Sistemi di scambio non monetario e reciprocità: il caso di Banca del Tempo

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Sistemi di scambio non monetario e reciprocità: il caso di Banca del Tempo

INDICE

 Introduzione

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 Capitolo 1 Analisi socio-economica dei sistemi di scambio non monetario 1.1 Primi approcci teorici e applicazioni pratiche 1.2 Esperienze recenti: sviluppo locale e fattori socio-culturali 1.2.1 Panoramica delle esperienze all’estero 1.2.2 Diffusione del fenomeno in Italia 1.3 Principali vantaggi dei sistemi di scambio non monetario

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9 9 15 15 19 22

 Capitolo 2 Reciprocità e fiducia nella teoria economica 2.1 Da Karl Polanyi agli esperimenti in laboratorio 2.2 Recenti approcci economici alla reciprocità 2.3 Rilevanza economica della fiducia 2.3.1 Alcune definizioni preliminari 2.3.2 L’analisi economica della fiducia 2.3.3 La scuola sperimentale 2.3.4 Fiducia e capitale sociale

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Capitolo 3 Caratteristiche operative delle Banche del Tempo

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3.1 Nascita e diffusione delle Banche del Tempo 3.2 Elementi costitutivi e funzionamento 3.2.1 I servizi scambiati 3.2.2 Gli strumenti di scambio 3.2.3 La struttura organizzativa 3.3 Aspetti economici e giuridici dell’allocazione del tempo e dell’utilizzo del tempo come unità di conto 3.3.1 La cultura occidentale del tempo 3.3.2 L’allocazione del tempo nella teoria economica 3.3.3 Il riconoscimento giuridico del valore del tempo in Italia 3.3.4 Il tempo non è denaro 3.4 Reciprocità e fiducia in Banca del Tempo

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69 71 74 76 77

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81 81 82 90 92 97

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3.4.1 Differenze con il mercato 3.4.2 Differenze con lo Stato 3.4.3 Differenze con il Terzo settore e il volontariato 3.4.4 Differenze con i trasferimenti all'interno della famiglia 3.5 Ruolo della fiducia in Banca del Tempo

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 Capitolo 4 Economia relazionale e Banca del Tempo 4.1 Produzione e consumo di beni relazionali 4.2 Crescita economica e impoverimento relazionale 4.3 Scambio di tempo e beni relazionali

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Conclusioni

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Riferimenti bibliografici

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Sitografia

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Riferimenti normativi

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Introduzione Il presente lavoro nasce dall’interesse, di carattere economico, sociologico e antropologico, verso l’ideazione e l’implementazione di sistemi di scambio non monetario di beni e servizi, in particolare, dalla nascita di uno di questi sistemi, un buono chiamato «Solidarietà che cammina» (SCEC), che ha iniziato a circolare a Napoli nel 2007. Un sistema di scambio non monetario è uno strumento che consente ai partecipanti di scambiare beni e servizi pagando nei modi più disparati, ma senza utilizzare la moneta ufficiale a corso forzoso. Da sempre l’umanità ha scambiato beni e servizi, anche prima dell’invenzione della moneta. Tuttavia, gli ultimi trenta anni sono stati caratterizzati da una vera e propria proliferazione di sistemi di scambio di questo tipo. Il fenomeno non può essere circoscritto ad una determinata area geografica, dal momento che è possibile trovare sistemi di scambio non monetario quasi in ogni Paese. L’insieme di tali sistemi presenta un’elevata eterogeneità al suo interno, sia per quanto riguarda gli obiettivi, di natura economica, sociale, ambientale o un insieme dei tre, che si prefiggono di raggiungere attraverso gli scambi; sia relativamente alle regole operative adottate: stampa di banconote cartacee o assegni, uso della moneta elettronica, uso di software che permettono di contabilizzare i debiti e i crediti dei partecipanti. Tuttavia, trovano una caratteristica comune nell’importanza assegnata alla reciprocità degli scambi, alla fiducia e alla affidabilità dei partecipanti. L’attivazione di scambi ispirati dal criterio di reciprocità è una caratteristica anche di quei sistemi che si prefiggono obiettivi prettamente economici, cioè quei sistemi che nascono per rispondere a crisi del mercato locale del lavoro o crisi di scarsità della moneta ufficiale. In generale, un sistema di scambio non monetario definisce gli scambi in maniera antitetica rispetto allo scambio di equivalenti all’interno di un mercato regolatore dei prezzi. Infatti, uno degli obiettivi principali di tutti i sistemi di scambio non monetario riguarda la capacità di creare relazioni interpersonali basate su reciprocità e fiducia. Le relazioni interpersonali create dai partecipanti sono caratterizzate da una componente strumentale, il vantaggio economico reale prodotto dagli scambi, e da una componente 3


relazionale, che nella maggior parte dei casi tende a prevalere sulla prima. Attraverso la ripetizione di scambi reciproci, tali relazioni possono rafforzare le reti fiduciarie di un dato sistema economico e aumentare la sua dotazione di capitale sociale. Quindi, un sistema di scambio strutturato secondo il principio della reciprocità può essere un utile strumento di sviluppo locale. Il sistema di scambio non monetario più diffuso e più longevo in Italia è il sistema delle banche del tempo, formato da più di 200 banche diffuse su tutto il territorio nazionale1. Le banche del tempo rappresentano un unicum nel variegato panorama descritto finora, in quanto adoperano i concetti di scambio, reciprocità e tempo in maniera originale. L’adesione ad una banca del tempo consente di ottenere benefici pratici e una migliore allocazione del proprio tempo, ma soprattutto consente l’adozione di comportamenti pro-sociali (other-regarding) ispirati dalla reciprocità e dalla fiducia, che permettono ai soci di creare una rete di relazioni che non possono essere definite strumentali o di mercato, né possono essere fatte rientrare nel mondo del volontariato e nemmeno nella sfera affettiva o amicale, pur presentando alcune caratteristiche di ognuna di queste tipologie di relazioni. Infine, i continui investimenti in tempo di relazione, che accompagnano gli scambi di tempo tra i soci, possono esercitare un effetto positivo sul loro benessere e sulla soddisfazione di vita dichiarata (Bruni e Stanca 2005; Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Gli scambi, all'interno delle banche del tempo e in generale nei sistemi di scambio non monetario, sono difficilmente spiegabili con gli strumenti della teoria economica standard e della scelta razionale. Per questo, è necessario impiegare gli strumenti di analisi economica prodotti dagli approcci e dagli studi più recenti, che cercano di dare conto dell’insorgenza di comportamenti pro-sociali e di agenti economici che, nella scelta tra le diverse opzioni strategiche possibili, prendono in considerazione anche le relazioni interpersonali, le proprie motivazioni e quelle degli agenti con cui interagiscono. In sostanza, i nuovi sviluppi della scienza economica puntano a dimostrare che le persone sono meno egoiste di quanto preveda la teoria 1

Le banche del tempo italiane censite dall’Associazione Nazionale Banche del Tempo (ANBdT) sono 209.

http://www.associazionenazionalebdt.it/dove-siamo.html

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standard e, sotto alcune condizioni, non si comportano sempre da opportunisti che mirano alla massimizzazione della propria utilità. In questo lavoro, la reciprocità è analizzata a partire dalla definizione di Polanyi (1957) e dalla teoria del dono di Mauss (1924), per arrivare ai modelli economici recenti delle scuole «sperimentale» e «comportamentale», facendo ricorso ad alcuni concetti della teoria dei giochi (Sugden 1984; Rabin 1993; McCabe, Rigdon e Smith, 2003). Le due scuole hanno prodotto un elevato numero di dati, frutto di ricerca sul campo e di esperimenti in laboratorio, ma non sono ancora arrivate ad una teoria generale che spieghi tutti i comportamenti ispirati dalla reciprocità. Dopo aver proposto alcune definizioni della fiducia partendo dalle idee di Adam Smith e Antonio Genovesi, anche quest’ultimo concetto è analizzato con gli strumenti delle due scuole economiche recenti, incrociando i risultati di alcuni “giochi sulla fiducia”, la teoria detta trust responsiveness (Pelligra 2007) e i dati raccolti nell’indagine statistica World Values Studies. Inoltre, è analizzato il rapporto tra la fiducia e il capitale sociale (Garofolo e Sabatini 2008; Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011). Reciprocità e fiducia sono entrambe analizzate alla luce della teoria della produzione e del consumo di beni relazionali, come caratteristiche fondamentali di ogni interazione, anche di quelle strumentali (Uhlaner 1989; Gui e Sugden 2005; Pugno 2007; Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Tale approccio permette di definire gli scambi di servizi come «incontri» (Gui 2000) e una banca del tempo come un’organizzazione che fornisce gli asset relazionali che rientrano nel processo di produzione e consumo di beni relazionali, facilitando gli scambi di servizi e lo sviluppo di relazioni interpersonali non strumentali. I risultati di questi recenti sviluppi teorici aiutano a spiegare gli scambi di servizi all'interno delle banche del tempo italiane. L'analisi di banca del tempo punta a dimostrare la rilevanza economica del fenomeno e, in generale, dei comportamenti pro-sociali, attraverso un nuovo modo di intendere lo scambio, il tempo e le relazioni interpersonali. Dopo aver tracciato la storia delle banche del tempo (Amorevole, Colombo e Grisendi 1996; Greco 2001) e descritto le caratteristiche operative (Amorevole 1999; 5


Capizzi 2000), l’analisi si concentra sulla definizione del tempo da parte sia della teoria economica standard (Becker 1965) che della teoria economica relazionale (Becchetti 2007); quindi, sul significato che il tempo assume negli scambi di servizi tra i soci (Galeotti 2005). Oltre alla recente letteratura economica già descritta, l’analisi degli gli scambi in una banca del tempo fa ricorso a recenti indagini sociologiche sulle esperienze italiane (Capizzi 2000; Galeotti 2005) e straniere (Molnar 2001; Seyfang 2002). Una delle principali difficoltà del presente lavoro è stata la ricerca dei dati, avendo come oggetto una realtà molto eterogenea e in continuo mutamento. Alcuni dati sono disponibili on line all’interno dei siti di alcune banche del tempo e dell’Associazione Nazionale Banche del Tempo. La maggior parte dei dati analizzati in questo lavoro proviene da Capizzi (2000) e Galeotti (2005). Capizzi riporta i risultati di un questionario strutturato somministrato ai membri di 9 banche del tempo di Bologna e provincia nel periodo settembre-ottobre 1997, all'interno di un Progetto di ricerca finanziato dal Comune e dall’Ente Cooperativo per l’Apprendimento (Ecap) di Bologna per la stesura del Piano di regolazione degli orari del Comune di Bologna. Il questionario, al quale hanno risposto 152 iscritti alle 9 banche del tempo (su 280), analizza i valori che spingono i soci a scambiare, come giudicano le norme che regolano gli scambi e gli strumenti utilizzati, il grado di condivisione degli scopi e degli obiettivi della banca del tempo alla quale sono iscritti. L’indagine di Galeotti è più recente e offre una maggiore varietà di dati. Anche in questa ricerca è stato utilizzato un questionario, somministrato tra la primavera e l’estate del 2003 a 240 soci di altrettante banche del tempo sparse su tutto il territorio nazionale. Dei 240 questionari inviati per posta, ne sono stati compilati 122. La disponibilità di dati migliori ha permesso l’individuazione di alcune caratteristiche strutturali delle banche del tempo relative a: struttura organizzativa, livello istituzionale, numero e caratteristiche dei soci, numero e tipologie di scambi. Inoltre, il questionario contiene alcune domande alle quali il compilatore deve rispondere, a titolo personale, riguardo al suo livello di coinvolgimento, alle motivazioni, al ruolo giocato dalla fiducia, ai punti di forza e di debolezza della banca del tempo alla quale è iscritto. 6


I dati relativi alla fiducia e al tempo speso in relazioni sono presi dall’indagine World Values Survey2. In particolare, sono riportati i dati delle indagini condotte dal 1991 al 2000 e i dati dell’ultima indagine, del 2005 – 2008, relativi all’importanza della fiducia in Italia e in alcuni Paesi aderenti alla Organization for Economic Cooperation and Development (OECD), il livello di fiducia verso i familiari, i conoscenti e gli estranei in Italia, il tempo speso in relazioni informali con familiari, con i colleghi fuori dall’orario di lavoro, all’interno di gruppi religiosi e con gli amici. Infine, i dati relativi all’importanza del tempo disponibile per i servizi di cura e per le relazioni e agli effetti dell’indebolimento della rete di aiuto informale e dell’impoverimento relazionale in Italia, sono presi dal Rapporto annuale dell’Istat La situazione del Paese nel 2010 (Istat 2011). Il lavoro è strutturato nel modo seguente. Il primo capitolo introduce l’argomento dei sistemi di scambio non monetario e delle monete complementari. Fornisce una panoramica storica dei principali sistemi di scambio dagli inizi del Novecento e durante la Grande Depressione, fino alla “seconda ondata” di diffusione iniziata negli anni Ottanta del secolo scorso. Quindi, descrive i vantaggi economici, sociali e ambientali che possono derivare dall’implementazione di un sistema di scambio non monetario. Il secondo capitolo fornisce gli strumenti teorici necessari alla spiegazione degli scambi di servizi all’interno di una banca del tempo. Propone un’analisi della reciprocità e della fiducia attraverso le prime definizioni dei due concetti in autori del passato, come Smith e Genovesi, e per mezzo dei più recenti strumenti teorici messi a disposizione dalla teoria dei giochi e dalle scuole economiche sperimentale e comportamentale. Il terzo capitolo è incentrato sulle banche del tempo italiane. Analizza prima la storia e le caratteristiche operative, per poi concentrarsi sulle definizioni del tempo e del suo valore proposte dalla teoria economica standard e relazionale, dalle leggi italiane che disciplinano i tempi delle città, infine, dalle banche del tempo. Utilizza i

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http://www.worldvaluessurvey.org/

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concetti di reciprocità e fiducia così come sono stati definiti nel capitolo due per spiegare i trasferimenti di servizi alla base di una banca del tempo. L’ultimo capitolo riassume alcuni dei principali risultati della teoria della produzione e del consumo di beni relazionali e introduce il tema del rapporto tra ricchezza, soddisfazione di vita e relazioni interpersonali. Sulla base dell’importanza assegnata dall’approccio economico relazionale agli investimenti in tempo di relazione, il capitolo propone le banche del tempo e gli scambi su cui si reggono come strumenti per contrastare l’impoverimento relazionale che colpisce le società avanzate. Le conclusioni chiudono il lavoro.

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Capitolo 1 Analisi socio-economica dei sistemi di scambio non monetario 1.1 Primi approcci teorici e applicazioni pratiche Forme di scambio non monetario sono sempre esistite3 e sono state ampiamente descritte e analizzate dagli antropologi. Spesso la moneta, come mezzo di scambio, ha preso la forma di moneta-merce (commodity money): ad esempio il sale, il tabacco e, prima ancora, il bestiame hanno svolto questa funzione. La moneta-merce ha valore in sé ed è una forma di baratto indiretto (Greco 2001). Anche i metalli preziosi come l'oro o l'argento, usati come moneta, rientrano in questa categoria, in quanto possono essere considerati come commodities, con un determinato valore e una determinata domanda, ma con il vantaggio di poter essere utilizzati per coniare monete. In particolare, i vantaggi di una moneta-merce in metalli preziosi rispetto ad altri beni sono: stabilità del valore, più facile trasferibilità, divisibilità; caratteristiche che sono proprie anche delle monete moderne. Tuttavia, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, molti Paesi hanno assistito ad una vera esplosione di sistemi di scambio di beni, servizi e conoscenze che non prevedono l’uso della moneta ufficiale come una unità di conto e mezzo di pagamento degli scambi che avvengono tra i soci. In alcuni casi, tali sistemi utilizzano monete stampate su un supporto cartaceo, oppure assegni, in altri casi, contabilizzano gli scambi tra i soci in un sistema a doppia entrata, senza stampare moneta cartacea. I sistemi di scambio che non utilizzano la moneta ufficiale sono diffusi in tutto il mondo e sono tra loro molto eterogenei. Ad esempio, esistono innumerevoli tipologie di voucher e “buoni” (dai buoni pasto alle miglia aeree) che danno al possessore il diritto a determinati beni e servizi, in cambio di una forma di moneta diverse da quella 3

Alcuni esempi sono: il baratto, il cosiddetto “baratto muto”, lo scambio kula delle isole Trobriand.

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ufficiale a corso legale. Questo sistema in particolare, è spesso definito «valuta di fidelizzazione», in quanto tali monete presentano obiettivi commerciali di tipo business-to-consumer: sono emesse da un’azienda commerciale e sono spese dai consumatori. Inoltre, esistono moltissime monete di tipo business-to-business che sono scambiate tra le imprese e, per questo, sono definite trade credit in inglese. Lietaer e Hallsmith (2006) ne contano circa 500 in tutto il mondo; le più grandi e più longeve si trovano negli Stati Uniti: International Reciprocal Trade Association (IRTA4) e Barter Systems5. Accanto a queste monete emesse con obiettivi commerciali, esistono sistemi di scambio non monetario con obiettivi diversi e che perseguono finalità sociali o di sviluppo economico locale. Tali sistemi di scambio sono definiti in molti modi. Spesso sono definiti «monete complementari», «alternative» o «parallele», sulla base del rapporto con la moneta ufficiale. Le monete utilizzate all'interno di questi sistemi, circolano parallelamente alla moneta ufficiale e, in molti casi, è possibile acquistare beni e servizi pagando in parte in moneta a corso forzoso e in parte con le unità di conto parallele6. Invece, le definizioni come «monete locali» o «comunitarie» enfatizzano la dimensione e l’ambito di riferimento di queste monete, con la differenza che persone tra loro molto distanti possono utilizzare la stessa moneta comunitaria grazie a Internet, alla moneta elettronica e alle nuove tecnologie che garantiscono la sicurezza dei trasferimenti telematici. La moneta, sia convenzionale che complementare, è un oggetto sociale differente dal denaro, che è invece un concetto ontologico: il denaro è l’idea, la moneta è il suo corrispettivo materiale. Inoltre, la moneta deve presentare due condizioni: una traccia scritta, cioè delle regole o dei segni che ne certificano la validità, e l'intenzionalità sociale o collettiva, cioè il suo utilizzo deve avvenire sulla base di un riconoscimento sociale del suo ruolo (Turri 2009). Le principali funzioni svolte dalla moneta ufficiale sono essenzialmente tre (Greco 2001): 4

http://www.irta.com/ http://www.bartersys.com/how.asp 6 Ad esempio, è possibile con gli SCEC in Italia o i Wir in Svizzera. 5

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1. unità di conto: la moneta misura il valore di beni e servizi; 2. strumento di pagamento: è un mezzo di scambio di beni e servizi; 3. riserva di valore: permette di trasferire la ricchezza nel futuro.

La maggior parte delle monete complementari svolge la funzione di mezzo di scambio, «they are intended to serve purely as a medium of exchange that circulates among a limited group of associated traders who may be geographically proximate or widely dispersed» (Greco 2007, p. 13). Invece, per determinare il valore dei beni e servizi scambiati, le monete complementari si affidano, nella maggior parte dei casi, al circuito economico ufficiale e fissano il proprio valore in base alla parità con la valuta convenzionale. Il vantaggio del riferimento al valore della moneta convenzionale deriva dalla maggiore semplicità e dalla “familiarità”, nel senso che chi utilizza la moneta complementare non deve fronteggiare due sistemi di prezzi: uno espresso nella valuta nazionale ed uno nella moneta complementare. Un altro vantaggio può essere la stabilità della valuta nazionale, come nel caso dei Wir rispetto al franco svizzero; mentre, eventuali crisi dovute all’instabilità della moneta ufficiale avranno effetti negativi sulla moneta complementare. Invece, altri sistemi di scambio fissano il valore dei beni e servizi scambiati in base al tempo, ad esempio, Banca del Tempo in Italia oppure i Time dollars negli Stati Uniti. Infine, a differenza delle valuta convenzionali, le monete complementari non svolgono la funzione di riserva di valore e non producono interessi. Al contrario, alcune monete sono caricate di un interesse negativo chiamato demurrage. Nel XIX secolo, si sono sviluppate alcune esperienze legate alle teorie di Proudhon, il quale fonda la Banca del Popolo in Francia, e Owen, che fonda una comunità in Inghilterra all’interno della quale circolano una sorta di certificati di lavoro (National Equitable Labour Exchange). Tali esperienze anticipano i sistemi di scambio non monetario attuali. Il primo economista a proporre un tipo di moneta, parallela a quella ufficiale e caricata di un interesse negativo, chiamato demurrage, è stato Silvio Gesell, le cui opere esercitano ancora oggi una notevole influenza su 11


coloro che studiano o implementano sistemi di scambio non monetario. La sua opera principale, The Natural Economic Order, ha ispirato Irving Fisher per la stesura del libro Stamp scrip (1933) e ha ricevuto l'apprezzamento di Keynes, il quale, nel suo The General Theory, afferma: «I believe that the future will learn more from the spirit of Gesell than from that of Marx. […] The idea behind stamped money is sound» (1936, p. 221). L'economista7 e anarchico tedesco propone una moneta caricata di interesse negativo e utilizza il termine demurrage, preso in prestito dal linguaggio commerciale marittimo, che in italiano è traducibile con “diritti di controstallia”8. Il punto centrale della teoria di Gesell è che la moneta svolge perfettamente la funzione di mezzo di scambio e strumento di pagamento, tuttavia non svolge in maniera adeguata la funzione di riserva di valore, perché tende a concentrarsi in poche mani. Quindi, il suo obiettivo è rendere più difficile l’accumulazione di denaro attraverso un interesse negativo, che equivale a imporre una tassa sul possesso e sull'utilizzo della moneta, oppure, utilizzando un linguaggio keynesiano, equivale a eliminare il premio di liquidità associato alla moneta9. La moneta ideata da Gesell perde costantemente valore, impedendo a chi la utilizza di poterla accumulare. La tassa è rappresentata da un francobollo da applicare sul retro della banconota ogni volta che questa è utilizzata, oppure da applicare periodicamente, in un determinato giorno del mese o della settimana. Se, ad esempio, si applica un francobollo da 1 centesimo su un biglietto che vale 1 dollaro ogni mercoledì, dopo un anno e cioè dopo 52 settimane, la banconota è costata al suo possessore 52 centesimi e il suo valore sarà quindi di soli 48 centesimi. Questo comporta che il possessore cercherà di spenderla prima di dover applicare il francobollo, aumentando così la velocità di circolazione della moneta. Il ricavato dalla vendita dei francobolli è utilizzato per le spese di gestione del sistema e in particolare 7

Fisher lo definisce “quasi-economist”. Inoltre, sebbene non condivida in pieno la teoria dell'interesse di Gesell, tuttavia paragona l'invenzione degli stamp scrips per la scienze economica a quella del laringoscopio per la medicina (Fisher 1933). 8 L’espressione indica il risarcimento in denaro che il noleggiatore di una nave deve pagare all'armatore per i danni derivanti da un eventuale ritardo nelle operazioni di carico e scarico. 9 La principale critica rivolta a Gesell da Keynes è che l’uso di una moneta senza premio di liquidità avrebbe spinto le persone a cercare dei sostituti, come moneta estera, gioielli o metalli preziosi, quindi non avrebbe prodotto i risultati sperati (Keynes 1936).

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per la stampa delle banconote e dei francobolli. Alcuni esempi di sistemi di scambio non monetario ispirati alle idee di Gesell e diffusi sia in Europa che negli Stati Uniti sono descritti da Fisher (1933) e, più di recente, da Greco (2001)10. Un esempio di moneta locale con demurrage è rappresentato dal Wära, che ha circolato negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale in una Germania colpita da una grave crisi inflazionistica. Il Wära, il cui nome deriva dai termini tedeschi “Ware” e “Währung” che significano rispettivamente beni e moneta, circolava in banconote di piccolo taglio che i privati potevano acquistare dalla “Wära Exchange Association”, presso la quale potevano essere acquistati anche i francobolli (stamps) da 1 centesimo che andavano applicati sul retro ogni settimana. I successi e il dibattito attorno al Wära influenzarono altre esperienze simili nell'Europa di quegli anni. Nel 1931 a Schwanenkirchen, una piccola città della Bavaria, il proprietario di una miniera di carbone, unica industria locale che assorbiva gran parte della mano d'opera, decise di riprodurre l'esperienza dei Wära. Con un prestito in marchi acquistò un certo ammontare di Wära dalla “Wära Exchange Association” e con questi pagò i suoi operai, dopo aver convinto i commercianti locali ad accettare la nuova moneta. I giornali dell'epoca parlano del “miracolo di Schwanenkirchen” e sia Fisher (1933) che Greco (2001) spiegano tale miracolo con l'aumento della velocità di circolazione del Wära: l’introduzione dei francobolli ha fatto sì che i cittadini di Schwanenkirchen spendessero più velocemente i Wära e che questi circolassero solo a livello locale, dove erano accettati dai commercianti, trattenendo così la ricchezza nel piccolo paese. Tuttavia, il Governo tedesco con una apposita legge rese illegale la circolazione dei Wära, mettendo fine al sistema. La notizia del successo dei Wära giunse anche in Austria, in particolare fino alla città di Wörgl. In questo caso non fu un'associazione o un privato ad emettere la moneta locale, ma il sindaco della città, che strinse accordi sia con i commercianti locali sia con la banca del paese. Le banconote circolanti a Wörgl presero il nome di “Woergl Certified Compensation Bills” e, come era già successo per i Wära, furono bloccati e 10

Oggi pochi sistemi di scambio non monetario adottano il demurrage. Alcuni esempi sono la moneta “Terra” ideata da Bernard Lietaer e il Systèmes d’Echanges Communitaires a Dakar, in Senegal.

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ritirati dal Governo austriaco (Greco 2001). Stando a quanto riportato da Fisher (1933), l'introduzione della nuova moneta servì a dare una spinta alle attività commerciali, la gran parte delle quali era chiusa a causa della crisi e della mancanza di denaro liquido, a ridurre la disoccupazione e a raccogliere le tasse sufficienti a risanare il bilancio del paese. Inoltre, grazie alle nuove risorse raccolte tramite le tasse e la vendita dei francobolli, il Comune riuscì a migliorare alcune infrastrutture, come la rete stradale, e a realizzarne di nuove, ad esempio la rete fognaria. L’uso degli stamp scrips ha avuto una grande diffusione negli Stati Uniti11. Infatti, Fisher descrive una serie di esperienze di barter associations e stamp scrips che nascono in varie città americane, sull'onda dei successi registrati in Europa. Per l'autore, gli stamp scrips non sono una panacea economica, ma possono essere molto utili in risposta ad una crisi come quella degli anni Trenta. Fisher non considera la Grande Depressione come una crisi di sovrapproduzione e una delle prove a sostegno di questa affermazione è la diffusione, in quegli anni, di vari sistemi di baratto: i beni non sono prodotti in quantità eccessiva, ma sono fermi per la scarsità di un mezzo di scambio, la moneta. Quindi, il problema principale è la scarsità di moneta e il fatto che gli agenti economici tendano a tesaurizzare la poca moneta disponibile. Gli stamp scrips rappresentano un rimedio temporaneo12 contro crisi di questo tipo e, superata la crisi, possono anche uscire dalla circolazione. Inoltre, Fisher sottolinea che tale sistema può essere applicato anche su scala nazionale. Il metodo più efficace, per implementare un sistema di scambio basato sugli stamp scrips, è quello di Wörgl, dove le monete e i francobolli sono stati emessi dal Comune. In questo modo, il Comune può ridurre la disoccupazione e aumentare la velocità di circolazione della moneta a livello locale, ma soprattutto può disporre di un reddito da signoraggio che deriva dal pagamento dei francobolli, ovvero dal pagamento di una tassa sul possesso della moneta, i cui proventi possono essere utilizzati dal Comune per scopi pubblici e di utilità sociale. 11 12

Secondo Greco, sono migliaia le monete di questo tipo nate durante la Grande Depressione (2001). Fisher utilizza l'espressione priming the pump che può essere tradotta con: innescare il processo di crescita, a sottolineare la capacità degli stamp scrips di circolare più velocemente della moneta ufficiale, soprattutto in una situazione di crisi, consentendo una più rapida ripresa economica.

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Il sistema svizzero dei Wir è stato ispirato dalle idee di Gesell ed è considerato uno dei più efficienti sistemi di scambio non monetario (Greco 2001). Attivo dal 193413, è anche il sistema che esiste da più tempo. Wir significa “noi” in tedesco, inoltre è la prima sillaba della parola Wirtschaftsring che significa “business circle” o “scambio ad anello” (Pittau 2003). Il circuito Wir è una cooperativa e utilizza una moneta il cui valore è pareggiato a quello dei franco svizzero, ma non è convertibile in moneta convenzionale. Il credito concesso in Wir, privo di interessi, aumenta il potere d’acquisto e la velocità di circolazione di beni e servizi, poiché «lacking any opportunity to earn interest, the Wir clearing credits were radily spent rather than hoarded» (Greco 2001, p. 67). Tra alti e bassi, il sistema Wir è arrivato ai giorni nostri aumentando il numero dei soci fino a 77 000 membri, tra piccole imprese e famiglie, e sostituendo le banconote con una valuta interamente telematica (Stodder 2009).

1.2 Esperienze recenti: sviluppo locale e fattori socioculturali 1.2.1 Panoramica delle esperienze all’estero Alcuni autori (Greco 2001) individuano due ondate di diffusione delle monete complementari. La prima è stata descritta nel paragrafo precedente e può essere considerata una risposta alla Grande Depressione e alla scarsità di moneta convenzionale. La seconda ondata è iniziata negli anni Ottanta del secolo scorso. I sistemi di scambio della seconda generazione non nascono solo con lo scopo di rispondere ad una crisi, come Wir e stamp scrips durante gli anni della Grande Depressione. Infatti la nascita dei nuovi sistemi è quasi sempre accompagnata da una profonda riflessione sul cambiamento istituzionale e sul ruolo del mercato nelle società moderne. Tali sistemi continuano a darsi obiettivi soprattutto di carattere economico, 13

Greco (2001) e Stodder (2009) riportano come data di nascita dei Wir il 1934, invece, secondo Pittau (2003), i Wir sarebbero nati nel 1932.

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ma si fanno portatori di un discorso sociale, culturale e relazionale, insistendo sulla possibilità di valorizzare le capacità e i talenti individuali, rafforzare la reciprocità, la fiducia e i comportamenti cooperativi, innescare processi virtuosi di sviluppo locale e comunitario, per contrastare la spersonalizzazione dei rapporti sociali e la loro mercificazione causata dall’espansione del mercato (Polanyi 1944; Hirsch 1976). Spesso, come nel caso dei LETS, l’uso della moneta complementare è inserito in un dibattito più ampio legato alla creazione della moneta attraverso il sistema bancario ufficiale, il debito e la riserva frazionaria (Federal Reserve Bank 1992; Greco 2001). L’uso delle monete complementari permette alle comunità di ideare, creare e implementare uno strumento di scambio in maniera completamente autonoma, per questo sono uno strumento di empowerment comunitario. La seconda ondata di sistemi di scambio non monetario parte dall’America settentrionale. Dagli anni Settanta, gli Stati Uniti e il Canada assistono alla nascita di numerosi esperimenti di monete complementari: Community Exchange, Green Dollars Member Organized Resource Exchange system (MORE) (Pittau 2003) e, nel 1979 nasce l’associazione IRTA (Greco 2001). Agli inizi degli anni Ottanta, il canadese Michael Linton sperimenta il sistema dei Local Exchange Trading System (LETS). Il sistema LETS nasce in una piccola comunità della British Columbia, in Canada, colpita da una grave crisi occupazionale legata alla chiusura delle principali imprese locali (Lietaer e Hallsmith 2006), per poi diffondersi rapidamente, dapprima nei Paesi di lingua inglese, in particolare in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda, e in seguito nel resto del mondo. Il sistema dei LETS presenta differenze al suo interno, relative ad alcune caratteristiche come il nome dell’unità di conto, mentre le caratteristiche principali sono le stesse per tutto il sistema. I LETS sono associazioni non profit, definite genericamente mutual credit o communty credit system e funzionano come clearing house (Greco 2001), camere di compensazione, che registrano le transazioni tra i soci. Quando un nuovo socio aderisce ad un LETS, apre un conto corrente, sul quale sono registrati i crediti e i debiti che derivano dagli scambi. Se il socio A fornisce un bene o un servizio del valore di un LETS dollar al socio B, la segreteria addebita un LETS dollar sul conto di B e ne accredita uno su quello di A. Di solito, 16


all'interno di tali sistemi, il valore del mezzo di pagamento è parificato a quello della moneta convenzionale, ma questo non esclude la possibilità per i partecipanti di contrattare il valore di beni e servizi scambiati. L’aspetto più importante del sistema ideato da Linton riguarda l’emissione della moneta completare. Ogni LETS locale si limita a registrare le transazioni e non emette moneta, infatti, sono gli stessi soci a emettere la quantità di moneta necessaria per portare a termine una determinata transazione: «LETS dollars or green dollars credit are created by LETS members themselves, as needed, to execute a trade» (Ibidem, p. 90). Quando il socio B paga un bene o un servizio al socio A, il sistema effettua una scrittura sul conto del primo, il che equivale a creare la moneta necessaria a pagare il socio A. In genere, i LETS dollars non hanno interessi, né negativi né positivi, ma pongono un limite ai debiti e ai crediti che è possibile accumulare nei confronti del sistema. Sempre negli anni Ottanta, negli Stati Uniti, nasce il sistema di service credit detto Time Banking, precursore delle banche del tempo italiane. Tale sistema di scambio presenta caratteristiche operative simili ai LETS, per quanto riguarda la modalità di contabilizzazione degli scambi, ma fissa il valore del mezzo di pagamento in base al tempo necessario alla fornitura del servizio scambiato e non in base alla parità con la moneta convenzionale14. In Francia e in Germania, i LETS sono chiamati rispettivamente Systèmes d’Echanges Locaux (SEL) e Tauschring (TR). I SEL francesi nascono nel 1994 e funzionano esattamente come i LETS. Tuttavia, non hanno obiettivi di carattere prevalentemente economico, come i LETS, essendo maggiormente concentrati su un discorso di convivialità e solidarietà tra i partecipanti. Ad esempio, i SEL hanno eliminato dall’acronimo LETS la parola trading e, secondo Galeotti (2005), è il sintomo di una idea di scambio più vicina al dono che al mercato, fondata sulla reciprocità, ma più vicina alle relazioni amicali che ad uno scambio economico. Anche l’aggettivo locale fa riferimento più alla dimensione affettiva e amicale che a quella geografica. Inoltre, negli stessi anni si diffondo anche in Francia sistemi di scambio 14

Come nelle banche del tempo italiane, in questi sistemi si tende a scambiare soprattutto servizi, più facilmente misurabili attraverso il tempo. Anche Lietaer e Hallsmith, nella loro Guida alle monete complementari (2006), consigliano di limitare questi sistemi allo scambio di servizi ed evitare lo scambio di beni.

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ispirati alle prime esperienze di time banking, con il nome di Troc Temps (Baratto di Tempo), al cui interno si scambiano solo servizi e il cui valore è definito in base al tempo. Infine, sempre in Francia, nascono alla fine degli anni Ottanta, le reti associative di scambio dei saperi: Réseaux Associatif d’Echanges (RERS), dall’idea di una insegnante della periferia di Parigi che le ha sperimentate per la prima volta nella propria classe. In seguito, si sono diffuse in tutta la Francia, che ne conta 400, e in altri Paesi: Austria, Belgio, Brasile, Romania, Svizzera, Spagna (Galeotti 2005). All'interno delle RERS sono scambiati unicamente saperi e conoscenze. Gli scambi non sono contabilizzati né in base ad una moneta complementare né in base al tempo, il sistema si basa soltanto sull’idea che tutti sono portatori di conoscenze e sul principio di reciprocità, che impone di offrire le proprie conoscenze e di ricambiare i saperi che si ricevono dagli altri. Le RERS favoriscono la formazione, rafforzano la fiducia in se stessi e migliorano le capacità di relazionarsi con gli altri. I Tauschring tedeschi, “circoli di scambio”, nascono nel 1992, ispirati dall’esperienza dello scambio di buoni di tempo tra persone anziane e tra malati nella Germania del Sud. Attorno al 2000 esistevano circa 220 TR, concentrati nelle zone urbane (Pittau 2003). I TR presentano una forte connotazione solidaristica e puntano a ridurre la dipendenza dal mercato e aumentare gli scambi attraverso la reciprocità. Negli anni recenti, molti TR hanno attivato collaborazioni con altri organismi dell’economia sociale e con le amministrazioni locali (Galeotti 2005). Il sistema LETS ha ispirato la nascita di molti sistemi di scambio in tutto il mondo, ad esempio, in Thailandia nel 2000, dopo la crisi finanziaria che ha colpito il Paese. Invece, a Dakar (Senegal), tra il 1998 e il 1999 è nato il Systèmes d’Echanges Communitaires, ispirato ai SEL francesi, con la differenza che l’unità di conto, chiamata Bon, equivale ad un’ora di lavoro ed è caricata di un interesse negativo: ogni mese bisogna applicare un francobollo sul retro della banconota. Le monete complementari sono molto diffuse in America del Sud: in Ecuador, in Venezuela (INTERSER) e in Messico (Tianguis Tlaloc15). La Red Global de 15

Sul Tianguis Tlaloc, si veda DeMeulenaere, Lopezllera e Greco (1999). Per approfondire la conoscenza dei sistemi di scambio comunitario in Africa, Asia e Sud America, si veda Pittau (2003).

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Trueque (Rete Globale di Scambio) è nata in Argentina nel 1995, formata da Club di scambio, di solito composti da un massimo di 200 persone, diffusi in tutto il Paese e collegati in rete tra loro. L’obiettivo non è quello di sostituirsi all’economia formale, ma implementare un sistema economico parallelo in grado di risolvere problemi materiali, legati alla scarsità del denaro e alla sua eccessiva inflazione, consentendo allo stesso tempo di sviluppare relazioni di reciprocità e fiducia tra i partecipanti e valorizzare le capacità individuali. L’importanza di questa rete è stata riconosciuta dal Governo argentino nel 2000, attraverso un apposito accordo che sancisce l’impegno del Governo nel sostenere la Rete di Scambio. Infine, i vari Club de Trueque hanno svolto un ruolo fondamentale durante la crisi argentina del 2001 - 2002 (Colacelli e Blackburn 2009). Negli stessi anni, il governo della provincia di Salta, nel nord del Paese, ha deciso di stampare obbligazioni locali, per finanziare il grave deficit di bilancio. Grazie all’inflazione che colpiva il peso in quegli anni, le obbligazioni sono state accettate fin dal primo momento e hanno iniziato a circolare rapidamente, anche perché il Governo le accetta a sua volta per il pagamento delle tasse.

1.2.2 Diffusione del fenomeno in Italia Anche in Italia esistono sistemi di scambio che non prevedono l’uso della moneta e circolano monete complementari parallele all’euro. Per un breve periodo di tempo, nella metà degli anni Settanta, sono stati utilizzati degli assegni circolari di piccolo taglio: 50, 100, 150, 200, 250, 300 e 350 lire, per questo sono ancora oggi chiamati miniassegni. In teoria, i miniassegni sarebbero dovuti circolare con le varie “girate” di coloro che li utilizzavano, ma, in pratica, la gente li scambiava senza firmare, utilizzandoli come normali banconote. Negli anni successivi sono nati numerosi sistemi di scambio, in parte ispirati dalle esperienze straniere. I vari sistemi, tra loro eterogenei, hanno in comune alcune caratteristiche principali: sono ispirati dal principio della reciprocità, presentano una elevata vocazione solidaristica e il desiderio di migliorare la propria comunità. A partire dagli anni Novanta si è diffuso il sistema delle Banche del Tempo e dei saperi, 19


che sarà descritto nel dettaglio nel capitolo 3. Un altro sistema di scambio non monetario nato negli stessi anni, in Provincia di Lecce, è il Sistema di Reciprocità Indiretta (SRI). Il sistema utilizza il tempo, l’ora e le sue frazioni, per misurare il valore dei servizi scambiati e l’unità di conto si chiama “misthòs”: un’ora vale 10 misthòs. Inoltre, il SRI nasce con l’obiettivo di creare legami e far nascere relazioni, più che fornire uno strumento economico per contrastare la disoccupazione o crisi di scarsità della moneta convenzionale. Infatti, i trasferimenti reciproci tra i partecipanti sono considerati come uno scambio di doni tra amici e non come uno scambio di beni e servizi. Molti sistemi di scambio non monetario sono nati dopo il 2000. Nel 2003, da un’idea del professor Perna, nasce l’EcoAspromonte, una moneta locale che circola solo all’interno dell’omonimo parco naturale.

Fig. 1.1 Un EcoAspromonte

Questa moneta circola in banconote di piccole taglio, il cui valore è pari all’euro. Inoltre, l’EcoAspromonte presenta un tasso negativo, per spingere chi lo utilizza a spenderlo rapidamente, tuttavia, a differenza di altri sistemi che adottano il demurrage, è possibile convertire gli EcoAspromonte in euro. Gli obiettivi principali dell’EcoAspromonte non sono soltanto sociali, ma anche “ecologici”: rivitalizzare un’area depressa e rafforzare l’identità culturale del Parco, incentivare l’acquisto di prodotti tipici del Parco e delle zone limitrofe, incentivare il turismo eco-compatibile e 20


responsabile, investire nelle energie rinnovabili. Un certo successo è stato riscontrato anche dalle reti di baratto, come Zero Relativo16, una community on-line che conta più di 20.000 iscritti in tutta Italia, molti dei quali scambiano, attraverso il baratto, i più svariati oggetti. A Napoli, nel 2007, nasce il Buono Locale di Solidarietà, chiamato con l’acronimo SCEC, che può significare “sconto che cammina” o “solidarietà che cammina”. Lo SCEC ha avuto molto successo in Italia, infatti ha inglobato altri sistemi locali che lo hanno adottato in sostituzione delle monete che già utilizzavano17, formando un’associazione a carattere nazionale diffusa in molte regioni e chiamata Arcipelago SCEC18, al cui interno le Regioni sono chiamate Isole. Lo SCEC circola in tagli da 50 centesimi, 1, 2, 5, 10, 20 e 50 SCEC, il rapporto con l’euro è pari a 1:1, ma non sono convertibili. I partecipanti si iscrivono all’associazione, pagando un quota che serve alle spese di gestione, e ricevono 100 SCEC che possono spendere immediatamente presso i negozi o i privati che aderiscono al circuito. Lo SCEC circola parallelamente all’euro, infatti, chi si iscrive si impegna ad accettare una certa percentuale in SCEC per ogni bene o servizio che fornisce agli altri partecipanti. Ad esempio, se un iscritto compra dei beni, per un totale di 10 euro, in un negozio che aderisce al sistema e che accetta il 20% in SCEC, il compratore paga 8 euro e 2 SCEC, risparmiando in pratica 2 euro. Lo scontrino fiscale emesso dal venditore riporta la transazione considerando i due SCEC come un “abbuono” e quindi paga l’IVA soltanto in base agli euro incassati, 8 in questo esempio. Il sistema SCEC è fortemente concentrato sulla difesa delle economie locali, ponendosi in contrasto con la logica della grande distribuzione organizzata (GDO) e a favore dei piccoli commercianti locali. Inoltre, gli SCEC puntano alla riappropriazione dell’identità territoriale, infatti, ogni Isola riproduce sulle banconote immagini che rimandano al proprio territorio.

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http://www.zerorelativo.it/ Ad esempio, lo SCEC ha inglobato l’EcoRoma e il Thyrus che circolava a Terni. 18 http://www.scecservice.org 17

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Fig. 1.2 Uno SCEC napoletano

Infine, un altro obiettivo dello SCEC consiste nel mobilitare nuove risorse economiche e valorizzare le capacità individuali.

1.3 Principali vantaggi dei sistemi di scambio non monetario Irving Fisher (1933) riconosce un grande vantaggio economico alle numerose esperienze da lui definite stamp scrips, nate in America durante la Grande Depressione. Il loro vantaggio consiste nella capacità di migliorare l’efficienza della moneta, attraverso monete create a livello locale, che hanno una maggiore velocità di circolazione, poiché perdono valore nel tempo attraverso l’applicazione di una tassa, sotto forma di francobollo da acquistare e incollare sulla banconota. Tale tassa rende costoso il possesso della moneta, quindi agli agenti economici non conviene tesaurizzare gli stamp scrips, al contrario, cercano di spenderla rapidamente. La maggior velocità produce un effetto positivo sulle comunità locali, definito da Fisher con l’espressione priming the pump, che rimanda alla loro capacità di innescare il processo di sviluppo locale. Gli stamp scrips non sono, secondo Fisher, una panacea in grado di risolvere ogni crisi economica, ma rappresentano sicuramente un rimedio, anche solo temporaneo, utile in situazioni di crisi dovute alla scarsità di moneta 22


convenzionale. La teoria di Fisher è stata confermata da due recenti studi sui possibili effetti macroeconomici dei Wir (Stodder 2009) e dei creditos argentini durante la crisi del 2001 – 2002 (Colacelli e Blackburn 2009). I dati e le stime proposti da Colacelli e Blackburn (2009) confermano che l’accettabilità della moneta complementare è fortemente correlata alla scarsità della moneta convenzionale, quindi la moneta completare circola più rapidamente durante periodi crisi, come quella attraversata dall’Argentina tra il 2001 e il 2002; inoltre, stimano l’effetto reale che la moneta complementare esercita sulle attività economiche. I due autori non utilizzano aggregati macroeconomici e si affidano ai dati di micro livello sulla circolazione dei creditos all’interno della Red Global de Trueque nel 2002 e 2003. Distinguono tra crisi di iperinflazione della moneta convenzionale, che spingono le persone a cercare nuovi mezzi che fungano da riserva di valore, e crisi di scarsità della moneta, la quale può svolgere la funzione di riserva di valore, ma, a causa della sua scarsità, non svolge in maniera efficace la funzione di mezzo di scambio. A questa seconda tipologia appartengono sia la Grande Depressione degli anni Trenta, sia la crisi argentina del 2001 – 2002: entrambe caratterizzate dalla caduta del Pil, dall’aumento della disoccupazione e dalla riduzione dello stock di moneta. Le stime del modello proposto confermano la funzione anti ciclica dei creditos e delle monete complementari in generale: la loro accettabilità da parte di chi compra e chi vende e inversamente correlata alla disponibilità di moneta ufficiale. Inoltre, i due autori stimano l’effetto reale esercitato dai creditos sulle attività economiche: in media, un commerciante che accetta i creditos guadagna, rispetto ad un commerciante che non li accetta, fino a 100 pesos al mese in più, il 15% del reddito medio in Argentina. Tali risultati sono in gran parte confermati da Stodder (2009) che utilizza i dati sulla massa di Wir in circolazione dal 1948 al 2003, il tasso di crescita del Pil dal 1951 al 2003 e l’offerta di moneta dal 1953 al 2003. Rispetto ai franchi svizzeri, il circuito Wir ha un vantaggio fondamentale: «Wir-Bank’s creation of purchasing power could become an instrument of more effective macroeconomic stabilization […] it is a result of the automatic net-zero balance of Wir» (2009, p. 93), cioè il circuito Wir è un sistema che è sempre in pareggio: il saldo totale di debiti e crediti in Wir è zero. La 23


funzione anti ciclica è dimostrata dalla presenza di una forte correlazione negativa tra la circolazione dei Wir e l’offerta di franchi svizzeri. Anche la correlazione con il tasso di crescita del Pil è negativo, ma il rapporto tra le due grandezze è meno chiaro. Il risultato dell’analisi di Stodder è che è più probabile che i Wir siano accettati durante periodi di crisi, quando l’offerta di moneta convenzionale è scarsa, in quanto, i Wir rappresentano un sostituto che circola parallelamente al franco svizzero. Inoltre, il circuito Wir è importante per le piccole imprese perché consente una nuova forma di accesso al credito. La monete complementari presentano un notevole vantaggio riassunto dalla legge di Gresham, dal nome dell’economista che per primo ha formulato tale legge nel XVI secolo: la moneta cattiva scaccia la moneta buona. Le persone tendono a tesaurizzare le monete buone, il cui contenuto in metallo prezioso è pari al valore nominale; viceversa tendono a disfarsi delle monete cattive e a rifiutarle come forma di pagamento, poiché le monete cattive presentano un contenuto di metallo prezioso inferiore al valore nominale della moneta, ad esempio, perché le monete si usurano o perché il metallo prezioso è stato “grattato” dai bordi della moneta. La legge è spesso citata per spiegare il fallimento dei sistemi economici che adottano il bimetallismo, ad esempio fissando una parità tra l’oro e l’argento. In questi casi la valutazione del tasso di cambio si discosta da quella del mercato, quindi le persone hanno interesse a tesaurizzare la moneta sottovalutata dal mercato. Applicato ai sistemi di scambio non monetario, le monete complementari rappresentano la moneta “cattiva”, che può essere spesa soltanto a livello locale, mentre la moneta convenzionale è quella buona, che le persone possono riservare ad altri utilizzi, ad esempio per il pagamento delle tasse, che soltanto in pochi casi è possibile con una moneta complementare. In molti casi, le associazioni e le organizzazioni che propongono monete locali sottolineano le possibilità di sviluppo e di crescita legate ad uno strumento di difesa e promozione delle economie locali. Questi obiettivi sono propri di sistemi come i LETS e lo SCEC in Italia. Poiché le monete sono create e gestite localmente, sono accettate soltanto a livello a locale. Questo indubbiamente favorisce le attività economiche legate al territorio, favorendo l’occupazione, difendendo i prodotti tipici e rafforzando 24


l’identità culturale locale. Un altro vantaggio legato al rafforzamento dell’economia locale è la riduzione della grande distribuzione organizzata, con un conseguente risparmio e un minore impatto ambientale. La monete complementari, producono vantaggi e benefici economici reali, legati alla disponibilità di una fonte di reddito aggiuntiva e all’aumento del potere d’acquisto. Alcuni sistemi, come i LETS, dimostrano, con la loro lunga storia, la possibilità di incidere positivamente, mobilitando risorse economiche e lavorative, in aree caratterizzate da elevata disoccupazione (Lietaer e Hallsmith 2006); altri, come i Wir svizzeri, gli stamp scrips in America e i creditos argentini, svolgono una funzione stabilizzatrice a livello macroeconomico e il loro andamento è anticiclico rispetto al sistema economico ufficiale. Tuttavia, la partecipazione ad un sistema di scambio non monetario può produrre vantaggi ed esercitare un impatto anche sulla dimensione individuale. Infatti, ponendosi al di fuori del mercato e del mondo del lavoro, tali sistemi incoraggiano il singolo a scoprire le proprie capacità, valorizzano le abilità, i saperi e i talenti individuali con effetti positivi sull’autostima e sulla soddisfazione di vita dei partecipanti. Basandosi su considerazioni di questo tipo, le banche del tempo italiane, in genere, non consentono ai soci di offrire all'interno della banca le stesse prestazioni che forniscono sul mercato del lavoro, infatti, le banche del tempo possono essere definite sistemi di scambio di servizi non professionali e a carattere occasionale. Inoltre, i sistemi di tipo time banking aiutano gli individui a migliorare la gestione del proprio tempo, aumentando e valorizzando il tempo dedicato alle relazioni interpersonali. In una società caratterizzata da una crescente pressione esercitata dal tempo, le banche del tempo italiane svolgono un ruolo importante, aiutando in particolar modo le donne e riconoscendo il valore del tempo di non lavoro. Una caratteristica dei sistemi di scambio non monetario della seconda ondata è quella di sottolineare l’importanza delle relazioni interpersonali, infatti la costruzione di un sistema economico parallelo o la possibilità di supplire alla scarsità di moneta convenzionale non è sempre l'obiettivo principale. Molti di questi sistemi mirano a riallacciare le reti di vicinato e di mutuo aiuto, migliorare il tessuto sociale e le reti di 25


prossimità sociale attraverso la reciprocità, la fiducia e l’affidabilità. Le associazioni e le organizzazioni che promuovono tali sistemi puntano a creare reti di relazioni interpersonali e, attraverso la diffusione di comportamenti cooperativi, possono produrre capitale sociale e rafforzare la coesione sociale. Spesso tali sistemi si pongono in una posizione di aspra critica nei confronti del mercato e della cultura del denaro e del debito. Le monete complementari possono essere uno strumento di empowerment comunitario gestito autonomamente a livello locale, che utilizza uno strumento di scambio innovativo per contrastare gli effetti spersonalizzanti del denaro e la mercificazione dei rapporti causata dal mercato. Il filosofo e sociologo Simmel riconosce questi effetti negativi prodotti dal denaro già sul finire dell’Ottocento. Nella sua analisi, Simmel non parte dalla moneta (come merce o bene), ma dal denaro e dal ruolo sociale e filosofico che svolge, in quanto, le caratteristiche specifiche di un'economia monetaria sono subordinate ai processi di astrazione che condizionano l'attività psichica e pratica degli individui (Turri 2009). Il denaro agisce come “livellatore”, che riduce le qualità degli oggetti rendendo tutto quantitativamente comparabile ed è una delle cause dell’atteggiamento blasé. Simmel ha analizzato questi effetti del denaro in tre testi: Psicologia del denaro (1889), Il denaro nella cultura moderna (1896), Filosofia del denaro (1900), che, come afferma lo stesso Simmel, non devono essere considerati trattati di economia politica, ma riflessioni sociologiche e filosofiche. Infatti, l’autore indaga le conseguenze di un'economia monetaria sulle libertà individuali, sulla monetizzazione dei valori personali e sullo stile di vita della società moderna; non rifiuta l'economia monetaria, tuttavia, rileva la necessità di una sua “umanizzazione” attraverso la filosofia. Il denaro rappresenta la frattura tra l'epoca moderna e pre-moderna: passando attraverso stadi crescenti di differenziazione sociale, dal baratto a forme di scambio sempre più complesse, il denaro perde il suo valore tangibile e intrinseco per trasformarsi in valore astratto e puramente funzionale. Quindi, il denaro porta all'estremo la discrepanza tra il desiderio di un oggetto e la possibilità di averlo: senza il denaro non è possibile avere l'oggetto desiderato e, quindi, il denaro diventa esso stesso fine e oggetto desiderabile in sé (Simmel 1896, 1900; Turri 2009). Le monete 26


complementari non corrono il rischio delle spersonalizzazione e della mercificazione, poiché assegnano un grande importanza agli effetti che il loro uso esercita sia sugli individui che sulle relazioni interpersonali create attraverso gli scambi. Infine, l’ultimo vantaggio dei sistemi di scambio non monetario è che possono essere ideati e implementati per scopi specifici e molto diversi tra loro: esistono sistemi che mirano soltanto a far circolare soltanto le conoscenze e i saperi individuali, come le Banche dei saperi, sistemi che hanno obiettivi ambientali, legati al rafforzamento della filiera corta e lo sviluppo di progetti di ecoturismo, come l’EcoAspromonte, oppure sistemi di scambio che contribuiscono alla diffusione delle energie rinnovabili (Turnbull 2007). Un esempio interessante è il sistema giapponese chiamato Fureai Kippu, pensato per rafforzare la solidarietà intergenerazionale attraverso lo scambio di servizi misurati in ore. I giovani possono fornire servizi alle persone anziane, ottenendo un corrispettivo in “ore” che possono spendere per pagare i servizi di cui beneficiano i loro genitori e i loro nonni, o i servizi di cui beneficeranno loro stessi una volta diventati anziani. In pratica, ogni comunità può ideare e sperimentare il sistema che meglio rispondere alle necessità locali, sia economiche che sociali.

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Capitolo 2 Reciprocità e fiducia nella teoria economica Negli ultimi trenta anni è aumentato l’interesse degli economisti nei confronti dei comportamenti che sembrano deviare rispetto a quanto prevede la teoria economica standard: comportamenti other-regarding (pro-sociali) ispirati dalla fiducia e dalla reciprocità. Entrambi i concetti sono stati analizzati da varie discipline, in particolare dalla filosofia, dalla sociologia e dalla psicologia. L’interesse economico nasce principalmente dal riconoscimento delle sistematiche deviazioni, riscontrate empiricamente e in laboratorio, rispetto alle previsioni della teoria economica. I comportamenti pro-sociali smentiscono la teoria per quanto riguarda aspetti come la perfetta razionalità dell’agente economico, la struttura motivazionale che è alla base delle sue decisioni strategiche e la sua apparente neutralità rispetto alle relazioni di carattere non prettamente economico con gli altri agenti. La letteratura economica19 riconosce l’esistenza di due nuove scuole che prendono il nome di teorie sperimentali e teorie comportamentali (behavioral economics), recentemente premiate con l’assegnazione del Premio Nobel per l’economia20. Le due recenti scuole hanno prodotto una notevole mole di dati empirici, risultato di ricerche sul campo e di esperimenti condotti in laboratorio attraverso la teoria dei giochi e la teoria dei giochi psicologici, mettendo in luce come le persone reali, a differenza dell’homo oeconomicus razionalmente orientato al proprio interesse materiale, tendono ad adottare comportamenti pro-sociali, reciprocanti e fiduciari, più spesso di quanto prevedano e consentano le stringenti ipotesi alla base dell’impianto teorico oggi dominante in economia. L’obiettivo degli approcci recenti non è capovolgere tale impianto teorico, ma arricchirlo con nuove ipotesi riguardo alle

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Per una rassegna della letteratura economica sui comportamenti pro-sociali si veda: Gui e Sugden (2005), Garofolo e Sabatini (2008), Pelligra (2007). 20 Nel 2002, il Premio Nobel per l’economia è stato assegnato a Vernon L. Smith e Daniel Kahneman, rispettivamente «sperimentalista» e «behaviorista».

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aspettative, alle scelte e al comportamento degli agenti economici, in modo tale da renderlo applicabile ad aspetti della vita reale solitamente lasciati ai margini della teoria economica. I due concetti in esame, la reciprocità e la fiducia, formalizzati in numerosi modelli economici e supportati dall’evidenza empirica presente in letteratura, possono rappresentare una chiave di lettura utile per comprendere il funzionamento di una Banca del Tempo e le motivazioni che spingono i soci a partecipare e a scambiare servizi in un modo difficilmente comprensibile con i soli strumenti messi a disposizione dalla teoria economica standard. Tali categorie possono essere applicate alle Banche del Tempo perché, come sarà evidenziato in questo e nel prossimo capitolo, entrambe sono caratterizzate da un certo grado di relazionalità: non si possono adottare comportamenti reciprocanti o fiduciari (sia nel senso di comportamenti fiduciosi che di comportamenti affidabili) da soli, ma è necessario essere almeno in due perché sia possibile parlare di relazioni reciprocanti o relazioni fiduciarie.

2.1 Da Karl Polanyi agli esperimenti in laboratorio Negli anni recenti è stata prodotta un'ampia letteratura sulla rilevanza economica dei comportamenti pro-sociali e, in particolare, dei comportamenti ispirati da criteri di reciprocità, altruismo e fiducia, soprattutto a causa dell'insoddisfazione nei confronti della teoria economica mainstream che considera le persone come agenti economici perfettamente razionali e orientati esclusivamente alla massimizzazione della propria utilità materiale. La ricerca economica si è indirizzata verso l’analisi dell’offerta volontaria di beni pubblici, l’altruismo, la reciprocità, la razionalità di gruppo (we-rationality), la fiducia, le motivazioni intrinseche e gli effetti di crowding out motivazionale21. Tra gli economisti che per primi hanno analizzato il concetto di reciprocità, uno 21

Alcuni esempi sono: Sugden (1984), Rabin (1993), Bruni e Sugden (2005), Pelligra (2006, 2007, 2010), Frey (2008).

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dei più importanti è sicuramente Karl Polanyi. Gran parte degli studi recenti parte dalla definizione di reciprocità elaborata proprio da Polanyi nel famoso saggio L'economia come processo istituzionale (Polanyi 1957). L'autore non si è occupato soltanto di reciprocità, tuttavia questo saggio ha avuto un grande successo e, ancora oggi, esercita una notevole influenza sul pensiero economico. Polanyi individua tre “forme di integrazione” economica e sociale, ciascuna dotata di una sua specifica base istituzionale: mercato, ridistribuzione e reciprocità, fondati rispettivamente su:  scambio di mercato,  ridistribuzione centralizzata,  simmetria degli scambi.

Tali forme di integrazione danno vita a tre differenti tipologie di scambi:  scambio di equivalenti all'interno di un mercato regolatore dei prezzi,  scambio ridistributivo operato da un apparato centrale,  scambio simmetrico tra individui o piccoli gruppi.

Forma di integrazione Mercato

Principio regolatore scambio di mercato

Tipologia di scambio scambio di equivalenti in un sistema di mercato regolatore dei prezzi

Ridistribuzione

ridistribuzione

apparato centrale che si

centralizzata

occupa della ridistribuzione

Reciprocità

simmetria

scambi simmetrici tra individui o piccoli gruppi

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Tabella 2.1 Forme di integrazione in Polanyi

Affinché gli scambi del primo gruppo possano produrre integrazione economica è necessaria la presenza di un mercato regolatore dei prezzi, di una curva di domanda e una di offerta relative ad un determinato bene, dell'utilizzo del denaro o di un’altra unità di conto. Quindi, per Polanyi, non tutti gli scambi creano un mercato, in quanto il mercato è solo quello regolatore dei prezzi. Il secondo tipo di scambi necessita dell'esistenza di un apparato centrale che raccoglie le risorse tramite le tasse, per poi ridistribuirle secondo criteri di equità e solidarietà. L'ultima tipologia è basata sul principio di reciprocità e richiede l'esistenza di strutture, formate da individui o da gruppi, organizzate simmetricamente; in particolare, comprende gli scambi effettuati all'interno della cerchia relazionale più vicina all'individuo, composta dai parenti, dagli amici e dalla comunità di riferimento. Le tre forme, nella maggior parte dei casi, tendono a coesistere in un dato sistema economico e, anche se una può predominare sulle altre, è difficile immaginare che un sistema economico, fondato in maniera esclusiva su una sola di esse, possa durare a lungo. A partire dalla Rivoluzione Industriale e dallo sviluppo del sistema economico capitalista, la dimensione della reciprocità ha subito, secondo Polanyi, un processo di erosione a causa della pressione esercitata dalle altre due forme di integrazione economica. Tuttavia, Galeotti (2005) non condivide tale interpretazione, anzi, riferendosi alla realtà del Terzo settore, ritiene che gli scambi improntati alla reciprocità sono diffusi ed economicamente rilevanti anche nella società attuale. Da un lato, perché anche il mercato e lo Stato hanno bisogno di criteri di reciprocità per svolgere le loro attività; dall’altro, perché anche le sfere tipicamente rette dalla reciprocità, nello svolgimento delle loro funzioni, devono confrontarsi con lo Stato e con il mercato. Il principio di reciprocità opera in piccoli gruppi organizzati simmetricamente, come le società primitive o la famiglia. Tale principio è anche alla base degli scambi del cosiddetto Terzo settore. La realtà del Terzo settore è composta da una pluralità di organizzazioni che forniscono beni “pubblici” e “di base” (adottando la terminologia 31


beckeriana) operando in mercati imperfetti secondo il principio della reciprocità per soddisfare bisogni individuali e sociali (Antonelli 2003). Tali organizzazioni presentano una naturale vocazione solidaristica che le differenzia dal mercato e dallo stato22. Tuttavia, non tutte le organizzazioni del variegato mondo del Terzo settore declinano allo stesso modo il principio di reciprocità, che può prendere diverse forme: «dall’impresa cooperativa, nella quale la reciprocità assume la particolare forma della mutualità fino alle organizzazioni di volontariato, dove la reciprocità sconfina nell’altruismo, nel dono gratuito» (Galeotti 2005, pp. 31-32).

2.2 Recenti approcci economici alla reciprocità Negli ultimi trenta anni si sono sviluppate nuove teorie economiche, conosciute in letteratura come economia «sperimentale» ed economia «comportamentale», o cognitiva, che hanno prodotto un’ampia mole di esperimenti e di dati relativi alla rilevanza economica dei comportamenti pro-sociali. La prima rappresenta uno sviluppo interno della teoria economica, centrato sugli esperimenti in laboratorio; la seconda nasce dalla fusione dell’economia con la psicologia e le scienze cognitive. Entrambi i filoni fanno ricorso agli esperimenti sul campo, in laboratorio e alla teoria dei giochi. Attraverso questi strumenti hanno prodotto prove e dati relativi alle sistematiche deviazioni degli agenti economici rispetto alle predizioni della teoria economica standard. Un esempio, “paradigmatico” secondo Amartya Sen, del fallimento della razionalità individuale è il cosiddetto Dilemma del prigioniero. In questo gioco (in particolare se il gioco non è ripetuto23), le scelte che, a livello individuale, appaiono razionali, possono portare a risultati non ottimali e inferiori al risultato ottenibile se i due soggetti scegliessero di cooperare. Una situazione del tipo Dilemma del prigioniero è rappresentata in Figura 2.1: la strategia dominante dei due 22

Tale differenza è riscontrabile anche rispetto alle dalle banche del tempo, le quali non presentano necessariamente questa vocazione. 23 Se il gioco fosse ripetuto, i giocatori potrebbero, attraverso la ripetizione delle interazioni, “imparare a cooperare” e ottenere risultati Pareto-dominanti. Un risultato cooperativo è ottenibile anche nel caso in cui ai due giocatori fosse concesso di accordarsi prima di iniziare a giocare.

32


giocatori spinge entrambi a confessare e a rischiare 5 anni di carcere ciascuno, producendo un esito inferiore (Pareto-dominato) rispetto a quanto i due giocatori otterrebbero optando per la strategia cooperativa (non confessa, non confessa) che li porta a rischiare soltanto un anno di carcere ciascuno. Tuttavia, la teoria economica prevede che i due giocatori sceglieranno la strategia non cooperativa (confessa, confessa).

B confessa

non confessa

confessa

(5, 5)

(0, 9)

non confessa

(9, 0)

(1, 1)

A

Figura 2.1 Il Dilemma del prigioniero

Secondo la teoria economica standard, ciò che impedisce la cooperazione, in situazioni simili a questa, è il cosiddetto meccanismo della backward induction. Un gioco che aiuta a comprendere il funzionamento di questo meccanismo è l’ investment game, costruito in modo che i due giocatori devono collaborare per ottenere pay-off più elevati. Nella sua variante classica presenta due giocatori, A e B. Il giocatore A riceve dallo sperimentatore una certa somma di denaro e stabilisce una certa porzione di tale somma, che può corrispondere anche all’intera somma oppure a niente. La quantità scelta da A è triplicata dallo sperimentatore, quindi è inviata al giocatore B che deve decidere se tenere l’intera somma ricevuta per sé, oppure se restituire una parte al giocatore A. Nel caso in cui i due giocatori non siano auto interessati e siano disposti a collaborare, è chiaro che «se l’investitore [giocatore A] investe un ammontare positivo la ricchezza complessivamente a disposizione dei due giocatori aumenta, se il rispondente [giocatore B] decide di restituire una percentuale superiore a 1/3 di quanto ricevuto, entrambi i giocatori vedranno la loro dotazione monetaria aumentare rispetto alla loro posizione iniziale» (Pelligra 2007, pp. 96-97). 33


Il principio della backward induction impedisce l’insorgere di comportanti prosociali e cooperativi: il primo giocatore è interessato a massimizzare la propria utilità e pensa che il secondo giocatore ragioni in maniera simile, per cui, se decidesse di inviare una somma positiva, il secondo giocatore prenderà l’intera somma e non restituirà niente al primo. Se il primo giocatore ragiona in questo modo, preferirà non assegnare una somma positiva al primo turno, anzi terrà per sé l’intera somma24, ottenendo però benefici minori rispetto a quelli che avrebbero ottenuto entrambi se avessero giocato tutte le mosse e avessero scelto di cooperare tra loro. Tuttavia i risultati di questi esperimenti mostrano che una percentuale elevata di giocatori A (93%) adotta comportamenti cooperativi e un’alta percentuale di giocatori B (60%) adotta comportamenti reciprocanti e restituiscono in media più di un terzo di quanto ricevuto (Pelligra 2007). La teoria economica supera questo limite introducendo il principio del folk theorem applicabile ai giochi o alle interazioni che si ripetono un numero indefinito di volte. La ripetizione delle interazioni rende la cooperazione razionale, in quanto il soggetto coopera con gli altri perché prevede di ottenere vantaggi futuri superiori a quelli che otterrebbe se decidesse di non cooperare al primo turno: «l’introduzione della ripetizione, infatti, modifica la struttura degli incentivi dei giocatori e di conseguenza i loro comportamenti attesi. Se ogni giocatore sa che con qualche probabilità incontrerà lo stesso giocatore ancora e ancora nel futuro, ciò influenzerà il suo comportamento presente» (Pelligra 2007, p. 111), spingendolo a cooperare. Un aspetto fondamentale per la comprensione del folk theorem è la ripetizione delle interazioni, che, tuttavia, rappresenta anche il suo limite maggiore. Infatti, questo principio non spiega l’insorgere di comportamenti cooperativi anche in quelle situazioni nelle quali gli agenti non si conoscono e le interazioni avvengono una sola volta (gioco one-shot). Secondo Pelligra (2007), i più importanti modelli prodotti dalle due recenti scuole economiche possono essere suddivisi in teorie consequenzialiste e teorie 24

Tale strategia (non inviare, non restituire) corrisponde alla scelta (confessa, confessa) in una situazione del tipo Dilemma del prigioniero e rappresenta un equilibrio di Nash.

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procedurali. Al primo gruppo appartengono la teoria dell’altruismo e dell’avversione alle disuguaglianze; al secondo appartengono le teorie della reciprocità e la teoria detta we-rationality o team-thinking25. Le teorie dell’altruismo hanno avuto un certo seguito e sono state utilizzate per spiegare la contribuzione volontaria ai beni pubblici e applicate alla cosiddetta teoria della famiglia (Becker 1981). Un agente altruista non ha come obiettivo la massimizzazione del proprio benessere materiale, al contrario, è disposto a mettere in atto comportamenti pro-sociali: il comportamento finale scelto dal soggetto altruista è il risultato netto della somma dei pay-off materiali e immateriali suoi e degli altri agenti e la sua utilità individuale «cresce (decresce) al crescere (decrescere) dell’utilità degli altri soggetti con cui interagisce» (Pelligra 2003, p. 13). Quindi, il soggetto altruista è, in sostanza, un agente auto interessato che punta a massimizzare la sua utilità, anche se questa dipende dal benessere degli altri (Sugden 1984). L’attività del volontariato e i trasferimenti all’interno della famiglia possono essere spiegati con la teoria dell’altruismo: i pay-off psicologici dei volontari e dei genitori dipendono, rispettivamente, dal benessere del soggetto che ha bisogno di aiuto e dai figli. Un altro modello che rientra tra le teorie consequenzialiste è quello della avversione alle disuguaglianze (inequality aversion). Nelle interazioni spiegate tramite questo modello, il soggetto ha come obiettivo la riduzione delle differenze tra la propria condizione e quella degli altri. Mentre il soggetto altruista è interessato al benessere degli altri in generale, il soggetto avverso alle disuguaglianze guarda al benessere relativo e ha due obiettivi: «massimizzare la sua utilità individuale e […] minimizzare la differenza tra quest’ultima e quella dei soggetti con cui interagisce» (Pelligra 2003, p. 15). Il limite principale di entrambe le teorie è che riescono a spiegare solo situazioni nelle quali i soggetti si conoscono e le azioni sono ripetute un numero imprecisato di volte. Queste condizioni fanno insorgere comportamenti 25

Gli economisti Kevin McKabe (behaviorista) e Vernon Smith (sperimentalista) distinguono i modelli in outcome-based e intention-based (McCabe, Rigdon e Smith 2003). Garofolo e Sabatini (2008) distinguono invece tra spiegazioni basate su norme che rispondono ad un imperativo morale (altruismo) e teorie fondate sulle norme sociali e sulle preferenze sociali (avversione alla disuguaglianza, we-rationality e reciprocità).

35


altruistici o di tipo inequality aversion, ma non spiegano i comportamenti pro-sociali quando i giochi non sono ripetuti (one-shot) oppure quando i giocatori non hanno la possibilità di conoscersi e, quindi, non entrano in campo fattori legati alla reputazione. Entrambi rientrano tra le teorie definite anche outcome-based o forward looking, in quanto si concentrano esclusivamente sugli aspetti distributivi, cioè sulla distribuzione finale dei pay-off, tralasciando le intenzioni e le preferenze dei soggetti. Le teorie intention-based, definite da Pelligra «procedurali», sembrano più utili per spiegare il funzionamento di una banca del tempo, poiché la caratteristica distintiva di tale approccio è la condizionalità: «la norma sociale di reciprocità non è incondizionale alla risposta degli altri giocatori» (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 291). We-rationality e reciprocità si differenziano dai modelli precedenti perché, dati due soggetti A e B, per il soggetto B che decide come comportarsi non conta solo la distribuzione finale dei pay-off derivanti dal comportamento di A, ma anche i possibili comportamenti alternativi che A poteva scegliere ma ha scartato: «non conta solo ciò che si fa, ma anche ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto e quindi ciò che si sarebbe potuto ottenere e non si è ottenuto» (Pelligra 2007, p. 142). La differenza principale tra teorie consequenzialiste e procedurali è che l’altruismo e l’avversione alle disuguaglianze fanno dipendere le scelte del soggetto dal benessere degli altri o dal benessere relativo, senza sostanzialmente modificare la logica decisionale e la struttura motivazionale dell’individuo: il soggetto continua ad essere orientato alla massimizzazione della propria utilità, anche se questa dipende da fattori immateriali e psicologici. Le teorie procedurali, we-rationality e le diverse teorie della reciprocità, costituiscono una radicale deviazione dalla logica strumentale che è alla base della teoria economica. Il modello della we-rationality o team-thinking prevede che, quando il soggetto si percepisce come parte di un gruppo, modifica le proprie preferenze ed emerge un tipo particolare di preferenze dette team preferences. Le preferenze di gruppo allontanano il soggetto da un ragionamento strumentale e incidono sulle sue motivazioni: il comportamento del soggetto è dettato da motivazioni che tendono verso l’obiettivo comune del gruppo. La differenza fondamentale tra un soggetto 36


altruista o avverso alle disuguaglianze e un soggetto guidato dalle preferenze di gruppo è che nel secondo caso il «processo di ragionamento e di scelta […] pur rimanendo individuale perde il connotato della strumentalità» (Pelligra 2007, p. 144) e acquisisce un grado di relazionalità che manca alle teorie consequenzialiste. Sul solco della strada tracciata da Polanyi, negli ultimi anni numerosi economisti hanno proposto modelli per spiegare l’esistenza di comportamenti ispirati dalla reciprocità. Il filo che collega la reciprocità come simmetria nel pensiero di Polanyi ai recenti sviluppi della scienza economica può essere riassunto nel principio secondo il quale bisogna «dare a chi dà e non dare a chi non dà». Uno dei primi modelli della reciprocità è stato utilizzato per spiegare la deviazione degli agenti economici da una razionalità puramente strumentale in relazione alla contribuzione volontaria ai beni pubblici. Questi ultimi sono considerati un tipico esempio di fallimento del mercato che comporta un livello di produzione sub-ottimale. Le due proprietà fondamentali dei beni pubblici sono:  non rivalità nel consumo, in quanto «il consumo di un’unità del bene da parte di un agente non impedisce che la medesima unità possa essere consumata anche da altri agenti appartenenti alla medesima collettività» (Antonelli et al. 2003, p. 353),  non escludibilità, ovvero non è possibile escludere un agente dal consumo del bene. Per la teoria economica, la fornitura sub-ottimale di beni pubblici è risolvibile tramite l’intervento dello stato. Infatti, un agente perfettamente razionale e auto interessato non è disposto a pagare per usufruire del bene pubblico, dal momento che nessuno può essere escluso dal suo consumo (per definizione), anche se non ha contribuito alla sua produzione. Tale risultato produce il noto problema del free riding: un agente economico mosso esclusivamente da razionalità strumentale non paga il biglietto dell’autobus a meno che non sia obbligato; tuttavia se nessuno paga il biglietto, la fornitura del servizio sarà interrotta. In questo e in altri casi simili, 37


l’intervento dello stato è giustificato dal fatto che un produttore, diverso dallo stato e che conosce il problema del free riding, è spinto a produrre il bene pubblico ad un livello sub ottimale. La questione della contribuzione volontaria ai beni pubblici nasce dalla constatazione empirica che, in contrasto con quanto previsto dalla teoria, un numero elevato di beni pubblici è finanziato per mezzo di contribuzioni private volontarie: la ricerca scientifica, la tutela e la salvaguardia dell’ambiente sono solo alcuni esempi. Uno studio molto famoso e discusso è il saggio sulla donazione del sangue di Titmuss (1970) intitolato The gift relationship. Il sociologo inglese parte dall’osservazione della migliore qualità e maggiore disponibilità di sangue del sistema di raccolta su base volontaria in Inghilterra e in Europa, rispetto al sistema statunitense basato sulla raccolta attraverso banche del sangue private. La donazione privata e volontaria di sangue in Europa non può essere spiegata da un ragionamento di tipo strumentale 26, mentre è comprensibile se analizzata alla luce della teoria della reciprocità: un agente dona il proprio sangue sperando che, se in futuro dovesse averne bisogno, altri agenti lo doneranno anche per lui. L’economista inglese Sugden (1984), analizzando l’offerta volontaria di beni pubblici in relazione alla reciprocità, scarta l’ipotesi che un agente contribuisca alla produzione di un bene pubblico semplicemente perché è un soggetto altruista, il cui comportamento è guidato da una norma morale che fa dipendere la sua utilità dal benessere degli altri, e introduce il concetto di reciprocità, spiegato «sulla base dell’ipotesi che ogni agente ha un’idea di quale ammontare di contribuzione vorrebbe vedere dagli altri» (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 291) e quindi contribuisce di conseguenza. Sebbene Sugden spieghi i comportamenti ispirati dalla reciprocità con riferimento ad una norma morale e non con un tipo di razionalità diversa da quella puramente strumentale, il suo modello è diverso dall’altruismo puro in quanto la reciprocità presenta la caratteristica della condizionalità rispetto alle risposte degli altri giocatori. Rabin (1993) propone un modello del comportamento degli agenti più 26

La razionalità strumentale può, invece, spiegare il comportamento dei donatori negli Stati Uniti che si confrontano con un sistema basato su banche del sangue commerciali private.

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complesso, ispirato alla teoria dei giochi psicologici27, nel quale accosta la reciprocità al concetto di equità (reciprocating fairness) e individua tre fatti stilizzati:

1. le persone sono disposte a rinunciare ad una parte del proprio material wellbeing per premiare coloro i quali sono stati gentili con loro (reciprocità positiva), 2. le persone sono disposte a rinunciare ad una parte del proprio material wellbeing per punire coloro i quali non sono stati gentili con loro (reciprocità negativa), 3. minore è il costo materiale, maggiore sarà l’effetto sul comportamento del soggetto che decide di punire o premiare.

Anche Rabin parte dal rifiuto dell’ipotesi dell’altruismo, giudicata troppo semplicistica, e applica il concetto di reciprocating fairness ai beni pubblici: il singolo contribuisce volontariamente alla loro fornitura nella misura in cui pensa che anche gli altri

stiano

contribuendo.

L’ipotesi

dell’altruismo

incondizionato

(puro)

è

completamente rifiutata da Rabin, secondo il quale i comportamenti reciprocanti dipendono dal comportamento degli agenti, da quello che un agente crede che gli altri faranno, da quello che gli altri pensano che l’agente faccia, e così via. Quindi, è necessario che un determinato comportamento sia percepito dal soggetto come un comportamento “gentile” (fair) perché possa innescare una risposta reciprocante. Se l’azione è percepita come mirante al proprio interesse personale non provoca nell’altro una risposta gentile. Inoltre, l’atto “gentile” deve consentire ad entrambi i giocatori di ottenere un guadagno. Gli sviluppi più recenti dell’analisi dei comportamenti reciprocanti nascono dall’incontro di economia e neuroscienze e formano il filone della cosiddetta neuroeconomics. Il nuovo approccio indaga, con gli strumenti delle neuroscienze, il 27

La teoria dei giochi psicologici prende in considerazione anche le preferenze di secondo ordine e di ordini successivi degli agenti (Pelligra 2007).

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ruolo delle intenzioni e della capacità degli agenti economici di immedesimarsi negli altri e comprendere le loro intenzioni attraverso processi di mind-reading. Comportamenti pro-sociali e cooperativi nascono grazie alla capacità di “leggere” la mente degli altri e comprendere le loro intenzioni. Questi risultati presentano delle affinità con il concetto di sympathy presente in Hume e successivamente ripreso e ampliato da Adam Smith con il concetto di fellow-feeling28. L’analisi economica dei comportamenti ispirati dalla reciprocità mette in luce il carattere multidimensionale di questo principio, tanto che è più corretto parlare di teorie della reciprocità, dal momento che manca un modello che riesca a coglierne tutti gli aspetti. Tuttavia, i vari approcci sembrano assegnare al concetto di reciprocità tre caratteristiche fondamentali: condizionalità, equivalenza e libertà (Pelligra 2007, p. 147). La reciprocità è condizionale, perché l’agente economico può deviare dalla ricerca del proprio interesse personale aspettandosi un determinato comportamento da parte degli altri agenti. L’equivalenza corrisponde alla simmetria indicata da Polanyi (1957), intesa nel senso di adeguatezza del comportamento reciprocante e non necessariamente come perfetta uguaglianza espressa dal valore monetario. Infine, la libertà non implica solo la possibilità di non reciprocare, ma anche la circostanza che i comportamenti cooperativi siano percepiti dal soggetto come consapevoli e liberi: solo in questo caso potranno attivarsi risposte reciprocanti. Anche i contratti, stipulati all’interno del mercato, presentano queste tre caratteristiche29, ma in un mercato “perfetto” i contratti necessitano di agenti economici perfettamente razionali e della disponibilità di informazione perfetta, altrimenti hanno bisogno di un attore dotato della forza necessaria per l’enforcement dei contratti stessi e per l’attivazione di eventuali meccanismi sanzionatori. Al contrario, il dono “puro”, totalmente disinteressato, è caratterizzato soltanto dalla libertà e dalla equivalenza, ma non presenta la caratteristica della condizionalità, sostituita da quella della gratuità. Quindi, in un mercato “perfetto” e nel dono “puro” 28

29

Per approfondire la conoscenza della neuroeconomics si veda Andreoni e Pelligra (2009); per il rapporto tra Hume, Smith e il napoletano Genovesi si veda Bruni e Sugden (2000). All’interno del mercato l’equivalenza è perfetta ed è misurata dal valore monetario dei beni oggetto del contratto.

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non c’è spazio per i comportamenti ispirati dalla reciprocità. Tuttavia, nella realtà esistono molte forme di reciprocità, a volte riscontrabili anche all’interno degli scambi di mercato e dello scambio di doni (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Le teorie procedurali (we-rationality e teorie della reciprocità) si discostano definitivamente dalla razionalità strumentale e dall’individualismo metodologico della teoria economica standard e delle teorie consequenzialiste (altruismo e avversione alle disuguaglianze), che possono spiegare lo scambio di mercato per mezzo di contratti e l’agire di un altruista puro il quale, pur incorporando nella sua funzione di utilità il benessere degli altri, è sostanzialmente un agente auto interessato. La caratteristica distintiva delle teorie procedurali consiste nell’introduzione di un certo grado di relazionalità. La reciprocità è fondata sulle relazioni tra gli agenti economici, sulle loro intenzioni e sulla scelta di azioni che «appaiono inserite in un ambiente strategico, cioè determinano certe conseguenze solo in combinazione con le azioni di altri soggetti» (Pelligra 2007, p. 140). Questa prospettiva è propria anche della economia civile. Zamagni scrive «mentre nello scambio di mercato la determinazione del rapporto di scambio precede, logicamente, il trasferimento dell’oggetto di scambio […] nella relazione di reciprocità il trasferimento precede, sia logicamente sia temporalmente, l’oggetto contraccambiato. Chi inizia la relazione di reciprocità ha come punto fermo solamente un’aspettativa di reciprocità» (Zamagni 2008, p. 40). Nonostante i numerosi progressi sia teorici che empirici compiuti dalla ricerca economica sui comportamenti cooperativi, è in parte vero, ancora oggi, quanto ha scritto Sugden più di venti anni fa, quando i nuovi approcci muovevano soltanto i primi passi: «the economic analysis of non-selfish behaviour is still in its infancy: there is no unified theory that can explain all, or even most, of the observed regularities in such behaviour» (1984, p. 784). Il problema della mancanza di un’unica teoria può essere spiegato dal carattere multidimensionale della reciprocità che rende più complesse sia la sua definizione che la sua applicazione generale a tutti i comportamenti reciprocanti e pro-sociali. Un’analisi multidisciplinare di banca del tempo, che unisca i recenti contributi economici con la sociologia e l’antropologia, può contribuire ad arricchire questo dibattito, tenendo presente che «è necessario avere uno 41


sguardo pluralista e non ideologico sulla reciprocità umana, e saperla declinare su più registri, dal contratto al dono, leggendo le varie forme di reciprocità come tendenzialmente complementari tra loro, e non in conflitto» (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 293).

2.3 Rilevanza economica della fiducia La fiducia è stata analizzata a fondo da filosofi, sociologi, antropologi e dagli economisti. Soprattutto negli anni recenti, molti economisti riconoscono una notevole importanza alla fiducia e al ruolo che può ricoprire anche in una economia di mercato basata sui contratti e non soltanto in quelle sfere, come la famiglia o la reti affettive, che sono ovviamente caratterizzate da forti legami fiduciari. Tra i sociologi, l’unico dei classici a considerare la fiducia come una specifica categoria di analisi della società è Simmel (Galeotti 2005), che nel suo La Filosofia del denaro (1900, pp. 177-178) afferma:

Without the general trust that people have in each other, society itself would disintegrate, for very few relationship are based entirely upon what is know with certainty about another person, and very few relationship would endure if trust were not as strong as, or stronger than, rational proof or personal observation. In the same way, money transactions would collapse without trust.

Nel pensiero di Simmel la fiducia generale diffusa tra le persone (general trust) rappresenta il collante che tiene unita la società impedendo che questa possa disintegrarsi, ricalcando la famosa affermazione di Locke secondo il quale «trust is the bond of society» (Locke, Essays on the Law of Nature, citato in Garofolo e Sabatini 2008). Per Simmel, la fiducia è importante perché ben poche relazioni possono basarsi esclusivamente su informazioni perfette riguardo all'altro e su di un calcolo perfettamente razionale; quindi, senza la fiducia, le relazioni sono destinate ad esaurirsi. Questo è vero anche per le relazioni commerciali basate sulla moneta e sui 42


contratti, le quali non potrebbero esistere senza un certo grado di fiducia generale. Simmel sembra anticipare di circa settanta anni le idee espresse da Arrow (1972, p. 357):

Virtually every commercial transaction has within itself an element of trust, certainly any transaction conducted over a period of time. It can be plausibly argued that much of the economic backwardness in the world can be explained by the lack of mutual confidence.

Un elemento fondamentale, evidenziato sia da Simmel che da Arrow, è il tempo. Il primo fa riferimento alla fiducia come all'elemento che permette alle relazioni di durare nel tempo; per il secondo, la fiducia è un elemento presente in ogni transazione e in particolare in quelle ripetute nel tempo (cioè condotte un numero imprecisato di volte). Inoltre, Arrow afferma che l'assenza di fiducia reciproca può spiegare gran parte dell'arretratezza economica, riferendosi al famoso studio di Banfield (1958), che spiega il ritardo economico dell’Italia meridionale con l’incapacità degli abitanti della regione di agire collettivamente per raggiungere obiettivi comuni. Problemi come le asimmetrie informative, l’incompletezza dei contratti e l’assenza di efficienti meccanismi enforcement dei contratti stessi, rendono la fiducia di fondamentale importanza per tutte le transazioni ripetute un numero imprecisato di volte, quindi, anche per quelle che hanno luogo in una economia di mercato. Le due definizioni, anche se distanti cronologicamente, presentano due punti di contatto:  la fiducia è il collante della società ed è funzionale al mantenimento delle relazioni commerciali e monetarie all’intero del mercato;  l’oggetto dell’analisi è la fiducia interpersonale cioè i legami fiduciari che nascono tra due o più individui. Simmel pone la fiducia che ognuno nutre nei confronti dell’altro alla base di 43


ogni relazione; similmente, Arrow definisce la fiducia come mutual confidence, traducibile con “fiducia reciproca”, e la considera un elemento fondamentale di ogni relazione, commerciale o di qualsiasi altra natura, tanto che la sua assenza può spiegare gran parte dell’arretratezza economica del mondo.

2.3.1 Alcune definizioni preliminari La letteratura economica e sociologica non considera la fiducia come un concetto unico, ma tende a separare i diversi aspetti della fiducia e a dividerla in diverse tipologie. Pelligra (2007) ne individua tre:

1. fiducia impersonale rivolta verso le istituzioni; 2. fiducia «disposizionale» che riguarda invece attributi della personalità dei singoli soggetti e l’attitudine a fidarsi o essere affidabile; 3. fiducia interpersonale che descrive i comportamenti dell’agente economico nei confronti degli altri agenti.

Secondo Pelligra, la sociologia, le scienze giuridiche e la scienza politica si concentrano principalmente sugli aspetti strutturali e impersonali della fiducia, la psicologia si concentra sugli aspetti individuali e la psicologia sociale su quelli interpersonali e di gruppo; invece, l’oggetto della ricerca dell’autore e di gran parte della letteratura economica è costituito dalla terza tipologia di fiducia, quella interpersonale. La sociologa Giuliana Galeotti, nella sua analisi relativa alle Banche del Tempo italiane, suddivide gli studi sulla fiducia in quattro approcci. 1. Fiducia in se stessi: è l’approccio tipico della psicologia e della psicologia sociale che considerano la fiducia «in termini di orientamenti di base del comportamento e tratti caratteristici della personalità, i quali si sviluppano a partire dall’esperienza ed evoluzione personale» (Galeotti 2005, p. 60). 44


2. Fiducia interpersonale: gli esponenti più famosi sono i sociologi Simmel e Goffman, ma può rientrare in questo approccio anche la teoria economica della scelta razionale che considera la fiducia come l’aspettativa di un comportamento cooperativo (non opportunistico) da parte degli altri agenti economici nel corso di interazioni ripetute. 3. Fiducia sistemica o istituzionale: propria delle analisi sulla fiducia intesa come solidarietà di base che tiene unita una società. 4. Fiducia come bene relazionale. Mentre i primi due approcci sono concentrati sull’individuo e il terzo sull’intero sistema sociale, l’ultimo si concentra sulle relazioni instaurate tra le persone. La fiducia appartiene alla categoria economica dei beni relazionali, che possono essere prodotti e consumati solo da coloro i quali, attraverso la relazione, contribuiscono direttamente alla produzione e al consumo dei beni in questione. Inoltre, in base a questo approccio, i comportamenti fiduciari possono emergere solo se le relazioni sono ispirate dal principio di reciprocità e se sono caratterizzate dalla libertà, che implica sempre la possibilità, o il rischio, di deludere le aspettative fiduciarie da parte di chi è oggetto della fiducia altrui. Una

ulteriore

categorizzazione

della

fiducia

è

quella

utilizzata

dall’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD) che, nella analisi della relazione tra capitale umano, capitale sociale e “well-being of Nations”, si concentra sulla dimensione interpersonale della fiducia distinguendo:  fiducia interpersonale verso persone conosciute come i familiare, i colleghi di lavoro più stretti e il vicinato;  fiducia interpersonale verso persone sconosciute;  fiducia verso le istituzioni pubbliche e private.

Infine,

è

possibile

distinguere

tra

fiducia

«particolare»

e

fiducia

«generalizzata»: la prima si riferisce alle persone conosciute, o sulle quali è possibile 45


acquisire informazioni, mentre la seconda riguarda gli estranei e le istituzioni. A questa distinzione, Uslaner (The Moral Foundations of Trust, citato in Garofolo e Sabatini 2008 ) fa corrispondere quella tra fiducia «strategica» e fiducia «moralistica». La fiducia moralistica deriva da una norma morale, che spinge il singolo a considerare gli altri come se fossero tutti ugualmente degni di fiducia e quindi nasce dalle aspettative su come le persone dovrebbero comportarsi; invece, la fiducia strategica è il risultato delle aspettative che l’individuo, sulla base delle informazioni disponibili e della sua attitudine al rischio, si forma riguardo a come si comporteranno le altre persone.

2.3.2 L’analisi economica della fiducia La fiducia non rientra nel discorso economico mainstream, perché l’homo oeconomicus perfettamente razionale, che agisce in un mercato di concorrenza perfetta con informazione perfetta e contratti completi, non ha bisogno della fiducia per effettuare le proprie scelte strategiche. Gli aspetti fiduciari e relazionali degli individui rientrano in altre sfere, ad esempio all’interno della famiglia30, e sono lasciati all’analisi delle altre discipline. La teoria standard può spiegare l’insorgere di comportamenti cooperativi e fiduciari solo nei casi in cui gli stessi agenti interagiscono un numero indefinito di volte. In tali casi, grazie alla ripetizione delle interazioni, opera il cosiddetto folk theorem in base al quale la scelta strategica di cooperare è perfettamente razionale e può essere pensata come una serie di investimenti in reputazione. Una posizione simile è quella espressa già nel XVIII secolo da Adam Smith. Infatti, il fondatore della moderna scienza economica si è interessato al tema della fiducia ed in particolare alla sua importanza in relazione allo sviluppo del commercio. Il mercato, attraverso la ripetizione nel tempo delle transazioni commerciali, crea la fiducia. In un contesto di mercato, la fiducia è assolutamente razionale per Smith perché gli agenti economici sanno che probabilmente dovranno interagire di nuovo, in 30

Si veda Becker (1981) per un’analisi dei comportamenti egoistici nel mercato e altruistici all’interno della famiglia.

46


futuro, con gli stessi agenti economici. Viceversa, sono disposti ad imbrogliare e adottare comportamenti opportunistici quando ritengono che non avranno altre relazioni commerciali con lo stesso agente: «Where people seldom deal with one another, we find that they are somewhat disposed to cheat, because they can gain more by a smart trick than they can lose by the injury which it does their character» (Smith, Lectures on Jurisprudence, citato in Bruni e Sugden 2000, p. 33). L’idea alla base del pensiero smithiano è quella di un agente economico che cerca razionalmente il proprio vantaggio a scapito degli altri, quando pensa che non dovrà interagire con gli altri di nuovo in futuro. La fiducia può spiegare il diverso successo negli affari degli Scozzesi, degli Inglesi e degli Olandesi: il maggior grado di fiducia generalizzata degli Olandesi è la causa principale del loro maggiore successo nelle relazioni commerciali, negli anni in cui scrive Smith. Il tal senso, Smith si avvicina alle teorie recenti sulla relazione tra fiducia, capitale sociale e crescita economica. Il commercio, e le relazioni che si creano attraverso di esso, servono a trasmettere informazioni sulla reputazione e l’affidabilità (trustworthiness) degli agenti economici: più densa è la rete delle relazioni commerciali, maggiore è il valore assegnato alla reputazione e quindi maggiore sarà la fiducia diffusa. Nel pensiero di Smith, i comportamenti fiduciari sono in ultima analisi motivati dall’auto interesse individuale, anche se questo può essere considerato di tipo illuminato, nel senso che spinge l’agente verso comportamenti cooperativi. Al contrario, la teoria della fiducia proposta da Genovesi è più vicina al modello dalla razionalità di gruppo descritto nel paragrafo precedente. Nel XVIII secolo, lo scozzese e il napoletano si interrogano sulla relazione tra commercio, ricchezza dei rispettivi Paesi e fiducia diffusa tra i cittadini: se per Smith è il mercato che attraverso le relazioni e l’affidabilità del singolo crea la fiducia; per Genovesi, fondatore dell’Economia civile, è l’esistenza di legami ispirati dalla fiducia a creare il mercato. Genovesi definisce la fiducia diffusa e generalizzata «fede publica» (Bruni e Zamagni 2003, p. 12) ed è una precondizione per lo sviluppo del commercio e della ricchezza di una nazione. Infatti, Genovesi, che scrive nel 1700, identifica la causa dell’arretratezza 47


del Regno di Napoli nella scarsa diffusione della fiducia tra la popolazione. Anche il pensiero di Genovesi presenta somiglianze con l’idea che il capitale sociale, attraverso la fiducia, eserciti un impatto positivo sulla crescita; tuttavia procede in direzione opposta rispetto al pensiero di Smith: per lo scozzese il commercio genera la fiducia, per il napoletano è la fiducia che genera il commercio. La caratteristica distintiva del pensiero di Genovesi, rispetto a Smith, è l’introduzione nell’analisi della fiducia del concetto di relazionalità (Bruni e Zamagni 2003). L’agente economico descritto da Smith sceglie razionalmente di fidarsi e di essere affidabile, perché questo comportamento produce vantaggi quando le relazioni commerciali sono ripetute nel tempo; al contrario, per Genovesi la molla che spinge il singolo a fidarsi degli altri e interagire con loro non é l’auto interesse (neppure nella sue versione illuminata) né l’altruismo puro, ma il desiderio di socialità e di relazioni proprio di ogni individuo nei confronti della sua comunità.

Negli ultimi trenta anni, la teoria economica è stata caratterizzata da un crescente interesse nei confronti dei comportamenti cooperativi e fiduciari. La letteratura economica sulla fiducia può essere suddivisa in due filoni di ricerca principali (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011): uno “sperimentale” basato sui dati degli esperimenti condotti in laboratorio; l’altro, che può essere definito “empirico”, analizza la relazione tra fiducia e crescita economica basandosi sui dati raccolti attraverso indagini statistiche nazionali e internazionali. L’approccio sperimentale ricorre ampiamente agli strumenti messi a disposizione dalla teoria dei giochi. Il trust game è un esempio di gioco che, nelle sue varianti, è molto ricorrente in tale letteratura31.

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Andreoni e Pelligra (2009); Becchetti, Bruni e Zamagni (2010); Downward, Pawlowski e Rasciutte (2011); Garofolo e Sabatini (2008); Guerra e Zizzo (2004); Gui e Sugden (2005); McCabe, Rigdon e Smith (2003); Pelligra (2006, 2007, 2010); Stanca, Bruni e Corazzini (2009).

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Figura 2.2 Esempio di trust game generalizzato

I pay-off di un tipico trust game presentano la seguente struttura:

b<a<c f<e

La letteratura economica che utilizza questo ed altri giochi simili (investment game, ultimatum game, dictator game) considera la fiducia come un trasferimento volontario tra due giocatori, con una aspettativa di reciprocità che, tuttavia, può essere delusa dalla scelta di un comportamento non cooperativo da parte di uno dei giocatori. La porzione di risorse trasferita dal giocatore A al giocatore B indica quanto il primo giocatore si fida del secondo; mentre, la porzione che il giocatore B restituisce scegliendo di cooperare è una misura della sua affidabilità (trustworthiness). I dati, raccolti tramite i numerosi esperimenti di laboratorio, mettono in evidenza l’insorgenza di comportamenti fiduciari e cooperativi anche nei giochi cosiddetti oneshot, i quali non possono essere spiegati con la teoria economica standard in quanto non prevedono la ripetizione delle interazioni e, quindi, escludono il folk theorem e 49


l’influenza di fattori reputazionali, rappresentati dal costo psicologico sostenuto dal giocatore B nel caso in sui decida di non cooperare, danneggiando la sua affidabilità. Questo filone individua una relazione positiva tra diffusione della fiducia e capitale sociale. Il secondo approccio è basato sui dati raccolti attraverso ricerche statistiche del tipo World Values Survey32 oppure General Social Survey33. Un esempio delle domande proposte da queste indagine è rappresentato in Figura 2.3.

Figura 2.3 Fiducia in Italia e altri Paesi OECD34 Fonte: World Values Studies

32

http://www.worldvaluessurvey.org/ http://www.norc.uchicago.edu/GSS+Website/ 34 La domanda posta all’intervistato è la seguente: «Generalmente parlando, ritiene che ci si possa fidare degli 33

altri. Oppure che non si e mai troppo prudenti nel trattare con gli estranei?». Il grafico mostra i dati del 1999 relativi ai seguenti Paesi OECD: Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Islanda, Italia, Norvegia (dati relativi al 1996), Olanda, Portogallo, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia.

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Gli obiettivi principali di questo approccio riguardano la definizione delle determinanti della fiducia e l’analisi dell’impatto della fiducia sulla crescita economica e su altre variabili come: l’efficacia delle istituzioni pubbliche e il governo, la performance delle associazioni e la partecipazione civica, il tasso di scolarizzazione, la mortalità infantile (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011; Knack e Keefer 1997). La relazione tra il tipo di associazione e l’impatto sulla fiducia è stabilita a priori: da un lato, le associazioni formali come i sindacati, le organizzazioni professionali e i partiti politici, tendono a ridurre la fiducia; dall’altro associazioni più informali definite Putnam-type, come le organizzazioni giovanili o religiose e le associazioni artistiche e culturali, esercitano un impatto positivo sulla fiducia (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011). Inoltre, tale letteratura sostiene che il livello iniziale di fiducia diffusa in un Paese ha un effetto sulla relazione tra fiducia e crescita economica: minore è il livello di fiducia di partenza, maggiore sarà l’effetto positivo dell’aumento della fiducia sullo sviluppo economico (Idem). Gli autori che rientrano in tale filone individuano alcune delle determinanti della fiducia nei diritti di proprietà ben definiti, nei meccanismi di enforcement dei contratti, nella percezione della corruzione, in alcune misure relative all’uguaglianza sociale come disuguaglianze del reddito o del possesso delle terra e nel grado di omogeneità etnica. Il filone “empirico” riconosce la fiducia come concetto multidimensionale e le domande più frequenti nelle indagini campionarie come World Values Studies possono riguardare la dimensione dell’affidabilità (trustworthiness) e non solo la propensione del singolo a fidarsi (trust). In tale approccio, l’affidabilità è una dimensione della fiducia che può svilupparsi solo all’interno di una relazione tra due o più persone, per cui rappresenta una dimensione differente da quei comportamenti fiduciari ispirati da un imperativo morale (fiducia moralistica).

2.3.3 La scuola sperimentale L’analisi di giochi o situazioni reali del tipo Dilemma del prigioniero è stata utilizzata, negli anni recenti, come esempio di «fallimento della razionalità 51


individuale», in quanto questa porta gli individui a non cooperare, ottenendo in tal modo risultati sub-ottimali. La razionalità individuale può spiegare i comportamenti cooperativi all’interno di giochi ripetuti nel tempo un numero indefinito di volte: l’intervento del cosiddetto folk theorem e la possibilità di mettere in atto delle punizioni nei confronti dei giocatori che non cooperano (reciprocità negativa), rappresentano degli incentivi che spingono il singolo a non deviare dal comportamento cooperativo. Con la ripetizione, gli sperimentatori cercano di cogliere aspetti legati da una lato alla reputazione e alla social approval, dall’altro alle punizioni/sanzioni, che sono messe in atto dai giocatori anche quando comportano costi materiali per chi le applica. Tuttavia, molti esperimenti (Becchetti Bruni e Zamagni 2010) hanno prodotto dati relativi all’insorgenza di comportamenti cooperativi anche in giochi uniperiodali che riproducono, in laboratorio, relazioni interpersonali che si svolgono in condizioni di: anonimato e asimmetrie informative. I recenti studi economici su fiducia e reciprocità hanno come obiettivo la spiegazione dei comportamenti other-regarding proprio in situazioni di questo tipo, perché proprio all’interno di queste relazioni, che possono avere conseguenze economiche rilevanti, il ruolo della fiducia e dell’affidabilità degli agenti economici è fondamentale. Quando i giocatori cooperano, la fiducia genera superadditività, cioè quando opera la fiducia, nei giochi così come in molte situazioni reali, il risultato finale è superiore alla somma delle dotazioni individuali di partenza e al risultato che i giocatori otterrebbero scegliendo strategie auto interessate. La teoria economica standard predice che, in questi giochi, i due giocatori sceglieranno la strategia dominante che li porta a non cooperare e che corrisponde ad un equilibrio di Nash: il giocatore A sceglie una strategia auto interessata e sa che il giocatore B è auto interessato e quindi sceglierà un strategia simile; il giocatore B segue un ragionamento speculare. In questo modo, la dotazione finale dei due giocatori è identica a quella iniziale e il livello di fiducia tra i due è il più basso possibile. Il trust game e l’investment game permettono ai due giocatori, che si fidano l’uno dell’altro, di aumentare i propri pay-off adottando strategie cooperative.

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Figura 2.4 Esempio di trust game in forma estesa

Se entrambi i giocatori giocano la strategia “Coopera”, ottengono 25 ciascuno, cioè 5 in più rispetto alla strategia “Non coopera” che rappresenta un equilibrio di Nash ed è il risultato di un ragionamento dettato dall’ipotesi della backward induction. Alcune delle principali teorie che spiegano il comportamento cooperativo del trustor, il giocatore A, sono l’altruismo puro (la funzione di utilità del il giocatore A incorpora anche il benessere del il giocatore B), l’altruismo strategico (il il giocatore A decide di inviare al il giocatore B un ammontare positivo perché in tal modo può guadagnare di più in futuro), l’avversione all’ineguaglianza (il il giocatore A cerca di minimizzare la differenza tra il proprio pay-off e quello del il giocatore B). La risposta fiduciaria e cooperativa del trustee, il giocatore B, può essere spiegata dall’altruismo puro, dall’avversione all’ineguaglianza e dalle teorie della reciprocità come la teoria detta reciprocating fairness proposta da Rabin (1993)35. 35

All’interno di un gioco uniperiodale, la risposta cooperativa del trustee non può essere spiegata dalla teoria dell’altruismo strategico, in quanto la sua mossa chiude il gioco e il suo comportamento fiduciario non può

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I modelli e le teorie che analizzano i comportamenti fiduciari possono essere distinti in outcome-based e intention-based (McCabe, Rigdon e Smith 2003)36. Le spiegazioni

fondate

sull’altruismo

(puro

o

strategico)

e

l’avversione

alle

disuguaglianze sono definite outcome-based, poiché i giocatori sono interessati alla distribuzione finale dei pay-off e non alle motivazioni e alle intenzioni che sottostanno alle strategie scelte dagli altri giocatori. Quindi, la distinzione riguarda la struttura motivazionale dei giocatori: il risultato dello stesso gioco può essere interpretato diversamente alla luce delle teorie intention-based, come il modello della werationality (Gui e Sugden 2005) e il modello della rispondenza fiduciaria (trust responsiveness) proposta da Pelligra (2006, 2007 e 2010). Qualora entrambi i giocatori percepiscano se stessi come parte di un gruppo, può emergere un tipo particolare di razionalità definito we-rationality, o team-thinking, fondata su preferenze di gruppo o sociali (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). La differenza tra questo modelli e i modelli outcome-based consiste nella modificazione della struttura motivazionale dei giocatori: la scelta di cooperare non dipende dal benessere dell’altro giocatore o dall’avversione alla disuguaglianza nella distribuzione finale dei pay-off. Al contrario, poiché sia A che B si considerano come parte di un team, è razionale per entrambi scegliere la strategia “Coopera”, in quanto i due giocatori sono interessati alla somma dei pay-off e non a quelli individuali. Quindi, in riferimento al trust game di Figura 2.4, le possibili strategie e i relativi pay-off sono:  se A sceglie “Non coopera” la somma dei pay-off è 40 (20+20);  se A sceglie “Coopera” e B sceglie “Non coopera”, la somma è 45 (15+30);  se entrambi scelgono “Coopera” la somma è 50 (25+25), maggiore rispetto alle altre due strategie.

36

genera una risposta cooperativa da parte del trustor. Al contrario, nel caso in cui il gioco sia ripetuto un numero indefinito di volte, anche la teoria dell’altruismo strategico può spiegare il comportamento cooperativo del trustee. Tale distinzione ricalca quella tra teorie consequenzialiste e procedurali utilizzata per classificare le teorie esposte nel paragrafo 2.2.

54


Una ulteriore spiegazione della scelta della strategia “Coopera” da parte di A e B, utile inoltre per comprendere la distinzione tra modelli outcome-based e intentionbased, deriva dal confronto del trust game proposto in precedenza con una sua variante, definita involuntary trust game (caso b di Figura 2.5). Il trust game mostrato in Figura 2.4, riproposto come caso a in Figura 2.5, prende il nome di voluntary trust game. La differenza tra i due giochi consiste nella eliminazione della possibilità di scelta per il Giocatore A che, nel secondo caso, può soltanto cooperare.

Figura 2.5 Voluntary (a) e involuntary trust game (b)

I pay-off finali dei due giochi sono identici, per cui i modelli outcome-based non rilevano sostanziali differenze tra i due. Al contrario, modelli intention-based possono spiegare le differenze che emergono tra i due giochi quando sono testati in laboratorio. McCabe, Rigdon e Smith (2003) spiegano la maggiore frequenza di comportamenti fiduciari nel voluntary trust game con l’ipotesi della fiducia reciproca, che considera le motivazioni e le intenzioni dei due giocatori. Nel caso b, eliminando la outside option del giocatore A, si annulla la possibilità di scelta per il primo giocatore, influenzando la risposta del giocatore B. Infatti, l’eliminazione della strategia “Non coopera” azzera il costo opportunità di A associato a tale scelta, per cui il giocatore B non considera la strategia di A come un comportamento ispirato da 55


fiducia e reciprocità, modificando di conseguenza anche la propria risposta. Il confronto tra i due giochi fa emergere l’importanza dei segnali che esprimono fiducia, della loro comunicazione da parte del trustor e della loro interpretazione da parte del trustee. Quindi, l’insorgenza di un comportamento fiduciario dipende da tre fattori:

1. guadagni materiali per entrambi i giocatori e quindi pay-off finali maggiori (Pareto superiori) di quelli iniziali se i due decidono di cooperare [25, 25], 2. accettazione del rischio da parte del trustor che sceglie “Coopera” rinunciando al risultato [20, 20] e rischiando che il trustee scelga [15, 30], maggiore è il costo opportunità della scelta operata dal trustor, più forte è il segnale inviato al trustee; 3. rifiuto della strategia dominante, cioè di un ammontare maggiore, da parte del trustee [15, 30] per reciprocare la fiducia che il trustor ha avuto in lui [25, 25]37.

Affinché operi il principio della reciprocal trust e i due giocatori scelgano entrambi di cooperare, ottenendo così un risultato migliore rispetto alla situazione di partenza, è necessario che entrambi siano capaci di comprendere i segnali inviati dall’altro e questo dipende alla capacità di ognuno dei due giocatori di “leggere” le intenzioni dell’altro (processo di mind reading). Quando tali segnali sono eliminati dal gioco, diminuisce la frequenza dei comportamenti fiduciari. La teoria della rispondenza fiduciaria (trust responsiveness) proposta da Pelligra (2006, 2007, 2010) analizza la dimensione interpersonale della fiducia concentrandosi, come la teoria esposta sopra, sull’importanza della trasmissione e della interpretazione dei “segnali” fiduciari da parte dei giocatori. L’analisi di Pelligra parte dalla considerazione della fiducia come concetto relazionale, «relational behavioral principle» (Pelligra 2006, p. 2). In particolare, la 37

Il giocatore B che gioca “Coopera” guadagna 25 invece di 30 e, in pratica, rinuncia a parte del proprio pay-off per ripagare la fiducia di A.

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fiducia, come la reciprocità, è un incentivo relazionale, nel senso che spinge il secondo giocatore ad adottare comportamenti fiduciari per rispondere alle aspettative che il primo si crea circa il suo comportamento: la scelta di una strategia caratterizzata da un atto esplicito di fiducia da parte del Giocatore A, può indurre il Giocatore B a rispondere con un altro atto di fiducia. Tuttavia, è necessario che tale incentivo sia trasmesso per mezzo di adeguati “segnali” fiduciari, attraverso le strategie che ogni giocatore sceglie, inoltre è necessario che i giocatori siano in grado di decifrare i segnali e coordinare le loro azioni. Ogni relazione fiduciaria deve presentare le seguenti caratteristiche38:

1. guadagno condizionale: quando il trustee ripaga la fiducia del trustor, quest’ultimo ottiene un risultato migliore di quello di partenza; 2. perdita condizionale: viceversa, se il trustee tradisce la fiducia, il trustor ottiene un risultato peggiore di quello di partenza; 3. tentazione: il trustee otterrebbe un guadagno materiale maggiore, qualora scegliesse di tradire la fiducia che il trustor ha riposto in lui.

Tali caratteristiche possono essere formalizzate utilizzando i pay-off del trust game generalizzato (Figura 2.2): la condizione c > a rappresenta il guadagno condizionale che deriva dalla cooperazione; la perdita condizionale corrisponde all’imposizione di b < a; infine, la tentazione di tradire la fiducia è rappresentata da e > f. L’obiettivo dell’autore è dimostrare che la scelta di cooperare e di non tradire la fiducia dell’altro giocatore può essere razionale, anche se in contrasto con il proprio auto interesse. Dopo aver scartato le teorie dell’altruismo e dell’avversione alle disuguaglianze, che non comportano modifiche della struttura motivazionale degli agenti, i quali « continuano a scegliere individualmente e strumentalmente quelle azioni che determinano gli esiti preferiti per i singoli decisori» (Pelligra 2007, p. 142), 38

Tali caratteristiche sono molto vicine ai fattori che McCabe, Rigdon e Smith (2003) indicano nella loro analisi della fiducia reciproca.

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l’autore analizza le teorie della reciprocità e del we-thinking, che spiegano le scelte individuali concentrandosi sulle interazioni tra gli agenti e sulle preferenze di secondo ordine (quello che il Giocatore A pensa del Giocatore B, quello che il Giocatore A pensa che il Giocatore B pensi di lui, ecc.). Tali modelli ipotizzano «l’esistenza di una tipologia di preferenze radicalmente differente rispetto a quelle tradizionali» (Ivi). Il passo avanti compiuto da Pelligra consiste nel proporre una teoria che si concentra sul comportamento del trustee, cioè del giocatore che, una volta investito della fiducia degli altri, sceglie di ripagarla resistendo alla tentazione di mettere in atto strategie di tipo opportunistico, anche sopportando dei costi materiali. Quindi, Pelligra non si concentra sulla spiegazione della fiducia, piuttosto mira ad analizzare il concetto di affidabilità (trustworthiness), in quanto «una volta appurato […] che la persona con cui interagisco deciderà di non tradire la mia fiducia, deciderà di essere affidabile, allora spiegare perché io decido di fidarmi diventa assolutamente banale» (Pelligra 2007, p. 190).

Figura 2.6 Trust game (a) e trust game gratuito (b).

L’esempio del trust game gratuito (Pelligra 2010) mostra come l’ipotesi di rispondenza fiduciaria incorpora il concetto di relazionalità e si differenzia anche dalle 58


teorie che considerano la reciprocità come il comportamenti che spinge le persone ad essere gentili (fair) con chi è stato gentile con loro e a punire chi non è stato gentile (Rabin 1993). Il gioco illustrato in Figura 2.6 differisce dal trust game di Figura 2.4 solo per i pay-off relativi alla scelta “Non coopera” del Giocatore A. Modificando i pay-off in questo modo, la scelta di cooperare da parte del Giocatore A non produce alcun beneficio materiale per B. Tale scelta non è “gentile” dal punto di vista del Giocatore B, il quale, se guidato da un concetto di reciprocità del tipo ipotizzato da Rabin, sceglierà “Non coopera”. Al contrario, se il Giocatore B è guidato dall’ipotesi della rispondenza fiduciaria, sceglierà la strategia “Coopera” sia nel trust game classico che in quello gratuito, perché la sua risposta cooperativa è motivata dalla fiducia che A ha dimostrato di avere nei suoi confronti e non dalla fairness della strategia messa in atto dal Giocatore A. La teoria della trust responsiveness si basa sulla rilevanza dei “segnali” che trasmettono fiducia39 e sulla reciprocità, intesa come quella norma che «gli scienziati sociali chiamano la “norma della reciprocità”, che prima delle leggi, dei contratti e degli eserciti, costituisce il cemento della società e il vincolo dell’agire sociale» (Pelligra 2007, p. 146). Tale norma guida le relazioni tra le persone più di quanto preveda la teoria economica standard e i comportamenti ispirati dalla reciprocità rivestono la stessa rilevanza economica delle scelte dettate dall’agire strumentale (scambio di equivalenti) o gratuito (altruismo puro).

Nel complesso, le teorie proposte in questo capitolo e i dati ottenuti attraverso gli esperimenti in laboratorio puntano ad ampliare le ipotesi alla base del modello antropologico dell’agente economico standard. La Teoria della scelta razionale è in grado di spiegare i comportamenti cooperativi e other-regardig quando le interazioni sono ripetute. L’approccio sperimentale all’analisi della fiducia e della reciprocità arricchisce le caratteristiche principali dell’agente economico, mettendo in risalto la rilevanza di concetti come la relazionalità, la reciprocità, la fiducia e l’affidabilità. 39

Si veda anche Guerra e Zizzo (2003) per una verifica in laboratorio dell’importanza della trasmissione dei “segnali” in relazione all’ipotesi di rispondenza fiduciaria.

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Inoltre, gli esperimenti evidenziano i limiti e la “miopia” della teoria economica standard, che considera l’agente economico come un individuo perfettamente razionale, egoista e interessato esclusivamente al proprio interesse materiale.

2.3.4 Fiducia e capitale sociale La scienza economica ormai concorda sulla esistenza di una relazione positiva e statisticamente significativa tra i comportamenti pro-sociali40 e il capitale sociale, da un lato, e tra la dotazione di capitale sociale e lo sviluppo economico e sociale di una comunità dall’altro (Pelligra 2003, Garofolo e Sabatini 2008). Invece, la ricerca di una definizione del concetto di capitale sociale che sia chiara e accettata da tutti è più complessa. Una delle principali critiche rivolte al capitale sociale riguarda il carattere “opaco” di un concetto di difficile misurazione, il quale non costituisce una forma di capitale in senso stretto, in quanto non si può attribuire la sua proprietà ad un soggetto specifico, mentre è possibile per le altre tipologie di capitale. Una definizione molto generale considera il capitale sociale come l’insieme di «norme, comportamenti e istituzioni in grado di favorire la diffusione della fiducia e della cooperazione tra gli agenti economici» (Garofolo e Sabatini 2008, p. 134). Un certo consenso esiste anche riguardo l’idea che il capitale sociale sia costituito dalle seguenti caratteristiche di una data struttura sociale:  dalle reti di relazioni create o ereditate, per esempio dalla famiglia;  dalle norme formali e informali;  dalla fiducia interpersonale generalizzata. Una elevata dotazione di questi fattori favorisce l’azione collettiva, la cooperazione e il perseguimento di obiettivi condivisi collettivamente. Le relazioni 40

Fiducia, reciprocità, we-rationality, altruismo e avversione alla disuguaglianza sono alcuni esempi di comportamenti cooperativi formalizzati in modelli economici (Pelligra 2003 e 2007).

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interpersonali, basate sulla fiducia generalizzata, possono essere create sia intenzionalmente che come sottoprodotto di relazioni economiche e sono regolate da norme formali e informali. Una delle dimensioni più importanti del capitale sociale è la fiducia interpersonale generalizzata, cioè la fiducia verso le persone che non si conoscono, che spinge gli individui ad adottare comportamenti cooperativi, riducendo le incertezze e aumentando la forza dei meccanismi sanzionatori: «[trust and] civic norms effectively constrain opportunism, the costs of monitoring and enforcing contracts are likely to be lower, raising the payoffs to many investments and other economic transactions» (Knack e Keefer, 1997, p. 1254).

Figura 2.7 Fiducia verso i conoscenti e gli estranei in Italia41 Fonte: World Values Studies 2005 - 2008

41

La domanda posta all’intervistato è la seguente:«I 'd like to ask you how much you trust people from various groups. Could you tell me for each whether you trust people from this group completely, somewhat, not very much or not at all? People you know personally. People You meet for the first time». Il grafico mostra le percentuali, relative all’Italia [2005], delle quattro possibili risposte alle domande riguardo la fiducia nei conoscenti (people you know personally) e nelle persone conosciute per la prima volta.

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Uno degli obiettivi dell’approccio “empirico” all’analisi della fiducia è rappresentato dalla ricerca delle determinanti della fiducia e dei comportamenti fiduciari, ad esempio: esistenza di diritti di proprietà ben definiti, meccanismi di enforcement dei contratti, percezione della corruzione e l’uguaglianza sociale misurata dalla disuguaglianze del reddito o del possesso delle terra e il grado di omogeneità etnica. (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011; Knack e Keefer 1997). Nonostante le critiche e le difficoltà nel trattare il tema del capitale sociale, questo appare indissolubilmente legato al concetto di fiducia. Infatti, «la letteratura riconosce unanimemente che la capacità delle reti di produrre effetti positivi per l’economia e la società passa proprio attraverso la produzione e la diffusione della fiducia» (Garofolo e Sabatini 2008, p. 223). Nel processo di accumulazione del capitale sociale, la fiducia riveste un ruolo fondamentale anche in una economia di mercato basata sui contratti. Infatti, qualora l’enforcement dei contratti sia impossibile o imperfetto, perché non è possibile considerare tutte le possibile circostanze e le eventualità, la fiducia diffusa tra gli agenti economici è alla base degli scambi e, in sua assenza, gli scambi non avverrebbero. Tuttavia, data l’opacità dei temi trattati, alcuni autori42 considerano la fiducia un epifenomeno, nel senso che la presenza di legami fiduciari è condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’accumulazione del capitale sociale. Garofolo e Sabatini (2008) considerano la mafia, le baby-gang e le cliques imprenditoriali, come esempi di associazioni caratterizzate da un elevato livello di fiducia (interno) e che, tuttavia, possono danneggiare le altre reti fiduciarie della comunità nella quale operano. Putnam (1995) distingue due dimensioni del capitale sociale: una costituita dalla fiducia diffusa e dal rispetto delle norme, l’altra dalle associazioni e dall’associazionismo. Inoltre, individua, nell’aumento dei giocatori di bowling, accompagnato dalla contestuale diminuzione delle associazioni di giocatori negli Stati Uniti, una

misura

della erosione del capitale

sociale

e, in particolare,

dell’associazionismo. Infatti, come le altre tipologie di capitale, il capitale sociale è soggetto a varie forme di erosione e di spiazzamento, per questo necessita di continui 42

Ad esempio Fukuyama, citato in Garofolo e Sabatini (2008, p. 203).

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investimenti in relazioni (Becchetti 2007, OECD 2001, Pelligra 2003). A questa definizione di carattere “collettivista” che enfatizza la dimensione cooperativa e l’associazionismo, si contrappone un approccio incentrato sugli individui, sui loro comportamenti e sulle loro relazioni (Coleman 1988). Il punto di vista proposto da Pelligra (2003) tenta di superare questa difficoltà, adottando un approccio microfondato che individua le determinanti del capitale sociale a livello micro, ma afferma che, al tempo stesso, il capitale sociale produce effetti collettivi a livello macro. Le principali determinanti di livello micro sono rappresentate dai comportamenti prosociali come fiducia, reciprocità, razionalità di gruppo e avversione alle disuguaglianze. Questi comportamenti sono alla base dell’accumulazione del capitale sociale e sono a loro volta rafforzati dalla sua accumulazione, in una sorta di circolo virtuoso (Pelligra 2003). La letteratura riconosce tre tipologie di capitale sociale: bonding, bridging e linking. La distinzione è basata su:  il grado di omogeneità e di vicinanza tra il singolo e gli altri;  le informazioni disponibili riguardo agli altri43.

Il bonding social capital, spesso descritto con una connotazione negativa (Banfield 1958), è formato dalle reti fiduciarie all’interno di gruppi omogenei di persone. Queste relazioni possono causare la chiusura del gruppo e, quindi, essere di ostacolo alla circolazione delle informazioni e alla diffusione della fiducia, un esempio tipico in letteratura è la famiglia44. Il secondo tipo di capitale sociale è formato dai legami orizzontali all’interno di gruppi di persone tra loro eterogenee e l’uso in letteratura del termine bridging è giustificato dalla capacità di questa tipologia di relazioni di creare “ponti” che uniscono gruppi tra loro diversi dal punto di vista socio43

44

Tale distinzione rimanda a quella introdotta nel paragrafo 2.3.1 tra fiducia particolare e fiducia strategica: la prima si riferisce alle persone conosciute, o sulle quali è possibile acquisire informazioni; la seconda è rivolta verso gli estranei e le istituzioni. Contro la teoria del “familismo amorale” inaugurata da Banfield, si veda, ad esempio, Donati e Prandini (2007), i quali propongono un’analisi relazionale del capitale sociale prodotto dalle famiglie, contestando l’ipotesi di una eccessiva chiusura ed evidenziando la capacità delle famiglie di creare legami fiduciari e ispirare comportamenti cooperativi anche al suo esterno.

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economico e culturale, facilitando la circolazione delle informazioni e la diffusione della fiducia tra ambienti socioeconomici diversi. Il vantaggio comparato delle reti di questo tipo consisterebbe, dunque, nella maggiore velocità e facilità di circolazione delle informazioni. Alcuni esempi sono: i circoli sportivi e le associazioni culturali. Garofolo e Sabatini (2008), nella loro analisi sul capitale sociale degli imprenditori del distretto della Tuscia, misurano il bridging social capital con il punteggio dato dagli intervistati alla frequenza degli incontri con amici e conoscenti, opportunamente ricodificato. Infine, il capitale sociale di tipo linking indica le relazioni verticali tra individui o gruppi sociali e individui o gruppi di potere politico ed economico, un esempio sono le organizzazioni che formano la società civile45. Sia l’approccio “sperimentale” che quello “empirico” descritti nel paragrafo precedente, confermano l’esistenza di una relazione positiva tra fiducia, capitale sociale e performance economica: il primo partendo dai dati ottenuti tramite gli esperimenti di laboratorio, il secondo attraverso indagini statistiche nazionali e internazionali. In generale, la letteratura economica riconosce l’importanza del capitale sociale, delle politiche tese al suo rafforzamento e dell’impatto esercitato dalla fiducia sulla crescita economica e su altre variabili come: l’efficacia delle istituzioni pubbliche e il governo, la performance delle associazioni e la partecipazione civica, il tasso di scolarizzazione (Downward, Pawlowski, e Rasciutte 2011). In particolare, la letteratura riconosce l’impatto positivo esercitato sul benessere degli individui: livelli elevati di capitale sociale sono associati a maggiore inclusione sociale, migliore salute e capacità di cura dei figli, minori tassi di criminalità, maggiore benessere economico e ad una più equa distribuzione della ricchezza; mentre sono correlati negativamente all’esclusione sociale, all’isolamento e alla infelicità degli individui (OECD 2001). L’esistenza di una relazione positiva tra capitale sociale e crescita economica è ormai accettata anche dalle principali Organizzazioni internazionali, in particolare 45

Garofolo e Sabatini (2008) hanno individuato e misurato un quarto tipo di capitale sociale, il corporate sociale capital, riferito agli imprenditori e formato dalle reti di relazioni professionali, come le associazioni professionali. Secondo gli autori non sempre ha un effetto positivo sulla fiducia e sulla performance economica, in quanto può causare la chiusura del gruppo verso l’esterno e ostacolare la diffusione delle informazioni.

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dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD 2001) e la Banca Mondiale (Grootaert 1998), nella definizione di progetti di sviluppo e nella lotta contro la povertà. Tale relazione appare controversa ed è difficile da definire in maniera chiara e univoca, a causa della difficoltà nell’individuare le corrette variabili da utilizzare per analizzare le relazioni tra i numerosi fattori che determinano il capitale sociale. Ulteriori difficoltà sono legate alle comparazioni degli studi e dei dati tra Paesi diversi dal punto di vista storico, culturale e istituzionale (OECD 2001). La ripetizione delle interazioni sociali di natura cooperativa stimola la formazione di valori condivisi ispirati dalla fiducia e dalla reciprocità, scoraggiando le persone dal mettere in atto comportamenti opportunistici; in questo modo migliora le condizioni in cui si verificano le transazioni e l’attività economica, con effetti positivi in termini di sviluppo e crescita socio-economica. Le reti di legami e di relazioni facilitano la diffusione della fiducia e la trasmissione delle informazioni, rendono più facilmente prevedibile il comportamento degli agenti economici e favoriscono gli investimenti, attraverso la riduzione dei costi di transazione e dell’incertezza: «social capital does not remove the uncertainty, but it may create mutual knowledge about how agents will respond to different states. It may also serve as an enforcement mechanism to ensure that these expectations about mutual behavior are in fact realized. This reduces contracting costs» (Grootaert 1998, p. 4)46. La diffusione del capitale sociale produce questi effetti sia a livello micro, migliorando il funzionamento dei mercati attraverso i comportamenti fiduciari e cooperativi, sia a livello macroeconomico, incidendo sul quadro istituzionale e normativo e sull’attività delle istituzioni politiche. Quindi, il capitale sociale rientra a pieno titolo nel processo di crescita economica, come le altre forme di capitale. Tuttavia, come il capitale umano, non è soltanto un input del processo di crescita, ma rappresenta anche il suo prodotto, l’output, in quanto «many people would agree that a rich network of civic associations and a well-functioning set of government institutions are worth having, independent of their effect on future economic growth. Human and social capital thus share the 46

Si veda anche Downward, Pawlowski e Rasciutte (2011) e Garofolo e Sabatini (2008).

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attribute that they are simultaneously a consumption good and an investment» (Grootaert 1998, p. 8), con la differenza che il capitale umano può essere acquisito dall’individuo indipendentemente dalle azione degli altri; al contrario, è impossibile stabilire diritti di proprietà relativi al capitale sociale che, per definizione, può essere prodotto e consumato solo da un gruppo di individui che scelgono di cooperare. Per questo motivo, alcuni autori considerano il capitale sociale un bene pubblico (Grootaert 1998), altri lo considerano un bene di club47 o un bene relazionale (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011). Il carattere opaco di concetti come fiducia e capitale sociale e la loro parziale sovrapposizione, spinge gli studiosi che rientrano nel cosiddetto approccio “empirico” a misurare il capitale sociale con indicatori della fiducia, stabilendo a priori una relazione positiva tra i due concetti. In particolare, tale letteratura sancisce, a priori, la relazione tra fiducia e tipologia di associazione: le associazioni come i sindacati, le organizzazioni professionali e i partiti politici sono chiuse rispetto alle altre reti che si sviluppano al loro esterno e tendono a perseguire interessi particolari e di gruppo, riducendo il ruolo della fiducia; mentre, associazioni più informali, definite Putnamtype (Downward, Pawlowski e Rasciutte 2011), come le organizzazioni giovanili o religiose e le associazioni artistiche e culturali, esercitano un impatto positivo sulla fiducia. Altri autori (Knack e Keefer 1997) mettono in relazione la fiducia non solo con il tipo di associazioni, ma soprattutto con l’intensità delle relazioni, misurate dalla frequenza delle attività associative. Utilizzando i dati ricavati dalla World Val-ues Surveys relativi ad un campione di 29 economie di mercato, Knack e Keefer costruiscono un indicatore della fiducia generalizzata (TRUST)48 e un indicatore relativo alla forza delle norms of civic cooperation (CIVIC). Il primo si riferisce alla percentuale di persone che si aspettano comportamenti cooperativi da parte degli altri in un gioco del tipo Dilemma del prigioniero; il secondo riflette la volontà del singolo 47

Appartengono a questa categoria quei beni parzialmente escludibili, il cui godimento da parte di un agente non esclude il consumo da parte di altri agenti solo fino ad un certo punto. 48 Costruito sulla base delle risposte alla seguente domanda:«Generally speaking, would you say that most people can be trusted, or that you can't be too careful in dealing with people?».

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soggetto di cooperare con gli altri per risolvere un problema collettivo e per questo è identificato con il termine trustworthiness, che può essere tradotto con affidabilità o essere degni di fiducia. Dall’analisi delle regressioni stimate, i due autori concludono che, sebbene le associazioni esercitino un impatto forte sulla performance economica, l’effetto della fiducia e delle norme di cooperazione, misurate dalla variabile CIVIC, è maggiore. Contraddicendo in parte il pensiero di Putnam (Putnam, Leonardi e Nanetti 1993), gli autori trovano che la partecipazione ad una associazione non è significativamente correlata alla fiducia, alle norme civiche e alla crescita economica, quindi deducono che un governo con l’obiettivo di rafforzare la fiducia interpersonale dei propri cittadini, non dovrebbe puntare esclusivamente sulla promozione delle associazioni, poiché l’appartenenza ad una associazione non è direttamente correlata né alla crescita economica né alla fiducia. Infine, dai loro dati risulta che la relazione fiducia-crescita economica è più forte nei Paesi più poveri e attribuiscono questa differenza al minore sviluppo dei mercati finanziari, all’incertezza relativa ai diritti di proprietà e all’assenza di meccanismi di enforcement dei contratti. Questi fattori sono definiti come sostituti formali della fiducia interpersonale generalizzata e, laddove sono assenti, la fiducia può avere un effetto maggiore sulla crescita economica. Dalla letteratura analizzata in questo paragrafo, emerge che la fiducia generalizzata ha un impatto positivo sul capitale sociale e che il capitale sociale di tipo bridging e linking aumenta la fiducia diffusa e la performance economica di una comunità. Secondo Garofolo e Sabatini (2008), le associazioni volontarie, che producono il linking social capital, funzionano come «scuole di democrazia», che facilitano la diffusione della fiducia e della reciprocità nell’ambiente sociale circostante. Inoltre, appartenere a un’associazione rende più frequenti le interazioni sociali, più facile la creazione di legami fiduciari e può stimolare l’adozione di comportamenti cooperativi anche al di fuori dell’associazione, incidendo sul funzionamento dei mercati e, a livello aggregato, sulla performance del sistema economico. Similmente il bridging social capital, ovvero la fiducia generalizzata verso persone sconosciute o appartenenti a gruppi tra loro differenti, è importante per la 67


crescita di un sistema economico basato sul mercato e i contratti. Il valore del capitale sociale bridging, in relazione al benessere degli individui, è riconosciuto anche dalle Organizzazioni Internazionali e, in particolare, l’OECD assegna molta importanza a tale concetto, in assenza del quale, legami più stretti, di tipo bonding tra persone tra loro omogenee, possono spingere alla ricerca degli interessi particolari del gruppo e determinare la chiusura verso l’esterno. Per cui, tali gruppi sarebbero caratterizzati da forti legami fiduciari ed elevata cooperazione verso l’interno del gruppo, riservando bassi livelli di fiducia e cooperazione all’esterno e limitando l’inclusione sociale (OECD 2001). Infine, dai modelli proposti è possibile ricavare importanti implicazioni normative e di policy per favorire l’accumulazione e contrastare l’erosione della fiducia e del capitale sociale. Sviluppare nuovi strumenti di policy è importante perché le istituzioni, i contratti o le norme che si basano sul presupposto che le persone agiscano come l’homo oeconomicus, così come descritto dalle ipotesi della teoria standard, possono essere controproducenti, in quanto possono eliminare realtà non economiche ma relazionali, come l’autostima, l’approvazione sociale, le motivazioni intrinseche, i comportamenti pro-sociali, la fiducia e la reciprocità, incidendo negativamente sulla dotazione di capitale sociale e, in questo modo, anche sulla crescita economica. L’insieme dei modelli proposti, supportato dai dati degli esperimenti in laboratorio e dai dati “empirici” delle numerose indagini statistiche, non hanno ancora prodotto una vera e propria teoria che possa spiegare completamente i comportamenti pro-sociali e sostituire in questo modo la teoria economica della scelta razionale. Tuttavia, questa grande mole di dati ha evidenziato una serie di regolarità empiriche che contribuisce ad arricchire il modello antropologico della teoria economica, dimostrando che le persone si comportano in maniera meno opportunistica rispetto a quanto preveda la teoria standard.

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Capitolo 3 Caratteristiche operative delle Banche del Tempo 3.1 Nascita e diffusione delle Banche del Tempo Le prime esperienze di Time banking sono nate negli Stati Uniti da un'idea dell’avvocato Edgar Cahn. L'unità di conto utilizzata è chiamata Time Dollar e il sistema di service credits, crediti che danno diritto a servizi, si basa sul principio dell'uguaglianza delle prestazioni effettuate e scambiate, per cui un'ora è scambiata sempre con un'altra ora a prescindere dalla tipologia del servizio fornito. Dagli anni '80 del secolo scorso, sono nate numerose banche del tempo in Canada, Australia e Nuova Zelanda, in Europa (Inghilterra, Francia49, Spagna e recentemente in Svezia) contemporaneamente alla diffusione e allo sviluppo dei LETS e di altri sistemi di scambio non monetario. In Italia, la prima banca del tempo è nata a Parma nel 1991 da un'idea della segretaria generale della Uil Pensionati locale, ispirata dalla esperienza dei LETS in Canada. La banca del tempo di Parma “Il mio tempo per i tuoi bisogni” è ancora oggi funzionante ed è considerata la “madre” delle banche del tempo italiane. A questa ha fatto seguito la banca del tempo di Sant'Arcangelo di Romagna (Rimini), nata all'inizio del 1995 grazie all'impegno del Sindaco, nonché Presidente della Commissione pari opportunità. Alla fine del 1995 erano nate altre due banche del tempo: a Ivrea all'interno della associazione “Casa delle donne” e a Padova grazie ad una convenzione tra il Comune e la cooperativa “Domani Donna”. Tali esperienze hanno attirato l'attenzione dei media e il centro “Il cittadino ritrovato” ha organizzato, a Bologna, una prima conferenza che ha notevolmente contribuito alla loro diffusione. Sempre nel 1995, è nato l'osservatorio nazionale delle banche del tempo

49 Ad esempio, in Francia nascono diversi sistemi di scambio non monetario (reseaux associatif d'echanges) come i Systeme d'Echanges Local (Sel) simili al modello LETS e il sistema Troc Temps (baratto di tempo) simile alle banche del tempo italiane (Amorevole, Colombo e Grisendi 1996).

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“Tempomat50”, che contava una ventina di banche del tempo sul territorio nazionale nel 1996 e ottanta l'anno successivo (Galeotti 2005)51. Le donne si sono mostrate più attente alle tematiche temporali e alla conciliazione dei tempi di vita, per questo il loro ruolo è stato decisivo, tanto che in questa prima fase soltanto loro erano ammesse a scambiare, solo in seguito le banche del tempo si sono aperte a tutti i cittadini interessati e quindi anche agli uomini52. Nel corso degli anni successivi sono state attivate banche del tempo su quasi tutto il territorio nazionale, con una netta prevalenza del Nord e del Centro, in particolare in Lombardia e Piemonte (Fig. 3.1). Inoltre, sono nati coordinamenti sia a livello provinciale che regionale e, nel 2007, una Associazione Nazionale con funzioni di monitoraggio e di sostegno alle singole banche del tempo.

Fig. 3.1 Distribuzione percentuale per macro area geografica delle 209 BdT censite Fonte: elaborazione dai dati dell’Ass. Nazionale BdT53

Nel corso di questa storia ventennale, le banche del tempo non hanno modificato in modo sostanziale la loro struttura organizzativa o i principi che regolano 50 http://www.tempomat.it 51 Per approfondire la storia delle banche del tempo italiane si veda Amorevole, Colombo e Grisendi (1996). 52 Un dato interessante è che, sebbene esistano banche del tempo formate da sole donne, non ne esiste alcuna formata da soli uomini. 53 http://www.associazionenazionalebdt.it/dove-siamo.html

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gli scambi e sono rimaste fedeli al modello che le ha ispirate.

Fig. 3.2 Distribuzione per Regione delle 209 BdT censite Fonte: elaborazione dai dati dell’Ass. Nazionale BdT

3.2 Elementi costitutivi e funzionamento Una banca del tempo può essere definita come un sistema di scambio non monetario di servizi non professionali a carattere occasionale. Il tempo necessario alla fornitura del servizio, espresso in ore o frazioni di ora54, rappresenta l'unità di misura per contabilizzare gli scambi e, fin dall'inizio, le banche del tempo hanno adottato il principio della parità di tutte le prestazioni scambiate: un'ora di giardinaggio equivale a un'ora di lezioni di informatica o ad un'ora impiegata facendo compagnia ad una persona anziana. In estrema sintesi, una banca del tempo funziona nel modo seguente:

54 Nella maggior parte dei casi si considera solo la “mezz'ora” e non frazioni ad essa inferiori.

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il socio A “paga” un'ora al socio B in cambio di un'ora di giardinaggio, la banca del tempo accredita un'ora sul conto di B e addebita un'ora su quello di A. Il socio B può quindi spendere un'ora chiedendo in cambio un servizio a tutti i soci e non necessariamente al socio A; ad esempio, chiederà un'ora di lezioni di informatica al socio C. La banca del tempo provvederà ad addebitare un'ora sul conto di B e ad accreditarla su quello di C.

Fig. 3.3 Schema del funzionamento di una banca del tempo

In questo modo, il totale dei crediti è sempre uguale al totale dei debiti all’interno del sistema. La scelta di utilizzare l'ora come unità di conto deriva dall'idea che tutti hanno tempo e capacità che possono essere richiesti dagli altri soci e, quindi, possono essere scambiati in un'ottica di reciprocità indiretta. Tale scelta si accompagna ad un principio di uguaglianza tra le capacità e le competenze dei partecipanti, per cui il tempo, l'ora, 72


ha la funzione di conservare e trasmettere agli altri soci le informazioni quantitative relative allo scambio: chi ha scambiato cosa, e in cambio di quanto tempo. Adottando questi principi, le banche del tempo si differenziano da altri sistemi di scambio non monetario, ad esempio dai LETS, e dal mercato, che prevede una retribuzione monetaria per i servizi forniti, ma anche dalla redistribuzione attuata da un apparato statale centrale e dal volontariato. Al momento della sua iscrizione ad una banca del tempo, il nuovo socio comunica alla segreteria i servizi che ha intenzione di offrire e di richiedere agli altri soci, quindi apre un conto corrente all'interno del quale sono contabilizzati i crediti e i debiti. Fino a quando il nuovo socio non inizia a scambiare il conto è pari a zero. Non esistono interessi, né attivi né passivi, ma, in genere, le varie banche fissano un limite ai debiti e ai crediti che è possibile accumulare. In molti casi, la banca impone ai soci la regola del pareggio del bilancio: è la stessa banca, in particolare attraverso la figura del coordinatore, che si attiva nei confronti dei soci che hanno accumulato un debito eccessivo, affinché partecipino più attivamente agli scambi, riducendo così il proprio debito con l’intero sistema. Allo stesso modo, la banca si attiva nei confronti dei soci che accumulano un credito eccessivo: ai soci non è richiesto soltanto di offrire le proprie prestazioni senza chiedere nulla in cambio, poiché la banca è ispirata a un principio di reciprocità indiretta, i soci dovrebbero imparare a riconoscere i propri bisogni e quindi scambiare attivamente il proprio tempo per soddisfarli grazie alle competenze degli altri partecipanti. In questo senso, un credito eccessivo, così come un debito eccessivo, rappresenta una sorta di “fallimento” per la banca e, spesso, i crediti in eccesso sono donati al Fondo Ore. Quest’ultimo rappresenta un importante strumento operativo, sul quale sono accreditate:  le ore dovute ai soci che partecipano alla gestione (segreteria, organizzazione di incontri, ecc.) e alla promozione della banca del tempo;  le ore dei conti chiusi perché i soci lasciano la banca, sia le ore a debito che a credito;  le ore relative a prestazioni di gruppo, ad esempio il socio A dedica un'ora di 73


lezione di inglese ai soci B e C, sui conti di B e C è addebitata un'ora ciascuno, mentre sul conto di A è accreditata solo un'ora e l'altra è accreditata sul Fondo Ore.

Spesso le banche stipulano una forma specifica di assicurazione, al fine di tutelare i soci da eventuali danni causati durante la fornitura dei servizi, danni che possono riguardare se stessi, gli altri o le cose. In questi casi, i costi sono coperti dall'ente promotore (spesso è il Comune o altre associazioni), oppure direttamente dalla banca attraverso quote in denaro pagate dai soci, di solito al momento dell'iscrizione e successivamente con cadenza annuale.

3.2.1 I servizi scambiati Compilare un elenco completo dei servizi scambiati è molto difficile, in quanto questi dipendono sostanzialmente dalle capacità e dalla fantasia dei partecipanti. Tuttavia, è importante sottolineare che la banca applica due regole fondamentali a questo proposito: i servizi scambiati non devono avere attinenza con la professione dei soci e devono avere carattere di prestazione occasionale. Oltre alle motivazioni fiscali, la scelta è giustificata dall'idea, propria delle banche del tempo e della gran parte dei sistemi di scambio non monetario, per cui tutti hanno capacità (anche diverse da quelle professionali) e tutti possono avere bisogno delle competenze degli altri. I servizi scambiati possono essere raggruppati in tre macro categorie:  aiuto nella soluzione di problemi pratici (pulizie domestiche, piccole riparazioni, giardinaggio, aiuto per un trasloco, ecc.);  servizi di informazione, formazione e consulenza (lezioni di lingua, informatica, ecc.);  servizi di relazione (compagnia, cura dei bambini o degli anziani, accompagnamento, ecc.). 74


I servizi che rientrano nella terza categoria presentano una più marcata «propensione alla relazionalità sottostante gli scambi, relazionalità che è, in questo caso, l'unica ragione dello scambio stesso» (Galeotti 2005, p. 89). Questo non vuol dire che la componente di relazionalità e socializzazione sia completamente assente nelle prime due categorie, ma, mentre nelle prime due tale componente non è necessaria, nella terza è intrinseca. Le attività di cura non soltanto rappresentano una delle tipologie di servizi più scambiati, ma sono anche la tipologia di servizi verso i quali appare più forte il riferimento delle banche del tempo per una serie di motivi. Innanzitutto, le banche presentano in genere una quota maggiore di soci donne55, che, tipicamente, si occupano di tali attività all'interno della famiglia. É difficile inquadrare tali attività all'interno della dicotomia tempo di lavoro/tempo di non lavoro, in quanto si tratta di «un lavoro nascosto, non valorizzato, faticoso ma anche gratificante» (Amorevole, Colombo e Grisendi 1996, p. 15) e che incide in maniera profonda sulla qualità percepita della vita. Uno degli scopi delle banche è proprio quello di valorizzare questo lavoro attraverso lo scambio e sottraendosi «alla logica ossessiva delle regole del mercato e della produzione anche dando valore ad esperienze di lavoro di cura e avendo interesse per la micro organizzazione della vita quotidiana come senso per l'esistenza» (Ibidem, p. 16). Quindi lo scambio dei servizi tra i soci aiuta a migliorare la gestione del proprio tempo e, in particolare, del tempo dedicato alla cura. Tuttavia, alcuni servizi di cura richiedono competenze professionali e rientrano tra i diritti dei cittadini, per questo devono essere forniti dalle istituzioni preposte. Alcune banche del tempo attivano forme particolari di scambi, ad esempio con le amministrazioni, con altre associazioni e con altre banche del tempo, con la comunità (il quartiere o il Comune) che ospita la banca, oppure scambi di gruppo e scambi familiari. Le modalità in cui avvengono questi scambi e la loro contabilizzazione sono disciplinati dal Regolamento adottato da ogni banca. Infine, alcune banche prevedono anche lo scambio di beni. É il caso, ad esempio, della Banca 55 Galeotti (2005) rileva che, nelle 122 banche del tempo analizzate, in media il 73,5 % dei soci è di sesso femminile.

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del tempo del Quartiere Savena (Bologna), all'interno della quale è possibile scambiare oggetti contro tempo e, in tal caso, il valore è deciso attraverso la contrattazione tra le due parti. Amorevole (1999) riporta che la valutazione degli oggetti scambiati tende a discostarsi da quella di mercato e ad attestarsi su valori bassi. In ogni caso, la maggior parte delle banche del tempo tende a scoraggiare o a vietare espressamente lo scambio di oggetti. Per quanto riguarda quelle prestazioni che richiedono l'acquisto di determinati beni, ad esempio la preparazione di una torta richiede l'acquisto degli ingredienti, la maggior parte delle banche del tempo prevede che sia il socio che richiede la prestazione a pagare tali beni “intermedi”: se il socio A chiede al socio B un'ora del suo tempo per preparare una torta, il socio A compra gli ingredienti necessari in un negozio pagando in moneta ufficiale e “paga” un’ora al socio B per la preparazione della torta.

3.2.2 Gli Strumenti di scambio Ogni banca del tempo compila, in formato cartaceo e/o elettronico, un elenco delle prestazioni offerte e richieste e un elenco dei partecipanti con i loro dati e il loro estratto conto, al fine di garantire la trasparenza del sistema. I soci possono quindi contattare la segreteria della banca esprimendo le loro necessità e aspettare che questa li metta in contatto con i soci che forniscono il servizio desiderato, oppure, come accade più spesso, possono contattare direttamente un altro socio partendo dall'elenco dei servizi offerti. Dopo aver usufruito del servizio, il socio richiedente compila un assegno, del tutto simile a quelli bancari, indicando il socio che lo ha fornito, il tipo di servizio e le ore necessarie alla sua fornitura. Tali assegni sono consegnati alla segreteria della banca che si occupa della loro contabilizzazione.

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Fig. 3.4 Esempio di assegno Fonte: Amorevole (1999)

Alcune banche hanno adottano anche altri sistemi, ad esempio si può comunicare uno scambio alla segreteria tramite telefono, fax o e-mail. Grazie allo sviluppo di software open - source, spesso creati dai soci, oggi la maggior parte delle banche registra elettronicamente le operazioni di scambio e non più in formato cartaceo. In Emilia Romagna, la Regione, attraverso l'Assessorato delle politiche sociali e familiari, ha sviluppato un software che le banche del tempo del territorio regionale utilizzano per la contabilizzazione degli scambi.

3.2.3 La struttura organizzativa Il nucleo iniziale di promotori può appartenere ad un ente locale come il Comune, oppure ad un'associazione del Terzo settore o, semplicemente, può essere formato da cittadini che progettano autonomamente un sistema di scambio di servizi. La maggior parte delle banche del tempo adotta la forma giuridica di associazione e, come

ogni

associazione,

deve

dotarsi

di

un

organismo

che

si

occupi

dell'amministrazione generale e i cui membri siano votati dai soci. I compiti principali del gruppo di amministrazione riguardano:  redazione del bollettino o della newsletter con le offerte e le richieste di prestazioni,  contabilità e gestione della segreteria e dei beni dell'associazione, in particolare del Fondo comune in ore, 77


 organizzazione delle riunioni periodiche,  divulgazione e pubblicità delle attività e dei principi ispiratori della banca.

Una figura centrale per il buon funzionamento della banca del tempo è quella del coordinatore. Solitamente, è la persona più motivata e spesso è anche uno dei soci fondatori. La sua figura è importante soprattutto nella fase iniziale della banca del tempo poiché si occupa della programmazione delle attività, di rappresentare la banca all'esterno e, in generale, si pone come obiettivo quello di creare un gruppo unito e coeso. La figura del coordinatore è delicata in quanto può capitare che, essendo il socio più motivato e più attivo, accentri su di sé la maggior parte delle attività, con il rischio che la banca del tempo chiuda qualora, per qualsiasi ragione, il coordinatore abbandoni l'associazione. Inoltre, le banche del tempo che assumono la forma giuridica di associazione si dotano di un Atto costitutivo e di uno Statuto. Come previsto dal Codice civile, lo Statuto deve individuare chiaramente gli scopi e le norme interne dell'associazione. Le banche del tempo adottano anche un Regolamento interno, dal carattere più pratico rispetto ai due documenti precedenti, che definisce con precisione come funziona la banca, quali strumenti e quali regole adotta per contabilizzare gli scambi, il rapporto con un eventuale ente promotore, le regole di gestione del Fondo Ore comune; in generale, il Regolamento serve a risolvere le controversie che potrebbero nascere tra i soci. Per quanto le banche del tempo italiane siano molto eterogenee, è possibile classificarle innanzitutto in base al rapporto con le istituzioni e a tale proposito si può distinguere tra un modello “dipendente” e uno “indipendente” (Capizzi 2000). Al primo gruppo appartengono le banche istituite da Comuni, sindacati, Centri per le famiglie e quelle nate all'interno di associazioni, ma comunque sovvenzionate da enti pubblici. In tal caso, lo schema di Figura 3.3 può essere modificato nel modo seguente:

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Fig. 3.5 Funzionamento di una banca del tempo e rapporto con gli enti locali

Al secondo gruppo appartengono quelle banche che scelgono di non avere rapporti con le istituzioni e di coprire le spese di gestione (affitto dei locali, computer, fax, eventuale assicurazione per i soci, etc.) in altro modo, spesso richiedendo ai soci una quota di iscrizione in denaro. La distinzione è importante perché il rapporto con le istituzioni può produrre vantaggi, in termini soprattutto di supporto strumentale, ma anche svantaggi, in particolare in termini di perdita di autonomia. La distinzione è inoltre rilevante dal momento che, in altri Paesi, i sistemi di scambio non monetario nascono quasi sempre come esperienze dal basso e, in generale, non cercano l'appoggio delle istituzioni; in Italia, al contrario, le banche del tempo “dipendenti” sono numerose: un'indagine della Provincia di Bologna del 1997 ha censito 24 banche del tempo, delle quali 14 risultano create o promosse da istituzioni locali (Capizzi 2000). Sulla base delle risposte dei soci intervistati, Capizzi mette in luce differenze tra i due gruppi, relative soprattutto alle finalità della banca. Le banche del tempo “dipendenti” tendono a presentarsi come luoghi di socializzazione e di mutuo aiuto, ma soprattutto come luoghi di assistenza e le istituzioni vedono tale rapporto nell'ottica di una più corretta gestione dei tempi urbani e di sostegno a determinate classi sociali. Tuttavia, le banche del tempo appartenenti a questa categoria puntano a ribadire la propria indipendenza e autonomia per mezzo di convenzioni, stipulate con le istituzioni, che prevedono la restituzione del 79


supporto attraverso tempo e servizi dedicati alla comunità.

Fig. 3.6 BdT “dipendenti” e “indipendenti” a Bologna Fonte: Capizzi (2000)

Le banche “indipendenti” sono più vicine al modello dei LETS del mondo anglosassone, in quanto mirano a creare un «sistema economico locale alternativo a quello economico globale di tipo convenzionale» (Capizzi 2000, p. 179): puntano ad attivare un circuito di scambio di servizi e competenze che si fondi sulle relazioni tra le persone. Quindi, mentre le prime si presentano come centri di assistenza e «un antidoto alla solitudine», le seconde si presentano come organizzazioni nate dal basso e autogestite, portatrici di un discorso più marcatamente economico e autonomo. Infine, alcune differenze riguardano le caratteristiche dei partecipanti. Sia nelle banche “dipendenti” che “indipendenti” predominano le donne. Tuttavia, le banche del tempo appartenenti al secondo gruppo mostrano un'età media dei soci inferiore, una minore presenza di casalinghe e pensionati e una maggiore presenza di occupati, in particolare liberi professionisti, dirigenti, commercianti. Le banche del tempo “indipendenti” attirano maggiormente quelle «persone che sono in piena attività lavorativa e che, dunque, hanno presumibilmente meno tempo libero a disposizione rispetto ai pensionati e alle casalinghe del modello “dipendente”» (Ivi). 80


Un'altra possibile distinzione è quella tra banche del tempo “territoriali” e banche del tempo “tematiche”. Nel primo gruppo rientrano quelle banche che fanno riferimento ad una specifica comunità all'interno di un piccolo comune o di un quartiere di una grande città. Al secondo gruppo appartengono quelle banche che nascono a favore di soggetti particolari, come le giovani madri o gli studenti. Ad esempio, quelle nate all'interno delle scuole come la “Banca del tempo per ragazzi” di Villafranca d'Asti (Amorevole 1999) e la banca del tempo “Gocce Temporali”, attivata dall'Università degli studi di Parma nel marzo 201056.

3.3 Aspetti economici e giuridici dell’allocazione del tempo e dell’utilizzo del tempo come unità di conto 3.3.1 La cultura occidentale del tempo La società occidentale contemporanea è caratterizzata da una particolare visione del tempo e del tempo di vita degli individui che affonda le sue radici nella Rivoluzione industriale. A partire dalla nascita e dalla grande diffusione del lavoro in fabbrica e della classe operaia, il tempo ha acquisito una dimensione sempre più importante nella vita degli individui e la distinzione tra tempo di lavoro e di non lavoro è diventata la visione dominante del discorso, non solo economico, riguardo al tempo. L'analisi sociologica del tempo tende ad evidenziare due dimensioni principali. La prima dimensione è quantitativa: il tempo è oggettivamente misurabile e divisibile in maniera sempre più precisa e rigorosa. Da questa deriva la seconda dimensione che è legata al concetto di efficienza e velocità e può essere riassunta nella famosa espressione, attribuita a Benjamin Franklin, “il tempo è denaro”. Quindi il tempo, per essere impiegato in maniera efficiente, deve essere regolarizzato e pianificato in maniera razionale. Fino a pochi anni fa, l'intero tempo di vita degli individui era scandito in maniera precisa e standardizzata: formazione, attività lavorativa, 56 http://www.dis-abile.unipr.it/contenuto.php?id=33

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pensionamento. L'introduzione del concetto di flessibilità ha messo in crisi questa ripartizione. La flessibilità non riguarda soltanto il mondo del lavoro e il tempo di lavoro, dove spesso è sinonimo di precarietà, ma più in generale ha a che fare con «la possibilità offerta a ciascun soggetto di scegliere e variare a proprio piacimento le norme e le pratiche rispetto ai ritmi collettivi prevalenti» (Galeotti 2005, p. 24). Nell’individuo moderno occidentale convivono due tendenze opposte: da un lato la spinta verso la standardizzazione del tempo, dall'altro le rivendicazioni individuali per una più libera auto-gestione del proprio tempo, sia di lavoro che di non lavoro.

3.3.2 L’allocazione del tempo nella teoria economica Il tempo ha suscitato l'interesse di filosofi, sociologi e antropologi, ma probabilmente sono stati gli economisti a influire in maniera più decisiva sull'attuale concezione sociale del tempo. Nella seconda metà del XIX secolo si afferma in economia la Scuola marginalista che abbandona la teoria classica del valore-lavoro, sostituendola con la teoria dell'utilità (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Uno dei suoi fondatori, Léon Walras introduce il concetto di rareté «per cui beni e servizi utili sono quantitativamente limitati» (Antonelli et al. 2003, p. 19): quanto più un bene è raro, tanto più elevato è il suo valore. L'idea della scarsità ha, ancora oggi, una notevole influenza sul pensiero economico. Il tempo è una risorsa scarsa in quanto caratterizzata da vincoli oggettivi: un giorno è composto da 24 ore, una settimana da 168 ore, un anno da 8760 ore. Di conseguenza il tempo ha in sé un valore molto elevato. Questo è vero per gli economisti, ma è altrettanto vero che l'idea di scarsità del tempo è molto radicata nell'attuale società. Una prova è l'utilizzo diffuso di espressioni come “non ho mai tempo” oppure “nei ritagli di tempo”, a testimoniare il valore attribuito al tempo e l'importanza di una sua allocazione efficiente anche nella vita quotidiana. Tuttavia, il tempo non è più scarso nella nostra società rispetto al passato, in quanto il vincolo temporale oggettivo non si è modificato (una giornata dura sempre 24 ore). Al 82


contrario, il tempo dedicato al lavoro, negli ultimi anni, è diminuito ed è invece aumentata la produttività del lavoro, determinando un aumento costante del costo opportunità del nostro tempo, per cui «non dovremmo dunque dire che non abbiamo tempo o che abbiamo “meno tempo di un tempo” ma, più precisamente, che il nostro tempo costa moltissimo, molto di più rispetto ad alcuni decenni fa» (Becchetti 2007, p. 24). Il discorso economico mainstream si concentra sulle scelte individuali di chi sceglie di partecipare al mercato del lavoro “vendendo” il proprio tempo in cambio di un salario, ovvero sulle scelte di allocazione del tempo disponibile tra tempo di lavoro e di non lavoro da parte degli individui. Nel breve periodo, cioè senza considerare gli investimenti in capitale umano e quindi tenendo costante il saggio di salario57, l'individuo deve decidere:  quali e quanti beni acquistare sul mercato,  quali e quanti servizi offrire nel mercato del lavoro.

Quindi, gli individui decidono il proprio livello di consumo e stabiliscono l'allocazione efficiente del tempo disponibile tra tempo di lavoro e tempo libero (leisure in inglese). Poiché la quantità di tempo disponibile è limitata, decidere di dedicare un'ora in più al lavoro comporta una uguale riduzione del tempo libero, ma anche un aumento dei beni che è possibile consumare grazie al salario più elevato; viceversa, se il soggetto decide di ridurre il tempo dedicato al lavoro. Nella teoria dell'offerta di lavoro, il concetto di costo opportunità riveste una importanza fondamentale: scegliendo di compiere una determinata attività, anche priva di costi diretti, non è possibile compierne un'altra, che potrebbe comportare un guadagno maggiore al quale si è costretti a rinunciare, generando così dei costi indiretti. L'individuo ha come obiettivo la massimizzazione della propria funzione di utilità, dati il vincolo di bilancio e il vincolo temporale. L'utilità aumenta sia con un maggiore consumo di beni, sia con la disponibilità di maggiore tempo libero. Nel 57 In questa sintetica esposizione della teoria dell'offerta di lavoro, il reddito non da lavoro è costante e pari a 0.

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modello, l'individuo stabilisce l'ammontare di ore da dedicare al tempo di lavoro e al tempo libero sulla base del valore che attribuisce al tempo e del valore di mercato del tempo. Graficamente:

Fig. 3.7 Offerta individuale di lavoro

In corrispondenza del punto t2, l'individuo decide di dedicare tutto il proprio tempo al tempo libero e, poiché il reddito non da lavoro è pari a 0, non percepisce salario e non può acquistare beni sul mercato; al contrario, se l'individuo decide di dedicare tutto il proprio tempo al lavoro può acquistare una quantità di beni pari a c2, che rappresenta la quantità massima acquistabile dati i vincoli di bilancio e di tempo. Il modello è in equilibrio nel punto E, punto in cui è possibile acquistare una quantità di beni pari a c1 e dedicare al lavoro una quantità di tempo pari a t2 - t1 (t1 - 0 rappresenta il tempo libero). L'equilibrio è dato dall'intersezione del vincolo di bilancio (la retta c2 t2) e della curva di utilità più elevata che è possibile raggiungere (U1). La pendenza della curva di indifferenza corrisponde graficamente al saggio marginale di sostituzione che può essere interpretato come una sorta di saggio di salario familiare «ovvero come il valore attribuito al tempo dalla famiglia» (Antonelli et al. 2003, p. 263). Quindi, l'equilibrio corrisponde all'intersezione del saggio familiare e del vincolo di bilancio e, poiché la pendenza del vincolo di bilancio è pari 84


al salario di mercato, nel punto di equilibrio il salario di mercato e quello familiare coincidono: il valore che la famiglia e il mercato attribuiscono al tempo è identico. La teoria è interessata all'ammontare di ore che l'individuo decide di dedicare al lavoro e a come questa quantità è legata a variazioni del salario (o del reddito non da lavoro). Tali variazioni producono due effetti, che prendono il nome di effetto reddito ed effetto sostituzione: il primo prevede che un aumento del salario «rende l'individuo più ricco, tanto da consentirgli di acquistare più tempo libero» (Antonelli et al. 2003, p. 271) e ridurre le ore lavorate; al contrario; l'effetto di sostituzione prevede che, a fronte di un aumento di salario, il tempo libero diventa relativamente più caro e quindi l'individuo aumenta le ore dedicate al lavoro58. Tuttavia, la teoria non è in grado di prevedere l'effetto che un aumento o una diminuzione del salario producono sulla quantità di ore offerte nel mercato del lavoro, poiché i due effetti si muovono in direzioni opposte e una possibile soluzione può essere individuata soltanto grazie alla ricerca empirica. In generale, la gran parte degli economisti sostiene che «per i singoli lavoratori adulti che lavorano in paesi economicamente progrediti e dispongono di un impiego a tempo pieno» (Ivi), le ore di lavoro offerte crescono al crescere del salario ma, superata una certa soglia di salario, tende a prevalere l'effetto di reddito e quindi gli individui riducono le ore offerte sul mercato del lavoro. L'analisi delle scelte di allocazione del tempo è stata raffinata dall'economista statunitense Gary Becker, il quale ha dato inizio al filone di ricerca detto “economia della famiglia”59 che, nel corso degli anni successivi, ha prodotto numerosi modelli sulle scelte di allocazione del tempo da parte delle famiglie, tenendo in considerazione variabili individuali e istituzionali60. Nel suo articolo del 1965 A theory of the allocation of time, l'autore parte dalla constatazione che, nell'epoca moderna, il tempo non di lavoro è quantitativamente superiore al tempo di lavoro: «even a work week of fourteen hours a day for six days 58 I due effetti producono questi risultati se il tempo libero è considerato un bene normale; nel caso in cui il tempo libero sia considerato un bene inferiore, cioè un bene la cui domanda diminuisce all'aumentare del reddito, un aumento di salario produrrà un aumento delle ore lavorate. 59 Si veda anche Becker (1981) nel quale l'autore introduce il fattore “altruismo” all'interno delle scelte della famiglia e in particolare all’interno del rapporto genitori e figli. 60 Per una sintetica descrizione di tale letteratura si veda Addabbo, Caiumi e Maccagnan (2011); per l'analisi delle scelte di allocazione del tempo delle famiglie in Italia si veda anche Istat (2011).

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still leaves half the total time for sleeping, eating and other activities» (Becker 1965, p. 493), quindi «l’allocazione efficiente del tempo non di lavoro può avere conseguenze molto più rilevanti sul benessere economico, individuale e collettivo, di quella relativa al tempo di lavoro» (Antonelli 2003, p. 80). Nella teoria generale dell'allocazione del tempo, l'agente rappresentativo è la famiglia definita come una organizzazione che «nasce intenzionalmente sulla base delle opportunità consentite dall'insieme dei vincoli, istituzionali ed economici, e nello sforzo di realizzare i propri fini ed offre una struttura all'agire e alle relazioni tra individui» (Antonelli 2003, p. 70). Oltre ad essere una unità di consumo, che massimizza la sua utilità vendendo il proprio tempo nel mondo del lavoro per acquistare beni di mercato, la famiglia è anche una unità produttiva, poiché molti beni che essa acquista sul mercato non sono immediatamente consumabili, ma devono essere trasformati in “beni di base”61, attraverso un processo di produzione che necessita tempo, sforzi e l'applicazione di conoscenze specifiche. La famiglia combina il proprio tempo non di lavoro e i beni di mercato, in base alla funzione di produzione domestica, con lo scopo di massimizzare la propria funzione di utilità, dato il vincolo di bilancio (Becker 1965). La produzione di “beni di base” comporta dei costi diretti e un certo costo opportunità dato dal salario al quale si rinuncia e che rappresenta il costo indiretto; la distinzione tra costi diretti e indiretti equivale a quella tra attività orientate al lavoro e al consumo e a quella tra tempo di lavoro e di non lavoro. Di conseguenza, «il costo pieno delle attività di produzione domestica è dato dalla somma del prezzo di mercato dei beni e servizi in esse utilizzati (costo diretto) e del costo opportunità del tempo in esse impiegato (costo indiretto)» (Antonelli 2003, p. 70). Dal un punto di vista della teoria economica, la famiglia decide il livello di consumo di beni e l'allocazione del tempo disponibile: quando diminuisce il rapporto tra costi diretti e costi indiretti, diminuisce la convenienza a produrre determinati beni e servizi all'interno della famiglia e aumenta la convenienza a produrli in un contesto di mercato. Tali decisioni, operate dalle unità familiari, possono avere effetti sulla dinamica demografica e sulla struttura della famiglia, modificando i ruoli dei suoi 61 Ad esempio: andare a teatro, dormire, prendersi cura dei figli e degli anziani.

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componenti e, in tal senso, la famiglia «si rivela come un soggetto molto significativo del cambiamento istituzionale» (Ivi). La teoria generale di Becker spiega come l'aumento del salario femminile rappresenta un aumento dei costi indiretti e, quindi, spinge le madri ad entrare nel mondo del lavoro, dedicando meno tempo alla cura dei figli e affidandosi a servizi professionali acquistati sul mercato: ad esempio, dedicando meno tempo a cucinare ed utilizzando cibi precotti o l’insalata già lavata e imbustata, cioè utilizzando tecnologie time saving. Inoltre, in molti casi è difficile distinguere il lavoro dal tempo libero inteso come leisure (svago). Non tutte le attività che hanno un elevato costo opportunità, cioè richiedono tempo e la rinuncia a una certa parte di salario, possono essere considerate leisure; ad esempio, attività come la cura dei figli o andare dal barbiere (Becker 1965, p. 504). Come sottolinea lo stesso Becker, in alcuni casi non è semplice neppure distinguere il tempo di lavoro dal tempo di non lavoro: il pendolarismo o un pranzo d'affari sono citati da Becker come esempi di attività difficili da inquadrare in “lavoro puro” o “consumo puro” e per questo sono definite productive consumption. Becker analizza anche altri casi, supportati da numerosi dati empirici, che confermano la sua teoria generale. La diminuzione delle ore lavorative e il conseguente aumento del tempo non di lavoro per gli abitanti dei paesi più avanzati lascerebbero pensare che il tempo libero sia una risorsa relativamente più abbondante. Tuttavia, nota Becker, gli americano tendono a sprecare cibo e altri beni in misura maggiore rispetto ai paesi meno avanzati, contemporaneamente sono più attenti alla gestione del tempo rispetto al passato e cercano in molti modi di risparmiare tempo. La spiegazione di questo comportamento paradossale si trova nelle differenze dei costi relativi: in America, a differenza di altri Paesi più poveri, il valore di mercato del tempo è maggiore rispetto al prezzo dei beni, «the tendency to be economical about time and lavish about goods may be no paradox, but in part simply a reaction to a difference in relative costs» (Becker 1965, p. 514). Un ruolo fondamentale, in questo processo che porta cambiamenti nella struttura dei costi relativi, è giocato dall'evoluzione tecnologica che, soprattutto negli ultimi decenni, ha aumentano la produttività del lavoro e ridotto le ore ad esso dedicate. Per Becker, questo processo è 87


compensato da un aumento della produttività del tempo dedicato al consumo, come la diffusione dei rasoi e della abitudine di radersi a casa risparmiando il tempo altrimenti speso per andare dal barbiere e mettersi in coda con gli altri clienti. Il contributo della teoria sviluppata da Becker consiste nel considerare la famiglia come unità produttiva e non solo di consumo, introducendo la categoria dei “beni di base” e sottolineando l'importanza del tempo nella loro produzione. Dalla teoria beckeriana e dai numerosi studi e ricerche empiriche sulle scelte di allocazione del tempo da parte delle famiglie é possibile ricavare numerose implicazioni di policy, con un particolare riferimento alle politiche di gestione dei tempi urbani. Anche altri filoni di ricerca economica sono interessati al tema dell'allocazione del tempo, ad esempio l'economia relazionale e le ricerche sulla felicità dichiarata. Entrambi questi filoni sono d'accordo con la teoria beckeriana su due punti:  coloro che vivono nei Paesi industrializzati sembrano essere sempre più ricchi di denaro e contemporaneamente sempre più poveri di tempo, perché «il nostro tempo costa moltissimo, molto di più rispetto solo ad alcuni decenni fa» (Becchetti 2007, p. 24),  la tecnologia ha aumentato la produttività del tempo di lavoro, ma anche del tempo dedicato al consumo.

Alcuni di questi autori, come Becchetti, distinguono il tempo libero in: tempo dedicato al relax individuale, tempo dedicato alle incombenze e tempo dedicato alle relazioni. Il progresso tecnologico ha aumentato le nostre possibilità di godere del tempo libero, sia quantitativamente accrescendo le occasioni di svago, sia qualitativamente aumentando la produttività del tempo libero. Il tempo dedicato alle relazioni con gli altri sembra aver subito l'influenza del cambiamento tecnologico in misura minore rispetto alle altre due dimensioni del tempo libero, anche oggi costruire e mantenere una rete di relazioni richiede un certo “investimento” di tempo. Infatti,

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alcuni autori considerano le relazioni affettive o amicali come «beni ardui62», cioè «beni la cui fruizione richiede preliminarmente un certo sforzo, la fatica di un investimento di energie e la generazione di un “abito” virtuoso attraverso la riproduzione di comportamenti» (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 397), ma che esercitano una notevole influenza sul benessere e sulla felicità dichiarata delle persone.

Fig. 3.8 Tempo speso in relazioni informali63 Fonte Becchetti (2007)

L'aumento della produttività del tempo dedicato prime due dimensioni, svago individuale e incombenze, può produrre una sorta di effetto di spiazzamento nei confronti della terza: ad esempio la possibilità di guardare una partita in televisione può spingere a non andare allo stadio, con la differenza fondamentale che nel primo caso si guarda la televisione da soli, mentre nel secondo caso si svolge una attività insieme ad altre persone64. Tali studi tendono ad evidenziare il pericolo che l'aumento della scarsità del tempo si traduca in un impoverimento relazionale. 62 Altri esempi di beni ardui possono essere il successo scolastico o nel mondo lavorativo, ma anche una passeggiata in montagna. 63 Tale indice è costruito con la media delle risposte sulla frequenza del tempo trascorso con: familiari, colleghi fuori dall'orario di lavoro, gruppi religiosi, amici. Alle quattro possibili risposte ad ogni domanda (mai, alcune volte all’anno, alcune volte al mese, ogni settimana) è assegnato un valore crescente da 1 a 4 (Becchetti 2007). 64 Sul rapporto tra televisione, felicità e beni relazionali si veda Bruni e Stanca (2005).

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3.3.3 Il riconoscimento giuridico del valore del tempo in Italia L'importanza della dimensione qualitativa del tempo, come fattore che incide significativamente sulla qualità della vita degli individui, è stata riconosciuta dal legislatore nazionale italiano nel 1990 con la legge n. 142 sull'ordinamento delle Autonomie locali65. In particolare, l'articolo 36 indica i compiti del Presidente della Provincia e del Sindaco riguardo alla regolazione dei tempi delle città. Il Sindaco è tenuto

nell'ambito della disciplina regionale e sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale a coordinare gli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici, nonché gli orari di apertura al pubblico degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, al fine di armonizzare l'esplicazione dei servizi alle esigenze complessive e generali degli utenti.

Nel 2000 è stata emanata la legge n. 53, detta legge Turco dal nome dell'allora Ministro della Solidarietà Sociale, recante «Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città». Il Capo VII disciplina la gestione dei tempi delle città: Regioni e Comuni possono istituire comitati tecnici, composti da esperti in materia di progettazione urbana, di analisi sociale, di comunicazione sociale e di gestione organizzativa, con compiti consultivi in relazione al coordinamento degli orari delle città e per la valutazione degli effetti sulle comunità locali dei Piani territoriali degli orari. Nell'elaborazione di tali Piani, devono tenere conto degli effetti sul traffico, sull'inquinamento e sulla qualità della vita cittadina; inoltre, devono coordinare gli orari di lavoro pubblici e privati, gli orari di apertura al pubblico dei servizi pubblici e privati, degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, delle attività commerciali, nonché delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.

65 Pubblicata in Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 135 del 12-6-1990 e disponibile on line all'indirizzo: http://www.comune.campobasso.it/istituzionale/struttura/legge142.htm

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Lo strumento principale di attuazione dei principi contenuti nella legge 53/2000 66 è rappresentato, oltre che dal Piano territoriale degli orari, dalle banche del tempo. L'articolo 27 è dedicato specificatamente a queste associazioni:

1. Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l'utilizzo dei servizi della città e il rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l'estensione della solidarietà nelle comunità locali e per incentivare le iniziative di singoli e gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate «banche dei tempi». 2. Gli enti locali, per favorire e sostenere le banche dei tempi, possono disporre a loro favore l'utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire alle banche dei tempi e stipulare con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto a favore di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi statutari delle banche dei tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle attività istituzionali degli enti locali [corsivo aggiunto].

Inoltre, la legge prevede che, secondo l'art. 22 comma 2, le regioni predispongano:

incentivi finanziari per i comuni [...] ai fini della predisposizione e dell'attuazione dei piani territoriali degli orari di cui all'articolo 24 e della costituzione delle banche dei tempi di cui all'articolo 27.

Nonostante la richiesta dell'Associazione Nazionale Banche del Tempo di un maggior riconoscimento normativo a livello nazionale ancora non sia stata soddisfatta, la legge Turco mette in evidenza alcuni dei punti principali relativi al rapporto tra le banche del tempo e le istituzioni locali per una migliore gestione dei tempi urbani:

66 Disponibile on line all’indirizzo: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/00053l.htm

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 rafforzamento delle reti di mutuo aiuto a livello locale,  promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale,  possibilità per gli enti locali di stipulare convenzioni e accordi con le banche del tempo.

La disciplina delle banche del tempo è inserita all'interno delle politiche per il sostegno della maternità e della paternità, per i congedi e la flessibilità dell'orario di lavoro, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città. Quindi, è inserita nell'ottica generale di una legge che punta a migliorare la qualità della vita delle famiglie attraverso una più corretta gestione del loro tempo di lavoro e di non-lavoro, comprendendo con quest'ultimo il tempo libero, il tempo dedicato alla formazione, il tempo di cura e di relazione, e introducendo «elementi di flessibilità nella gestione della vita quotidiana, anche alla luce della tendenza alla modificazione della dimensione della famiglia e dei modelli di vita» (Galeotti 2005, p. 95).

3.3.4 Il tempo non è denaro Alla luce della teoria proposta da Becker, è più facile comprendere perché le banche del tempo italiane siano nate soprattutto grazie agli sforzi e all'impegno delle donne, le quali devono sostenere «il peso sia del lavoro per il mercato sia di quello di cura, in un contesto organizzato con orari non idonei alla mutata realtà sociale» (Galeotti 2005, p. 90), soprattutto in relazione all'ingresso delle donne nel mondo del lavoro e ai cambiamenti nella struttura delle famiglie67. Non è un caso, quindi, che proprio le donne siano «portatrici dell'esigenza di ridiscutere l'organizzazione dei tempi di vita» (Ivi). Il tempo di cura e di relazione che le donne dedicano alla famiglia non è considerato produttivo, cioè tempo di lavoro, ma non può nemmeno essere 67

Si veda Istat (2011).

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considerato tempo di non-lavoro, soltanto in quanto non è retribuito e non sempre rientra nelle statistiche ufficiali. La nascita delle banche del tempo è legata all'insoddisfazione nei confronti della semplice dicotomia tempo di lavoro e nonlavoro, propria della teoria dell'offerta individuale di lavoro, la quale non si preoccupa di definire qualitativamente il tempo di non lavoro né l'impatto che può esercitare sul benessere dell' individuo o della famiglia. Gli scambi attivati all'interno di una banca del tempo permettono alle donne di allocare meglio il tempo disponibile, fornendo loro un aiuto materiale. Tuttavia, un aspetto forse più importante e che incide sulla qualità percepita del benessere, è la possibilità di restituire dignità a quelle attività solitamente fornite gratuitamente dalle donne all'interno della famiglia, non senza un certo sforzo e l'impiego di una determinata quantità di tempo. All'interno di una banca del tempo, il tempo assume un significato antitetico rispetto al discorso economico dominante, attraverso la condivisione del proprio tempo e in un'ottica di mutuo-aiuto. Il valore dei servizi scambiati non è definito in base alla tipologia di servizio o in seguito a una contrattazione tra le due parti, ma soltanto sulla base del tempo necessario alla sua fornitura, da questo deriva che i servizi scambiati sono uguali: un'ora di giardinaggio equivale a un'ora di lezioni di informatica. In questo modo banca del tempo pone il problema della identificazione del valore dei servizi al di fuori del mercato e della logica di domanda e offerta, differenziandosi allo stesso tempo anche da quei sistemi di scambio non monetario che definiscono il valore dell'unità di misura utilizzata in base alla parità con la moneta ufficiale, come i Wir rispetto al franco svizzero, oppure in base al salario orario medio, come gli Ithaca Hours (Greco 2001): una “ora di Ithaca” non corrisponde necessariamente ad una prestazione della durata di un'ora, ma corrisponde a 10 dollari (il valore del salario medio), quindi utilizzando questa moneta è possibile scambiare anche beni e non solo servizi. Inoltre, nei primi anni di funzionamento del sistema Wir, ad esempio, erano ammesse a scambiare soltanto piccole e medie imprese, cioè soltanto chi produceva beni e poteva scambiarli nel circuito utilizzando i Wir per sopperire alla carenza di moneta ufficiale, mentre non erano ammessi i disoccupati. Al contrario, le banche del tempo partono dal presupposto che tutti possono avere tempo da dedicare agli altri e 93


hanno capacità che possono offrire per soddisfare alcuni bisogni degli altri partecipanti. In questo senso il tempo non è un bene scarso, anche se soggetto a dei limiti oggettivi derivanti dal fatto che un giorno è composto da 24 ore. Il tempo viene valorizzato attraverso lo scambio e non può essere considerato né tempo di lavoro, né di non-lavoro, piuttosto può essere definito tempo di relazione, cioè il tempo che ciascuno di noi dedica alla propria rete di relazioni, al di fuori delle relazioni affettive/familiari e di quelle di mercato. Per la società contemporanea e nella trattazione economica, il tempo è la risorsa scarsa per eccellenza. Per i soci di una banca del tempo, invece, il tempo è una risorsa della quale tutti dispongono e che per questo scambiano tra loro, una volta stabilita l'uguaglianza dei servizi forniti. In questo modo, i partecipanti creano un sistema di scambio “egualitario”, nel senso che le ore scambiate hanno lo stesso valore per tutti i soci. Per questo alcune banche del tempo sconsigliano o vietano esplicitamente di scambiare beni; oppure proibiscono di fornire come prestazione la propria attività lavorativa, non solo per evitare eventuali problemi fiscali e legali, ma soprattutto perché si pongono in posizione antitetica rispetto al mercato e alla semplice dicotomia tempo di lavoro/tempo di non-lavoro, puntando al riconoscimento delle competenze e capacità individuali al di fuori del mercato, ma all'interno di una rete di relazioni tra persone. La teoria dell'allocazione del tempo e il concetto di costo opportunità da soli non bastano a spiegare il funzionamento di una banca del tempo. In parte possono essere utili per spiegare la maggiore partecipazione di alcune tipologie di soci e la loro maggiore propensione a scambiare il proprio tempo. In particolare, può spiegare la partecipazione delle donne, soprattutto delle casalinghe68, perché tipicamente impegnate nella maggior parte di quelle attività, come i servizi di cura, che possono essere definite “beni di base” familiari, adottando la terminologia beckeriana; inoltre le donne, insieme ai pensionati69, fronteggiano un costo opportunità del proprio tempo inferiore rispetto ad altre categorie. Non spiega la scarsa partecipazione dei disoccupati 68 Tra i soci delle 122 banche del tempo analizzate da Galeotti (2005) le casalinghe rappresentano il 18,9%. 69 I pensionati rappresentano il 30,5 % (Idem).

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che, in teoria, fronteggiano un costo opportunità del proprio tempo basso, o comunque inferiore a chi lavora, ma che, secondo i dati di Galeotti (2005), rappresentano solo il 2% dei soci delle 122 banche del tempo analizzate. Gli occupati sono molto più numerosi: gli impiegati sono la classe più rappresentata con il 21,2 %, seguiti dagli operai (5,7%), dai dirigenti (4,6%), dai liberi professionisti (4,2%), dagli artigiani e commercianti (3,8%). La categoria dei disoccupati è più rappresentata in altri sistemi di scambio non monetario, come i LETS del mondo anglosassone, che si pongono obiettivi più economici che sociali e relazionali, puntando alla creazione di posti di lavoro in zone economicamente arretrate e caratterizzate da elevati tassi di disoccupazione70.

Fig. 3.9 Le professioni dei soci Fonte: Galeotti (2005)

70 Si veda la voce dedicata ai LETS all'interno della Guida alle monete comunitarie di Lietaer e Hallsmith, disponibile on line all'indirizzo: http://www.complementarycurrency.org/ccLibrary/lietaer%20trad%20magius%20%20guida%20alle%20mon ete%20comunitarie.pdf

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La teoria dell'offerta individuale di lavoro, anche nella versione più raffinata proposta da Becker e dagli studi successivi sull'allocazione del tempo, non può spiegare da sola le motivazioni che sottostanno a questo particolare sistema di scambio71. Il motivo principale consiste nel carattere innovativo del concetto di tempo proposto da questo tipo di associazioni: il tempo non è considerato una risorsa scarsa, ma una risorsa disponibile per tutti e che i soci scambiano tra loro in un'ottica di reciprocità e mutualità. In questo senso, lo scambio di tempo che attivano tali banche si avvicina al triplice movimento analizzato da Marcel Mauss a proposito del dono. Per l’antropologo e sociologo francese, l'atto donativo si caratterizza attraverso tre momenti tra loro distinti ma profondamente collegati: dare, ricevere e restituire (o reciprocare). Lo scambio di tempo può essere definito anche come “dono di tempo” tra i soci, i quali utilizzano la banca del tempo per la contabilità e quindi per garantire la reciprocità tra tutti i soci e la trasparenza dell'intero sistema. Questa visione innovativa del tempo può avere un impatto molto forte sulla società occidentale caratterizzata dalla mancanza di tempo e dalla pressione che la scarsità di tempo esercita sulle relazioni tra le persone. L'aumento costante del costo opportunità del tempo tende a “spiazzare” l'investimento del tempo nelle relazioni e nei servizi di cura, che sono beni fragili, ardui:

Più aumentano le nostre disponibilità economiche, più il prezzo relativo del tempo rispetto al denaro aumenta, ovvero il vincolo più importante diventa quello temporale e il tempo diventa più prezioso del denaro. Non a caso nelle società ricche il dono di tempo tende a essere sempre più sostituito dal dono di denaro man mano che il reddito individuale cresce (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 23).

Nella nostra società il tempo è denaro, ma «il denaro è molto meno caro del tempo» (Becchetti 2007, p. 29). Con l'espressione “dono di tempo” gli autori fanno riferimento alla partecipazione ad attività di volontariato ed evidenziano la tendenza, 71 D'altronde, lo stesso Becker è chiaro su questo punto: non ha senso cercare una risposta puramente economicistica per spiegare le motivazioni e i principi che stanno alla base delle relazioni familiari, piuttosto è interessato all'analisi della «sua dimensione e struttura in rapporto alla sua funzione economica e alla dinamica demografica» (Antonelli 2003, p. 69).

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per livelli crescenti di reddito, a sostituire tale partecipazione con le donazioni in denaro. Nel caso di banca del tempo, il dono di tempo non assume la forma del dono puro, come nel volontariato, piuttosto si ispira alla teoria del dono di Mauss e al concetto di dono come strumento che permette la creazione di un legame. Quindi, banca del tempo può essere definita come un sistema che incoraggia l'investimento in tempo di cura e di relazione, attraverso un nuovo modo di intendere lo scambio di tempo e di servizi.

In questo paragrafo sono state analizzate le principali caratteristiche del funzionamento di una banca del tempo e la particolare concezione del tempo portata avanti da questo tipo di associazioni. Il paragrafo successivo analizza altre due categorie fondamentali per la piena comprensione del fenomeno: la reciprocità e la fiducia, entrambe espressioni di un modo particolare di concepire gli scambi e le relazioni tra le persone.

3.4 Reciprocità in Banca del Tempo Il concetto di reciprocità in Polanyi, in quanto forma di integrazione economica fondata su scambi simmetrici tra persone o piccoli gruppi, descrive in maniera efficace il sistema di scambi alla base di una banca del tempo. La simmetria è assicurata dai due principi fondamentali che definiscono le modalità operative di una banca del tempo:

1. contabilizzazione degli scambi in ore in base al tempo necessario alla loro fornitura; 2. parità e sostanziale uguaglianza dei servizi scambiati, per cui un'ora di lezione di inglese equivale ad un'ora di compagnia ad un socio anziano o ad un'ora di giardinaggio, ecc.. La reciprocità all'interno di una banca del tempo è quindi simmetrica, 97


incondizionata e indiretta o “non immediata” (Galeotti 2005, p. 92), nel senso che se il socio A paga un'ora al socio B per un servizio, il socio B può spendere questo credito di un'ora richiedendo un servizio ad uno qualsiasi dei soci e non necessariamente al socio A (nel caso in cui B richieda un servizio ad A, si può parlare di reciprocità diretta)72. Inoltre, la reciprocità è non immediata perché il saldo contabile dei partecipanti non è calcolato in maniera diretta tra loro, ma tra ogni socio e l'intero sistema. Le altre regole operative che impongono il pareggio del bilancio e la fissazione di un tetto massimo di debiti e crediti che è possibile accumulare, contribuiscono a garantire la reciprocità e la simmetria del sistema. Chi non ricambia le prestazioni che ha ricevuto, o chi offre molti servizi senza chiederne in cambio, non partecipa attivamente al mantenimento del circuito di relazioni paritarie e di reciprocità, accumulando rispettivamente un debito e un credito eccessivo nei confronti del sistema. L’obiettivo del mantenimento della simmetria e della reciprocità attraverso gli scambi sembra condiviso dai soci. A tale proposito, Galeotti (2005, p. 94) riporta una regola non scritta, comune a diverse banche del tempo, secondo la quale i partecipanti dovrebbero chiedere le prestazioni ai soci maggiormente indebitati in modo da aiutarli a pareggiare il proprio conto mettendoli nella condizione di poter reciprocare. La definizione del principio di reciprocità aiuta a comprendere meglio il funzionamento delle banche del tempo attraverso il confronto con le altre due forme di integrazione individuate da Polanyi:  lo scambio di equivalenti all'interno di un mercato regolatore dei prezzi,  la ridistribuzione operata da un apparato centrale.

Gli scambi attivati dai soci presentano differenze anche rispetto ai trasferimenti di tempo, di denaro e di risorse tipici del volontariato e della famiglia, che pure sono 72

La reciprocità è incondizionata, nel senso che se il socio A ricevere un’ora dal socio B può spendere questo credito con uno qualsiasi degli altri soci; tuttavia, la reciprocità in una banca del tempo presenta la caratteristica della condizionalità degli scambi, nel senso, indicato da Pelligra (2007) e descritto nel capitolo 2.2, di scambi attuati da soggetti che considerano anche le azioni, le motivazioni e le aspettative degli altri attori.

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inseriti da Polanyi nella forma di integrazione che poggia sul principio di reciprocità. La principale differenza rispetto agli scambi attivati in una banca del tempo è rappresentata dalla loro unidirezionalità.

3.4.1 Differenze con il mercato Per Karl Polanyi, nel saggio già citato, mercato e scambio non sempre coincidono. Infatti, il mercato è solo quello regolatore dei prezzi attraverso le curve di domanda e di offerta; inoltre i prezzi dei beni e servizi scambiati nel mercato sono espressi in moneta. Scambi e moneta accompagnano l'umanità da moltissimo tempo, invece il mercato regolatore dei prezzi è una invenzione più recente. Lo scambio di equivalenti all’interno di un mercato regolatore dei prezzi presenta notevoli differenze rispetto a un sistema di scambio del tipo banca del tempo. Il mercato, in quanto istituzione che regola i prezzi, dà luogo a scambi di mercato, diversi dal dono o dallo scambio amministrato che sono propri delle altre due forme di integrazione. Lo scambio di mercato è definito anche scambio di equivalenti ed è reso possibile dall'uso della moneta, che rende quantificabile e comparabile il valore dei beni e servizi scambiati. La moneta consente un tipo di scambio diverso dal baratto che richiede la doppia coincidenza dei bisogni di due soggetti, ognuno dei quali deve possedere un bene che l’altro desidera e deve avere interesse a scambiarlo con ciò che è posseduto dall’altro soggetto: affinché avvenga il baratto entrambi devono pensare di ottenere un guadagno dallo scambio. Introducendo la moneta nello scambio le due parti hanno sempre un vantaggio a scambiare beni e servizi contro la moneta. Al contrario, le banche del tempo non utilizzano la moneta come unità di conto e contabilizzano gli scambi utilizzando le ore o le frazioni di ora necessarie alla produzione del servizio scambiato. Inoltre, nel loro Statuto sanciscono la parità dei servizi scambiati il cui valore è dato solo dal tempo. In questo modo, il valore dei servizi scambiati è sempre uguale: un’ora di lezione di inglese equivale ad un’ora fornita per qualsiasi altro servizio. Non per questo è corretto parlare di scambio di equivalenti, dal momento che l'equivalenza del valore dei servizi è sancita all'interno 99


dello Statuto e per forza di cose accettata da tutti i membri, mentre nel mercato è data dal prezzo derivante dall’interazione di domanda e offerta di quel servizio ed espresso in termini monetari. Eventuali variazioni della domanda o dell’offerta lasciano inalterato il valore di un servizio: nel caso in cui le socie e i soci che hanno bisogno di un servizio decidano di rivolgersi ad uno solo tra tutti coloro che lo offrono, il valore di quel servizio, misurato in tempo necessario alla sua fornitura, non si modifica73. Come scrive Capizzi (2001, p. 180), «il valore di un servizio è infatti determinato esclusivamente in base al tempo che si è impiegato a fornirlo, e non può essere, dunque, oggetto di contrattazione né, di conseguenza, motivo di guadagno» economico. Quindi, le banche del tempo si pongono al di fuori del mercato, in base a scelte precise che riguardano le modalità dello scambio stesso: il mercato regolatore dei prezzi si basa sulla moneta e sulle fluttuazioni di domanda e offerta; in una banca del tempo invece l'elenco delle offerte e delle richieste serve solo a far incontrare i bisogni dei partecipanti, ma il valore dei servizi scambiati è sempre uguale e la “moneta” utilizzata per contabilizzare gli scambi è una unità di conto espressa in ore che ha un valore costante ed è uguale per tutti, a prescindere dai servizi forniti. La differenza fondamentale di una banca del tempo rispetto allo scambio di equivalenti all'interno del mercato è che, nel primo caso, il principio regolatore degli scambi è quello della reciprocità indiretta e simmetrica tra i partecipanti agli scambi, nel secondo caso, i prezzi dei beni e servizi scambiati sono espressi in moneta e variano a seconda delle fluttuazioni di domanda e offerta che, in un mercato di concorrenza perfetta, si incontrano spontaneamente. Da questo punto di vista, il sistema di scambio non monetario detto LETS74 presenta una notevole differenza rispetto alle banche del tempo. All’interno dei LETS, i partecipanti possono scambiare beni, oltre ai servizi, e possono contrattare il prezzo. Quindi, il sistema dei LETS presenta le caratteristiche del mercato regolatore dei prezzi descritte da Polanyi e si differenzia rispetto all’economia ufficiale soltanto per 73

Anche se il verificarsi di una situazione del genere non modifica il valore delle ore scambiate, in questi casi le banche del tempo intervengono, in particolare attraverso la figura del coordinatore, affinché tutti partecipino attivamente agli scambi e per evitare che alcuni soci siano esclusi. 74 Descritti nel capitolo 1.

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l’utilizzo di una unità di conto differente. Al contrario, in una banca del tempo non c’è spazio per la contrattazione tra due soci.

3.4.2 Differenze con lo Stato Un sistema economico si definisce ridistributivo in presenza di un apparato centrale che raccoglie le risorse tramite le tasse e le ridistribuisce tra i cittadini. Tale forma di integrazione economica si basa su uno scambio centralizzato e amministrato che richiede l’esistenza di un apparato centrale. Nel caso di banca del tempo esiste un organismo centrale, rappresentato dalla segreteria, che però nasce con finalità e strumenti completamenti diversi dalla ridistribuzione. Il suo compito principale è mantenere la contabilità del sistema, ovvero conservare la “traccia” degli scambi intercorsi tra i soci. Inoltre, può intervenire per facilitare gli scambi, mettendo in comunicazione il socio che richiede un servizio con il socio che lo offre, senza tuttavia modificare il valore dei servizi scambiati. Uno dei suoi obiettivi primari è il mantenimento dei flussi di reciprocità: ad esempio la segreteria interviene affinché i soci con crediti in eccesso chiedano dei servizi o i soci in una situazione di debito eccessivo trovino un servizio da offrire. Lo scopo non è la ridistribuzione, ma far partecipare tutti allo scambio, mantenendo la reciprocità del sistema. Oltre ad evidenziare le differenze tra banca del tempo e un tipo di economia amministrata dal centro, è importante analizzare i rapporti che le banche del tempo possono instaurare con le istituzioni, soprattutto alla luce della crescente importanza assegnata alla definizione di corrette politiche di gestione dei tempi urbani e dei tempi di vita in generale. Ad oggi, la cooperazione tra banche del tempo e enti locali si limita, in genere, alla fornitura di capitale strumentale e alla attivazione di progetti specifici, da parte per lo più di Comuni e Province. Le banche del tempo, per sottolineare e mantenere la propria autonomia, “pagano” il supporto ricevuto dagli enti locali attraverso servizi forniti alla collettività e contabilizzati in ore: ad esempio il prolungamento dell'orario di apertura dei parchi comunali durante l'estate o progetti culturali. Il Comune, con la stipulazione di una convenzione, diventa socio della banca 101


del tempo e apre un proprio conto sul quale sono registrate le ore ricevute in cambio del supporto strumentale e operativo fornito alla banca. Tuttavia, è importante sottolineare che le stesse banche del tempo non devono sostituire il Comune o in generale gli enti pubblici nella prestazione di determinati servizi che rispondono a diritti fondamentali dei cittadini. Ad esempio, il servizio di assistenza domiciliare agli anziani deve essere fornito da personale professionale qualificato e, in questo, il Comune non può essere sostituito da una banca del tempo.

3.4.3 Differenze con il Terzo settore e il volontariato In generale, le banche del tempo tendono proporsi come associazioni profondamente diverse da quelle che compongono il cosiddetto Terzo settore. Ad esempio, Galeotti (2005, p. 94) riporta un estratto dal volantino della Banca del tempo di Collegno (To):«Non si tratta di volontariato ma di scambio del tempo e delle attività attraverso un patto di reciproca responsabilità tra i soci» [corsivo aggiunto]. Tuttavia, proprio riguardo a questo aspetto esiste una certa ambiguità, che può nascere da una scarsa conoscenza delle banche del tempo e delle loro finalità da parte degli enti locali che legiferano in tema di gestione dei tempi urbani e di servizi socioassistenziali in generale. La legge regionale 23/1999 della Regione Lombardia definisce le banche del tempo associazioni di solidarietà familiare che sono «poste in relazione con soggetti e con famiglie in condizioni di bisogno». Tale definizione snatura i principi che stanno alla base del sistema di scambio stesso, accostando le banche del tempo alle associazioni di solidarietà familiare. Sebbene le banche del tempo possano rappresentare un utile strumento per la gestione dei tempi in una famiglia e sebbene prevedano forme di scambio familiare, l’unità di riferimento di una banca del tempo è la singola persona e non la famiglia. Le banche del tempo si prefiggono obiettivi diversi dai servizi assistenziali. In tal senso, i promotori e gli organizzatori delle banche del tempo sembrano essere persone fortemente motivate e con una conoscenza diretta del mondo del volontariato 102


per cui sono in grado di riconoscerne le differenze rispetto ad una banca del tempo75. Tuttavia lamentano una difficoltà di tipo culturale: spiegare e far comprendere ai soci le differenze con il volontariato76. Infatti, spesso i soci tendono a fornire prestazioni più che a richiederne77. Cioè tendono a percepire la banca del tempo come un’attività di volontariato e non un sistema di scambio, quindi trovano difficoltà a chiedere servizi e offrono più ore di quante ne spendano all’interno del sistema. Tali soggetti possono essere definiti altruisti, poiché tendono a “dare” al sistema più di quanto prendono o, utilizzando la terminologia e i modelli descritti nel capitolo 2, perché la loro utilità dipende dall’aumento del benessere del socio che riceve il servizio, ma con il loro comportamento non contribuiscono al mantenimento della reciprocità e della simmetria del sistema di scambio, perché, non chiedendo servizi agli altri soci, non li mettono in condizione di poter reciprocare e in questo modo danneggiano la simmetria del sistema. Proprio per evitare tali comportamenti le banche del tempo adottano i due principi fondamentali già citati: l’obbligo di pareggio del conto per tutti i soci e la fissazione di un tetto massimo dei crediti e debiti che è possibile accumulare. Le differenze tra le banche del tempo e il mondo del volontariato riguardano le motivazioni che sono alla base della fornitura dei servizi: le banche del tempo non sono associazioni che forniscono aiuto a soggetti in particolari condizioni di bisogno, ma sono associazioni basate sullo scambio di servizi tra persone dotate di:  bisogni che non vogliono o non possono soddisfare tramite il mercato o la rete delle relazioni affettive e amicali,

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La sociologa Galeotti (2005) ha intervistato soci che svolgono un ruolo di coordinamento o di amministrazione all'interno di una banca del tempo su tutto il territorio nazionale e l’80% ha dichiarato di svolgere o aver svolto attività di volontariato in altre associazioni. 76 Secondo i dati di Galeotti (2005), soltanto il 6,8% degli intervistati afferma che non esiste alcuna differenza tra il volontariato e una banca del tempo, per il 13,7% la differenza è poca, mentre per il 45% la differenza è notevole e per il 32,5% la differenza è radicale. 77 Sempre secondo Galeotti (2005), alla domanda «Quali sono, a suo parere, i punti di debolezza della banca del tempo?», il 31,5% degli intervistati ha risposto: incapacità di chiedere (le altre possibili risposte sono: difficoltà di ampliamento e di coinvolgimento 18,5%; difficoltà di diffusione della cultura della banca del tempo 22,2%; diffidenza 22,2%; mancanza di tempo 4,5%; problemi logistici ed economici 17,6%; altro2,8%).

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 capacità e tempo da scambiare con gli altri partecipanti secondo il principio della reciprocità.

Nel caso del volontariato, esiste un certa unilateralità dei servizi forniti: da una parte c'è una persona che ha un bisogno che non è in grado di soddisfare, dall'altra c'è il volontario che ha la capacità, la volontà e il tempo per aiutare il bisognoso senza ricevere apparentemente nulla in cambio. In realtà, i volontari affermano spesso di ricevere, in termini di soddisfazione personale e non di retribuzione monetaria, molto più di quanto offrono. Numerosi contributi analizzano la rilevanza economica delle motivazioni intrinseche dei lavoratori nel volontariato e nelle imprese for profit, sottolineandone gli effetti sia sulla performance economica che sulla qualità percepita della vita78. Queste analisi recenti puntano ad ampliare la prospettiva della teoria economica standard che non riesce a spiegare il paradosso del volontariato, a causa delle ipotesi che introduce sul comportamento del singolo agente economico, soprattutto l’idea di un agente economico orientato solo verso l’auto-interesse materiale. Lo scambio di servizi in una banca del tempo è fondato sul principio di reciprocità, tuttavia non presenta tale unidirezionalità. La differenza può essere individuata nel diverso tipo di reciprocità che ispira i trasferimenti nel mondo del volontariato e in quello delle banche del tempo. Il volontario può essere definito un soggetto altruista, il cui benessere dipende non solo dalla retribuzione monetaria, ma anche da fattori immateriali e psicologici: la sua funzione di utilità incorpora anche il benessere di chi riceve l’aiuto, per cui, se la soddisfazione psicologica supera il costo del mancato o dello scarso guadagno monetario, il risultato finale sarà comunque positivo. In una banca del tempo opera un diverso principio di reciprocità. Al fine del mantenimento del sistema, i soci non devono necessariamente essere soggetti altruisti, anzi il socio che offre molto al sistema senza chiedere nulla in cambio non agisce 78

Per una analisi dell’offerta di lavoro che prende in considerazione le motivazioni estrinseche/intrinseche si veda Becchetti (2007) oppure Becchetti, Bruni e Zamagni (2010); per approfondire il ruolo delle motivazioni intrinseche ed estrinseche si veda Frey (2008).

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secondo i principi di reciprocità, simmetria ed equivalenza che sono alla base di una banca del tempo. Le differenze relative alla vocazione e alle motivazioni dei soggetti non consentono di inserire le banche del tempo all’interno del Terzo settore senza stravolgerne gli obiettivi e i principi fondamentali.

3.4.4 Differenze con i trasferimenti all'interno della famiglia Karl Polanyi, nel saggio già citato, afferma che la funzione di integrazione economica basata sulla reciprocità è tipica della famiglia oltre che dei piccoli gruppi e delle società primitive. I trasferimenti di risorse e di tempo all’interno di una famiglia presentano, come evidenziato per il mondo del volontariato, un certo grado di unidirezionalità: i genitori svolgono il lavoro di cura dei figli volontariamente e senza ricevere alcuna remunerazione materiale o monetaria. Tuttavia, come per il volontario, i genitori ottengono per i loro sforzi delle ricompense di natura immateriale e psicologica, in quanto le loro azioni sono dettate da motivazioni intrinseche, ovvero dall’amore verso i figli. Questi trasferimenti presentano caratteristiche molto diverse dagli scambi di servizi di una banca del tempo, anche se entrambi sono retti dal principio della reciprocità. I genitori possono essere definiti altruisti, come i volontari. I loro sforzi sono ripagati dall’amore dei figli, cioè le ricompense sono soprattutto di carattere psicologico; al contrario alla base degli scambi tra i soci di una banca del tempo non c'è l’altruismo puro, ma la volontà di attivare un circuito di mutuo-aiuto, fondato sulla reciprocità indiretta e simmetrica tra tutti i partecipanti. Le relazioni di scambio attivate tra i soci presentano maggiori somiglianze ai rapporti di buon vicinato e alle relazioni amicali che alle relazioni affettive che si sviluppano all'interno della famiglia. Come evidenziato a proposito delle associazioni di solidarietà familiare, le banche del tempo non hanno come interlocutore principale la famiglia, ma sempre la singola persona. Inoltre, presentano caratteristiche tali che rendono la logica di fondo che domina i due tipi di trasferimenti e le motivazioni degli attori molto diverse. Le banche del tempo costituiscono uno strumento che può aiutare le famiglie nella 105


gestione della vita quotidiana e dei tempi di vita, possono fornire un sostegno materiale mirato a consentire l’accesso a determinati servizi, quando non è possibile o non si vuole acquistarli sul mercato (servizi professionali) o ricorrere alle reti amicali e affettive. Le banche del tempo possono incidere sul benessere dei partecipanti anche attraverso una collaborazione con gli enti locali, nella definizione delle politiche per la conciliazione dei tempi urbani. I servizi scambiati rientrano spesso tra i servizi solitamente prodotti all'interno della famiglia o dalle organizzazioni di volontariato, ad esempio servizi di cura e di compagnia agli anziani e ai bambini. Per questi motivi, le banche del tempo possono rappresentare un utile strumento per le famiglie italiane ed in particolare per le madri che hanno difficoltà a conciliare tempo di lavoro, tempo di cura e tempo di relazione, a causa della crescente scarsità di tempo e dei cambiamenti nella struttura della famiglia. Nel suo Rapporto annuale La situazione del Paese nel 2010, l’Istat dedica un intero capitolo al «Sovraccarico di lavoro familiare delle donne», sottolineando una forte asimmetria dei ruoli all’interno delle coppie italiane e un maggiore carico di lavoro domestico, di cura e di relazione per le donne rispetto agli uomini. Ad esempio, aumenta, rispetto al passato, il tempo dedicato dalle donne alla cura dei figli. Le madri, soprattutto al Sud, incontrano i maggiori problemi nella gestione del proprio tempo e spesso sono costrette a ridurre il tempo dedicato al lavoro retribuito e al lavoro domestico per avere più tempo da dedicare ai figli. Un carico ancora più pesante grava sulle nonne italiane che «non vanno mai in pensione» (Istat 2011, p. 161) e si prendono cura dei figli, anche una volta adulti, e dei nipoti. Le donne rappresentano ancora «il pilastro della rete di aiuto informale» (Ibidem, p. 164); nonostante difficoltà strutturali che colpiscono la rete, in particolare l’aumento delle persone bisognose di cure in ogni famiglia e la diminuzione del tempo disponibile per fornire tali cure, la famiglia rappresenta «un sostegno fondamentale per superare le difficoltà quotidiane e le fasi di vita caratterizzate da una maggiore vulnerabilità» (Ivi).

Sia i trasferimenti che avvengono nel mondo del volontariato e all'interno della famiglia, sia gli scambi in una banca del tempo, rientrano nella forma di integrazione 106


definita reciprocità da Karl Polanyi. L’esistenza di chiare e profonde differenze impedisce di considerare il sistema delle banche del tempo come una organizzazione del Terzo settore o di considerare gli scambi che avvengono al suo interno simili ai trasferimenti di tempo e di risorse all'interno di una famiglia. Alla luce delle differenze evidenziate, le banche del tempo possono essere collocate in maniera più corretta a metà strada tra il Terzo settore e le reti primarie e informali che compongo il Quarto settore, come i rapporti di vicinato.

Forma di integrazione Mercato

Principio regolatore

Banca del tempo

Contratto e scambio di Assenza di contrattazione equivalenti all'interno di

un

mercato

regolatore dei prezzi Stato

Apparato centrale che Assenza ridistribuisce le risorse

di

un

apparato

centrale che ridistribuisce le risorse

Volontariato e trasferimenti Unilateralità e dono Reciprocità e simmetria degli all’interno della famiglia

“puro”

scambi

Tabella 3.1 Principi di integrazione economica e Banca del Tempo

La reciprocità in una banca del tempo prevede trasferimenti di servizi non professionali tra loro indipendenti e liberi. Tutti i trasferimenti sono mediati dalla segreteria che li contabilizza in ore, o frazioni di ora, e tutti i soci sono legati da una relazione di reciprocità attraverso la segreteria: chi riceve un’ora non deve restituire necessariamente allo stesso socio, ma può restituire ad uno qualsiasi dei soci, per cui i trasferimenti sono tra loro indipendenti. I servizi scambiati hanno tutti lo stesso valore dato dal tempo necessario alla loro fornitura. Il valore non è stabilito da variazioni nella domanda o nell’offerta, né è dato dal costo opportunità che ogni socio assegna al proprio tempo. Le ore scambiate tra i soci sono uno strumento che rafforza le relazioni 107


attraverso il dono di tempo in una ottica di reciprocità indiretta. Le differenze evidenziate rispetto al volontariato e ai trasferimenti unilaterali all'interno della famiglia aiutano a comprendere perché i partecipanti ad una banca del tempo non debbano essere necessariamente persone altruiste: la molla che spinge a scambiare non è l’altruismo del singolo individuo, ma la volontà di attivare un circuito di mutuo-aiuto e di reciprocità indiretta. Le differenze tra il sistema di scambio adottato dalle banche del tempo e i trasferimenti tipici del mondo del volontariato possono essere spiegate per mezzo della teoria del dono di Marcel Mauss. Nel suo Saggio sul dono (1924), l’antropologo francese afferma che il dono “puro”, cioè quello totalmente disinteressato, ha un ruolo marginale nelle società e può rappresentare uno strumento di dominio da parte di chi dona nei confronti di chi riceve, ma non è nella condizione di poter contraccambiare il dono ricevuto. Il vero dono è l’atto donativo che si inserisce in una struttura composta da tre fasi: dare, ricevere e restituire in maniera adeguata, tutti e tre vissuti come obblighi. Il dono, articolato in questi tre momenti, diventa uno strumento per creare legami fondati sulla reciprocità e contribuisce a definire i rapporti sociali, per questo è un “fatto sociale totale” per Mauss: il valore materiale dell'oggetto donato, accettato e restituito è meno importante della relazione che serve a stabilire. Allo stesso modo, in una banca del tempo gli scambi di servizi sono uno strumento per creare relazioni tra i soci. Ogni socio è inserito in un sistema di trasferimenti incentrato sulla reciprocità e sulla simmetria, ottenute grazie all’alternarsi dei tre momenti indicati da Mauss. Come il dono, i trasferimenti sono liberi, nel senso che sono indipendenti l’uno dall’altro, per cui, così come esiste il rischio che un soggetto decida di non ricambiare un dono ricevuto, allo stesso modo un socio di una banca del tempo può decidere di non reciprocare, cioè di non offrire servizi e anche di lasciare la banca una volta raggiunto il tetto massimo di debiti che è possibile accumulare. Questo è il comportamento che avrebbe un agente economico totalmente auto interessato che ragiona secondo il meccanismo della backward induction: se l’agente pensa che tutti gli altri si comporteranno in modo opportunistico, accumulando il massimo dei debiti e poi uscendo dal sistema, allora deciderà di non partecipare agli 108


scambi. Anche in una banca del tempo, come in ogni altra transazione, esiste il rischio che uno dei partecipanti adotti strategie opportunistiche, ottenendo però un risultato inferiore rispetto ai comportamenti cooperativi, come descritto nel capitolo 2. In una banca del tempo, il risultato (materiale) superiore che le strategie cooperative consentono di raggiungere rispetto ai comportamenti egoistici, è rappresentato sostanzialmente dalla possibilità di poter continuare a scambiare il proprio tempo e, quindi, dalla possibilità di ottenere altri servizi senza acquistarli sul mercato. Il dono, inteso come strumento che crea un legame tra due soggetti, continua ad essere un fatto sociale totale anche nelle società attuali. L’interesse recente di molti sociologi e antropologi, come il Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali (M.A.U.S.S.), punta ad ampliare le ipotesi che sono alla base del modello di homo oeconomicus e si concentra sul rapporto tra dono e scambio nella società attuale, nella quale lo scambio sembra avere sempre un carattere strumentale, per cui il vero dono è solo quello puro, totalmente gratuito «ma allo stesso tempo [la società attuale] ritiene che la gratuità non esiste e non possa esistere» (Galeotti 2005, p. 48). Banca del tempo propone un modo innovativo di scambiare servizi non professionali attraverso la stessa logica del dare, ricevere e restituire in maniera adeguata che è propria della teoria antropologica e sociologica del dono. Il volontariato è una forma di dono puro, gratuito, perché il volontario dona il proprio tempo e le proprie risorse a chi ha bisognoso senza ricevere apparentemente nulla in cambio; similmente in una famiglia i genitori donano le risorse e il proprio tempo ai figli senza ricevere ricompense materiali o monetarie. Tali comportamenti sono propri di un soggetto altruista, il quale incorpora il benessere degli altri agenti nella propria funzione di utilità: il volontario incorpora il benessere di chi è in condizione di bisogno e un genitore quello dei propri figli. Nelle banche del tempo, gli scambi tra i partecipanti non sono mai unidirezionali, ma prevedono sempre la restituzione e quindi il mantenimento della reciprocità del singolo socio verso il sistema. Anche il socio di una banca del tempo che offre molti servizi senza chiederne in cambio può essere considerato un altruista puro, che fa dipendere il proprio comportamento dal benessere materiale degli altri soci. Quindi, la teoria dell’altruismo può spiegare solo in parte il 109


funzionamento di una banca del tempo. Anche la teoria dell’avversione alle disuguaglianze può essere applicata a banca dal tempo: un socio avverso alle disuguaglianze può decidere di cooperare, cioè partecipare al mantenimento della reciprocità e della simmetria del sistema, con l’obiettivo di ridurre le differenze tra il proprio benessere e quello degli altri. Inoltre, è interessante notare che anche i due fattori alla base della spiegazione standard dei comportamenti cooperativi, ovvero ripetizione e reputazione, possono in parte spiegare perché i soci di una banca del tempo partecipano agli scambi e non adottano comportamenti opportunistici: chiedendo servizi agli altri soci fino a raggiungere il limite massimo di debito e poi abbandonando la banca. Un tale comportamento è razionale perché consente di ottenere un guadagno personale materiale (i servizi che il socio ha ottenuto e non ha reciprocato). Tuttavia, tale comportamento è meno razionale se il socio vuole ottenere una quantità di servizi superiore al limite di debito che è possibile accumulare, cioè vuole continuare a scambiare in futuro. Allo stesso modo, cooperare reciprocando i servizi che ha acquistato offrendo le sue capacità al sistema, è razionale se il socio considera anche i fattori reputazionali e, in particolare, associa un elevato costo psicologico all’abbandono del sistema di scambio una volta raggiunto il limite di debito. Altruismo, avversione alle disuguaglianze, ripetizione e reputazione rientrano tra i modelli e le teorie forward looking, concentrate esclusivamente sugli aspetti distributivi dei pay-off (outcome-based) dei giochi e, in generale, delle interazioni, tralasciando le intenzioni e le preferenze dei soggetti. Al contrario, la partecipazione agli scambi in una banca del tempo può essere spiegata con l’emergere di preferenze di gruppo e, quindi, con il modello werationality o team-thinking (Gui e Sugden 2005). Un socio di una banca del tempo può essere considerato un team-thinker se il suo comportamento è dettato dalle preferenze di gruppo. In tal caso, la cooperazione, cioè la partecipazione attiva al sistema, è razionale e punta a raggiungere gli obiettivi condivisi dal gruppo: le strategie adottate dal singolo socio, pur rimanendo individuali, perdono la caratteristica della strumentalità. 110


Invece, il socio che agisce ispirato dalla norma della reciprocità tende verso il pareggio del proprio conto e gli scambi da lui attivati presentano le caratteristiche della condizionalità, in quanto il suo comportamento dipende anche da quello degli altri soci (Pelligra 2007), dell’equivalenza dei servizi espressa in ore e sancita nello Statuto della banca, della libertà, infatti ogni socio è libero di reciprocare o meno gli scambi, nel rispetto dei limiti di debito che è possibile accumulare e che il socio accetta entrando in una banca del tempo. La differenza tra i crediti, o i debiti, accumulati e il pareggio del proprio conto può rappresentare una misura della aderenza del socio alla norma della reciprocità: se il socio A accumula un debito eccessivo, cioè chiede più di quanto offre al sistema, può essere considerato un soggetto egoista e auto interessato; viceversa, se il socio A accumula crediti in eccesso può essere considerato altruista. I limiti di debiti e crediti che è possibile accumulare rappresentano i due poli estremi dove è possibile collocare, rispettivamente, un soggetto egoista e un altruista puro; mentre il socio che mantiene il proprio conto in pareggio, cioè il cui conto è pari o vicino allo zero, partecipa al sistema rispettando i principi di reciprocità e simmetria. Inoltre, il tipo di reciprocità che opera in una banca del tempo è differente dal concetto di reciprocating fairness espresso da Rabin (1993). Infatti, se il socio A si comportasse come previsto dal modello di Rabin, dovrebbe scambiare solo con i soggetti che scambiano con lui, mentre dovrebbe “punire” i soggetti che non scambiano con lui evitando a sua volta di scambiare tempo con loro. Le teorie procedurali della reciprocità e del team-thinking consentono di approfondire l’analisi delle motivazioni dei soci. Tali teorie economiche hanno in comune con la teoria antropologica del dono le caratteristiche di condizionalità, equivalenza (materiale o simbolica), libertà, ma soprattutto un certo grado di relazionalità. Nella teoria di Mauss il dono è uno strumento per la creazione di legami; le teorie economiche sulla reciprocità arrivano ad una conclusione simile e sottolineano come la relazionalità sia la caratteristica che differenzia le teorie della reciprocità dagli altri modelli. L’analisi di banca del tempo sulla base della teoria del dono e delle più recenti teorie economiche sulla reciprocità consente, da un lato, di evidenziare le differenze di 111


tale sistema di scambio rispetto al volontariato e al dono puro, dall’altro, di collocare le banche del tempo a metà strada tra il Terzo settore e le reti relazionali e amicali a carattere informale che compongo il Quarto settore.

3.5 Ruolo della fiducia in una Banca del Tempo Una banca del tempo è un sistema di scambio non monetario di servizi non professionali a carattere occasionale, fondato sulla reciprocità indiretta e simmetrica tra i soci. Tale sistema può funzionare solo in presenza di forti legami fiduciari tra i partecipanti. Inoltre, il funzionamento stesso del sistema tende a rafforzare i legami attraverso la ripetizione degli scambi nel tempo.

Fig. 3.10 Importanza assegnata alla fiducia all’interno di una banca del tempo Fonte: Galeotti (2005)

I soci che hanno risposto al questionario di Galeotti (2005) assegnano una elevata importanza alla fiducia e solo per il 17% di loro la fiducia non è fondamentale in una banca del tempo. Uno dei motivi per cui la fiducia è un fattore così rilevante è costituito dalla 112


particolare tipologia di servizi scambiati, che richiedono l’esistenza di un rapporto di fiducia tra chi offre e chi riceve. Ad esempio, se il socio A chiede a B di innaffiare le sue piante durante le vacanze, il primo dovrà lasciare le chiavi della sua casa al secondo e questo, naturalmente, richiede una notevole dose di fiducia da parte di A nei confronti di B, oppure, detto in altri termini, è necessario che B sia ritenuto affidabile (trustworthy) da A. Al di fuori della banca del tempo, il socio A potrebbe rivolgere la stessa richiesta ad un parente o ad un amico con il quale esiste già tale rapporto fiduciario. Un esempio simile è quello della cura dei bambini o degli anziani: affidare i propri figli al socio B, richiede che il socio A nutra un certo grado di fiducia nei suoi confronti. Lo stesso grado di fiducia può essere garantita dal rapporto di natura affettiva e amicale, oppure da un contratto nel caso in cui il socio A decida di rivolgersi ai servizi di un babysitter professionale o ad un asilo: all’interno del mercato è il contratto a garantire la professionalità del servizio e l’affidabilità di chi lo fornisce79. Infatti, alla domanda «Quando è importante la fiducia?», il 17,3% dei soci intervistati da Galeotti (2005) risponde che la fiducia è importante in relazione alla tipologia del servizio fornito e per il 21,4% è necessaria per garantire la qualità dei servizi. La fiducia può nascere, oltre che dalla ripetizione degli scambi, dalla condivisione di determinati valori, in particolare di quelli relativi al tempo e allo scambio. Per questi motivi le banche organizzano spesso momenti di convivialità e di attività collettive (cene sociali, mercatini, ecc.), con l’obiettivo di far conoscere i soci e rafforzare le relazioni fiduciarie e di reciprocità. Altri strumenti adottati dalle banche del tempo per rafforzare i legami fiduciari sono: la presentazione dei nuovi soci al gruppo, i colloqui di selezione per entrare in una banca, la conoscenza di qualcuno già socio per entrare in una banca del tempo. Infatti, un altro fattore che genera fiducia è la conoscenza dei soci, importante per entrare in una banca del tempo80, ma soprattutto per permanere nella banca81 e per 79

I contratti e i relativi meccanismi di enforcement, insieme a mercati finanziati sviluppati e diritti di proprietà ben definiti, sono definiti sostituti formali della fiducia interpersonale generalizzata da Knack e Keefer (1997). 80 La conoscenza di un socio per entrare in una banca del tempo è «Per niente importante» per il 20,9% e «poco

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attivare le relazioni di scambio82. Dai dati raccolti, Galeotti deduce che al momento dell'ingresso nella banca del tempo possono essere utili la presentazione del nuovo socio da parte di un conoscente che è già socio, o anche un colloquio di selezione con il coordinatore della banca, con lo scopo di creare il legame fiduciario iniziale, ma la fiducia «non deve essere garantita formalmente o burocraticamente, attraverso forme selettive formalizzate» (Galeotti 2005, p. 187); la fiducia si sviluppa e si rafforza con l'aumentare della partecipazione agli scambi e con la creazione di relazioni interpersonali.

Fig. 3.11 Importanza della fiducia per attivare gli scambi83 Fonte: Galeotti (2005)

I soci intervistati da Galeotti (2005) ripongono molta fiducia nei familiari, infatti solo 1,8% afferma di fidarsi poco dei parenti. Inoltre, il 66,7% e 33,3% dichiara di fidarsi abbastanza e molto delle persone a loro più vicine, in pratica nessuno degli intervistati afferma di non fidarsi dei conoscenti. Al contrario, la fiducia che gli importante» per il 18,2%, mentre la maggioranza degli intervistati, il 60,9%, ritiene che sia «abbastanza» o «molto importante». Quindi, per il 38% circa degli intervistati sembrerebbe più facile accordare fiducia anche a persone esterne alla banca del tempo. 81 «Molto importante» per il 33% e a«abbastanza importante» per il 45% degli intervistati. 82 Per il 45,9% è «abbastanza importante» e per il 41,4% è »molto importante». 83 Il grafico mostra le percentuali delle quattro possibili risposte (molto, abbastanza, poco, per niente) alla seguente domanda:«Quanto è importante, per Lei, avere fiducia nella persona cui chiede un servizio?».

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intervistati dichiarano di riporre negli estranei è più bassa, infatti solo lo 0,9% presenta un indice della fiducia verso gli estranei alto, mentre per il 64,5% e il 34,5% si attesta su un livello rispettivamente medio e basso. Un aspetto importante è legato alla stipulazione delle assicurazioni, che in alcune banche sono obbligatorie. L’assicurazione serve a tutelare i soci da eventuali danni a se stesso, agli altri o a cose, durante la fornitura di un servizio. Non tutte le banche sono favorevoli a tali assicurazioni, infatti, come scrive Amorevole (1999, p. 104) «se ci facciamo male a casa di un amico non gli facciamo causa, perché appunto non si tratta di prestazioni professionali, ma di un rapporto di mutuo-aiuto reciproco fondato sulla fiducia». Quindi, per alcune banche e per alcuni soci, l’uso di questo strumento può snaturare la relazione che si crea tra chi fornisce e chi riceve il servizio, facendola somigliare a una relazione eccessivamente “contrattualizzata”, tipica del mercato e non dei rapporti amicali né di una banca del tempo: se esiste un rapporto di fiducia tra i soci, i contratti non servono, anzi possono danneggiare la relazione stessa. Becchetti a proposito dello “scambio dei doni” e delle relazioni tra lavoratore e datore di lavoro, afferma che «un'eccessiva contrattualizzazione dei rapporti rischia di spiazzare la fiducia interpersonale. Con le persone di cui ci fidiamo o con cui abbiamo relazioni strette non scriviamo contratti, perché la definizione pedissequa di diritti, doveri, obblighi e controprestazioni messa su carta verrebbe percepita come una palese mancanza di fiducia» (2007, p. 65). Un atto di fiducia è un dono, nel senso che rappresenta un comportamento che va oltre quanto espressamente previsto dal contratto, inoltre il dono è “contagioso” nel senso che spinge a ricambiare, ma se lo scambio è percepito, da una delle due parti, come asimmetrico allora «la fiducia viene ritirata e il meccanismo si inceppa» (Ivi). Infine, una dimensione della fiducia molto importante per il singolo è quella dell’autostima84. La partecipazione ad una banca del tempo, attraverso la riscoperta e il riconoscimento da parte degli altri soci delle proprie capacità e conoscenze, può esercitare un effetto positivo su questa dimensione individuale della fiducia e sul 84

Galeotti (2005, p. 60) la ricollega alla fiducia in se stessi evidenziandone l’importanza relativamente alle «modalità in cui l’essere umano sviluppa un’aspettativa fiduciaria positiva nei propri confronti e di come questa influenzi le capacità di nutrire fiducia verso gli altri individui» (p.60).

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benessere della persona. Dai dati raccolti da Galeotti, è possibile affermare che la fiducia in una banca del tempo è in larga parte fondata sulla conoscenza dei soci e sulla ripetizione degli scambi. Da questi due aspetti possono emergere fattori legati alla reputazione, che spiegano l’insorgere e il rafforzarsi dei legami fiduciari tra i partecipanti. Un agente economico, razionale e orientato al raggiungimento del proprio interesse personale, potrebbe ragionare nel modo seguente al momento del suo ingresso in una banca del tempo: chiede prestazioni agli altri soci fino ad accumulare il massimo di debito possibile, quindi abbandona la banca senza reciprocare, attraverso la fornitura di servizi agli altri soci per pareggiare il proprio conto, prima di lasciare l’associazione. Inoltre, tale agente potrebbe pensare che anche gli altri soci si comportino da opportunisti, perciò è tentato di sfruttare al massimo ciò che può ottenere e abbandonare la banca. Infatti, la maggior parte delle banche adottano la regola in base alla quale i soci, prima di lasciare la banca, devono pareggiare il proprio conto, ma, in pratica, non è possibile sanzionare chi trasgredisce. Quindi, secondo la teoria standard, prevale il meccanismo detto backward induction e una banca del tempo è destinata a fallire in breve tempo. Tuttavia, poiché gli scambi in una banca del tempo sono ripetuti nel tempo un numero indefinito di volte, una possibile spiegazione dell’esistenza delle banche del tempo può essere trovata nei fattori reputazionali legati alla ripetizione, che la teoria economica dominante utilizza per spiegare l’insorgere di comportamenti ispirati dalla reciprocità o dalla fiducia e per spiegare i comportamenti pro-sociali in genere quando i soggetti sanno che dovranno interagire un numero indefinito di volte. Quindi, la spiegazione della teoria standard si basa sull’idea che i soci scambiano servizi per mantenere in vita il sistema e ottenere vantaggi (personali) materiali in futuro. Tuttavia, la fiducia non si regge solo sulla reputazione e può essere spiegata facendo ricorso ai recenti sviluppi delle scienze economiche che prendono il nome di teorie intention-based, in particolare il modello della razionalità di gruppo, o werationality (Gui e Sugden 2005), e la teoria della rispondenza fiduciaria (Pelligra 2006, 2007 e 2010), che pongono una maggiore attenzione sui fattori relazionali rispetto a 116


quelli reputazionali. Come già sottolineato a proposito della reciprocità, i partecipanti ad una banca del tempo possono considerare se stessi come parte di un gruppo, di un team, quindi può emergere un tipo particolare di razionalità definito we-rationality, o team-thinking, che non è fondata sulle preferenze del singolo socio, ma sulle preferenze del gruppo, ovvero dell’insieme dei partecipanti. L’obiettivo dell’insieme dei soci non è l’utilità individuale, ma quella del gruppo e, quindi, è razionale cooperare e adottare comportamenti fiduciari e di reciprocità, avendo come obiettivo condiviso il

mantenimento delle relazioni simmetriche di scambio. Una possibile spiegazione può basarsi anche sul concetto di trust responsiveness (Pelligra 2006, 2007 e 2010). Partecipare attivamente agli scambi, fornendo e chiedendo servizi, equivale a inviare un “segnale” di fiducia nei confronti degli altri partecipanti. Nella teoria di Pelligra, la fiducia è un incentivo relazionale che spinge, chi ne è investito e quindi è ritenuto affidabile, ad adottare a sua volta comportamenti fiduciari. Il socio A riceve un servizio da B, “paga” un’ora al socio B e il suo conto è in debito di un’ora. Il socio A ha ottenuto un servizio e ha risparmiato il denaro che avrebbe speso se si fosse rivolto al mercato per ottenere lo stesso servizio. Se il socio A è un agente economico auto interessato, non avrebbe alcun incentivo a reciprocare, fornendo a sua volta un servizio di un’ora per pareggiare il proprio conto, ma, se tutti i soci ragionassero in questo modo, la banca fallirebbe. Secondo la teoria della rispondenza fiduciaria, il socio A reciproca e fornisce un servizio al socio C, perché la fiducia che il socio B ha riposto in lui, fornendogli un servizio ed accettando come pagamento un’«ora» invece del denaro, svolge la funzione di «incentivo relazionale», che spinge A ad adottare comportamenti fiduciari e ispirati della reciprocità per confermare le aspettative di B riguardo alla sua affidabilità. In tal senso, l’ora non è soltanto la traccia dello scambio intercorso tra i due soci, ma è anche una misura della fiducia che B ripone in A. In altre parole, rappresenta una misura dell’affidabilità di A, il quale non adotta un comportamento opportunistico, cioè non lascia la banca subito dopo aver ottenuto il servizio e il relativo risparmio di denaro, ma fornisce a sua volta un servizio confermando le 117


aspettative di B circa la sua affidabilità. Le teorie della razionalità di gruppo e della rispondenza fiduciaria, a differenza di quelle basate sull’altruismo e sulla reputazione, sono centrate sull’importanza delle intenzioni, delle aspettative e della relazionalità che rivestono un ruolo centrale nei rapporti tra i soci di una banca del tempo. Reciprocità e fiducia rappresentano, dunque, gli elementi distintivi degli scambi all’interno di una banca del tempo. Entrambi sono necessari perché gli scambi siano attivati e rafforzati dalla ripetizione, che rappresenta un continuo investimento sulla fiducia nei confronti degli altri partecipanti. Tutti i soci, alternandosi nel ruolo di fornitore e beneficiario di un servizio, contribuiscono alla creazione, al rafforzamento e alla diffusione di relazioni di scambio basate sulla reciprocità indiretta, che aumentano la fiducia e la solidità delle reti di prossimità sociale. Il rafforzamento della fiducia all’interno del gruppo dei soci produce capitale sociale di bonding. Questa forma di capitale sociale, spesso connotata negativamente, rappresenta un rischio reale di eccessiva chiusura per le banche del tempo. Inoltre, il rafforzamento del capitale sociale di tipo bonding può avere l'effetto di far venire meno la necessità di contabilizzare gli scambi, dal momento che i legami tra i soci possono raggiungere un livello tale da rendere la contabilizzazione inutile e in un certo senso “fastidiosa”: se i soci cominciano a percepirsi come amici o come una famiglia, esiste il rischio che i servizi siano scambiati sulla base soltanto dell'amicizia e, gli amici o i familiari, non contabilizzano i favori che scambiano reciprocamente. Quindi, il bonding social capital può spingere i soci a scambiare sulla base di una relazione amicale o affettiva e non sulla base dell'appartenenza ad un circuito di scambio simmetrico di servizi. Tuttavia, le banche del tempo possono produrre anche il capitale sociale di tipo bridging, infatti i membri non sono tra loro perfettamente omogenei. Sebbene alcune categorie di soci siano predominanti, come le donne e gli anziani, esistono differenze riguardo all’età, all’estrazione sociale, alla professione, al livello di istruzione, all’orientamento politico e al grado di coinvolgimento all’interno della banca. Quindi, mettendo in relazione persone con esperienze di vita diverse, le banche del tempo facilitano la diffusione delle informazioni e della fiducia. 118


Infine, i soci considerano le banche del tempo come strumenti che possono incidere sul benessere delle comunità in cui operano: un quartiere di una grande città o un piccolo comune. Per questo, le banche del tempo cercano di rivolgere la produzione di legami fiduciari anche all’esterno del gruppo, attraverso la collaborazione con gli Enti locali (Comuni e Province in particolare). Quindi, possono produrre capitale sociale di tipo linking attraverso le relazioni che si creano tra i soci di una banca e il loro quartiere o piccolo comune.

Fig. 3.12 Impatto sulla comunità di riferimento Fonte: Galeotti (2005)

Le reti fiduciarie attivate da una banca del tempo possono produrre capitale sociale di tipo bonding, bridging e linking. Consentono di evitare la chiusura del primo, e influiscono positivamente sul secondo, incidendo sui «legami orizzontali all’interno di gruppi eterogenei di persone» (Sabatini, 2008, p. 4). Inoltre, trattandosi di associazioni che collaborano con gli Enti locali fornendo servizi alle loro comunità di riferimento (quartiere o piccolo comune), possono produrre anche capitale sociale di tipo linking. Attraverso la produzione di bridging e linking social capital, le banche del 119


tempo possono favorire processi di inclusione sociale. Quindi, le banche del tempo possono svolgere un ruolo chiave in una società caratterizzata da un progressivo indebolimento della coesione sociale e da una crescente povertà relazionale (Becchetti 2007) e, in particolare, in alcuni contesti come le periferie urbane o in risposta a momenti di crisi. Ad esempio, la banca del tempo di Christchurch (Nuova Zelanda) ha aiutato la popolazione locale, dopo il devastante terremoto del 2011, attraverso la fornitura di supporto materiale, strumentale e psicologico (Jefferies 2011). Tale ruolo è di fondamentale importanza anche in Italia. Secondo il Rapporto La situazione del Paese nel 2010, uno dei punti di forza della società italiana è la presenza di una rete informale di sostegno molto forte, che ha protetto le famiglie dalla crisi e dalle modifiche socio demografiche profonde che incidono su «la capacità di sostegno e il grado di tenuta» di tale rete (Istat, 2011, p. 176). Il rapporto sottolinea che la fiducia all’interno della famiglia è ancora forte e sostiene la rete di aiuto informale; quello che manca, soprattutto alle donne, è il tempo da dedicare ad essa. Secondo i dati del World Values Survey, la fiducia degli italiani nella famiglia è molto forte e in linea con altri Paesi.

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Fig. 3.13 Fiducia nelle famiglia85 Fonte World Values Studies

Tuttavia, negli ultimi anni, l’aumento dei familiari che hanno bisogno di aiuto si è tradotto in un aumento del carico di lavoro di cura delle donne, le quali nel frattempo lavorano più che in passato. L’Istat rileva una forte asimmetria di genere, a sfavore delle donne italiane, riguardo sia al tempo di cura dedicato alla famiglia che a quello dedicato alle reti informali. Inoltre, nell’ultimo decennio sono cambiate le tipologie di aiuto della rete informale, in particolare aumenta il sostegno di tipo economico a scapito del tempo dedicato alla cura: il dono di denaro sostituisce il dono di tempo (Becchetti 2007; Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Infatti, il tempo dedicato alla cura degli adulti tende a diminuire, sostituito da servizi professionali (colf, badanti) e solo in piccola parte dai servizi pubblici, mentre aumentano le ore dedicate alla cura degli adulti da parte di associazioni di volontariato. Emergono forti differenze tra il Nord e il Sud relative alla carenza di servizi nel Mezzogiorno e alle difficoltà, nelle aree più povere e depresse, di sostenere la spesa per i servizi professionali. L’aumento delle richieste di servizi di cura al pubblico e al mercato (servizi professionali), testimonia l’esistenza di bisogni e di necessità che le reti informali da sole non riescono più a soddisfare adeguatamente. Infine, soggetti più vulnerabili, secondo l’Istat, sono gli anziani che vivono al Sud «risentendo degli effetti congiunti della crisi della rete di aiuti informali, della riduzione della spesa sociale e della difficoltà di ricorrere ai servizi a pagamento, in un contesto di scarse risorse a disposizione» (Istat 2011, p. 190). Le politiche di conciliazione dei tempi di vita e il sostegno pubblico alle famiglie diventano sempre più necessari, poiché possono migliorare aspetti che incidono significativamente sul benessere individuale e familiare. Il sistema delle banche del tempo può intervenire positivamente in tale situazione di crisi, rafforzando

85

Il grafico mostra le percentuali della risposta «Trust them completely» alla domanda «How much do You trust Your family?». Le altre tre possibili risposte sono: «Trust them somewhat. Do not trust them very much. Do not trust them at all». I Paesi considerate sono: Canada [2006], Francia [2006], Germania [2006], Gran Bretagna [2006], Italia [2005], Norvegia [2007], Spagna [2007], Svezia [2006], Stati Uniti d’America [2006].

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la rete di aiuti informali e mobilitando nuove risorse materiali e relazionali.

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Capitolo 4 Economia relazionale e Banca del tempo 4.1 Produzione e consumo di beni relazionali Hirschleifer (1978) indica, come uno dei principali limiti della scienza economica tradizionale, l’attenzione quasi esclusiva alle relazioni “uomo-cose”, tralasciando quelle “uomo-uomo” e affidandole alla indagine da parte di altre discipline. Focalizzandosi sulle relazioni “uomo-cose”, l’economia standard considera l’uomo, l’agente economico, come un produttore e consumatore di cose privo di legami con gli altri, ad eccezione delle relazioni che prendono la forma di scambi di mercato. Le teorie dell’economia relazionale e l’analisi dei processi di produzione e consumo di beni relazionali puntano a colmare questa lacuna, ponendo l’accento sulla rilevanza delle relazioni interpersonali, sia in rapporto alla performance economica che al benessere e alla soddisfazione di vita dichiarata delle persone coinvolte nelle relazioni. Alcuni autori ritengono necessaria l’analisi dei beni relazionali, perché la distinzione tra sfera economica e sfera non-economica è artificiale e le relazioni interpersonali esercitano un effetto sulla sfera economica; viceversa, le scelte economiche strategiche degli agenti influenzano le relazioni interpersonali, sia all’interno della sfera economica che all'interno della sfera non-economica. Infine, le relazioni interpersonali, sia che si svolgano all’interno della sfera economica che in quella non-economica, esercitano un impatto sul benessere sia individuale che sociale (Gui 1996; Bruni e Stanca 2005; Gui e Sugden 2005). Un altro approccio analizza il rapporto di causalità tra investimento in tempo di relazione e soddisfazione di vita dichiarata (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010; Becchetti, Pelloni e Rossetti 2008; Becchetti, Trovato e Londono Bedoya 2009). Uno dei problemi di tale approccio consiste nella difficoltà di indicare con chiarezza la direzione del nesso causale: se è il maggiore investimento in relazioni che aumenta la 123


felicità e il benessere, oppure se individui più felici tendono ad investire maggiormente nelle relazioni; tuttavia «gli studi sembrano concludere sulla significatività di entrambi i nessi di causalità» (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010, p. 384). Una delle prime definizioni di bene relazionale è stata proposta da Uhlaner (1989). Per la studiosa americana, i beni relazionali non possono essere posseduti da un singolo individuo, ma, per definizione, dipendono dalle interazioni con gli altri e i benefici che si possono ricavare da essi sono condivisi tra coloro che prendono parte all’interazione. Sono diversi dai beni privati, che possono essere consumati anche da un singolo agente, e dai beni pubblici, i quali possono essere consumati da tutti gli agenti, senza rivalità e problemi di escludibilità. Ad esempio, il consumo di una torta presenta la caratteristica della rivalità, ma, se due agenti consumano la torta insieme, producono e consumano un bene relazionale e il piacere (social pleasure) che ricavano dal consumare la torta insieme può essere maggiore del piacere individuale. Nel caso dei beni relazionali, il consumo collettivo produce benefici e la congestione non riduce la possibilità individuale di consumare il bene, al contrario, può aumentare l’utilità delle persone coinvolte: «thus, a baseball game is more exciting when the park is full» (Uhlaner 1989, p. 255)86. Inoltre, la produzione e il consumo di beni relazionali sono caratterizzati dalla reciprocità, poiché entrambe le attività dipendono dalle preferenze di tutte le persone coinvolte (Uhlaner 1989). I beni relazionali possono essere intesi come «intangible capital assets that inhere in enduring interpersonal relationships and provide both intrinsic and instrumental benefits» (Gui 1996, p. 270) e le attività di produzione e consumo di tali beni come «a process that combines individual contributions into the creation of peculiar outputs of a communicative/affective nature» (Gui 2000, p. 152). Alcuni esempi classici, proposti da Gui, sono: l'“atmosfera” che si crea tra i clienti di un barbiere in attesa del proprio turno o le conversazioni durante una pausa in un incontro d'affari. L'aggettivo relazionale non dovrebbe essere utilizzato con riferimento a queste attività per il solo fatto che implicano interazioni tra persone, ma dovrebbe essere 86

Uhlaner considera i beni relazionali come un sottoinsieme dei beni pubblici locali, perché rientrano nella funzione obiettivo di due o più agenti; tuttavia, non tutti i beni pubblici sono beni relazionali. Inoltre, la congestione ha un effetto negativo sul consumo dei beni pubblici, ma può non sui beni relazionali.

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riferito soltanto alla parte comunicativa/affettiva delle interazioni, anche se, tale componente, esercita una influenza sulla performance economica e sul risultato delle attività, soprattutto per quanto riguarda i servizi di cura. In tal senso, i servizi di cura non producono beni relazionali soltanto perché implicano una relazione tra chi fornisce il servizio e chi ne beneficia: la produzione di beni o mali relazionali87 non va confusa

con

la

fornitura

del

servizio,

ma

è

legata

alla

componente

comunicativa/affettiva della relazione. Una caratteristica distintiva di questa categoria di beni riguarda la difficoltà di distinguere l’attività di produzione da quella di consumo, poiché, in genere, le due attività sono simultanee e messe in pratica dagli stessi soggetti. Tuttavia, è possibile considerare tali beni come il risultato di un processo produttivo88 perché: «on the one hand, that personal interaction generates intangible entities that did not exist before, and on the other that the interactans play the role of co-producers» (Ivi). I beni relazionali non sono preesistenti rispetto alla relazione, ma sono creati durante una interazione e, coloro che prendono parte all’interazione, partecipano alla produzione di questi beni. Da un lato, il processo di produzione e consumo di beni relazionali è intenzionale, nel senso che tali beni non possono essere acquistati nel mercato, non sono contrattabili, né imposti dalla politica, ma dipendono dalle scelte di chi partecipa alla relazione (Kolm 2000); dall’altro, in molti casi i beni in questione sono prodotti e consumati come sottoprodotto di altre attività economiche, all’interno di interazioni che hanno altri obiettivi (Gui e Sugden 2005). Alcuni esempi proposti da Gui, sono il sorriso del barman oppure la sincerità dell’infermiera. In questi esempi, la fornitura di un servizio può essere accompagnata dallo sviluppo di una relazione interpersonale che, attraverso la produzione e il consumo di beni relazionali, influenza l’interazione sia nella sua dimensione economica e strumentale, che in quella prettamente 87

88

L'espressione “beni relazionali” (in inglese relational goods) non indica necessariamente relazioni positive, piacevoli. Infatti, esistono anche “mali relazionali” (relational bads) oppure «negative interpersonal exchange» (Gui 2000, p. 143). Gui sottolinea che, utilizzando il concetto di produzione di beni relazionali, è possibile stabilire un parallelo con la funzione di produzione familiare e il concetto di “basic commodities” introdotti da Becker (1965), ovvero quei beni che, acquistati sul mercato, non sono direttamente consumabili, ma devono prima essere trasformati dalla famiglia attraverso l'utilizzo di tempo e lavoro (Gui 2000, p. 152, nota 29).

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relazionale. In alcuni casi, l’analisi economica associa i beni relazionali al concetto di esternalità. Gui (2005), imposta un paragone tra i beni relazionali, come sottoprodotto di relazioni interpersonali economiche e non-economiche, e le esternalità, come sottoprodotto di attività economiche intraprese con altri obiettivi: ad esempio, la maggiore soddisfazione che deriva dal partecipare ad un evento sportivo se lo stadio è pieno. Mentre, per Garofolo e Sabatini, le esternalità, positive o negative, sono sempre associate alla produzione e al consumo di beni relazionali, in quanto «la misura del loro godimento non dipende: esclusivamente dal comportamento individuale, bensì anche da quello altrui» (2008, p. 66, nota 15) e dalla percezione delle intenzioni degli altri. Gui propone «a shift from the exchange paragadigm to the broader concept of an “encounter”» (2000, p. 141), un concetto dal significato più ampio di transazione o scambio. L’obiettivo dell’autore è mettere in luce che gli aspetti interpersonali delle interazioni economiche hanno un valore strumentale e uno intrinseco. Gli «incontri», come interazioni “faccia a faccia”, sono dei processi produttivi (peculiar productive process) che generano intangibile entities89, ovvero entità relazionali intangibili, che rappresentano l’output di tale processo produttivo e che sono strettamente legate alle caratteristiche personali e alle intenzioni degli agenti coinvolti nelle interazioni. Non si tratta di beni che esistono prima della relazione e sono scambiati nel suo svolgimento, al contrario, i beni relazionali sono il risultato del processo produttivo, sono l’output dell’«incontro». Il consumo di beni relazionali è l’altro output del processo produttivo, in quanto i beni relazionali sono consumati nel corso delle interazioni. L’attività di consumo dei beni relazionali dipende in maniera cruciale dalle personalità dei soggetti che interagiscono, per cui le caratteristiche di natura comunicativa/affettiva del consumo sono per forza soggettive. Quindi, Gui (Gui e Sugden 2005) definisce «incontro» il processo produttivo, mentre indica con l’espressione «bene relazionale» sia il consumo di output di natura comunicativa/affettiva, sia il capitale relazionale, che può essere 89

Gui rimanda al concetto di intangibile relation-specific capital (Becker 1975).

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accumulato e influenzare, positivamente o negativamente, gli «incontri» futuri. La funzione principale di questa forma di capitale, in un «incontro», è quella di ridurre i costi di transazione e facilitare le relazioni. L'autore individua quattro classi di input che rientrano nella produzione di beni relazionali (Gui 2000). Le infrastrutture fisiche che veicolano le informazioni, le risorse individuali delle persone coinvolte (come il tempo o la dotazione individuale di capitale umano) e le “abilità relazionali” relational skills, cioè la capacità di interagire con gli altri con successo. Nel processo di produzione rientrano anche asset relazionali, costituiti dalle informazioni relative ai precedenti «incontri», dal mutual understanding tra le persone che interagiscono, dall’“atmosfera” creata, per esempio, dal barbiere o in un ristorante, che influenza la produzione e il consumo di beni relazionali, ma anche la fornitura del servizio e quindi la parte strumentale della interazione. Tali asset sono per lo più intangibili e di natura comunicativa/affettiva, ma possono essere anche costituiti da informazioni. Producono sia benefici relazionali che vantaggi economici, in particolare attraverso la riduzione dei costi di transazione e dell’incertezza riguardo al comportamento degli altri partecipanti (Kolm 2000). Infine, non sono immutabili, ma sono continuamente modificati dallo svolgimento dell’interazione, per cui due «incontri» successivi presentano asset differenti. Infine, Gui (2000) rileva l’esistenza di una certa somiglianza dei beni relazionali con il concetto di capitale sociale, perché entrambi facilitano l’azione collettiva all’interno di un gruppo caratterizzato da fiducia e affidabilità. Tuttavia, esistono due importanti differenze. Il capitale sociale è un concetto più ampio che, come descritto nel capitolo 2, incorpora anche le norme civiche che possono non prevedere l’interazione di due soggetti, ad esempio, la norma che prescrive di non buttare carte in strada non prevede necessariamente l’interazione di due soggetti. Inoltre, il concetto di capitale sociale, in genere, tende a concentrarsi sul livello individuale o collettivo, mentre la nozione di beni relazionali si concentra sul livello interpersonale delle relazioni.

4.2 Crescita economica e impoverimento relazionale 127


L’analisi delle relazioni interpersonali, negli ultimi anni, si è concentra sul rapporto tra investimento in tempo di relazione e felicità o soddisfazione di vita dichiarata. I presupposti di tale approccio sono costituiti dal cosiddetto paradosso di Easterlin, dal nome dell’economista che, nel 1974, per primo ha evidenziato la correlazione negativa tra reddito e felicità: a livelli crescenti di reddito è associata una riduzione della felicità dichiarata. Inoltre, tale approccio si basa sulla crescente mole di dati, relativi alla rilevanza economica delle relazioni interpersonali, del tempo investito in relazioni e della felicità, raccolti tramite indagini statistiche come il già citato World Values Surveys. La relazione negativa riscontrata da Easterlin è paradossale, in quanto, la teoria economica standard prevede che un aumento di reddito si traduca quasi automaticamente in un aumento della felicità e in una progressiva riduzione del tempo di lavoro, con un conseguente aumento del tempo libero (Pugno 2007). Un gruppo di possibili spiegazioni del paradosso fa riferimento a fattori di natura psicologica. La teoria della personalità fa dipendere la soddisfazione di vita dichiarata dai tratti personali (genetici) e dalla disposizione individuali verso la felicità o l’infelicità. La teoria dell’adattamento ritiene che l’aumento del reddito abbia un effetto positivo solo temporaneo su benessere e felicità, a causa del processo di adattamento alle nuove condizioni e dello spostamento verso l’alto del livello di reddito che si desidera raggiungere (Becchetti 2007; Pugno 2007). In entrambi, i casi lo spazio per l’analisi economica per la definizione di adeguati strumenti di policy è limitato. Easterlin spiega il paradosso facendo ricorso alle aspettative sul consumo futuro90, proponendo un modello simile a quello dell’adattamento. Un’altra spiegazione si basa sul reddito relativo, cioè le persone reali non guardano al loro reddito in valore assoluto, ma al reddito relativo del proprio gruppo di riferimento. Secondo tale teoria, il reddito e il consumo di una persona rappresentano il livello di riferimento per gli altri e, quindi, producono esternalità nei loro consumi, in particolare per quanto riguarda il consumo 90

Questa spiegazione è spesso indicata con l’espressione «tappeto rullante di tipo edonico (hedonic treadmill), secondo cui le persone corrono attirate dalle loro aspirazioni, ma l’adattamento fa scorrere il tappeto sotto i loro piedi, con il risultato che non vanno avanti» (Pugno 2007, p. 33).

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di beni “ostentativi” o “posizionali”, cioè quei beni che indicano una certa posizione nella società (Hirsch 1976), inoltre, poiché producono esternalità, lasciano un certo spazio di manovra per l’implementazione di politiche mirate a migliorare il benessere. Queste spiegazioni del paradosso sono concentrate sul livello di reddito o di consumo. Pugno (2007) individua altre possibili spiegazioni basate sulle relazioni sociali e interpersonali: per livelli crescenti di reddito, l’impoverimento della vita relazionale esercita un’influenza negativa sulla soddisfazione di vita e sulla felicità. La ricerca empirica in psicologia mostra una bassa correlazione tra felicità e reddito e una forte correlazione tra felicità e relazioni primarie, con la famiglia o il partner. Tale relazione è stata ampliata dai sociologi fino a comprendere le relazioni interpersonali in genere, per cui «l’associazionismo, la fiducia, la partecipazione alla vita civile e a quella democratica hanno effetti benefici sul benessere delle persone» (Pugno 2007, p. 38). Anche gli economisti confermano che la qualità delle relazioni e la fiducia attraversano, nelle società avanzate, una fase di declino e impoverimento che influenza il benessere delle persone (Putnam 2005; Becchetti 2007). Una prima spiegazione è quella delle esternalità causate dalla produzione di determinati beni di consumo sulle relazioni sociali (Polanyi 1944; Hirsch 1976). Lo sviluppo e la crescita economica causano il deterioramento di quelle istituzioni tradizionali che «provvedevano di fatto al coordinamento degli individui nell’utilizzo delle risorse libere, come quelle naturali e sociali» (Pugno 2007, p. 38), tale processo determina un fallimento di coordinamento e il deterioramento del capitale sociale, spingendo gli individui a cercare dei sostituti nei beni di mercato. Hirsch afferma che il processo di crescita economica rende il tempo individuale sempre più pressante e costoso, inducendo le persone a dedicarsi in misura maggiore ad attività time-saving, attività a bassa intensità di tempo come il consumo privato di beni, e a trascurare attività time-intensive come le relazioni interpersonali o la partecipazione sociale. La crescita economica può condurre ad una vera e propria trappola della povertà, caratterizzata da crescenti livelli di benessere materiale e livelli di relazionalità decrescenti, causando una diminuzione del benessere generale delle persone. 129


Il rischio dell’impoverimento sociale delle economie avanzate mette in evidenza la doppia direzione del rapporto causale tra capitale sociale e crescita economica: il capitale sociale rafforza il processo di crescita economica, ma la crescita economica può influenzare negativamente l’accumulazione di capitale sociale. In sostanza, l’aumento della produzione dei beni privati di consumo, che accompagna il processo di sviluppo economico, rende il tempo da dedicare al loro godimento più scarso e, quindi, più costoso, generando un aumento dell’intensità temporale del consumo e, contemporaneamente, riducendo la relazionalità.

Fig. 4.1 Felicità e tempo speso in relazioni91 Fonte: Becchetti, Bruni e Zamagni (2010)

La maggior parte delle attività di relazione e partecipazione sociale sono ad alta intensità di tempo e sono quindi molto costose, ma «la percezione del tempo speso nei rapporti sociali come un costo è essa stessa un prodotto di questo processo di 91

Il grafico è ottenuto dai dati del World Values Survey (1999 - 2001), incrociando le risposte relative alla felicità con un indice di tempo relazionale, costruito a partire dalla media delle risposte date alle domande sulla frequenza del tempo trascorso con: familiari, colleghi fuori dall'orario di lavoro, gruppi religiosi, amici. Per ogni domanda sono possibili quattro risposte, alle quali gli autori assegnano un valore crescente da 0 a 3. Basso: da 0 a 1; medio: da 1 a 2; alto: da 2 a 3.

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privatizzazione dell’opulenza. L’effetto e quello di ridurre la quantità di amicizia e di contatto sociale» (Hirsch 1976, 88). L’impoverimento relazionale è legato ad una allocazione insufficiente di tempo e di risorse relazionali, che spinge le persone a cercare beni sostituti di tipo time-saving, facilmente reperibili nel mercato. Tale processo influisce negativamente sulle relazioni interpersonali e sul capitale sociale, causando una riduzione della soddisfazione dichiarata di vita. Gli approcci descritti sopra concentrano l’attenzione sulla particolare natura delle relazioni interpersonali e sulla loro influenza sul benessere individuale. Il grafico di Fig. 4.1 mostra che il gruppo degli intervistati con un elevato indice di tempo relazionale, coloro che investono di più in relazioni, è formato da una maggiore percentuale di persone che si dichiarano «molto felice» e una minore percentuale di persone che si dichiarano «non molto felice» e «per nulla felice». Scitovsky (1976) distingue i beni in due categorie: comfort goods e stimulation goods. I primi sono caratterizzati da un beneficio immediato, ma da una utilità marginale decrescente che porta rapidamente il consumatore a stancarsi di quel bene e cercare un sostituto. I beni che rientrano nel secondo gruppo, come i beni culturali, presentano generalmente una utilità marginale crescente. Le persone tendono a sostituire i beni del secondo tipo con i beni di comfort, i quali presentano un costo minore e sono facilmente reperibili sul mercato92. La distinzione proposta da Scitovsky è stata recentemente ripresa da Bruni e Stanca (2005) ed applicata alla televisione, considerando i beni relazionali come stimulation goods. Per gli autori, è importante una migliore comprensione della relazione tra interazioni sociali non strumentali e benessere. Nella loro analisi, la televisione causa un impoverimento relazionale perché fornisce un tipo di relazionalità “artificiale” e a basso costo, che non necessita sforzi e si sostituisce, in molti casi, alle reali interazioni interpersonali, producendo uno spiazzamento nella produzione e nel consumo di beni relazionali93. A partire dei dati del World Values Survey, i due autori 92 Al contrario, i beni definiti stimulation goods possono essere paragonati ai «beni ardui», introdotti nel paragrafo 3.3.2 a proposito delle relazioni affettive e amicali che necessitano di un certo sforzo e dell’investimento di un certo ammontare di tempo. 93 «People tend to watch talk-shows and reality-shows as if these were part of their own social life and to talk

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individuano sia una relazione positiva tra gli indicatori relativi alla produzione e al consumo di beni relazionali94 e la soddisfazione di vita dichiarata, sia una relazione negativa tra il tempo trascorso guardando la televisione e le attività relazionali. Il lavoro di Bruni e Stanca fornisce una ulteriore prova della diminuzione del tempo dedicato alle relazioni interpersonali, in quelle sfere tipicamente non di mercato come la famiglia e la società civile. Il tempo dedicato alla produzione e al consumo di beni relazionali diminuisce perché il costo opportunità del tempo aumenta costantemente nelle società avanzate e le persone si rifugiano nel consumo di beni sostituti, come la televisione. La teoria economica relazionale contribuisce a spiegare il paradosso del rapporto tra reddito e felicità come un eccessivo consumo di beni materiali e un ridotto investimento in tempo di relazione, che rappresenta una delle determinanti della soddisfazione di vita dichiarata. Il progresso e la crescita economica producono società più ricche e con più elevati livelli di reddito, ma caratterizzate da livelli insufficienti di produzione e consumo di beni relazionali, determinando un effetto netto negativo sulla soddisfazione di vita e sulla felicità delle persone.

4.3 Scambio di tempo e beni relazionali Gli scambi di servizi in una banca del tempo rispettano il principio della reciprocità simmetrica e indiretta, che presuppone l’esistenza di legami fiduciari tra i partecipanti e l’adozione di comportamenti affidabili. Quindi, gli scambi tra i soci presentano una componente relazionale molto forte. Questo è evidente per alcune tipologie di servizi, ad esempio i servizi di compagnia e di accompagnamento; mentre, nel caso di altre tipologie di servizi che presentano una componente strumentale più forte, lo sviluppo di una relazione interpersonale non strumentale dipende dalle

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about TV people as if they had an actual relationship with them. In short, television provides inexpensive and effortless artificial relationality that is commonly and increasingly used as a substitute for interpersonal relationships» (Bruni e Stanca 2005, p. 9). I fattori relazionali sono misurati con la partecipazione ad attività di volontariato di vario tipo e con il tempo speso in relazioni con parenti, amici, colleghi di lavoro, altre persone in chiesa o associazioni sportive.

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caratteristiche dei soci, dalle loro motivazioni e dai relational assets. Alcuni dei servizi scambiati tra i soci presentano una componente relazionale intrinseca: se il socio A offre un’ora di compagnia al socio B, che è una persona anziana, è molto probabile che i due producano e contemporaneamente consumino un bene relazionale. Tuttavia, il processo di produzione e consumo di beni relazionali può essere il sottoprodotto di uno scambio che avviene sulla base di obiettivi strumentali, utilizzando la terminologia di Gui (2000), lo scambio di tempo e di servizi in una banca del tempo è un «incontro». Gli obiettivi di natura strumentale che spingono i soci a scambiare in una banca del tempo piuttosto che all’interno del mercato, possono essere la necessità di risparmiare denaro, di risolvere piccoli problemi pratici, di gestire meglio il proprio tempo. In questi casi, la produzione di beni relazionali non è l’obiettivo principale dei due soci che scambiano, ma è il sottoprodotto di una relazione economica strumentale. Il 44% degli intervistati nell’indagine condotta da Galeotti (2005) considera la possibilità di creare nuove relazioni uno dei “punti di forza”95 di banca del tempo, seguito dalla possibilità di partecipare alla vita della propria comunità (28,4%). Le altre risposte relative ai “punti di forza” riguardano: la possibilità di esprimere le proprie attitudini (23,9%) la parità degli scambi (23,9%), la possibilità di adottare comportamenti ispirati dalla reciprocità (21,1%), l’altruismo (20,2%) e la risoluzione di problemi pratici (17,4%).

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La domanda posta nel questionario è la seguente:«Quali sono, a suo parere, i punti di forza della banca del tempo?» (Galeotti 2005).

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Fig. 4.2 “Punti di forza” di BdT Fonte: Galeotti (2005)

I soci assegnano grande importanza alla sfera relazionale e alla possibilità di incidere maggiormente sulla vita del proprio quartiere o piccolo comune. Una certa rilevanza è assegnata agli aspetti legati alla parità degli scambi e alla reciprocità. Un dato interessante è che il 20,2% degli intervistati considera “punti di forza” l’altruismo e il desiderio di aiutare gli altri: tale dato è in linea con quanto sostenuto nel paragrafo 3.3.4 riguardo alle difficoltà nel far comprendere ai soci le differenze tra una banca del tempo e un’associazione di volontariato e riguardo alle differenti strutture motivazionali che sottostanno ad un comportamento ispirato dalla reciprocità e uno ispirato dall’altruismo nel paragrafo 2.2. Non meno importanti sono gli aspetti legati all’autostima e alla possibilità di valorizzare le proprie capacità. Le risposte con le percentuali più basse sono relative ad un atteggiamento di tipo strumentale: il 17,4% ritiene che il principale “punto di forza” sia rappresentato dalla possibilità di risolvere problemi quotidiani. Secondo la teoria relazionale, la produzione e il consumo di beni relazionali 134


sono il sottoprodotto di relazioni economiche che, in genere, hanno un obiettivo diverso dalla creazione di una relazione interpersonale. Anche lo scambio di servizi in una banca del tempo presenta sia un lato strumentale, il risparmio di tempo e di denaro e la qualità del servizio scambiato, sia un lato relazionale, legato alla sfera comunicativa/affettiva della interazione tra due soci e, quindi, al processo di produzione e consumo di beni relazionali. La differenza è che il significato attribuito dai soci allo scambio e al tempo funziona come un incentivo relazionale, che assegna un peso maggiore alla componente relazionale dell’interazione. In tal senso, la banca può essere considerata un asset relazionale (Gui 2000) che rientra nel processo di produzione dei beni relazionali96, in quanto fornisce l’infrastruttura fisica per veicolare le informazioni relative ai soci (la sede della banca, il giornale con le offerte e le richieste dei soci), organizza momenti collettivi, aiuta i soci ad organizzare il proprio tempo, migliora le loro capacità e valorizza i talenti, crea una particolare “atmosfera” tra i soci che facilita la circolazione delle informazioni e la mutua comprensione. Un aspetto centrale in una banca del tempo è legato ad una migliore allocazione del tempo e alla valorizzazione del tempo di relazione. Tale sistema di scambio fa aumentare il tempo che i soci investono in relazioni sia all’interno del gruppo dei partecipanti che nella loro comunità. Inoltre, i soci evitano di rivolgersi al mercato per soddisfare determinati bisogni e, quindi, non soffrono delle esternalità negative causate dalla produzione di beni di consumo e dalle attività time-saving. Un altro fattore che incide sulla qualità delle relazioni interpersonali e degli investimenti in tempo di relazione è rappresentato dalle dimensioni delle banche del tempo.

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Altri asset riguardano le caratteristiche dei singoli soci, ad esempio il capitale umano e il tempo disponibile per ognuno di loro, ma anche le loro motivazioni e attitudini.

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Fig. 4.3 Dimensioni delle BdT97 Fonte: Galeotti (2005)

La maggior parte delle banche si concentra nella fascia media, con un numero di soci che va da 21 a 40. Nelle banche del tempo piccole, il 3,5% del totale, il principale problema riguarda la ridotta quantità di servizi offerti. Al contrario, per le banche grandi (7%) la maggiore difficoltà può riguardare la diffusione della reciprocità e dei comportamenti fiduciari tra un numero più elevato di persone, con minori possibilità di conoscersi e interagire ripetutamente. Le dimensioni ridotte comportano un minor numero di scambi e il rischio di eccessiva chiusura del gruppo dei partecipanti98; al contrario, le banche del tempo di dimensioni maggiori presentano una maggiore eterogeneità dei servizi offerti, ma i soci possono incontrare maggiori difficoltà ad instaurare relazioni interpersonali non strumentali durature.

Unendo i risultati relativi ai benefici relazionali prodotti dalle banche del tempo alla letteratura sul crowding-out motivazionale, è possibile ricavare alcune indicazioni di policy. L’effetto di «spiazzamento» delle motivazioni intrinseche si verifica quando

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La banche del tempo piccole sono quella da 0 a 10 soci, medio piccole da 11 a 20, medie da 21 a 40, medio grandi da 41 a 100, grandi oltre 100. In tal caso, una banca del tempo può produrre capitale sociale di tipo bonding che può esercitare un effetto negativo sulle relazioni tra i soci e la loro comunità.

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si introducono ricompense e incentivi di natura materiale ed estrinseca, ad esempio incentivi monetari, all’interno di attività caratterizzate da forti motivazioni intrinseche. Frey (1997) raccoglie numerosi dati empirici che mostrano l’esistenza di questo fenomeno nelle relazioni familiari, nel mondo del lavoro e nelle politiche ambientali. Ad esempio, un incentivo materiale in denaro può avere un effetto negativo sulla performance del lavoratore volontario, che è fortemente motivato, attraverso lo «spiazzamento» delle motivazioni intrinseche. Inoltre, Frey sostiene che, dopo aver introdotto un incentivo monetario, è difficile eliminarlo senza danneggiare il benessere del volontario. La letteratura sulle motivazioni intrinseche pone al centro dell’attenzione le motivazioni e i fattori relazionali, producendo nuovi strumenti di policy che mirano a sostenere le motivazioni intrinseche e le componenti relazionali, in ambiti economicamente rilevanti come le relazioni tra dipendenti e manager. Le banche del tempo possono essere strumento di quelle politiche che mirano a rafforzare la coesione sociale e la diffusione delle relazioni personali. Mentre altri strumenti di policy, basati sull’imposizione o sugli incentivi materiali, possono «spiazzare» le motivazioni intrinseche delle persone, un sistema di scambio basato sulla reciprocità, sulla fiducia e su continui investimenti in tempo di relazione, facilita il processo di produzione e consumo di beni relazionali, esercitando un potenziale effetto positivo sulla felicità e sulla soddisfazione di vita dichiarata dei soci.

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Conclusioni L’analisi delle banche del tempo italiane è stata inserita sia all’interno del discorso teorico e pratico sulle monete complementari, sia all’interno del dibattito economico relativo ai comportamenti pro-sociali e cooperativi ispirati dalla reciprocità e dalla fiducia, che punta ad allargare le ipotesi del modello antropologico alla base della teoria economica standard, fondata sull’idea di un agente rappresentativo, guidato esclusivamente dall’obiettivo della massimizzazione della propria utilità individuale. Il principale punto di forza di questa analisi è rappresentato dall’approccio interdisciplinare, che fonde economia, sociologia e antropologia, utilizzando concetti presi dalla teoria dei giochi e dalla teoria economica relazionale, con il supporto dei dati degli esperimenti di laboratorio, di indagini statistiche nazionali e internazionali e i dati relativi alle banche del tempo italiane. L’analisi preliminare della letteratura sui sistemi di scambio non monetario è stata utilizzata per inserire le banche del tempo nel dibattito attorno alle monete complementari e sono stati evidenziati i principali vantaggi economici, sociali e ambientali, che possono derivare dall’adozione di sistemi di scambio di beni e servizi che non adoperano la moneta convenzionale. Una banca del tempo si basa sullo scambio simmetrico di servizi non professionali. Il valore degli scambi che intercorrono tra i soci è misurato in “ore” ed è pari alla durata del servizio fornito, a prescindere dalla tipologia, per cui tutti i servizi sono uguali: un’«ora» di lezione di inglese è uguale a un’«ora» dedicata alla compagnia a un socio anziano o a un’«ora» dedicata alle attività amministrative e organizzative della banca stessa. Ogni socio, al momento dell’adesione ad una banca, apre un conto sul quale sono registrate le ore corrispondenti ai servizi che offre (crediti) e che chiede (debiti) agli altri soci. I soci adoperano degli assegni che poi consegnano alla segreteria, oppure comunicano telefonicamente o telematicamente alla segreteria i debiti e i crediti da registrare: se il socio A paga un’ora al socio B, la moneta necessaria alla transazione è creata dal socio A nel momento in cui la 138


Segreteria registra lo scambio, per cui la moneta è essenzialmente costituita da una scrittura contabile. Il principio fondamentale sul quale si base il funzionamento di un sistema di scambio di questo tipo è la reciprocità simmetrica tra ognuno dei soci e il sistema nel suo insieme. In una banca del tempo gli scambi reciproci presentano la caratteristica della condizionalità, perché il comportamento di ognuno dei soci dipende anche dalle scelte, dalle motivazioni e dalle aspettative degli altri. Inoltre, gli scambi sono tra loro equivalenti, perché il valore di tutte le tipologie di servizi scambiati è misurato utilizzando il tempo, che all’interno della banca ha lo stesso valore per tutti; inoltre, l’equivalenza corrisponde alla simmetria, indicata da Polanyi come la caratteristica tipica dei trasferimenti ispirati dalla reciprocità (1957) e intesa nel senso di adeguatezza del comportamento reciprocante. Infine, i trasferimenti sono liberi, nel senso che esiste la possibilità che uno dei soci decida di non reciprocare. La libertà implica che i comportamenti cooperativi siano percepiti dal soggetto come consapevoli e liberi: solo in questo caso potranno attivarsi risposte reciprocanti. Per spiegare gli scambi, la reciprocità è stata analizzata anche alla luce della teoria del dono elaborata da Mauss (1924), incentrata sulla capacità dello scambio di doni di creare legami, attraverso l’alternarsi di tre momenti: dare, ricevere e restituire, posti alla base degli scambi di tempo, o dei “doni” di tempo, tra i soci di una banca. Le teorie economiche procedurali e intention-based (Pelligra 2007), pur non arrivando ad una definizione univoca della reciprocità, riconoscono che la relazionalità è la caratteristica che differenzia le teorie della reciprocità dagli altri modelli, basati sull’altruismo puro o sull’avversione alle disuguaglianze. Tali teorie spiegano la reciprocità concentrandosi sulla sua capacità di creare relazioni interpersonali e stimolare l’adozione di comportamenti cooperativi, sottolineando l’importanza della simmetria e della condizionalità dei trasferimenti, ed evidenziando la possibilità dello sviluppo di preferenze di gruppo e di una razionalità di gruppo che spinge i soci di una banca del tempo a puntare alla massimizzazione dell’utilità dell’intero sistema e non alla ricerca del proprio interesse materiale. Applicando tali teorie agli scambi all’interno delle banche del tempo, è possibile individuare le caratteristiche che li 139


differenziano dall’agire strumentale tipico dello scambio di equivalenti in un mercato regolatore dei prezzi e le differenze rispetto ai trasferimenti di risorse in un’economica amministrata dal centro. Inoltre, è possibile mettere in evidenza le differenze rispetto ai trasferimenti tra i membri di una famiglia e quelli all’interno del volontariato, che pure rientrano nel principio di integrazione economica che Polanyi chiama reciprocità. Tuttavia, il tipo di reciprocità che opera tra i soci di una banca del tempo non può essere spiegata con le teorie dell’altruismo, al contrario, il comportamento di un socio altruista, cioè che fornisce più servizi di quanti ne chieda agli altri soci, non rispetta le caratteristiche della reciprocità. In tal senso, un socio realmente ispirato dalla reciprocità tende verso il pareggio del proprio conto: offre servizi agli altri, ma al tempo stesso è capace di identificare i propri bisogni e chiedere servizi agli altri soci, mettendoli nella condizione di poter reciprocare. Una volta definito il tipo di reciprocità che opera in una banca del tempo, è possibile collocare tali associazioni a metà strada tra il Terzo settore e le reti relazionali e amicali a carattere informale che compongo il Quarto settore (Galeotti 2005). L’analisi della reciprocità è stata approfondita introducendo alcuni modelli che spiegano la fiducia e l’affidabilità. Tali concetti sono indagati per mezzo di “giochi” sperimentali condotti in laboratorio e indagini statistiche relative all’importanza assegnata alla fiducia e al livello di fiducia verso i familiari, gli amici e gli estranei. Sia l’approccio «sperimentale» che quello «empirico» riconoscono che le persone si comportano in maniera affidabile, non opportunistica, e sono disposte a fidarsi reciprocamente. Una delle teorie recenti che spiega meglio gli scambi in una banca del tempo è la teoria della rispondenza fiduciaria, incentrata sulla fiducia e l’affidabilità (Pelligra 2007). Una banca del tempo facilita l’adozione di comportamenti affidabili non solo attraverso la ripetizione degli scambi, ma soprattutto attraverso l’aspettativa reciproca di un tale comportamento tra i soci che scambiano. All’opposto, un comportamento di tipo opportunistico è quello del socio che chiede servizi agli altri e, una volta raggiunto il limite massimo di ore di debito consentito dalla banca, decide di lasciare l’associazione senza prima aver reciprocato le ore ricevute. In tal caso, il socio 140


opportunista ottiene un guadagno materiale dato dai servizi di cui ha beneficiato e dalla moneta convenzionale, gli euro, che ha risparmiato. Partecipando agli scambi in una banca del tempo i soci sviluppano una rete di relazioni fondate sulla fiducia e sull’aspettativa di comportamenti affidabili. La fiducia, insieme alla reciprocità, consente di spiegare perché i soci chiedono determinanti servizi all’interno di un sistema di questo tipo, piuttosto che rivolgersi al mercato o alla propria rete affettiva e amicale. La fiducia rappresenta una dimensione fondamentale per comprendere tali scambi; inoltre, tende a rafforzarsi con la ripetizione degli scambi nel tempo, poiché ogni scambio è un incentivo ad adottare comportamenti affidabili. Incentivando le relazioni fiduciarie tra i soci e stimolando alla partecipazione alla vita della propria comunità, le banche del tempo possono produrre capitale sociale di tipo bridging e linking. Le banche del tempo mettono in relazione persone diverse per età, grado di istruzione, professione, impegno sociale, orientamenti politici, facilitando la diffusione delle informazioni e della fiducia all’interno di un gruppo eterogeneo di soci, producendo capitale sociale di tipo bridging. Inoltre, i soci considerano le banche del tempo come strumenti che possono incidere sul benessere delle comunità in cui operano, di solito il quartiere di una grande città o un piccolo comune. Per questo, le banche del tempo cercano di rivolgere la produzione di relazioni di reciprocità e legami fiduciari anche all’esterno del gruppo, ad esempio attraverso la collaborazione con gli Enti locali (Comuni e Province in particolare). Quindi, trattandosi di associazioni che cercano di incidere, positivamente, sulla loro comunità di riferimento, possono produrre anche capitale sociale di tipo linking. Inoltre, una banca del tempo è contraddistinta da una particolare visione del tempo e soprattutto del tempo dedicato alle relazioni interpersonali. Tale visione è antitetica rispetto a quella delle società avanzate e a quella propria della teoria economica dominante, che considera il tempo la risorsa scarsa per eccellenza ed è centrata sulla dicotomia tempo di lavoro e tempo di non lavoro. La partecipazione agli scambi consente ai soci di migliorare l’allocazione del loro tempo e valorizzare il tempo dedicato alla cura e alle relazioni, schiacciato dalla pressione che la scarsità di 141


tempo esercita sulle relazioni interpersonali. La teoria economica relazionale spiega gli scambi come investimenti in tempo di relazione e permette di definire una banca del tempo come un asset relazionale (Gui 2000), che facilita il processo di produzione e consumo di beni relazionali. Il tempo, scambiato volontariamente e reciprocamente tra i partecipanti, può essere definito un bene relazionale, non solo perché contribuisce a creare relazioni interpersonali, ma soprattutto perché può essere prodotto e consumato soltanto attraverso le relazioni di scambio. Il processo di produzione e consumo di beni relazionali può essere il sottoprodotto di interazioni e di scambi di natura strumentale, non soltanto il risultato di attività evidentemente relazionali, pensate per rafforzare le relazioni tra i soci: come cene di gruppo o la presentazione dei nuovi aderenti. Dall’analisi della reciprocità, della fiducia e del tempo come investimento relazionale, è possibile ricavare alcune considerazione relative alle potenzialità delle banche del tempo come strumenti per contrastare il progressivo indebolimento relazionale che caratterizza le società avanzate (Becchetti, Bruni e Zamagni 2010). Preoccupazioni riguardo alle difficoltà nella gestione del proprio tempo, in particolare il tempo dedicato alla cura e alle relazioni, sono state recentemente sollevate anche dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat 2011). I dubbi dell’Istat circa la capacità di tenuta della rete di sostegno informale in Italia riguardano soprattutto le donne, e in particolare le donne con figli che vivono nel Meridione, e gli anziani, che rappresentano le due categorie maggiormente presenti nelle banche del tempo italiane. In questo contesto, sono necessarie sia le politiche di conciliazione dei tempi urbani che il sostegno pubblico alle famiglie. Tuttavia, il sistema delle banche del tempo può intervenire positivamente in tale situazione di crisi, rafforzando la rete di aiuti informali e mobilitando nuove risorse materiali e relazionali. Le banche del tempo possono essere definite come un sistema di scambio che, attraverso la reciprocità, la fiducia e continui investimenti in tempo di relazione, facilita il processo di produzione e consumo di beni relazionali, esercitando un potenziale effetto positivo sulla soddisfazione di vita dichiarata dei soci. In tal senso, una banca del tempo è stata definita come un asset relazionale (Gui 2000). Le istituzioni e gli enti locali intenzionati ad adottare politiche volte al 142


rafforzamento della coesione sociale e alla diffusione delle relazioni interpersonali attraverso la conciliazione dei tempi urbani, possono approfondire e rafforzare il rapporto con le banche del tempo, andando oltre il semplice riconoscimento giuridico e riconoscendo la loro significatività economica, la loro capacità di valorizzare il tempo e di facilitare la creazione di relazioni interpersonali basate sulla reciprocità e sulla fiducia. Adottare politiche basate sugli incentivi o l’imposizione, in ambiti personali come la gestione del tempo e delle relazioni, può produrre l’effetto opposto, «spiazzando» le motivazioni intrinseche individuali. Al contrario, attraverso le banche del tempo, fondate sulla reciprocità e sulla fiducia, gli enti locali possono ideare politiche per la conciliazione dei tempi della città innovative, puntando alla valorizzazione del tempo individuale e delle relazioni interpersonali. Inoltre, le banche del tempo incidono sul benessere dei soci, ma puntano anche ad espandere le reti di reciprocità e fiducia al di fuori del gruppo dei partecipanti, con effetti positivi sulle comunità in cui operano attraverso la diffusione di comportamenti cooperativi e prosociali e la produzione di capitale sociale di tipo linking.

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