qualcosa, significa salvarsi. N che sia sempre possibile. L’esperi passaggio forte della uotidiana: I Barbari: saggio sulla mutazione elaborazione digitale, 30x30 cm, 2012

da Alessandro Baricco, I Barbari: saggio sulla mutazione


e della vita percezione ra miliare, nto in cui reame. Per servo. Fare a salvarsi. possibile. e della vita cezione del are, ricordo ui l’umano r un attimo esperienza Non è detto ienza è un : un luogo


Peter Wunderlich peter.wunderlich@gmail.com

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Nel mezzo del cammin di nostr ritrovai per una selva oscura ché via era smarrita. Ahi quanto a era è cosa dura esta selva selvaggi orte che nel pensier rinova la pau amara che poco è più morte; ma del ben ch’ i’ vi trovai, dirò de ch’ i’ v’ ho scorte. Io non so ben ri v’ intrai, tant’era pien di sonn punto che la verace via abband poi ch’ i’ fui al piè d’un colle giun terminava quella valle che m’ave l cor compunto, guardai in alto ue spalle vestite già de’ raggi d che mena dritto altrui per ogne c u la paura un poco queta. Nel cammin di nostra vita mi ritrov Dante senza fine Installazione: tecnica mista (legno, cartone, china, tempera), 200x100 cm, 2012

da Dante Alighieri, Divina Commedia Inferno, canto 1 (1-19)


ra vita mi é la diritta a dir qual ia e aspra e ura! Tant’ è per trattar l’altre cose idir com’ i’ no a quel donai. Ma nto, là dove ea di paura o, e vidi le del pianeta calle. Allor mezzo del vai per una


54 Scrivere a mano non ha quasi più una funzione pratica; in compenso il calligrafo moderno è molto più libero degli antichi scrivani. Può avvicinarsi alle parole in modo nuovo, interpretandole secondo motivazioni interiori, senza doversi attenere a canoni e regole. Può scegliere liberamente autori e testi, e perfino decidere di renderli parzialmente illeggibili, sacrificando ad altri valori la loro comprensibilità. In questa mostra, 18 calligrafi attivi in Ticino hanno scelto di mettersi in gioco e di confrontarsi con autori che hanno avuto un significato particolare nella loro esperienza di vita: troviamo in questa lista scrittori diversissimi, Dante Alighieri e Ray Bradbury, Italo Calvino e Marguerite Duras, Pusterla Montale Giordano Murakami Baricco Sepulveda Kundera… Ogni artista ha scelto la sua strada per trasporre in calligrafia (tradendoli?) i testi prediletti, spinto dalle proprie emozioni ma anche da consapevoli scelte stilistiche. Queste vanno a formare due correnti principali: una predilige la correttezza, la leggibilità e l’eleganza delle lettere – creando opere che nella loro modernità si richiamano comunque alla tradizione; l’altra ricerca invece forme espressive che rimandano ai testi iniziali attraverso soluzioni meno dirette, legate sì alle lettere, alla loro forma, ai loro ritmi, ma non necessariamente alla comprensibilità. Il calligrafo moderno cerca un livello di espressività più profondo di quello che può fornire la scrittura meccanica. Cerca, ma forse è la stessa cosa, una pausa dalla velocità che caratterizza i nostri tempi, per ritrovare la lentezza e la quiete delle emozioni profonde. La sua è un’arte che si esercita meglio nel silenzio. Come dice Roland Barthes, “colui che scrive, tace”.

Enzo Pelli


Bibliografia Dante Alighieri, La Divina Commedia. Editing digitale Kindle, 2010 Alessandro Baricco, I Barbari: saggio sulla mutazione. Feltrinelli, 2006 Alessandro Baricco, Mr. Gwyn. Feltrinelli, 2011 Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Mondadori, 1953 Italo Calvino, Le città invisibili. Mondadori, 1972 Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie. Rizzoli, 2010 Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie. illustr. da R. Dautremer. Rizzoli, 2011 Marguerite Duras, Écrire. Gallimard, 1993 Maxence Fermine, Neve. Bompiani, 1999 Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi. Mondadori, 2008 Milan Kundera, L’identità. Adelphi, 2001 Margaret Mazzantini, Venuto al mondo. Mondadori, 2008 Eugenio Montale, Ossi di seppia. Mondadori, 1948 Haruki Murakami, 1Q84. Einaudi, 2011 Corrado Pensa, Il silenzio tra due onde. Mondadori, 2010 Fabio Pusterla, Corpo stellare. Marcos y Marcos, 2010 Pino Roveredo, Mandami a dire. Bompiani, 2005 Luis Sepulveda, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Narratori della Fenice, 2000 Axel Vervoordt, Dove il tempo diventa arte. L’ippocampo, 2010

Il gruppo Calligrafia in Ticino si è costituito nel 2008. Conta una ventina di membri che hanno scelto l’arte della scrittura come forma di espressione artistica e come strumento di crescita personale.

Informazioni e immagini: http://enzopelli.jimdo.com


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