PIRANESI
PIRANESI a cura di Claudio Parisi
Giambattista Piranesi architetto, incisore e teorico d’arte
L’
arte e l’architettura del mondo occidentale dall’Europa alle colonie americane registrarono dalla metà del Settecento un forte recupero d’interesse per le antichità greche e romane. Questa nuova influenza del classicismo si espresse in modo eterogeneo dando luogo alla prolifica pubblicazione di edizioni erudite che alimentarono gli interessi dell’architetto e incisore Giovanni Battista Piranesi nei confronti del gusto antico, che fu considerato come una problematica viva e presente che esigeva manipolazione e celebrazione, al contrario di chi opponeva una visione contemplativa costruita su un passato ormai irrimediabilmente lontano ed esterno. Questo personale confronto con l’antichità fu frutto di un’identità culturale costruita in seguito alle esperienze lavorative maturate in due città italiane a quel tempo molto importanti: Roma e Venezia. In quest’ultima rilevante fu il tirocinio intrapreso presso lo zio materno Matteo Lucchesi, dal quale apprese una formazione teorica d’impronta palladiana, che sosteneva la completa aderenza tra la regola architettonica e la funzionalità. Lo stesso Lucchesi scrisse un trattato nel quale denigrava l’originalità dell’architettura greca rispetto la creatività di Andrea Palladio, che fu messa in discussione dalle tesi di Scipione Maffei. Altri elementi significativi furono: la conoscenza, l’interesse per la storia e il mito di Roma nutrito e consolidato al fianco del fratello maggiore Angelo, monaco certosino di elevata cultura, attraverso la lettura di Tito Livio, Sallustio e Plinio; l’apprendistato presso Giovanni Antonio Scalfarotto che permise una conoscenza dello stile classico filtrato da un recupero antiaccademico capace di modellare il passato con il moderno eclettismo, e i precetti teorici del padre francescano Carlo Lodoli che proponevano una lettura delle scienze architettoniche secondo i postulati scientifico-galileliani di universalità del bello e di oggettività. Però la formazione del pensiero estetico raggiunse la piena autonomia solo dopo aver visitato Roma, centro nevralgico del Gran Tour, il viaggio che gli intellettuali e gli artisti intraprendevano per studiare le vestigia antiche. La capitale, privilegiato crocevia degli stili, pur presentandosi inadeguata e disorganizzata, anche sul piano legislativo, era il luogo ideale per documentare 4
l’incredibile bellezza dei monumenti e dei nuovi ritrovamenti archeologici. Essa da un lato preservava ancora il suo aspetto medievale e barocco, costituito principalmente da percorsi processionali, fontane, obelischi, chiese imponenti, ma soprattutto da straordinari monumenti antichi, come per esempio il Pantheon e il Colosseo, dall’altro conobbe un periodo di sviluppo edilizio, apertosi con la costruzione della scalinata di Piazza di Spagna di De Sanctis, la facciata del Laterano di Galilei, il Palazzo della Consulta, la facciata di Santa Maria Maggiore di Fuga, e con l’inizio dei lavori per la fontana di Trevi del Salvi. Inoltre consentì un confronto diretto con una realtà artistica, divisa tra un inespressivo accademismo che separava le arti in canoni prestabiliti e una vivace sperimentazione dello studio d’antichità. La lettera di Winckelmann a Bianconi presentava Roma con queste parole: “Le Driadi e le Amadriadi di Castello e di Albano intatte nelle amorose querce, ne’i robusti lecini di più palmi di diametro e ne’ lauri piantati da Domiziano e forse dal magnifico Lucullo vi salutano …. Quanto paghereste di potere
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Veduta dell’antica Appia, da Le Antichità Romane, III 1756
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Il fuoco, da Le Carceri d’invenzione, 1750
mangiare con me un piatto di fichi gentili ai piè del sepolcro del gran maestro Pompeo e di quello preteso degli Orazi e Curiazi!”. Lo studioso tedesco la descriveva come luogo memorabile e mitico, nel quale gli elementi della classicità romana erano testimonianze attive della vita quotidiana. Diverse sono state le pubblicazioni pronte ad attestare questo cambiamento. Intorno agli anni quaranta cominciarono a circolare le cosiddette guide archeologiche, dotte dissertazioni teoriche con lo scopo di descrivere i principali monumenti e ritrovamenti. Fu proprio il successo di questo genere letterario che indusse Giovanni Battista Piranesi a pubblicare nel 1743 una prima raccolta d’incisioni con l’intenzione di promuovere un nuovo genere teorico costituito dalla perfetta nell’introduzione: “altro partito non veggo restare a me, e a qualsivoglia altro Architetto moderno, che spiegare con disegni le proprie idee, e sottrarre in questo modo alla Scultura, e alla Pittura l’avvantaggio, che come dicea il grande Juvarra, hanno in questa parte sopra l’Architettura; e sottrarla altresì all’arbitrio di coloro, che tesori posseggono [gli architetti attivi a Roma nei primi del Settecento], e che si fanno a credere di potere a loro talento disporre dell’operazioni della medesima”. L’autorevolezza dei canoni romani motivarono l’artista a costruire un apparato documentario sempre più ricco e filologico che si esemplificò con la pubblicazione dell’opera teorica-grafica più importante, le Antichità Romane del 1756, scritto in quattro tomi. I risultati raggiunti da quest’opera erano il prodotto di una mente che impegnava le proprie ricerche in un settore di studi fino ad allora limitato, attraverso una comprensione da specialista della progettazione ingegneristica e architettonica. Infatti nella prefazione, dopo al consueto richiamo al rapido perire delle antichità romane, animò il desiderio di integrare la semplice rappresentazione esteriore dei monumenti, servendosi di piante, sezioni, prospettive d’interni, indicazioni sui materiali e tecniche di costruzione, oltre a costituire un’importante progresso delle scoperte archeologiche. Inoltre diversamente dalle opere “antiquariali” precedenti, le duecentocinquanta tavole proposte giocavano un ruolo autorevole ed efficace nell’esemplificare il contenuto estetico. 7
Veduta del Ponte Fabrizio
I
l primo volume descriveva la struttura urbana dell’Antica Roma sia per quanto riguardava le opere murarie di difesa e gli acquedotti, sia per i principali monumenti religiosi e civili; il secondo e il terzo,invece, erano dedicati all’architettura funeraria, tipologia che testimoniava l’esistenza di una creatività ornamentale e di forme complesse di sepoltura che egli desiderava trasmettere sia ai colleghi progettisti che al pubblico appassionato di antichità; il quarto, onorava il genio costruttivo dei romani in opere come ponti, teatri e portici, e si distingueva per la descrizione di imprese ingegneristiche totalmente originali che cercavano di riflettere alle provocazioni rivendicate dagli ellenisti nel crescente dibattito greco-romano. Infatti già l’anno precedente all’uscita dei tomi piranesiani, uno studioso tedesco di nome Jochim Winckelmann, aveva stampato a Dresda, un saggio sull’imitazione delle opere greche, Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura (destinato a esercitare una considerevole influenza sugli studi storiografici successivi), nel quale grazie a uno studio compativo di gemme, monete e copie romane di opere greche di pittura e scultura, giunse a individuare nuove prospettive del passato che vedevano il popolo greco come il principale protagonista. Le Antichità Romane furono contestate nel 1766, dagli studiosi Stuart e Revett con la pubblicazione dell’Antichità di Atene, nella quale, dopo aver rigettato il ruolo di Roma “che aveva preso in prestito le arti, e spesso i suoi artisti, dalla Grecia”, promuovevano il proprio testo come: “un’opera tanto necessaria che incontrerà l’approvazione di tutti quei gentiluomini che amano l’antichità, o che hanno un gusto per quanto vi è di eccellente di quelle arti, così come certi che quegli artisti che mirano alla perfezione dovranno essere infinitamente più soddisfatti e meglio preparati quanto più da presso potranno attingere i loro modelli dalla sorgente prima”. Le opere piranesiane (Prima Parte e Antichità Romane) furono molto importanti per due motivi: permisero all’artista di confrontarsi con i recenti studi teorici, anticipando il dibattito sul primato dell’architettura romana che fu già messo in discussione da Winckelmann nel 1755 con Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura, e consentirono 8
quella crescita culturale che raggiunse l’apice nel 1761 con l’elaborazione del trattato Della Magnificenza ed Architettura de’ Romani. Con il trattato Della Magnificenza ed Architettura de’ Romani del 1761, Piranesi affrontò la querelle greco-romana sul primato dell’architettura antica, confutando le tesi di coloro che enfatizzavano l’architettura ellenistica a danno di quella latina definita rozza e ignorante. “Da gran tempo fra me pensando, perché mai, non essendovi chi neghi, aver il popolo Romano fiorito nelle arti della guerra e della pace, tolgaglisi poi da taluno la lode della magnificenza m’è sembrato ciò derivare da una certa soverchia e facilità e precipitanza nel giudicare …...Aggiungendo: “E certamente non mi sarei mai immaginato, che avvenir potesse a’ Romani di dover esser tacciati di pusillanimi, ed affatto rozzi”
L’intento era di rivendicare la superiorità romana contrastando quella tendenza estetica neo-greca che si era ben radicata tra gli intellettuali grazie ai numerosi viaggi verso la Grecia che permisero una conoscenza adeguata del goût grec, considerato come la più alta espressione della bellezza. Inoltre avrebbe “dovuto completare storicamente e criticamente le Antichità Romane”, dimostrando l’origine etrusca e non greca dell’arte romana, attraverso uno studio comparativo che smentiva le teorie offerte dal Dialogue on taste del pittore Allam Ramsay del 1755 (edito con lo pseudonimo The Investigator) e dal Les Ruines de plus beaux monuments de la Grèce di Nella prima parte dell’opera sottopose ad esame l’intera civiltà romana, utilizzando diverse fonti classiche per descrivere la gloria dei latini, confutando sia le tesi di Allan Ramsay che quelle di Le Roy, per le quali il popolo romano aveva acquisito gli strumenti della civiltà solamente dopo aver assoggettato politicamente l’Ellade: “Due ragioni veggo addursi da coloro, che invidiano, o se non altro, non favoriscono la gloria de’ Romani; per le quali questi, prima di soggioga la Grecia, furon privi, com’essi dicono, di qualsivoglia magnificenza di opere, cioè, la povertà, e l’ignoranza di tutte le arti della pace” In Tito Livio egli rilevò tutto il contrario: infatti, lo storico narrando gli avvenimenti di Numa esortò con un’ode. (riportata alla fine del capitolo). 9
Quindi la civiltà romana eccelleva nella politica, nella giurisprudenza, nelle arti meccaniche, ma soprattutto nelle scienze militari: “I Greci furono di gran lunga inferiori ai Romani nella scienza militare, perché furono da loro vinti e soggiogati : dunque furono rozzi e selvaggi. No, non se può dedurre questa conseguenza ; imperrochè i Greci furono celebri nelle altri scienze” Criticando l’Investigatore e Le Roy, Piranesi non mise mai in dubbio l’attitudine greca, anzi riconobbe gran prestigio intellettuale, a patto che questa esaltazione non danneggiasse l’immagine degli altri popoli: “Si dia, dico, lode alla Grecia, purchè questa lode non si converta in discredito de’ Romani”. Dopo aver descritto con lunghe riflessioni i costumi e gli aspetti sociali che facevano dei latini, un popolo autonomo e facoltoso, si interrogò sull’effettiva origine dell’architettura romana, che doveva aver concepito le proprie radici presso i Toscani. Questa tesi era già accreditata presso autorevoli scrittori, citati dallo stesso autore: “Di fatto tutti gli scrittori classici , che hanno parlato dei Toscani, attestano c’egli erano coltivatori attentissimi delle arti della pace (…..) e Diodoro Siculo nel lib.5 della biblioteca, dopo aver letto, che molte invenzioni Etrusche diedero maggiore accrescimento ai Romani (….) Desume parimenti il Dempstero e prova lo stesso …”. Nel 1723-24 Dempster aveva pubblicato un manoscritto dal titolo De Etruria Regali nel quale si soffermava descrivendo le loro doti artistiche, religiose e governative, inoltre anche storici importanti come: Bottari, Gori, Lami, Manni, Guardacci avevano risvegliato l’attenzione per il recupero di questa civiltà, istituendo perfino un’organizzazione nel 1727, l’Accademia Etrusca di Cortona. Lo scambio epistolare tra Bottari e Zanotti può esser un ulteriore conferma per verificare come lo sviluppo edile etrusco sia stata fondamentale per i popoli conquistatori, anche se Piranesi sembra particolarmente legato alle posizioni di Giambattista Vico e del conte Caylus. Caylus aveva realizzato tra il 1752 e il 1767 il Recueil d’antiquités égyptiennes, étrusques, grecques et romaines, una summa antiquaria nella quale si imputava all’architettura etrusca un ruolo importante , in quanto derivava direttamente da quella egizia, che era stata essenziale per la costruzione 10
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Particolare della veduta della facciata di dietro della Basilica di S.Maria Maggiore, da Le Vedute di Roma, I 1756
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Veduta della facciata di dietro della Basilica di S.Maria Maggiore, da Le Vedute di Roma, I 1756
dell’identità greca e romana, secondo tale schema di derivazione: Architettura egizia ------> Architettura Etrusca ------> Architettura Greca ------> Architettura Romana. Nel 1710 Giambattista Vico nel De antiquissima Italorum sapientia ex sapientia ex lingua latinae originibus emenda, rivendicò il carattere autoctono della civiltà italica, che gli permise di avanzare la proposta secondo la quale gli etruschi precedettero i Greci nella geometria e nelle arti della costruzione. Piranesi, pur non avendo conosciuto personalmente il filosofo, condivise vari aspetti della sua dottrina (espressi anche nella Scienza nuova del 1732), come l’importanza conoscitiva attribuita alla storia, il riconoscimento di epoche e civiltà autonome, il rapporto tra arte-cultura, il rilievo della tradizione italica e la conoscenza del sapere artistico mediante la filologia e la ricostruzione archeologia. Studiando gli Etruschi anche Vico utilizzò il concetto di magnificenza, come pieno sviluppo della civiltà, mentre l’architetto veneziano lo attribuì all’intera produzione architettonica Romana, costituita principalmente da: acquedotti, cloache , e strade lastricate. Il testo infatti esponeva chiaramente : Dopo la considerazione di queste cose, le quali ci danno a dividere che i Romani, senza l’ajuto de’ Greci, ebbero arte bastante per provvedere all’utilità e al decoro del pubblico; vengono ad altre opere vie più rimarchevoli: la prima delle quali sarà la cloaca massima (……). 11
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Veduta interna del pronaio del Pantheon, da Le Antichità Romane, I 1746
L’altra opera veramente mirabile, e che cresce la magnificenza Romana, sono gli acquedotti (…….) Vi rimane la terza delle opere , dalla quale diceva Dionigi di argomentare la grandezza dell’Impero Romano ; e questa consiste ne’ lastrici delle vie. Considerando queste tre opere civili, l’autore descrisse il particolare
legame che i Latini nutrivano nei confronti dei principi vitruviani della fermezza, della bellezza e dell’utilità, canoni non rispettati dai Greci che a quest’ultimo sostituivano l’uso di una decorazione sfarzosa e lussureggiante, che abusava della ricchezza lapidea, dei bassorilievi e dei rivestimenti aurei. Secondo Plinio invece i romani e gli etruschi non disponendo sufficientemente del marmo si limitarono ad utilizzare la creta solo per la lavorazione dei vasi, mentre progettarono gli edifici nudi. Questo senso di razionalità lo spinse ad accogliere le parole del Conte Caylus: il lusso nelle arti, nemico quasi sempre del gusto, abbaglia gli animi volgari, ma fa una mediocre impressione ne’ veri conoscitori, che tengono le diverse materie per tutt’una, e che in un’opera non si curano d’altro, che dell’opera. In questo modo si veniva a determinare non solo una dicotomia tra scienze architettoniche e design, che verrà saldata solamente con il Parere sulla architettura, ma anche l’esclusiva preferenza per la linea retta rispetto alla modellazione obliqua (tanto in voga presso i Greci) poiché “facilmente si deduce, quanto sia meglio nell’architettura, quando la necessità non richie12
da altrimenti, il servirsi di linee rette e perpendicolari, in vece occhj, nondimeno egli è difficile , che possano usarsi senza scapito dell’architettura, ed anche della verità”. Nella parte finale del trattato, l’architetto veneziano si servì di Montesquie per ribadire ulteriormente l’essenzialità delle decorazioni italiche (usando la celebre citazione “Un edifizio carico di ornamenti è un enigma per gli occhi come un poema confuso lo è per la mente”), smentendo simultaneamente il nucleo concettuale di Winckelmann fondato sull’espressione di “nobile semplicità e quieta grandezza” con cui egli definì i principali capolavori greci. Per accreditare il proprio progetto teorico, concluse confrontando le contraddizioni delle tesi perseguite da Le Roy e Ramsay dichiarando: Quel che fa maggiormente stupire, si è, che l’Investigatore, e’l Sig. Le Roy non vanno d’accordo. Dice l’Investigatore, che la meraviglia, che si fecero i Romani delle opere de’ Greci, pose loro come un certo freno, che li contenne nell’osservanza de’ precetti dell’architettura Greca, né permise loro l’avanzarsi più oltre; per il che furono così attaccati a quelle maniere, che stimarono di non poter far cosa che avesse garbo , se non le imitavano con tutta l’esattezza. All’incontro il Sig. Le Roy vuole, che i monumenti antichi di Roma siano stati fatti alla Greca sì, ma non già con tutta la perfezione, dubitando che i Romani non portassero dalla Grecia l’architettura tale quall’ella era, e con tutto quel ch’ella aveva di particolare e bello. 13
Dal punto di vista storiografico il De Magnificentia ed Architettura de’ Romani rappresentava un’opera innovativa poiché sviluppò un discorso teorico sull’arte romana e su tutti gli aspetti della civiltà, in stretta connessione con le problematiche architettoniche discusse nel Settecento. Pertanto il confronto greco-romano proseguì in seguito alla pubblicazione della lettera del collezionista ed editore Pierre-Jean Mariette sulla Gazette literaire de l’Europe nel novembre del 1764, che fu replicata con l’elaborazione delle Osservazioni sopra la Lettre de M. Mariette che conteneva anche il Parere sull’architettura e la prefazione al Della introduzione e del progresso delle Belle Arti in Europa nei tempi antichi. Per Marinette asserire che l’arte romana era stata di derivazione etrusca e non greca rappresentava un’ingenuità, in quanto gli etruschi erano di origine greca: Piranesi stesso ammette che, quando i primi Romani vollero elevare queste masse costruttive la cui solidità ci stupisce, furono obbligati ad ispirarsi alla mano degli architetti etruschi loro vicini. In tal senso, altrettanto varrebbe dire quella dei Greci, poiché gli Etruschi ch erano greci di origine , non sapevano di arte non eseguivano niente se non quello che era stato insegnato ai loro padri nel paese da ci provenivano. Inoltre sosteneva, non solo che i romani spogliassero la Grecia dai suoi monumenti
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Progetto per una gondola da parata 1745
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Capriccio di scale e arcate con catena, da Le Carceri dinvenzione, XVI 1750
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Particolare del capriccio di scale e arcate con catena, da Le Carceri d-invenzion
senza apprendere nulla della loro arte, ma perfino che gli aspetti importati nell’architettura romana dopo la conquista fossero da considerarsi frutto esclusivo degli schiavi greci espatriati, che tuttavia non furono in grado di fermare le degenerate modifiche apportate dai latini: Non si vergognarono di spogliare gli edifici greci dei loro principali ornamenti, e di appropriarsene (……) . Così in breve tempo le arti, a Roma, furono praticate solo dagli schiavi (…..). Quello che accade all’architettura romana e gli esempi addotti da Piranesi ne sono prova. In essa infatti si riscontra una profusione di ornamenti e di licenze rivoltanti, che per quanto se ne dica , testimoniano la decadenza della genialità degli architetti che la progettarono. La critica dell’antiquario francese rifletteva la crescente influenza nutrita da Winckelmann, che pubblico nel 1764 Storia dell’arte nelle antichità, nella quale attraverso una dettagliata documentazione sanciva definitivamente il primato architettonico greco su quello romana. L’anno seguente, Piranesi rispose con l’Osservazioni sul lettre de monsieur Mariette, presentando una confutazione molto simile il De Magnificenza , , operando però su un confronto testuale diviso su due colonne. Del tutto significativo era il frontespizio, nel quale rappresentò la mano di Mariette mentre scriveva il motto aut cum hoc, affiancato da un maestoso colonnato di ordine toscano che preservava gli strumenti delle arti. In altre parole voleva ribadire che le problematiche artistiche dovevano esser affrontate so15
Finito di stampare nel mese di dicembre 2012 presso la copisteria Istantanea s.r.l Roma Printed in Italy
edizione 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1
anno 2010 2011 2012 2013 2014 2015
“Piranesi, il Rembrant delle rovine� g.l.bianconi