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Il Terzo Tempo Lidia Ravera

LIBERA DI RICOMINCIARE. ANCHE ALLA SOGLIA DEI 70 ANNI

di Lidia Ravera

Prendo spunto da una lettera che mi ha davvero colpita. Non metto neppure il nome di battesimo e non vi segnalo la località di provenienza, perché me l’ha chiesto la persona che mi ha scritto (abita in una cittadina, pettegola, dove tutti conoscono tutti e dove ha sede il suo ben avviato esercizio commerciale). Chiamiamola perciò Ics. E ascoltiamo la sua voce: «Cara Lidia, posso chiamarti così?». Certo che puoi, cara Ics. «Ho 67 anni e una buona salute, una attività ben avviata che mi consente di vivere non nel lusso ma senza problemi. Ho un marito, con cui sono sposata dal 1977, un uomo buono che non mi ha mai fatto dei torti. Ho due figli, un maschio che vive in Italia, ma a seicento chilometri da me, e una figlia che vive a Bruxelles. Sono lontani, ma sono grandi e va bene così. Non si fanno i figli per avere qualcuno che ti tiene compagnia quando invecchi». Molto saggia questa considerazione. Ics è una donna in gamba e, se taglio via qualche fetta della sua lettera, è soltanto per motivi di spazio. Continuiamo a leggerla: «Tutti pensano - qui dove vivo, che è un piccolo centro - che sono una donna fortunata e tutti si sono stupiti quando hanno scoperto - alcuni perché il paese è pettegolo, altri perché gliel’ho detto io - che ho divorziato da mio marito. La domanda delle persone più intime era quella prevedibile: “Ha un’altra? Ti ha tradita?”. Per quanto ne so io, no, non ha nessun’altra, ho risposto. E allora perché? Perché il mio matrimonio è finito. Non parliamo, non facciamo l’amore, non facciamo niente insieme, a parte lavorare nell’attività che gestiamo, a parte fare i conti e pagare, pagare, pagare… le tasse, gli stipendi alle persone che lavorano per noi, i contributi, le multe…». Verso la fine della lettera, Ics si chiede se almeno io la capirò. Dice che nessuno la comprende, nessuno capisce che, anche se non hai più vent’anni, vuoi ancora essere felice. Ha chiesto a suo marito di rilevare la sua parte dell’esercizio commerciale che è intestato ad entrambi. Ha scritto: «Non è una gran cifra, ma nessuno è longevo nella mia famiglia, mia madre è morta a 57 anni, mio padre a sessanta. Io sono già più vecchia di entrambi, ma non credo che camperò ancora molto». Cara Ics, io ti auguro di arrivare ai fatidici novanta e di arrivarci bene: lucida, intelligente e piena di celesti pretese come sei. Sì, celesti pretese, pretese che se le formuli a trent’anni tutti ti capiscono e ti sorridono la loro incondizionata approvazione e, se le riformuli a sessantasette, tutti pensano che sei una incontentabile, inquieta, pretenziosa creatura… In parole povere: una gran rompiscatole. «Io voglio essere ancora un po’ felice, aspettarmi qualcosa di diverso dalla solita routine, vedere altre persone. Altri pezzi di mondo». Ah Dio, come ti capisco cara Ics: tu non vuoi più sentirti soffocare da giornate così uguali che le scambi una con l’altra, scambi i mesi, gli anni, i decenni e la vita scorre via, senza che tu conosca altro che il tuo lavoro, tuo marito, i tuoi figli, qualche amica che, come Angela (anche a lei ho cambiato il nome), “non spera più niente, si occupa dei nipotini e pensa che io sono matta”. Perché tutti pensano che sei matta, cara Ics, anche tuo marito? Perché in molti, senza saperlo, sono convinti che la ricerca della felicità sia uno sport per ragazzi, non la costante, inarrestabile scommessa di tutta una vita. Tutti vogliamo essere un po’ più felici. E lo vogliamo fin sul letto di morte. Una mia amica, gravemente ammalata, due giorni prima di chiudere gli occhi per sempre, ha voluto commissionare al falegname di fiducia un nuovo armadio. L’ha scelto con cura. Voleva che fosse bello. Cara Ics, l’uomo con cui hai diviso 45 anni della tua esistenza, non si è rivelato un buon compagno per il tratto più impervio. Hai fatto bene a divorziare.

PARLIAMONE...

Chi volesse scrivere a Lidia Ravera può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - redazione@50epiu.it

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