Rivista OAPPC 02-2014

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Poste Italiane - Spedizione in A.P. Tabella D - Autorizzazione S/CZ/67/2009 Valida dal 30/07/2009 - Distribuzione Gratuita

RIVISTA SEMESTRALE DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DELLA PROVINCIA DI CATANZARO

news

architetticatanzaro


AC - ArchitettiCatanzaro Rivista Bimestrale dell’Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro Anno IV - n. 02 dicembre 2014 direttore responsabile Arch. Giuseppe Macrì redazione:

Arch. Francesca Savari

Arch. Jole Tropeano

Arch. Junior Francesco Materazzo in collaborazione con: Accademia di Belle Arti di Catanzaro hanno collaborato in questo numero: Arch. Giuseppe Giovinazzo Arch. Andrea Benedetto Arch. Francesca Savari Prof. Francesco Brancato Prof. Rosaria Iazzetta Prof. Fiormario Cilvini Arch. Giulia Soriero Arch. Silvia Aloisio Arch. Andrea Lonetti Arch. Giuseppe Carnuccio Arch. Francesco Materazzo Arch. Giuseppe Giampà Arch. Bruno Bevacqua Prof. Maria Adele Teti Arch. Jole Tropeano Arch. Marialuigia Bisurgi Arch. Maria Teresa Fazzolari Accademia di Belle Arti di Catanzaro

022014 progetto grafico e impaginazione Graziella Pittelli stampa SudGrafica - Davoli Marina (CZ) OAPPC Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Catanzaro Via Paparo, 13 88100 (Catanzaro) segreteria Angela Calabretta Costantina Talarico Tel. 0961 741120 Fax 0961 743493 registrazione al tribunale di Catanzaro n. 130 del 12/06/2002 www.archicz.it info@archicz.it in copertina Lexikon 80, 1948 di Andrea Benedetto Arch. Consiglio dell’Ordine: Giuseppe Macrì Presidente Andrea Lonetti Vice Presidente Silvia Aloisio Vice Presidente Eros Corapi Segretario Pino La Scala Tesoriere Salvatore Aiello Consigliere Giuseppe Giampà Consigliere Francesca Savari Consigliere Jole Tropeano Consigliere Biagio Cantisani Consigliere Francesco Materazzo Consigliere Arch. Junior Chiunque volesse collaborare con noi può inviare materiale e foto all’indirizzo e mail: info@archicz.it


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SALUTI DEL PRESIDENTE CONCORSI

- Nuovo complesso inter-parrocchiale “San Benedetto” - Giuseppe Giovinazzo - Una chiesa madre postmoderna - Giuseppe Giovinazzo

OUT_ORE GOODESIGNEWS

- D di Design - Francesca Savari

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ARSARTIS a cura dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro

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CONTEMPORANEAMENTE

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TERRITORIALMENTE

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GENIUSLOCI

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ARCHI_JUNIOR a cura di Francesco Materazzo

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BIOARCHITETTURA

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DIARIODIBORDO

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TIMELINE a cura di Francesca Savari

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- Arte contemporanea. Sulle condizioni spaziali del suo farsi vedere - Francesco Brancato - Talk/Riflessioni “artisti nello spazio” - Rosaria Iazzetta - Pensieri - Fiormario Cilvini

- Studio EMBT Miralles Tagliabue L’architettura come luogo del tempo - Giulia Soriero - EXTRAVOLTI - Quando il vip ci mette la faccia - Silvia Aloisio - Concorso di idee per la progettazione di moduli abitativi prefabbricati trasportabili per edifici anche pluripiano - Badolato, genius loci irripetibile - Giuseppe Carnuccio - La professione dell’Architetto junior.

- Il lamellare: alternativa Bio Tecnologica - Mirko Faga - MESSICO... Messico e Nuvole 2013, la faccia (poco) triste dell’America. - Giuseppe Giampà - Frida Kahlo: Viva la Vida - Bruno Bevacqua

ARCHIBOOK

- “Spopolamento e disurbanizzazione in Calabria” - Maria Adele Teti

ARCHIWORD a cura di Jole Tropeano - Architetti nel pallone

FOTOCONTEST

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Il mio saluto in questo secondo e nuovo numero della “nostra” rivista è quasi d’obbligo. Mi pare doveroso, in qualità di presidente, stringermi a fianco di tutti i colleghi che in questo particolare momento storico, combattono tra mille difficoltà. Fare l’architetto oggi è molto difficile, per le condizioni economiche che hanno terribilmente ristretto il mercato. Riflettendo sulla condizione della professione in Italia, sul lavoro che oltre centocinquantamila architetti italiani svolgiamo, pensando a quanto poco la nostra situazione sia migliorata, un certo senso di sconforto è quasi d’obbligo. Siamo consapevoli di quanti bravi progettisti sia ricco il nostro paese che continuano, nonostante tutto e fortunatamente, a produrre idee e cultura del progetto e le tante proposte avanzate dal sistema Ordinistico, lo testimoniano in modo concreto. In alcuni casi è ancora possibile fare buona architettura, però la crisi, come raccontato anche dai vari presidenti provinciali colleghi, è sempre più dura e senza degli interventi rapidi e concreti la maggior parte degli studi italiani è sempre più drammaticamente a rischio di chiusura. Il Governo al contrario di aiutare, cerca di colpire nei modi più assurdi, come con la grottesca vicenda dei POS obbligatori, senza dare un orizzonte politico, sociale, economico e culturale al quale rivolgersi. Nella nostra dimensione, piccola o grande che sia, cerchiamo sempre e comunque di continuare a lottare al fine di poter risollevare la testa e riprendere a produrre più e meglio di prima. Vi riporto, pertanto, uno degli obiettivi raggiunti a tutela degli Architetti, augurandovi buona lettura OGGETTO: ART. 6 DPR 207/2010 (REGOLAMENTO DI ESECUZIONE ED ATTUAZIONE DEL CODICE DEI CONTRATTI) D.U.R.C. NON OBBLIGATORIO PER I LIBERI PROFESSIONISTI ISCRITTI AD INARCASSA. Questo Consiglio dell’Ordine degli Architetti della provincia di Catanzaro, interpretando le serie difficoltà che molti Architetti liberi professionisti incontrano giornalmente nello svolgimento della loro attività professionale, ha affrontato l’annoso problema

del cosiddetto D.U.R.C. (Documento Unico di Regolarità Contributiva) richiesto insistentemente ed ingiustamente dalla Pubblica Amministrazione per attivare i pagamenti dei corrispettivi maturati dai liberi professionisti a fronte delle prestazioni professionali effettuate, con l’intento di superare la fase di confusione che sta mettendo in ginocchio la sostenibilità economica degli studi professionali e sta infangando l’onorabilità degli Architetti. Alla luce dei nostri approfondimenti (vedi determina ANAC n. AG 26/2011 del 06 Ottobre 2011 allegata alla presente) e di un’analisi di tutta la materia in merito, riteniamo che la pretesa degli Enti Locali, Province, Regioni, Stazioni Appaltanti e degli Enti pubblici di varia natura è ingiusta, errata e non trova alcuna giustificazione giuridica nel dettato normativo (Art. 6 DPR n.207/2010), dal quale, in modo così esplicito e senza necessità di ulteriori chiarimenti parla di adempimenti INPS e INAIL e della Cassa Edile per i lavori, senza includere le Casse di Previdenza Private dei Liberi Professionisti (INARCASSA ecc…). Il principio del controllo della regolarità contributiva (D.U.R.C.) discende dalla necessità di tutelare i lavoratori e non i liberi professionisti: Art. 5 Comma 5, lettera s-bis) del Codice - tutela dei diritti dei lavoratori, secondo quanto già previsto ai sensi del regolamento recante capitolato generale di appalto dei lavori pubblici, approvato con Decreto del Ministro dei lavori pubblici 19 aprile 2000, n. 145, rubricati rispettivamente Tutela dei lavoratori e pagamento dei dipendenti dell’appaltatore (cfr. Consiglio di Stato, sez. Consultiva per gli atti normativi, parere n. 3262/2007 nell’adunanza del 17 settembre 2007, pag.3, e parere 313/2010, nell’adunanza del 24 febbraio 2010, pag. 11; Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici, Relazione di accompagnamento al Regolamento, pag. 26) per cui risulta errata l’interpretazione che configura una suggestiva analogia tra libere professioni e lavoratori dipendenti. Alla luce di quanto sopra, si ribadisce che la cosiddetta “Regolarità contributiva” degli Architetti senza dipendenti iscritti ad INARCASSA non deve confondersi con il regime di tutela dei diritti dei lavoratori detto sopra e che quindi, proprio per l’impossibilità di una interpretazione analogica esclusa dalla normativa in vigore, la Pubblica Amministrazione non può richiedere alcun DURC. Una lettura sistematica della materia in questione, pertanto, non può portare a includere tra coloro i quali godono della tutela e soddisfazione privilegiata dei crediti di cui all’art. 4 comma 2 del Regolamento soggetti che, come gli iscritti ad INARCASSA, forniscono prestazioni contributive ed assistenziali a lavoratori non dipendenti.

Il Presidente dell’Ordine Arch. Giuseppe Macrì


CONCORSI Nuovo complesso inter-parrocchiale “San Benedetto”

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di Giuseppe Giovinazzo

Proposte d’idee per un nuovo complesso inter-parrocchiale e aree pubbliche Due fasi: partecipazione aperta in forma anonima e selezione, valutazione in forma palese Diocesi di Lamezia Terme I concorsi privati riescono spesso a compiere un percorso completo in una storia italiana disseminata da molti fallimenti e rari processi equilibrati. Nel 2013 la Diocesi di Lamezia Terme è forse riuscita in questo intento, bandendo un concorso per la costruzione di una nuova chiesa parificata a “chiesa madre”. L’idea della concattedrale di San Benedetto, così chiamata a memoria della visita in città il 9 ottobre 2011 di papa Benedetto XVI, nasce, infatti, dalla necessità della circoscrizione vescovile di creare un nuovo spazio che potesse sostenere una comunità in aumento e contestualmente rafforzata dalla concessione amministrativa comunale di un’area pubblica. Un luogo strategico quello offerto, vicino al centro amministrativo e direzionale della città, all’interno di una porzione di territorio interessata dalla realizzazione del piano particolareggiato A.P.I. (Area Polifunzionale Integrata): un nuovo quartiere che dovrà connettere, dopo più di quarant’anni, i vecchi centri fondativi di Lamezia Terme. La concattedrale diverrà così lo spazio cardine di quest’area, luogo di unione e d’identità cristiana, sociale e culturale. Particolare la struttura del concorso che si è svolto in due fasi: la prima, con profilo anonimo, iscrizione gratuita e senza inviti; la seconda, con la selezione di dieci progetti che rispondessero alle verifiche dettate dalla Conferenza Episcopale Italiana: il carattere liturgico, pastorale e progettuale. Il tema articolato del concorso prevedeva la progettazione di un complesso inter-parrocchiale, dove includere in una composita armonia, l’impianto liturgico adatto a contenere mille fedeli, la parrocchia, la casa canonica, i locali per il servizio pastorale, il sagrato e infine l’area pubblica circostante. In questo workshop per la realizzazione di un pezzo di città hanno partecipato ottantotto gruppi di professionisti, provenienti da tredici regioni differenti da Nord a sud dell’Italia, ventiquattro i gruppi calabresi presenti di cui nove di Lamezia Terme e uno di Catanzaro; in totale oltre seicento tra tecnici, artisti e liturgisti. Tra i selezionati c’è anche un gruppo spagnolo. Una mostra organizzata a maggio del 2014 con una contemporanea pubblicazione ha dato l’occasione di osservare tutti i progetti partecipanti. Le proposte spaziavano tra quelle inserite nel solco della tradizione e nello stesso tempo ricche di energia evocativa, a quelle che si muovevano sulle linee del purismo formale del moderno, alcune originali e organiche o verso un’estrema 3


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modernità minimalista che reinterpreta la memoria e incarna la semplificazione dello strutturalismo in una dimensione archetipica e a volte atopica. La giuria, composta di esperti di liturgia, architettura, arte e ingegneria, è stata costituita con decreto vescovile dal mons. Luigi Cantafora, vescovo di Lamezia Terme. La selezione dei progetti ha riguardato gli aspetti della qualità e del linguaggio dell’impianto liturgico, la riconoscibilità non equivoca dell’edificio sacro, i profili artistici, estetici e formali, il rapporto con l’ambiente urbano, le funzionalità distributive, l’acustica e l’illuminotecnica, l’accessibilità, l’indicazione dei costi di gestione e manutenzione, il rispetto dei parametri dimensionali, finanziari e funzionali. La condizione discriminante è la nuova liturgia dettata dal concilio Vaticano II: centralità dell’altare e il suo intenso rapporto tra assemblea, ambone e fonte battesimale. La commissione ha assegnato i tre pre-

mi previsti dal bando e ha segnalato un solo vincitore. Il primo premio è stato conferito alla proposta elaborata dal noto architetto Paolo Portoghesi (Calcata, Roma); il secondo premio è stato attribuito al gruppo guidato dall’arch. Giuliano Sanmartino (Roma) e il terzo premio al team dell’architetto lametino Sergio Cimbalo. Si ringrazia per le informazioni ricevute l’ing. Francesco Stella, segretario del concorso della Diocesi.

Foto: 1 Stralcio piano API 2 Arch. Giulio Basili (Roccatederighi, GR) 3 Arch. Luigi Arrotta (Albi, CZ) 4 Arch. Ugo Dattilo (FI) 5 Arch. Marco Arrigoni (Lucca) 6 Arch. Maurizio Pino (CS) 7 Arch. Antonio La Gioia (Genzano di Roma) 8 Arch. Filippo Lambertucci (Roma) 9 Arch. Giorgio Comoglio (TO)

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Una chiesa madre postmoderna di Giuseppe Giovinazzo

La Concattedrale San Benedetto di Paolo Portoghesi Architetto, saggista, storico, docente universitario, e principale esponente della corrente postmoderna italiana, in lui è costante la rielaborazione della memoria storica e della tradizione: caratteristica essenziale del suo modus operandi e della sua profonda ispirazione creativa. L’attività di Paolo Portoghesi legata ai luoghi di culto è prolifica; molti progetti e diverse realizzazioni riguardano chiese, centri parrocchiali e moschee in Italia e all’estero. Nel suo progetto della Concattedrale di san Benedetto ricerca l’unità urbana di Lamezia Terme e costruisce uno spazio unico centrale che si orienta verso i fedeli. Ricca di simbolismi religiosi e rimandi, non si spoglia della memoria e non lascia spazio al protagonismo. Associa forme, archetipi, funzioni e soluzioni da lui già ricercate e le reinterpreta efficacemente: l’impianto, la torre campanaria, i fuochi liturgici, la luce e la materia, il pavimento e la volta in legno. Una piazza semicircolare accoglie il percorso dei fedeli, radunandoli per la preghiera all’aperto e invita ad accedere al volume principale della chiesa e

ai vari servizi parrocchiali, è un sagrato contornato da porticati, che creano uno stacco dai locali del ministero pastorale, dagli uffici parrocchiali e dai loro patii. Le braccia porticate si allungano e saldano l’invaso alla piazza pubblica, seguendone tutto il perimetro e armonizzando l’insieme. La piazza civica di configurazione irregolare, ritaglio del piano A.P.I., trova il nuovo ordine nel segno dell’ampia gradinata che collega il salto di quota al livello più alto del municipio. Conquistano il territorio della piana con i loro 40 metri di altezza (il doppio della chiesa), isolate nel sagrato e contrastanti matericamente la chiesa di granito giallo locale, due bianche torri campanarie, scheletriche e sinuose, poste frontalmente alle conche che bordano il prospetto principale, come due occhi usciti dalle orbite dalla forte iconografia. Inoltre, le torri incorniciano l’ingresso centrale che si apre convessamente a doppio ventaglio frastagliato, iniziando a tracciare le diversità nascoste all’interno e invitando i fedeli a entrare. Quest’apertura è un alto e lineare portale di legno con sopraluce, vetrata

1 decorata e scomposta con un movimento astratto di colori primari per apporto dell’artista Erio Carnevali, il quale rievoca il cloisonné delle chiese europee tardo medievali. Una cantoria esterna, a metà altezza, sporge arrotondata sull’ingresso e taglia in due l’astratta vetrata, proseguendo in controfacciata e allargandosi sopra il nartece fino ai lati, formando una loggia-matroneo. La pianta conserva il ricordo della croce latina con una libera rielaborazione del modello in forma di “T”. È un compromesso formale tra chiesa a pianta centrica e chiesa a navata, che coincide al principio e allo spirito della riforma conciliare. Il riferimento storico si mostra come ricordo della chiesa San Michele di Rudolf Schwarz (1954) a Francoforte sul Meno, ma nella chiesa di san Benedetto la chiara e rigida simmetria della struttura geometrica impostata sull’ellisse è interrotta dal transetto deformato e asimmetrico: contrappo5


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3 Foto: 1 Rendering vista da sagrato 2 Pianta 3 Rendering interno

sizione tra forma curva della cappella del fonte battesimale e forma trapezoide della cappella dell’adorazione a uso feriale. Accentua l’asimmetria, la canonica, che ripete con uno scatto dimensionale la forma in pianta della cappella feriale, traslata e incastrata a questa, conquista la funzionalità tra abside e presbiterio. Si mostrano nell’insieme come la rappresentazione del sistema solare accentuato anche dal design della pavimentazione della forma complessiva a raggiera, il presbiterio circolare con al centro l’altare quadrato, a cui fanno corona l’assemblea a emiciclo e i fuochi liturgici, luoghi ben delimitati e distinti, ovvero la sede, il fonte battesimale, l’ambone e il tabernacolo. Un asse processionale che dall’ingresso individua il presbiterio in posizione frontale, una progressione porta-altare-abside; altri assi collegano il presbiterio verso importanti fulcri, quali le statue delle sante poste vicino agli ingressi secondari. Al centro della pianta, l’aula si espande consentendo la configurazione dell’assemblea che avvicina il popolo cristiano all’altare e il transetto modificato produce la tensione spaziale verso i poli liturgici, evidenziando il fondale arcuato dell’abside collocato a Est. Per l’abside e il presbiterio, Portoghesi designa le concezioni dell’artista Paolo Borghi, opere scolpite in marmo, tra i quali il crocefisso e l’ambone, spin-off del progetto per il concorso della chiesa del Redentore in Modena. Una doppia pelle accentua il valore simbolico della luce: una parete esterna, quasi appesa dalla copertura in unico andamento curvo dell’ellisse di

base e misurata da colonne inglobate come lesene visibili soli dall’esterno; una parete interna, separata dall’esterna, di forma curva reiterata ovvero tre archi di cerchio saldati, simbolo del tempo ciclico, infinito e universale ed emblema della Trinità, spazi concavi che dal pavimento dell’assemblea si elevano a metà altezza dell’invaso. La contrapposizione del simbolico Giano bifronte caratterizzato dalle doppie pareti, crea incisioni di lunghe fessure perimetrali non visibili dai fedeli, dai quali una luce diffusa penetra in uno spazio “numinoso”, dove Dio guarda al futuro e al passato ma anche all’interno e all’esterno. Le luci artificiali sono stelle di metallo color oro, sospese con cavi dalla copertura, design dell’autore nel Teatro Politeama, che determinano nella parte inferiore dell’aula un adeguato ambiente di raccoglimento. Completa l’opera, la copertura a doppia falda con la struttura a vista in legno lamellare, tessuta da meridiani e paralleli, dai quali intrecci nascono tre fori di luce centrali di diversa dimensione posti sull’assemblea e sul presbiterio. Non è un semplice motivo ornamentale ma un misterioso significato michelangiolesco, profondo e simbolico, come centro del mondo, come “pietra Ovale” sacra simbolo di rinascita e come metafora del cielo e di perfezione divina, visione di tutto l’universo come un unico essere vivente fatto di tante creature. Portoghesi con quest’ultimo apporto riassume il simbolo della fede cristiana: l’uomo immortale è parte essenziale di quest’universo vivente, perché si rigenera, dopo la morte, la resurrezione a una nuova vita.


Out_Ore + Goodesignews Breve storia del disegno industriale In copertina:

Marcello Nizzoli, Lexikon 80, 1948 presso il Negozio Olivetti, Arch. Carlo Scarpa, Venezia 1958 La Lexikon 80 è una celebre macchina da scrivere disegnata dal designer e architetto italiano Marcello Nizzoli per conto di Olivetti, che la produsse fino al 1959. Dotata di tastiera con standard italiano per macchina da scrivere QZERTY, rappresenta un esempio di alto design italiano che ottimizza struttura e forma in un corpo resistente e compatto ma allo stesso tempo leggero e armonioso. Questo modello è presente nella collezione del Museum of Modern Art (MoMA) di New York. Autore della foto: Andrea Benedetto Architetto, Novembre 2014

Andrea Benedetto (Catanzaro, 1987), nel giugno 2012 si laurea in Architettura con specializzazione in Restauro Architettonico presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Dal 2009 al 2013 ha svolto attività di collaborazione alla didattica del corso di Disegno e Rilievo dell’Architettura, al modulo di disegno all’interno del corso Fondamenti di Progettazione Architettonica, presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Nel 2010 partecipa al workshop “dalla conoscenza alla ricostruzione” per il rilievo e il recupero post-sisma del centro storico di Tussillo (AQ), contribuendo inoltre alla redazione del saggio “Il centro storico terremotato di Tussillo: come e per quale uso ricostruire” del Prof. Michele Zampilli. Ha collaborato alla ricerca sul tema “Tecnologie informatiche per l’architet-

tura: possibili applicazioni per la rappresentazione dell’archeologia industriale al fine della sua rifunzionalizzazione” presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre. Architetto collaboratore presso diversi studi di Roma, ha fatto parte del team di progettazione per la nuova illuminazio-

ne LED della Cappella Sistina, poi presso la sede milanese di OSRAM S.p.A. ha svolto l’attività di lighting designer. Si occupa inoltre di grafica e comunicazione visiva partecipando anche a concorsi nazionali per l’ideazione di marchi grafici, immagine coordinata e siti web. Attualmente vive e lavora a Milano.

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D di Design di Francesca Savari

design sostantivo Ideazione e progettazione di oggetti d’uso da prodursi in serie dall’industria, secondo forme estiticamente valide in rapporto alla funzionalità dell’oggetto; anche, più propr., industrial d..

Il sostantivo amato da molti e molti dei quali ne hanno fatto un mestiere, racchiude in sé una lunga storia che è soprattutto la storia della cultura umana e delle relazioni che vi intercorrono dove si intrecciano interessi di ogni tipo: industriali, religiosi, mistici, funzionali. In Francia e in Inghilterra intorno alla metà del Settecento si manifestarono i più significativi sintomi della nascente modernità: fu la stagione degli inventori, dei filosofi, dei fisici, dei primi ingegneri che sperimentano: un immenso laboratorio in un mondo che si fece tutto nuovo; un mondo razionale, oggettivo, misurato, un mondo svuotato da centenarie abitudini e da antiche tradizioni, che ora stava cambiando in base alle leggi della ragione e, progressivamente, del consumo. Il tutto nacque nel 1919 quando Walter Gropius venne chiamato a dirigere il Bauhaus di Weimar, quella che diventò ben presto la scuola-simbolo del Movimento moderno, tanto in architettura che nelle arti visive. La sua lezione si basava su una chiara accettazione della macchina e della necessità di fornire nuovi modelli funzionali all’industria mirando utopisticamente, a realizzare una fusione tra le diverse arti, attraverso l’integrazione dell’insegnamento artistico con quello scientifico e tecnico. Basterebbero le realizzazioni di Marcel Breuer o le sedute di Mies Van der Rohe o la maniglia in nichel di Gropius o l’automobile Adler per evidenziare l’importantissimo traguardo raggiunto da quei pionieri. Dopo lo scioglimento della scuola da parte dei nazisti, gran parte dei migliori architetti e designers tedeschi emigrarono

Charles Eames and Eero Saarinen with a lightweight tensile structure designed for the 1939 faculty exhibition at the Cranbrook Academy of Art Architecture Studio. Cranbrook Academy Archives. 5624-2. Photograph: Richard G. Askew


negli Stati Uniti, nazione altamente industrializzata che aveva dato importantissimi apporti all’architettura moderna e al disegno industriale, dove poterono riprendere l’insegnamento e far fiorire istituzioni. Già negli anni tra le due guerre mondiali l’America aveva visto svilupparsi il fenomeno dello styling: molti prodotti venivano presentati con un aspetto assai più curato che in Europa. Esistevano grandi studi di consulenza grafica a cui le ditte potevano rivolgersi. È da questi studi che uscirono ad esempio i primi oggetti d’uso. Designers come Eero Saarinen e Philip Johnson, furono anche architetti e che prestarono la loro opera per la produzione di mobili sia in legno che in plastica realizzati in serie dalle ditte Knoll e Miller, i cui prodotti presto invasero anche i mercati europei.

Saarinen, tulip chair: studio della seduta

Saarinen, tulip chair: vista prospettica

In Italia, i primi oggetti di design compaiono solo sul finire degli anni Venti del Novecento e diventano oggetto di un vivace dibattito che si sviluppa su riviste quali Domus e Casabella. Ma è soprattutto nel secondo dopoguerra che i prodotti italiani acquistano rinomanza internazionale, grazie alle lampade dei fratelli Castiglioni e al lavoro di artisti versatili come Aulenti, Boeri, Mari, Munari, Sottsass. E mentre nel 1954 in Italia nasce il Compasso d’Oro, il più autorevole premio europeo del settore (da un’idea di Giò Ponti e per volontà dei grandi magazzini la Rinascente), è già passato un secolo dalla creazione del primo oggetto di design realizzato nella storia: si

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Zanotta, SuperSuite

tratta della sedia Thonet, ideata nel 1859. È stato proprio il suo inventore, Michael Thonet, a stabilire la regola numero uno: scoprire un utilizzo innovativo di un materiale comune. Nel suo caso, applicò le tecniche dei costruttori di barche alla curvatura del legno di faggio; da lì la famosa sedia di legno dalle linee curve presente ancora oggi nelle case di tutto il mondo. Alcuni di questi articoli, rivoluzionari per forma e materiale, sono diventati emblema di un’epoca e addirittura insostituibili oggetti di uso quotidiano. È sufficiente pensare alla moka Bialetti, presente nel 90% delle nostre case, o alla radio TS502 di Brionvega, alla Vespa Piaggio o alla Cinquecento della Fiat, oppure alla celebre macchina da scrivere portatile Lettera 22 di Olivetti. Icone del design italiano, celebrato nel mondo per gusto e classe. “Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”. Con queste parole Adriano Olivetti intendeva che l’impresa, oltre a ricercare l’eccellenza in tutte le attività, deve anche saper comunicare i suoi valori e costruire un’immagine che sia l’espressione veritiera della realtà aziendale. L’impresa può comunicare con il design di un prodotto, con l’architettura di una fabbrica, l’arredo di un negozio, la grafica di un poster, il testo o il disegno di una pubblicità. La bellezza dei prodotti, degli edifici, dei poster o dei messaggi pubblicitari nella tradizionale cultura Olivetti non ha un valore solo formale: la bellezza della forma comunica la realtà dell’azienda e perciò ha un valore sostanziale. Le scelte estetiche in tutte le aree di attività sono considerate importanti quanto le scelte tecnologiche o gestionali. Lo “stile Olivet-

ti” nasce da questa cultura che permea ogni fase della vita aziendale, ma che affida al prodotto e al suo design un ruolo centrale. Quando in Italia ancora non esistono scuole per il design industriale, in Olivetti i designers sono già al lavoro. Designers che non si limitano a ricercare “un bel vestito” per una nuova macchina, ma che lavorano a stretto contatto con i progettisti per dare un senso e una giustificazione a ogni forma dal punto di vista comunicativo, funzionale, ergonomico. Ai designers si chiede di disegnare forme capaci di comunicare in modo immediato la funzione del prodotto; di facilitarne l’uso e di mettere l’utilizzatore a proprio agio, eliminando tutto ciò che è superfluo o ambiguo; di esprimere il carattere tecnologico del prodotto attraverso forme coerenti con lo stile e i valori. Un ruolo primario è svolto da Marcello Nizzoli, architetto eclettico con una forte propensione alla comunicazione, che fin dal 1938 ha uno stretto rapporto di collaborazione con l’Olivetti. I prodotti di Nizzoli sono disegnati con uno stile improntato a una continua ricerca della massima funzionalità e sincerità espressiva; tra gli altri si ricordano le calcolatrici MC4 Summa (1940), le macchine per scrivere Lexikon 80 (1948) e Lettera 22 (1950). In particolare la Lexikon 80 rappresenta un punto di riferimento nella storia internazionale del design per le soluzioni rivoluzionarie adottate che integrano innovazione tecnologica ed eccellenza formale: i due pezzi del coperchio e della copertura combaciano perfettamente con linee morbide, realizzate grazie al nuovo processo di pressofusione, per cui la carrozzeria può essere studiata come un unico involucro da modellare. Anche la Lettera 22 entra molto presto nel mito della storia Olivetti.


Questa continua ricerca nel campo del design ottiene numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Il Museum of Modern Art (MOMA) di New York nel 1952 organizza per la prima volta una mostra di prodotti industriali e la dedica a “Olivetti: design in industry”. Dalla Lexikon 80 in poi sono una decina i prodotti Olivetti che entreranno a far parte delle collezioni permanenti del MOMA. Si susseguono oggetti rivoluzionari e fortemente ironici: la lampada Falkland Danese, realizzata da Bruno Munari nel 1964 utilizzando una calza da donna tesa fra sette anelli metallici, o la sessantottina poltrona sacco Zanotta, formata al suo interno solo da palline di polistirolo e venduta in 2 milioni di copie, e ancora la lampada Tolomeo Artemide, prodotta nel 1986 e venduta in 4 milioni di copie. Si arriva poi alle sedie in plexiglass Louis Ghost di Philippe Starck. È grande il mondo del design, affascinante in ogni suo campo, dagli oggetti d’uso alla nautica (eccellenza e vanto tutto italiano), così grande d’aver offerto a molti di noi architetti,

nuove esperienze e strategie lavorative. Allora chissà quale sarà la prossima icona di stile da ammirare e acquistare? Nonostante la crisi economica, la risposta non tarderà ad arrivare: perché nulla può fermare la creatività.

“Design è un termine di ritorno, perché riprende l’italiano disegno di cui accentua il significato progettuale”

Bibliografia Appunti di storia del disegno industriale Firenze 2004 Munari, Bruno, Design e comunicazione visiva. Contributo a una metodologia didattica, Roma-Bari, GLF Laterza, 2008. De Fusco, Renato, Made in Italy. Storia del design italiano, RomaBari, GFL Editori Laterza, 2007. Phaidon Design Classic, Design in 1000 oggetti, La biblioteca di Repubblica - L’espresso



ARSARTIS

a cura dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro

Arte contemporanea. Sulle condizioni spaziali del suo farsi vedere di Francesco Brancato architetto

La mostra “Artisti nello spazio. Da Lucio Fontana a oggi: gli ambienti nell’arte italiana” al Complesso Monumentale del San Giovanni, si è rivelata estremamente stimolante per avviare una riflessione sul rapporto con lo spazio reale come una delle costanti dell’arte contemporanea. È così che nascono appunto gli ambienti, oggetto della mostra, attraverso i quali il fruitore si trova “dentro” l’opera in maniera fisicamente accertabile. Questo invito ad entrare, a varcare la soglia che ribalta secoli di modalità fruitiva dell’arte che ha tenuto in una distanza contemplativa lo spettatore dall’opera, richiede però due revisioni. In primo luogo occorre rivedere la percezione dell’arte: dalla vista, dallo sguardo dello spettatore, si passa al coinvolgimento dell’intero corpo del fruitore che, in questo modo, è sollecitato in maniera multisensoriale. In secondo luogo l’opera, intesa in senso tradizionale, da superficie (tela) o da oggetto tridimensionale (sfera), viene vissuta in uno spazio praticabile, in un luogo.

Con lo spazio topologico, si impone una relatività dei rapporti tra opera e spettatore e quindi tra opera e spazio nei termini di un ripensamento del loro tradizionale rapporto. Ne consegue che, nel rapporto opera/spettatore, la complessità e l’ambiguità di fenomeni significanti dal carattere fortemente eventuale prendono il sopravvento sulle tradizionali modalità comunicative e nel rapporto tra opera/spazio, l’unicità e la singolarità della tensione spaziale dell’opera entra in rapporto dialettico con lo spazio fisico circostante, mettendo in crisi una tradizionale modalità di messa in scena dell’arte. Nel corso del Novecento, l’istituzione museale è stata oggetto di diverse e numerose attenzioni da parte degli storici dell’arte, degli architetti, dei critici e dei curatori, ma più di ogni altro, ciò che ha ineludibilmente influito sulla definizione del suo destino e sul ripensamento dei suoi spazi e del suo progetto è rappresentato dalle feconde riflessioni degli stessi artisti.

Le avanguardie storiche avevano già evidenziato l’inadeguatezza del museo sotto il profilo istituzionale, nella sua nozione puramente codificata di luogo/ sfondo con funzione sacralizzante dello spazio che modifica i significati dell’opera/figura soffocandone la criticità del messaggio artistico, e soprattutto, sotto il profilo espositivo, per la retorica della sua messa in scena in uno spazio inadeguato ad un’idonea, proficua e coerente fruizione del nuovo messaggio artistico. L’arte contemporanea è refrattaria a semplicistici tentativi di mera “ambientazione”. Occorre far andare in scena la forza innovatrice del messaggio dell’opera e non la retorica della neutralità elegante che la sacralizza e, contestualmente, l’annulla, in un ambiente che la rende ammutolita presenza rassicurante, neutralizzazione asettica nell’ideale scatola bianca (il White Cube). Se l’opera si sostituisce all’architettura, l’architettura si sostituirà all’opera, creando un forte senso di straniamento: il muro, lo spazio e l’ambiente sono com13


14 promessi, si vede, si esperisce, si entra dentro l’opera-architettura. Lo spazio non è più funzionale, i topoi architettonici sono saltati: si può solo vivere l’esperienza interna proposta ed interpretare le sue inequivocabili vocazioni di luogo. Saranno le proposte degli stessi artisti a contenere dati preziosi di critica dello spazio storico dell’arte e quindi delle loro potenziali modalità fruitive. Se da un lato, l’opera d’arte è potente strumento di critica dello spazio, implicazione energetica e concettuale del luogo da esperire, la sua forza critica e problematica, non può essere semplicemente aggirata, comodamente fraintesa, facilmente contaminata per la sua gratificante neutralità in un luogo di radicale omologazione, di normalizzazione di segni ad alto contenuto di senso, che disinnesca e sterilizza una diversità dirompente e deflagrante. Per l’arte, quindi, specie per quella contemporanea, occorre trovare alcune risposte sulle condizioni del suo farsi vedere: - sia dal punto di vista espositivo, nel rapporto opera-spazio, in termini ordinamentali ed allestitivi;

- sia dal punto di vista architettonico, nelle differenti modalità di concepire la tipologia museale e il suo spazio. Per le due condizioni poste, e per necessità di sintesi, prenderò in esame due casi, a mio avviso ricchi di stimoli per futuri lavori: per la prima, il progetto espositivo di Carlo Scarpa nel 1966, in occasione della XXXIII Biennale di Venezia, per all’allestimento della sala XXVI “Lucio Fontana” - Giardini di Castello, Padiglione centrale; per la seconda, lo StoreFront for Art and Architecture, di Stephen Holl (1994) a Manhattan, New York. L’allestimento della sala XXVI “Lucio Fontana” Se Scarpa consigliava ai suoi allievi di considerare un progetto partendo dalla comprensione delle qualità e delle potenzialità artistiche del luogo dove si interviene, per l’allestimento delle opere di Lucio Fontana, il luogo è segnato, suggerito dalle vocazioni spaziali delle sue stesse opere. Si tratta di un involucro ovale bianco, della stessa altezza dello spazio espositivo a disposizione, il cui soffitto è chiuso da velari bianchi, contenente cinque bianchi espositori a forma di C per cinque tele bianche sulle quali è praticato il “taglio”: cinque tele, tutte uguali

per formato, per colore e con lo stesso “taglio”. Tuttavia quella fenditura non è prodotta da un mezzo meccanico o dalla mano di qualcun altro ma dalla mano dello stesso autore: ha una sua “formatività” e ci racconta dell’effetto di uno stesso concetto spaziale in spazi differenti. Prima di accedere alla sala espositiva, Scarpa ci accoglie in un gioco di ambiguità formali spiazzanti. Tale sala è letteralmente squarciata, alla Fontana e vi si accede tramite un’apertura-feritoia, praticata sulla parete, di forma dolcemente ellissoidale che riprende i tagli sulle tele. Lasciamo lo spazio della quotidianità per varcare la soglia di uno spazio altro. È a questo punto che nasce nel visitatore un sentimento perturbante di smarrimento: per un attimo non capisce più se si trova dentro o fuori lo spazio creato dal taglio. Probabilmente non lo saprà mai e, dopo aver visitato la sala espositiva, se ne andrà con questo enigmatico dubbio. Penetrata la feritoia si entra in uno spazio ovale che richiama morfologicamente l’apertura: per esaltare il significato di ciascuna forma e spazio, Scarpa lavora sul contrasto e, dalla bidimensionalità, si esperisce la tridimensionalità della stessa forma. Si tratta dell’avvolgente spazio di un tramezzo ovale che contiene una serie di cinque spazi più piccoli tutti uguali nella forma e nel contenuto esposto: sono gli espositori a forma di C che, a loro volta, avvolgono in ogni nicchia una tela. Le tele non vengono “appese”, ma collocate all’interno dello spazio-luogo dell’espositore; gli espositori non vengono “appiattiti” alla parete, ma liberamente disposti all’interno dello spazio-


luogo curvo, liberamente attraversabili: tra una tela e l’altra vi è un ulteriore spazio-luogo da attraversare, da esperire. Il soffitto non presenta più la sua convenzionale piatta metrica bidimensionalità, ma acquisisce una forza plastica sua propria: un telo bianco, infinitamente piegato, che contrasta con la purezza delle forme sottostanti e che riecheggia, nelle sue pieghe, le lesioni praticate sulle tele da Fontana, per aprire così, ancora spazi, persino sulla testa del visitatore. Anche la scelta del colore non è casuale. Tutto è bianco: dalle tele di Fontana all’allestimento di Scarpa. Tutto è bianco per sperimentare un inquietante spicchio d’ombra. Ne risulta un ambiente misterioso, enigmatico in una fusione di spazio-lucecolore. Scarpa non ambienta le opere in maniera convenzionale, ma le interpreta profondamente, attraverso le forme e il colore, il messaggio artistico di Fontana: l’opera, da superficie (tela) o oggetto tridimensionale (sfera), diventa luogo. Lo StoreFront for Art and Architecture. Per lo StoreFront, Holl intrattiene una diretta collaborazione con l’artista Vito Acconci. Questo caso è estremamente interessante, perché costituisce uno straordinario esempio di come le istanze dell’arte, dai primi del Novecento, contestatrici nei confronti di un’istituzione museale tesa alla sacralizzazione dell’opera e dello spazio, possono essere superate mediante una proposta di spazio espositivo che riprende l’istanza del pieno coinvolgimento dell’azione del corpo nell’attività conoscitiva dell’arte-vita. Con lo StoreFront vengono ribaltati secoli di concezione della tipologia archi-

tettonica museale, di ragioni dello spazio espositivo e di prassi di vivere l’arte. La galleria espositiva si presenta in tutta la sua dinamica interattiva: la facciata si ribalta da dentro a fuori, per portare l’arte in strada. Le pareti a cerniera ruotano su entrambi gli assi e possono essere trasformate in tavoli e panche. È il corpo a mettere in azione l’architettura in maniera diretta: spinge lo spazio verso l’esterno o lo ritira verso l’interno, semplicemente con la pressione di una spalla. Si tratta di un’opera temporale che invita ad esperire opportunità: non uno spazio puro, minimale, ma uno spazio ibrido. Può essere chiuso e regolare per poi mutare improvvisamente in spazio dinamico. Può essere severo o informale. Quando la facciata rimane chiusa assume la forma convenzionale di un prospetto commerciale di Manhattan. Quando è aperta, si lascia attirare all’e-

sterno e si lascia attraversare dalla città. Cambiamenti e variazioni fanno assumere al volume tridimensionale una valenza quadridimensionale. Con la facciata dello StoreFront si realizza un nuovo tipo di spazio dinamico, urbano e interattivo, capace di coinvolgere, accogliere, promuovere l’esistenza umana in molteplici possibilità. Sia in termini statici che estetici non è più la tradizionale parete a fungere da garante espositivo, ma lo spazio. Se la cultura tradizionale, con le sue profonde radici nella storia della civiltà occidentale, in tutte le sue manifestazioni, sia sotto il profilo pratico che in quello dell’esperienza fruitiva, aveva dato un predominio assoluto alla dimensione visiva, con l’opera di Holl, pratica ed esperienza, ampliano, mediante la combinata integrazione dei sensi, la nostra quotidiana conoscenza del mondo: dall’occhiospazio al corpo-spazio-vita.

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Talk/Riflessioni “artisti nello spazio” di Rosaria Iazzetta Ho sempre pensato che vivere uno spazio ad età diverse presenta stimoli e significati diversi. Se io vivo questa interazione spaziale a 36 anni ha un valore; se la vivo a 20 c’è ne ha un altro o se a 10, sicuramente un altro ancora. La cosa interessante e che forse certe percezioni inconsce negli anni vengono assoggettate a fattori di conoscenza, mentre se sei giovanissimo te le spieghi solo sul piano del gioco istintivo-casuale; quando interagisci con ambientazioni come queste dove si ha la maturità o/e la capacità di comprendere che si entra direttamente nel pensiero dell’artista, comprendi il suo valore e quanto sia un contributo notevole per la propria immaginazione. Di solito una persona normale, o anzi una persona con attitudini non particolari si limita a vivere quello che vede quasi considerando la terza dimensione un valore che non si emancipa. Se Arturo Martini definiva necessario nei processi della scultura l’evoluzione della terza dimensione in quarta dimensione, chiamando “atmosfera” tutto lo spazio attorno alla forma costruita, come si sottintende nel testo scultura lingua viva, immaginiamoci come potrebbe mai essere definita l’interazione nello spazio come quella realizzata da un numero cospiquo di artisti dagli anni ’70 in poi (alcuni dei quali presi in esame nella mostra), e come poi lo stesso si sia ulteriormente emancipato

da allora fino ad interagire con forme eteree o fluttuanti. Mi viene naturale riflettere alle mie interazioni con lo spazio e su quanto queste siano state fondamentali per la realizzazione delle mie forme scultoree. A 19 anni mi trovai all’interno di un bacino galleggiante a Genova, lo stesso dove vengono sistemate le navi per effettuare riparazioni nella parte della zavorra, che per lo più, dopo essere stata costruita è sempre in mare. Bene; quello spaesamento visivo provato verso questa massa di ferro enorme, grandissima levarsi su di me, è stata la mia prima reale percezione spaziale che ha devastato tutti i principi di costruzione che prima di allora mi ero creata, o almeno pensavo di essermi costruita. Ho preservato quel volume e non sono certa se sono stata capace di espellere quella grandezza percepita, ma da allora, quella visione spaziale ha lavorato molto nella percezione anche della mia esistenza. Altra parentesi spaziale è stata vissuta nelle passate edizioni della Biennale di Venezia in un lavoro di Sophie Calle, che all’interno di un grandissimo padiglione, dove posizionati da un lato i ventilatori che generavano un movimento di lunghe metrature di stoffe di cotone, si creavano onde di mare lunghissime, quasi come se dal mare le stesse si andassero ad infrangere sulla coscienza dello spettatore.

Ho da queste simboliche ma importanti esperienze, percepito che gli spazi che vengono creati in maniera anche temporanea hanno una capacità di stordimento tale da non poter non intaccare lo spazio interiore. Più spazio interiore libero io mi concedo tanto più riesco ad assorbire e a sentire lo spazio esteriore. Spesso, l’ingombro interiore non mi permette di percepire quello che vivo al di fuori, e sono costretta a non assaporarlo a pieno, a non farlo diventare esperienza. Quanto più spazio interiore dispiego, tanto più ne assorbo dentro. E la cosa incredibile che in questo passaggio da esteriore a interiore determinati ambienti si riconoscono meglio di altri perché oltre ad interpretarli in un certo modo li immagazziniamo anche diversamente da come realmente sono, perché la memoria e l’esperienza prima di sedimentare consuma e smussa gli angoli e i concetti. Io spero che come me, anche voi in questa mostra scopriate la parte più intima di voi, che non si confonda con gli spazi obbligati che la società ci costringe a vivere, ma che nell’inciampo dell’opera di Berlingeri, si svegli un angolo del vostro io e che attraverso questa esperienza partecipata dei sensi si trovino nuove risorse per la vostra creatività, e soprattutto la dimensione spaziale più prossima all’anima e alla coscienza.

Pensieri di Fiormario Cilvini «Come nascono i fraintendimenti sull’arte degli anni Novanta, se non da un deficit del discorso teorico? (...) Biso-


gna accettare il fatto, assai doloroso, che alcune domande non vengono più poste e, per estensione, rintracciare quelle che si pongono oggi gli artisti. Quali sono le vere sfide dell’arte contemporanea? Quali i suoi rapporti con la società, la storia, la cultura? (...) Troppo spesso ci si accontenta di far l’inventario delle preoccupazioni d’un tempo, al fine di meglio affliggersi per il fatto di non ricevere risposte. Ora, la prima domanda, a proposito di questi nuovi approcci, riguarda evidentemente la forma materiale delle opere. Come decodificare queste produzioni apparentemente sfuggenti, che siano processuali o comportamentali, smettendola di nascondersi dietro la storia dell’arte degli anni Sessanta?» (Nicolas Bourriaud)

Parlare di spazio dell’arte oggi significa parlare di scambio, perché il tempospazio dagli anni ‘90 in poi si è spostato verso il pubblico. Assistiamo allo sviluppo di nuovi modelli di riferimento che prospettano l’arte come l’esperienza estetica del quotidiano e lo spazio come la costruzione di relazioni. Cito, a dimostrazione di quanto appena detto, l’incontro fortuito di due amici di età avanzata che, rivistisi dopo anni, si confrontano con le loro sensibilità, parlando della pratica più semplice ed antica della vita: il rapporto tra uomo e ambiente, quel sottile legame che permette alle piante di continuare a vivere, nutrite dalle cure dell’uomo, che al contrario muoiono e si ribellano, rinunciando a produrre, come risposta all’abbandono e alla mancanza di

cure. Apparentemente lontano dall’arte, quel momento ha rappresentato, nel mio immaginario, il punto più alto di una visione estetica, di ciò che rigurda e tocca tutta la dimensione senziente di noi uomini. Proprio questa esperienza quotidiana ci permette di parlare della costruzione di uno spazio relazionale, che è quello del rapporto - feedback incluso, ovvero la crescita sana - con l’ambiente. Attraverso l’arte diventa possibile generare rapporti con il mondo, sognare, ma realizzare le utopie, progettare e concretizzare interventi, dal carattere sociale, di tutela dell’altro e della natura, poiché l’arte - come giustamente sosteneva Guy Debord - è un serbatorio di esempi che devono essere attualizzati fattivamente nella realtà della vita di ogni giorno.



CONTEPORANEAMENTE Studio EMBT Miralles Tagliabue L’architettura come luogo del tempo di Giulia Soriero* Architetto

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Un’antica sartoria di Barcellona, situata nel punto in cui la Rambla incontra il porto della cità, è stata trasformata in un grande laboratorio di architettura. Entro nel cortile d’ingresso e scorgo il profilo ondulato di LungoMare bench (Escofet), la seduta in cemento armato, disegnata da Enric Miralles e Benedetta Tagliabue nel 1998, che guida gli ospiti verso la scalinata d’acceso allo studio: pareti bianche segnate da moderni graffiti, ceramiche catalane, arredi di legno dal design contemporaneo che evocano la tradizione della bottega artigiana. Lo studio “EMBT Miralles Tagliabue” è stato fondato a Barcellona, nel 1991, da Enric Miralles e Benedetta Tagliabue. La loro collaborazione inizia quando la giovane architetto italiana arriva in Spagna, dopo la formazione allo IUAV di Venezia e, in seguito, a New York. L’architetto catalano era già affermato: una carriera segnata da grandi opere, frutto del suo genio creativo e della sensibilità nell’uso dei materiali e delle strutture architettoniche. Ha creato luoghi iconici di grande suggestione come il Padiglione per la meditazione Unazuki in Giappone (1991-1993) e il cimitero di Igualada (1985-1996); un vero fuoriclasse, considerato da tutti la giovane promessa dell’architettura contemporanea spagnola, scomparso prematuramente all’età di quarantacinque anni. Dal loro legame sentimentale e professionale è nato lo studio EMBT che si è imposto sulla scena internazionale dell’architettura grazie ai progetti davvero innovativi che hanno contribuito a valorizzare l’immagine di alcune tra le principali città d’Europa: il mercato di Santa Caterina e la torre del Gas Natural a Barcellona, il Campus Universitario di Vigo, gli spazi pubblici “Hafencity” ad Amburgo e il Parlamento scozzese a Edimburgo. Lo studio ha progettato anche importanti opere di interior design, come l’Accademia di l’Oreal e gli store Camper e Castañer a Barcellona; ha prodotto la sedia “Tina” di ExporMim e il divano “Botan” di Passoni Nature, presentato al Salone del mobile di Milano 2013. Ha recentemente vinto il concorso della stazione metro “Clichy - Montfermeil” a Parigi e sta realizzando il progetto delle Cupole all’Expo di Milano 2015. Benedetta Tagliabue, alla testa di un team di livello internazionale, si dedica oltre che alla progettazione, anche alla divulgazione delle idee e dei valori che ispirano la sua architettura, partecipando a numerose conferenze in giro per il mondo. Lo scorso anno (2013) ha vinto il RIBA Jencks Award, a Londra, in ragione del suo contributo teso a conciliare pratica e teoria dell’Architettura. Nell’ottobre scorso ha ricevuto inoltre il prestigioso Pritzker Prize Jury. 19


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Benedetta Tagliabue, mi ha accolto, insieme al suo staff, nella luminosa sala riunioni, dominata dal tavolo “Inestable”, icona simbolo del design di Miralles. Ho avuto modo di conoscere la struttura e l’organizzazione di uno studio competitivo in campo internazionale, apprezzando i lavori che li hanno resi famosi nel mondo. Dai racconti degli architetti, coinvolti quotidianamente nelle attività di studio, emerge una storia che abbraccia l’architettura degli ultimi trent’anni e che si caratterizza per una spiccata volontà di sperimentare un’idea originale di città contemporanea.

La struttura dello studio.

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Lo studio ha due sedi, una a Barcellona e una a Shangai, creata nel 2010 in occasione del progetto per il Padiglione spagnolo all’Expo di Shangai. Benedetta Tagliabue lavora in stretta sinergia con sei direttori di progetto, affiancati dagli staff architect che operano nelle sedi e da giovani architetti e ingegneri tirocinanti provenienti da tutto il mondo. La struttura di segreteria e comunicazione è molto importante perché cura il rapporto con i media e gli altri referenti. Lo studio è un ambiente aperto che favorisce lo scambio di relazioni nelle varie fasi di progetto: nella sala collage e nella falegnameria nascono le idee; nelle sale studio gli architetti lavorano con i loro computer per dare vita al progetto in tutte le sue fasi fino alla rappresentazione tridimensionale. Un vero e proprio laboratorio in cui la continua ricerca diventa pratica costruttiva. Dal 2011 è stata, inoltre, costituita la “Fundació Enric Miralles”, situata al piano intermedio dell’edificio. La Fondazione ha lo scopo di custodire e

divulgare gli studi e i progetti di Enric Miralles, per ricordare la sua figura e il suo genio, e di creare uno spazio di collaborazione e sperimentazione tra l’architettura contemporanea e le altre discipline artistiche. La Fondazione ha già promosso alcuni eventi di rilievo: le mostre Miralles en Harvard, Enric Miralles con el tiempo e il progetto multidisciplinare BCN RE.SET, presentato recentemente alla Beijin Design Week.

II. Che cos’è il progetto RE.SET? Il progetto costituisce un esempio importante d’intervento urbano, promosso dal Comune di Barcellona e coordinato dalla Fundaciò Miralles, in occasione della Commemorazione del Tricentenario della Resistenza del popolo catalano alla monarchia dei Borboni, durante la Guerra di Successione Spagnola (1714). Alcuni degli spazi pubblici più simbolici della città sono stati trasformati dalle istallazioni artistiche e architettoniche di sette grandi architetti internazionali, che hanno inteso proporre una riflessione sul concetto d’identità di un popolo, sulla libertà, la democrazia, la memoria e l’Europa. La prima a essere inaugurata tra le istallazioni, è situata nel Parco della Ciutadella ed è ispirata alla cinta muraria della città storica, in seguito demolita; l’opera, ideata dall’arch. Tagliabue in collaborazione con il regista teatrale Àlex Ollé (della compagnia La Fura dels Baus), rappresenta la riconquista della città da parte dei suoi cittadini. Il tema della costruzione e della demolizione delle mura ha ispirato le altre sei istallazioni effimere proposte, ognuna delle quali é caratterizzata dallo stile personale del progettista.


Le istallazioni sono state collocate in luoghi simbolo della storia catalana: Plaça dels Àngels, Plaça de Salvador Seguí, Plaça de la Mercè, Plaça Nova, Plaça del Mar, Arc de Triomf. Gli studi di architettura che hanno preso parte al progetto sono: Studio Odile Decq (Francia), Peter Cook e Yael Reisner (Regno Unito), Grafton Architects (Irlanda), ETH Zurich & Urban-Think Tank (Svizzera), Anupama Kundoo (India) e Urbanus (Cina). Hanno altresì collaborato alla realizzazione delle opere anche importanti istituti catalani di architettura e design: La Salle, ESARQ, IAAC e ELISAVA. “La Cittadella, costruita dopo che i catalani sono stati sconfitti in difesa di Barcellona in data 11 settembre 1714, è stata una fortezza militare che aveva un duplice scopo: difendere la città dagli attacchi esterni, ma anche reprimere ogni cittadino di Barcellona che avesse voluto sfidare il potere dominante. E’ stato, per così dire, una parete di frontiera, sia verso l’interno sia verso l’esterno. Barcellona finalmente ha demolito le mura della Cittadella nel 1869. L’elemento del muro è rappresentato, quindi, nei suoi vari aspetti: come riflesso delle paure collettive, perché attraverso le pareti si protegge ciò che si ama di più rispetto ai nemici. Quando però pensiamo a noi stessi come comunità, all’interno delle mura possono nascere conflitti. Muri contro muri. Contro di questi non è possibile costruirne altri per difendersi. I potenti si difendono dietro le loro mura perché i diseredati hanno occupato lo spazio esterno di quelle mura, la strada, cioè lo spazio della rivoluzione. Abbattere i muri significa trasformare il volto della città, e, a volte, è necessario farlo per combattere le ingiustizie”. Questa è la descrizione dell’istallazione realizzata dallo studio EMBT nel Parco

della Ciutadella: un muro in parte materico, con grandi murales disegnati, e in parte stilizzato nei suoi contorni, attraverso l’uso di barre metalliche, s’innalza lungo un percorso nel parco per simboleggiare la storia di amore e odio vissuta da Barcellona. Il progetto invita le persone a percorrere questi luoghi della città, scegliendo un itinerario e partecipando attivamente alla vita dell’istallazione, per scoprire la storia e l’identità catalana e riflettere sul futuro.

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III. Come nasce un grande progetto? Un grande progetto nasce innanzitutto dallo studio dei luoghi; il rapporto con il suo intorno assume da subito un ruolo fondamentale per il concept architettonico. L’utilizzo della tecnica dei collage permette di valutare il progetto nel suo contesto, dedicando un tempo lento alla elaborazione di idee utili a sostenerlo. Tale tecnica permette una più facile comunicazione e presentazione dell’opera all’esterno. Le idee diventano superfici e volumi, sono sviluppate e perfezionate in un continuo confronto collettivo, fino alla configurazione finale e al disegno dei particolari tecnologici.

IV. Luci, ombre, colori: l’importanza dei materiali e delle tecnologie. Il materiale non richiama solamente la storia dei luoghi, ma esalta l’architettura stessa, rendendola simbolica per il cittadino che avverte una sorta di riconoscibilità familiare.

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La copertura del Mercato di Santa Caterina (1997-2005), a Barcellona, recupera e sottolinea la presenza dell’antico mercato, avvolgendolo sotto un manto rivestito di tessere esagonali di ceramica i cui colori, dal verde al rosso, passando per il giallo e il blu, richiamano idealmente quelli dei variopinti banchi di frutta e verdura. L’obiettivo, in questo caso, era quello di rappresentare le complessità del vecchio quartiere popolare, ricucendo il tessuto urbano e ricollegandolo ai luoghi ne-

vralgici della Catedral e della chiesa di Santa Maria del Mar, così da generare nuove relazioni e visioni sull’intera area. La decisione di non demolire il vecchio mercato, espressa con forza da Enric Miralles, ha permesso di creare un dialogo tra passato e presente, trasformando l’edificio in uno spazio pubblico di qualità che adesso è diventato un’icona della città di Barcellona. La grande superficie puntinata e ondulata acquista maggior valore perché si accosta all’eclettica e variopinta tradizione dell’architettura catalana e di quella di Antoni Gaudì. In quest’ottica l’architettura di Miralles e Tagliabue non rimane confinata a singoli episodi storici o stilistici, ma lavora insieme al tempo e alla storia, preparandosi a riceverli per trasformarsi. La sperimentazione è molto importante e aiuta a rendere concrete le idee. Il Padiglione spagnolo per l’Expo di Shangai 2010 ne è un esempio. Qui, i materiali più tradizionali, come i vimini, si confrontano con l’uso della tecnologia costruttiva più avanzata per creare un grande nido, una cesta le cui fasce si sviluppano in modo dinamico; viene in tal modo creato un luogo aperto e accogliente, uno spazio vivo, in continuo movimento, in cui le persone giungono per partecipare attivamente alla sperimentazione. Il vimine è un materiale che richiama il mondo artigianale e rurale e crea un 10

ponte ideale tra Oriente e Occidente. È reinterpretato in chiave moderna: l’elemento modulare sarà fabbricato a mano dagli artigiani cinesi. Dopo aver ricevuto il riconoscimento per il miglior padiglione straniero dell’ Expo 2010, lo studio EMBT ha successivamente progettato diverse ipotesi per sostituire i pannelli in vimini con altri materiali, al fine di rendere il padiglione una struttura permanente. Questa ricerca ha prodotto una sperimentazione all’avanguardia che ha preso in considerazione anche materiali molto differenti, come il marmo. Benedetta Tagliabue ha presentato la collezione “Braided Marble” di Decormarmi al Marmomacc di Verona 2014, sviluppando un progetto in pannelli di marmo che sono lavorati come tessuti. L’ondulazione, che questi elementi modulari assumono, riproduce l’intreccio, il volume e i riflessi di luce dei vimini, conferendo quell’immagine di leggerezza che ha caratterizzato il padiglione di Shangai.

V. Progetti futuri Proprio in parallelo con la prossima inaugurazione della Stazione metro “Centro direzionale” di Napoli, progettata nel 2005, lo studio si è aggiudicato il concorso per un’altra stazione metro molto importante, quella di ClichyMontfermeil a Parigi. Si tratta di un progetto molto ambizioso di modernizzazione della rete metropolitana esistente, attraverso la creazione di un sistema automatico che mira a riconnettere le aree più distanti della capitale francese. È un intervento pubblico simbolico in un’area suburbana per lungo tempo abbandonata e dimenticata, teatro di scontri tra i ceti sociali meno abbienti. Il progetto attuale include, oltre al colle-


gamento metro, anche il disegno di un nuovo spazio pubblico che diventerà un importante luogo di riaggregazione per gli abitanti del quartiere. Un percorso di verde connetterà l’antico “Acquedotto de la Dhuis” con la nuova piazza centrale, in cui è prevista la realizzazione di una zona commerciale e di uffici. L’idea di base è di realizzare una forte connessione tra la stazione metro e il contesto urbano esistente, tracciando un percorso di scale e rampe che conduce all’uscita della stazione, coperta da una grande pergola, che introduce nella piazza in cui il mercato e altre attività daranno nuova vita all’intera area. La luce naturale illuminerà gli spazi comuni della stazione metro e le note di colore, nelle pavimentazioni e nella copertura, offriranno un’immagine suggestiva al quartiere. Un altro concorso internazionale, nel quale lo Studio è oggi impegnato, riguarda la progettazione di un’ampia area di Guangzhou (Canton), città nel sud della Cina. Si tratta della grande “spina” urbana che taglia la città, in cui sono già stati costruiti alcuni importanti edifici come la Guangzhou Opera House di Zaha Hadid (2010) e la Canton Tower, considerata una delle più alte al mondo. La torre origina un percorso, lungo circa un chilometro e mezzo, sotto al quale si troveranno numerosi uffici e spazi commerciali. Su quest’ampio luogo urbano, in cui si alternano sentieri, giardini cinesi e percorsi d’acqua, si staglieranno ben tre importanti musei, il Guangzhou Art Museum, il Guangzhou Museum e il Guangzhou Science Museum. Lo studio si trova adesso ad affrontare la seconda fase del concorso per il Guangzhou Museum e il Guangzhou Science Museum, dopo esser stato selezionato insieme ad altri sei importanti studi internazionali di architettura e ingegneria. Infine grande attenzione è rivolta all’Expo di Milano che aprirà nel Maggio del 2015. Lo Studio si è qualificato al secondo posto per il progetto del Padiglione Italia, con la proposta “ Paesaggi e cupole italiane disegnano l’Albero della vita”. Le cupole, costruite principalmente in materiali lignei secondo criteri di sostenibilità, saranno adesso riproposte nella Corners Lake Area e ospiteranno alcuni spazi commerciali e pubblicitari con aree esterne che integrano il progetto del Padiglione Italia (Studio Nemesi&Partners). Saranno realizzate con strutture prefabbricate, in grado di massimizzare gli effetti della ventilazione naturale, progettate in modo tale da prevedere anche lo smontaggio e il montaggio una volta concluso l’Expo, affinché le cupole possano essere riutilizzate dai Comuni o dagli enti pubblici che le acquisteranno.

11 Queste eleganti strutture sono concepite assecondando valori di sostenibilità, economicità e sperimentazione che connotano, in particolare, questa edizione dell’Expo. La loro forma rievoca uno dei principali simboli dei “paesaggi urbani” di città come Roma, Firenze, Torino e Venezia. Anche in questo caso, un elemento che si richiama alla tradizione è rivisitato in chiave moderna, seguendo gli insegnamenti dell’ingegnere statunitense Buckminster Fuller; una leggera trama lignea gioca con la luce e crea un ambiente 12

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Ringrazio gli arch. Arturo Mc Clean e arch. Valentina Nicol Noris dello studio EMBT Miralles Tagliabue per le informazioni fornite. Referenze bibliografiche: Miralles Tagliabue EMBT, collana L’architettura I protagonisti volume 11, a cura di Giovanni Leoni, Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A., Milano 2013 Enric Miralles 1983-2000, El Croquis monografia, El croquis editorial, Madrid 2000 EMBT Miralles Tagliabue 2000-2009, El Croquis n. 144, El croquis editorial, Madrid 2009 Spanish Pavilion, World Expo Shangai 2010, monografia, a cura di EMBT Miralles Tagliabue, Production Editorial Pencil, Spagna 2011 Benedetta Tagliabue EMBT, Area n. 113, Federico Motta editore SPA, Milano 2010

fluido in cui il visitatore entra per scoprire, guardando in alto, la meraviglia del cielo. Le cupole sono concepite come lanterne, che attraverso un sistema d’illuminazione proprio, garantiranno la luce non solo agli ambienti interni, ma anche allo spazio pubblico circostante. La sera queste lanterne brilleranno, come veri e propri corpi illuminati, e la loro luce si rifletterà sulla superficie cangiante dell›acqua della Lake Arena, creando un’atmosfera spettacolare e magica.

* Giulia Soriero, nata a Catanzaro, ha conseguito la laurea in Architettura nel 2011 presso l’Università degli Studi Roma TRE. Nel 2013 ha collaborato con lo studio EMBT Miralles Tagliabue di Barcellona, lavorando a importanti concorsi come Expo Milano 2015 e la prima fase del concorso per i Musei di Guangzhou (Canton). Attualmente lavora a Roma come architetto.

Referenze multimediali: BCN RE.SET, http://blogfundacioenricmiralles.com/, 2013 BCN RE.SET urban circuit in Barcelona, http://www.archello.com, 2013 Referenze fotografiche: Foto 1 Enric Miralles e Benedetta Tagliabue, foto di Enric Morin Foto 2 LungoMare bench, Escofet, foto di EMBT Foto 3 Parlamento scozzese, Edimburgo, foto di Christian Richters Foto 4 Divano Botan, Passoni Nature, foto e collage di EMBT Foto 5 Ines-table, disegno di EMBT Foto 6 Fundaciò Enric Miralles, foto di Judit Fernández Foto 7 Re.Set Parc de la Ciutadella, Barcellona, foto di Marcela Grassi Foto 8 Mercato Santa Caterina, Barcellona, disegno di EMBT Foto 9 Mercato Santa Caterina, Barcellona, foto di Alex Gaultier Foto 10 Stazione metro Clichy-Montfermeil, Parigi, collage di EMBT Foto 11 Padiglione spagnolo, Expo Shangai 2010, foto di Pedro Pegenaute Foto 12 Le cupole, Expo Milano 2015, render di EMBT Foto 13 Benedetta Tagliabue insieme al suo team, 2013, foto di Giulia Soriero



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TERRITORIALMENTE EXTRAVOLTI Quando il vip ci mette la faccia di Silvia Aloisio Architetto L’Ordine degli Architetti P.P.C. della provincia di Catanzaro, con il patrocinio del Comune di Lamezia Terme, ha organizzato il 16 luglio l’esposizione dei lavori di Davide Iodice, artista e musicista torinese che ha portato a Palazzo Nicotera il suo progetto fotografico Extravolti in difesa della cultura ed il concerto Larsen, tappa della tournée del suo ultimo disco. L’evento è stato organizzato nella convinzione che l’ordine debba farsi portartore di cultura e debba rivolgersi e parlare, non solo ai suoi iscritti, ma a tutto il territorio dove esercita, mostrando le varie sfaccettature di una professione che vede nell’arte un riferimento ed una costante ispirazione. Con Extravolti, Davide ha ritratto più di 80 volti noti dello spettacolo, della musica e dell’arte che si sono fatti fotografare con il volto compresso, blocca-

ti in una smorfia, schiacciati contro un invisibile muro a suggerire, con grande enfasi ed empatia, la sensazione di immobilismo, sofferenza e compressione che affligge la cultura italiana nel momento storico che stiamo vivendo. Lo stesso artista definisce EXTRAVOLTI come: “Non solo una sfida, ma un’opportunità nata con l’idea di utilizzare la fotografia come codice artistico col quale da sempre, insieme alla musica, elaboro esperienze e sperimentazioni. In questo caso il messaggio è stato costruito dando al vetro il ruolo dell’ignoranza che, attraverso la sua freddezza e trasparenza, deforma il valore dell’arte, rappresentata dai visi di ogni forma culturale e artistica. Contrariamente alle premesse, il progetto non va letto con pessimismo o scarsa fiducia della potenza culturale, bensì come una “fotografia” mentale attraverso la “fotogra-

fia” reale di una civiltà contemporanea che, sovente, tende ad emarginare l’arte e i suoi alfieri da tutto ciò che viene considerato immediatamente utile allo sviluppo umano. Garantire questa pratica significherebbe riconoscere alla creatività umana un impegno verso nuove forme interpretative del futuro, restituendo maggiori possibilità di successo civile e umano oltre che la realizzazione di nuovi “colori emotivi”. Alcuni dei personaggi che hanno aderito al progetto: Alba Rohrwacher, Claudio Bisio, Morgan, Loredana Bertè, Stefano Bollani, Paolo Rossi, Carla Fracci, Margherita Hack, Gian Marco Tognazzi, Fabrizio Bosso, Leonardo Pieraccioni, Roy Paci, Marco Travaglio, Fiona May, Massimo Cacciari, Vinicio Capossela, Francesco Casorati, Enrico Colombotto Rosso, Lucio Dalla, Eugenio Finardi, Rosario Fiorello, Luca Argentero, Alessandro Haber,


Linus, Luigi Lo Cascio, Giuliano Montaldo, Pali e Dispali, Arnaldo Pomodoro, Luca Ronconi, Giovanni Soldini, Gianni Vattimo, Stefania Belmondo, Andrea Chiarotti, Michele Trimarchi, Giancarlo Barolat, Gianfranco Vissani, Dario Ballantini, Valeria Paniccia, Enrico Robusti, Andy, Don Gallo, Loredana Furno, Mauro Bigonzetti, Caparezza, Paolo Fresu, Cristina Dona’, Samuel, Alberto Fortis, Paola Turci, Ugo Nespolo, Silvio Saffirio. Per ospitare l’evento è stato scelto un edifico storico di grande suggestione “Palazzo Nicotera”, sede della biblioteca comunale di Lamezia Terme. Le sale affrescate hanno ospitato i severi bianco e nero grazie all’installazione curata dagli architetti Silvia Aloisio e Giuseppe Anania e realizzata dall’azienda VisaSport, prezioso partner. Il visitatore entrando nelle sale, si è trovato avvolto da uno spiazzante buio ed aiutato da una piccola luce ha scoperto gradualmente le foto esposte. Tutto l’allestimento, attraverso il buio e l’utilizzo di materiali freddi ed oggetti allusivi, ha contribuito ad enfatizzare l’effetto di straniamento prodotto dalle foto. Il vernissage della mostra ha visto anche la performance musicale dello stesso artista che accompagnato da una cantante lirica, ha presentato il suo lavoro LARSEN. L’album LARSEN è un lavoro compositivo audace, una raccolta di 13 brani

creati con la collaborazione e la produzione artistica di Gionata Bettini di Noise Cube con il quale Iodice ha riadattato in chiave elettronica alcuni brani dell’album Delirica, mentre le altre tracce sono il risultato di numerosi viaggi nel Nord Europa, tra Berlino e l’Islanda, ascoltando quei dj che hanno reso questo genere una vera e propria arte. Anche in questo caso abbiamo assistito ad un totale coinvolgimento dei sensi del pubblico grazie alla particolare programmazione visual-live del duo KFX ed alla bella scenografia di Giulia Zucca. È stato un evento ricco di spunti e suggestioni, che ha visto ricomporsi, ancora una volta, l’imprescindibile binomio arte ed architettura. L’evento è stato organizzato da Silvia Aloisio (ordine architetti PPC Catanzaro) e dall’architetto Giuseppe Anania, ma non sarebbe stato possibile senza l’estrema disponibilità dell’artista, che ha fatto della diffusione della cultura la sua missione e dei nostri sponsor. I ricavati della vendita dei cataloghi di Extravolti sono totalmente devoluti ad Emergency. Tutta la tournée italiana dell’album LARSEN, con la vendita dei cd, è a supporto della AISLA ONLUS, Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica. Le foto in basso sono di Stefania Malerba.

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...Competition Questo progetto ha partecipato al “Concorso di idee per la progettazione di moduli abitativi prefabbricati trasportabili per edifici anche pluripiano”. Bandito dalla Marlegno Prefabricated Wooden Buildings, Bolgare (Bg), il primo Ottobre 2013 e siamo state selezionate tra i primi 10. DESCRIZIONE PROGETTO Il container in legno è facilmente trasportabile con qualsiasi mezzo e di facile esecuzione. Trasportato nel luogo desiderato, verrà sollevato, posizionato e ampliato attraverso una rotazione e traslazione. La rotazione permette di creare un giardino interno, la traslazione amplia lo spazio interno abitativo. Il modulo è stato pensato anche per edifici pluripiano. L’interno del container di 9,00x2,50m è caratterizzato da una camera da letto matrimoniale, un bagno e una cucina/soggiorno, mentre, aumentando il lato da 9,00 a 12,00m si amplia lo spazio con una camera da letto singola. Il volume viene concepito in parte chiuso e in parte aperto, o completamente chiuso: due prospetti sono pensati senza aperture per dare privacy, esaltando l’aspetto tecnologico dell’involucro in legno, mentre i due prospetti sul giardino sono vetrati, rievocando il tema di Mies van der Rohe “Lo spazio esterno che interagisce con quello interno e viceversa, entrando in relazione tra di loro”. La luce filtra attraverso un sistema di brisoleil in legno orientabile e richiudibile creando un volume completamente chiuso. Marialuigia Bisurgi Laureata in Architettura all’Università degli studi “Mediterranea” di Reggio Calabria nel 2012. Selezionata al premio Archiprix Italia 2013. Attualmente collabora con uno studio di architettura a Catanzaro.

Maria Teresa Fazzolari Laureata in Architettura presso l’Università degli studi “Mediterranea” di Reggio Calabria a Marzo del 2013. Attualmente collabora con uno studio a Gioiosa Ionica.



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GENIUSLOCI Badolato, genius loci irripetibile di Giuseppe Carnuccio architetto Foto di Andrea Lonetti architetto

Su un crostone di roccia proteso verso il mare si abbarbicano una sull’altra le strutture edilizie, case e chiese, palazzi civili e edifici pubblici, con rigore e dignità in una sequenza aritmica e fluida. L’omogeneità di quest’architettura è determinata dal ripetersi d’elementi costanti, determinati dalla natura stessa dei luoghi. E questo nesso che esiste tra individualità urbana ed elemento naturale, fa sì che si esprima un genius loci irripetibile. Conservare questo materiale di bellezza e di tradizioni che rischia di perdersi è innanzi tutto un dovere civile. Un nucleo urbanisticamente definito, dove ancora sono evidenti modi e costumi conservatisi nei secoli, un documento di civiltà, appunto, che ci è tramandato attraverso le strutture edilizie.

Per la conservazione di questo patrimonio di valori è necessario lavorare per raggiungere la consapevolezza che è storia, e come tale, anche nel nostro mutato equilibrio di valori, può arricchire le nostre conoscenze e indicarci, nonostante il ciclo storico concluso, una serie di significati che permangono e sono validi nel tempo. Intendo un processo di selezione e distinzione di tradizioni che, nonostante appartengano al passato, se ne riconoscono


aspetti validi per un inserimento eventuale nella storia di oggi. Tradizioni non sole edilizie, ma di costume e di vita civile. Dal punto di vista di tale selezione, il recupero del lavoro artigianale si rende necessario, non solo ai fini del mantenimento di una certa tecnica che va scomparendo e che risulta essere un mezzo prezioso nell’azione conservatrice delle strutture edilizie esistenti, ma soprattutto perché costituisce un valido stimolo per nuove progettualità. Ogni fabbrica – casa o chiesa che sia – ogni suo elemento d’architettura, una scala, una finestra, un portale, costituisce un valido esempio di tecnica edilizia, espresso in ogni sua piccola parte con quella semplicità consolidata nel tempo, perché nasce da lunga pratica di mestiere tramandata di padre in figlio. Esente da pretese creative, un fare in cui il momento formale e quello costruttivo costituiscono un’unità inscindibile, la tecnica che diventa costume ed espressione di esigenze elementari di vita. Tra i problemi che si pongono oggi ad un progettista, uno dei più ardui è certamente l’integrazione dell’architettura contemporanea nella struttura urbana delle nostre città. E permane anche quando a rappresentare la memoria storica di un luogo sia un’architettura dei cosiddetti centri minori. Negli ultimi decenni a Badolato è stata trascurata la presenza della storia e l’eredità dell’architettura del passato. La necessità di un Piano-Progetto capace di salvaguardare i luoghi e le pietre è stata superata dalla volontà e immediatezza della realizzazione del singolo intervento, di ampliamento e/o di superfetazione. Instaurare un rapporto con un luogo significa conoscere, interrogare, soffermarsi, assimilando la storia attraverso le tecniche e i materiali, e considerare i manufatti nella loro globalità come un passato che sperimentiamo ancora. Una buona analisi costituisce la parte più significativa e importante del progetto. È il progetto stesso.

Bisogna tenere conto del delicato equilibrio d’insieme, basato su caratteri di omogeneità morfologica, ancora lesi da sporadici interventi di ristrutturazione privata. La conservazione di questa condizione originaria rende necessario un tipo d intervento “leggero”, che non vada oltre il ripristino funzionale delle costruzioni esistenti, perseguendo il fine di conservare gli originari e significativi rapporti dimensionali tra interno ed esterno. A Badolato, non siamo in presenza di manufatti cui è possibile attribuire la qualità d’architettura d’arte, anche se vi è traccia della cura con cui sono state realizzate alcune particolari composizioni spaziali. La struttura urbana, nella sua complessità e in relazione al carattere dei luoghi, dovrebbe essere considerata un bene culturale, e, come tale, s’impone la sua salvaguardia. Essa presenta i caratteri di quello che è stato per secoli: un centro di cultura agreste. Dalla stratificazione storica e dall’analisi del rapporto tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana, le condizioni del vivere del passato risultano chiare: un sistema di vita molto semplice, basato sui ritmi legati all’agricoltura, alle stagioni, alle tradizioni di una civiltà contadina di cui si conservano le testimonianze. Lasciando alle spalle il grande vuoto urbano sopravvenuto in seguito all’abbattimento delle mura del Castello, si apre l’asse viario principale, il cui sviluppo definisce una classica struttura urbana medievale “a spina di pesce”. È interessante osservare il tipo edilizio più diffuso, legato e conseguente anche alla situazione orografica: la casa di abitazione su tre livelli, con gli ambienti, uno solo per ogni livello collegati da una scala interna in legno. Due accessi caratterizzano questo tipo edilizio: uno, quello principale, posto alla quota della strada superiore e l’altro, di servizio, posto alla quota della strada inferiore.

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La conoscenza degli spazi interni e il rapporto tra questi e lo spazio esterno, rivelano i modi dell’abitare. Gli accessi stabiliscono univoche ed immediate relazioni con la strada, in un rapporto diretto che presuppone una tendenza della vita privata ad aprirsi allo spazio pubblico. La vita del nucleo familiare si manifesta nell’organizzazione dello spazio, e la relazione che questo stabilisce con lo spazio esterno esprime i rapporti tra il nucleo e l’intera collettività; la strada con i suoi piccoli slarghi, - punti di maggiore aggregazione della vita sociale - non è il confine tra il pubblico e il privato, bensì il connettivo di tutto il vivere sociale.

Questo tipo edilizio, contraddistinto da un carattere sia di permanenza sia di flessibilità, non è altro che la rappresentazione delle modeste esigenze di una vita semplice, di una vita contadina. Poche funzioni si svolgevano all’interno delle abitazioni: nella stanza, posta alla quota della strada superiore, dormiva tutta la famiglia; nel sottotetto - dove trovava posto “u focularu”- si preparava da mangiare; nella stanza collegata alla strada inferiore si ricoveravano gli animali e si svolgevano i piccoli lavori legati alla preparazione e trasformazione dei prodotti della terra. L’idea della rivitalizzazione deve nascere pertanto da un processo dialettico tra i valori generali dell’architettura del passato e i modi di vita attuali, da un’analisi e una ricerca che, attraverso successive fasi di conoscenza e d’equilibrate sintesi di progetto, produca in continua apertura alla partecipazione locale, una condizione di totale e controllata coscienza della trasformazione. Si tratta di leggere attentamente tutti i segni architettonici, individuare il loro significato per ordinare un insieme di forme compatibili con la vita contemporanea e, al tempo stesso, rilevarne l’unicità.


ARCHI_JUNIOR a cura di Francesco Materazzo architetto

La professione dell’Architetto junior… questione di punti di vista. L’annosa questione delle competenze professionali dell’Architetto junior, mette le sue radici sin dai primi anni del 2000, cioè da quando il DPR 328/2001 è entrato in vigore. Inutile ripete il “cordiale” articolo della legge mensionata per ricordare ciò che già sappiamo, ma ciò che forse non tutti sanno, è che tale articolo con le sue numerose controversie che ha creato, sentenze TAR, ricorsi, appelli, riunioni ecc. ecc., ha dato vita ad una generazione in tutta Italia, di persone (ragazze e ragazzi), senza nessuna certezza lavorativa, persone a cui poche volte è stato consentito di alzare la mano e dare voce ai loro problemi professionali, e nei momenti invece a cui è stata data la possibilità di interloquire con chi di dovere, non si è mai ottenuto un risultato certo a garanzia e sicurezza dei professionisti. Se analizziamo la circolare n° 21/2013 del CNAPPC, ai sensi del Dpr 380/2001, nelle attività di progettazione, direzione dei lavori, stima e collaudo delle opere edilizie e opere pubbliche, l’architetto junior può avere un ruolo di concorso e collaborazione. In ambito di costruzioni civili semplici, da realizzare secondo procedure standardizzate (gran parte dell’edilizia e delle lavorazioni che ci circonda), l’architetto junior può invece assumersi direttamente la responsabilità di progettista o direttore dei lavori. A caratterizzare l’attività dell’architetto junior, si legge nella circolare, sono infatti la semplicità delle costruzioni e l’uso di procedure standard per la progettazione. La semplicità quindi non va assolutamente confusa con limitazioni di tipo qualitative e/o quantitative, cosa che invece oggi è in atto nei nostri confronti. Come unico criterio di riferimento va presa solo ed esclusivamente la progettazione. Allo stesso tempo, la progettazione in zona sismica non è sempre esclusa dalle attività consentite ai professionisti junior, ma, come già chiarito dal Consiglio di

Stato, bisogna effettuare valutazioni caso per caso. Alla luce di ciò, che sembrerebbe abbastanza chiaro, noi professionisti junior ci chiediamo come mai nei vari uffici ed enti pubblici ancora non ci è consentito di lavorare e progettare liberamente nell’ambito della suddetta circolare? Perché allora, per esempio, la regolarità in altezza (delle NTC 2008) costituisce un vincolo? Non si è appena chiarito che la semplicità non va confusa con concetti di tipo qualitative e/o quantitative? E questo è solo uno degli innumerevoli scogli che troviamo quotidianamente nel nostro “lavoro” (se così si può definire). E’ cosi chiaro che il legislatore (del DPR 328/2001), ha scelto di utilizzare un termine differente “semplice” anziché “modesto” per la delimitazione dell’ambito di attività degli Junior, ha certamente inteso rimarcare il fatto che a questi ultimi spettano competenze diverse e superiori rispetto ai tecnici diplomati, ma inferiori comunque rispetto ai laureati quinquennali. Il concetto di “modesto”, presuppone oltre al limite “qualitativo” anche quello “quantitativo” in riferimento alla tipologia dell’opera progettata. Nel concetto di “semplice”, invece manca ogni riferimento di ordine quantitativo (volumi, altezze, costi) unico limite è il previsto utilizzo di tecnologie standardizzate collaudate. Un ulteriore elemento di differenziazione tra le costruzioni civili “semplici” e quelle “modeste” deve essere ricercato nelle caratteristiche e nei contenuti delle conoscenze necessarie alla loro progettazione; per le costruzioni “semplici” sono richieste conoscenze che presuppongono un percorso formativo di tipo accademico, che risulta invece superfluo per le costruzioni “modeste”. Nella realtà accade tutto il contrario di tutto… ai diplomati è consentito la progettazione e direzione lavori delle costruzioni “semplici”, agli accademici quelle “modeste”. Per concludere, oggi gli Architetti Junior, si trovano a scontrarsi quotidianamente con una realtà ben diversa da ciò che ci è consentito di diritto, che non ci permette assolutamente di esprimere a modo nostro l’apporto culturale per cui abbiamo studiato, conseguito un laurea, abilitati ed iscritti ad un albo professionale, anzi ci è precluso da una disinformazione deontologica non omogenea sul nostro territorio, che ci porta ogni qual volta ci si prospetta un incarico alla domanda: “ma lo possiamo fare…?”. Attendiamo risposte…

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BIOARchitettura Il lamellare: alternativa Bio Tecnologica di Mirko Faga architetto

Il mio primo contatto diretto con il lamellare risale al periodo universitario a Roma, probabilmente intorno al 1999, in occasione di una visita al cantiere dell’Auditorium di Roma. A quella data erano state realizzate le sole opere in c.a., mentre le coperture delle tre sale erano completamente assenti. Durante un passaggio nella sala maggiore, la Santa Cecilia, il Prof. ci spiegò che tutte le sale sarebbero state coperte con delle strutture in legno. Ora si dava il caso che la luce da coprire fosse, a spanne, una cinquantina di metri, dal modellino era facile intuire che il Maestro Piano non aveva pensato ad un tetto a capanna con capriate colossali, dunque ai più fantasiosi era sorto il dubbio che si sarebbe dovuto disboscare una foresta secolare per rimediare travi di lunghezza all’uopo adeguate. Il nostro docente ci spiegò allora come fosse possibile realizzare delle strutture in legno di quelle dimensioni e oltre, semplicemente mettendo opportunamente insieme elementi di legno più piccoli, detti “lamelle”, incollati insieme, senza dover abbattere alberi come i Giganti della Sila, e senza più i limiti insiti nel tradizionale legno massello. A pensarci bene era un uovo di Colombo, tanto semplice quanto geniale, e con risultati per varie ragioni davve-

ro sorprendenti. L’episodio spiega bene come in effetti dal punto di vista storico il legno lamellare nasce col fine di superare i limiti dimensionali del tondame dal quale si ricavano le travature. Da un solo fusto è infatti impossibile ottenere elementi di sezione e lunghezza necessarie a consentire la copertura di luci libere di 20-30 metri. Il problema era già stato affrontato e risolto quando, dovendo coprire le ampie luci dei Templi, e non disponendo dei cedri del Libano, intorno al 550 a.c., era stata inventata in Magna Grecia la capriata, ma anche questo sistema pone dei limiti dimensionali di circa una trentina di metri oltre al vincolo della forma obbligatoriamente triangolare del tetto. Il legno lamellare invece risolve entrambi i problemi con un unica soluzione, benchè la prima intuizione di realizzare delle travi composte in lunghezza con giunzioni a dente di sega, si fa risalire addirittura a Leonardo. In Italia le prime realizzazioni in legno lamellare risalgono al 1960 in Alto Adige, per la sostituzione delle travi di colmo di vecchi fienili lo si importava dalla vicina Austria, la prima produzione nazionale partirà invece nel 1970 a Bressanone con la Holzbau. Tornando alla visita presso l’Auditorium di Roma negli uffici della D.L.L., all’in-

terno potemmo ammirare il plastico, gli schizzi e i disegni esecutivi dell’opera, tra i tanti, ricordo, mi colpì proprio un dettaglio della sezione della copertura, nel quale potevano vedersi le enormi travi in lamellare, coperte però alla vista da un controsoffitto in legno, del quale si intuiva già il magnifico effetto finale. Ben 26 vele rivestite in legno di ciliegio, si estendevano per 4000 mq, ricordo bene che tra me e me pensai “il soffitto sarà un opera d’arte ma che peccato non poter vedere le strutture in legno... sono così belle!”. Quella visita segnò l’inizio della passione per la bellezza di questo materiale e la conferma di un interesse per il mondo delle costruzioni, piuttosto che per quello accademico, e poi molte scelte, una tesi in progettazione e calcolo di grandi strutture, un relatore ingegnere in una facoltà di Architettura, il primo lavoro in una società di Ingegneria. La bellezza del legno lamellare e dei suoi elementi, specie quando modellati su curvature ardite, luci infinite, esaltati nel loro colore naturale, sono belli, davvero molto belli. Anche inserite in un contesto architettonico senza particolare pregio, riescono a trasformare, da sole, uno spazio anonimo in un ambiente con carattere, danno un senso di calore, accoglienza,


Prodotto industriale, naturalmente Bio

Metropol Parasol, Siviglia, Spagna. Progetto di J. Mayer H. Architects

semplicemente sono belle, e se bello è un aggettivo troppo poco oggettivo, diremo allora che piacciono ai più. La bellezza, questa sconosciuta, dote non richiesta, parola non contemplata in alcuna normativa, ciò che progettiamo deve essere a norma, a norma sotto il profilo igienico, urbanistico, ambientale, paesaggistico, strutturale, energetico, e via dicendo, ma bella no, non è indispensabile, nessuno chiamato a valutare il nostro progetto per una qualsiasi approvazione si sentirà in dovere di complimentarsi per la bellezza di ciò che abbiamo pensato o magari richiamarci perché davvero sgraziato. Ironicamente ma non troppo, oserei dire che il legno lamellare è a prova di normativa, a prova di distrazione, è bello di suo, per fare una cosa brutta devi proprio volerlo, altrimenti, male

che vada, non scende sotto il gradevole, a pensarci bene, orrori in lamellare proprio non mi pare di averne mai notati. All’occhio contemporaneo, assuefatto alla a volte dalla bruttezza di una preponderante edilizia di pessima qualità, realizzata con materiali privi di qualsiasi estetica, chiamati a nascondere delle strutture ancor meno piacevoli, un’opera in legno lamellare si fa notare. C’è da sperare e faticare affinché in un futuro prossimo le nuove generazioni di tecnici e committenti sviluppino una nuova cultura, sensibilità e libertà nelle scelte progettuali. Infondo se l’età delle pietra non è finita perché erano finite le pietre, credo sia lecito immaginare che l’età del solo cemento potrebbe non dover durare per sempre.

Pur essendo per definizione un prodotto industriale, il legno lamellare conserva le caratteristiche proprie del legno come prodotto naturale, facendone un caposaldo della bioedilizia e un ottimo materiale strutturale. Si caratterizza allora per: - ottimo comportamento meccanico; resistenza del materiale omogenea ed uniforme per l’intera struttura del manufatto, grande elasticità e bassa dilatazione termica - una grande resistenza al fuoco; maggiore di quella del legno naturale e di strutture in acciaio o in calcestruzzo armato. La combustione nel legno lamellare avviene, infatti, molto lentamente. La parte più esterna carbonizzata, fa da isolante termico per la parte più interna della sezione. La combustione riduce quindi la sezione del materiale ma non le sue proprietà meccaniche. A differenza degli altri materiali, il legno non ha cedimenti improvvisi ma, nel caso, essi avvengono in maniera lenta e graduale. - resistenza agli agenti atmosferici; - economicità e leggerezza; il suo peso, pari a circa il 20% del cemento armato si ripercuote positivamente sui costi di trasporto. - ottime prestazioni antisismiche; La straordinaria leggerezza del materiale (15 volte più leggero dell’acciaio e 5 volte più leggero del calcestruzzo) e la sua elevata resistenza meccanica consentono un ottimo comportamento alle sollecitazioni sismiche. Inoltre il modulo elastico pari a circa 1/3 rispetto al calce-

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struzzo, si traduce in un aumento del periodo proprio della struttura e una minore sensibilità al sisma. grande valore estetico e comfort abitativo; il senso di benessere è garantito dalle proprietà di isolamento acustico e termico, le prestazioni termo-acustiche dell’ abete sono 7 volte superiori al laterizio, inoltre una sensazione di benessere psicologico è dovuta al colore della naturalezza del materiale; possibilità di realizzare strutture di grandi luci; comportamento elettrostatico neutro; non altera la ionizzazione dell’aria; basso grado di conducibilità termica; permette di ridurre note-

volmente i fenomeni di condensa ed i ponti termici favorendo una migliore conservazione dell’immobile. - comfort termoigrometrico; è un materiale che assorbe l’umidità in eccesso, rilasciandola nell’aria quando questa è troppo secca. - sostenibilità ambientale; tra le peculiarità del legno vanno evidenziati alcuni aspetti legati all’ambiente e alla sua tutela. Il legno, infatti, è un materiale naturale e una delle energie rinnovabili, richiede un basso contenuto di energia durante la fase di produzione ed è biodegradabile oltre che facilmente inseribile nel processo di rigenerazione. La coltivazione della materia prima aiuta il pianeta Terra. Infatti, per uso industriale, il legname viene sottoposto a segagione solo in fase di invecchiamento, mentre sono le piante giovani quelle che trasformano più anidride carbonica in ossigeno, attraverso la fotosintesi clorofilliana. A confronto con materiali metallici, plastici o cementizi, gli elementi strutturali in legno richiedono poca energia primaria per essere prodotti. Assumendo come unità di misura le MJ/ ton: il valore per le strutture in legno è 1, per il cemento armato 4, per il laterizio 6, per il vetro 24, per l’acciaio 60, per l’alluminio 250, per il titanio 800 e per le fibre composite 4.000. Nel ciclo completo di vita di una costruzione, lo smaltimento e il relativo riciclaggio dei rifiuti di una struttura in legno co-

stituisce un onere minore rispetto ad altre tecnologie costruttive, se non addirittura una risorsa, laddove è possibile riutilizzarlo in altre forme. - tecnologicamente avanzato; un’altra grande opportunità di impiego del legno nelle costruzioni è oggi offerta dai centri di lavoro a controllo numerico. - ottima lavorabilità; - facilità di manutenzione e sostituzione di elementi degradati; velocità di intervento di ripristino anche in caso di sisma di notevole intensità, tramite sostituzione delle connessioni o degli elementi danneggiati. Normativa di riferimento: Il DPR 380 del 2001 D.M. del 14.01.2008 + Circolare Esplicativa n. 617 del 2 febbraio 2009 - Eurocodice 5 e Istruzioni CNR DT/206 I numeri I numeri delle costruzioni in legno in Italia attestano una costante crescita. Se nel 2010 l’82% degli edifici in legno in Italia era ancora rappresentato da case unifamiliari, il 9% da edifici bifamiliari e il restante 9% da edifici plurifamiliari (localizzate soprattutto nel nord-est), per un totale di circa 5.000 abitazioni residenziali in legno, si prevede che nel 2015 questo dato raggiungerà le 7.500 unità. L’attuale quota di mercato delle abitazioni residenziali in legno in Italia è del 2,8%, quella degli edifici dell’8,5%: ogni 12 edifici costruiti in Italia, uno è realizzato in legno. Si tratta ancora evidentemente di una nicchia di mercato, che però cresce sensibilmente e molto più velocemente rispetto alle tipologie costruttive che impiegano altri materiali.


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38 Attenzione a: - Marcimento - Progettazione delle unioni. - Giunti - Resistenza al fuoco dei giunti - Snellezza degli elementi Il lamellare è per sua natura un materiale “unidirezionale” (il legno è un materiale anisotropo), nel senso che lavora bene se sollecitato in senso parallelo alle fibre e male in senso perpendicolare ad esse.

Bibliografia: Studiodeda - Edifici A Struttura Di Legno progettazione e realizzazione - Lampi di Stampa - (2012) Studiodeda - durabilià e manutenzione delle strutture in legno - Lampi di Stampa - (2012)

Mottura G.; Pennisi A. - Costruire con il legno lamellare - Maggioli Editore - (2012) Folidia S. - Progettare le strutture in legno Flaccovio Editore - (2011) Albano G. - Progettazione esecutiva di strutture in legno lamellare in zona sismica , Feltrinelli - (2009) Piazza M.; Tomasi R.; Modena R. - Strutture in legno. Materiale, calcolo e progetto secondo le nuove normative europee. - Ed. Hoepli - (2005) Caironi M.; Bonera L. - Il legno lamellare, il calcolo vol. 1 (2). DIN1052-EC5 - Habitat Legno S.p.A., Edolo (BS) - (2001 - (2004)) Ceccotti A. - Progettare la sicurezza. La Norma Italiana per le Costruzioni in Legno (NICOLE) - Atti del convegno “Sicurezza e comfort nelle abitazioni con strutture di legno” - Verona, (16 giugno 2001) Delmarco O.; Macchioni N. - Il legno lamellare incollato. Il materiale - da “Presenza Tecnica” - (Giugno 1996)

Pallaver G. - Il legno: rapporto fra progetto e produzione industriale; applicazioni innovative; strutture in legno lamellare - Atti del convegno “Strutture in legno normale e lamellare, Eurocodice 5 e nuove tecnologie” – Politecnico di Milano, Facoltà di architettura - (5 marzo 1996) De Angelis A. - Progettazione e calcolo delle strutture in legno lamellare - DEI S.r.l. - Tipografia del genio civile, Roma - (1993) Laner F. - Il legno lamellare, il progetto - Habitat Legno S.p.A., Edolo (BS) - (1989) Cenci G. - Strutture in legno - Ed. Meta, Milano - (1980) - Dettagli tecnici e rendering estratti della tesi di Laurea dell’Arch. Mirko Faga: Progetto di recupero del complesso dell’ex vetreria Stoelker a Fiumicino, progetto e calcolo strutturale della biblioteca e della sala conferenze da 500 posti, (strutture miste in cemento armato-acciaio-legno lamellare). - Siti utili: illegnolamellare.it


DIARIODIBORDO MESSICO... Messico e Nuvole 2013, la faccia (poco) triste dell’America. di Giuseppe Giampà architetto

#messico&nuvole#yucatan #maya#playadelcarmen#tequila #cocobongo#fridakahlo#cenotes

Utilizzando il linguaggio “social” ormai di uso comune, potrei sintetizzare con pochi hashtag ed un’istantanea un’esperienza vissuta circa un anno fa, ma presente tuttora nella mia testa: Messico! Il mio voleva essere un cronoracconto della Settimana trascorsa in Centro America, ma sin dall’arrivo all’aeroporto di Cancùn la settimana si è trasformata in un unico giorno, i giorni in ore, le ore in minuti e i minuti in attimi da vivere intensamente; e cosi la cena diventò pranzo, la colazione cena, il tramonto alba. Come lo descrive il testo di Jannacci, reinterpretato da Giuliano Palma, #messico&nuvole, ti capita di stare in spiaggia, a prender il tuo amato sole, a farti il bagno nel tanto sognato Mar dei Caraibi e di punto in bianco sei costretto a “scappare” per prender riparo dal violento acquazzone, ma basta poco, 15-20 minuti di pazienza, e ritorna il sole.

Ed è proprio li che ti domandi se effettivamente i #maya in qualche modo avevano indovinato le previsioni con la fatidica data 21 Dicembre 2012: la fine del Mondo! Mi sono ritrovato esattamente un anno dopo, nella “culla” di questo popolo a loro modo visionario e posso garantire che, per certi aspetti, quella era davvero la fine del Mondo! Naturalmente il tour nella terra dei #maya non poteva che partire da CHICHEN ITZA, un’area di 6,5 chilometri quadrati, Patrimonio dell’Umanità ed 39


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inserita tra le 7 Meraviglie del Mondo Moderno, a circa 200 km di distanza da Cancun. Arrivati nel sito rimani senza parole di fronte alla PIRAMIDE DI KUKULKAN alta circa 25 metri. A pochi passi, sempre nello sito archeologico, meritano una visita il TEMPIO DEI GUERRIERI, il CORACOL (osservatorio astronomico a forma di chiocciola), soffermandosi anche al JUEGO DE LA PELOTA, ovvero la corte che anticamente ospitava le sfide di questo gioco, che prevedeva, al contrario della nostra logica occidentale, la decapitazione del vincitore (pronti a morire pur di vincere mah!). In queste zone è facile trovare i #cenotes, veri e propri paradisi terrestri. Praticamente grotte subacquee, caverne con depositi d’acqua dove oggi hanno “funzioni” turistiche, mentre prima avevano una connotazione storica ben precisa ed una rilevanza importante nello sviluppo della cultura Maya poiché molte città e centri religiosi sorsero intorno a questi Cenotes, importanti fonti d’acqua, considerati le dimora di CHAC, il Dio della Pioggia. L’architettura Messicana, in continua evoluzione da più di 2000 anni, è un’interessante fusione di elementi preispanici e coloniali, di influenza della Francia del XIX


secolo e di elementi di ART DECO’, ART NOUVEAU e avanguardisti proposti da geniali architetti Messicani come P. R. VAZQUEZ o L. BARRAGAN. In Messico,in particolar modo nella Regione dello Yucatan, si preservano molte tradizioni,vissute soprattutto nelle cittadine limitrofe alla più turistica #playadelcarmen, ex città dei pescatori dove alloggiavo io. Questa cittadina caratterizzata da numerosi Villaggi e Resort, invasi da turisti di tutto il Mondo e dalla presenza di villette costruite con gusto e con la ricerca, da parte dei proprietari, quasi tutti americani, di una personalizzazione interna ed esterna. Tali manufatti sono costruiti con materiali del posto, ma con le sembianze delle classiche villette americane: su due livelli, garage confinante con la casa, giardino su 3-4 lati, ampie vetrate e finiture di pregio, e particolare attenzione all’involucro esterno. A differenza di questa città turistica, cosi come Cancùn (“la Las Vegas del Messico”), è nelle Città come UXMAL o VALLADOLID che si legge il vero carattere messicano, la vera essenza di questo mondo particolare, come già detto pri-

ma, ricco di tradizioni e colori dove più che l’Architettura è il modo di vivere della popolazione che ti colpisce. Solitamente un “architetto-turista” è facilmente riconoscibile poiché cammina con lo sguardo rivolto verso l’alto; in queste cittadine no. Era molto più interessante guardare ed osservare il Loro modo di vivere, calmo, taciturno, pittoresco negli abiti e nelle loro tradizioni. Il Messico resta un paese profondamente conservatore, nel quale la burocrazia crea ostacoli e amplifica l’ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Una popolazione umile, sempre disponibile al dialogo e al sorriso, ma allo stesso tempo autoironica e geniale per certi versi. Caratteristiche rispecchiate in pieno in una delle figure più amate e importanti del Messico, conosciuta in tutto il Mondo per le sue opere: la pittrice messicana “bellissima...dentro”: #fridakahlo, la cui arte è stata recentemente esposta alle Scuderie del Quirinale a Roma nel 2014. Si capisce l’importanza per i Messicani e l’influenza che ha avuto nell’ultimo secolo semplicemente “girando” per le strade dove la sua vita, le sue opere, la sua storia si ritrovano in ogni angolo.

Ed è con una frase di FRIDA, dove la grandezza a livello artistico è stata pari solo alla sua sfortuna fisica, che vi lascio e chiudo il mio racconto sperando di non essere stato pesante.

“ ...che me ne faccio di voi, piedi, se ho le ali per volare.” FRIDA KAHLO

...un invito a guardare sempre il lato positivo delle cose. 41


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Frida Kahlo: Viva la Vida di Bruno Bevacqua Storico dell’Arte Presidente dell’Associazione Culturale COSMOS 3.

Far conoscere alla Calabria la figura artistica di Frida Kahlo, questo il fine dell’Associazione Culturale COSMOS 3 guidata da chi scrive e coadiuvata dall’Ordine degli Architetti di Catanzaro, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Calabria, dall’Ufficio Territoriale per le Biodiversità di Catanzaro e dai Comuni di Taverna e Magisano. L’operazione ha inoltre avuto la “benedizione” dell’Ambasciata Messicana a Roma. Partiamo con ordine: l’evento si è tenuto in agosto 2013 presso il centro visite “Monaco” del Parco Nazionale della Sila (Villaggio Mancuso); le attività susseguitesi durante la giornata hanno compreso dei seminari culturali, lezioni di Storia dell’Arte incentrate sulla figura di Frida Kahlo tenute dalla dottoressa Stefania Russo, la proiezione del film Frida (di Julie Taymor, 2002) e un concorso di pittura en plain air che ha visto coinvolti 27 pittori provenienti dall’intera regione i quali si sono cimentati nella realizzazione di un’opera avente come tema il titolo di un dipinto della stessa pittrice messicana: Viva la Vida. Tale ini-

ziativa, dal carattere divulgativo, che ha proiettato la Calabria in un circuito nazionale, ha anticipando lo straordinario interesse riservato a Frida Kahlo la quale è stata celebrata a livello nazionale nelle mostre a lei dedicate tenutesi a Roma (Frida, Scuderie del Quirinale, marzoagosto 2014) e a Genova (Frida Kahlo e Diego Ribera, Palazzo Ducale, settembre 2014-febbraio 2015). Raccontare l’arte di Frida Kahlo (Magdalena Carmen Frieda Kahlo y Calderón, questo il suo nome completo) è un’impresa complicata quanto affascinante. È nata a Coyoacán (Città del Messico) il 6 luglio 1907 ma, considerandosi figlia della rivoluzione, diceva di essere nata nel 1910, anno di inizio della rivoluzione messicana. Figlia di Guillelmo Kahlo, un tedesco introverso e luterano che soffriva di epilessia, trasferitosi in Messico all’età di diciannove anni, e della sua seconda moglie, Matilde Calderón y Gonzalez, una donna messicana (figlia di un indio e di una donna spagnola). Divenuto un fotografo professionista, Guillermo finì per influenzare la personalità artistica della figlia a cui era affidato il compito di ritoccare a pennello le fotografie. La

salute di Frida fu segnata da eventi tragici: pare che fosse affetta da spina bifida sin dalla nascita; all’età di sei anni si ammalò di poliomelite riportando danni irreversibili alla gamba destra, ma l’evento che segnò in maniera indelebile la vita dell’artista fu l’incidente avvenuto il 17 settembre del 1925 durante il quale rimase gravemente ferita. L’autobus di legno su cui viaggiava insieme al suo primo fidanzato, Alejandro Gomez Arias, fu coinvolto in uno scontro con un tram. Frida riportò fratture multiple alla colonna vertebrale, al bacino, al piede


destro ed un tubo di metallo le trapassò il ventre. Sospesa tra la vita e la morte in un letto di ospedale, fu sottoposta a svariati interventi chirurgici (che si protrassero per l’intero arco della sua vita) e ad un lungo periodo di riposo a letto durante il quale iniziò a dipingere. Per Frida la pittura divenne l’antidoto ai propri mali, lo strumento che le permise di rifugiarsi in un mondo “altro” e di ritrovare quella serenità e voglia di vivere che spesso un destino così avverso non le permise di fare. All’età di ventidue anni, nel 1929, sposò Diego Rivera, artista affermato e protagonista del muralismo messicano, più grande di lei di vent’anni. Il loro rapporto durò venticinque anni (comprendente una pausa di un anno di divorzio tra il 1939 e il 1940) fino alla morte di lei. Una storia d’amore questa, travagliata e burrascosa, costellata dai continui tradimenti di lui. Frida stessa, che in un primo momento subì le angherie di Diego, iniziò a tradirlo con uomini e con donne. Nonostante ciò, i due rimasero uniti da un profondo affetto. Diego fu per Frida il più grande amore della sua vita e condivise con lui la passione per l’arte e l’orientamento politico. Le opere che la pittrice messicana ci ha lasciato denotano la predilezione per il piccolo formato, la cura per il dettaglio e per il particolare, un forte legame con il Messico (spesso si ritras-

se con abiti della tradizione messicana). Protagonisti delle sue opere furono quasi esclusivamente i suoi ritratti e il proprio vissuto (la gran parte dei circa 200 dipinti realizzati sono infatti degli autoritratti). A questo proposito ci vengono in soccorso le parole dell’artista: Dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio. Frida si avvalse della pittura per illustrare i suoi sentimenti, i suoi stati d’animo e i momenti più importanti della sua vita quali la sua nascita, l’allattamento, gli aborti, gli atroci dolori provocati dai suoi problemi di salute, la sua famiglia, il suo rapporto con Diego Rivera, il suo forte legame con la terra, la paura della morte, l’ideologia comunista, l’amore per il Messico e molti altri ancora. Il linguaggio figurativo messo a

punto da Frida è connotato da un realismo semplice arricchito a volte da elementi surreali, simbolici e fantastici; nonostante ciò l’artista non si stacca mai totalmente dalla realtà ed è improprio parlare di opere surrealiste. È la stessa Frida a prendere le distanze dai principi teorici del Surrealismo: Pensavano che anche io fossi una surrealista, ma non lo sono mai stata. Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni. Le opere di Frida stimolano inoltre delle inevitabili riflessioni sul valore dell’arte in quanto mezzo espressivo per eccellenza che molti artisti hanno utilizzato per rappresentare il proprio vissuto e, nel caso della nostra pittrice, anche le proprie sofferenze. Per tali motivi alcune opere di Frida potrebbero apparire “poco piacevoli” alla vista di chi le osserva, ricordando che il godimento estetico non è il solo fine dell’arte. Nel 1953 il Messico le dedicò una mostra che riscosse un grande successo; il 13 luglio 1954 Frida morì a Coyoacán nella stessa casa (la Casa Azzurra) in cui nacque, oggi divenuta il Museo Frida Kahlo.

Bibliografia: Helga Prignitz-Poda, (a cura di) Frida Kahlo, catalogo della mostra (Roma), Milano 2014. Helga Prignitz-Poda, (a cura di) Frida Kahlo e Diego Ribera, catalogo della mostra (Genova), Ginevra-Milano 2014. Frida Kahlo, Milano, Milano 2014.

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TIMELINE a cura di Francesca Savari architetto

» » Rassegna specializzata nelle tematiche della costruzione Dal 06/03/2015 al 08/03/2015 Fiere Longarone

Salone dell’edilizia civile ed industriale Dal 11/04/2015 al 13/04/2015 Fiere - Erba, Milano

» ABITARE OGGI Manifestazione dedicata a edilizia, arredamento, impiantistica, energia, ambiente Dal 13/03/2015 al 15/03/2015 Fiere Lanciano

»

» Salone di materiali, attrezzature ed impianti per l’edilizia abitativa Dal 16/04/2015 al 18/04/2015 Fiere - Bari

» Dal 18/03/2015 al 21/03/2015 Fiere Milano

» ANDREA BRANZI

HERETICAL DESIGN

»

Fino al 29/03/2015 Catanzaro

»

SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE Dal 14/04/2015 al 19/04/2015 Fiere - Rho, Milano

Esposizione Universale Alimentazione e Nutrizione Dal 1/05/2015 al 31/10/2015 - Rho, Milano

» Evento su energie rinnovabili e risparmio energetico Dal 09/04/2015 al 11/04/2015 Fiere Napoli

Salone dell’arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientale Dal 06/05/2015 al 09/05/2015 Fiere - Ferrara

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ARCHIBOOK “Spopolamento e disurbanizzazione in Calabria” A cura di Maria Adele Teti con i contributi di: G. Pultrone, D. Francese, G. Ardiri, S. Aloisio, V. Malara, A. Ciliberto.

Schedatura e strategie di Rigenerazione Urbana dei Centri Minori. La rete regionale degli Ecovillaggi

La ricerca finanziata dalla Regione Calabria (con L.R. 22 settembre 1998, n.10 art. 37 quater, scienze umane, economiche e sociali), confluita nel volume “Spopolamento e disurbanizzazione In Calabria”, si sviluppa in un’ampia ed approfondita disamina dei centri minori in calo demografico nel ventennio 1991-2011, che in Calabria ammontano ad oltre la metà dei centri urbani presenti. Lo studio si è orientato verso tematiche complesse, volte alla valorizzazione di centri in via di spopolamento, attraverso l’adozione di pratiche e comportamenti in grado di promuovere azioni orientate alla sostenibilità nel settore ambientale, sociale, culturale ed etico, con l’obiettivo di consolidare l’economia locale e creare risorse aggiuntive alla loro sopravvivenza.

Le potenzialità economiche dei centri minori - intesi qui nell’accezione ampia quale quella dei borghi o degli ecovillaggi - nelle politiche di sviluppo dei territori svantaggiati, sono ampliamente dimostrate da numerose sperimentazioni avviate o in corso di attuazione in Italia ed all’estero. Una sperimentazione che può essere proficuamente avviata in alcune aree della Calabria dove lo spopolamento, la contestuale perdita dei servizi primari e la conseguente disurbanizzazione di vasti territori formano ampi sistemi territoriali che, pur nel comune sottosviluppo, evidenziano una complessità economica e sociale suscettibile di sviluppo, attraverso un progetto integrato. D’altra parte, l’estensione dei sistemi territoriali in decremento è tale da non poter essere sottaciuta, in quanto disegna una


nuova geografia del sottosviluppo che tocca non solo le aree interne, ma si protende verso le aree limitrofe alle coste, ai centri storici maggiori, Gerace, S. Severina, Squillace e lambisce gli stessi capoluoghi di provincia. Produrre conoscenza in questo settore, attraverso un’approfondita disamina della consistenza, dislocazione e dotazione di beni e servizi di questi centri, vuol dire porre le basi per una corretta pianificazione integrata. Da questi studi si evince che esistono specificità d’area che non possono essere appiattite da vision troppo generaliste e omologanti. In Calabria. In particolare, la formazione di una rete regionale di riferimento, proposta dalla ricerca, come una delle ipotesi possibili di lavoro da cui partire, consente di mettere in rete risorse variamente localizzate, oltre che offre la possibilità di verificare la fattibilità complessiva del progetto. La cartografia a corredo del testo mette in luce come le aree di spopolamento travalicano le suddivisioni provinciali e le comunità montane, descrivendo aggregazioni estese e compatte, in alcuni casi a macchia di leopardo, che manifestano caratteri propri, non generalizzabili. Si evidenzia, altresì, come siano poco idonee le partizioni amministrative preposte all’amministrazione e gestione di questi territori, soprattutto delle comunità montane e delle provincie: enti che non rispondono agli obiettivi della nuova programmazione integrata. Da ciò la necessità di prevedere progetti d’area dei singoli sistemi, al fine di creare sinergie tra comuni contermini e promuovere la riqualificazione del territorio, attraverso la formazione di una rete re-

gionale in grado di sostenere progetti di sviluppo integrato. L’individuazione di comuni capofila dei singoli sistemi è volta ad agevolare i processi di integrazione e complementarietà degli interventi, attraverso il coordinamento degli stessi. La delimitazione, quindi, a conclusione della ricerca, di Sistemi Urbani Integrati e della rete dei comuni capofila e degli ecovillaggi, tende ad indicare una strada alternativa alla sostanziale ineffica-

cia delle azioni regionali e comunitarie in materia, i cui finanziamenti vengono spesso erogati attraverso indicatori troppo generici, scarsamente idonei a restituire la complessità esistente. All’interno del volume, la schedatura, presente in appendice, di tutti i comuni in via di spopolamento (205 schede di primo livello e sedici di secondo livello), vuole essere un regesto da cui estrapolare punti di forza e di debolezza dei centri stessi. 47


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ARCHIWORD il glossario di Architettura a cura di Jole Tropeano architetto

ARCO Elemento strutturale utilizzato per coprire luci anche di notevole larghezza è composto da blocchi disposti a semicerchio (i conci, di pietra o di laterizio) che trasmettono i carichi dall’alto fino al piano d’imposta, alla base della struttura. Tali forze, grazie alla loro lieve componente orizzontale vengono facilmente assorbite dalle spalle (pilastri, muri o altri archi affiancati). Il cuneo fondamentale posto alla sommità dell’arco che mette in atto le spinte di contrasto è quello centrale: la chiave d’arco, o chiave di volta. Per costruire l’arco si disponeva una centina, struttura provvisoria in legno che aveva il profilo dell’intradosso, sulla quale si poggiavano i conci; dopo la presa della malta, la centina veniva smontata e l’arco poteva autosostenersi. BALLOON FRAME che letteralmente corrisponde a “struttura a pallone” è una tecnica di costruzione inventata nei primi anni del Novecento, utilizzata per la realizzazione di edifici in legno prevalentemente in Scandinavia, Canada e negli USA. È costituita da una serie di listelli in legno di dimensioni unificate, unite mediante chiodatura e ritmate da sequenze modulari, che si sostituiscono alla tecnica ad incastro. Le tavole disposte diagonalmente ne assicurano il controventamento, mentre altre tavole disposte in orizzontale proteggono l’edificio dall’esterno formandone anche la facciata. Si differenzia delle tradizionali strutture in legno, per l’assenza di elementi principali e secondari. Tale tecnica costruttiva permette di velocizzare la fase di costruzione in cantiere permettendo di svolgere la maggior parte delle lavorazioni in officina. Da tale sistema costruttivo deriva l’attuale sistema di prefabbricazione di edifici in legno ampiamente diffuso nel mercato residenziale extra urbano degli USA. CARBONATAZIONE è un processo chimico, naturale o artificiale, per cui una sostanza, in presenza di anidride carbonica, dà luogo alla formazione di carbonati. Rappresenta una delle principali cause di degrado del calcestruzzo, ove è

Alcuni termini di questo numero di “Archi word” verranno di seguito contraddistinti in “rosso”. Termini di urbanistica, più che di architettura, con i quali vogliamo rendere un nostro personale omaggio a Bernardo Secchi, una delle più illustri personalità dell’Urbanistica Italiana, venuto a mancare in settembre 2014.

naturalmente presente l’idrossido di calcio che, se a contatto con l’anidride carbonica presente nell’aria, dà luogo alla formazione di carbonati di calcio. La conseguente riduzione dell’idrossido di calcio, determina un abbassamento del pH della pasta cementizia e avviene prima nelle zone corticali del materiale e solo successivamente in quelle più interne in funzione della porosità e/o del grado fessurativo del calcestruzzo. Nei calcestruzzi densi e compatti la carbonatazione interessa di norma solamente i primi millimetri, ma in quelli porosi e/o fessurati può penetrare in profondità fino ad attraversare il copriferro e raggiungere le armature. DURABILITÀ DI UN MATERIALE Secondo il D.M. 14.01.2008 la durabilità o durevolezza è definita come conservazione delle caratteristiche fisiche e meccaniche dei materiali (quali il calcestruzzo) e delle strutture, proprietà essenziale affinché i livelli di sicurezza vengano mantenuti durante tutta la vita dell’opera. Più in generale la durabilità di un materiale è la capacità di durare nel tempo resistendo alle azioni aggressive dell’ambiente in cui si trova e si configura come condizione necessaria ma non sufficiente per garantire la durabilità della struttura. Sia la ISO 15686 che la norma UNI 11156, infine, introducono anche il termine di Design Life o “vita utile di progetto” che indica la vita utile che il progettista pone come obiettivo, in termini di durata, del suo progetto e che trova una sua verifica nella procedura di valutazione della Estimated service life. ERGONOMIA Il termine di derivazione greca è l’unione delle parole érgon (lavoro) e omos (regola, legge). È la scienza che si occupa dell’interazione tra l’uomo e il suo ambiente. FUNZIONALISMO Corrente architettonica secondo la quale l’aspetto di ogni edificio deve rispecchiare lo scopo per cui è stato creato. Le sue origini risalgono a prima della Grande Guerra e i suoi concetti saranno poi alla base


dell’architettura razionalista. Nel funzionalismo è intrinseca l’idea di riscattare l’oggetto d’uso proprio per la sua peculiarità di essere utile, non considerando fondamentale l’aspetto estetico dello stesso. “Form follows function” diceva Luis Sullivan (1865-1924), ovvero “La forma segue la funzione”. GEOTERMIA Ha il suo etimo dal greco “geo” e “thermòs” ed è la disciplina delle scienze della Terra che studia l’insieme dei fenomeni naturali coinvolti nella produzione e nel trasferimento del calore proveniente dall’interno della Terra. I principi di tale disciplina sono studiati a livello tecnologico per la produzione di energia elettrica derivante in questo caso dalla trasformazione del calore. Tramite, infatti, la costruzione di centrali geotermoelettriche è possibile effettuare trivellazioni più o meno profonde che permettano di portare il calore del sottosuolo terrestre in superficie, convogliandolo in tubazioni (vapordotti). Il vapore così incanalato, viene mandato ad una turbina, dove avviene la trasformazione da energia meccanica prodotta da un albero motore ad energia elettrica attraverso un alternatore. HUMAN FACTOR Nel 1949 viene fondata ad Oxford, in Gran Bretagna, l’Ergonomics Research Society e viene pubblicato il primo libro intitolato “Applied Experimental Psychology: Human Factor in Engineering Design” di Chapanis, Garner e Morgan. Il fattore umano, alla pari dell’ergonomia, individua le regole che governano il sistema uomo-strumento-lavoro. L’ergonomia della seconda metà del novecento segna il passaggio dal lavoratore adatto alla macchina alla macchina adatta ala lavoratore. INDICE DI FABBRICABILITÀ È un valore numerico, spesso decimale, derivante dal rapporto tra un volume (espresso in mc) e un’area (espressa in mq). Esistono due tipologie, ovvero: 1) Indice di fabbricabilità fondiaria (IFF): dato dal rapporto tra volume fabbricabile e superficie fondiaria (SF) di un lotto edificabile; 2) Indice di Fabbricabilità Territoriale (IFT): dato dal rapporto tra volume edificabile e un intero comparto da urbanizzare, ovvero comprensivo anche della superficie sulla quale insisteranno le infrastrutture (ed in modo particolare le strade). Entrambi gli indici sono contenuti nelle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) degli strumenti urbanistici di scala comunale. LED I Led (Light Emitting Diodes) sono uno speciale tipo di diodo che emette luce, dove per diodo si intende un dispositivo elettronico a due terminali che consente il passaggio di cor-

rente elettrica in una sola direzione. Sostanzialmente è un chip realizzato mediante diversi strati di semiconduttori impregnati o drogati con impurità in modo da formare una giunzione positivo-negativo (P-N): il polo positivo di tale giunzione è l’anodo, quello negativo il catodo. L’emissione di luce nei LED è dovuta al fenomeno dell’elettroluminescenza, in cui i fotoni sono prodotti nella giunzione P-N dalla combinazione degli elettroni e delle lacune: la luce di queste sorgenti è detta anche Solid State Lighting (SSL), illuminazione allo stato solido, proprio perchè è un corpo solido che emette luce. Se inizialmente i LED erano studiati e prodotti per la componentistica elettronica in sostituzione delle spie a filamento e a neon (li ritroviamo infatti nelle spie dei nostri televisori, ad esempio), oggi vengono impiegati nel campo dell’illuminazione grazie anche al contenimento della spesa energetica e alla maggiore durabilità nel tempo. MIXITÉ In urbanistica, si potrebbe legare al concetto di coesione sociale attraverso la progettazione di quartieri capaci di accogliere classi sociali e/o culture diverse perseguendo un’idea di città contemporanea. Secondo il principio della mixitè, le attività vengono integrate a tutte le scale in maniera da far convivere simultaneamente vita pubblica, sociale, lavorativa e privata. Ciò consentirebbe l’esistenza di nuove conformazioni, indipendenti dal luogo e legate piuttosto ai nuovi modi di usare lo spazio alla scala urbana o architettonica. Il progetto si organizza in un insieme di attività produttive, residenziali, commerciali, infrastrutturali e per il tempo libero in una mescolanza caratterizzata, di volta in volta, rispetto alla forza trainante di ciascun ambito. NTA Norme Tecniche di Atttuazione: Norme che specificano gli interventi previsti da un piano urbanistico generale o particolareggiato, dettando le norme generali e i criteri d’intervento, le destinazioni d’uso, le norme particolari sull’edificazione, sulle distanze ecc. ORTOFOTO Un’ortofoto (o ortofotografia) è una fotografia aerea alla quale vengono applicate delle migliorazioni geometriche di ortorettifica per correggere le variazioni di scala legate all’altimetria. Viene altresì georeferenziata mediante il supporto di una serie di punti di controllo (GCP) individuati sia sulla cartografia di riferimento, sia sull’immagine aerea da correggere. L’Istituto Geografico Militare (IGM) ha il compito di produrre ortofoto digitali della maggiori città italiane in scala 1:5000 e 1:10000. 49


50 PILOTIS Assieme al “Toit terrasse”, al “plan libre”, all “facade libre” e alla “fenetre en longueur”, i “Pilotis” (pilastri) fanno parte dei 5 punti dell’architettura moderna enunciati da Le Corbusier nel suo testo “Vers une architecture” del 1923. Ville Savoye (Poissy, 1928/1931) è considerata il manifesto del movimento moderno e, in tale opera, Le Corbusier, pensa ai “pilotis” come pilastri cilindrici in cemento armato che si sostituiscono ai setti in muratura e, rimanendo a vista in facciata, sorreggono l’edificio e allo stesso tempo lo separano dal terreno, creando pertanto uno spazio porticato. Tale espediente permette di avere un comodo percorso di accesso all’abitazione svuotando il piano terra dai setti murari portanti e garantendo il posizionamento di un garage al centro del piano. QUOTA Nella rappresentazione di un progetto, la quotatura, è l’insieme delle informazioni che restituiscono le reali dimensioni dell’oggetto rappresentato. Una quota viene rappresentata graficamente da una linea di misura contenuta tra due estremità (siano esse raffigurate con linee, frecce o tratti obliqui). Il valore numerico della quota è sempre rappresentativo della dimensione reale dell’oggetto, indipendentemente dalla scala in cui verrà poi restituito. Alcuni elementi di progetto vengono quotati a partire dall’interasse, ad esempio è il caso della struttura portante di un manufatto. In una buona rappresentazione grafica occorre evitare che le quote di riferimento attraversino le linee di disegno, per evitare sovrapposizioni. REGOLAMENTO EDILIZIO Secondo il Testo Unico per l’Edilizia DPR 280/01. art.4 “Il regolamento che i Comuni adottano ai sensi dell’articolo 2, comma 4, deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi.” È obbligatorio per tutti i Comuni, come dispone l’art. 33 della Legge n. 1150/42. SCLEROMETRO Lo sclerometro (comp. dal greco ant. “misura di quanto è duro” [skléros]) è uno strumento per l’effettuazione di prove empiriche in situ e non distruttive (PND), dette prove sclerometriche, finalizzate ad accertare la stima speditiva della resistenza meccanica di elementi strutturali in calcestruzzo o talvolta in muratura ma anche di rocce. Tale stima si basa sulla misura della durezza superficiale del materiale da testare, la quale è rapportata all’indice di rimbalzo dello strumento come meglio spiegato in seguito.

Sono le prove non distruttive più frequentemente utilizzate dai tecnici, sebbene i valori che restituiscono, se non abbinate a prove ultrasoniche (metodo sonreb) non risultano estremamente esaustivi. SEZIONE AUREA La sezione aurea o costante di Fidia, nell’ambito delle arti figurative e della matematica, indica il rapporto fra due lunghezze disuguali, delle quali la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la somma delle due. Nell’architettura del XX secolo, una delle più interessanti applicazioni della sezione aurea fu senz’altro segnata dalla nascita del Modulor, letteralmente “modulo d’oro” derivato dal nome francese. L’ideatore fu l’architetto svizzero Le Corbusier che si prefisse di utilizzare la sezione aurea e la successione di Fibonacci quale sistema su cui basare le proporzioni di tutti gli spazi dedicati alla vita dell’uomo con l’intento di creare uno standard che fosse allo stesso tempo armonico e funzionale alle esigenze del vivere quotidiano; l’idea sottostante era che, poiché era possibile riscontrare la sezione aurea nelle proporzioni del corpo umano, nonché in altri svariati esempi naturali, questa potesse essere la base ottimale su cui strutturare tutto l’ambiente circostante, in modo che risultasse armonico e armonizzato ad esso secondo una presupposta regola naturale, identificata appunto nella proporzione aurea. In Italia Giuseppe Terragni l’ha usata nella progettazione di alcuni edifici razionalisti. TERMOGRAFIA EDILE La termografia è tra le metodiche non distruttive maggiormente utilizzate nel campo del riuso, per la diagnostica delle patologie edilizie. L’utilizzo della termografia permette la lettura delle radiazioni emesse nella banda dell’infrarosso da corpi sottoposti a sollecitazione termica. L’energia radiante è funzione della temperatura superficiale dei materiali e questa è a sua volta condizionata dalla conducibilità termica e dal calore specifico. Questi ultimi esprimono in termini quantitativi l’attitudine dal materiale stesso a trasmettere il calore o a trattenerlo. Quindi un materiale con valori alti di conducibilità si riscalderà velocemente ed altrettanto velocemente si raffredderà. Per effetto dei differenti valori di questi parametri, specifici per ciascun materiale, i diversi componenti di un manufatto, quale una muratura, assumeranno differenti temperature sotto l’azione di sollecitazioni termiche. Tale caratteristica è sfruttata dalla termografia per visualizzare, con appositi sistemi, i differenti comportamenti termici dei materiali.


URBANISTICA “L’urbanistica si occupa di tutto ciò: delle trasformazioni del territorio, dei modi nei quali avvengono e sono avvenute, dei soggetti che le promuovono, delle loro intenzioni, delle tecniche che utilizzano, dei risultati che si attendono, degli esiti che ne conseguono, dei problemi che, di volta in volta sollevano inducendo a nuove trasformazioni”. (Bernardo Secchi, Prima lezione di urbanistica, Ed. Laterza, 2000). VINCOLO Limitazione all’uso di un ambiente, o territorio, o parti di esso, prescritto da un piano o da un programma. Può essere urbanistico, idrogeologico, o paesaggistico ecc.. ZINCATURA La zincatura è un sistema di protezione applicato per gli elementi strutturali in acciaio ed in particolare quella eseguita a caldo risulta essere quella più frequente. Presenta una protezione contro la corrosione molto elevata. Il suo principio di protezione si basa sull’applicazione di una barriera di tenuta contro l’umidità sulla superficie dell’acciaio. Nelle vasche per la zincatura possono essere introdotti soltanto pezzi con determinate dimensioni, pertanto l’elemento strutturale deve essere opportunamente dimensionato in fase di progetto.

Bibliografia AA.VV., La qualità edilizia nel tempo, Hoepli, Milano, 2003 Helmut C. Schulitz, Werner Sobek, Karl J. Habermann, Atlante dell’acciaio, UTET, Torino, 2001 (Ristampa) Bruno Daniotti, La durabilità in edilizia, Cusl, Milano, 2003 Vittorio Manfron, Qualità e affidabilità in edilizia, Franco Angeli, Milano, 1995 UNI, UNI 11156-1. Valutazione della durabilità dei componenti edilizi. Terminologia e definizione dei parametri di valutazione, 2006 UNI, UNI 11156-2. Valutazione della durabilità dei componenti edilizi. Metodo per la propensione all’affidabilità, 2006 Bernardo Secchi, Prima lezione di urbanistica, Ed. Laterza, 2000 AA. VV., Il nuovo manuale Europeo di Bioarchitettura, Gruppo Mancosu Editore srl, Roma, 2007 AA. VV., Il nuovissimo manuale dell’Architetto, Gruppo Mancosu Editore srl, Roma, 2006 G. CRICCO, F. P. DI TEODORO, Itinerario nell’arte, Zanichelli, Bologna 2005


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Architetti nel pallone Anche l’ordine degli architetti P.P.C. della provincia di Catanzaro ha la sua squadra di calcio. L’idea, nata casualmente dall’impegno di alcuni iscritti affezionati a questa particolare attività sportiva, di riunire un piccolo gruppo abbastanza motivato assieme allo spirito che ha pervaso sin dall’inizio la compagnia, ha fatto sì che già con una delibera sancita nel 2013, gli iscritti, mettessero in campo le proprie capacità ed il desiderio di rimettersi in gioco. Gli esordi hanno visto soprattutto incontri amichevoli sino ad arrivare a competizioni extraregionali, come il torneo nazionale degli Ordini svoltosi nel Giugno

Team Squadra di Calcio Architetti Catanzaro

del 2014 presso il complesso Torre del Grifo Village di Mascalucia in provincia di Catania in cui si concorreva per il raggiungimento di un risultato importante, concretizzato con la vincita della coppa Italia, dopo aver battuto in finale la squadra di Napoli. È noto che lo sport sia un’attività aggregativa e in questo contesto assume una rilevanza maggiore se consideriamo che gli iscritti ad un Ordine professionale difficilmente tendono ad associarsi e in particolare a condividere un’attività ludica totalmente distante da quella lavorativa. Dunque, l’essere riusciti a costituire una squadra, finalizzata al raggiungimento di un obiettivo comune, potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per estendere tale partecipazione anche sul “campo” lavorativo, soprattutto in un periodo in cui si rende indispensabi-

le unire le forze per competere con un mercato sempre più dinamico che spesso “squalifica” la nostra professione. A maggior ragione se si valuta anche la funzione fondamentale che svolge l’attività sportiva, cioè quella di incoraggiare il sano agonismo che da forza all’azione del gruppo, tale spirito di partecipazione esula dalla pura e semplice performance sportiva, in quanto lo scopo principale vuole essere quello dell’interazione e della partecipazione ad un momento di svago. In questo anno sono previste numerose attività quali il I Torneo Calabria Architetti, che si svolgerà a Catanzaro nel mese di maggio, ed il VI Torneo Nazionale Architetti, dove la squadra competerà per la seconda volta consecutiva.

Logo elaborato dall’architetto Giovanni B. Giannotti che, dalla semplice rotazione del logo dell’Ordine, ha generato l’immagine della sagoma di un giocatore che sta calciando un pallone.


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Municipio, Citta Brunico Bz Foto di Gennaro Procopio Architetto 2 Bar Lienz, Austria Foto di Gennaro Procopio Architetto 3 Architettura in Movimento, La Casa Danzante, Praga, Frank Gehry 1996 Foto di Scalzo R. Giuseppe Architetto e Martino Ester 4/5 MAXXI, Museo delle Arti del XXI secolo, Roma Foto di Alessia Bruno Architetto 6/7 UniversitĂ Luigi Bocconi, Milano, Viale Bligny, Grafton Architets, 2004 Foto di Luigi Arrotta Architetto 8 Edifici a torre per la residenza, Bosco verticale, Milano, Porta Nuova, Arch. Stefano Boeri, 2004 Foto di Luigi Arrotta Architetto 9 Scala negozio Olivetti, Milano Foto di Andrea Benedetto

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